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LA DOMUS PUBLICA DI PIETRABBONDANTE

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ISSN: 2036-3028<br />

Aprile / Giugno 2010<br />

<strong>LA</strong> <strong>DOMUS</strong> <strong>PUBLICA</strong><br />

<strong>DI</strong> <strong>PIETRABBONDANTE</strong><br />

di Adriano La Regina<br />

<strong>LA</strong> PREISTORIA<br />

DELL’ALTO MOLISE<br />

a cura di Ettore Rufo<br />

IL MÁJA <strong>DI</strong><br />

ACQUAVIVA COLLECROCE<br />

di Emilia De Simoni<br />

I FEU<strong>DI</strong> <strong>DI</strong> CLUSANUM E<br />

VIPERAM A GAMBATESA<br />

di Maria Teresa Lembo<br />

IL POPO<strong>LA</strong>MENTO ANTICO<br />

DEL<strong>LA</strong> COSTA MOLISANA<br />

di Lidia Di Giandomenico<br />

SPECIALE:<br />

a cura di Alberto Cazzella<br />

N°4 - Anno II<br />

I SITI DELL’ETÀ DEL<br />

BRONZO A MONTERODUNI<br />

E ORATINO


IN<strong>DI</strong>CE<br />

SPECIALE TESI AGENDA LIBRI<br />

Il popolamento antico<br />

della costa molisana<br />

di Lidia Di<br />

Giandomenico<br />

<strong>LA</strong> PREISTORIA<br />

DELL’ALTO MOLISE<br />

Una panoramica<br />

a cura di Ettore Rufo<br />

di Adriano La Regina<br />

Mostre ed eventi in<br />

calendario<br />

Per approfondire<br />

pag. 6<br />

SITI DELL’ETÀ DEL BRONZO NEL<br />

MOLISE INTERNO<br />

Località Paradiso a Monteroduni (IS) e Rocca di<br />

Oratino (CB)<br />

a cura di Alberto Cazzella<br />

pag. 20<br />

<strong>PIETRABBONDANTE</strong>: <strong>LA</strong> <strong>DOMUS</strong><br />

<strong>PUBLICA</strong> DEL SANTUARIO<br />

di Maria Teresa Lembo<br />

di Emilia De Simoni<br />

pag. 32<br />

I FEU<strong>DI</strong> <strong>DI</strong> CLUSANUM E VIPERAM<br />

Insediamenti fortificati medievali scomparsi nel<br />

territorio di Gambatesa<br />

IL MájA <strong>DI</strong> ACQUAVIVA<br />

COLLECROCE<br />

Personificazioni del Maggio in Molise<br />

pag. 44<br />

pag. 54<br />

pag. 62 pag. 70 pag. 73<br />

3


MAGAZINE<br />

APRILE/GIUGNO<br />

2010<br />

Associazione Culturale<br />

ArcheoIdea<br />

c.da Ramiera Vecchia, 1<br />

86170 Isernia<br />

www.archeoidea.info<br />

<strong>DI</strong>REttORE REsPONsAbILE<br />

Giuseppe Lembo<br />

NUMERO<br />

4<br />

IN COPERtINA<br />

Veduta aerea dell’area archeologica<br />

di Pietrabbondante<br />

(foto L. Scaroina)<br />

COMItAtO tECNICO<br />

sandro Arco<br />

Angela Crolla<br />

Angelo Iapaolo<br />

Michele Iorio<br />

Emilia Petrollini<br />

COMItAtO sCIENtIFICO<br />

Marta Arzarello<br />

Annalisa Carlascio<br />

Emilia De simoni<br />

Gabriella Di Rocco<br />

Federica Fontana<br />

Rosalia Gallotti<br />

Rosa Lanteri<br />

Adriano La Regina<br />

Luigi Marino<br />

Maurizio Matteini Chiari<br />

Antonella Minelli<br />

Alessandro Naso<br />

Luiz Oosterbeek<br />

Marco Pacciarelli<br />

Carlo Peretto<br />

Lorenzo quilici<br />

Michele Raddi<br />

Alfonsina Russo<br />

Ursula thun Hohenstein<br />

REDAzIONE<br />

Petronilla Crocco<br />

Annarosa Di Nucci<br />

Giovanna Falasca<br />

sandra Guglielmi<br />

brunella Muttillo<br />

Ettore Rufo<br />

Maria Angela Rufo<br />

Chiara santone<br />

Walter santoro<br />

Alessandro testa<br />

Daniele Vitullo<br />

sEGREtERIA<br />

archeoidea@hotmail.com<br />

PROGEttO GRAFICO<br />

Giovanni Di Maggio<br />

www.giodimaggio.com<br />

FOtOGRAFIA<br />

Antonio Priston<br />

HANNO COL<strong>LA</strong>bORAtO<br />

A qUEstO NUMERO<br />

Ettore Rufo<br />

Antonella Minelli<br />

Giuseppe Lembo<br />

bruno Paglione<br />

Carlo Peretto<br />

Rocco Pellegrini<br />

Alberto Cazzella<br />

Valentina Copat<br />

Michela Danesi<br />

Alessandro De Dominicis<br />

Giulia Recchia<br />

Cristiana Ruggini<br />

Adriano La Regina<br />

Maria teresa Lembo<br />

Emilia De simoni<br />

Lidia Di Giandomenico<br />

stAMPA<br />

Grafica Isernina<br />

86170 Isernia - Italy<br />

Via Santo Spirito 14/16<br />

Registrazione del Tribunale di<br />

Isernia n. 72/2009 A.C.N.C.; n.<br />

112 Cron.; n. 1/09 Reg. Stampa<br />

del 18 febbraio 2009<br />

Le foto dei siti e dei reperti<br />

archeologici sono pubblicate<br />

grazie all’autorizzazione<br />

della Soprintendenza ai Beni<br />

Archeologici del Molise<br />

ARCHEOMOLIsE ON-LINE<br />

www.cerp-isernia.com<br />

www.facebook.com<br />

www.twitter.com<br />

E<strong>DI</strong>TORIALE<br />

o straordinario patrimonio archeologico del Molise rappresenta una risorsa<br />

fondamentale per il territorio, sia dal punto di vista della crescita culturale che di<br />

quella economica. L’attività istituzionale della Soprintendenza per i Beni Archeologici<br />

del Molise, che mi onoro di rappresentare, è quella di tutelare gli importanti siti<br />

archeologici con un impegno volto in primo luogo alla ricerca e alla conoscenza<br />

(fondamentale a tale proposito risulta essere la catalogazione dei beni), attività<br />

preliminari a qualsiasi azione di protezione e conservazione, il cui fine ultimo è la<br />

pubblica fruizione. In un periodo di grandi trasformazioni del territorio, con la realizzazione di strade,<br />

metanodotti, acquedotti, impianti eolici e fotovoltaici, l’attività di tutela e di salvaguardia del territorio<br />

deve necessariamente essere portata avanti in modo condiviso non solo con gli enti locali ma soprattutto<br />

con la società civile, per poter tramandare alle future generazioni una regione che conservi i propri tratti<br />

originari e identitari, in una parola, la propria “unicità”. Appare pertanto importante il cambiamento di<br />

prospettiva che, a partire dal documento Per la salvezza dei beni culturali in Italia pubblicato nel 1967 dalla<br />

Commissione parlamentare presieduta dall’On. F. Franceschini, si attua a proposito della definizione<br />

di bene culturale come testimonianza storica; definizione che conferisce un rilievo assoluto al contesto<br />

di rinvenimento, quasi sempre pluristratificato, all’interno del quale il bene è inserito e dal quale è<br />

originato. Nello stesso Codice dei beni culturali e del paesaggio n. 42 del 2004, attualmente in vigore,<br />

all’art. 2, i beni culturali sono individuati quali testimonianze aventi valore di civiltà. Quindi il patrimonio<br />

archeologico è funzionale alla comprensione del nostro passato, alla riappropriazione delle nostre<br />

radici, a rilevare i tratti peculiari del territorio di appartenenza: elementi fondanti per definire l’identità<br />

storica e culturale di una regione. In tale prospettiva l’impegno delle istituzioni preposte alla tutela è<br />

anche quello di ricercare nuovi modelli di sviluppo locale, di sperimentare soluzioni innovative per la<br />

valorizzazione del patrimonio archeologico del territorio. Pertanto, in primo luogo, ci si propone di creare<br />

una rete archeologica territoriale, che possa collegare, anche attraverso l’utilizzo delle tecnologie digitali<br />

multimediali e di realtà virtuali –strumenti innovativi, ormai essenziali per migliorare la fruizione dei<br />

beni culturali- i luoghi di eccellenza del Molise, ricostruendo la storia antica della regione attraverso un<br />

percorso diacronico: dalla fase preistorica, con Isernia-La Pineta, a quella sannitica, con gli insediamenti<br />

fortificati e i santuari, tra i quali spiccano le aree archeologiche di Pietrabbondante-Calcatello e<br />

Campochiaro-Civitelle, a quella romana, con Sepino, Venafro e Larino, fino all’età altomedioevale con l’<br />

insediamento monastico di San Vincenzo al Volturno. Non soltanto la magia e l’emozione di un “viaggio”<br />

in un passato lontano che torna a vivere, ma anche un approccio di grande interesse alla ricerca<br />

scientifica, sia in campo archeologico che nella sperimentazione di nuove tecnologie, con implicazioni<br />

significative nell’ambito della formazione culturale e professionale, nonché nella generazione di nuove<br />

imprese impegnate in servizi tecnologicamente avanzati ad elevato valore aggiunto. Lo sforzo del tutto<br />

evidente, in sintesi, è di ricostruire, con metodo, tasselli significativi di un mosaico, in fase di continuo<br />

rinnovamento, come è proprio delle ricerche scientifiche, che si pone come obiettivo di delineare la<br />

storia antica del Molise e i valori culturali delle popolazioni che in questi importanti territori si sono<br />

succedute, così come il sistema di relazioni sia di breve che di lungo raggio intessute con genti insediate<br />

in altri territori italiani, ma anche in tutto il bacino del Mediterraneo. Restituire al Molise la centralità<br />

culturale, che in alcuni periodi storici ha avuto, rappresenta un preciso dovere per chi, a diversi livelli<br />

nella società civile, si impegna ad interrompere l’isolamento che ha condizionato, anche sotto il profilo<br />

economico, la storia recente di questa regione. Anche dalla tutela e dalla conseguente valorizzazione<br />

del patrimonio culturale del Molise, si può ripartire per delineare prospettive di sviluppo assolutamente<br />

ecocompatibili e soprattutto, come sottolineato sopra, condivise dalle comunità locali.<br />

Alfonsina Russo*<br />

*Soprintendente per i Beni Archeologici del Molise<br />

4 5


DELL’ALTO MOLISE<br />

Una panoramica<br />

Ettore Rufo*, Antonella Minelli**, Giuseppe Lembo***, Bruno Paglione*, Carlo Peretto***<br />

*Centro Europeo di Ricerche Preistoriche di Isernia<br />

**Università degli Studi del Molise<br />

***Università degli Studi di Ferrara<br />

sin dagli anni ‘50 il confine tra le attuali regioni di Abruzzo e<br />

Molise, tra le catene delle Mainarde e della Maiella, è stato meta<br />

di campagne archeologiche. sono oggi inclusi nella dicitura Alto<br />

Molise dodici comuni della provincia di Isernia. La preistoria di questi<br />

luoghi è legata, su tutti, al nome di Antonio Mario Radmilli, decano<br />

della paletnologia italiana del dopo-Pigorini.<br />

Località Rio Verde, Pescopennataro. Evidenti<br />

testimonianze di manufatti in selce.


Alla fine degli anni ‘50 la sua equipe dell’Università<br />

di Pisa, spintasi poco oltre il limite<br />

meridionale del Parco della Maiella, svolse<br />

indagini archeologiche nella valle che guarda<br />

il borgo montano di Pescopennataro. Nel 1963<br />

il Molise ottenne l’autonomia dall’Abruzzo.<br />

L’archeologia regionale non ne giovò, se è vero<br />

che in quegli anni Radmilli cominciò a manifestare<br />

nostalgia per Bolognano, le Svolte di<br />

Popoli e la Valle Giumentina, situati poco oltre<br />

(un centinaio di chilometri in macchina) il pomerio<br />

del neonato Molise. Questi siti s’avviarono<br />

presto a fare la storia della paletnologia<br />

italiana; Pescopennataro rimase una citazione<br />

in qualche articolo scientifico. Segno di come<br />

anche l’archeologia segua talora i confini amministrativi,<br />

al pari della cultura e della ricchezza<br />

(… e dell’intelligenza, farneticherebbe<br />

Richard Lynn).<br />

Nel frattempo il lavoro di Radmilli aveva<br />

alimentato l’entusiasmo culturale degli amatori<br />

locali (basti qui ricordare collettivamente<br />

l’Archeoclub di Agnone), dalle cui raccolte,<br />

meritevoli se non altro d’aver salvato migliaia<br />

di reperti dalla distruzione o dall’oblio, provengono<br />

in larghissima parte le collezioni che<br />

oggi studiamo. Se si esclude qualche breve<br />

cenno in riviste scientifiche o di diffusione,<br />

un reale riavvicinamento scientifico alle testimonianze<br />

preistoriche dell’Alto Molise si ebbe<br />

solo tra il 1994 e il 1995, quando Stefano Grimaldi,<br />

grazie ad una borsa di studio dell’Istituto<br />

Regionale per gli Studi Storici del Molise,<br />

operò una prima sistemazione delle industrie<br />

litiche molisane note; la sezione più ampia del<br />

suo “censimento” (pubblicato nella sua veste<br />

definitiva solo nel 2005) è, significativamente,<br />

quella relativa all’alto Molise.<br />

Un sostanziale riordino dei dati è stato infine<br />

affidato, tra il 2005 e il 2006, all’equipe di<br />

Carlo Peretto, nell’ambito del Progetto Leader<br />

Plus, promosso dal MOLI.G.A.L. e dall’Univer-<br />

In alto:<br />

Pescopennataro, piana di Rio Verde. L’area è nota,<br />

sin dagli anni ’50, per i numerosi ritrovamenti<br />

d’epoca preistorica, che documentano frequentazioni<br />

del Paleolitico inferiore, medio e superiore.<br />

8 9


Pescopennataro, località Rio Verde: composizione cronologica dei diversi insiemi litici.<br />

Le industrie testimoniano come l’area sia stata frequentata ripetutamente nel corso del Paleolitico. Le statistiche<br />

del sito denominato RV1 indicano, rispetto alla media, una maggiore incidenza delle tracce riferibili al Paleolitico<br />

superiore<br />

ORIzzONtE<br />

CRONOLOGICO<br />

RV<br />

(n=505)<br />

RV 1<br />

(n=1444)<br />

RV 2<br />

(n=44)<br />

Paleolitico inferiore-medio 17% 7% 20%<br />

Paleolitico superiore 17% 44% 14%<br />

Attribuzione incerta 66% 49% 66%<br />

sità di Ferrara, conclusosi con la pubblicazione,<br />

nel 2006, di una monografia che definisce<br />

lo stato dell’arte della preistoria in provincia di<br />

Isernia. Largo spazio è dato, in questo lavoro,<br />

alle industrie litiche di alcune località dell’alto<br />

Molise.<br />

Pescopennataro<br />

L’agro di Pescopennataro, come accennato in<br />

premessa, è da più di un cinquantennio meta<br />

d’interesse per lo studio della preistoria altomolisana.<br />

Le diverse collezioni, essenzialmente<br />

provenienti da prospezioni di superficie,<br />

formano oggi un tesoro di almeno diecimila<br />

manufatti. Circa 1600 reperti, derivanti dalle<br />

raccolte di Pietro Patriarca e Fortuna Ciavolino,<br />

sono conservati nella sezione preistorica<br />

del locale Museo Civico della Pietra; un’altra<br />

collezione è custodita nel Museo Emiliano di<br />

Agnone, mentre un esiguo campione è esposto<br />

nel Museo di Etnopreistoria del CAI a Napoli;<br />

il campione più nutrito è però quello scaturito<br />

dalle raccolte trentennali di Bruno Paglione.<br />

Il materiale proviene da diverse località (tra<br />

le altre, Laghi dell’Anitra, Guado Cannavina,<br />

Prato Martello, Monte Pasquale, La Morgia)<br />

gravitanti sull’area nota come Rio Verde (dal<br />

rio omonimo), ampio tavolato inframontano<br />

posto ad una quota media di ca. 1000 m s.l.m.,<br />

oggi coperto a bosco o pascolo e isolatamente<br />

edificato.<br />

I primi interventi sistematici sono quelli, già<br />

citati, di Radmilli, il quale, tra il ‘57 e il ‘58, rinviene,<br />

in località Prato Martello, un complesso<br />

litico attribuito al Paleolitico inferiore-medio,<br />

classificato, secondo la terminologia del tempo,<br />

come di tecnica “protolevalloisiana” e incluso<br />

nella da lui coniata cultura “abruzzese<br />

di montagna”. Quasi un trentennio più tardi,<br />

nel 1985, viene pubblicato uno studio di P.<br />

Ucelli Gnesutta su un complesso musteriano<br />

proveniente da Pescopennataro. Non cessano,<br />

frattanto, le raccolte degli appassionati, che<br />

saranno in gran parte riordinate, nel biennio<br />

1994-95, da S. Grimaldi nel suo lavoro sulle<br />

industrie paleolitiche molisane, in cui trovano<br />

largo spazio gli insiemi di Rio Verde. Dalla<br />

sua sintesi risulta un range cronologico di<br />

frequentazione dell’area esteso dal Paleolitico<br />

inferiore al Paleolitico superiore, con una certa<br />

predominanza di elementi del Paleolitico<br />

medio. Una più accurata disamina delle evidenze<br />

paletnologiche di Pescopennataro trova<br />

posto, tra il 2005 e il 2006, nel succitato progetto<br />

di revisione e riordino delle emergenze<br />

preistoriche della provincia di Isernia diretto<br />

dall’Università di Ferrara. Nel settembre del<br />

2007, infine, l’Università del Molise ha condotto,<br />

sotto la direzione di Antonella Minelli,<br />

una campagna di ricognizione nelle aree di<br />

provenienza delle collezioni note, orientato<br />

alla mappatura dei principali rinvenimenti.<br />

Dati sostanziali sull’industria litica sono<br />

oggi disponibili per un nutrito campione proveniente<br />

dalle aree siglate RV, RV1, RV2. Le industrie<br />

analizzate confermano che l’area è stata<br />

frequentata durante il Paleolitico inferiore,<br />

medio e superiore (gli insiemi comprendono<br />

infatti, oltre a molti elementi di attribuzione<br />

incerta, tre bifacciali, industria musteriana e<br />

industria laminare).<br />

È presumibile che l’area abbia ospitato, nelle<br />

diverse fasi, installazioni di natura e funzione<br />

polivalenti, come sembrano indicare le statistiche<br />

tecno-tipologiche nei singoli insiemi e<br />

orizzonti cronologici. Nei limiti imposti dalla<br />

commistione e selettività dei campioni, che<br />

consentono di rado di spingersi oltre il dato<br />

Carta del Molise<br />

L’area numerata delimita l’alto Molise; vi appartengono i seguenti comuni (in grigio scuro sono evidenziati i<br />

comuni noti per i ritrovamenti preistorici): 1: San Pietro Avellana; 2: Castel del Giudice; 3: Sant’Angelo del Pesco; 4:<br />

Pescopennataro; 5: Capracotta; 6: Belmonte del Sannio; 7: Agnone; 8: Vastogirardi; 9: Carovilli; 10: Castelverrino; 11:<br />

Pietrabbondante; 12: Poggio Sannita<br />

10 11<br />

1<br />

2<br />

8<br />

3 4<br />

5<br />

9<br />

6<br />

7<br />

10 12<br />

11<br />

descrittivo, esistono alcune suggestioni interpretative,<br />

come quella relativa al gruppo Paleolitico<br />

superiore del complesso RV1: la sua<br />

composizione tecnologica sembra ricondurre<br />

al modello dell’officina litica, come suggerito<br />

dal fatto che il complesso è quasi esclusivamente<br />

composto da nuclei, prenuclei e prodotti<br />

tecnici o scarti, mancando invece i supporti<br />

d’uso (schegge, lame, strumenti).<br />

Capracotta<br />

Si deve a B. Paglione la raccolta di una discreta<br />

quantità di manufatti litici in località Morrone,<br />

nel comune di Capracotta, in un’area di pa


scolo di ca. 800 mq posta a quota 1300 m s.l.m.<br />

La collezione, che ammonta ad un totale di 160<br />

elementi, rappresenta la prima testimonianza,<br />

in Molise, di un’occupazione musteriana d’alta<br />

quota. Le analisi condotte nel 2006 hanno fornito<br />

spunti significativi, in ragione soprattutto<br />

della perfetta omogeneità interna dell’insieme,<br />

univocamente riferibile al Paleolitico medio.<br />

L’industria è confezionata su selce locale,<br />

raccolta in forma di ciottoli fluviali. Le diffuse<br />

smussature da fluitazione presenti sul 70% dei<br />

pezzi suggeriscono vicende post-deposizionali<br />

di una certa importanza: l’accumulo sarebbe<br />

dovuto al trasporto operato dallo scorrimento<br />

delle acque superficiali, cui sembra associabile<br />

anche la profonda patina bianca che copre la<br />

totalità dei reperti.<br />

Carta della ricognizione del 2007 nel territorio di Pescopennataro<br />

centro urbano di Pescopennataro<br />

N<br />

alta<br />

medio-alta<br />

media<br />

medio-bassa<br />

bassa<br />

500 m<br />

corsi d’acqua<br />

strade<br />

limiti zonali di studio<br />

Prodotti e nuclei riportano a tecnologie di<br />

tipo Levallois o peu élaboré. Tra i nuclei non<br />

Levallois, si segnalano alcuni lavorati secondo<br />

uno schema unipolare a sfruttamento di volume,<br />

mirato all’ottenimento di supporti allungati,<br />

che ricordano in parte i nuclei sublaminari<br />

del Musteriano recente di Grotta Reali a<br />

Rocchetta a Volturno.<br />

Sebbene non si creda di poter usare le analisi<br />

statistiche dell’industria per ipotesi interpretative<br />

su funzione e utilizzo dell’insediamento,<br />

in ragione della selettività della raccolta e<br />

dell’assenza di contesto stratigrafico, il fatto<br />

che la catena operativa sia rappresentata in<br />

tutte le sue fasi rende proponibile il modello<br />

di base temporanea di produzione e utilizzo<br />

legata ad attività venatorie o di macellazione.<br />

Nuclei laminari provenienti da Pescopennataro, insieme RV1<br />

La sua composizione tecnologica fa pensare ad un’officina litica, ad un’area cioè di produzione più che di utilizzo<br />

dei manufatti. Sono infatti presenti quasi esclusivamente nuclei, prenuclei e sottoprodotti di lavorazione; è dunque<br />

verosimile che i gruppi umani, abbandonati sul posto i nuclei e gli scarti di lavorazione, portassero con sé i prodotti<br />

finiti, destinati all’uso (disegni: D. Mengoli)<br />

12 13<br />

2 cm


A.<br />

b.<br />

Vastogirardi<br />

Non lontano dalla piana di San Mauro, tracce<br />

di occupazioni paleolitiche sono presenti<br />

anche nel territorio di Vastogirardi (località<br />

Cerritelli), poco al di là del confine con i comuni<br />

di Carovilli e Agnone. Il contesto è intensamente<br />

disturbato da interventi antropici,<br />

tali da inficiare la comprensione delle dinamiche<br />

di accumulo e limitare la significatività<br />

dei rinvenimenti a un livello documentario.<br />

Il materiale qui recuperato (poco più di cento<br />

elementi) documenta frequentazioni del<br />

5 cm<br />

Paleolitico medio e superiore, ricalcando in<br />

parte le evidenze di San Mauro e Fontecurelli<br />

(infra). All’orizzonte più antico si associano<br />

essenzialmente prodotti Levallois, interessati<br />

da profonde alterazioni delle superfici (patine,<br />

pseudo-ritocchi, lustrature); all’orizzonte più<br />

recente, meno rappresentato, si riconducono<br />

alcune lame (perlopiù tecniche), in gran parte<br />

frammentate. La selce utilizzata è di provenienza<br />

locale e appartiene a tipi diversificati<br />

per orizzonte cronologico, sì da suggerire economie<br />

di approvvigionamento differenziate<br />

nel tempo.<br />

A sinistra:<br />

Schegge Levallois (A) e lame (B) da Vastogirardi,<br />

località Cerritelli. Dall’area provengono manufatti<br />

del Paleolitico medio e, in minor misura, del<br />

Paleolitico superiore<br />

(foto: M. Arzarello).<br />

Composizione tecnologica dell’insieme musteriano di Capracotta.<br />

Composizione tecnologica dell’insieme musteriano di Capracotta. Sono presenti tutte le fasi della catena<br />

operativa (dalla decorticazione del nucleo al suo abbandono). Nella fase di produzione venivano adottati,<br />

accanto al metodo Levallois, schemi di lavorazione a piani ortogonali<br />

Decorticazione<br />

Abbandono<br />

Pieno débitage<br />

14 15<br />

Carovilli<br />

Il territorio di Carovilli, insieme a quello di<br />

Pescopennataro, rappresenta oggi la maggiore<br />

fonte d’informazione per lo studio della preistoria<br />

alto-molisana, in ragione della considerevole<br />

quantità di materiale da esso restituito<br />

nel corso degli anni, che ammonta attualmente<br />

a diverse migliaia di reperti. Si tratta, nella<br />

totalità dei casi, di rinvenimenti fuori-contesto,<br />

provenienti da recuperi di superficie in<br />

larga parte dovuti alle passeggiate archeologiche<br />

di B. Paglione. L’area di maggiore densità è<br />

l’estesa piana di San Mauro (ca. 250.000 mq),<br />

ubicata sulla sinistra idrografica del Trigno,<br />

tra il Monte Pizzi e il Monte Ingotta, a quote<br />

oscillanti intorno ai 1000 m s.l.m. Si ricordano<br />

poi i ritrovamenti di Fontecurelli, località<br />

39%<br />

10%<br />

che fronteggia a NE l’altura Pesco La Croce<br />

(936 s.l.m.), e quelli, sporadici e più recenti,<br />

del complesso grotta-riparo di Cegna Ciffuni<br />

(noto anche il toponimo Cegni Ciffuni).<br />

Un primo riordino delle industrie litiche<br />

di Carovilli si deve a S. Grimaldi, che nel suo<br />

studio analizzò un campione di ca. 900 reperti<br />

provenienti da San Mauro, per la gran parte<br />

riferibili al Paleolitico medio, con rare tracce<br />

del Paleolitico superiore e isolati elementi più<br />

antichi (tra cui due bifacciali).<br />

In anni recenti nuove acquisizioni sono<br />

giunte dal progetto di sistemazione delle evidenze<br />

preistoriche molisane supervisionato<br />

da Carlo Peretto, grazie al quale si dispone<br />

oggi di dati significativi per gli insiemi di S.<br />

Mauro e Fontecurelli.<br />

Gli studi sino ad oggi condotti indicano, per<br />

l’area di S. Mauro, un’intensa antropizzazione<br />

durante il Paleolitico medio, considerato che il<br />

90% dell’industria litica analizzata (che comprende<br />

ca. 2700 elementi) è attribuibile a tale<br />

epoca. In seno alla componente musteriana, si<br />

evidenzia il predominio del metodo Levallois<br />

51%<br />

46%<br />

54%<br />

SSDA<br />

(A piani ortogonali)<br />

Levallois


2 cm<br />

bifacciale in selce dalla località Fontecurelli (Carovilli)<br />

Accanto alle prevalenti evidenze musteriane e alle rade tracce del Paleolitico superiore, nell’area sono<br />

documentate anche fasi di occupazione più antiche, cui sono da attribuire, tra l’altro, due bifacciali<br />

(disegno: D. Mengoli)<br />

2 cm<br />

(con una significativa incidenza delle punte);<br />

omogenei con tale orizzonte sono i pochi strumenti<br />

presenti (raschiatoi e denticolati). Sono<br />

tuttavia documentate anche frequentazioni<br />

più recenti (Paleolitico superiore, Neolitico),<br />

cui sono da riferire i pur pochi elementi che<br />

definiscono catene operative laminari (lame,<br />

lamelle, nuclei a lame e lamelle).<br />

Pur nell’impossibilità di seguire le dinamiche<br />

di occupazione e utilizzo dell’area nei<br />

diversi momenti, è verosimile che in tutte le<br />

fasi l’economia di approvvigionamento abbia<br />

seguito rotte locali, giacché le materie prime<br />

utilizzate sembrano rapportabili agli affioramenti<br />

selciferi noti nell’area.<br />

Anche l’area di Fontecurelli è stata interessata<br />

da frequentazioni successive nel corso del<br />

Paleolitico. Come per San Mauro, a fronte di<br />

rade tracce riferibili al Paleolitico superiore-<br />

Neolitico (una decina tra lame e nuclei), la<br />

gran parte dell’insieme litico qui rinvenuto<br />

(comprendente 137 manufatti) è da attribuire<br />

al Paleolitico inferiore-medio. La tecnologia<br />

adottata ricalca in parte quella descritta per<br />

l’industria di S. Mauro, con una prevalente<br />

incidenza dei prodotti Levallois, cui si affiancano,<br />

questa volta, non pochi supporti provenienti<br />

da catene operative discoidi.<br />

Si segnala infine la presenza, nell’insieme, di<br />

due bifacciali, ambedue confezionati su lastri-<br />

ne di selce brecciata di provenienza locale.<br />

Nel 2005, nell’ambito del ricordato progetto<br />

dell’Università di Ferrara, è stata condotta<br />

una prospezione (che ha previsto anche due<br />

saggi di scavo) in località Cegna Ciffuni, che<br />

in passato aveva restituito alcuni reperti preprotostorici,<br />

provenienti dall’interno della<br />

grotta omonima e dall’area prospiciente il riparo<br />

sotto roccia ad essa annesso. Le indagini,<br />

che hanno svelato un contesto turbato e tendenzialmente<br />

sterile, hanno restituito solo una<br />

manciata di materiali, quasi esclusivamente<br />

ceramici.<br />

Accanto ad alcuni elementi di ceramica a<br />

pareti sottili di età imperiale e a una maiolica<br />

arcaica, si segnalano due reperti dell’età del<br />

Bronzo: si tratta di una parete in ceramica appenninica<br />

e di un frammento di scodella carenata<br />

d’impasto.<br />

Nell’altra pagina:<br />

Industria Levallois proveniente dalla piana di San<br />

Mauro (Carovilli). Il materiale qui recuperato<br />

testimonia un’intensa frequentazione dell’area nel<br />

corso del Paleolitico medio<br />

In alto:<br />

Cegna Ciffuni (Carovilli): frammento di ceramica<br />

appenninica con decorazione a bande marginate<br />

incise campite a punteggio, convergenti a festoni,<br />

rinvenuto presso il riparo annesso alla grotta<br />

(da Terzani, 2006)<br />

16 17


Osservazioni generali<br />

In anni recenti, il riesame delle evidenze preistoriche<br />

dell’alto Molise, in parte già note da<br />

più di un cinquantennio ma solo oggi riordinate<br />

in una sintesi organica, ha aggiunto nuove<br />

tessere al mosaico dell’antico popolamento<br />

della regione, sino a ieri esclusivamente legato<br />

al focale giacimento di Isernia La Pineta (cui si<br />

sono affiancati, negli ultimi anni, gli importanti<br />

ritrovamenti di Colle delle Api e Grotta Reali).<br />

Sebbene le collezioni di Pescopennataro, Capracotta,<br />

Vastogirardi e Carovilli provengano<br />

essenzialmente da raccolte di superficie, non<br />

definenti contesti archeologici sensu stricto,<br />

esse rappresentano una valida testimonianza<br />

delle intense e ripetute frequentazioni che<br />

hanno interessato quest’area nel corso delle diverse<br />

fasi del Paleolitico (più saltuarie le tracce<br />

riferibili a orizzonti olocenici), tale da ampliare<br />

il quadro cronologico di riferimento per lo studio<br />

della preistoria del territorio di Isernia.<br />

In queste pagine:<br />

La grotta e il riparo sottoroccia di Cegna Ciffuni<br />

(Carovilli). Nel corso di prospezioni sono stati<br />

rinvenuti, nell’area prospiciente il riparo, alcuni<br />

frammenti di ceramica dell’età del Bronzo<br />

bibliografia<br />

Arzarello M. (2006): Vastogirardi (V). Cap.<br />

4.3.2 - Le industrie litiche. In: Peretto C., Minelli<br />

A. (a cura di), Preistoria in Molise. Gli insediamenti<br />

del territorio di Isernia. CERP, Collana<br />

Ricerche 3, Aracne Editrice, Roma, 325-328.<br />

Arzarello M. & Rufo E. (2006): Capracotta. Cap.<br />

4.5.2 - L’insieme litico: osservazioni preliminari.<br />

In: Peretto C., Minelli A. (a cura di), cit., 351-355.<br />

Arzarello M., Di Nucci A., Lembo G., Minelli A.,<br />

Nuvoli P., Paglione B., Rufo E., Thun Hohenstein<br />

U., Peretto C. (in stampa): From research to<br />

dissemination: interventions for the valorisation<br />

and dissemination of prehistoric evidences of<br />

the Isernia province (Molise, Italy): the Project<br />

LEADERPLUS-MOLI.G.A.L. Acts of the XV Congress<br />

of the International Union of Prehistoric<br />

and Protohistoric Sciences (Lisboa, 4-9 Settembre<br />

2006).<br />

Grimaldi S. (a cura di) (2005): Nuove ricerche<br />

sul Paleolitico del Molise. Materie prime,<br />

industrie litiche, insediamenti. CERP, Collana<br />

Ricerche, 2, Isernia.<br />

Radmilli A. M. (1965): Abruzzo Preistorico. Il<br />

Paleolitico inferiore-medio abruzzese. Sansoni<br />

Editore, Firenze.<br />

Radmilli A. M. (1977): Storia dell’Abruzzo dalle<br />

origini all’Età del Bronzo. Giardini Editori e Stampatori,<br />

Pisa.<br />

Rufo E. (2006): Pescopennataro: Rio Verde e<br />

Laghi dell’Anitra (RV, RV1, RV2, RV3). Cap. 4.1.2a<br />

- L’insieme litico di Rio Verde-RV. In: Peretto C.,<br />

Minelli A. (a cura di), cit., 253-271.<br />

Rufo E. & Paglione B. (2006b): Carovilli: località<br />

San Mauro e località Fonte Curello (C3). Cap.<br />

4.2.2b - L’insieme litico di località Fonte Curello.<br />

In: Peretto C., Minelli A. (a cura di), cit., 305-323.<br />

Terzani C. (2006): I risultati delle attività di<br />

ricognizione nell’alto Molise. Cap. 5.2 – I ritrovamenti<br />

ceramici. In: Peretto C., Minelli A. (a cura<br />

di), cit., 359-369.<br />

Ucelli Gnesutta P. (1985): L’industria litica di<br />

Pescopennataro (Isernia). Rassegna di Archeologia,<br />

5: 9-48.<br />

18 19


SITI DELL’ETÀ<br />

DEL BRONZO NEL<br />

MOLISE INTERNO<br />

Località Paradiso a Monteroduni (IS) e<br />

Rocca di Oratino (CB)<br />

Alberto Cazzella*, Valentina Copat*, Michela Danesi*, Alessandro De Dominicis*,<br />

Giulia Recchia**, Cristiana Ruggini*<br />

* Università di Roma “La Sapienza” – ** Università di Foggia<br />

Veduta della Rocca di Oratino<br />

(foto: G. Lembo)<br />

L<br />

e ricerche archeologiche in due siti interni del Molise<br />

riferibili all’età del bronzo, condotte negli ultimi anni<br />

dalla cattedra di Paletnologia dell’Università La sapienza<br />

di Roma, in collaborazione con l’Università di Foggia, hanno<br />

consentito di ottenere dati significativi su un’area ancora poco<br />

conosciuta relativamente a questo periodo.


La Soprintendenza per i Beni Archeologici<br />

del Molise, che cogliamo l’occasione per ringraziare,<br />

ha sempre dimostrato la massima<br />

disponibilità, favorendo in tutti i modi lo svolgimento<br />

delle ricerche.<br />

Gli scavi effettuati a Monteroduni tra il 2002<br />

e il 2007, in località Paradiso, sono stati volti<br />

all’esplorazione di un’area di dimensioni ridotte<br />

posta subito al di sopra del corso del Volturno.<br />

L’abbondante scorrimento di acque, presumibilmente<br />

in relazione anche con condizioni<br />

climatiche e ambientali favorevoli, ha provocato<br />

la formazione di un consistente strato<br />

di travertino subito al di sopra delle tracce di<br />

occupazione attribuibili a un momento tardo<br />

dell’età del Bronzo, consentendone una buona<br />

conservazione, almeno laddove non è avvenuto<br />

il disturbo da parte dei lavori agricoli.<br />

In particolare è stata posta in luce un’ampia<br />

parte di una struttura di grandi dimensioni<br />

(circa 13x8 m), di forma tendenzialmente ovaleggiante,<br />

risalente al XII secolo a.C. La struttura,<br />

leggermente incavata nel travertino, è di<br />

difficile interpretazione: l’apparente assenza<br />

di buchi di palo perimetrali sembra escludere<br />

l’ipotesi di un edificio coperto, anche se la<br />

continua formazione del travertino può aver<br />

mascherato tali impronte. Il rinvenimento di<br />

alcuni grandi vasi per la conservazione di prodotti<br />

alimentari rotti sul posto sembra convalidare<br />

l’ipotesi di una struttura con copertura,<br />

rispetto a quella di un’area di lavorazione<br />

aperta. Le forme ceramiche rinvenute fanno<br />

dunque pensare ad attività sia di conservazione<br />

che di preparazione, cottura e consumo dei<br />

cibi. Non mancano frammenti di colini, forse<br />

connessi con la lavorazione dei derivati del<br />

latte. Sono presenti anche una piastra di cottura<br />

e un focolare con pianta a forma di ferro<br />

di cavallo.<br />

Tra i reperti più significativi si può ricordare<br />

un frammento di ceramica figulina tornita, dipinta<br />

con un motivo a spirale, che si ricollega<br />

con le produzioni di tipo miceneo, probabil-<br />

mente proveniente da qualche luogo di produzione<br />

dell’Italia meridionale, piuttosto che<br />

direttamente da un centro egeo. Tale rinvenimento<br />

si ricollega con la messa in luce di diversi<br />

frammenti di grandi contenitori ceramici<br />

al di fuori della struttura, ma non lontano da<br />

essa, che a loro volta fanno pensare a tecniche<br />

di tipo egeo che si affermano in Italia in quel<br />

periodo. In questo caso, però, date le grandi dimensioni,<br />

i contenitori ceramici devono essere<br />

stati prodotti sul posto. Non sappiamo con<br />

precisione quale tipo di prodotti contenessero<br />

ma, in base a confronti con situazioni simili, si<br />

può pensare ai cereali o all’olio di oliva.<br />

Dunque, anche se sembra trattarsi di un insediamento<br />

di piccole dimensioni, posto in<br />

un’area molto interna, il nucleo umano che vi<br />

risiedeva era in grado di ottenere beni di tipo<br />

esotico e di acquisire tecniche di lavorazione<br />

della ceramica e modalità di conservazione dei<br />

prodotti introdotti nell’Italia meridionale dai<br />

contatti con i navigatori egei. Questo fa ipotiz-<br />

In alto:<br />

Monteroduni (loc. Paradiso).<br />

Collocazione topografica del sito.<br />

22 23


Monteroduni (loc. Paradiso)<br />

Planimetria relativa al livello antropico superiore con evidenziati i resti strutturali e la distribuzione dei materiali<br />

archeologici messi in luce.<br />

zare che le piccole comunità delle aree interne<br />

avessero una capacità economica più elevata<br />

di quanto in genere non si pensi, probabilmente<br />

connessa all’allevamento e ai prodotti che si<br />

ricavavano dagli animali. Inoltre, pur essendo<br />

presumibilmente prive di forme interne<br />

di stratificazione sociale in rapporto alla loro<br />

bassa entità demografica, esse avevano esigenze<br />

di conservazione di una certa quantità di<br />

prodotti agricoli, senza che questo implicasse<br />

forme di centralizzazione e redistribuzione.<br />

Saggi in profondità, effettuati nel medesimo<br />

sito al disotto di un ulteriore strato di travertino,<br />

hanno consentito di individuare un livello<br />

più antico che, privo di elementi strutturali<br />

riconoscibili, ha restituito manufatti in pietra<br />

scheggiata e materiali ceramici molto frammentari<br />

che coprono l’intero arco temporale<br />

dell’età del Bronzo. Il fenomeno sembra da<br />

interpretare in relazione a una situazione di<br />

moderato trascinamento dei manufatti stessi<br />

a opera dello scorrimento delle acque superficiali<br />

che in quest’area confluivano. Non si<br />

avrebbero, quindi, testimonianze in situ di un<br />

più antico insediamento durato per più fasi<br />

dell’età del Bronzo; tuttavia il rinvenimento è<br />

comunque di notevole interesse in quanto l’insieme<br />

dei reperti rinvenuti sembra attestare la<br />

frequentazione dell’area per circa mille anni, a<br />

partire dalla fine del III millennio.<br />

Gli scavi nell’insediamento dell’età del<br />

Bronzo della Rocca di Oratino sono iniziati<br />

due anni dopo quelli di Monteroduni e sono<br />

tuttora in corso. Il sito preistorico, individuato<br />

diversi anni fa da un saggio condotto dal prof.<br />

G. De Benedittis, è in parte interessato da presenze<br />

successive, di età classica e medievale.<br />

Nell’area prescelta per lo scavo, posta alla base<br />

meridionale dell’emergenza naturale su cui<br />

sorge la Rocca medievale, tali presenze sono<br />

marginali ed è stato quindi possibile esplorare<br />

l’insediamento dell’età del Bronzo su una superficie<br />

relativamente ampia. Il deposito archeologico,<br />

di cui non si è ancora raggiunta la<br />

In questa pagina, dall’alto:<br />

Monteroduni (loc. Paradiso): ceramica figulina,<br />

tornita e dipinta di ispirazione egea, rinvenuta nei<br />

livelli antropici superiori;<br />

Monteroduni (loc. Paradiso): grandi olle rotte in<br />

posto rinvenute nei livelli antropici superiori<br />

24 25<br />

2 cm


1.<br />

2.<br />

base, ha un consistente spessore. I livelli finora<br />

esplorati sembrano comunque tutti riferibili<br />

a un momento avanzato del Bronzo Recente<br />

(indicativamente XII secolo a.C., contemporanei<br />

quindi alla struttura di Monteroduni<br />

– loc. Paradiso), benché siano stati rinvenuti<br />

anche materiali che fanno ipotizzare un inizio<br />

precedente di occupazione del sito sempre<br />

nell’ambito dell’età del Bronzo. Sembra quindi<br />

che l’insediamento abbia avuto una lunga durata<br />

o sia stato interessato da episodi ripetuti<br />

di occupazione, probabilmente connessi alla<br />

posizione particolare del luogo, che domina<br />

il corso del Biferno. Si auspica che la prosecuzione<br />

degli scavi possa consentire di chiarire<br />

questo punto.<br />

I livelli superiori sono interessati dalla presenza<br />

di diverse piastre di cottura, più volte rifatte<br />

nello stesso punto. Si può quindi pensare<br />

che, nel momento più recente di vita dell’insediamento,<br />

l’area oggetto di indagine fosse destinata<br />

ad attività collettive: l’analisi funzionale<br />

dei manufatti ceramici rinvenuti e lo studio<br />

dei resti archeozoologici e paleobotanici ha<br />

infatti permesso di ricostruire le attività domestiche<br />

all’aperto qui praticate, quale la pre-<br />

In alto:<br />

Dolii in ceramica di impasto di ispirazione egea.<br />

parazione, la trasformazione ed il consumo individuale<br />

e collettivo di vari generi di sostanze<br />

alimentari. Abbondanti sono i reperti vegetali,<br />

sia sotto forma di semi che di carboni, e le<br />

ossa di animali. Frumento, farro e orzo (forse<br />

utilizzato per ottenere la birra) sono i cereali<br />

maggiormente documentati, mentre tra i legumi,<br />

attestati in misura minore (forse per il<br />

diverso tipo di trattamento), predomina la favetta.<br />

Sono presenti anche alcuni semi di Vitis<br />

vinifera. Tra i reperti antracologici prevalgono<br />

quelli di querce caducifoglie, presumibilmente<br />

legati all’uso del relativo legno come<br />

combustibile. Tra i resti di animali domestici<br />

sembrano prevalere quelli dei caprovini, che<br />

raggiungono circa il 35% del campione, seguiti<br />

dai suini e dai bovini, che si collocano poco al<br />

di sotto del 20%. La diversa resa in carne di<br />

queste specie ovviamente modifica il reale apporto<br />

alimentare, dove i bovini divengono nettamente<br />

prevalenti. Una certa incidenza ha la<br />

caccia (circa il 27% dei resti ossei), nel cui ambito<br />

predomina il cervo, seguito dal cinghiale.<br />

Oratino – La Rocca<br />

Materiali ceramici dai livelli dell’età del Bronzo<br />

26 27


Oratino – La Rocca<br />

Esempio di distribuzione spaziale e analisi funzionale dei manufatti per uno dei piani di frequentazione legati ad<br />

attività di preparazione/trasformazione e consumo del cibo.<br />

In basso:<br />

Oratino – La Rocca.<br />

Collocazione topografica del sito.<br />

La selezione delle parti scheletriche attestate<br />

fa ritenere che si svolgesse lì anche la macellazione<br />

degli animali. Si hanno anche tracce di<br />

lavorazione sul posto del corno di cervo.<br />

Tali livelli coprono due piccole strutture<br />

ovali scavate in profondità nel banco argilloso<br />

(struttura 1 e struttura 2), due strutture<br />

murarie di grandi dimensioni (struttura 4 e<br />

struttura 5), in pietrame a secco, realizzate<br />

in due momenti successivi, il riempimento di<br />

un’ampia depressione artificiale (struttura 3)<br />

e parte di quella che sembra essere una strut-<br />

tura a tumulo (struttura 6). Quest’ultima è stata<br />

individuata nell’ultima campagna di scavo<br />

e dovrà essere meglio definita. La funzione<br />

delle strutture murarie citate è anch’essa da<br />

definire: tra le ipotesi più probabili quella che<br />

si tratti di opere di terrazzamento oppure di<br />

fortificazione. Resta infine sostanzialmente<br />

da scavare tutta la depressione artificiale, che<br />

sembra avere una forma ovaleggiante e dimensioni<br />

leggermente inferiori rispetto a quella di<br />

Monteroduni, ma una profondità sicuramente<br />

maggiore. Essa potrebbe essere stata destinata<br />

ad attività di combustione, data la notevole<br />

presenza di lembi di terreno bruciato e concotto<br />

nella porzione già messa in luce. È presumibile<br />

che sia stata realizzata in una fase<br />

28 29


Oratino – La Rocca<br />

Pianta dell’area di scavo con l’indicazione delle strutture citate nel testo.<br />

precedente il Bronzo Recente, ma i problemi<br />

connessi sia con l’aspetto cronologico che con<br />

quello della sua funzione originaria, potranno<br />

essere affrontati e chiariti solo dopo che sarà<br />

stata interamente messa in luce.<br />

I due siti esplorati, soprattutto per quel che<br />

riguarda la fase attualmente meglio documentata<br />

per entrambi (un momento avanzato del<br />

Bronzo Recente, XII secolo a.C.), mostrano<br />

numerose affinità nelle produzioni ceramiche<br />

ed è quindi probabile che i contatti tra le due<br />

aree interne (l’alta valle del Volturno e l’alta<br />

valle del Biferno) fossero piuttosto stretti. A<br />

bibliografia<br />

Bettelli M. (2006): Un frammento di ceramica micenea da Monteroduni. Atti del 26° Convegno Nazionale<br />

sulla Preistoria Protostoria e Storia della Daunia, San Severo, 2005, Centro Grafico Francescano, Foggia, 189-<br />

194.<br />

Buglione A. & De Venuto G. (2008): Analisi preliminare del campione faunistico dal sito dell’età del Bronzo di<br />

Oratino (CB), loc. La Rocca. Atti del 28° Convegno Nazionale sulla Preistoria Protostoria e Storia della Daunia,<br />

San Severo, 2007, Centro Grafico Francescano, Foggia, 299-310.<br />

Cazzella A., Copat V. & Danesi M. (2007): Il sito dell’età del Bronzo recente di Oratino<br />

La Rocca (CB). Rivista di Scienze Preistoriche, LVII: 277-310.<br />

loro volta gli elementi stilistici documentati si<br />

ricollegano anche con contesti dell’Abruzzo,<br />

della Puglia settentrionale, del Lazio e presumibilmente<br />

della Campania settentrionale (i<br />

dati sono attualmente scarsi per questo periodo<br />

in tale area).<br />

Il fenomeno si collega probabilmente sia<br />

con forme di spostamento stagionale di caprovini<br />

e bovini su breve distanza (il cui scopo era<br />

sfruttare le differenze altimetriche), sia con<br />

attività di scambio, grazie alle quali, come si è<br />

visto, le comunità dell’interno non risultavano<br />

del tutto isolate.<br />

Cazzella A., Copat V., Danesi M. & Recchia G. (2007): Nuovi dati sull’età del Bronzo nella valle del Biferno: il<br />

sito della Rocca di Oratino (CB). Conoscenze. Rivista Semestrale della Direzione Regionale per i Beni Culturali<br />

e Paesaggistici del Molise, 2005 (1/2): 21-34.<br />

Cazzella A., De Dominicis A. & Ruggini C. (2008): Recenti scavi nell’insediamento dell’età del Bronzo di Monteroduni<br />

(località Paradiso). Atti del 28° Convegno Nazionale sulla Preistoria Protostoria e Storia della Daunia,<br />

San Severo, 2007, Centro Grafico Francescano, Foggia, 239-250.<br />

Cazzella A., De Dominicis A., Recchia G. & Ruggini C. (2005): Il sito dell’età del Bronzo recente di Monteroduni<br />

– Paradiso (IS). Rivista di Scienze Preistoriche, LV: 384-438.<br />

Cazzella A., De Dominicis A., Recchia G. & Ruggini C. (2007): Elementi di ispirazione egea dai livelli della tarda<br />

età del Bronzo del sito di Monteroduni – loc. Paradiso (IS). Conoscenze. Rivista Semestrale della Direzione<br />

Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Molise, 2005 (1/2): 35-44.<br />

D’Oronzo C. & Fiorentino G. (2008): Le analisi archeobotaniche nel sito dell’età del Bronzo di Oratino (CB)<br />

loc. La Rocca: implicazioni paleo-economiche, paleoecologiche e modalità di funzionamento delle strutture<br />

pirotecniche. Atti del 28° Convegno Nazionale sulla Preistoria Protostoria e Storia della Daunia, San Severo,<br />

2007, Centro Grafico Francescano, Foggia, 275-298.<br />

Recchia G., Copat V. & Danesi M. (2008): L’uso dello spazio nell’insediamento subappenninico di Oratino:<br />

nota preliminare. Atti del 28° Convegno Nazionale sulla Preistoria Protostoria e Storia della Daunia, San Severo,<br />

2007, Centro Grafico Francescano, Foggia, 251-274.<br />

Recchia G., De Dominicis A. & Ruggini C. (2006): Monteroduni – loc. Paradiso (IS): nuovi dati sull’occupazione<br />

del sito. Atti del 26° Convegno Nazionale sulla Preistoria Protostoria e Storia della Daunia, San Severo, 2005,<br />

Centro Grafico Francescano, Foggia, 171-188.<br />

30 31


<strong>PIETRABBONDANTE</strong>:<br />

la domus publica del santuario<br />

Veduta del teatro dalla cavea<br />

di Adriano La Regina - Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte - Roma<br />

C<br />

on la campagna di scavo eseguita a Pietrabbondante nel 2009<br />

si è riportata in luce nella sua interezza la grande costruzione<br />

adiacente al complesso monumentale del tempio con il teatro.<br />

32 33


Fin dal momento della scoperta, avvenuta<br />

nel 2002 con un saggio che individuò l’impluvio,<br />

si comprese che l’edificio, una casa ad<br />

atrio, poteva essere la domus publica del luogo<br />

sacro. La prosecuzione delle ricerche rivelò<br />

che la casa, costruita verso la fine del II secolo<br />

a. C. e quindi contemporanea al tempio, riproduceva<br />

solamente in parte il modello della<br />

residenza aristocratica romano-italica d’età<br />

repubblicana, al punto da rappresentare una<br />

tipologia del tutto originale, incompatibile con<br />

una destinazione privata. Le indagini archeologiche<br />

di Pietrabbondante ci restituiscono<br />

così il primo esempio di domus publica chiaramente<br />

riconoscibile, documentandone le peculiarità<br />

architettoniche e funzionali.<br />

L’edificio occupa gran parte di una terrazza,<br />

lunga circa 110 metri, che si estende sul versante<br />

occidentale del santuario con il quale<br />

comunica attraverso un’apertura nel muro di<br />

recinzione. L’area della terrazza è delimitata a<br />

monte dal declivio su cui è ricavata e sul lato<br />

esterno da un muro in grossi blocchi di pietra<br />

costruito per il contenimento del terreno. La<br />

domus ha un’ampiezza complessiva di quasi<br />

70 metri, e una superficie di circa 1260 metri<br />

quadrati; se si considerano anche le pertinenze<br />

esterne, cioè gli alloggi per gli schiavi e le<br />

aree non coperte, la superficie complessiva è di<br />

3140 metri quadrati. Nella parte posteriore la<br />

casa è dotata di un portico a due navate in luogo<br />

del peristilio, il portico quadrangolare che<br />

nelle dimore lussuose racchiude il giardino<br />

privato. Tra il muro di recinzione del tempio<br />

e la parete frontale della casa vi era uno spazio<br />

libero di oltre 33 metri. La parte residenziale<br />

dell’edificio segue lo schema canonico della<br />

casa con atrio, alae e tablino. Contrapposta<br />

al tablino è una grande aula fiancheggiata da<br />

ambienti con essa funzionalmente collegati.<br />

I servizi di cucina occupavano tre ambienti<br />

dell’annesso portico e una stanza di passaggio<br />

ove venivano sistemate le vivande pronte per<br />

essere servite nella grande aula. La cucina si<br />

apriva anche sulla navata esterna del portico.<br />

Tra la casa ed il retrostante muro di contenimento<br />

del terreno verso la montagna vi erano<br />

gli alloggi per gli schiavi, una serie di celle qua-<br />

In alto:<br />

Tempio e teatro; sulla sinistra la domus publica<br />

(foto L. Scaroina)<br />

34 35


drangolari dotate di focolari. Il rifornimento<br />

idrico era assicurato da una sorgente, a monte<br />

dell’edificio, da cui l’acqua fluiva attraverso un<br />

fosso tuttora esistente, anticamente regolato<br />

in modo da fornire alla casa acqua corrente e<br />

da consentire la formazione di riserve in una<br />

cisterna per i periodi di siccità.<br />

Le novità sotto il profilo della tipologia edilizia<br />

sono dunque due, e riguardano entrambe la<br />

parte posteriore dell’edificio: l’una è costituita<br />

dal portico rettilineo, il cui colonnato si apriva<br />

su un’area pubblica, laddove nelle domus private<br />

si trovava il giardino chiuso; l’altra novità<br />

consiste nell’ampia aula prospiciente l’area su<br />

cui si affacciava anche il portico. Le funzioni<br />

a cui erano destinati questi spazi rivelano<br />

il carattere pubblico e sacrale dell’edificio. Il<br />

portico era infatti usato per lo svolgimento di<br />

attività religiose, come dimostra la presenza<br />

di altari, dediche e doni votivi nella navata interna;<br />

questa comprendeva anche un piccolo<br />

ambiente dedicato al culto di una divinità, il<br />

sacrarium di Ops Consiva, di cui è stata trovata<br />

la dedica all’interno del portico. Questo aveva<br />

lungo il muro una serie di banconi a due gra-<br />

doni per l’esposizione di oggetti depositati ex<br />

voto; aveva infine ambienti chiusi per la custodia<br />

di cose preziose e la cucina per la preparazione<br />

di banchetti che si tenevano sia nella<br />

casa, e in particolare nella grande aula, sia nel<br />

portico. Un allineamento di cinque colonne divideva<br />

la navata interna del portico da quella<br />

esterna; quest’ultima si apriva sullo spazio antistante<br />

attraverso un colonnato che occupava<br />

la sua intera estensione; al posto della colonna<br />

centrale vi era tuttavia un pozzo rituale, non<br />

ancora esplorato.<br />

L’aula rettangolare retrostante il tablino<br />

doveva essere una curia, cioè l’ambiente destinato<br />

alle attività di un collegio sacerdotale<br />

ed ai relativi conviti rituali che si tenevano nei<br />

giorni di festa. Sappiamo da Varrone che vi<br />

erano due generi di curie: nelle une i sacerdoti<br />

si occupavano di questioni divine, nelle altre<br />

il senato di affari umani. D’altronde il senato,<br />

quando era convocato nel santuario di Pietrabbondante,<br />

aveva come luogo di assemblea<br />

plenaria il teatro. La connessione con il tempio<br />

rivela infatti non solo la sacralità dell’edificio,<br />

ma anche il suo impiego come sede di riunio-<br />

A sinistra:<br />

Teatro e tempio retrostante; sullo sfondo la vetta<br />

fortificata del Monte Saraceno;<br />

In basso:<br />

Domus publica: oggetti votivi nella navata interna<br />

del portico<br />

ni ufficiali del senato. La parte inferiore della<br />

cavea non ha in effetti una vera e propria proedria,<br />

la prima fila di sedili destinati a magistrati<br />

e sacerdoti, come di solito avveniva nei teatri<br />

adibiti solo ad usi scenici, ma è costituita da<br />

ben tre ordini di sedili con spalliera riservati a<br />

personaggi del medesimo rango, complessivamente<br />

per circa 160-180 posti. Il senato poteva<br />

riunirsi solamente in luoghi “inaugurati”, costituiti<br />

come templa mediante la pratica della<br />

disciplina augurale. D’altra parte ogni luogo<br />

inaugurato poteva ospitare attività del senato.<br />

Quando questo operava per commissioni si riuniva<br />

all’interno di edifici sacri, ed è da supporre<br />

che anche a quest’uso fossero adibite le<br />

celle del tempio collegato al teatro. La grande<br />

aula retrostante il tablino nella domus di Pietrabbondante<br />

costituisce il primo esempio di<br />

curia sacerdotale. Non sono infatti identificate<br />

la curia Acculeia, la curia Calabra e la curia<br />

Saliorum di Roma; è possibile che la prima di<br />

queste si trovasse alle pendici del Palatino,<br />

verso il Foro, nel sito poi occupato dall’oratorio<br />

dei Quaranta Martiri, di cui non conosciamo<br />

comunque l’aspetto di epoca repubblicana.<br />

La domus poteva costituire la sede del sommo<br />

magistrato dello stato sannitico nelle occasioni<br />

in cui egli esercitava sul posto le proprie<br />

funzioni pubbliche. Questi era il meddís<br />

túvtíks, magistrato annuale, unico, che deteneva<br />

i più elevati poteri pubblici, giurisdizionali<br />

36 37


e militari, e che rappresentava il popolo negli<br />

atti con la divinità, come è dimostrato dalla dedicatio<br />

del tempio minore di Pietrabbondante.<br />

Il meddís túvtíks, che i Romani designavano<br />

con il nome di meddix tuticus, era dotato di<br />

imperium e poteva essere acclamato embratur,<br />

imperator, acquisendo così il diritto di esercitare<br />

il trionfo, come i comandanti dell’esercito<br />

romano. Egli aveva la facoltà di convocare<br />

il senato per proporre deliberazioni di spesa<br />

pubblica, di cui era esecutore; poteva inoltre<br />

affidare autonomamente opere pubbliche e<br />

collaudarle. Il meddix tuticus era infine il magistrato<br />

che con il proprio nome consentiva di<br />

individuare l’anno in cui aveva tenuto la carica,<br />

così che l’elenco dei meddices tutici che si<br />

erano succeduti nel corso del tempo costituiva<br />

la cronologia ufficiale dello stato, proprio<br />

come avveniva a Roma con i fasti consolari.<br />

Per avere la certezza che la domus fosse anche<br />

la sede temporanea del meddix tuticus, come<br />

è probabile, saranno tuttavia necessarie altre<br />

indagini nelle aree ancora inesplorate tra i due<br />

templi. La presenza del meddix tuticus a Pietrabbondante<br />

è comunque attestata da buona<br />

parte delle iscrizioni in lingua osca ivi rinvenute.<br />

Fino a questo momento non vi è peraltro<br />

documentata la presenza di altre cariche pubbliche<br />

per l’affidamento e l’approvazione di<br />

attività edilizie o in dediche religiose, se non,<br />

forse, quella di due comandanti che depongono<br />

insieme un dono alla Vittoria durante la<br />

guerra sociale.<br />

La domus publica di Roma, presso il Foro,<br />

è nota dalle fonti ma è appena identificabile<br />

nella sua posizione e comunque non è riconoscibile<br />

nei suoi aspetti architettonici, attestati<br />

solamente da lacerti murari. Fu creata in età<br />

repubblicana per sostituire in parte la domus<br />

regia e divenne la sede del pontefice massimo<br />

fino all’epoca di Augusto. Importanti funzioni<br />

pubbliche non espletabili al centro della città<br />

per l’esigenza di grandi spazi erano attribuite<br />

alla villa publica, di cui abbiamo una bella de-<br />

A sinistra:<br />

Domus publica: pavimento della prima fase<br />

scrizione in Varrone, edificata nell’anno 435<br />

a. C. fuori del pomerio nel Campo Marzio. Vi<br />

si tenevano le operazioni di censimento, della<br />

leva militare e dell’ispezione delle armi. Censori<br />

e consoli se ne servivano quindi in queste<br />

particolari occasioni; inoltre vi alloggiavano i<br />

comandanti prima del trionfo e gli ambasciatori<br />

stranieri. Le funzioni relative alla sfera religiosa<br />

a cui era destinata a Roma la domus publica,<br />

e parte di quelle rimaste nell’antica reggia,<br />

la domus regia, a Pietrabbondante erano<br />

demandate all’edificio adiacente al santuario.<br />

Nella regia di Roma erano ospitati i sacraria<br />

di Marte e di Ops Consiva, proprio come nella<br />

domus di Pietrabbondante vi è il sacrarium di<br />

Ops Consiva. Abbiamo così anche un concreto<br />

esempio di cosa fosse in realtà un sacrarium.<br />

I caratteri dell’edificio che consentono di<br />

riconoscere la sua destinazione pubblica e<br />

sacrale sono in primo luogo il portico contenente<br />

gli altari, i doni votivi ed il sacrarium,<br />

poi la connessione diretta con il tempio e il<br />

teatro, in un rapporto non diverso da quello<br />

della domus publica di Roma con il santuario<br />

di Vesta, e infine la presenza della grande aula<br />

santuario e Domus publica<br />

a) Santuario e domus publica (elaborazione grafica: P. Iadisernia e D. Quaranta, 2009)<br />

b) Domus publica, schema planimetrico (elaborazione grafica: P. Iadisernia e D. Quaranta, 2009)<br />

a.<br />

38 39<br />

b.


prospiciente l’area pubblica su cui si attestava<br />

anche il portico. Conosciamo la definizione di<br />

domus publica in lingua osca, documentata a<br />

Pompei. Un’iscrizione dipinta sul muro esterno<br />

di una casa dava agli abitanti di quella parte<br />

della città indicazioni sul luogo di raduno per<br />

la difesa delle mura durante la guerra sociale:<br />

‘alla casa pubblica presso il tempio di Minerva’.<br />

La domus publica compare in caso ablativo<br />

come tríbud túv(tikad). Prima della scoperta<br />

di Pietrabbondante la definizione attestata a<br />

Pompei<br />

Individuazione della domus publica di Pompei sulla pianta di H. Eschenbach, 1970.<br />

Pompei era intesa nel senso generico di ‘edificio<br />

pubblico’ ed era riferita ad una tipologia<br />

del tutto diversa da quella della casa ad atrio.<br />

L’edificio era stato infatti variamente identificato,<br />

per esempio anche con la ‘Palestra sannitica’,<br />

senza immaginare alcun collegamento<br />

con una funzione specifica analoga a quella<br />

della domus publica del Foro a Roma. Ora possiamo<br />

identificare la domus publica di Pompei<br />

con la Casa dell’Imperatore Giuseppe II, o<br />

Casa di Fusco, un edificio di età repubblicana<br />

che si trova a cavallo delle mura della città ed<br />

a ridosso del santuario di Minerva, il cosiddetto<br />

Foro triangolare. Peraltro anche a Pietrabbondante<br />

un’iscrizione mutila contiene il termine<br />

trííb[...], in cui si può forse riconoscere<br />

un riferimento proprio alla domus publica. Le<br />

ripercussioni della scoperta di Pietrabbondante<br />

vanno però anche oltre: consentono ad<br />

esempio di dimostrare che la casa rinvenuta<br />

nell’area dell’Auditorio, a Roma presso la via<br />

Flaminia, non è una struttura privata sorta con<br />

finalità produttive in un’area agricola, come si<br />

è sostenuto finora, ma un edificio pubblico di<br />

carattere sacro. Doveva infatti essere sede di<br />

conviti rituali in occasione di festività religiose.<br />

Questa costruzione, che si evolve nel tempo<br />

secondo il modello della casa ad atrio, è dotata<br />

di un edificio di culto aperto verso l’esterno,<br />

e si trova in prossimità del nemus Annae Pe-<br />

In alto:<br />

Domus publica: sacrario nella navata interna del<br />

portico<br />

rennae, di cui può essere considerata una diretta<br />

pertinenza. Sulla base di questi risultati è<br />

quindi probabile che anche in altri santuari si<br />

possano ora riconoscere edifici di questo tipo<br />

destinati all’espletamento di funzioni connesse<br />

con il culto.<br />

La casa di Pietrabbondante perse la sua funzione<br />

originaria quando, dopo gli ultimi sviluppi<br />

della guerra sociale, il santuario cessò<br />

di essere sede di culto pubblico della nazione<br />

sannitica. L’intero complesso non presenta<br />

tuttavia tracce di devastazioni avvenute durante<br />

quel conflitto; sembra anzi che le strutture<br />

monumentali siano state rispettate e custodite,<br />

sia pure senza notevoli interventi di<br />

40 41


manutenzione, in attesa di determinazioni da<br />

parte della nuova amministrazione romana;<br />

sembra che anche le attività cultuali siano state<br />

mantenute per qualche tempo su scala locale,<br />

alla stregua dei santuari minori di interesse<br />

paganico. Le devastazioni sillane nel Sannio<br />

sono un’invenzione moderna, che non trova<br />

particolari riscontri archeologici negli edifici<br />

pubblici, nei santuari e nelle abitazioni, quali<br />

si trovano invece frequentemente per il periodo<br />

della guerra annibalica. Il luogo comune<br />

delle radicali distruzioni avvenute durante la<br />

guerra sociale ha origine dal fraintendimento<br />

delle notizie riguardanti la spietata condotta<br />

di Silla nei confronti dei suoi nemici, tra i quali<br />

vi era buona parte dell’aristocrazia e della forza<br />

militare sannitica. Migliaia di prigionieri<br />

furono giustiziati a Roma, nella villa publica<br />

dopo la battaglia di Porta Collina, e quelli che<br />

non erano stati catturati furono proscritti; ma<br />

questo non riguardò tutti i Sanniti. Proprio<br />

a Pietrabbondante, infatti, è documentata la<br />

presenza di Gaio Stazio Claro, noto da Appiano<br />

come Stazio Sannita, che aveva contribuito<br />

all’erezione del grande tempio, e che dopo aver<br />

aiutato gli insorti italici durante le prime fasi<br />

della guerra sociale passò dalla parte di Silla,<br />

che lo chiamò a far parte del senato romano.<br />

Il periodo di transizione, dopo la cessazione<br />

dello stato sannitico, deve essere durato a lungo,<br />

almeno cinquant’anni, ossia il tempo che fu<br />

necessario per la riorganizzazione dei territori<br />

immessi nello stato romano in tutta la penisola<br />

italiana dopo la guerra sociale, e per la costituzione<br />

dei municipi, che nel Sannio ebbe luogo<br />

nell’età di Cesare. Con la fine delle guerre civili,<br />

per fare fronte ai gravi problemi sociali e<br />

per favorire la concordia civile, si creò la pressante<br />

esigenza di assegnare terre ai veterani<br />

delle legioni di Augusto e di Antonio. In un<br />

momento posteriore alla battaglia di Azio un<br />

reduce alloggiò in uno degli ambienti del portico<br />

a sinistra del tempio di Pietrabbondante,<br />

nascondendovi un tesoretto di denari coniati<br />

A sinistra:<br />

Domus publica: impluvio<br />

(foto L. Scaroina)<br />

da Antonio per pagare le sue legioni. È questo<br />

il periodo in cui la domus viene in proprietà ai<br />

Socelli, ex militari, di cui abbiamo il mausoleo,<br />

l’unico di Pietrabbondante. Assegnazioni di<br />

terre a militari furono fatte anche in località<br />

vicine: ad Arco, per esempio, ove un Munatius<br />

ebbe una proprietà, ed anche un monumento<br />

funerario; e così anche a Cerreto di Vastogirardi,<br />

ove si trovano alcuni Papii, anch’essi veterani<br />

di Azio. L’ormai vecchia e cadente domus<br />

publica di Pietrabbondante si trasforma nella<br />

residenza della gens Socellia, che la ristruttura<br />

per condurre sul posto attività produttive,<br />

lasciando invece in abbandono il portico nel<br />

frattempo crollato. Da questo momento viene<br />

interrotto il collegamento della domus con il<br />

santuario mediante la chiusura del varco che<br />

attraversa il muro di recinzione. Questo significa<br />

che l’area del tempio e del teatro rimane<br />

ancora per qualche tempo sotto il controllo<br />

pubblico, anche se in pieno decadimento. Agli<br />

inizi del I secolo d.C. cominciano infatti a crollare<br />

le decorazioni in terracotta del tetto. Nel<br />

corso del III secolo l’area circostante il tempio<br />

viene impiegata per sepolture.<br />

La scoperta della domus publica rende ancora<br />

più evidente il ruolo particolare svolto dal<br />

santuario di Pietrabbondante nel contesto dello<br />

stato sannitico, quindi fino alla guerra sociale<br />

ed alle ultime resistenze nel Sannio, che si<br />

protrassero per alcuni anni. Dobbiamo riconoscere<br />

ormai con ogni certezza nel complesso<br />

monumentale di Pietrabbondante il santuario<br />

nazionale dei Samnites Pentri. Una dedica a<br />

Victoria e due ad Ops Consiva, le personificazioni<br />

della potenza militare e dell’abbondanza,<br />

ci restituiscono i nomi di due delle divinità<br />

venerate nel tempio a tre celle; la terza resta<br />

ancora sconosciuta, ma l’associazione di Ops a<br />

Mars nella regia di Roma induce a pensare che<br />

potrebbe trattarsi, forse, proprio di Mamerte,<br />

il Marte sannitico.<br />

Durante i restauri del teatro di Pietrabbondante, eseguiti<br />

dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Molise,<br />

furono svolte ricerche che nel 2002 condussero al ritrovamento<br />

della domus publica del santuario. Le successive<br />

indagini, promosse dal Comune di Pietrabbondante, sono<br />

state finanziate dalla Regione Molise e condotte dalla Soprintendenza<br />

con la collaborazione dell’Istituto Nazionale<br />

di Archeologia e Storia dell’Arte. Vi hanno partecipato numerosi<br />

studenti di diverse università.<br />

bibliografia<br />

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59-63, Edizioni Quasar, Roma.<br />

42 43


i feudi di<br />

Clusanum<br />

e Viperam<br />

Insediamenti fortificati medievali scomparsi<br />

nel territorio di Gambatesa<br />

di Maria Teresa Lembo<br />

“ L a città è il quadro espressivo della cultura e della civiltà…<br />

nella quale la storia si materializza nelle pietre e negli<br />

edifici…nelle strade e nelle case” (Piccinato, 1978)<br />

I castelli, le torri, i palazzi di origine medievale<br />

che costellano gli abitati e punteggiano<br />

il territorio molisano, si rivelano una componente<br />

essenziale dello scenario architettonico<br />

e del paesaggio della regione. Queste strutture<br />

costituiscono il segno fisico delle esigenze difensive<br />

e militari, ma anche l’espressione materiale<br />

e simbolica dei processi di affermazione<br />

dei poteri feudali e signorili e di accentramento<br />

abitativo che diedero vita al fenomeno<br />

dell’incastellamento.<br />

Nel territorio di Gambatesa, l’origine degli<br />

abitati di Chiusano (Clusanum), situato sulla<br />

sommità chiamata localmente “Terravecchia”,<br />

nell’attuale bosco Chiusano, di cui non restano<br />

che pochi ruderi costituiti da blocchi poco<br />

lavorati di pietra locale messi in opera in filari<br />

irregolari, e di Vipera (Viperam, Guiperanum)<br />

di cui è rimasto soltanto il toponimo “Toppo<br />

della Vipera”, coincidente con una località nei<br />

pressi di Gambatesa, nelle vicinanze del torrente<br />

Succida, va fatta risalire probabilmente<br />

all’epoca longobarda.<br />

Il nome “Chiusano” deriverebbe dal latino<br />

clausus che vuol dire chiuso, oppure da<br />

“chiusa” che indicherebbe alcune zone costituite<br />

da boschi di alto fusto, ma anche toponimo<br />

fondiario, costruito col suffisso –anus<br />

sul nome gentilizio romano Clusius; mentre<br />

“toppo” significherebbe cima, sommità, colle;<br />

di conseguenza “Toppo della Vipera” equivarrebbe<br />

a Colle della Vipera. Il termine “Vipera”<br />

è probabile che sia scaturito dal culto della<br />

vipera molto diffuso tra i Longobardi. Infatti,<br />

secondo una leggenda, San Barbato, vescovo<br />

di Benevento vissuto nel VII secolo, fece sradicare<br />

l’albero di noce intorno al quale i Longobardi<br />

erano soliti adorare una vipera d’oro<br />

(forse alata, o con due teste) chiamata Anfisbena,<br />

molto simile all’Ouroboros, serpente che si<br />

morde la coda, simbolo gnostico dell’infinito,<br />

della sintesi tra il bene e il male e dell’eterno<br />

ritorno. In onore di Wotan, padre degli dèi, i<br />

guerrieri erano soliti sospendere ad un albero<br />

sacro una pelle di animale; tutti coloro che<br />

lì si erano riuniti, voltando le spalle all’albero,<br />

spronavano a sangue i cavalli e si lanciavano in<br />

una cavalcata cercando di superarsi a vicenda.<br />

Ad un certo punto della corsa, girando i cavalli<br />

all’indietro, cercavano di afferrare la pelle con<br />

le mani e, raggiuntala, ne staccavano un picco-<br />

lo pezzo mangiandolo secondo un rito empio.<br />

Il vescovo stesso abbatté l’albero sacro e ne<br />

strappò le radici facendo costruire al suo posto<br />

una chiesa, chiamata Santa Maria in Voto e,<br />

grazie alla collaborazione della duchessa Teodorada,<br />

fece fondere il simulacro d’oro della<br />

vipera ottenendone un calice sacro.<br />

Relitti toponomastici si ritrovano a valle del<br />

colle della Vipera nel luogo oggi denominato<br />

S. Barbato.<br />

Durante la dominazione longobarda, nel periodo<br />

compreso tra il IX e il X secolo, le cronache<br />

del tempo rappresentano il paesaggio<br />

come un territorio reso selvatico dalla bosca-<br />

In alto:<br />

Pianta del feudo prediale di S. Maria della Vittoria,<br />

Platea Orsini, 1714 (Archivio parrocchiale di Gambatesa)<br />

44 45


In basso:<br />

Rupe di Terravecchia, antica Clusanum, nel bosco<br />

di Gambatesa detto di Chiusano<br />

(foto: G. Lembo)<br />

Nell’altra pagina<br />

“Aufisbena”, vipera a due teste, il cui culto era<br />

molto diffuso presso i Longobardi (web)<br />

glia e desolato di uomini a causa delle incursioni<br />

barbariche e delle guerre: “…si vedevano<br />

per tutto danni sì eccessivi, e rovine sì orrende,<br />

che per lo più i luoghi giacevano abbandonati<br />

e deserti, ed in quei, ch’erano abitanti, non era<br />

altro, che dolorosa afflizione e confusione…;<br />

la vita ristagnava nei miseri agglomerati rurali<br />

posti al centro di campagne vuote e deserte<br />

dove ormai le vigne erano senza operai, i campi<br />

senza coloni, i giardini senza frutti, i monti<br />

senza animali…”.<br />

La guerra tra i signori locali comportò, da<br />

parte delle popolazioni rurali, esposte più di<br />

ogni altro a continue depredazioni, la necessità<br />

di stringersi intorno a qualcuno che potesse<br />

garantire loro una protezione. L’origine degli<br />

insediamenti di Chiusano e Vipera può forse<br />

ricollegarsi al fattore difensivo e quindi al tipo<br />

di agglomerato urbano altomedievale, da alcuni<br />

chiamato borgo-forte, da altri castrum.<br />

Anche il Duby afferma che “col nome italiano<br />

d’incastellamento, Toubert descrive il processo<br />

che, tra X e XI secolo, fece raggruppare<br />

le cellule familiari. Queste, che erano sparse<br />

nella pianura, si unirono definitivamente, per<br />

lo più costrette dal potere, in un agglomerato<br />

generalmente situato sulle alture, dall’aspetto<br />

di fortezza, centro di un territorio di nuova costituzione.<br />

Le case, fino ad allora sparpagliate,<br />

si sarebbero raccolte in un’area, circondata<br />

talvolta da una cinta e spesso dotata di uno<br />

statuto giuridico particolare…Il nucleo della<br />

nuova cellula divenne il castrum, il castello, la<br />

torre. Al centro dello spazio che domina, questo<br />

edificio è, nello stesso tempo, la sede e il<br />

potere di coercizione, del dovere di proteggere,<br />

del diritto di comandare e di punire…”.<br />

Scrive il Trotta che “…tutte le nuove borgate<br />

del Molise sorsero tra la fine del dominio longobardo<br />

e l’inizio di quello dei Normanni” ed<br />

aggiunge che, secondo la Cronaca Volturnen-<br />

se, “s’incominciarono ad edificare castella in<br />

luogo di tuguri, cui si applicarono i nomi desunti<br />

dai luoghi dove erano posti…Castella et<br />

villis aedificare coeperunt, quibus ex locorum<br />

vocabulis nomina indiderunt…”.<br />

Altri autori, invece, fanno risalire l’apparizione<br />

dei castra già nel paesaggio preurbano<br />

dei secoli VII-IX, nonostante essi avessero la<br />

funzione di piccoli centri artigianali o di servizio;<br />

ma è nel corso del X secolo che i castra<br />

assunsero un ruolo sempre più preponderante<br />

all’interno dell’ambito territoriale, in quanto,<br />

in seguito alle numerose guerre interne<br />

ed esterne alla regione, divennero dei veri e<br />

propri luoghi di rifugio-difesa per numerose<br />

comunità contadine bisognose di protezione.<br />

Sotto il profilo più strettamente socio-politico,<br />

i castra divennero non soltanto luoghi di<br />

controllo delle zone circostanti, ma anche un<br />

mezzo attraverso il quale poter infondere soggezione<br />

nelle popolazioni dipendenti, obbligate<br />

a prestare omaggi e tributi. Sul piano più<br />

strettamente architettonico, i castra furono<br />

caratterizzati da strutture molto essenziali ed<br />

elementari e talmente precarie da offrire una<br />

difesa instabile. Tutte le opere edilizie, infatti,<br />

furono realizzate in legno o in materiali affini<br />

facilmente asportabili nel corso delle frequenti<br />

alluvioni o attaccabili dal fuoco durante le<br />

continue guerre. La torre, posta al centro del<br />

recinto, era piuttosto alta e stretta ed aveva<br />

l’ingresso molto rialzato da terra per evitare<br />

sfondamenti con arieti; al suo interno erano<br />

ubicati i soli ambienti indispensabili alla vita<br />

militare, tra cui i magazzini delle guardie, la<br />

sala comune ad uso di refettorio o corte di giustizia<br />

e l’abitazione del signore. Con l’aumentare<br />

delle esigenze organizzative ed abitative,<br />

intorno alla torre, furono aggiunti altri corpi di<br />

fabbrica che resero possibile ospitare un numero<br />

sempre crescente di vassalli, ed offrire<br />

una maggiore difesa. All’esterno del recinto,<br />

la tipologia insediativa e l’habitat risentirono<br />

fortemente delle misere condizioni sociali del-<br />

la popolazione; per questo, il tipo di abitazione<br />

più diffuso fu costituito dalla capanna seminterrata,<br />

fatta di terra, fango e sterco con tetto<br />

di paglia o rami e fronde; i pavimenti furono<br />

realizzati in terra battuta, mentre i muri, edificati<br />

in terra e legno, delimitavano, quasi sempre,<br />

spazi molto angusti.<br />

Non meno interessante fu, in questo periodo,<br />

il ruolo svolto da alcune strutture ecclesiastiche<br />

operanti, nel corso del X secolo, in tutto<br />

il territorio. In molte località, come Chiusano<br />

e Vipera, è probabile che le popolazioni rurali<br />

preferirono trovare riparo anche presso monasteri<br />

o chiese, capaci di offrire loro una protezione<br />

più efficace di quella dei signori laici.<br />

In seguito alle continue incursioni saracene,<br />

questi centri religiosi assursero a ruolo di poli<br />

di aggregazione: le chiese rurali, come quelle<br />

poste fuori le mura, divennero gli elementi primari<br />

intorno ai quali si formarono agglomerati<br />

di case. I monasteri benedettini incentivarono<br />

il formarsi di comunità monacali i cui compiti<br />

e i cui scopi furono apertamente sociali. Le<br />

varie “celle benedettine” divennero ben pre-<br />

46 47


sto il fulcro di numerosi ambiti territoriali nei<br />

quali si raccolse un numero vario di curtis e di<br />

casali, e al tempo stesso, punti di attrazione e<br />

coesione per molte comunità rurali. Ecco perché<br />

sempre più spesso le badie, specialmente<br />

quelle poste sui grandi assi di comunicazione<br />

regionale, i tratturi, in questo caso il tratturo<br />

Castel di Sangro – Lucera, furono fondate da<br />

sovrani longobardi, in quanto, trovandosi “sulle<br />

grandi strade del regno, giovavano, allora<br />

che le comunicazioni erano difficili e malsicure,<br />

a mantenere l’unità e l’integrità di quello, o<br />

sorgevano ai confini di esso e servivano come<br />

sentinelle di difesa ed offesa nella guerra”.<br />

L’esistenza di Chiusano e di Vipera è attestata<br />

da diverse fonti documentarie.<br />

In una bolla dell’anno 818, il Papa Pasquale<br />

I conferma a Giosuè, abate del monastero di<br />

San Vincenzo al Volturno, la proprietà di alcuni<br />

monasteri, celle e chiese, tra cui “S. Pietro in<br />

Trite, in Vipera”.<br />

Per il periodo normanno si attesta che “Ne-<br />

bulone fu con tutta probabilità primo feudatario<br />

di Ponte, di Castel Vipera e di Cercemaggiore,<br />

non essendo altro nome citato negli atti<br />

dai discendenti del ceppo d’origine”.<br />

Di Nebulone I si conoscono diversi atti fra<br />

cui il primo redatto nel settembre dell’anno<br />

1051 dal notaio Quiberto di Castelmagno in cui<br />

egli, con licenza e mandato da Roma, fonda e<br />

dota di terre e beni il nuovo monastero di S.<br />

Maria in loco dicto Decorata alla presenza di<br />

diversi nobili e consanguinei normanni. Fra<br />

questi compaiono il Vescovo di Bojano, Robertum<br />

Buianensem Episcopus che riconosce,<br />

come consanguinem nostrum, il figlio Riccardo<br />

signore di Riccia e Vipera, detto appunto “filius<br />

meus qui erat dominus Laritiae, et Vipera,<br />

Rodolfo di Castelvetere…”.<br />

Nel 1059, Papa Nicola II, su richiesta<br />

dell’abate Giovanni V, conferma al monastero<br />

di San Vincenzo numerose chiese e monasteri<br />

tra cui la “cella di San Pietro de Vipera con Casale<br />

Leoni”.<br />

A sinistra:<br />

Località “Toppo della Vipera” nei pressi<br />

di Gambatesa (foto: G. Lembo)<br />

In questa pagina, dall’alto:<br />

Pianta della Chiesa di S. Maria di Chiusanella,<br />

Platea Orsini, 1714 (Archivio parrocchiale di Gambatesa);<br />

Pianta del Bosco di Chiusano, rilevata dall’agrimensore<br />

A. De Crescentiis nel 1812<br />

(Archivio comunale di Gambatesa)<br />

La stessa località è citata nel Registrum di<br />

Pietro Diacono allorquando Nebulone, indicato<br />

quale Comes de Castro Vipera, nel settembre<br />

del 1070 e con successivo diploma dell’ottobre<br />

del 1072, dona il monastero intitolato a S.<br />

Eustasio (o Eustachio) di Toppo della Vipera,<br />

all’abate Desiderio del Monastero di Montecassino.<br />

Nel Chronicon Vulturnense, la cui stesura è<br />

collocata tra il 1119 e il 1124 ad opera del monaco<br />

Giovanni di S. Vincenzo al Volturno, viene<br />

più volte citata la “cellam Sancti Petri de Vipera<br />

cum ipso casale quod dicitur Leoni”. In questo<br />

contesto la parola “cella” indicherebbe una<br />

residenza isolata di un gruppo di monaci o di<br />

monache, dipendente da un’abbazia.<br />

Nel Catalogus Baronum, registro fatto compilare<br />

dai sovrani normanni tra il 1150 e il 1168,<br />

per effettuare una leva straordinaria dell’esercito<br />

regio, si legge testualmente che “Brunamons<br />

tenet Clusanum quod est feudum unius<br />

militis et cum augmento obtulit milites duos<br />

et servientes duos”. Questi era feudatario del<br />

conte Filippo di Civitate di Clusanum ed obbligato<br />

alla fornitura di un milite armato per ogni<br />

venti once d’oro di reddito. Inoltre, sempre nel<br />

Catalogus Baronum, è riportato: ”Robbertus de<br />

Ponte tenet Cericzam (Cercemaggiore), et Guiperam<br />

(Toppo della Vipera)…et predicta Cericza<br />

et Guiperanum sunt feuda quorum militum<br />

et cum aumento obtulit milites quatuor, quibus<br />

predictis augmentum milites sex et servientes<br />

sex…”; ed ancora, “Benedictus de Vipera tenet<br />

Viperam a domino Nebulone de Ponte quod est<br />

48 49


A destra:<br />

“Carta generale per la parte in Molise del tratturo<br />

di Motta che dalla fittola di Castel di Sangro<br />

conduce a Palmori grande di Lucera”, in Tratturi,<br />

tratturelli e riposi reintegrati in forza del Real<br />

Decreto del 9 ottobre 1826<br />

(Archivio comunale di Gambatesa)<br />

pheudum unius militis...”. Anche il Ciarlanti afferma<br />

che, nel 1211, Roberto De Ponte “possedea<br />

li castelli della Vipera e di Chiosano”.<br />

Alla fine del XII secolo Nebulone II concede<br />

Castel Vipera ad un certo Benedetto, così<br />

ricordato nel Catalogus Baronum: “Benedictus<br />

de Vipera tenet Viperam a dominio Nebulone<br />

De Ponte quod est pheudum unius militis”.<br />

Il Catalogus Baronum documenta che i castelli<br />

erano i centri di altrettanti feudi tenuti,<br />

nella maggior parte dei casi, da milites di origine<br />

normanna. Costoro traevano dai possessi<br />

feudali non solo le risorse necessarie per fornire<br />

all’esercito del re un adeguato servizio<br />

militare, ma anche quei mezzi che consentivano<br />

loro di svolgere un regolare servizio di<br />

guardia ai castelli di propria competenza. Se<br />

in un primo tempo i castra determinarono una<br />

forma urbana di tipo accentrato a scopi difensivi,<br />

successivamente consolidarono e incrementarono<br />

le loro primordiali forme urbane in<br />

quanto, trovandosi in corrispondenza di grandi<br />

assi di attraversamento cominciarono a praticare<br />

il commercio. In epoca normanna possiamo<br />

distinguere le strutture castellari in due<br />

differenti tipologie architettoniche, le “motte”<br />

e i “dongioni” legate a momenti storici diversi.<br />

La “motta” costituisce la prima forma di abitato<br />

fortificato, composto da una collinetta artificiale<br />

in terra (motta), sovrastato da palizzate<br />

lignee e circondato da un fossato culminante<br />

con una costruzione anch’essa lignea e fortificata.<br />

Man mano che la conquista procedeva e<br />

prendeva corpo, i signori normanni iniziarono<br />

a sostituire tali tipi di fortificazioni con altre<br />

più sicure e più stabili. La costruzione dei castelli<br />

in pietra, più resistenti agli assalti e agli<br />

incendi, rimpiazzò ben presto le esili strutture<br />

lignee, ma richiese allo stesso tempo maggiori<br />

risorse in termini economici ed umani. Il<br />

“dongione normanno”, o mastio in pietra, è un<br />

manufatto militare costruito con planimetria<br />

generalmente quadrata o rettangolare a tre<br />

piani e altezza variabile (15-20m) e con spessore<br />

dei muri che diminuisce gradatamente<br />

verso l’alto. I solai in pietra erano spesso voltati<br />

(a crociera o a botte) e l’accesso al castello<br />

avveniva al primo piano mediante un ponte levatoio<br />

per ovvie ragioni di sicurezza, mentre la<br />

sommità dei muri presentava un coronamento<br />

merlato.<br />

Nell’età sveva, Federico II ridusse le proprietà<br />

ecclesiastiche ordinanando al contempo<br />

l’abbattimento di tutte le fortificazioni che<br />

rappresentavano un ostacolo al suo dominio<br />

conservando le sole proprietà demaniali.<br />

Riccardo di Busso, “provisor castrorum<br />

Aprucii” nel 1248, per conto di Federico II, era<br />

in possesso di alcune baronie che dovevano<br />

contribuire alla riparazione del castello federiciano<br />

di Lesina: “Castrum Alesine potest reparari<br />

per homines ipsius terre, item per homines<br />

Civitatis S. Leucii, baronie S.Helene, Cleuti,<br />

Collis Torti, Macle, Ricie, Clusani, Vipere, Celencie,<br />

Montis Rotani et baronie domini Riccardi<br />

de Busso”.<br />

Inoltre nei Registri di Alessandro IV si legge<br />

che nel 1255 Rogerio de Parisio “dominio Ecclesiae<br />

redeunti et se submittenti, castra Castellutii<br />

de Sclavis, s. Juliani, Petrae Montis Corvini,<br />

Clusanum,…concessionem de Dragonaria, a<br />

Federico imperatore, Conrado et Manfredo aut<br />

aiis obtenta, confirmat et insuper castrum Riziae<br />

concedit ei tanquam Ecclesiae infeudato…”.<br />

Nel 1266 Carlo I d’Angiò, dopo gli esiti della<br />

battaglia di Benevento, estromise definitivamente<br />

gli Svevi dal Regno. La dinastia angioi-<br />

na si interessò al rifacimento di tutte le fortificazioni<br />

dei piccoli e grandi centri urbani adeguandole<br />

alle nuove esigenze militari. Le cinte<br />

murarie, i castelli preesistenti e quelli di nuova<br />

fondazione furono muniti di torri circolari costruite<br />

ad una distanza ravvicinata ed attrezzate<br />

per il tiro radente e piombante. Le torri<br />

furono dotate anche di una muratura a scarpa<br />

volta a rinforzare il muro alla base e capace di<br />

far rimbalzare i sassi pesanti lanciati verso gli<br />

assalitori. In epoca angioina l’abitato di Vipera<br />

era ancora esistente; le Rationes Decimarum<br />

Italiae dei secoli XIII e XIV riportano il pagamento<br />

di 3 tarì, corrispondenti all’imposta<br />

straordinaria sulle rendite ecclesiastiche, “decima”,<br />

che il papato prelevava, con cadenza<br />

quasi regolare tra il XIII e XIV secolo, per il<br />

finanziamento delle crociate o per altri particolari<br />

bisogni della Chiesa. Altre notizie che<br />

attestano l’esistenza di Chiusano e Vipera ri-<br />

50 51


A<br />

b<br />

salgono al periodo in cui Margherita, figlia di<br />

Riccardo di Gambatesa, andata sposa a Riccardo<br />

Caracciolo, nel 1330 era in possesso di alcuni<br />

feudi tra cui il “castrum Vipere”. Nel 1478<br />

il primogenito Angelo, figlio del conte Nicola<br />

II dei Monforte-Gambatesa, ereditò la terra<br />

di Gambatesa e i casali di Chiusano, Vipera e<br />

Valdisace, tutti posti nel Contado di Molise,<br />

confinanti con le terre di Celenza Valfortore,<br />

Pietracatella ed altre. Inoltre nel 1484 re Ferrante<br />

I d’Aragona vendette il feudo di Gambatesa<br />

con Chiusano, Vipera e Valdisace, ad Andrea<br />

Di Capua, primo duca di Termoli, della<br />

casa dei conti d’Altavilla. Da questo momento<br />

in poi le testimonianze e le fonti storiche, circa<br />

l’esistenza dei due insediamenti, sono presso-<br />

A sinistra:<br />

Localizzazione su Carta I.G.M. 1:25.000 dei probabili<br />

siti su cui sorgevano gli antichi abitati di Vipera<br />

(A) e Chiusano (B);<br />

Nell’altra pagina:<br />

Particolare di una struttura muraria dell’antico<br />

abitato di Chiusano (foto: B. Muttillo)<br />

ché inesistenti. Fonti seicentesche riferiscono<br />

di numerose carestie e catastrofi; la peste del<br />

1656 flagellò il territorio fino al 1658, mietendo<br />

innumerevoli vittime e segnando la fine di<br />

molti centri abitati. L’epidemia colpì quasi tutti<br />

i paesi, interrompendo l’incremento demografico<br />

che aveva caratterizzato i primi decenni<br />

del secolo e aggravando, di conseguenza, le<br />

condizioni economiche delle popolazioni molisane.<br />

A tal proposito il Venditti afferma: “…<br />

Venne la peste del 1656-57 che distrusse quasi<br />

tutti gli abitanti di Salandra e Vipera...”. Si ricorda,<br />

altresì, che, nel 1688, un forte terremoto<br />

scosse quasi tutta la regione, contribuendo a<br />

rendere ancora più tragica la situazione di alcuni<br />

centri molisani, tra cui Chiusano e Vipera.<br />

La conferma dell’abbandono di Chiusano e<br />

Vipera si può dedurre anche da un importante<br />

documento, conservato nell’archivio parrocchiale<br />

di Gambatesa, la Platea del cardinale<br />

Orsini del 1714.<br />

Si tratta di un insieme di documenti che offre<br />

la possibilità d’individuare l’amministrazione<br />

e la storia di alcuni luoghi pii, chiese e<br />

monasteri soppressi, bilanci, rendite, affitti dei<br />

fondi rustici ed urbani, lasciti e donazioni di<br />

monti frumentari, case e congreghe di carità,<br />

ospedali ed altre istituzioni laiche o religiose.<br />

La pianta del feudo prediale di S. Maria della<br />

Vittoria descrive un’ampia distesa di terra ricadente<br />

nel territorio di Gambatesa e di proprietà<br />

del monastero di S. Aniello di Napoli<br />

in cui sono raffigurate alcune abitazioni sulla<br />

cosiddetta “Ripa della Vipera”; mentre per<br />

quanto riguarda Chiusano la Platea riporta<br />

l’esistenza di una chiesa situata nel bosco di<br />

Chiusano denominata S. Maria di Chiusanella<br />

e dell’abitato ormai scomparso: “…La chiesa,<br />

sotto il titolo di S. Maria, sta posta nelle pertinenze<br />

di Gambatesa e proprio dentro la terra<br />

diruta di Chiusanella, distante dalla medesima<br />

circa passi 1500 verso la parte occidentale ed<br />

è tutta diruta che appena si conoscono le pavimenta.<br />

È lunga palmi 28 e larga palmi 20 e<br />

confina col Bosco Baronale…”. L’abbandono<br />

dei due centri deve probabilmente additarsi<br />

non solo alla diminuzione demografica, ma<br />

anche alle mutate esigenze politiche, di difesa<br />

ed economico-produttive di tutto il territorio.<br />

Questi primi dati, quindi, sono utili per iniziare<br />

a ricostruire in modo comprensibile la frequentazione<br />

di un territorio che, in quanto interessato<br />

da case contadine, fattorie o piccoli<br />

villaggi, è stato per molto tempo ritenuto non<br />

interessante.<br />

Da questi primi dati emerge un quadro storico-territoriale<br />

piuttosto ricco e variegato anche<br />

se, ad oggi, ritenuto scarsamente interessante<br />

e dunque poco studiato. Sede fin dall’antichità<br />

di insediamenti sparsi, l’area è da ritenere<br />

espressione di uno sviluppo culturale<br />

ben inserito nelle direttive commerciali più<br />

valide. La romanizzazione, con la conseguente<br />

centuriazione del territorio e lo sviluppo delle<br />

vie di comunicazione e dei mercati, portò alla<br />

caratterizzazione dell’area su cui in epoca medievale<br />

le fondazioni monastiche e gli insediamenti<br />

difensivi trovarono ampie possibilità di<br />

sviluppo, formando un paesaggio agrario e una<br />

architettura del territorio da tenere in attenta<br />

considerazione.<br />

Lo studio approfondito, basato sulle fonti<br />

scritte e sulla cultura materiale di questi insediamenti,<br />

potrà apportare apprezzabili risultati<br />

e costituire una reazione alle pressanti<br />

urgenze di salvaguardia di tanti resti architettonici<br />

di grande valore per la loro qualità edilizia,<br />

per la loro posizione strategica nel paesaggio<br />

e per il loro significato nella ricomposizione<br />

di una identità storica del territorio.<br />

bibliografia<br />

Carocci S. (1998): Signori, castelli, feudi. In:<br />

Storia medievale, Donzelli, Roma.<br />

Ciarlanti G. V. (1644): Memorie historiche del<br />

Sannio chiamato oggi Principato Ultra, Contado<br />

di Molisi, e parte di Terra di Lavoro, Provincie<br />

del Regno di Napoli, divise in cinque libri, C.<br />

Cavallo, Isernia.<br />

Duby G. (1987): Il Medioevo. Hachette, Milano<br />

Federici V. (1925 e 1940): Chronicon Volturnense<br />

del Monaco Giovanni, Roma.<br />

Jamison E. (1972): Catalogus Baronum, Roma.<br />

Toubert P. (1995): Dalla terra ai castelli: paesaggio,<br />

agricoltura e poteri nell’Italia medievale.<br />

Einaudi, Torino.<br />

Trotta L. A. (1878): Sommario di una monografia<br />

della provincia del Molise, Napoli.<br />

Valente F. (2003): Il Castello di Gambatesa. Storia<br />

Arte Architettura. Edizioni Enne, Ferrazzano.<br />

Venditti D. (1957): La parrocchia di S. Bartolomeo<br />

in Gambatesa. Edizioni Cantagalli, Siena.<br />

Wickham C. (2000): Il Feudalesimo nell’Alto<br />

Medioevo. Centro Italiano di Studi sull’Alto<br />

Medioevo, Spoleto.<br />

52 53


il mája<br />

<strong>DI</strong> ACQUAVIVA COLLECROCE<br />

Personificazioni del Maggio in Molise<br />

di Emilia De Simoni<br />

Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia, Ministero per i Beni e le Attività Culturali<br />

L<br />

e tradizioni festive del Molise si caratterizzano per un intenso<br />

rapporto con il territorio, con una dimensione agro-pastorale che,<br />

nonostante le trasformazioni economiche e sociali, costituisce ancora<br />

un percorso di riferimento per l’espressione creativa di pratiche condivise,<br />

uno spazio di memoria nel quale si riattualizzano eredità comuni.<br />

Eredità che sono il risultato complesso di<br />

vicissitudini storiche e di influssi diversi, rielaborate<br />

con una particolare attenzione alle<br />

tracce originarie e alla trasmissione intergenerazionale.<br />

La persistenza e la riemergenza delle<br />

tradizioni non costituiscono le derive di un<br />

passato che torna nel presente, ma le manifestazioni<br />

di un tentativo di opposizione all’omologazione<br />

culturale, attuato dalle comunità locali<br />

con la partecipazione e l’impegno per un<br />

fine condiviso. La riacquisizione della propria<br />

identità di gruppo localizzato consente di evitare<br />

il rischio dell’indifferenziazione, riaffermando<br />

la propria presenza in un mondo sem-<br />

54<br />

pre più deterritorializzato e privo di orizzonti<br />

di senso. Così, attraverso le feste, si ritrovano<br />

la corporeità dell’essere e la manualità del fare,<br />

l’azione collettiva che consente di ridefinire i<br />

luoghi e, nei luoghi, l’appartenenza. In questa<br />

prospettiva si propone come esempio la festa<br />

del Mája di Acquaviva Collecroce, osservata<br />

nel corso della ricerca di etnografia visiva sul<br />

patrimonio immateriale del Molise promossa<br />

dall’Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia<br />

con la Direzione Regionale per i Beni<br />

Culturali e Paesaggistici del Molise, ricerca<br />

che ha documentato, da maggio 2005 a gennaio<br />

2010, 68 tradizioni festive in 48 località.<br />

Il Mája di Acquaviva Collecroce<br />

(web)


Dalla venerazione della<br />

natura alle feste primaverili<br />

Attingendo alle suggestioni dell’antichità ricordiamo<br />

la dea Flora citata da Ovidio (Fasti:<br />

V) e le feste denominate Floralia, tenute tra la<br />

fine di aprile e gli inizi di maggio: “itaque iidem<br />

Floralia IIII kal. easdem instituerunt urbis<br />

anno DXVI ex oraculis Sibyllae, ut omnia<br />

bene deflorescerent” (Plinio, Historia Naturalis:<br />

XVIII). La via delle antiche reminiscenze<br />

è densa di tracce, che sopravvivono non tanto<br />

nelle “sopravvivenze”, più o meno consapevoli,<br />

delle tradizioni, ma soprattutto nella considerazione<br />

su di esse. Eppure tale via, nella<br />

sua impossibilità di spiegazione del presente,<br />

ha una grande carica evocativa: “La festosa<br />

costumanza molisana di cantar maggio è assai<br />

antica e trova precedenti celebri nell’era pagana.<br />

Presso gli italici si venerava Flora, dea<br />

dei fiori e della primavera. Sotto la sua egida<br />

era l’agricoltura e il primo maggio le era sacro,<br />

riconoscendosi in una rigogliosa fioritura un<br />

promettente raccolto” (Salvatore Moffa, “Calendimaggio<br />

Molisano”, 1938).<br />

Le pratiche popolari collegate alle feste primaverili<br />

rimanderebbero dunque a forme religiose<br />

preesistenti. Al pari di altre, tali pratiche<br />

divengono oggetto di numerose condanne<br />

lanciate dalla chiesa, nella sua incessante lotta<br />

per l’evangelizzazione del “volgo”. La venerazione<br />

della natura resiste tenacemente e viene<br />

considerata tra le più esecrabili, in quanto<br />

contraria al concetto stesso della creazione<br />

come opera divina: “Alii adorabant solem, alii<br />

lunam vel stellas, alii ignem, alii aquam profundam<br />

vel fontes aquarum, credentes haec omnia<br />

non a deo esse facta ad usum hominum, sed ipsa<br />

ex se orta deos esse” (Martinus Bracarensis [VI<br />

sec. d.C.], “De correctione rustico rum”: 6). Particolari<br />

rituali vengono celebrati nei confronti<br />

di alberi, pietre, acque e, nonostante il cristianesimo,<br />

permane un’ideologia di contrapposizione<br />

alla religione ufficiale, determinata da<br />

situazioni economiche e sociali strettamente<br />

ancorate al mondo naturale come fonte primaria<br />

di sopravvivenza, soprattutto presso<br />

comunità agricole e pastorali. Questi comportamenti<br />

rientrano in una “ecolatria”, intesa<br />

nel senso di un’ideologia non tanto “pagana”<br />

quanto arcaica e radicata presso tutte le culture.<br />

La profonda avversione della chiesa si<br />

manifesterà nel tempo con strategie di sostituzione<br />

delle entità venerate, con la sovrapposizione<br />

e l’adattamento dei propri simboli.<br />

L’appartenenza al cristianesimo non esclude<br />

la persistenza di atteggiamenti precristiani:<br />

“Sotto i Re Longobardi, che pure professavano<br />

la legge Cristiana colla lor nazione, apparisce<br />

Nell’altra pagina:<br />

Acquaviva Collecroce, 30-4-2007:<br />

preparazione del Mája.<br />

In basso:<br />

Acquaviva Collecroce, 1-5-2007:<br />

sosta del Mája in piazza.<br />

che molti del rozzo popolo con pazza credulità<br />

veneravano certi alberi, da lor chiamati<br />

Sanctivi, come se fossero cose sacre. Gran sacrilegio<br />

avrebbero creduto il tagliarli; sembra<br />

ancora che prestassero ad essi qualche segno<br />

di adorazione” (Lodovico Antonio Muratori,<br />

“Dissertazioni sopra le antichità italiane”,<br />

1837: LIX).<br />

I rituali primaverili sembrano essere i per-<br />

56 57


corsi privilegiati per l’espressione delle valenze<br />

propiziatorie degli elementi vegetali che,<br />

oltre a caratterizzare la festa o il canto, diventano,<br />

in alcuni casi, strumenti di immedesimazione<br />

tra uomo e natura, attraverso la loro personificazione.<br />

James G. Frazer ha ampiamente<br />

trattato questi temi nella sua opera “The golden<br />

bough” (1922), in particolare nel capitolo<br />

“Relics of Tree Worship in Modern Europe”.<br />

Gli stessi temi sono affrontati da Mircea Eliade<br />

nel “Traité d’histoire des religions” (1949), con<br />

l’analisi dei rapporti tra vegetazione, simboli e<br />

riti di rinnovamento. Frazer interviene sulla<br />

personificazione dello spirito della vegetazione<br />

citando, a scopo esemplificativo, Wilhelm<br />

Mannhardt: “[...] we may sum up the results of<br />

the preceding pages in the words of Mannhardt:<br />

‘The customs quoted suffice to establish with<br />

certainty the conclusion that in these spring<br />

processions the spirit of vegetation is often represented<br />

both by the May-tree and in addition<br />

by a man dressed in green leaves or flowers or<br />

by a girl similarly adorned’ ”.<br />

In Italia sono tuttora presenti molti esempi<br />

di feste arboree connesse con la celebrazione<br />

del “Maggio”. In Lucania si può ricordare<br />

il “Matrimonio degli alberi” di Accettura, nel<br />

materano, un complesso rito arboreo collegato<br />

alla processione del patrono San Giuliano.<br />

Possiamo segnalare in proposito come alcune<br />

di queste feste siano divenute oggetto, negli<br />

ultimi anni, di una pressante operazione di rivisitazione:<br />

la strategia di controllo non è più<br />

nelle mani della chiesa ma viene esercitata<br />

oggi dal potere di un consumismo mistificatorio,<br />

che confina le tradizioni locali nel recinto<br />

della spettacolarizzazione turistica, prospettando<br />

illusori vantaggi.<br />

Il Mája come riproposizione di identità<br />

Tra le feste primaverili caratterizzate dalla<br />

personificazione del Maggio, notiamo attualmente<br />

in Molise: la Pagliara di Fossalto, la Defensa<br />

di Lucito, il Pagliaro di Colle d’Anchise<br />

e il Mája di Acquaviva Collecroce. Nel 1955<br />

Alberto M. Cirese scrive che alcuni documenti<br />

attestano questo tipo di personificazioni nei<br />

tre paesi d’origine slava (Acquaviva Collecroce,<br />

Montemitro e San Felice del Molise), con<br />

caratteri nettamente antropomorfi, e in altre<br />

luoghi, con differenti modalità: “… oltre che<br />

a Fossalto, dove vive ancora […] una personificazione<br />

di tipo pagliara ci è testimoniata<br />

anche per Castelmauro, Bagnoli del Trigno,<br />

Lucito, Casacalenda, Bonefro e Riccia” (“La<br />

pagliara maie maie”). Cirese sottolinea inoltre<br />

che questi paesi non sono distanti dalla zona<br />

d’immigrazione slava, ad eccezione di Riccia,<br />

dove tuttavia è presente un borgo, detto Schia-<br />

Nell’altra pagina:<br />

Acquaviva Collecroce, 1-5-2007: corteo del Mája.<br />

(foto: D. D’Alessandro)<br />

A sinistra:<br />

Fossalto, 1-5-2006: getto augurale dell’acqua<br />

sulla Pagliara.<br />

(foto: D. D’Alessandro)<br />

vone, che indica un contatto con gli slavi. È<br />

interessante notare la dismissione dell’usanza,<br />

all’epoca dello scritto, proprio da parte di<br />

chi, in origine, si suppone l’abbia introdotta:<br />

“Il fatto singolare è che gli eredi dei portatori<br />

originari, e cioè gli abitanti dei paesi slavo-molisani<br />

di Acquaviva, San Felice e Montemitro,<br />

abbiano dismesso il costume, e lo abbiano invece<br />

conservato i paesi molisani di origine non<br />

slava”.<br />

Le riproposizioni della tradizione e della<br />

lingua per tensioni che, sommariamente, si definiscono<br />

identitarie, hanno un ruolo centrale<br />

nel tentativo di superare la discontinuità con<br />

il passato. Oltre la categoria discriminatoria di<br />

“invenzione”, che presuppone una classifica<br />

di legittimità o purezza riferita a variabili storiche<br />

e demologiche, queste espressioni delle<br />

comunità si possono considerare elaborazioni<br />

collettive di elementi culturali, pensati come<br />

propri e distintivi. Attraverso queste riattualizzazioni<br />

si tenta di ridefinire una “localizzazione”<br />

sociale, che può espandersi oltre i confini<br />

territoriali, se condivisa con le comunità<br />

all’estero, e anche oltre i confini della memoria<br />

documentabile. È infatti il vissuto nel presente<br />

a dare un senso all’azione collettiva, tralasciando<br />

ogni interrogativo sulla defunzionalizzazione.<br />

Acquaviva Collecroce (provincia di Campobasso;<br />

740 abitanti ca.; 425 m.s.l.m) è un comune<br />

molisano popolato da un’ondata migratoria<br />

slava dalla prima metà del XVI secolo, come<br />

afferma Milan Rešetar: “Tutte le informazioni<br />

affidabili che possediamo sopra quegli slavi<br />

del Molise, di cui gli ultimi residui sono rimasti<br />

nelle tre note località, concordano infatti<br />

58 59


nell’affermazione che essi furono insediati<br />

nelle località in questione nel corso della prima<br />

metà del XVI secolo e parlano di loro proprio<br />

come di gente che era venuta dalla Dalmazia in<br />

Italia non molto tempo prima […]” (“Le colonie<br />

serbocroate nell’Italia meridionale”, 1911).<br />

In questo paese ha avuto luogo una importante<br />

attività di ricerca sulla lingua “slavisana”, secondo<br />

il neologismo proposto da Walter Breu<br />

e Giovanni Piccoli, autori del locale dizionario<br />

croato molisano. La valorizzazione della lingua,<br />

che prevede anche scambi culturali con<br />

la Croazia, si accompagna alla rivitalizzazione<br />

delle tradizioni. Oltre la Smercka natalizia<br />

(la notte della vigilia di Natale viene accesa,<br />

sul sagrato della chiesa, una grande torcia,<br />

costituita da pezzi di legno e collocata su un<br />

tronco di albero rovesciato), la festa del primo<br />

maggio ripresa - come ci ricorda Matteo Patavino<br />

nel capitolo “Archetipi e trasformazioni”<br />

del volume “Passaggi Sonori” - dalla metà del<br />

1980, rappresenta un’occasione di condivisione<br />

collettiva di una tradizione particolarmente<br />

sentita. Il corteo del Mája rientra nelle feste<br />

A sinistra:<br />

Colle d’Anchise, 6-5-2007: il Pagliaro in chiesa<br />

(foto: D. D’Alessandro)<br />

Nell’altra pagina:<br />

Acquaviva Collecroce: particolare della targa<br />

commemorativa di Nicola Neri posta sulla facciata<br />

del Municipio<br />

primaverili propiziatorie e ha un intento di<br />

rafforzamento della fraternità tra la popolazione,<br />

che mantiene ancora vivo il ricordo delle<br />

proprie origini. Come avviene in manifestazioni<br />

analoghe che hanno alla base la figura del<br />

pagliaio, per realizzare il Mája si riveste un telaio<br />

conico con elementi vegetali. La struttura,<br />

alta più di tre metri, è composta da rami flessibili,<br />

canne e paglia e si differenzia dalle altre<br />

composizioni per il suo aspetto antropomorfo<br />

(presenta infatti anche la testa e le braccia). La<br />

preparazione inizia il giorno precedente la festa,<br />

con la raccolta di fiori e primizie, protratta<br />

fin quando è possibile per evitarne l’appassimento.<br />

L’addobbo viene eseguito da un gruppo<br />

di giovani e da alcuni adulti: via via che il Mája<br />

prende forma, ognuno contribuisce al miglioramento<br />

della composizione con proposte e<br />

suggerimenti. La mattina del giorno successivo<br />

si compiono gli ultimi ritocchi; quando la figura<br />

è completata, nel rivestimento e nelle fattezze<br />

quasi umane accentuate nei grandi occhi<br />

del volto, il Mája è pronto per essere animato.<br />

Questa personificazione presenta un aspetto<br />

piuttosto femminile: ha una corona sulla testa,<br />

una lunga capigliatura e la parte sottostante<br />

appare come un’ampia gonna.<br />

Nella rappresentazione osservata nel 2007, il<br />

Mája non porta sul capo una croce ma un ciuffo<br />

vistoso, a differenza delle analoghe figure di<br />

Fossalto (2005, 2006) e Colle d’Anchise (2007),<br />

dove inoltre il Pagliaro entra in chiesa. Ricordiamo<br />

che nella descrizione di Milan Rešetar<br />

del 1911 il Mája viene benedetto e, come la Pagliara<br />

di Fossalto, è innaffiato con getti d’acqua<br />

augurali, elemento che Rešetar ricollega al<br />

corteo delle dòdole presso i serbocroati, effet-<br />

tuato per propiziare la pioggia e la fertilità della<br />

terra. Sulla base delle informazioni raccolte,<br />

che attestano la vitalità della festa fino al 1940<br />

e la sua interruzione causata dalla guerra, Alberto<br />

M. Cirese cita la presenza di una croce di<br />

spighe di grano, posta sulla sommità del cono,<br />

la benedizione religiosa e la distruzione finale<br />

del Mája, presso i ruderi di una chiesa, eseguita<br />

da ragazzi (“La pagliara del primo maggio nei<br />

paesi slavo-molisani”). La festa del Mája è documentata<br />

fotograficamente, dal 2001 al 2007,<br />

in un sito internet dedicato ad Acquaviva Collecroce.<br />

Dalle immagini si nota come il ciuffo<br />

sia differente, di anno in anno, cosa che indica<br />

come le feste possano, nel tempo, presentare<br />

alcune diversità, pur mantenendo tratti distintivi<br />

di base sui quali i protagonisti procedono<br />

con andamenti variabili e in base alla propria<br />

creatività. Al termine della composizione, la<br />

veste vegetale viene indossata da un giovane e<br />

inizia il corteo, dapprima verso piazza Nicola<br />

Neri, poi lungo le vie del paese. Lo “spirito della<br />

vegetazione” continua la sua processione,<br />

tra esibizioni coreutiche e musicali di gruppi<br />

in costume provenienti anche da altre località<br />

del Molise. Il primo maggio è un giorno particolare<br />

ad Acquaviva Collecroce, un giorno di<br />

festa ma soprattutto di memoria: vi è un sentimento<br />

di intensa partecipazione, specialmente<br />

nei bambini, che si impegnano a cantare con<br />

l’aiuto di testi scritti nella loro “bella lingua”,<br />

come sollecitava Nicola Neri. Tutto ciò testimonia<br />

quanto sia importante l’apprendimento<br />

della tradizione attraverso le feste, non soltanto<br />

con il coinvolgimento e l’osservazione, ma<br />

anche secondo a modalità “guidate” da associazioni<br />

locali, culturali o scolastiche. Mentre<br />

il corteo prosegue il suo percorso nel paese,<br />

le danze e la distribuzione del cibo sciolgono<br />

l’iniziale compostezza e sollecitano i partecipanti<br />

a esprimersi più gioiosamente, cantando<br />

e ballando attorno al Mája.<br />

Questo articolo costituisce, in alcune sue parti, una rielaborazione<br />

del testo “Mája, Acquaviva Collecroce”, pubblicato<br />

in Feste e Riti d’Italia. Sud 1, a cura di S. Massari, De<br />

Luca, Roma, 2009: pp. 326-337.<br />

bibliografia<br />

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Lapa, a. III, n. 1-2: 33-36.<br />

Cirese A. M. (1955): La “pagliara” del primo<br />

maggio nei paesi slavo-molisani. Slovenski Etnograf,<br />

8: 207-224.<br />

Cirese A. M. (1995-1996): Milovan Gavazzi e la<br />

“pagliara” slavo-molisana. Studia Ethnologica<br />

Croatica, 7-8: 47-52.<br />

De Simoni E. (2009): Patrimonio immateriale<br />

del Molise. Conoscenze, numero monografico,<br />

IV (1), Betagamma, Viterbo.<br />

Eliade M. (1949), Traité d’histoire des religions.<br />

Payot, Paris.<br />

Frazer J. G. (1922): The Golden Bough. A study in<br />

Magic and Religion. Macmillan, New York.<br />

Mascia G. (2006): Maggio nella tradizione<br />

popolare molisana. Utriculus, X (38), Associazione<br />

Culturale Circolo della Zampogna, Scapoli:<br />

32-33.<br />

Moffa S. (1938): Calendimaggio Molisano. Luci<br />

Sannite, fascicolo 3-4 (IV), maggio-luglio.<br />

Patavino M. (a cura di) (2006): Passaggi Sonori.<br />

I canti, le musiche e gli strumenti della tradizione<br />

orale del Medio Molise Fortore. Finis Terrae,<br />

Santa Croce di Magliano.<br />

Rešetar M. (1911): Die Serbokroatischen Kolonien<br />

Süditaliens, Wien (traduzione italiana a<br />

cura di W. Breu e M. Gardenghi (1997): Le colonie<br />

serbocroate nell’Italia meridionale ,Amministrazione<br />

Provinciale di Campobasso).<br />

60 61


SPECIALE TESI<br />

Il popolamento antico della<br />

Breve contributo sulle testimonianze<br />

archeologiche dei centri costieri<br />

di Lidia Di Giandomenico, Scuola di Specializzazione – Università degli Studi di Bari<br />

La costa molisana è caratterizzata, dal punto di vista morfologico, da<br />

calette e insenature, frutto dell’erosione marina, delle frane costiere<br />

e dei fiumi, e da stratificazioni di sabbie litoranee, conglomerati e<br />

ghiaie, depositi alluvionali recenti, argille, marne e arenarie.<br />

termoli, borgo vecchio<br />

(web)


SPECIALE TESI<br />

Il profilo di costa ha subito un sensibile arretramento<br />

nel corso del tempo a causa di fenomeni<br />

di eustatismo, dovuti a movimenti tettonici<br />

che hanno abbassato e sollevato la costa<br />

dando vita a terrazzi alluvionali. Quelli che<br />

oggi sono chiamati costoni o coste, non sono<br />

altro che il risultato dell’erosione della roccia e<br />

degli innalzamenti e abbassamenti della costa.<br />

Attualmente i centri abitati costieri sono Petacciato,<br />

Termoli e Campomarino. Dal punto<br />

di vista del popolamento antico, sono meglio<br />

rappresentate le necropoli che non gli insediamenti,<br />

tuttavia non si esclude la presenza di<br />

villaggi costieri, ampiamente documentati per<br />

la Puglia e l’Abruzzo.<br />

Allo stato attuale delle ricerche, ed in particolare<br />

per l’arco cronologico che abbraccia la<br />

protostoria e l’età del ferro, la maggior parte<br />

dei dati proviene sia dagli scavi effettuati dalla<br />

Soprintendenza ai Beni Archeologici del Molise,<br />

che dalle ricognizioni di superficie condot-<br />

64<br />

Pianta di una delle capanne rinvenute ad Arcora<br />

(da S. Capini, A. Di Niro, 1991)<br />

te dall’equipe dell’Università di Sheffield.<br />

Le testimonianze più antiche, risalenti a un<br />

arco cronologico che va dall’Età del Bronzo<br />

finale al VII secolo a.C., provengono da Campomarino,<br />

località Arcora: in questo sito la Soprintendenza<br />

Archeologica del Molise ha condotto<br />

una serie di campagne di scavo che hanno<br />

portato alla luce un villaggio di capanne.<br />

L’abitato è posto su una piattaforma naturale,<br />

a quota 37 m. s.l.m., che si affaccia attualmente<br />

su di una piana alluvionale, ma che, stando a<br />

recenti studi topografici e aereofotogrammetrici,<br />

doveva sorgere su di un pianoro a picco<br />

sul mare, dal momento che il suo limite orientale<br />

corrisponde all’antica linea di costa. La<br />

sua posizione appare strategica, poiché il lato<br />

del costone che dà sul mare è naturalmente difeso<br />

dall’accentuato dislivello, assicurando sia<br />

il controllo sul mare che sulla foce del Biferno.<br />

L’altro lato è difeso da un fossato ampio e poco<br />

profondo e da una palizzata lignea, di cui sono<br />

state individuate le buche per palo rinforzate<br />

da pietre.<br />

I dati acquisiti dallo scavo testimoniano la<br />

presenza di una comunità socialmente articolata<br />

e organizzata, dedita all’allevamento e<br />

all’agricoltura.<br />

In generale la morfologia del nostro territorio<br />

costiero appare favorevole all’insediamento<br />

grazie alla presenza di pianori e terrazzi ed<br />

alla vicinanza con il mare e le vie di comunicazione.<br />

Un esempio analogo è costituito dal<br />

centro storico di Termoli, un promontorio<br />

roccioso a picco sul mare, anch’esso difeso<br />

naturalmente. In questo caso le maggiori evidenze<br />

archeologiche, ancora oggi visibili, sono<br />

quelle relative al periodo medievale, tuttavia<br />

non mancano livelli del Bronzo Finale rinvenuti<br />

durante i saggi archeologici condotti nella<br />

Cattedrale e a Torre Tornola.<br />

Per quanto riguarda le necropoli, la presenza<br />

di una comunità attiva durante l’età del ferro e<br />

l’età arcaica è testimoniata dalla presenza di<br />

due sepolcreti, un primo rinvenuto in Contrada<br />

Porticone, l’altro in località Difesa Grande,<br />

entrambe nel Comune di Termoli. Lo studio<br />

dei materiali provenienti dai corredi funerari<br />

mostra una omogeneità culturale, non solo per<br />

In alto:<br />

Fondo di una capanna di Arcora,<br />

in fase di scavo<br />

la frequenza di forme e tipi ceramici presenti,<br />

ma anche per il rituale cultuale e per la scelta<br />

dei siti adibiti a necropoli.<br />

La necropoli in località Contrada Porticone,<br />

situata a sud-ovest rispetto al centro storico di<br />

Termoli, è stata indagata tra il 1978 e il 1983<br />

dalla Soprintendenza Archeologica del Molise,<br />

riportando alla luce 149 sepolture. La necropoli<br />

è situata su di un costone a circa 50-60<br />

m s.l.m., degradante verso nord, lungo la piana<br />

alluvionale formata dal torrente Sinarca, mentre<br />

ad est si affaccia sul mare.<br />

Si tratta di tombe a fossa terragna ricavate<br />

nello strato sabbioso con il defunto deposto in<br />

posizione supina e le braccia distese lungo il<br />

corpo o, talvolta, con gli arti inferiori e superiori<br />

incrociati. Il corredo è generalmente deposto<br />

ai piedi, più raramente all’altezza della<br />

testa. La copertura della fossa è nella maggior<br />

parte dei casi costituita da lastroni, ciottoli fluviali<br />

o conglomerati. Si documenta una scarsa<br />

coerenza nell’orientamento delle tombe e<br />

mancano indizi che facciano pensare a una<br />

organizzazione interna alla necropoli. Tutta-<br />

65


SPECIALE TESI<br />

66<br />

Corredo vascolare a decorazione di “tipo daunio”, della tomba 56 di Contrada Porticone<br />

(da A. Di Niro, 1980)<br />

via è possibile individuare una disposizione<br />

topografica ad anello al cui interno è stata supposta<br />

la divisione in vari nuclei o gruppi familiari,<br />

modello ampiamente diffuso anche nelle<br />

coeve necropoli abruzzesi. Le principali fasi di<br />

vita di questa necropoli, riconosciute cronologicamente<br />

in base agli oggetti del corredo, sono<br />

datate in un periodo compreso tra il VII e il III<br />

secolo a.C. con un picco massimo di utilizzo attestato<br />

durante il VI a.C. Dai dati archeologici<br />

disponibili non è possibile stabilire il rapporto<br />

che intercorreva tra necropoli e abitato, né<br />

l’esatta ubicazione di quest’ultimo. Tuttavia la<br />

presenza di una seconda necropoli coeva in località<br />

Difesa Grande, posta a poca distanza e in<br />

condizioni geomorfologiche similari, può suggerire<br />

la presenza di un insediamento di tipo<br />

sparso, come ipotizzato negli studi di Graeme<br />

Barker. Secondo lo schema individuato dall’archeologo<br />

inglese, la popolazione dell’area si<br />

sarebbe costituita in un insediamento di tipo<br />

paganico-vicano con numerosi abitati anche<br />

relativamente vicini tra loro, ed ognuno con<br />

una propria necropoli di riferimento come<br />

già documentato per l’Abruzzo settentrionale.<br />

I corredi maschili rispecchiano il mondo dei<br />

guerrieri e sono ampiamente confrontabili<br />

con le comunità coeve dell’Abruzzo e del Molise<br />

interno. Si caratterizzano per la presenza di<br />

oggetti come rasoi di bronzo, coltelli a codolo,<br />

spiedi in ferro ed armi come cuspidi di lancia,<br />

giavellotti in bronzo e ferro del tipo comune a<br />

lama foliata a sezione romboidale, con innesto<br />

a cannone. Si è rinvenuto un solo esempio di<br />

spada a lingua di presa (t. 29), di tipo piceno,<br />

risalente alla metà del VI e inizi del V secolo<br />

a.C. Anche il cinturone di bronzo, cosiddetto<br />

sannitico, è documentato in un solo caso. Il costume<br />

femminile, invece, comprende fibule di<br />

bronzo e di ferro, armille, pendenti d’ambra, in<br />

ferro del tipo a “batacchio”, vaghi di pasta vitrea<br />

e raramente fuseruole. Notevolmente documentata<br />

la presenza di ambra, con pendenti<br />

a forma di mascherine o in semplici vaghi di<br />

Rilievo della tomba 1, di Contrada Porticone<br />

(da A. Di Niro, 1980)<br />

A sinistra:<br />

Armilla in bronzo dalla tomba 1 di Contrada Porticone<br />

(da S. Capini, A. Di Niro, 1991)<br />

collana, tipologie diffuse largamente anche<br />

sulla costa abruzzese. L’ambra è una materia<br />

prima d’importazione proveniente soprattutto<br />

dai Balcani e molto apprezzata nel mondo antico,<br />

non solo per la sua bellezza, ma anche per<br />

le sue proprietà terapeutiche e apotropaiche.<br />

La sua presenza a Termoli, come nei centri limitrofi,<br />

illustra come la comunità fosse inserita<br />

nei traffici commerciali e culturali di ampio<br />

raggio. Numerosi sono anche gli anelloni da<br />

sospensione in bronzo nella maggior parte dei<br />

casi rinvenuti sul bacino dell’inumata e variamente<br />

documentati nelle necropoli abruzzesi<br />

e daunie, in ambito laziale e falisco-capenate.<br />

Non mancano sepolture di infanti accompagnate<br />

da corredo costituito da un minor<br />

numero di fibule dello stesso tipo, mentre per<br />

67


SPECIALE TESI<br />

gli adolescenti è frequente la fibula ad arco rivestita<br />

d’ambra od osso. I contatti e gli scambi<br />

con le comunità vicine favoriscono un processo<br />

di acculturazione reciproco reso evidente<br />

dalle testimonianze archeologiche. Nel caso<br />

della costa molisana, e di Termoli in particolare,<br />

i richiami vanno alla Daunia e all’Abruzzo.<br />

Si possono riscontrare affinità non solo<br />

nella cultura materiale, ma anche nei rituali.<br />

Ad esempio, il rinvenimento di due defunti<br />

in posizione rannicchiata, fa pensare alla presenza<br />

di immigrati all’interno della società.<br />

Inoltre trova diffusione anche nella necropoli<br />

adriatica la presenza dell’olla con vaso-attingitoio<br />

che richiama al rituale del banchetto e<br />

in particolare del consumo di vino, il cui uso<br />

è ampiamente documentato anche nelle regioni<br />

vicine. Tuttavia l’evidenza maggiore di<br />

questi scambi è testimoniata dalla produzione<br />

di ceramica depurata a decorazione geo-<br />

68<br />

In basso:<br />

Petacciato, particolare della torre campanaria di<br />

S. Rocco, con la lastra decorata, nel lato est<br />

metrica di tipo daunio, che, per l’età arcaica<br />

trova confronti con la ceramica catalogata da<br />

E. M. De Juliis come “subgeometrico daunio I<br />

e II”. È interessante notare come nonostante i<br />

prodotti vascolari rinvenuti nella necropoli di<br />

Contrada Porticone dichiarino apertamente<br />

l’imitazione di prodotti dauni, essa è di produzione<br />

locale, espressione forse di botteghe<br />

con maestranze allogene o opera di ceramisti<br />

locali che hanno mutuato la tecnica grazie a<br />

possibili scambi culturali e commerciali. Anche<br />

in Contrada Difesa Grande, località a sud<br />

ovest dell’attuale abitato di Termoli, la Soprintendenza<br />

Archeologica del Molise ha individuato<br />

e scavato una necropoli situata su un<br />

terrazzo che affaccia sulla piana alluvionale<br />

del Biferno. In tutto si documentano 43 tombe<br />

a fossa terragna, con inumato disteso supino,<br />

e riempimento costituito da terra, ciottoli e<br />

lastre di arenaria come copertura. Le tombe<br />

infantili presenti in questa necropoli sono prive<br />

di oggetti di corredo. La scarsità di oggetti<br />

o la completa assenza nelle tombe di bambini<br />

indica per la nostra zona una società in cui il<br />

potere ereditario non si è ancora affermato, e<br />

il ruolo sociale non è stabilito alla nascita ma<br />

viene conquistato durante la vita.<br />

I corredi qui rinvenuti sono tipologicamente<br />

affini alla necropoli di Contrada Porticone, ma<br />

cronologicamente successivi. Allo stato attuale<br />

degli studi non è possibile ricostruire eventuali<br />

rapporti tra le due aree o stabilire a quali<br />

siti abitativi esse facciano riferimento.<br />

Nelle due necropoli è assente il carro, contrariamente<br />

a quanto accade in ambiente<br />

abruzzese e marchigiano, tuttavia, si teorizza<br />

anche qui la presenza di gruppi armati a cavallo.<br />

Con tutta probabilità anche la tomba 139<br />

di Contrada Porticone apparteneva a un cavaliere<br />

dal momento che nel corredo sono stati<br />

rinvenuti una cuspide di giavellotto di ferro e<br />

relativo sauroter, posti sul lato destro dell’inumato,<br />

e due gruppi di lamine di bronzo, di cui<br />

uno all’altezza dei piedi e l’altro vicino alla testa,<br />

considerati come elementi di calzari, ma<br />

che si possono leggere verosimilmente anche<br />

come parti di bardature di falere equine.<br />

Proseguendo verso nord s’incontra il moderno<br />

centro abitato di Petacciato a quota<br />

222 m. s.l.m. e distante circa 3 km dalla costa<br />

attuale. Dalle ricognizioni effettuate è stato<br />

possibile recuperare frammenti di ceramica<br />

d’impasto, oltre che ceramica di tipo medievale<br />

e moderna. La presenza di tracce antiche si<br />

riscontra sulla torre campanaria della chiesa<br />

medievale di S. Rocco, costruita con materiale<br />

di reimpiego consistente in grandi blocchi di<br />

arenaria di forma poligonale disposti nelle file<br />

inferiori del tessuto murario e in grandi lastre<br />

di arenaria con figure a rilievo, forse pertinenti<br />

a monumenti funerari romani.<br />

Una lastra raffigura un soldato o gladiatore<br />

con elmo e scudo nella mano sinistra e forse<br />

una spada (gladio?) nella destra. L’immagine<br />

ricorda le scene di combattimenti gladiatori<br />

ampiamente attestati nelle rappresentazioni<br />

di età romana. Un’altra rappresenta un cervo<br />

in fuga con testa reclinata inseguito da un<br />

cane, motivo ben conosciuto e diffuso soprattutto<br />

nel tardo impero. La terza lastra, disposta<br />

accanto a quest’ultima, reca anch’essa una<br />

raffigurazione a rilievo che risulta illeggibile<br />

perché la superficie è molto erosa. Recenti<br />

studi topografici confermano la presenza a Petacciato<br />

di siti archeologici di età romana, in<br />

particolare provengono da località Demanio e<br />

Spugne numerosi frammenti fittili, tra cui antefisse<br />

ed ex voto attribuiti a un deposito votivo<br />

datato tra IV e II a.C.<br />

bibliografia<br />

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del territorio e storia annalistica, Edizione<br />

Italiana Premio “E. T. Salmon” traduzione italiana<br />

a cura di G. De Benedittis, Campobasso.<br />

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della Daunia, Firenze.<br />

D’Ercole M.C. (2002): Importuosa Italiae Litora.<br />

Paysage et échanges dans Adriatique Méridionale<br />

Archaique, Études IV, Centre Jean Bérard,<br />

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lamine rinvenute nella necropoli di Termoli, in<br />

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Capini S., Di Niro A. (1991): Samnium. Archeologia<br />

del Molise, catalogo della mostra, Roma.<br />

69


AGENDA<br />

70<br />

Aprile<br />

22<br />

settembre<br />

20<br />

Lungo le rotte dei<br />

micenei.<br />

L’insediamento<br />

dell’età del bronzo di<br />

Monteroduni (Is)<br />

Isernia<br />

Museo di Santa Maria<br />

delle Monache<br />

Gli scavi condotti in anni recenti<br />

nell’insediamento dell’età del<br />

Bronzo di Monteroduni – località<br />

Paradiso (Isernia) - forniscono<br />

nuovi dati circa i traffici egei nell’Italia<br />

centro-meridionale. Per la prima volta<br />

elementi micenei sono stati individuati<br />

in un sito interno del Molise,<br />

presumibilmente giunti attraverso la<br />

mediazione dei centri costieri dell’Italia<br />

meridionale. Tra i reperti risalenti<br />

al XII sec. a.C., di particolare interesse<br />

sono un frammento di ceramica<br />

tornita dipinta con motivo a spirale di<br />

tipo miceneo e grandi contenitori in<br />

impasto (dolia), per la conservazione<br />

e lo stoccaggio di derrate alimentari,<br />

che ugualmente rinviano a modelli<br />

di origine egea. Altri rinvenimenti<br />

sono stati effettuati nelle immediate<br />

vicinanze e nei livelli archeologici<br />

inferiori (riferibili alle precedenti fasi<br />

dell’età del Bronzo: XX-XIII sec. a.C.),<br />

privi tuttavia di elementi strutturali.<br />

Successivamente la mostra sarà ospitata<br />

nel castello di Monteroduni.<br />

Info: 0874 427313<br />

sba-mol@beniculturali.it<br />

In apertura straordinaria un<br />

pennello elettronico restituisce<br />

all’Ara Pacis i suoi colori originali.<br />

Anche se gli oltre mille anni di<br />

permanenza nel sottosuolo del<br />

Campo Marzio hanno cancellato<br />

dal monumento ogni traccia visibile<br />

di colore, non sussistono dubbi<br />

sul fatto che in origine l’altare<br />

fosse variopinto. La scelta delle<br />

singole tinte risulta da confronti<br />

con la pittura romana, da studi<br />

condotti su monumenti più tardi<br />

ma influenzati dall’Ara Pacis e da<br />

ricerche cromatiche sulle architetture<br />

e sulla scultura greco-romana.<br />

La tecnica di proiezione è stata<br />

aggiornata e rinnovata grazie a<br />

proiettori digitali che consentono<br />

di modificare e modulare i profili e<br />

i colori in tempo reale.<br />

Apertura straordinaria<br />

ore 20- 23: 26, 27, 28 febbraio;<br />

26, 27, 28 marzo; 21, 23, 24, 25 aprile<br />

Info: 060608<br />

arapacis.it<br />

Febbraio<br />

26<br />

Aprile<br />

25<br />

I colori dell’Ara Pacis<br />

Roma<br />

Museo dell’Ara Pacis<br />

Febbraio<br />

21<br />

Giugno<br />

20<br />

Egitto mai visto.<br />

Le dimore eterne di<br />

Assiut e Gebelein<br />

Reggio Calabria<br />

Villa Genoese Zerbi<br />

Tra il 1908 e il 1920, la missione<br />

archeologica italiana diretta da<br />

Ernesto Schiaparelli, porta alla luce,<br />

nelle necropoli di Assiut e Gebelein,<br />

sepolture straordinarie e ricche di<br />

testimonianze relative al contesto<br />

culturale di una provincia dell’Antico<br />

Egitto fra il 2100-1900 a.C. A distanza<br />

di quasi 100 anni, una grande<br />

mostra espone al pubblico circa<br />

400 reperti rimasti per molti anni<br />

chiusi nei depositi del Museo Egizio<br />

di Torino. Sarcofagi a cassa in legno<br />

stuccato e dipinto, che conservano un<br />

ricchissimo corredo, stele che svelano<br />

i segreti della scrittura geroglifica,<br />

e alcune statue in legno, custodiscono<br />

i segreti della vita quotidiana e<br />

della vita nell’aldilà.<br />

Chiusura: lunedì<br />

Orari: 9-13, 16-20 (febbraio-aprile);<br />

9-13, 17-21 (maggio-giugno);<br />

Info: 0965 331360<br />

beniculturali.it<br />

Una straordinaria mostra mette a<br />

confronto due dei più importanti<br />

Imperi della storia mondiale, l’Impero<br />

Romano e le Dinastie cinesi Qin e<br />

Han nel periodo che va dal II sec.<br />

a.C. al II sec. d.C. Un confronto che,<br />

seppur mai avvenuto concretamente<br />

nella storia, risulta estremamente<br />

interessante nella sua apparente<br />

impossibilità: in condizioni storiche<br />

e geografiche del tutto distinte, due<br />

grandi culture hanno sviluppato esiti<br />

ora del tutto diversi, ora simili, differenti<br />

nelle forme esterne, ma affini<br />

nella struttura funzionale. I celeberrimi<br />

guerrieri di terracotta, drappi in<br />

seta, affreschi di epoca Han, modelli<br />

di case, pregiati utensili in bronzo ed<br />

oro, testimoni di un florido impero<br />

cinese, sono solo alcuni esempi<br />

dell’alto livello espositivo e saranno<br />

affiancati da altrettanto maestosi<br />

gruppi statuari in marmo, affreschi,<br />

mosaici, utensili in argento, altari<br />

funebri, appartenenti alla tradizione<br />

artistica dell’Impero Romano.<br />

Info: 02 804062<br />

beniculturali.it<br />

Aprile<br />

1<br />

settembre<br />

5<br />

I due Imperi.<br />

L’aquila e il dragone<br />

Milano<br />

Palazzo Reale<br />

Marzo<br />

5<br />

Attraverso capolavori provenienti<br />

dall’intero bacino del<br />

Mediterraneo, tra cui imponenti<br />

statue in marmo, raffinate opere<br />

in bronzo e terracotta, interi cicli<br />

scultorei, fregi ed elementi di<br />

arredo domestico in bronzo e<br />

argento, del più alto valore stilistico,<br />

la mostra descrive il periodo<br />

successivo alle campagne di<br />

conquista in Grecia, tra la fine del<br />

III sec a.C. e la metà del I sec a..C.,<br />

in cui l’influenza ellenica diviene<br />

preponderante fino a coinvolgere<br />

interamente il mondo culturale<br />

romano. Un’epoca di profondi<br />

cambiamenti nei canoni stilistici e<br />

sul gusto estetico della Roma antica,<br />

uno dei periodi più innovativi<br />

ed originali per l’intero sviluppo<br />

dell’arte occidentale.<br />

museicapitolini.org<br />

settembre<br />

5<br />

I Giorni di Roma:<br />

L’età della<br />

Conquista, Roma e il<br />

mondo greco<br />

Roma<br />

Musei Capitolini<br />

Pompei e il Vesuvio, Pompei e i suoi<br />

scavi tra scienza e mito: la storia<br />

e le suggestioni di un sito unico al<br />

mondo raccolte in una mostra laboratorio<br />

che si propone come la miglior<br />

introduzione alla scoperta di un sito<br />

archeologico visitato ogni anno, da<br />

oltre due milioni di persone. La mostra<br />

è stata concepita con un duplice<br />

intento, e in futuro si trasformerà<br />

infatti in un punto informativo stabile.<br />

Da un lato, attraverso una pluralità<br />

di supporti visivi, exibit scientifici,<br />

manufatti e reperti archeologici,<br />

presentare e approfondire tematiche<br />

connesse con la storia di Pompei<br />

e l’evoluzione degli scavi; dall’altro<br />

lato sensibilizzare e diffondere,<br />

attraverso moderne tecnologie, una<br />

cultura della prevenzione del rischio<br />

vulcanico, un rischio la cui incidenza<br />

in tutto il territorio del Golfo di Napoli<br />

è elevatissima.<br />

Orari: tutti i giorni dalle 8.30 alle<br />

19.30;<br />

Info: 0818575347<br />

ingresso libero<br />

pompeiisites.org<br />

Marzo<br />

30<br />

Agosto<br />

1<br />

Pompei e il Vesuvio.<br />

scienza conoscenza<br />

ed esperienza<br />

Pompei<br />

Scavi di Pompei<br />

71


AGENDA EVENTI<br />

Giornate di archeologia<br />

sperimentale<br />

16 aprile 2010, ore 9:<br />

Museo Sannitico di<br />

Campobasso, Palazzo<br />

Mazzarotta, Via Chiarizia 10<br />

28 aprile 2010, ore 9:<br />

Museo Archeologico<br />

di Isernia, Complesso<br />

monumentale di Santa Maria<br />

delle Monache, C.so Marcelli<br />

48<br />

5 maggio 2010, ore 9:<br />

Area archeologica di Altilia<br />

12 maggio, ore 9:<br />

Area archeologica di Larino,<br />

V. Dante Alighieri 1<br />

Prenotazione obbligatoria<br />

I laboratori sono gratuiti<br />

Info: 3276886400<br />

archeosperimentale@gmail.com<br />

XII settimana della<br />

Cultura<br />

16 aprile - 25 aprile 2010<br />

Il MiBAC apre gratuitamente,<br />

per dieci giorni, tutti i luoghi<br />

statali dell’arte: monumenti,<br />

musei, aree archeologiche,<br />

archivi, biblioteche con dei<br />

grandi eventi diffusi su tutto il<br />

territorio.<br />

Migliaia di appuntamenti:<br />

mostre, convegni, aperture<br />

straordinarie, laboratori<br />

didattici, visite guidate e<br />

concerti che renderanno<br />

ancora più speciale<br />

l’esperienza di tutti i visitatori.<br />

Un’occasione imperdibile per<br />

avvicinarsi alla più grande<br />

ricchezza del nostro Paese: il<br />

nostro patrimonio artistico e<br />

culturale.<br />

beniculturali.it<br />

XII Convegno Nazionale<br />

Colloqui di Egittologia e<br />

Papirologia<br />

“Egitto terra di papiri”<br />

siracusa, 17 - 20 giugno<br />

2010<br />

Un ciclo di incontri aperto<br />

a tutti per discutere sulle<br />

novità più rilevanti in campo<br />

archeologico in Egitto, sugli<br />

studi e ricerche in corso e sul<br />

restauro e la conservazione<br />

dei papiri.<br />

archaeogate.org<br />

Incontri di Archeologia<br />

Museo Archeologico,<br />

Napoli<br />

sba-na.campaniabeniculturali.it<br />

pompeiisites.org<br />

I salone dell’editoria<br />

archeologica<br />

Museo Pigorini, Roma<br />

20 - 23 maggio 2010<br />

Una fiera espositiva e<br />

manifestazione culturale<br />

avente come protagonista<br />

principale il libro di<br />

archeologia intorno al quale<br />

è prevista l’organizzazione<br />

di una serie di eventi legati<br />

all’editoria archeologica.<br />

20 maggio:<br />

Archeologia e le donne:<br />

da Marianna Dionigi a<br />

Margherita Guarducci<br />

21 maggio:<br />

Dalla nascita alla morte:<br />

antropologia e archeologia a<br />

confronto. Incontro di studi in<br />

onore di Claude Lévi-Strauss<br />

22 Maggio:<br />

Nuova editoria archeologica.<br />

L’apporto dei moderni<br />

sistemi comunicativi nella<br />

divulgazione scientifica<br />

23 Maggio<br />

Divulgare l’archeologia:<br />

il ruolo dell’editoria<br />

specializzata. Didattica,<br />

integrazione, comunicazione<br />

ediarche.it<br />

LIBRI<br />

Il pranzo della festa. Una<br />

storia dell’alimentazione in<br />

undici banchetti<br />

Martin Jones<br />

La prossima<br />

volta che ti<br />

siedi a tavola<br />

con i tuoi<br />

famigliari<br />

o con degli<br />

amici, prova<br />

a domandarti<br />

il motivo<br />

per cui gli<br />

umani celebrano questo rito che<br />

per molte altre specie è un vero<br />

anatema. La tendenza a condividere<br />

pacificamente il cibo è un<br />

fenomeno straordinario. È anche<br />

quello che ha avuto le maggiori<br />

conseguenze sull’ambiente e<br />

l’evoluzione sodale degli uomini.<br />

Ma come questo strano e potente<br />

comportamento è divenuto parte<br />

del modo di vivere degli uomini?<br />

Martin Jones ricostruisce lo<br />

sviluppo del rito del pasto utilizzando<br />

le più moderne tecnologie<br />

archeologiche: dagli scimpanzè ai<br />

banchetti regali, dai romani alla<br />

cena consumata davanti alla tv.<br />

Garzanti edizioni<br />

2009, pp.456, € 22<br />

I lettori di ossa<br />

Claudio tuniz , Cheryl Jones,<br />

Richard Gillespie<br />

Chi possiede<br />

il passato?<br />

Come si<br />

leggono le<br />

ossa antiche?<br />

E cosa ci<br />

dicono sulle<br />

nostre origini<br />

i manufatti,<br />

il polline e il<br />

DNA dell’era<br />

glaciale? Usando tecniche sempre<br />

più raffinate, gli scienziati<br />

riescono a ricostruire gli ambienti<br />

del passato profondo e i primi<br />

esseri umani che li abitavano. “I<br />

lettori di ossa” esamina i fatti e i<br />

miti sull’arrivo dei primi uomini<br />

in Australia, spiega come il DNA<br />

degli attuali Aborigeni australiani<br />

getti luce sulle loro origini, guida<br />

alla scoperta dei misteriosi hobbit<br />

indonesiani e indaga su chi o cosa<br />

ha sterminato i marsupiali giganti<br />

dell’Australia. Dalle scoperte della<br />

paleoantropologia australiana<br />

il panorama si amplia quindi ai<br />

dibattiti sulla misteriosa fine dei<br />

Neanderthal, sull’evoluzione e<br />

sulla diffusione della specie umana<br />

nei diversi continenti. Come<br />

spesso accade, su molti di questi<br />

temi gli scienziati sono divisi: “I<br />

lettori di ossa” presenta un mondo<br />

di coloriti personaggi, impegnati<br />

in discussioni appassionate,<br />

che comprendono anche ipotesi<br />

veramente bizzarre. Questo libro<br />

chiarisce le idee a chi è incuriosito<br />

dalle ipotesi, spesso in contrasto<br />

tra loro, sul passato profondo<br />

della preistoria e spiega in modo<br />

accessibile le basi scientifiche<br />

delle più recenti metodologie di<br />

indagine e di datazione.<br />

springer Verlag edizioni,<br />

2009, pp. 284, € 24<br />

De sanguine<br />

Luigi Lombardi satriani<br />

Raccogliendo<br />

i risultati di<br />

un lavoro<br />

di ricerca<br />

condotto<br />

lungo l’arco<br />

di trent’anni,<br />

questo<br />

volume rappresenta<br />

un<br />

contributo<br />

per comprendere le modalità<br />

attraverso cui gli esseri umani<br />

hanno tentato di trascendere la<br />

sofferenza. Lombardi Satriani ci<br />

svela il senso e il fascino del linguaggio<br />

del sangue, la sua densità<br />

di significati e di valori simbolici<br />

attraverso l’analisi di antichi rituali,<br />

formule e credenze; lo studio<br />

degli ex-voto e degli appassionati<br />

discorsi di alcune grandi mistiche;<br />

il racconto dell’opera di veggenti,<br />

maghi, guaritori.<br />

Meltemi edizioni,<br />

2005, pp. 192, € 14<br />

Rito e religione dei Romani<br />

John scheid<br />

In una prospettivastorico-antropologica,<br />

questo<br />

breve ed<br />

utile manuale<br />

concepito<br />

per studenti<br />

universitari,<br />

sperimenta<br />

un nuovo approccio alla divulgazione<br />

della religione dei Romani,<br />

secondo un’impostazione che<br />

l’autore definisce “più strutturale<br />

che cronologica”. Non si tratta,<br />

infatti, del consueto susseguirsi di<br />

capitoli su questo o quel secolo o<br />

su determinati personaggi o fatti<br />

storici, bensì una presentazione<br />

in ordine tematico dei principali<br />

elementi che caratterizzarono la<br />

religione di Roma nei secoli della<br />

Repubblica e dell’Impero. Il testo<br />

è corredato da numerose schede<br />

riepilogative e strumenti didattici.<br />

L’autore, John Scheid, è professore<br />

al Collège de France ed antropologo<br />

delle religioni del mondo<br />

classico tra i più importanti del<br />

nostro tempo.<br />

sestante edizioni,<br />

2009, pp. 208, € 24<br />

72 73


LIBRI<br />

L’immagine scartata<br />

Clive staples Lewis<br />

I temi centrali<br />

del libro<br />

comprendono<br />

la struttura<br />

dell’universo<br />

medievale,<br />

la natura dei<br />

suoi abitanti,<br />

la nozione di<br />

un universo<br />

finito, ordinato<br />

e gestito da una gerarchia<br />

celeste. Allo stesso tempo, Lewis<br />

prende il lettore in un tour di alcuni<br />

dei pinnacoli del pensiero medievale<br />

(alcuni dei quali ereditati<br />

dalla cultura classica del paganesimo),<br />

che sono sopravvissuti nel<br />

paesaggio moderno culturale e<br />

teologico.<br />

Marietti edizioni,<br />

1990, pp. 198, € 15<br />

Dizionario di archeologia.<br />

temi, concetti e metodi<br />

Riccardo Francovich,<br />

Daniele Manacorda<br />

Mai come in<br />

quest’ultimo<br />

ventennio<br />

l’archeologia<br />

storica<br />

ha subito<br />

evoluzioni e<br />

cambiamenti<br />

strutturali<br />

tanto profondi.<br />

Nel corso<br />

dell’Ottocento e del Novecento si<br />

è andata consolidando, soprattutto<br />

nell’Europa centro-settentrionale,<br />

una simmetrica tradizionale<br />

che ha allargato al Medioevo il<br />

raggio di interesse. Il volume, che<br />

non si presenta come manuale<br />

ma con una sua organica e ordinata<br />

articolazione, vuole dare<br />

un’immagine della complessità<br />

74<br />

delle tematiche dell’archeologia<br />

contemporanea, organizzato per<br />

voci e aggiornato che tiene conto<br />

dell’evoluzione e dei profondi<br />

cambiamenti strutturali che l’archeologia<br />

storica ha conosciuto<br />

negli ultimi decenni.<br />

Laterza editore,<br />

2003, pp. 366, € 38<br />

Critica e arti figurative dal positivismo<br />

alla semiologia<br />

Raffaele Mormone<br />

Seppur datato<br />

questo<br />

libro rimane<br />

ancora oggi<br />

un volume<br />

prezioso e<br />

insostituibile<br />

ai fini di un<br />

approccio alle<br />

problematiche<br />

relative alla critica d’arte.<br />

società editrice napoletana,<br />

1975, pp. 368<br />

samnites Pentri. quadro<br />

geostorico di un genocidio<br />

Paolo Nuvoli<br />

Il volume di<br />

Nuvoli si concentra<br />

sulla<br />

ricostruzione<br />

dei rapporti –<br />

principalmente<br />

di natura<br />

bellica – tra<br />

Roma e Sannio<br />

pentro. In<br />

particolare,<br />

sono accuratamente indagati i<br />

presupposti e gli sviluppi della<br />

c.d. Guerra Sociale, l’ultima violenta<br />

guerra tra Italici e Romani.<br />

L’attento uso delle fonti, la struttura<br />

narrativa ed il crescendo<br />

drammatico che caratterizza<br />

il testo rendono il libro ricco di<br />

informazioni e di piacevole lettura,<br />

nonostante qualche lacuna<br />

bibliografica riguardante la recente<br />

storia degli studi. L’ipotesi<br />

di fondo del volume – e cioè che<br />

Silla volle farla finita una volta per<br />

tutte con i Sanniti, ad ogni costo<br />

ed esemplarmente – non è né<br />

nuova né di difficile intelligenza<br />

per chi sia avvezzo a Livio ed alle<br />

fonti romane, ma ciò che in ultima<br />

analisi dovrebbe convincere ed<br />

appassionare il lettore è, più che<br />

l’originalità delle ipotesi, il modo<br />

di presentare i dati da parte di un<br />

autore palesemente mosso da<br />

spirito di partecipazione al dramma<br />

del fiero popolo sannita.<br />

Aquilonia edizioni,<br />

2008, pp. 343, € 30,00<br />

quando i cavalli avevano le<br />

dita. Misteri e stranezze<br />

della natura<br />

stephan Jay Gould<br />

La zebra<br />

è bianca a<br />

strisce nere o<br />

nera a strisce<br />

bianche?<br />

Perché le<br />

imperfezioni<br />

presenti negli<br />

organismi<br />

sono prova<br />

dell’evoluzione?<br />

Domande a volte bizzarre,<br />

aneddoti, mostri e meraviglie<br />

della natura diventano occasioni<br />

di approfondite e brillanti indagini<br />

nel campo della paleontologia,<br />

della biologia, della storia naturale,<br />

contribuendo con la loro<br />

varietà a suggerire la complessità<br />

e il fascino delle problematiche<br />

connesse all’evoluzionismo.<br />

Feltrinelli editore,<br />

2000, pp. 415, €12,50

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