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Non seppi mai che<br />
Treja fosse una città<br />
murata; che le Mura<br />
si chiamassero così<br />
perché giravano<br />
all’esterno dell’antica<br />
muraglia.<br />
Trea, Mon tecchio,<br />
Treia, ovvero 25<br />
secoli di storia<br />
che vanno dall’età<br />
romana al medioevo<br />
all’epoca moderna.<br />
Dalla pas seggiata<br />
che costeggia le mura<br />
il panorama spazia<br />
dal Monte Conero ai<br />
Sibillini.<br />
Mura turrite che<br />
ci riportano al<br />
Duecento, i tempi<br />
del Beato Pietro<br />
da Treia, di cui si<br />
parla nei Fioretti<br />
di San Francesco,<br />
e di Federico II, il<br />
cui fi glio Enzo tentò<br />
invano di espu gnarle<br />
attraverso Corrado<br />
Porta Vallesacco<br />
Sul crinale lungo e stretto,<br />
cominciava a settentrione<br />
un’antichissima porta, vecchie<br />
case salivano ripidamente sino<br />
alla spianata del palazzo vescovile strozzata<br />
dal duomo. Di lì, con bei palazzi, una strada<br />
larga saliva, se non proprio ripidamente certo<br />
con forte pendio, fi nché s’appianava sfociando<br />
nella Piazza del Municipio e del monumento<br />
aereo. Pianeggiante riappariva, si riapriva<br />
nella Piazzetta del Teatro: un salotto; si<br />
restringeva, si ramifi cava nell’irregolare<br />
fantastico spazio della Rotonda, precipitava<br />
a destra; a sinistra, quasi dritta, con<br />
breve discesa e breve salita arrivava allo<br />
spazio immenso davanti all’Ospedale: una<br />
sconfi nata piazza d’aria, di luce, di vuoto;<br />
di lì s’entrava in qualche cosa che strade<br />
non erano, vicoli nemmeno; erano passaggi,<br />
scoscendimenti, fossi, tra scure casette<br />
accatastate; era la misteriosa Ojolina che<br />
fi niva in uno slargo informe dove, oltre a<br />
un’interminabile scalinata per salire a un<br />
convento che lì pareva una montagna, e a<br />
un’antichissima porta del paese, c’era un po’<br />
di tutto: salite, discese, casupole e casette,<br />
due chiese, due sagrestie, un pozzo e nessuna<br />
bottega.<br />
Da quel basso ove affondava la pesantezza<br />
del duomo, sensibilmente o no, il crinale<br />
saliva sempre verso mezzogiorno; all’uscita<br />
da Ojolina, da quel sommosso slargo<br />
puntava per l’estrema, ardita, meravigliosa<br />
impennata della roccia che, spezzando di<br />
colpo il paese, protendeva al cielo il torrione di<br />
San Marco.<br />
Fuori c’era uno spazio erboso sotto al<br />
torrione: una prua da cui si vedevano solo<br />
lontananze. Tra il torrione e lo spazio erboso<br />
si congiungevano le Mura. Si diceva così, ma<br />
mura non erano, erano strada: una strada<br />
bianca che girandogli attorno, conteneva il<br />
paese: le Mura di ponente e quelle di levante;<br />
ci si affacciava il dietro delle case e gli orti<br />
sui terrapieni… Non seppi mai che Treja<br />
fosse una città murata; che le Mura<br />
si chiamassero così perché giravano<br />
all’esterno dell’antica muraglia. Eppure<br />
qualche mozzicone lo vedevo, ma era un<br />
pezzetto di paese fatto a quel modo, non<br />
era un superstite; alcune case sorgevano<br />
come vegetazione muraria su qualcosa che<br />
poteva essere roccia o anche resti di muri<br />
amalgamati con i secoli.<br />
Non supponevo il fascino delle rovine. La<br />
Torre di San Marco, per quanto mezzo<br />
diroccata, per me non era una rovina, era,<br />
dopo la Piazza, la cosa più bella del paese...<br />
d’Antiochia. I treiesi<br />
lo vinsero a Porta<br />
Vallesacco che si<br />
erge ancora in tutta<br />
la sua imponenza<br />
come la Torre del-<br />
Via Lanzi<br />
l’On glavina: estremo<br />
baluardo della città<br />
verso sud, risale al<br />
periodo longobardo.<br />
Torre di San Marco<br />
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