Greco > La figura dell'aedo nella letteratura greca
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L’AEDO e IL PUBBLICO<br />
Elementi per ricostruire la <strong>figura</strong> dell’aedo e la funzione del suo canto in epoca arcaica si<br />
trovano:<br />
nell’Iliade<br />
nell’Odissea<br />
diversi passaggi dell’Inno a Ermes (Inni omerici, IV)<br />
Si tratta di desumere dalle opere stesse gli elementi che contribuiscono a chiarire modi e<br />
forme della performance aedica, così come si svolgeva, in diverse occasioni, <strong>nella</strong> società che<br />
emerge dalla più antica epica a noi pervenuta, cercando di cogliere un modo di fare poesia che<br />
comprende un lungo periodo di tempo (VIII-VI sec. a.C.) e affonda le sue radici nei secoli<br />
precedenti.<br />
DIFFERENZA TRA AEDO E RAPSODO<br />
Omero usa il nome di aedo (ἀοιδός «cantore») sia per il poeta sia per il recitatore; solo dal 5°<br />
sec. a.C. è usato il termine ῥαψῳδός, inteso poi dai moderni come recitatore di canti altrui in<br />
opposizione ad aedo, poeta. Tale contrapposizione non pare accettabile, perché in Omero<br />
ῥάπτω vale anche «escogitare con arte» ed Esiodo narra di aver preso parte a un agone<br />
rapsodico. I rapsodi divennero semplici recitatori solo col sorgere dell’elegia, del giambo e<br />
della prosa, che con nuove problematiche rispondevano alle nuove esigenze civili e politiche<br />
dei Greci. Dapprima i rapsodi avevano probabilmente domicilio fisso: a Chio erano organizzati<br />
in una specie di gilda e si chiamarono Omeridi; poi dal 5° sec. a.C. andarono errabondi di<br />
paese in paese prendendo parte agli agoni rapsodici nelle feste (per es., nelle Panatenee), in<br />
cui recitavano Omero in modo drammatico, accompagnando il canto, e i gesti, col suono della<br />
lira. In età più recente presero a recitare tenendo un bastone in mano (da tale circostanza<br />
deriverebbe la falsa etimologia della parola da ῥάβδος «verga»).<br />
L’AEDO DILETTANTE, EROE O DIVINITÀ<br />
Nei pochi passaggi dell’Iliade in cui si fa esplicito riferimento ai cantori, si parla o di<br />
“dilettanti”o di “professionisti”, che fanno uso della cetra. Importante è anche la mediazione<br />
con il divino:<br />
E così allora per l’intera giornata fino al tramonto del sole banchettavano: a ognuno non mancò<br />
la sua giusta porzione. E non mancava il suono della cetra bellissima, la teneva in mano Apollo:<br />
c’erano anche le muse che cantavano alternandosi con voce melodiosa.<br />
(Iliade, I, 601-604)<br />
L’AEDO “ARTIGIANO DELLA PAROLA”, A SERVIZIO DELLA CORTE<br />
Quella dell’aedo rappresenta una situazione presentata come abituale nell’Odissea: l’aedo è un<br />
professionista al servizio di una corte o chiamato in occasioni specifiche per la sua<br />
competenza.
Nel XVII libro dell’Odissea il porcaio Eumeo, fedele servitore di Odisseo, inserisce l’aedo in un<br />
elenco di artigiani, ossia di bravi professionisti che possono essere chiamati, all’occorrenza, da<br />
luoghi lontani:<br />
Chi mai potrebbe andare in un paese o in un altro a invitare un estraneo che non appartenga alla<br />
classe degli artigiani? Che non sia un indovino, un medico, un falegname o un aedo divino) che<br />
col suo canto diletta? Queste persone si invitano, sulla terra vastissima.<br />
(Odissea, XVII, 382-386)<br />
Ma solitamente gli aedi, come nel caso di Demodoco presso i Feaci, vivono a corte e sono<br />
chiamati nelle sale di riunione quando la loro attività professionale si rende necessaria:<br />
E l’aedo divino chiamate, Demodoco, cui hanno concesso gli dei il dono del canto, per nostro<br />
diletto, quando lo ispira il suo cuore.<br />
(Odissea, VIII, 43-45)<br />
A corte si trova anche Femio, peraltro in una situazione anomala: il signore Odisseo è assente<br />
e l’aedo è costretto a eseguire i suoi canti per i Proci che si riuniscono a palazzo, facendo<br />
baldoria, in attesa che Penelope prenda una decisione.<br />
Dopo il banchetto, dunque, i pretendenti s’intrattengono al canto di Femio:<br />
Ma quando furono sazi di cibo e di bevande, ad altro pensarono allora i pretendenti, al canto e<br />
alle danze che allietano ogni banchetto. Nelle mani di Femio, che per i Proci era costretto, contro<br />
sua voglia, a cantare, pose l’araldo una cetra bellissima, e l’aedo toccò le corde e diede inizio al<br />
suo canto.<br />
(Odissea, I, 150-154)<br />
Il cantore dell’Odissea presenta dunque se stesso e i suoi “colleghi” come professionisti e li<br />
descrive in modo accurato, con speciale riferimento al fatto che il canto è ispirato dalla<br />
divinità ed è finalizzato a dilettare quanti lo ascoltano. <strong>La</strong> natura e il fine del canto meritano<br />
una particolare menzione, perché l’aedo si colloca – come l’indovino, anch’esso fornito di<br />
ispirazione divina e della capacità di una vista differente da quella umana e, perciò, raf<strong>figura</strong>to<br />
cieco – in una posizione speciale tra gli uomini a causa del contatto privilegiato con la divinità<br />
e per l’effetto che ottiene con il suo canto, istituendo un rapporto di empatia con il suo<br />
pubblico.<br />
LA CETRA, STRUMENTO DI LAVORO<br />
L’aedo dei poemi omerici accompagna il proprio canto con il suono della cetra e l’arte di<br />
suonare la cetra è espressa con verbi derivati. <strong>La</strong> cetra, ricavata da una cassa armonica e da un<br />
corpo di legno cui vengono applicate quattro corde (e, successivamente, sette) è lo strumento<br />
di lavoro dell’aedo: la sua musica è supporto indispensabile del canto e garantisce sia<br />
l’esecuzione, grazie all’armonia tra parola, ritmo e musica, sia l’effetto sul pubblico.<br />
L’Inno a Ermes testimonia l’invenzione della cetra a opera del divino fanciullo, figlio degli<br />
amori segreti di Zeus e della ninfa Maia, e collega indissolubilmente la cetra ad Apollo.
Ermes, appena nato, si allontana dalla culla, incontra sul suo cammino una tartaruga e ha<br />
l’idea di trasformarla in un “grazioso giocattolo” canoro, destinato a produrre la musica che<br />
accompagna il canto:<br />
Quand’ebbe terminato il grazioso giocattolo,<br />
lo impugnò e col plettro saggiò le corde, a ritmo: un tintinnio<br />
acuto rispose al tocco della mano. Il dio intonò un canto soave,<br />
tentando di improvvisare, come fanno i ragazzi nelle feste, quando si scambiano scherzi<br />
pungenti.<br />
(Inno a Ermes)<br />
Dopo aver costruito la “tartaruga canora”, Ermes rapisce le mandrie degli dèi e viene scoperto<br />
da Apollo, che lo ascolta incantato mentre intona un canto al suono della lira:<br />
Tenendo la lira <strong>nella</strong> sinistra<br />
la saggiò col plettro, a ritmo: e quella, al tocco<br />
della mano, risuonò melodiosa. Sorrise Febo<br />
Apollo, deliziato: gli arrivò al cuore il suono armonioso dello strumento divino, e mentre<br />
ascoltava<br />
lo invase un desiderio dolcissimo. Toccando soavemente<br />
le corde, prese coraggio il figlio di Maia, fermo alla sinistra<br />
di Febo Apollo: con l’accompagnamento della lira intonò un canto – e lo assecondava la voce<br />
aggraziata – celebrando gli dei immortali e la nera terra. Narrava come nacquero e come<br />
ciascuno ebbe<br />
il suo destino.<br />
(Inno a Ermes, 418-428)<br />
Apollo, compagno delle Muse e dunque della musica, del canto e della danza, affascinato dallo<br />
strumento, loda Ermes che glielo concede, riservandosi la gloria dell’invenzione. Si sancisce in<br />
tal modo un legame tra le due divinità che sono per gli uomini fondamentali mediatori di<br />
conoscenza:<br />
Ma poiché t’è venuta voglia di suonare la cetra, canta e suona e abbandonati a questo piacere che<br />
io ti do: a me però lascia la gloria, amico. Tieni in mano la compagna armoniosa e canta, tu che<br />
sai dire cose così belle e aggraziate.<br />
Dovunque ci sono banchetti lussuosi, danze<br />
amabili, e feste splendide, portala con te in pace,<br />
perché dia gioia al giorno e alla notte. Se la<br />
interroga qualcuno preparato con arte e dottrina,<br />
essa insegna col canto cose gradite alla mente,<br />
quando è suonata con dolcezza da mano educata.<br />
(Inno a Ermes, 475-485; trad. G. Zanetto)<br />
LE OCCASIONI DEL CANTO<br />
Nel rivolgersi ad Apollo, Ermes elenca le occasioni in cui la cetra accompagna il canto<br />
dell’aedo: banchetti, feste e danze. Le feste si svolgono spesso nel megaron. Il cantore<br />
dell’Odissea passa in rassegna situazioni analoghe, ponendo un accento particolare sulle
numerose circostanze in cui si svolgono i banchetti, un’attività connessa in modo specifico al<br />
modello di vita aristocratico e all’ospitalità e, dunque, perfettamente adatto a una narrazione<br />
come quella odisseica, dedicata al viaggio, alle soste, agli incontri in terre straniere, al ritorno<br />
ed ai riconoscimenti. Se, quindi, nell’Iliade si trova testimonianza dell’attività dell’aedo come<br />
svago dell’eroe che, <strong>nella</strong> sua tenda, si diletta al canto accompagnandosi con la musica (Iliade,<br />
IX, 186) o anche quella di un canto intonato per accompagnare il lavoro (ad es. la scena della<br />
vendemmia sullo scudo di Achille in Iliade, XVIII,569-572), nell’Odissea la <strong>figura</strong> professionale<br />
del l’aedo compare stabilmente nelle situazioni di banchetto (<strong>nella</strong> reggia di Odisseo a Itaca;<br />
<strong>nella</strong> reggia di Alcinoo a Scheria). Così, quando Odisseo in veste di mendicante giunge nei<br />
pressi del palazzo, si rivolge a Eumeo, che lo accompagna, descrivendo ciò che si svolge<br />
all’interno della reggia come una festa aristocratica:<br />
Eumeo, questa è certo la bella dimora di Odisseo: riconoscerla è facile, anche tra molte. Tutto è<br />
disposto bene, il cortile è chiuso da mura con cornicioni aggettanti, hanno saldi battenti alle<br />
porte, nessuno potrebbe far meglio. Mi par di capire che dentro vi sono molte persone sedute a<br />
banchetto, perché si sente profumo di carne arrostita e risuona la cetra, che della mensa gli dei<br />
fecero amica.<br />
(Odissea, XVII, 264-271)<br />
<strong>La</strong> festa aristocratica, caratterizzata dal banchetto e dal canto dell’aedo, può svolgersi in<br />
occasioni diverse: un atto di ospitalità (Odissea, VIII, 40-45), un matrimonio (ad es. il<br />
banchetto di nozze alla corte di Menelao, a Sparta, per i figli del sovrano in Odissea, IV, 3-19).<br />
Essa può prevedere anche un momento dedicato in modo specifico alla danza, come avviene<br />
alla corte di Alcinoo, dove, dopo il banchetto, il re apre le danze accompagnate dalla musica e<br />
dal canto dell’aedo (Odissea, VIII, 250-265), oppure durante le feste panelleniche (panegureis)<br />
in cui i partecipanti provenivano da ogni parte del mondo greco. Nel programma di queste<br />
feste erano inseriti veri e propri concorsi poetici affiancati anche da gare atletiche.<br />
IL REPERTORIO DEL CANTO<br />
Un campionario efficace dei contenuti dei canti che gli aedi intonano in queste occasioni di<br />
stampo aristocratico è presentato <strong>nella</strong> raf<strong>figura</strong>zione del professionista della parola<br />
all’opera: troviamo Femio che canta il ritorno degli eroi (Odissea, I,326-327); Demodoco che<br />
narra episodi della guerra di Troia (una lite tra Achille e Odisseo in Odissea, VIII, 75-82; e, su<br />
richiesta di Odisseo, l’episodio del cavallo di Troia, Odissea, VIII, 487-498), ma anche fatti<br />
divini, come gli amori di Ares e Afrodite (Odissea, VIII, 267-366); nell’inno a lui dedicato,<br />
Ermes canta la propria nascita da Zeus e dalla ninfa Maia, e l’origine degli dèi (Inno a Ermes,<br />
428 ss.).<br />
<strong>La</strong> più ampia testimonianza di performance aedica pervenutaci, oltre naturalmente ai due<br />
grandi poemi – l’Iliade e l’Odissea –, è costituita proprio dai racconti di Odisseo: egli, dopo aver<br />
ascoltato i canti di Demodoco ed essersi emozionato fino alle lacrime, si fa cantore delle<br />
proprie avventure facendo precedere la narrazione da un riepilogo, breve ma efficace, sul<br />
contesto in cui un aedo opera:<br />
O Alcinoo potente, fra le tue genti illustre, certo è bello ascoltare un cantore com’è costui, che ha<br />
la voce simile a quella di un dio. Io dico che non esiste cosa più bella di quando regna la gioia tra
il popolo e <strong>nella</strong> sala i convitati, seduti l’uno accanto all’altro, stanno a sentire l’aedo; sono pieni i<br />
tavoli di pane, di carni, e vino attinge dalla coppa grande il coppiere per versarlo nei calici.<br />
Questa a me sembra, nell’animo, la cosa più bella.<br />
(Odissea, IX, 2-11; trad. M. G. Ciani)<br />
e continua rievocando le disavventure che l’hanno portato a vagare per luoghi più o meno<br />
ospitali, reali e fantastici, per dieci lunghi anni.<br />
Tra pianti (Odissea, I, 336), lunghi silenzi (Odissea, I, 325-326; VIII, 234), ammirazione e<br />
rimproveri (Odissea, I, 337-344; VIII, 536-538), si dipana dunque l’attività dell’aedo nelle<br />
diverse situazioni. Dalla rappresentazione emerge con chiarezza il professionista della musica<br />
e della parola che acquista progressiva consapevolezza della propria arte: egli sa cantare in<br />
prima persona (il poeta/i poeti dell’Iliade e dell’Odissea), impersonare altri cantori (Femio e<br />
Demodoco) e cedere la parola a un personaggio che, in veste di aedo, narra le proprie vicende.<br />
In tal modo possiamo osservare come la consumata arte della parola, abbinata al ritmo e alla<br />
cadenza del metro, propria dell’aedo di professione (ossia l’epos) si avvii a divenire<br />
consapevolezza di poeta.