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un altro portoncino, mentre la pioggia veniva giù a secchiate e i
selci della strada erano tutto un bollore bianco. Tre uomini corsero
addosso alla macchina, aprirono gli sportelli, salirono, la macchin;l
ruggì, incominciò a spostarsi. Amelia, allora uscì dal portoncino e si
parò davanti al cofano, da scema però, che anche un cieco l'avrebbe
visto che lo faceva apposta. Ma corsi fuori lo stesso urlando; mentre
Amelia si lasciava cascare in terra, fingendo di svenire. Quindi tutto
avvenne come in un sogno: due mani mi agguantarono, mi sollevarono
di peso ed io mi ritrovai nella macchina che correva, a fianco di
Amelia fradicia e intontita che starnutiva per l'acqua che aveva preso,
tra due uomini che mi dicevano: « Poche parole, ti spiegherai al Commissariato».
Avete capito? Tra tutte le macchine che ci sono a Roma,
avevamo scelto proprio la sola che non dovevamo: una macchina della
Questura. Che fosse della Questura c'era scritto sulla targa a lettere
rosse. Ma va a guardare la targa con quella pioggia.
Insomma: interrogatorio, guardina, denunzia a piede libero, guai
a non finire. Quando lo dissi a Graziani, chiedendogli di aiutarmi
anche questa volta, lui osservò: « Se mi avessi chiesto consiglio, Gigi,
ti avrei detto che questo è un caso di autolesionismo. Hai voluto fare
di testa tua, tanto peggio per te». « Ma che è l'autolesionismo? ».
« Fare apposta del male a se stessi». « Ma io volevo fare del bene».
« Sì, ma fingendo di farti del male ». Dissi allora: « Un'altra volta
chiederò consiglio a lei, signor avvo:ato». E lui: « Un'altra volta fatti
investire sul serio, Gigi».
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ALBERTO MORAVIA
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DOMENICO PURIFICATO: LA BEGHINA ROMANA
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