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A questo punto mi pare necessario riprendere e sistematizzare al ...

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86 i poeti del voc<strong>al</strong>ese<br />

terpretazione di tipo emotivo e non semplicemente acrobaticovirtuosistico,<br />

e <strong>questo</strong> nonostante la difficoltà esecutiva dei brani.<br />

Il voc<strong>al</strong>ese, insomma, richiede di essere an<strong>al</strong>izzato come fenomeno<br />

complesso che si situa in una dimensione straordinaria e scomoda<br />

creata d<strong>al</strong>l’incontro non conflittu<strong>al</strong>e bensí convergente tra ment<strong>al</strong>ità<br />

della scrittura e ment<strong>al</strong>ità or<strong>al</strong>e e, quest’ultima, sia di tipo primario<br />

(come permanenza di sensibilità or<strong>al</strong>e proveniente da culture<br />

illetterate, come le culture africane degli schiavi deportati nelle Americhe),<br />

sia di tipo secondario o mediato (come recente prodotto dei<br />

mezzi di comunicazione di massa).<br />

Non è perciò essenzi<strong>al</strong>e stabilire con esattezza chi o quando abbia<br />

iniziato la pratica di mettere le parole su un assolo di jazz per poi cantarlo,<br />

quanto capire le motivazioni e le condizioni che hanno contribuito<br />

a creare il fenomeno del voc<strong>al</strong>ese come t<strong>al</strong>e agli inizi degli<br />

anni Cinquanta, permettendo la conquista di una discreta fetta di<br />

mercato discografico e la nascita di un nuovo genere di canto jazz.<br />

Gli studi intrapresi nel Novecento sulle civiltà or<strong>al</strong>i ci offrono un<br />

v<strong>al</strong>ido aiuto per an<strong>al</strong>izzare la complessità di <strong>questo</strong> fenomeno.<br />

A partire da Milman Parry (1902-1935) si sono succeduti, nel corso<br />

del Novecento, molti studi sulle diversità nei meccanis<strong>mi</strong> di apprendimento<br />

e comunicazione nelle culture or<strong>al</strong>i primarie (an<strong>al</strong>fabete)<br />

e nelle culture letterate. In particolare gli studi di Parry vertevano<br />

sulla cosiddetta “questione omerica” 1 e gli per<strong>mi</strong>sero di dimostrare<br />

che Iliade e Odissea non erano la prima grande creazione letteraria<br />

dell’umanità ad opera di un grande scrittore, bensí la trascrizione<br />

in <strong>al</strong>fabeto greco (avvenuta nel periodo compreso tra il 700 e<br />

il 650 a.C.) dell’espressione or<strong>al</strong>e di una cultura or<strong>al</strong>e primaria: l’epos.<br />

Parry dimostrò la natura formulare dei poe<strong>mi</strong> omerici, ossia che<br />

la narrazione era costituita da un succedersi di frasi fatte o “formule”<br />

tradizion<strong>al</strong>mente assemblate come meglio si adattavano <strong>al</strong>la struttura<br />

dell’esametro composto or<strong>al</strong>mente. La “formula” è una combinazione<br />

verb<strong>al</strong>e a parti metriche intercambiabili, artificio mnemonico<br />

poggiato sul ritmo della frase, che per mezzo di assonanze, rime,<br />

ripetizioni e <strong>al</strong>tre tecniche permette di riassemblare un testo or<strong>al</strong>e<br />

complesso. La formula permane nella nostra cultura sotto forma di<br />

proverbi, detti popolari, filastrocche (del tipo: «Trenta giorni ha Novembre<br />

/ con April Giugno e Settembre / di ventotto ce n’è uno / tut-<br />

1] M. Parry, The Making Of The Homeric Verse: The Collected Paper Of Milman Parry,<br />

a c. di A. Parry, Clarendon Press, Oxford 1971.

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