Greco > La figura dell'aedo nella letteratura greca
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Nel XVII libro dell’Odissea il porcaio Eumeo, fedele servitore di Odisseo, inserisce l’aedo in un<br />
elenco di artigiani, ossia di bravi professionisti che possono essere chiamati, all’occorrenza, da<br />
luoghi lontani:<br />
Chi mai potrebbe andare in un paese o in un altro a invitare un estraneo che non appartenga alla<br />
classe degli artigiani? Che non sia un indovino, un medico, un falegname o un aedo divino) che<br />
col suo canto diletta? Queste persone si invitano, sulla terra vastissima.<br />
(Odissea, XVII, 382-386)<br />
Ma solitamente gli aedi, come nel caso di Demodoco presso i Feaci, vivono a corte e sono<br />
chiamati nelle sale di riunione quando la loro attività professionale si rende necessaria:<br />
E l’aedo divino chiamate, Demodoco, cui hanno concesso gli dei il dono del canto, per nostro<br />
diletto, quando lo ispira il suo cuore.<br />
(Odissea, VIII, 43-45)<br />
A corte si trova anche Femio, peraltro in una situazione anomala: il signore Odisseo è assente<br />
e l’aedo è costretto a eseguire i suoi canti per i Proci che si riuniscono a palazzo, facendo<br />
baldoria, in attesa che Penelope prenda una decisione.<br />
Dopo il banchetto, dunque, i pretendenti s’intrattengono al canto di Femio:<br />
Ma quando furono sazi di cibo e di bevande, ad altro pensarono allora i pretendenti, al canto e<br />
alle danze che allietano ogni banchetto. Nelle mani di Femio, che per i Proci era costretto, contro<br />
sua voglia, a cantare, pose l’araldo una cetra bellissima, e l’aedo toccò le corde e diede inizio al<br />
suo canto.<br />
(Odissea, I, 150-154)<br />
Il cantore dell’Odissea presenta dunque se stesso e i suoi “colleghi” come professionisti e li<br />
descrive in modo accurato, con speciale riferimento al fatto che il canto è ispirato dalla<br />
divinità ed è finalizzato a dilettare quanti lo ascoltano. <strong>La</strong> natura e il fine del canto meritano<br />
una particolare menzione, perché l’aedo si colloca – come l’indovino, anch’esso fornito di<br />
ispirazione divina e della capacità di una vista differente da quella umana e, perciò, raf<strong>figura</strong>to<br />
cieco – in una posizione speciale tra gli uomini a causa del contatto privilegiato con la divinità<br />
e per l’effetto che ottiene con il suo canto, istituendo un rapporto di empatia con il suo<br />
pubblico.<br />
LA CETRA, STRUMENTO DI LAVORO<br />
L’aedo dei poemi omerici accompagna il proprio canto con il suono della cetra e l’arte di<br />
suonare la cetra è espressa con verbi derivati. <strong>La</strong> cetra, ricavata da una cassa armonica e da un<br />
corpo di legno cui vengono applicate quattro corde (e, successivamente, sette) è lo strumento<br />
di lavoro dell’aedo: la sua musica è supporto indispensabile del canto e garantisce sia<br />
l’esecuzione, grazie all’armonia tra parola, ritmo e musica, sia l’effetto sul pubblico.<br />
L’Inno a Ermes testimonia l’invenzione della cetra a opera del divino fanciullo, figlio degli<br />
amori segreti di Zeus e della ninfa Maia, e collega indissolubilmente la cetra ad Apollo.