14.06.2013 Views

S.I.S. PIEMONTE Il mito di Orfeo e Didone tra musica e poesia ...

S.I.S. PIEMONTE Il mito di Orfeo e Didone tra musica e poesia ...

S.I.S. PIEMONTE Il mito di Orfeo e Didone tra musica e poesia ...

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

S.I.S. <strong>PIEMONTE</strong><br />

<strong>Il</strong> <strong>mito</strong> <strong>di</strong> <strong>Orfeo</strong> e <strong>Didone</strong> <strong>tra</strong> <strong>musica</strong> e <strong>poesia</strong>.<br />

Specializzata: CLAUDIA REGIS<br />

Superviore: Prof. BARBARA GAROFANI<br />

Anno accademico 2008/2009


IL CONTESTO<br />

La scuola e l’in<strong>di</strong>rizzo<br />

Questa UD è stata sperimentata durante il mio tirocinio attivo in una classe II <strong>di</strong> un Liceo Classico.<br />

La classe e il livello<br />

Nelle ore preliminari <strong>di</strong> osservazione, <strong>tra</strong>scorse per aver modo <strong>di</strong> conoscere gli allievi, ho trovato<br />

una classe motivata, partecipe alle lezioni, costante nello stu<strong>di</strong>o e con un profitto sod<strong>di</strong>sfacente,<br />

<strong>tra</strong>nne poche eccezioni, pur con un certo <strong>di</strong>vario <strong>tra</strong> l’orale (più sod<strong>di</strong>sfacente) e lo scritto (in cui<br />

anche gli studenti migliori trovavano alcune <strong>di</strong>fficoltà).<br />

Al momento del mio arrivo il tutor, che è rimasto fedele alla scansione “<strong>tra</strong><strong>di</strong>zionale” del<br />

programma <strong>di</strong> latino, che <strong>di</strong>stingueva la letteratura dagli autori, stava affrontando Lucrezio. Questo<br />

mi sarebbe tornato utile in seguito, per proporre un confronto <strong>tra</strong> la <strong>poesia</strong> <strong>di</strong>dascalica <strong>di</strong> Virgilio e<br />

quella <strong>di</strong> Lucrezio appunto. <strong>Il</strong> fatto che la classe affrontasse la letteratura separata dagli autori, e<br />

quin<strong>di</strong> in II Virgilio venisse stu<strong>di</strong>ato in letteratura, dopo aver già stu<strong>di</strong>ato l’anno scorso, in autori,<br />

brani dalle Bucoliche, ha fatto sì che io impostassi il mio lavoro riducendo il numero <strong>di</strong> brani<br />

affrontati in lingua, es<strong>tra</strong>polati dalle altre due opere virgiliane. Per cercare però <strong>di</strong> rendere il mio<br />

intervento più significativo, ho pensato <strong>di</strong> lavorare sull’aspetto dell’ intertestualità, a cui la<br />

letteratura latina ben si presta. Far riflettere i ragazzi sui legami <strong>tra</strong> autori <strong>di</strong>versi appartenenti alla<br />

stessa cultura o a culture <strong>di</strong>verse, presentare la letteratura come un continuo <strong>di</strong>alogo <strong>tra</strong> testi della<br />

stessa età o <strong>di</strong> epoche <strong>di</strong>verse (sul piano sincronico e <strong>di</strong>acronico), è un modo per stimolare negli<br />

studenti un approccio critico verso la letteratura, troppo spesso considerata come un deposito <strong>di</strong><br />

cose morte. Per questo, parlando <strong>di</strong> <strong>Didone</strong>, può risultare interessante abbozzare un confronto con<br />

l’eroina <strong>di</strong> Ovi<strong>di</strong>o e con altre figure appartenenti alla stessa tipologie <strong>di</strong> amanti abbandonate. Inoltre<br />

ho voluto dare alla mia UD la fisionomia <strong>di</strong> un percorso inter<strong>di</strong>sciplinare (oltre che intertestuale),<br />

prevedendo <strong>di</strong> accostare al testo latino la versione <strong>musica</strong>le dei brani analizzati. Pur consapevole<br />

della complessità <strong>di</strong> un tale intervento, infatti, ritengo che, soprattutto in un contesto me<strong>di</strong>o – alto<br />

come quello in cui ha preso vita il mio tirocinio, sia importante, là dove i contenuti si prestano,<br />

affrontare itinerari eterogenei, che favoriscano la <strong>di</strong>mensione metacognitiva degli allievi.<br />

FINALITA’ DEL MIO INTERVENTO DIDATTICO<br />

Oggi, anche in un liceo classico, la <strong>di</strong>fficoltà maggiore degli allievi è la padronanza della lingua e<br />

dei suoi meccanismi, sia per quella <strong>di</strong> partenza (in questo caso il latino), sia per quella d’arrivo<br />

(l’italiano). Proprio per questo ritengo che l’analisi dei passi d’autore possano <strong>di</strong>ventare un<br />

1


ulteriore momento <strong>di</strong> esercizio <strong>di</strong> <strong>tra</strong>duzione: con questo fine ho de<strong>di</strong>cato molto tempo all’analisi<br />

morfosintattica dei brani, anche a costo <strong>di</strong> <strong>di</strong>latare i tempi, perché ritengo essenziale che gli studenti<br />

si rendano conto <strong>di</strong> come e perché abbiamo <strong>tra</strong>dotto, anziché imparare mnemonicamente la<br />

<strong>tra</strong>duzione resa dall’insegnante.<br />

Da musicista mi sono sentita spesso ripetere (e a mia volta ho ripetuto a lungo) che non esiste un<br />

unico metodo, una impostazione universalmente valida, che ognuno è <strong>di</strong>verso, ha proprie<br />

caratteristiche fisiche e psicologiche che lo portano a “cercarsi” una propria s<strong>tra</strong>da. Essendo la<br />

<strong>musica</strong> un’arte, è prima <strong>di</strong> tutto libera espressione <strong>di</strong> una sensibilità in<strong>di</strong>viduale. E’ anche vero,<br />

però, che per poter <strong>di</strong>ventare arte, la <strong>musica</strong> ha bisogno <strong>di</strong> una tecnica, e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> regole precise a<br />

cui si è costretti e <strong>di</strong> <strong>di</strong>vieti che vengono categoricamente imposti. I due aspetti, a mio avviso, sono<br />

contemporaneamente presenti, e l’abilità dell’artista sta proprio nel celare la tecnica sotto<br />

all’espressione, la fatica <strong>di</strong>etro ad un’apparente spontaneità.<br />

A scuola mi sono chiesta spesso se valesse lo stesso principio. L’insegnante deve assecondare le<br />

libere pre<strong>di</strong>sposizioni degli allievi, quin<strong>di</strong> sollecitare la personale interpretazione, la creatività e<br />

l’intuizione o deve fornire delle regole, dei precetti e dei <strong>di</strong>vieti? L’importante è che scrivano, e<br />

non importa come scrivono? Va già bene se in modo più o meno approssimativo comprendono il<br />

senso <strong>di</strong> un testo, senza impuntarsi troppo se la loro <strong>tra</strong>duzione non è propriamente corretta?<br />

Qualsiasi musicista sa bene quanta fatica, quante ore (magari davanti ad uno specchio) passate per<br />

correggere un impercettibile movimento del proprio corpo che possa anche solo lievemente<br />

compromettere non l’espressività, ma la “pulizia” formale. Sono pienamente d’accordo con la<br />

necessità <strong>di</strong> non mettere delle briglie troppo strette agli allievi, sul fatto che formare non significa<br />

plasmare a propria immagine e somiglianza gli studenti, però penso che compito dell’insegnante sia<br />

non stancarsi mai <strong>di</strong> correggere ciò che non è corretto, in<strong>di</strong>care il modo per migliorarsi, anche se<br />

costa fatica e sforzo <strong>di</strong> autocontrollo. Solo una volta che gli studenti avranno imparato delle regole<br />

certe e quando le sapranno pienamente padroneggiare, po<strong>tra</strong>nno permettersi <strong>di</strong> infrangerle, ma in<br />

modo consapevole, per fini espressivi od estetici, e non per <strong>di</strong>s<strong>tra</strong>zione o stu<strong>di</strong>o superficiale.<br />

Per questo motivo, ad esempio, ritengo essenziale, nel caso del latino, che gli studenti sappiano<br />

essere padroni della lingua per poter apprezzare la letteratura. Conoscere bene la lingua non vuol<br />

certo <strong>di</strong>re pretendere che conoscano a memoria tutte le eccezioni delle declinazioni o tutti i<br />

para<strong>di</strong>gmi, ma che siano in grado <strong>di</strong> <strong>tra</strong>durre in modo consapevole e letterale. Solo così po<strong>tra</strong>nno<br />

poi chiedersi perché l’autore ha utilizzato un certo costrutto al posto <strong>di</strong> un altro, e po<strong>tra</strong>nno<br />

apprezzarne le scelte stilistiche. Per tornare al paragone con la <strong>musica</strong>, la lingua è la nos<strong>tra</strong> tecnica,<br />

in<strong>di</strong>spensabile base su cui costruire l’arte letteraria. E’ fondamentale pertanto che gli studenti<br />

capiscano che la lingua è lo strumento scelto dall’autore per veicolare dei messaggi, per rendere,<br />

2


con un lessico ben preciso, con accorgimenti retorici, con il ritmo metrico, le sfumature del proprio<br />

pensiero e della propria immaginazione. Lo stu<strong>di</strong>o della lingua non deve quin<strong>di</strong> essere fine a se<br />

stesso, ma un necessario momento propedeutico all’approccio coi testi.<br />

Fermo restando che nella pratica scolastica attuale non è più richiesta, al latino, una competenza<br />

linguistica “ attiva” o “ produttiva”, ma esclusivamente “ ricettiva”, <strong>di</strong>venta necessario il principio<br />

della “cen<strong>tra</strong>lità del testo”, la cui lettura, analisi, comprensione e <strong>tra</strong>duzione dovrebbero costituire<br />

l’obiettivo primario ed essenziale già per il biennio, come si evidenzia nelle in<strong>di</strong>cazioni dei<br />

programmi Brocca, là dove si raccomanda un approccio <strong>di</strong>retto con la lingua documentata nei testi,<br />

magari at<strong>tra</strong>verso materiali <strong>di</strong>dattici eventualmente semplificati e adattati. La parola testo, dal latino<br />

textus, è un tessuto organico <strong>di</strong> parole or<strong>di</strong>nato secondo i principi <strong>di</strong> coesione e coerenza, al fine <strong>di</strong><br />

<strong>tra</strong>smettere un messaggio <strong>di</strong> senso compiuto che, per quanto <strong>tra</strong>mandato in una lingua non più<br />

parlata, attende <strong>di</strong> essere deco<strong>di</strong>ficato dall’interlocutore per poter poi essere interpretato e fruito.<br />

Piegando, nel mio tirocinio, la letteratura a continue intersezioni con la <strong>musica</strong>, non ho voluto<br />

scalzare il primato del testo e della sua cen<strong>tra</strong>lità, ma al con<strong>tra</strong>rio, proprio partendo dal testo stesso,<br />

mos<strong>tra</strong>re la continuità <strong>di</strong> temi e <strong>di</strong> luoghi comuni at<strong>tra</strong>verso i secoli, fino alla cultura moderna.<br />

TEMPI, REQUISITI DI BASE E OBIETTIVI<br />

<strong>Il</strong> mio intervento prevede 12 ore <strong>di</strong> lezione da 50 minuti, <strong>di</strong> cui 9 de<strong>di</strong>cate alle spiegazioni in classe,<br />

2 alla verifica e una alla consegna e correzione delle stessa.<br />

Dal momento che in II le ore settimanali <strong>di</strong> latino sono 4, una delle quali viene spesso de<strong>di</strong>cata<br />

all’esercitazione in classe <strong>di</strong> <strong>tra</strong>duzione, lo svolgimento <strong>di</strong> questa unità <strong>di</strong>dattica richiede un mese e<br />

mezzo <strong>di</strong> lezione.<br />

Tenendo conto, come già detto, che la classe ha affrontato, in I, la <strong>tra</strong>ttazione <strong>di</strong> Virgilio in autori,<br />

leggendo e <strong>tra</strong>ducendo brani dalle Bucoliche, i requisiti <strong>di</strong> base necessari per svolgere il mio<br />

intervento sono:<br />

conoscenze:<br />

- conoscenza del contesto storico in cui si inserisce Virgilio: l’età augustea e suoi caratteri<br />

- conoscenza della posizione <strong>di</strong> Virgilio all’interno dell’ ideologia augustea<br />

- conoscenza della biografia <strong>di</strong> Virgilio, e, parzialmente, delle sue opere<br />

- conoscenza del genere letterario dell’epica e del poema <strong>di</strong>dascalico<br />

- conoscenza <strong>di</strong> Lucrezio, De Rerum Natura, con particolare riferimento al libro IV, vv.1037<br />

– 1287<br />

- conoscenza dei fondamentali principi <strong>di</strong> proso<strong>di</strong>a<br />

3


- conoscenza delle più comuni figure retoriche <strong>di</strong> suono, <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne e <strong>di</strong> significato<br />

- a livello linguistico, conoscenza delle strutture morfosintattiche della lingua latina<br />

- conoscenza del lessico <strong>di</strong> base della lingua latina<br />

capacità:<br />

- capacità <strong>di</strong> analizzare un testo latino per procedere alla <strong>tra</strong>duzione in italiano<br />

- capacità <strong>di</strong> prendere appunti<br />

- capacità <strong>di</strong> rielaborare in modo critico quanto appreso<br />

- capacità <strong>di</strong> esporre in modo appropriato, con un lessico adeguato<br />

- capacità <strong>di</strong> ascoltare un brano <strong>musica</strong>le<br />

competenze:<br />

- saper riflettere in modo critico sul testo<br />

- saper <strong>tra</strong>durre un testo<br />

- saper operare confronti <strong>tra</strong> testi <strong>di</strong>versi <strong>di</strong> uno stesso autore o <strong>di</strong> autori <strong>di</strong>fferenti<br />

- saper cogliere in un testo gli elementi caratteristici, a livello contenutistico e stilistico, <strong>di</strong> un<br />

autore specifico<br />

- saper attuare un confronto inter<strong>di</strong>sciplinare<br />

Gli obiettivi che questa UD persegue sono:<br />

conoscenze:<br />

- conoscenza delle Georgiche e dell’Eneide, del loro contenuto e delle loro caratteristiche<br />

formali<br />

- conoscenza del <strong>mito</strong> <strong>di</strong> <strong>Orfeo</strong> ed Euri<strong>di</strong>ce: il significato simbolico del <strong>mito</strong>, la sua<br />

sopravvivenza in autori classici e moderni<br />

- conoscenza delle <strong>tra</strong>sposizioni <strong>musica</strong>li del <strong>mito</strong> <strong>di</strong> <strong>Orfeo</strong> ed Euri<strong>di</strong>ce<br />

- conoscenza della figura <strong>di</strong> <strong>Didone</strong>: la sua statura drammatica, l’evoluzione del personaggio,<br />

la sua fine <strong>tra</strong>gica<br />

- conoscenza della presenza della figura <strong>di</strong> <strong>Didone</strong> in altri autori<br />

- conoscenza delle interpretazioni <strong>musica</strong>li del <strong>mito</strong> <strong>di</strong> <strong>Didone</strong><br />

capacità:<br />

- consolidamento delle capacità in<strong>di</strong>spensabili come requisiti <strong>di</strong> base<br />

4


competenze:<br />

- saper cogliere la specificità del linguaggio e dello stile <strong>di</strong> Virgilio<br />

- saper in<strong>di</strong>viduare, all’interno dei brani selezionati, un percorso tematico unitario<br />

- saper ricondurre gli argomenti <strong>musica</strong>li affrontati all’interno del percorso letterario<br />

METODI E STRUMENTI<br />

Innanzitutto penso sia opportuno precisare i principi car<strong>di</strong>ne alla base <strong>di</strong> un percorso<br />

inter<strong>di</strong>sciplinare che, per sua natura, nasce come un progetto complesso e ambizioso:<br />

- lo scopo <strong>di</strong>chiarato <strong>di</strong> un intervento inter<strong>di</strong>sciplinare è esaminare, parallelamente, un testo<br />

letterario e uno <strong>musica</strong>le focalizzati sullo stesso argomento<br />

- ovviamente, però, la classe non ha competenze <strong>musica</strong>li, <strong>tra</strong>ttandosi <strong>di</strong> un Liceo Classico. Questo<br />

per forza <strong>di</strong> cose con<strong>di</strong>zionerà la <strong>tra</strong>ttazione, che non potrà essere musicologia né, d’al<strong>tra</strong> parte, ha<br />

velleità <strong>di</strong> tal genere. L’insegnante che si accinge a un progetto <strong>di</strong> tal genere deve quin<strong>di</strong> cercare,<br />

nel limite del possibile, <strong>di</strong> eliminare ogni forma <strong>di</strong> tecnicismo, perseguendo in primo luogo obiettivi<br />

linguistici e letterari, e ponendosi, secondariamente, come scopo anche un’educazione<br />

all’“immaginario”, all’espressione artistica in senso lato<br />

- <strong>di</strong> conseguenza, al centro dell’ UD dovrà sempre e comunque esserci il testo latino, unità da cui<br />

partire e a cui far sempre riferimento.<br />

Inoltre, intendendo l’educazione letteraria come un rapporto <strong>di</strong>retto <strong>tra</strong> studente e testo, è<br />

importante che gli allievi vengano coinvolti in modo attivo durante l’analisi dei testi, guidandoli<br />

con richieste ben precise.<br />

Per quanto riguarda gli strumenti, essendo questo percorso a cavallo <strong>tra</strong> più <strong>di</strong>scipline, è necessario<br />

che l’insegnante pre<strong>di</strong>sponga <strong>di</strong>spense e appunti per aiutare gli studenti a seguire quelle parti più<br />

prettamente <strong>musica</strong>li, che ovviamente non sono presenti sul libro <strong>di</strong> testo. Per questo mi sono<br />

servita spesso <strong>di</strong> fotocopie e del PC portatile per far ascoltare i brani <strong>musica</strong>li a cui ho fatto<br />

riferimento durante le spiegazioni.<br />

Per quanto riguarda i testi, invece, ho fatto riferimento al libro in adozione.<br />

5


PROCEDURA<br />

1° lezione: 1 ora<br />

Sono sufficienti poche parole per motivare la scelta <strong>di</strong> far ruotare un’intera UD attorno al tema<br />

dell’amore, sebbene all’interno dell’opera virgiliana ci siano molti altri “filoni” importanti e<br />

senz’altro “più battuti”. <strong>Il</strong> tema amoroso può essere utile per far risaltare la novità della <strong>poesia</strong><br />

virgiliana: è proprio l’eros, infatti, che dà, all’interno del contesto epico, maggiore spessore ai suoi<br />

personaggi, facendoli muovere <strong>tra</strong> luci ed ombre. Enea è un eroe nuovo perchè conosce i sentimenti,<br />

ha una complessità sconosciuta alle figure omeriche proprio in virtù della sua natura più complessa<br />

e più tormentata. L’eros conferisce una particolare problematicità alla <strong>poesia</strong> bucolica e <strong>di</strong>dascalica<br />

<strong>di</strong> Virgilio, contribuendo a rappresentare la <strong>tra</strong>ge<strong>di</strong>a della sofferenza, del dolore e infine della morte<br />

nel mondo agricolo, spesso apparentemente imperturbabile. La tematica dell’amore, quin<strong>di</strong>, può<br />

fornire una possibile chiave <strong>di</strong> lettura per interpretare la poetica virgiliana e inoltre consente <strong>di</strong><br />

muoversi all’insegna della continuità, confrontando il poema <strong>di</strong>dascalico virgiliano con quello<br />

lucreziano, e le rispettive concezioni dell’ eros.<br />

Da questo semplice schema risultano evidenti le tappe <strong>di</strong> questo lavoro, che, partendo dal testo, si<br />

muoverà in altre <strong>di</strong>rezioni:<br />

1) GEORGICHE: genere, struttura, temi<br />

2) III Libro: vv. 242-263: Amor omnibus idem confronto con LUCREZIO<br />

3) IV Libro: il <strong>mito</strong> <strong>di</strong> <strong>Orfeo</strong> ed Euri<strong>di</strong>ce per la struttura confronto con CATULLO<br />

4) ENEIDE: IV libro, la figura <strong>di</strong> <strong>Didone</strong><br />

per il tema confronto in MUSICA<br />

5) Libro IV: versi 595-629 confronto con le altre EROINE ABBANDONATE<br />

della letteratura<br />

<strong>Didone</strong> in <strong>musica</strong><br />

Già da questo schema risalta la particolarità dell’impostazione del mio intervento, che implica, da<br />

parte degli studenti, un approccio inconsueto alla letteratura latina, con una apertura verso la<br />

<strong>musica</strong>. L’idea, per loro nuova, <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are il latino in una <strong>di</strong>mensione inter<strong>di</strong>sciplinare suscita<br />

sicuramente molte curiosità: che versi dell’età augustea possano aver ispirato forme artistiche<br />

<strong>di</strong>verse, come quella <strong>musica</strong>le, anche in età vicine alla nos<strong>tra</strong>, fa riflettere su come il latino, almeno<br />

la sua letteratura, non sia del tutto morto, ma abbia goduto, e forse goda ancora, <strong>di</strong> ottima salute!<br />

6


Ma lo stupore lascia presto il posto all’interesse, se si considera che il linguaggio poetico e quello<br />

<strong>musica</strong>le, <strong>di</strong> qualunque genere, dal melodramma al pop, rispondono alle stesse esigenze espressive e<br />

la loro struttura, la loro sintassi, non è poi così <strong>di</strong>versa.<br />

Prima <strong>di</strong> affrontare i brani in lingua, è necessario partire dal concetto <strong>di</strong> furor ed eros in Virgilio:<br />

che cosa vuol <strong>di</strong>re parlare <strong>di</strong> amor come furor in Virgilio?<br />

Per far comprendere agli studenti come la concezione dell’amore <strong>di</strong> Virgilio sia pessimistica è<br />

sufficiente leggere loro alcuni versi volutamente es<strong>tra</strong>polati dalle Bucoliche, escluse dal mio<br />

percorso: in questo modo, alla fine delle mie lezioni, sarà evidente come la concezione <strong>tra</strong>gica<br />

dell’amore sia un filo rosso che accomuna l’intera opera virgiliana.<br />

Scrivendo alla lavagna questi versi, si evidenziano le parole chiave connesse all’eros che poi<br />

ritorneranno nei passi delle Georgiche presi in esame:<br />

Ecloga III, 101: “idem amor exitium pecori pecorisque magistero” (il medesimo amore è rovina al<br />

gregge e al custode del gregge). Fin da questi versi emergono due dati fondamentali: l’amore è<br />

identificato come exitium, cioè rovina, ed accomuna in uno stesso <strong>tra</strong>gico destino la bestia e l’uomo.<br />

Ecloga VI : il poeta, che partecipa emotivamente alla sofferenza <strong>di</strong> Pasifae, in preda a un amore<br />

innaturale per un toro, rivolge un’accorata apostrofe alla misera fanciulla, verso 47 : “A, virgo<br />

infelix, quae te dementia cepit?” (ah, <strong>di</strong>sgraziata fanciulla, quale follia ti prese?), in cui la passione<br />

amorosa viene definita demenza, ricalcando, con una sorta <strong>di</strong> autocitazione, il monologo con cui<br />

Coridone (tormentato da un amore non ricambiato) nell’Ecloga II compiange se stesso, verso 69: “A<br />

Corydon, Corydon, quae te dementia cepit!”: le due esperienze amorose, se pure <strong>di</strong>verse, sono<br />

simili per gli effetti devastanti, e vengono accomunate da Virgilio nel segno <strong>di</strong> una medesima follia.<br />

Ancora più dolenti nella X Ecloga le note della <strong>di</strong>sperazione <strong>di</strong> Gallo, verso 69: “Omnia vincit<br />

Amor, et nos cedamus Amori” (l’Amore vince su tutto, e noi ce<strong>di</strong>amo all’Amore). L’amore ha una<br />

forza <strong>tra</strong>volgente, è più forte <strong>di</strong> ogni cosa, nulla riesce a lenire l’amore infelice <strong>di</strong> Gallo per<br />

Licoride, neppure la pace dell’Arca<strong>di</strong>a: la violenza dell’eros arriva a sconvolgere anche il mondo<br />

bucolico, apparentemente imperturbabile; è in grado <strong>di</strong> devastare tutto e tutti.<br />

Ricapitolando, fin dalle Bucoliche emerge la forza accecante dell’eros: un istinto che <strong>tra</strong>volge tanto<br />

il mondo animale quanto quello umano, una furia devastante che proietta un’ombra <strong>di</strong> morte: “mori<br />

me denique coges” (mi spingerai infine a morire), canta Coridone, Ecloga II, verso 7; e più volte<br />

nelle Georgiche come nell’Eneide, l’eros viene associato alla morte, in un drammatico connubio.<br />

Dunque, con un semplice schema, vengono sintetizzati alla lavagna gli aspetti fondamentali della<br />

concezione virgiliana dell’amore, fin qui emersa:<br />

7


AMOR<br />

Idem exitium Dementia Omnia vincit Mori coges<br />

(rovina che accomuna ( follia) (Vince ogni cosa) (Porterà come estrema<br />

uomini e animali) conseguenza alla morte)<br />

Che l’amore in Virgilio sia spesso associato al concetto <strong>di</strong> rovina esistenziale, <strong>di</strong> sofferenza,<br />

malattia e morte risulta da una semplice statistica lessicale: se si scrivono alla lavagna i sostantivi e<br />

gli aggettivi che ricorrono più spesso nelle tre opere virgiliane per identificare la passione erotica, li<br />

si può ricondurre tutti ad un medesimo campo semantico: quello della sofferenza, come si vede da<br />

questo schema:<br />

Sostantivi (in or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> frequenza) Aggettivi<br />

Insania aeger amarus crudelis<br />

Error exitium furor durus improbus in<strong>di</strong>gnus<br />

Cura dementia infandus insanus malus saevus<br />

per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> sè<br />

sollicitus<br />

C’è una sola eccezione: pius viene definito l’amore <strong>di</strong> Eurialo e Niso, ma la pietas del loro amore<br />

non basta a salvarli. Certo esiste anche un aspetto più dolce e meno passionale dell’amore, ma<br />

ugualmente <strong>tra</strong>gico, che vive soprattutto nelle parole con cui Enea ricorda la moglie scomparsa<br />

(Libro II): anche in questo caso l’eroe si definisce misero (v. 738, heu misero) e folle (v. 745,<br />

amens) mentre vaga nella città alla ricerca <strong>di</strong> Creusa. Se questo errare <strong>tra</strong> le mura in preda al delirio<br />

ci preannuncia la stessa scena della follia <strong>di</strong> <strong>Didone</strong>, è però profondamente <strong>di</strong>verso il sentimento<br />

che anima i due episo<strong>di</strong>: è la morte e non la passione a rendere <strong>di</strong>sperato Enea (v. 772, infelix). <strong>Il</strong><br />

rimpianto per una vita serena, in patria e <strong>tra</strong> gli affetti famigliari, risuona anche nel momento della<br />

separazione da <strong>Didone</strong> nel IV libro: se gli dei gli avessero concesso <strong>di</strong> vivere come avrebbe voluto,<br />

lo <strong>di</strong>ce esplicitamente Enea, sarebbe rimasto a Troia, vicino alle reliquie dei suoi, che infatti<br />

vengono definite dolci (dulcisque meorum reliquias colerem, v.342). In questi versi, dunque,<br />

8


Virgilio canta l’amore coniugale, che ritornerà con <strong>Orfeo</strong> ed Euri<strong>di</strong>ce, un amore che non ha nulla <strong>di</strong><br />

ferino e selvaggio, ma neppure questo è esente dalla sofferenza e dal dolore.<br />

La visione dell’amore come evento perturbatore della vita non è certo una novità ascrivibile a<br />

Virgilio: la filosofia epicurea, come gran parte delle filosofie ellenistiche, condannava l’amore in<br />

quanto ostacolo alla saggezza. <strong>Il</strong> riferimento più imme<strong>di</strong>ato, per restare all’ambito epicureo, è<br />

quin<strong>di</strong> Lucrezio, nel finale del Libro IV. Anche in Lucrezio l’amore aveva una connotazione<br />

negativa: l’atto erotico, inteso come possesso materiale, viene visto come fonte <strong>di</strong> ansia e tormento<br />

e non <strong>di</strong> piacere, ma soprattutto viene condannato l’aspetto psichico dell’amore, in quanto passione<br />

cieca che provoca la per<strong>di</strong>ta del prestigio, del decoro e che genera gelosia ed ossessione. <strong>Il</strong><br />

richiamo a Lucrezio non è casuale, dal momento che nel corso della <strong>tra</strong>ttazione, soffermandomi sul<br />

III Libro delle Georgiche, si analizzerà il rapporto <strong>tra</strong> i due poeti e il debito <strong>di</strong> Virgilio verso<br />

Lucrezio.<br />

Come ho già mos<strong>tra</strong>to con queste brevi note introduttive, Virgilio, appunto sulla scia <strong>di</strong> Lucrezio,<br />

<strong>tra</strong>sferisce agli animali le stesse passioni devastanti che <strong>tra</strong>volgono gli uomini. <strong>Il</strong> quadro che ne<br />

deriva è reso ancora più amaro proprio da questo comune destino: gli animali sono vittime<br />

incolpevoli <strong>di</strong> una violenza istintiva a cui non si può sfuggire poiché l’impeto irrazionale dell’eros<br />

tormenta senza scampo ogni essere animato, e se per Lucrezio l’uomo, in quanto essere razionale,<br />

può trovare salvezza in una sorta <strong>di</strong> amore filosofico, agli animali, proprio perchè essere istintivi,<br />

questo non è concesso.<br />

2° lezione: 1 ora<br />

Questa seconda lezione si concen<strong>tra</strong> sul poema <strong>di</strong>dascalico, analizzandone il genere, la struttura e<br />

le tematiche. <strong>Il</strong> titolo stesso dell’opera <strong>tra</strong><strong>di</strong>sce l’appartenenza al genere letterario del poema<br />

<strong>di</strong>dascalico, nel solco <strong>di</strong> una lunga <strong>tra</strong><strong>di</strong>zione letteraria che partendo da Esiodo si era svuotata con i<br />

poeti ellenistici nell’aspetto contenutistico a favore <strong>di</strong> un puro virtuosismo descrittivo. Per cercare<br />

<strong>di</strong> essere il meno teorici possibile, anziché fare uno sterile elenco <strong>di</strong> nomi nell’ambito del genere<br />

<strong>di</strong>dascalico da cui Virgilio si <strong>di</strong>scosta o ai quali si avvicina, può essere più produttivo guidare gli<br />

studenti a ricavare i modelli e i contenuti dell’opera <strong>di</strong>rettamente dal testo.<br />

Partendo da questi versi<br />

Libro II, vv. 490-494:<br />

Felix qui potuit rerum cognoscere causas / atque metus omnis et inexorabile fatum / subiecit<br />

pe<strong>di</strong>bus strepitumque Acherontis avari. / Fortunatus et ille, deos qui novit agrestis, /<br />

Panaque Silvanumque senem Nymphasque sorores.<br />

9


(Felice chi ha potuto investigare le cause delle cose e mettere sotto i pie<strong>di</strong> tutte le paure e il<br />

fato inesorabile e lo strepito dell’avido Acheronte. Fortunato anche colui che conosce gli dei<br />

agricoli, Pan e il vecchio Silvano e le Ninfe sorelle.)<br />

non dovrebbe risultare <strong>di</strong>fficile intuire chi sia questo uomo definito da Virgilio felix. L’immagine<br />

dell’uomo che ha calpestato sotto i suoi pie<strong>di</strong> le paure superstiziose fa venire in mente l’elogio che<br />

Lucrezio tesse <strong>di</strong> Epicureo e della sua prometeica sfida contro il Mostro della religio. Dunque,<br />

Virgilio sembra istituire un <strong>di</strong>alogo a <strong>di</strong>stanza con Lucrezio, ma perché? Perché è stato Lucrezio a<br />

riscoprire il filone della grande <strong>poesia</strong> <strong>di</strong>dascalica. Investita da uno slancio missionario, la <strong>poesia</strong> <strong>di</strong><br />

Lucrezio si era servita del miele della bellezza formale per <strong>tra</strong>smettere la sua amara me<strong>di</strong>cina, il suo<br />

messaggio <strong>di</strong> salvezza, e anche la <strong>poesia</strong> <strong>di</strong> Virgilio vuole offrire degli insegnamenti per l’umanità.<br />

Tra i due poemi ci sono chiare analogie, riconducibili alla ricerca <strong>di</strong> una forma morale e spirituale <strong>di</strong><br />

autosufficienza in risposta alla crisi della repubblica romana. Diversa è però la soluzione proposta:<br />

il saggio lucreziano si libera dalla pressione della storia at<strong>tra</strong>verso la ragione, ma Virgilio definisce<br />

felice anche colui che conosce ancora gli dei agricoli. L’ideale <strong>di</strong> vita proposto nelle Georgiche,<br />

dunque, alternativo alla saggezza epicurea, è la filosofia, umile e quoti<strong>di</strong>ana, del pius agricola, che<br />

senza avere una conoscenza scientifica vive a contatto con la natura, fedele alla religiosità<br />

<strong>tra</strong><strong>di</strong>zionale.<br />

O fortunatos nimium, sua si bona novit, / agricolas!<br />

riprende Virgilio, con un’apostrofe che risuona come una <strong>di</strong>chiarazione <strong>di</strong> poetica: la <strong>poesia</strong> <strong>di</strong><br />

Virgilio vuole essere (apparentemente) più modesta <strong>di</strong> quella lucreziana, rinuncia a spiegare<br />

l’universo, gli astri, le eclissi, per cantare una materia senza gloria, ossia le campagne e i boschi.<br />

Non ambisce a conoscere scientificamente i fenomeni naturali, “accontentandosi” <strong>di</strong> sua bona<br />

noscere. <strong>Il</strong> conta<strong>di</strong>no fortunatus, che conosce le <strong>di</strong>vinità agresti, in una contemplazione ingenua<br />

della natura, è con<strong>tra</strong>pposto all’uomo felix, colui che è illuminato dal messaggio lucreziano-<br />

epicureo. Così “le due figure as<strong>tra</strong>tte – il felix e il fortunatus – rappresentano due ideali destinatari;<br />

sono complementari alle figure dei due poeti-<strong>di</strong>daskaloi che il testo ha appena modellato. La prima<br />

figura realizza nitidamente in sé il messaggio <strong>di</strong>dattico <strong>di</strong> Lucrezio: è per così <strong>di</strong>re il lettore ideale<br />

del De rerum natura; la seconda riassume l’insegnamento che Virgilio vuole ora <strong>tra</strong>smettere, la più<br />

modesta conoscenza <strong>di</strong> un modo sereno per vivere” (Garbarino 1991:413-416).<br />

Un’al<strong>tra</strong> questione delicata è quella del de<strong>di</strong>catario dell’opera e dell’ideologia ad essa sottesa.<br />

10


Libro III, vv. 40-41:<br />

Interea Dryadum silvas saltusque sequamur / intactos, tua, Mecenas, haud mollia iussa<br />

(Intanto seguiamo i boschi delle Dria<strong>di</strong> e le balze inviolate al tuo, Mecenate, non indulgente<br />

volere)<br />

Virgilio si riferisce <strong>di</strong>rettamente a Mecenate, il potente protettore vicino al principe Ottaviano. <strong>Il</strong><br />

destinatario dell’opera, quin<strong>di</strong>, è Mecenate, che infatti compare all’inizio dei proemi <strong>di</strong> ogni libro.<br />

Ma come deve essere interpretata l’espressione “tuo non indulgente volere”? La scelta<br />

dell’argomento georgico sembrerebbe essere stata suggerita al poeta dal patrono, d’al<strong>tra</strong> parte non<br />

va <strong>di</strong>menticato il contesto storico: la terribile crisi politica e sociale aveva coinvolto anche la<br />

piccola e me<strong>di</strong>a proprietà conta<strong>di</strong>na, già danneggiata dall’estendersi del latifondo e ancora toccata<br />

dalle devastazioni della guerra civile. Dunque un’opera sul lavoro dei campi poteva avere anche un<br />

significato politico, inserendosi a pieno titolo all’interno del programma <strong>di</strong> risanamento <strong>di</strong> Augusto.<br />

<strong>Il</strong> poema, però, non è semplicemente un’opera <strong>di</strong> propaganda scritta su or<strong>di</strong>nazione, semmai<br />

Virgilio, anche per le sue vicende biografiche, si mos<strong>tra</strong> particolarmente sensibile al <strong>mito</strong> nazionale<br />

dell’unità italica, in una spontanea convergenza con il programma augusteo: i valori <strong>tra</strong><strong>di</strong>zionali che<br />

il poeta invita a restaurare, at<strong>tra</strong>verso il ritorno alla terra, sono infatti gli stessi che Augusto si era<br />

imposto <strong>di</strong> realizzare dopo la vittoria <strong>di</strong> Azio.<br />

Stabiliti il genere letterario e i contenuti, vale la pena soffermarsi ancora sulla struttura del poema,<br />

per far risaltare la calibrata architettura formale, che può essere schematizzata alla lavagna con una<br />

semplice tabella:<br />

LIBRO I LIBRO II LIBRO III LIBRO IV<br />

TEMI Lavoro dei campi Arboricoltura Allevamento<br />

bestiame<br />

del Apicoltura<br />

PROEMI Lungo Breve Lungo Breve<br />

DIGRESSIONI<br />

FINALI<br />

Guerre civili Lode della vita<br />

agreste<br />

Peste degli<br />

animali del<br />

Norico<br />

Storia <strong>di</strong> Aristeo e<br />

le sue api<br />

Come si vede, è una struttura sorretta da somiglianze e con<strong>tra</strong>sti: innanzitutto l’or<strong>di</strong>ne in cui sono<br />

collocati i temi <strong>di</strong>segna una curva in cui l’uomo è sempre meno protagonista per lasciare sempre più<br />

spazio alla natura: al macrocosmo dell’uomo del primo libro risponde il microcosmo delle api nel<br />

quarto. Inoltre i libri pari e quelli <strong>di</strong>spari sembrano accoppiati da chiare corrispondenze: il I e il III<br />

11


libro hanno un proemio lungo, il II e il IV breve; e ancora, i finali si richiamano quasi a specchio: i<br />

libri <strong>di</strong>spari hanno una conclusione <strong>tra</strong>gica, alle guerre civili del mondo umano corrisponde la<br />

pestilenza del mondo animale. I libri pari invece hanno delle <strong>di</strong>gressioni rasserenanti: l’elogio della<br />

vita campestre del libro II si oppone alla minaccia della guerra, come la rinascita delle api nel libro<br />

IV replica allo sterminio della pestilenza. Dunque una polarità <strong>tra</strong> temi <strong>di</strong> vita e temi <strong>di</strong> morte.<br />

3° lezione: 1 ora<br />

In questa lezione viene affrontato il primo brano in lingua: Libro III, vv. 242-263, Amor omnibus<br />

idem. La lettura metrica non presenta particolari <strong>di</strong>fficoltà, tolto forse il primo verso, che è uno dei<br />

pochi esempi <strong>di</strong> verso ipermetro presente nelle Georgiche. Più tempo richiede invece la <strong>tra</strong>duzione,<br />

se si decide <strong>di</strong> fare preventivamente la costruzione morfo-sintattica dei perio<strong>di</strong>, in modo che i<br />

ragazzi capiscano la motivazione della resa italiana e soprattutto siano poi in grado <strong>di</strong> ricondurre,<br />

consapevolmente, la <strong>tra</strong>duzione al testo originale. Personalmente penso che la <strong>tra</strong>duzione non vada<br />

fornita preventivamente agli studenti sottoforma <strong>di</strong> fotocopia, altrimenti, trovandosi già il lavoro<br />

pronto, rischiano <strong>di</strong> non prestare la dovuta attenzione alla fase <strong>di</strong> analisi. Contestualmente è utile<br />

fornire un apparato eterogeneo <strong>di</strong> note, nel quale far confluire a mano a mano osservazioni sia <strong>di</strong><br />

carattere linguistico sia <strong>di</strong> carattere stilistico.<br />

Per cercare <strong>di</strong> stimolare il più possibile il coinvolgimento <strong>di</strong> tutta la classe nella fase <strong>di</strong> analisi, si<br />

possono porre agli studenti 4 richieste: a livello sintattico in<strong>di</strong>viduare<br />

1) i connettivi (congiunzioni copulative o avversative, pronomi ripetuti, avverbi in correlazione)<br />

at<strong>tra</strong>verso cui il testo è reso coeso<br />

2) le congiunzioni o i pronomi impiegati per introdurre gli enunciati subor<strong>di</strong>nati<br />

A livello semantico evidenziare:<br />

3) le parole chiave che concorrono a definire la passione erotica, senza però citare <strong>di</strong>rettamente<br />

l’amore<br />

4) la definizione esplicita dell’amore<br />

Ómne adeó ׀ genus ín terrís ׀ hominúmque ferárumque<br />

ét genus aéquoreúm ׀, pecudés pictaéque volúcres,<br />

ín furiás ׀ ignémque ruúnt:׀ amor ómnibus ídem.<br />

245 Témpore nón alió ׀ catulórum oblíta leaéna<br />

saévior érravít ׀ campís ׀ nec fúnera vólgo<br />

tám multa ínformés ׀ ursí ׀ s<strong>tra</strong>gémque dedére<br />

12


pér silvás; ׀ tum saévos apér,׀ tum péssima tígris;<br />

héu, male túm Libyaé ׀ solís errátur in ágris.<br />

250 Nónne vidés, ׀ ut tóta ׀ tremór pertémptet equórum<br />

córpora, ׀ sí tantúm ׀ notás odor áttulit áuras?<br />

Ác neque eós ׀ iam fréna virúm ׀ neque vérbera saéva,<br />

nón scopulí ׀ rupésque cavae ׀ átque obiécta retárdant<br />

flúmina ׀ córreptósque ׀ undá torquéntia móntis.<br />

255 Ípse ruít ׀ dentésque ׀ Sabéllicus éxacuít sus<br />

ét pede prósubigít ׀ terrám, ׀ fricat árbore cóstas<br />

átque hinc átque illínc ׀ umerós ad vólnera dúrat.<br />

Quíd iuvenís, ׀ magnúm ׀ cui vérsat in óssibus ígnem<br />

dúrus amór? ׀ Nempe ábruptís ׀ turbáta procéllis<br />

260 nócte natát caecá ׀ serús freta; ׀ quém super íngens<br />

pórta tonát caeli, ׀ ét scopulís inlísa reclámant<br />

aéquora; ׀ néc miserí ׀ possúnt revocáre paréntes<br />

néc moritúra supér ׀ crudéli fúnere vírgo.<br />

<strong>Il</strong> primo elemento che appare evidente è che nel testo prevale un andamento paratattico. Le<br />

subor<strong>di</strong>nate rin<strong>tra</strong>cciabili, infatti, sono poche: una interrogativa retorica, un periodo ipotetico e una<br />

completiva. Tra l’altro tutte e tre ravvicinate, concen<strong>tra</strong>te nella parte cen<strong>tra</strong>le, quasi a voler in<strong>di</strong>care<br />

un infittirsi della tensione emotiva. Nella parte conclusiva, poi, abbiamo ancora due relative con il<br />

verbo all’in<strong>di</strong>cativo, con riferimento alla <strong>tra</strong>gica fine del giovane innamorato. Per il resto<br />

prevalgono le coor<strong>di</strong>nate per polisindeto, <strong>tra</strong>mite le congiunzioni: moltissime soprattutto le<br />

congiunzioni copulative enclitiche. Queste rendono coeso il testo, così come le anafore<br />

(tum…tum…tum) o gli avverbi in correlazione (hinc … illic).<br />

A livello semantico, le parole chiave che identificano la passione sono: furia, ignes (2 occorrenze),<br />

saevus (3 occorrenze), tremor: tutti termini che in<strong>di</strong>cano una forza devastante, irrazionale e<br />

incontrollabile. L’amore però, esplicitamente, viene citato solo due volte: al v. 259 viene definito<br />

durus, ma soprattutto il v. 244 è fondamentale per comprendere la concezione virgiliana dell’eros:<br />

amor omnibus idem. L’amore è una forza della natura che <strong>tra</strong>volge allo stesso modo gli animali e<br />

gli uomini. Virgilio indugia nella descrizione degli effetti dell’istinto sessuale su tutte le specie<br />

animali, da quelle domestiche a quelle selvatiche, per sottolineare come l’eros sia una follia che non<br />

risparmia nessuno (solo le api, si <strong>di</strong>rà nel Libro IV, godono del privilegio <strong>di</strong>vino <strong>di</strong> essere immuni<br />

dall’amore e dalla sua schiavitù, in quanto si generano pro<strong>di</strong>giosamente dalle carcasse <strong>di</strong> un bue).<br />

13


L’amore quin<strong>di</strong> non è un dono ma una condanna, e se solitamente era considerato una prerogativa<br />

delle belle creature, Virgilio coinvolge nella cieca furia amorosa anche gli animali più sgraziati:<br />

prima gli orsi rozzi e goffi, poi il maiale sabino. Questo a sottolineare come tutti gli esseri siano<br />

accomunati dalla stessa furia irrazionale e violenta, da un durus amor che provoca effetti funesti.<br />

L’irrazionalità della pulsione sessuale è ben esemplificata dalla leonessa: se la finalità dell’eros è la<br />

riproduzione, quale maggiore follia che <strong>di</strong>menticarsi dei propri cuccioli per riprodursi? (Georgiche,<br />

III, 245).<br />

Andando ancora più in profon<strong>di</strong>tà, si può chiedere agli studenti <strong>di</strong> osservare se dalla prima alla<br />

seconda parte del brano ci sia un cambiamento <strong>di</strong> soggetto, se cambino cioè gli esseri <strong>tra</strong>volti dalla<br />

passione amorosa. Al v. 258, infatti, compare lo iuvenis. L’omologazione dell’uomo agli animali<br />

avviene con l’inserzione del <strong>mito</strong> <strong>di</strong> Ero e Leandro, che troviamo, senza soluzione <strong>di</strong> continuità,<br />

dopo una serie <strong>di</strong> exempla <strong>di</strong> indomabile istinto sessuale <strong>tra</strong>tti dal mondo animale (leonessa, orsi,<br />

cinghiale). Proprio il <strong>mito</strong> <strong>di</strong> Ero e Leandro collega l’amore alla morte (non a caso il libro culmina<br />

con la peste del Norico): en<strong>tra</strong>mbi sono eventi biologici, i cui effetti hanno una portata devastante.<br />

L’identificazione dell’eros con il furor, come già anticipato, è <strong>di</strong> derivazione filosofica e richiama il<br />

finale del IV Libro del De rerum natura. Proprio sul debito <strong>di</strong> Virgilio nei confronti <strong>di</strong> Lucrezio<br />

vale la pena soffermarsi, per sottolineare non solo i richiami ma anche la <strong>di</strong>stanza rispetto al<br />

precedente.<br />

Nei primi due libri Virgilio espone, at<strong>tra</strong>verso la teo<strong>di</strong>cea del lavoro, la concezione <strong>di</strong> una natura<br />

provvidenzialmente regolata. Nella natura riscon<strong>tra</strong> un progetto <strong>di</strong>vino volto al bene e le guerre<br />

civili che sconvolgono l’armonia del mondo agreste sono responsabilità umana. Eppure, quella che<br />

in Lucrezio è la culpa naturae sembra allungarsi anche nella natura virgiliana come un’ombra che<br />

getta, a <strong>tra</strong>tti, dubbi inquietanti sul <strong>di</strong>segno provvidenziale. Nel III libro il male assume le forme<br />

della pulsione irrazionale dell’eros e della pestilenza, en<strong>tra</strong>mbi flagelli ascrivibili alla natura stessa,<br />

e perciò indomabili.<br />

La relazione più evidente Virgilio-Lucrezio emerge confrontando il brano analizzato del III libro<br />

delle Georgiche e i versi 1037-1287 del De rerum netura, IV. Nel finale del IV libro Lucrezio<br />

polemizza contro la passione d’amore perchè riduce l’uomo in schiavitù, rende folli e allontana, più<br />

<strong>di</strong> ogni al<strong>tra</strong> passione, dall’ideale epicureo <strong>di</strong> saggezza. La culpa naturae consiste nell’inganno<br />

della voluptas che spinge uomini e bestie a desiderare il possesso del corpo, ma l’origine <strong>di</strong> tale<br />

desiderio sta nella mente: idque petit corpus, mens unde est saucia amore (IV, 1048). <strong>Il</strong> desiderio<br />

tormenta il corpo at<strong>tra</strong>verso mutua gau<strong>di</strong>a, ma esiste solo nella mente. E un tale desiderio è violento<br />

e irrazionale: la libido viene definita <strong>di</strong>ra al v. 1046 e la cupido muta al verso 1057. Una natura<br />

con<strong>tra</strong>d<strong>di</strong>ttoria del desiderio erotico che fa della passione una sintesi ossimorica <strong>di</strong> dulcedo e frigida<br />

14


cura (vv 1059-1061). L’eros si configura quin<strong>di</strong> come una fraus che spinge l’uomo a desiderare<br />

sempre <strong>di</strong> più in un cinico circolo vizioso: unaque res haec est, cuius quam plurima habemus, / tam<br />

magis ardescit <strong>di</strong>ra cuppe<strong>di</strong>ne pectus,vv. 1089-1090 (e questa è l’unica cosa, per cui, più ne<br />

posse<strong>di</strong>amo, tanto più il cuore arde <strong>di</strong> un desiderio feroce). Aspetti che torneranno nella teoria del<br />

piacere <strong>di</strong> Leopar<strong>di</strong>, e che po<strong>tra</strong>nno essere ripresi l’anno successivo nel programma <strong>di</strong> italiano,<br />

mettendo in evidenza anche le <strong>di</strong>vergenze <strong>tra</strong> i due poeti.<br />

Rispetto a Lucrezio in Virgilio manca l’analisi sulla fisiologia dell’istinto sessuale, ma comune ad<br />

en<strong>tra</strong>mbi è la rappresentazione dell’amor come legge <strong>di</strong> natura che rende schiavi tutti gli esseri<br />

viventi.<br />

Mettendo a confronto questi versi, si possono cogliere le allusioni puntuali, anche a livello lessicale:<br />

Omne adeo genus in terris hominumque ferarumque<br />

et genus aequoreum, pecudes pictaeque volucres<br />

Georgiche, III, 242-243<br />

Da notare, soprattutto, variae volucres variato in pictae volucres.<br />

Genus humanum mutaeque natantes<br />

squamigerum pecudes et laeta armenta<br />

feraeque/ et variae volucres<br />

De rerum natura II, 342-344<br />

Ma questi stessi versi delle Georgiche III hanno un riferimento ancora più prossimo in un altro<br />

passaggio del De rerum natura, IV:<br />

Omne adeo genus in terris hominumque ferarumque<br />

et genus aequoreum, pecudes pictaeque volucres<br />

Georgiche, III, 242-243<br />

nec ratione alia volucres armenta feraeque<br />

et pecudes et equae<br />

De rerum natura IV, 1197-1198<br />

In en<strong>tra</strong>mbi i casi l’at<strong>tra</strong>zione erotica accomuna gli uomini agli animali, quello che cambia è la<br />

prospettiva: il percorso <strong>di</strong> Lucrezio va dall’uomo agli animali, (nec mulier semper ficto suspirat<br />

amore......nec ratione alia volucres..., IV, 1192-1198), Virgilio invece con un movimento opposto si<br />

muove dagli animali all’uomo (solo al verso 258 si farà accenno al iuvenis). Nonostante il<br />

rovesciamento <strong>di</strong> prospettiva, però, Virgilio con<strong>di</strong>vide col modello il senso <strong>di</strong> sopraffazione <strong>di</strong><br />

fronte a una legge <strong>di</strong> natura così crudele. Ponendo al centro della propria attenzione l’animale,<br />

Virgilio rinuncia a indagare le ragioni psicologiche dell’eros per rappresentare, in modo oggettivo,<br />

la pulsione erotica at<strong>tra</strong>verso i comportamenti degli animali. Questo non vuol <strong>di</strong>re che Virgilio sia<br />

<strong>di</strong>staccato, anzi gli animali sono antropomorfizzati, la loro follia suscita compassione perchè è<br />

specchio della follia umana. Se per Lucrezio, nei versi conclusivi del IV libro, l’uomo saggio può<br />

giungere a una forma <strong>di</strong> amore filosofico, basato sulla consuetu<strong>di</strong>ne anziché sulla passione, capace<br />

15


<strong>di</strong> scavarsi una sua nicchia come una goccia d’acqua che incide la roccia, Virgilio non ammette<br />

una tale possibilità. Amor vincit omnia, si è già detto, non lascia scampo.<br />

Quella <strong>di</strong> Virgilio nei confronti <strong>di</strong> Lucrezio è dunque un’allusività con<strong>tra</strong>stiva: al blandus amor (De<br />

rerum natura, I, 19) con<strong>tra</strong>ppone il caecus amor e il durus amor (Georgiche, III, 210 e 259), alla<br />

Venus lucreziana <strong>di</strong>spensatrice <strong>di</strong> piacere e <strong>di</strong> vita oppone una Venus fonte <strong>di</strong> morte<br />

(funera...s<strong>tra</strong>gem, Georgiche, III, 246-247).<br />

Questo testo è servito sostanzialmente da premessa generale per i brani successivi, come esempio<br />

emblematico della forza <strong>di</strong>struttrice ed universale dell’amore. Partendo da queste premesse<br />

ideologiche dovrebbe essere più facile, per gli studenti, comprendere i miti <strong>di</strong> <strong>Orfeo</strong> e <strong>di</strong> <strong>Didone</strong>,<br />

che seppure così <strong>di</strong>versi sono accomunati da uno stesso <strong>tra</strong>gico destino <strong>di</strong> amore e morte.<br />

4° lezione: 2 ore<br />

Per questa lezione ho scelto l’introduzione del IV Libro delle Georgiche, da cui ho selezionato il<br />

brano <strong>di</strong> <strong>Orfeo</strong> ed Euri<strong>di</strong>ce. Affinché gli studenti possano cogliere meglio il significato<br />

dell’excursus della vicenda <strong>di</strong> <strong>Orfeo</strong>, e riescano a capire come essa sia funzionale all’impianto<br />

<strong>di</strong>dascalico del poema stesso, è necessario iniziare con l’analisi strutturale del IV Libro. <strong>Il</strong> <strong>mito</strong> <strong>di</strong><br />

<strong>Orfeo</strong> ed Euri<strong>di</strong>ce, infatti, è inserito, con un gioco <strong>di</strong> incastri, all’interno della <strong>di</strong>gressione <strong>di</strong> Aristeo<br />

e delle sue api, secondo la tecnica alessandrina della struttura a cornice.<br />

Ve<strong>di</strong>amo come: il IV libro è interamente de<strong>di</strong>cato alle api, che implicano una serie <strong>di</strong> riflessioni<br />

morali, <strong>di</strong> credenze popolari e <strong>di</strong> antichi simbolismi, in quanto:<br />

le api costituiscono un modello <strong>di</strong> società perfetta<br />

le api partecipano dell’anima <strong>di</strong>vina del mondo<br />

le api sono un modello <strong>di</strong> virtù, poiché si generano senza ricorrere all’accoppiamento<br />

le api simboleggiano la risurrezione dalla morte (la cosiddetta bugonía è il metodo <strong>di</strong><br />

riproduzione delle api dai cadaveri putrefatti dei buoi).<br />

Le api quin<strong>di</strong> sono il simbolo della perfezione, cosa non nuova nel mondo classico, se si pensa a<br />

Semonide, lirico greco del VII sec. a. C, che nella sua invettiva contro le donne salvava solo la<br />

donna ape, l’unica degna <strong>di</strong> essere sposata, scrigno <strong>di</strong> tutte le virtù domestiche.<br />

All’interno della descrizione del mondo perfetto delle api, la vicenda <strong>di</strong> <strong>Orfeo</strong> compare sotto forma<br />

<strong>di</strong> excursus per spiegare proprio il mistero della bugonia, quin<strong>di</strong> con chiara funzione <strong>di</strong> aition,<br />

secondo il gusto alessandrino. Aristeo, grande civilizzatore e scopritore <strong>di</strong> tecniche, ha perso le sue<br />

api per un’epidemia, ma grazie all’aiuto della madre, la ninfa Cirene, scopre che la sua per<strong>di</strong>ta è una<br />

punizione perchè, senza volerlo, ha causato la morte <strong>di</strong> Euri<strong>di</strong>ce, la quale per sfuggire a lui<br />

16


inciampa e viene morsa da un serpente. E proprio qui si innesta la vicenda <strong>di</strong> <strong>Orfeo</strong>: un veggente,<br />

Proteo, racconta ad Aristeo la triste storia <strong>di</strong> <strong>Orfeo</strong>, che, sceso all’Ade, riesce a riportare in vita la<br />

sposa Euri<strong>di</strong>ce grazie al suo canto, ma poi la perde per sempre a causa <strong>di</strong> un fatale errore (è questa<br />

la sezione presa in esame da noi). La storia <strong>di</strong> Aristeo avrà un lieto fine: con un sacrificio <strong>di</strong> buoi<br />

riesce a sciogliere la male<strong>di</strong>zione e dalla carcassa bovina le sue api rinascono, invece la vicenda <strong>di</strong><br />

<strong>Orfeo</strong> ha un finale <strong>tra</strong>gico: perderà infatti definitivamente Euri<strong>di</strong>ce e anche lui troverà la morte.<br />

Dunque <strong>tra</strong> Aristeo ed <strong>Orfeo</strong> è istituito un parallelismo: en<strong>tra</strong>mbi gli eroi devono affrontare dure<br />

prove e lottare contro la morte; le loro vicende approdano però a esiti opposti, e la ragione <strong>di</strong> questa<br />

<strong>di</strong>versità va ricercata nel loro atteggiamento <strong>di</strong> fronte ai precetti <strong>di</strong>vini. <strong>Orfeo</strong> fallisce perchè non<br />

rispetta la prescrizione <strong>di</strong> Proserpina, Aristeo invece ha successo proprio in virtù della scrupolosa<br />

obbe<strong>di</strong>enza al volere <strong>di</strong>vino. Così la <strong>di</strong>gressione narrativa risponde alle esigenze <strong>di</strong>dascaliche del<br />

poema.<br />

Sono molti gli elementi che accomunano le due figure: en<strong>tra</strong>mbi sono stati colpiti da una privazione<br />

dolorosa (la moglie per l’uno, le sue api per l’altro), en<strong>tra</strong>mbi devono superare una dura prova per<br />

vincere le rispettive privazioni e tutti e due devono sconfiggere la morte. Ma c’è un altro elemento<br />

che caratterizza e identifica le due figure: en<strong>tra</strong>mbi sono degli eroi civilizzatori, l’uno ha insegnato<br />

all’umanità la <strong>poesia</strong> (<strong>di</strong>ventando simbolo in particolare della <strong>poesia</strong> elegiaca, nata per lenire le<br />

sofferenze d’amore), l’altro l’apicultura. Sulla base <strong>di</strong> questi elementi quin<strong>di</strong>, secondo<br />

l’interpretazione <strong>di</strong> G. B. Conte, l’insuccesso <strong>di</strong> <strong>Orfeo</strong> va visto come il fallimento della <strong>poesia</strong><br />

elegiaca rispetto alla <strong>poesia</strong> <strong>di</strong>dascalica, incarnata da Aristeo, il perfetto agricola. <strong>Orfeo</strong> <strong>di</strong>venta<br />

dunque l’archetipo mitico della figura del poeta-amante, che trova il suo doppio nell’usignolo<br />

(qualis populea maerens philomela sub umbra / amissos queritur fetus, vv. 511-512), condannato a<br />

cantare in solitu<strong>di</strong>ne per renovare dolorem. Viene così alimentato un topos letterario (già Catullo<br />

paragonava il suo amore imperituro per il fratello morto al canto dell’usignolo, Carme 65) che<br />

continuerà in Ovi<strong>di</strong>o (Metamorfosi, VI), Properzio, e che proseguirà nella letteratura italiana, si<br />

pensi a Pe<strong>tra</strong>rca (Canzoniere, CCCX) o Tasso.<br />

L’opposizione esemplificata dai due miti, dunque, sarebbe <strong>tra</strong> amor et labor, <strong>tra</strong> due modelli<br />

opposti <strong>di</strong> vita, l’uno fondato sulla passione amorosa, l’altro ispirato a una visione moralmente<br />

superiore.<br />

Questa tecnica <strong>di</strong> incastri, tipica della <strong>tra</strong><strong>di</strong>zione poetica alessandrina e neoterica, non era nuova a<br />

Roma, ed infatti trova un’illustre corrispondenza nel Carme LXIV <strong>di</strong> Catullo, in cui il poeta<br />

inserisce un racconto entro la cornice <strong>di</strong> un altro racconto. <strong>Il</strong> tema <strong>di</strong> en<strong>tra</strong>mbe le narrazioni sono le<br />

nozze fra un essere mortale e una <strong>di</strong>vinità: nel racconto-cornice il mortale Peleo sposa la dea Teti,<br />

nel racconto contenuto nella cornice, inserito <strong>tra</strong>mite la descrizione della coperta nuziale, la mortale<br />

17


Arianna <strong>di</strong>venta la sposa del <strong>di</strong>o Dioniso. En<strong>tra</strong>mbe le storie testimoniano un’età remota in cui<br />

l’umanità incorrotta era molto vicina al livello <strong>di</strong> perfezione <strong>di</strong>vina, cosicché gli dei non<br />

<strong>di</strong>sdegnavano <strong>di</strong> mescolarsi agli uomini o d’imparentarsi con loro. Le due narrazioni, equivalenti<br />

per lunghezza, sono <strong>di</strong>verse per intonazione. Nella prima si evoca un mondo avventuroso e<br />

innocente, dove c’è solo bellezza e virtù; nella seconda l’amore si associa al delitto e al <strong>tra</strong><strong>di</strong>mento<br />

e la colpa richiede punizione: Teseo è sleale verso Arianna, la quale a sua volta per amore dello<br />

s<strong>tra</strong>niero <strong>tra</strong><strong>di</strong>sce la sua famiglia e uccide il fratello (il Minotauro), tuttavia gli dei ascoltano le<br />

preghiere degli uomini (per lo meno ascoltano le preghiere <strong>di</strong> Arianna), puniscono il male,<br />

ricompensano chi ne è vittima; gli uomini conservano ancora la pietas religiosa e per questo motivo<br />

vivono in un mondo non ancora abbandonato dagli dei. At<strong>tra</strong>verso i miti <strong>di</strong> Peleo e Teti e <strong>di</strong><br />

Arianna e Teseo, Catullo vuol dare voce alla sua nostalgia per l’età degli eroi, sentita come vera età<br />

dell’oro, e alla sua desolazione per la corruzione della sua epoca, in cui il lecito e l’illecito,<br />

mescolati con empio furore, hanno allontanato dall’umanità il giusto cuore degli dei.<br />

Dopo aver fornito queste coor<strong>di</strong>nate, si può passare all’analisi del brano IV Libro delle Georgiche,<br />

vv. 484-515.<br />

Ancora una volta il brano è piuttosto semplice nella sua struttura. In particolare è interessante, sia<br />

dal punto <strong>di</strong> vista morfo-sintattico sia sotto il profilo retorico, il verso 489:<br />

ignoscenda quidem, scirent si ignoscere Manes<br />

A livello stilistico si evidenzia il poliptoto del verbo espresso in due mo<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi. Dal punto <strong>di</strong> vista<br />

grammaticale può essere utile schematizzare alla lavagna il periodo, scomponendolo<br />

gerarchicamente in questo modo:<br />

(Eury<strong>di</strong>ce) veniebat principale<br />

cum subita dementia cepit temporale<br />

ignoscenda si (Manes) scirent periodo ipotetico dell’ irrealtà<br />

apodosi (perifrastica passiva) protasi<br />

ignoscere infinito con funzione nominale (c. oggetto)<br />

18


Passando quin<strong>di</strong> al commento contenutistico del brano <strong>tra</strong>dotto, saranno gli studenti stessi a<br />

rin<strong>tra</strong>cciare sul testo i termini con cui sono identificati i due protagonisti, <strong>Orfeo</strong> ed Euri<strong>di</strong>ce, e<br />

l’Amore, completando la seguente tabella:<br />

<strong>Orfeo</strong>: Euri<strong>di</strong>ce: Amore:<br />

v. 488 incautum amantem subita dementia<br />

v.491 immemor victusque<br />

v.494 miseram<br />

v.495 tantus furor<br />

v.512 (metafora) durus arator<br />

v.514 (metafora) miserabile carmen integrat<br />

Sulla base <strong>di</strong> questo schema, si può ricostruire la prospettiva con cui Virgilio narra la vicenda. <strong>Il</strong><br />

poeta, che dà per scontata la conoscenza del <strong>mito</strong> da parte del lettore, si concen<strong>tra</strong> sui momenti <strong>di</strong><br />

maggiore pathos, connotando l’amore come follia che conduce alla morte. Euri<strong>di</strong>ce, morta per<br />

sfuggire ad Aristeo (innamorato <strong>di</strong> lei) è perduta per sempre a causa della dementia (v. 488) che<br />

spinge <strong>Orfeo</strong> a guardarla. E qui compare un’al<strong>tra</strong> parola chiave: furor. Euri<strong>di</strong>ce chiede infatti quis<br />

tantum furor abbia perduto lei per sempre. <strong>Orfeo</strong>, al quale era stata fatta una concessione<br />

s<strong>tra</strong>or<strong>di</strong>naria (s<strong>tra</strong>ppare una vita alla morte), colto da un’improvvisa follia si volta a guardare la<br />

sposa proprio quando erano alle soglie della luce. L’amore, che detta questo gesto inconsulto ad<br />

<strong>Orfeo</strong>, ancora una volta è presentato come una forza improvvisa ed irrazionale, che conduce ad un<br />

esito <strong>tra</strong>gico. Questa volta però è una follia <strong>di</strong>versa rispetto a quello del III Libro: non è l’istinto<br />

ferino e sessuale, ma piuttosto un richiamo irresistibile, un bisogno <strong>di</strong> vedere.<br />

Ma che cosa detta questo gesto imprudente, apparentemente inspiegabile, <strong>di</strong> <strong>Orfeo</strong>? Cercare <strong>di</strong> dare<br />

una risposta può essere molto interessante. Dopo tutto al cantore era stata posta un’unica<br />

con<strong>di</strong>zione, <strong>di</strong> non guardare l’amata; perchè tanta impazienza? Per cogliere il significato etico <strong>di</strong><br />

questa vicenda può essere utile ricordare altri miti o leggende in cui uno sguardo proibito viene<br />

punito per volere <strong>di</strong>vino. Si può citare la Bibbia, l’episo<strong>di</strong>o della moglie <strong>di</strong> Lot, <strong>tra</strong>sformata in una<br />

statua <strong>di</strong> sale per essersi voltata in <strong>di</strong>etro a guardare la pioggia <strong>di</strong> zolfo e fuoco che cadeva su<br />

Sodoma e Gomorra (Genesi, 19,26). Passando alla <strong>mito</strong>logia classica, tanti sono i riferimenti:<br />

chiunque osasse guardare negli occhi la Medusa veniva <strong>tra</strong>sformato in pie<strong>tra</strong>. E’ importante che la<br />

pietrificazione avvenga proprio at<strong>tra</strong>verso gli occhi: chi guarda la Medusa, chi guarda Sodoma e<br />

19


Gomorra, è <strong>tra</strong>sformato in statua <strong>di</strong> sale o <strong>di</strong> pie<strong>tra</strong>, così come Coridone è <strong>tra</strong>sformato in roccia per<br />

aver visto Artemide fare il bagno, allo stesso modo per aver guardato la sua amata, <strong>Orfeo</strong> è punito<br />

con la definitiva per<strong>di</strong>ta della moglie.<br />

La pietrificazione <strong>di</strong> chi guarda nonostante il <strong>di</strong>vieto, così come la scomparsa dell’oggetto del<br />

proprio desiderio che viene contemplato, rappresenta la punizione inflitta allo sguardo illecito,<br />

punizione per uno sguardo che fissa o per uno sguardo possessivo, pieno <strong>di</strong> cupi<strong>di</strong>gia o <strong>di</strong> orgoglio.<br />

Insomma, una punizione della umana incontinenza, del peccato <strong>di</strong> ύβρις. Ma perché punire questa<br />

sete <strong>di</strong> vedere? Perché guardare, osservare, spiare, contemplare vuol <strong>di</strong>re conoscere, pene<strong>tra</strong>re<br />

nell’essenza delle cose, carpire, oltre l’apparenza, il vero significato della realtà. Che presso i popoli<br />

antichi fosse strettissimo il legame <strong>tra</strong> vista e conoscenza è confermato dal fatto che molte civiltà<br />

usassero l’occhio come simbolo <strong>di</strong> sapere. La stessa identificazione <strong>tra</strong> occhio e sole, presso la<br />

civiltà egizia ma anche presso i celti, trova in questo principio la sua ragione: il sole è luce e<br />

illumina e permette <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere ciò che la tenebra (l’ignoranza) nasconde; l’occhio quin<strong>di</strong> è<br />

metafora della conoscenza. Da qui il passo verso la veggenza: chi sa tutto riesce anche a vedere e a<br />

sapere che cosa succederà. Ma a questo punto, almeno nel mondo greco, sembra scattare un<br />

paradosso: spesso il veggente è cieco, come insegna Tiresia., le cui vicende, <strong>tra</strong> l’altro, sono legate a<br />

quelle <strong>di</strong> un altro cieco famoso, E<strong>di</strong>po. Tiresia, accecato per aver visto la nu<strong>di</strong>tà della dea Artemide,<br />

anche se per sbaglio, peccando <strong>di</strong> hybris per aver visto “le cose non concesse..." (Callimaco), venne<br />

punito con la cecità fisica. Ma in cambio ottenne la visione profetica. Parimenti E<strong>di</strong>po, davanti alla<br />

propria colpa, si acceca, smette <strong>di</strong> vedere per aver visto cose che non avrebbe dovuto vedere. E<br />

anche lui, nel momento in cui fisicamente non ha più la vista, riesce a profetizzare ai suoi figli il<br />

loro destino maledetto. L’uomo, quando è privato del senso della vista, riceve la capacità <strong>di</strong> vedere<br />

le cose ben più in profon<strong>di</strong>tà, quin<strong>di</strong> una forma superiore <strong>di</strong> conoscenza, e la conoscenza è potere.<br />

Questo giustifica perché uno sguardo proibito fosse così spesso punito nel mondo classico.<br />

Questa parentesi sulla vista nel <strong>mito</strong> può essere arricchita da un altro tassello: la malia. Nella nos<strong>tra</strong><br />

società il termine “malocchio” ha sviluppato un significato tutto particolare, ma originariamente<br />

esso era un maleficio che veniva applicato con lo sguardo. L'occhio potente riusciva ad incantare<br />

l'avversario, nel senso peggiore del termine. Questo è il fascinum dei latini, una forza che non aveva<br />

certo l'aura positiva <strong>di</strong> cui noi moderni l'abbiamo caricata: il fascino era una magia, un sortilegio, e<br />

fare il malocchio era "fascinare" qualcuno, partendo proprio dal potere degli occhi.<br />

Per tornare al nostro <strong>Orfeo</strong>, in questo <strong>mito</strong> il vedere è abbinato ad un altro elemento, quello<br />

dell’amore. I tre termini <strong>di</strong> riferimento sono la vista, la conoscenza e l’amore, ma come sono in<br />

relazione? Si pensi ai famosi versi danteschi:<br />

20


“Tanto gentile e tanto onesta pare / la donna mia quand’ella altrui saluta” (Vita Nova,<br />

cap.XXVI)<br />

<strong>Il</strong> verbo pare non è tanto da intendersi “sembra”, quanto piuttosto “appare”, “si manifesta”. Quin<strong>di</strong><br />

l’amore nasce dalla manifestazione, dall’apparizione della donna e l’innamoramento è conseguenza<br />

degli effetti che la visione, capace <strong>di</strong> far <strong>tra</strong>scendere l’esperienza terrena in una estasi <strong>di</strong>vina,<br />

produce su chi contempla. A questo punto appare chiara la relazione <strong>tra</strong> i nostri tre termini:<br />

l’amore nasce dalla contemplazione<br />

la contemplazione (= conoscenza) passa at<strong>tra</strong>verso la vista<br />

l’amore passa at<strong>tra</strong>verso gli occhi<br />

La <strong>poesia</strong> stilnovista ruota attorno al senso della vista, che non è solo il mezzo per guardare, ma<br />

appunto anche per conoscere. Dunque alla base <strong>di</strong> tale poetica c’è l’identità <strong>di</strong> amore e vista: si<br />

pensi alla donna angelo, che solo <strong>tra</strong>mite lo sguardo eleva l’animo dell’uomo che la contempla.<br />

Questa stessa identità giustificava l’amore nella <strong>poesia</strong> classica: non è possibile scindere l’amore<br />

dalla visione, dalla contemplazione. Ed è stato proprio questo binomio a portare alla rovina <strong>Orfeo</strong>. <strong>Il</strong><br />

mitico cantore, l’eroe che è riuscito a vincere le leggi dell’Al<strong>di</strong>là, che ha saputo placare con la forza<br />

del proprio canto le fiere più selvagge, non è riuscito a domare un demone più forte: il suo amore.<br />

Data l’equivalenza <strong>tra</strong> il vedere e il conoscere (d’al<strong>tra</strong> parte in greco la theoria è al tempo stesso la<br />

visione e la contemplazione intellettuale, quin<strong>di</strong> la conoscenza), e dall’al<strong>tra</strong> parte <strong>tra</strong> l’amare e il<br />

conoscere, la richiesta posta ad <strong>Orfeo</strong> è impossibile. Al cantore, insomma, si è chiesto <strong>di</strong> amare<br />

senza conoscere e la scissione <strong>di</strong> amore e conoscenza non è possibile. E’ appunto questo paradosso<br />

a segnare l’esito <strong>tra</strong>gico del mitico cantore. <strong>Il</strong> suo amore, che lo ha spinto ad<strong>di</strong>rittura a infrangere le<br />

con<strong>di</strong>zioni poste dal <strong>di</strong>o dei morti (rupta tiranni / foedera, v. 492), lo rende un amante incautus (v.<br />

488), immemor (v.491) perché chiuso nella sua passione. L’eros non lascia scampo, conduce alla<br />

rovina, e il cantore dell’amore, prototipo del poeta, è condannato a cantare il proprio dolore come<br />

un usignolo. Anche il canto quin<strong>di</strong>, prerogativa <strong>di</strong> un cuore sconvolto dal furor erotico, sembra una<br />

male<strong>di</strong>zione più che un privilegio. Isolato, il poeta-amante ripiega su se stesso e il fuoco che<br />

alimenta la sua voce finisce per perderlo.<br />

Pur non essendo possibile, per motivi <strong>di</strong> tempo, affrontare in modo esauriente un’analisi<br />

comparata <strong>tra</strong> l’<strong>Orfeo</strong> virgiliano e quello, sempre <strong>di</strong> età augustea, ripreso da Ovi<strong>di</strong>o nelle<br />

Metamorfosi, X, è comunque interessante leggere alcuni versi ovi<strong>di</strong>ani per mettere in luce alcune<br />

21


<strong>di</strong>fferenze <strong>di</strong> fondo: in Ovi<strong>di</strong>o, ad esempio, l’amore non è accostato alla pazzia, il suo ri<strong>tra</strong>tto <strong>di</strong><br />

<strong>Orfeo</strong> ci offre un uomo <strong>di</strong>sperato che supplica gli dei dell’Ade in nome <strong>di</strong> un <strong>di</strong>o, Amore, noto tanto<br />

sulla terra quanto nel mondo sotterraneo. Anche il personaggio <strong>di</strong> Euri<strong>di</strong>ce assume connotati un po’<br />

<strong>di</strong>fferenti: ella non rimprovera il marito per l’errore fatale, d’al<strong>tra</strong> parte <strong>di</strong> che cosa avrebbe potuto<br />

lamentarsi, se non <strong>di</strong> essere stata amata troppo? (quid enim nisi se quereretur amatam?, v.61)<br />

Passando alla letteratura italiana si può ricordare brevemente la Favola <strong>di</strong> <strong>Orfeo</strong> <strong>di</strong> Poliziano del<br />

1480, il primo componimento scenico <strong>di</strong> argomento profano in volgare, in cui temi tipici del<br />

Quattrocento fiorentino vengono mescolati: l’ammirazione per la bellezza, il sentimento della<br />

fragilità della vita, il rimpianto per la fugace giovinezza.<br />

Soprattutto, però, va ricordata la letteratura novecentesca: i Sonetti a <strong>Orfeo</strong>, scritti in tedesco nel<br />

1923 dal poeta Rainer Maria Rilke (1875-1926), in cui <strong>Orfeo</strong> testimonia la forza assoluta della<br />

parola, che dal mondo dei morti raggiunge quello dei vivi, o i Dialoghi <strong>di</strong> Leucò, in cui Pavese<br />

reinterpreta il <strong>mito</strong>: il cantore <strong>Orfeo</strong> svela a una baccante che si è voltato in<strong>di</strong>etro non per ansia<br />

d’amore, ma per deliberato proposito, consapevole che se Euri<strong>di</strong>ce fosse risorta tutto sarebbe<br />

tornato come prima, che la morte sarebbe comunque tornata. Nella sua <strong>di</strong>scesa agli Inferi <strong>Orfeo</strong> non<br />

cerca Euri<strong>di</strong>ce, ma, <strong>di</strong>ventando simbolo dell’inquietu<strong>di</strong>ne dell’uomo moderno, scende nell’Ade per<br />

trovare se stesso e il proprio destino, per dare una senso al passato, alla morte, alla vita.<br />

5° lezione: 1 ora<br />

Questa lezione è la più sperimentale e, penso, dovrebbe essere anche la più entusiasmante per gli<br />

studenti. Partendo dal testo latino, ampiamente analizzato la lezione scorsa, spostandosi al campo<br />

<strong>musica</strong>le, si può evincere come la <strong>poesia</strong> possa essere fonte <strong>di</strong> ispirazione per un compositore, il<br />

quale può, a seconda delle proprie intenzioni, mantenersi più o meno fedele al significato originario<br />

del testo.<br />

La storia <strong>di</strong> <strong>Orfeo</strong> ed Euri<strong>di</strong>ce simboleggia la forza <strong>di</strong>sperata della passione amorosa, destinata alla<br />

sconfitta, ma <strong>Orfeo</strong>, in quanto cantore, celebra anche la potenza della <strong>musica</strong>, che resta invincibile.<br />

At<strong>tra</strong>verso la <strong>tra</strong>sposizione in note <strong>di</strong> questa favola, dunque, la <strong>musica</strong> esalta se stessa, in una<br />

<strong>di</strong>mensione quasi autoreferenziale.<br />

Prima <strong>di</strong> esaminare le interpretazioni che nel corso dei secoli i compositori hanno dato <strong>di</strong> questa<br />

vicenda, è opportuno rendere i ragazzi in grado <strong>di</strong> padroneggiare la <strong>di</strong>mensione mitica <strong>di</strong> <strong>Orfeo</strong>,<br />

risalendo ben oltre al testo virgiliano, poiché questa favola è <strong>tra</strong> le più oscure e cariche <strong>di</strong><br />

simbolismo. Attestata in data antichissima, essa si è sviluppata a tale punto da <strong>di</strong>ventare una vera<br />

teologia, dai caratteri fortemente esoterici. Ad<strong>di</strong>rittura la sua influenza ha contaminato la primitiva<br />

22


iconografia cristiana: molti sarcofagi paleocristiani recano infatti l’immagine <strong>di</strong> <strong>Orfeo</strong>, simbolo <strong>di</strong><br />

banchetto eucaristico e <strong>di</strong> resurrezione.<br />

<strong>Orfeo</strong>, citaredo <strong>di</strong> Tracia, ha un’origine oscura, a partire dall’etimologia del nome: dal greco<br />

orphnós = tenebroso o dal greco orphanós = abbandonato. Non è chiaro neppure quale fosse il suo<br />

<strong>di</strong>vino patrono, se Febo Apollo, <strong>di</strong>o della luce, o Dioniso, <strong>di</strong>o dell’ebbrezza. Questa dualità, <strong>tra</strong><br />

l’altro, rispecchia l’antinomia presente nella <strong>musica</strong> stessa secondo la concezione greca, come<br />

spiega F. Nietzsche, simboleggiata persino dagli strumenti: da una parte la ce<strong>tra</strong>, prerogativa <strong>di</strong><br />

Apollo, in<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> armonia razionale, dall’al<strong>tra</strong> l’aulòs, attributo del satiro Marsia, e quin<strong>di</strong> riflesso<br />

della componente <strong>di</strong>onisiaca, adatto ad esprimere la sfrenatezza e l’irrazionalità. <strong>Orfeo</strong> è musico e<br />

poeta allo stesso tempo, a riprova del profondo legame che univa <strong>musica</strong> e <strong>poesia</strong> nella civiltà<br />

classica. Le sue canzoni, accompagnate dal suono della ce<strong>tra</strong> (secondo alcuni sarebbe stato proprio<br />

lui l’inventore dello strumento, mentre secondo altri ne avrebbe semplicemente aumentato il<br />

numero delle corde, da sette a nove, in onore delle Muse) sono così soavi da ammansire le bestie<br />

feroci, da animare le piante. Come membro dell’equipaggio degli Argonauti, col suo canto ha<br />

placato il mare in tempesta, ha neu<strong>tra</strong>lizzato con la dolcezza della sua voce il canto ammaliatore<br />

delle Sirene, evitando che i compagni ne cadessero vittima.<br />

Dunque, sono tanti i miti su <strong>Orfeo</strong>, ma la variante orfica più celebre, <strong>di</strong>ventata un topos letterario in<br />

età alessandrina, resta quella della catabasi per amore della moglie Euri<strong>di</strong>ce. E’ Virgilio, come<br />

abbiamo visto, ad offrircene la versione più appassionata nel IV Libro delle Georgiche.<br />

Ma come muore <strong>Orfeo</strong>? Secondo una leggenda Zeus lo uccide con un fulmine, secondo una variante<br />

più famosa le donne <strong>tra</strong>ce, in preda ai rituali orgiastici del <strong>di</strong>o Bacco, lo avrebbero fatto a pezzi, e i<br />

suoi brandelli sarebbero poi stati gettati nel fiume. La testa e le labbra del poeta sarebbero così state<br />

<strong>tra</strong>sportate dall’acqua sino a Lesbo, dove gli abitanti gli tributarono onori e gli eressero una tomba,<br />

dalla quale ogni tanto usciva il suono <strong>di</strong> una lira. Lesbo <strong>di</strong>venne per questo la terra per eccellenza<br />

della <strong>poesia</strong> lirica. La sua lira <strong>di</strong>venne invece una costellazione celeste, mentre la sua anima<br />

raggiunse i Campi Elisi dove, rivestita <strong>di</strong> una luce bianca, canta ancora per i Beati.<br />

Terminato questo excursus nel <strong>mito</strong>, con un salto <strong>di</strong> parecchi secoli, si può passare alla storia della<br />

<strong>musica</strong>. Ovviamente, in una classe che non possiede i prerequisiti <strong>di</strong> ambito <strong>musica</strong>le, la <strong>tra</strong>ttazione<br />

deve cercare <strong>di</strong> essere il meno cattedratica possibile, per non annoiare gli studenti con ulteriori<br />

nozionismi. D’al<strong>tra</strong> parte, però, è necessario contestualizzare le opere illus<strong>tra</strong>te, per far sì che<br />

possano coglierne le valenze etiche ed ideologiche, oltre che quelle estetiche. Inoltre, proprio<br />

analizzando il <strong>mito</strong> <strong>di</strong> <strong>Orfeo</strong>, è possibile <strong>tra</strong>cciare una sintetica storia del melodramma, dal<br />

momento che la favola <strong>di</strong> <strong>Orfeo</strong> ed Euri<strong>di</strong>ce è il filo rosso che at<strong>tra</strong>versa l’opera lirica, un <strong>mito</strong> che<br />

23


ha segnato la nascita dell’opera in <strong>musica</strong>, la sua riforma con conseguente rinascita, e la sua fine nel<br />

segno <strong>di</strong> una paro<strong>di</strong>a <strong>di</strong>ssacrante.<br />

La prima opera lirica <strong>tra</strong>mandata fino a noi è stata infatti l’Euri<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> Rinuccini con <strong>musica</strong> <strong>di</strong><br />

Jacopo Peri, una favola drammatica che ha inaugurato il 1600, rappresentata a Firenze in occasione<br />

delle nozze <strong>di</strong> Maria de’ Me<strong>di</strong>ci e <strong>di</strong> Enrico IV <strong>di</strong> Francia. Un’al<strong>tra</strong> versione, con musiche <strong>di</strong><br />

Caccini, sempre su libretto <strong>di</strong> Rinuccini, andò in scena nel 1602.<br />

<strong>Il</strong> dato fondamentale, che è quello che dà senso a questa inserzione della <strong>musica</strong> in un percorso<br />

letterario, è che l’opera in <strong>musica</strong> è nata dalla volontà <strong>di</strong> un circolo <strong>di</strong> letterati fiorentini, la<br />

cosiddetta Camerata de’ Bar<strong>di</strong>, <strong>di</strong> ricreare lo spirito della <strong>tra</strong>ge<strong>di</strong>a greca, in cui testo, <strong>musica</strong> e<br />

scenografia avevano pari importanza. Quest’esigenza nasce come reazione all’imperversare della<br />

polifonia, che, con l’intonazione <strong>di</strong> più parti <strong>di</strong>verse insieme, causava la mancata comprensione<br />

delle parole, a tutto vantaggio della <strong>musica</strong>.<br />

Un’al<strong>tra</strong> tappa fondamentale si regis<strong>tra</strong> nel 24 febbraio 1607, anno in cui nasce ufficialmente il<br />

melodramma, proprio con l’<strong>Orfeo</strong>, favola in un prologo e tre atti composta da Clau<strong>di</strong>o Montever<strong>di</strong>,<br />

su libretto <strong>di</strong> Striggio jr, su commissione del duca <strong>di</strong> Mantova. L’opera riscosse un grande successo<br />

ininterrotto, anche per lo stile innovativo, intensamente drammatico, tanto che in epoca moderna è<br />

stata ancora <strong>tra</strong>scritta da Malipiero (1904), Carl Orff (1923), Respighi (1935), Hindemith (1954),<br />

Maderna (1967).<br />

Per evitare una lezione troppo as<strong>tra</strong>tta si possono intervallare le nozioni teoriche con momenti <strong>di</strong><br />

ascolto; in questo modo gli studenti hanno modo <strong>di</strong> sperimentare concretamente come co<strong>di</strong>ci<br />

espressivi <strong>di</strong>versi riescano ad esprimere lo stesso contenuto. Ovviamente sarebbe impensabile, e<br />

dopo tutto inutile, ascoltare l’opera integrale, quin<strong>di</strong> è sufficiente selezionare alcuni brani che si<br />

possono far vedere alla classe (da un DVD) <strong>tra</strong>mite un PC. Preventivamente, però, bisogna fornire<br />

agli studenti un glossario base, per potersi intendere: occorre chiarire che cosa sia nel melodramma<br />

un coro, un recitativo ed un’aria. Per rendere questi concetti abbordabili si possono utilizzare delle<br />

analogie col campo poetico, che loro padroneggiano. <strong>Il</strong>luminante in tal senso potrebbe essere il<br />

raffronto <strong>tra</strong> l’aria solistica e il monologo letterario: il protagonista si esprime parlando (in questo<br />

caso cantando) <strong>tra</strong> sé, ma rivolgendosi in realtà all’interlocutore ideale.<br />

<strong>Il</strong> primo episo<strong>di</strong>o scelto per l’au<strong>di</strong>zione (5 minuti scarsi) è la toccata introduttiva dell’opera <strong>di</strong><br />

Montever<strong>di</strong>, un passo <strong>tra</strong> l’altro inconsapevolmente celebre, che sicuramente alcuni ragazzi avranno<br />

già sentito, magari senza sapere <strong>di</strong> che cosa si <strong>tra</strong>tti. Ho selezionato questo brano per cercare <strong>di</strong><br />

ricreare l’atmosfera che effettivamente si respirava a corte o a teatro all’origine del melodramma.<br />

Era una festa, un’occasione per intervenire alla rappresentazione <strong>di</strong> una storia <strong>tra</strong>tta dal <strong>mito</strong>, con la<br />

consapevolezza <strong>di</strong> assistere ad una finzione (lo stesso patto implicito che lega lettore–scrittore).<br />

24


Come in tutte le feste regnavano la confusione, le chiacchiere e le mal<strong>di</strong>cenze, fino a quando uno<br />

squillo fuori palco annunciava che stava per avere inizio lo spettacolo. <strong>Il</strong> carattere solenne <strong>di</strong> questa<br />

toccata introduttiva serviva proprio per richiamare l’u<strong>di</strong>torio all’attenzione e al silenzio: le portate<br />

delle vivande si fermavano, le luci si abbassavano ed iniziava la finzione. L’e<strong>di</strong>zione che ho scelto<br />

da sottoporre alla visione della classe, <strong>tra</strong> l’altro, è molto suggestiva anche perché mos<strong>tra</strong> proprio lo<br />

squillo fuori palco delle trombe, al cui suono (presumibilmente come accadeva all’epoca) il<br />

<strong>di</strong>rettore d’orches<strong>tra</strong> si fa largo <strong>tra</strong> gli spettatori per dare inizio allo spettacolo.<br />

Successivamente è la volta dell’ aria <strong>di</strong> Euri<strong>di</strong>ce Ahi vista troppo dolce e troppo amara del IV atto,<br />

(nuovamente poco meno <strong>di</strong> 5 minuti): è importante che l’insegnante fornisca agli studenti le<br />

fotocopie del libretto, in modo che sia per loro più agevole comprendere il testo, e magari<br />

confrontarlo con l’originale poetico:<br />

Ahi, vista troppo dolce e troppo amara!<br />

Così per troppo amor dunque mi per<strong>di</strong>?<br />

Ed io, misera, perdo<br />

il poter più godere<br />

e <strong>di</strong> luce e <strong>di</strong> vita, e perdo insieme<br />

te d'ogni ben mio più caro, o mio consorte.<br />

Da questo ascolto appare evidente che l’orches<strong>tra</strong> agli albori del melodramma è ancora poco nutrita,<br />

d’al<strong>tra</strong> parte l’opera era nata per essere rappresentata davanti ad una ristretta cerchia <strong>di</strong> nobili della<br />

corte dei Gonzaga, quin<strong>di</strong> lo spazio fisico era ristretto e le esigenze <strong>di</strong> sonorità limitate. Va inoltre<br />

ricordato che gli strumenti dell’epoca barocca, ancora all’inizio della loro storia, non possedevano<br />

lo stesso volume sonoro <strong>di</strong> quelli moderni. Tuttavia essi avevano già una loro funzione drammatica,<br />

in base alle loro caratteristiche: i flauti (dritti), gli archi e gli strumenti a pizzico ricreavano<br />

l’atmosfera bucolica, i cornetti (una sorta <strong>di</strong> trombe <strong>di</strong> legno) <strong>di</strong>pingono invece il regno degli Inferi.<br />

<strong>Il</strong> melodramma <strong>di</strong> Montever<strong>di</strong>, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quello <strong>di</strong> Peri, è fedele alla versione virgiliana del<br />

<strong>mito</strong>: nel libretto <strong>di</strong> Rinuccini, infatti, <strong>Orfeo</strong> si vedeva restituita la sposa da Plutone senza<br />

con<strong>di</strong>zioni, l’opera si concludeva quin<strong>di</strong> con cori <strong>di</strong> pastori festanti per l’avvenuto<br />

ricongiungimento, invece nell’<strong>Orfeo</strong> <strong>di</strong> Montever<strong>di</strong> l’eroe riesce a conquistarsi la felicità con le<br />

proprie forze, ma poi la <strong>di</strong>strugge. <strong>Orfeo</strong>, proprio come nell’originale virgiliano, cede alla<br />

tentazione <strong>di</strong> voltarsi in<strong>di</strong>etro, venendo meno così ai precetti <strong>di</strong> Proserpina: sono gli stessi versi che<br />

noi abbiamo <strong>tra</strong>dotto, <strong>tra</strong>sco<strong>di</strong>ficati in <strong>musica</strong>.<br />

Proseguendo nella storia del melodramma, è ancora la favola <strong>di</strong> <strong>Orfeo</strong> a segnare una svolta<br />

decisiva. <strong>Il</strong> 5 ottobre 1762, all’Hofburgtheater <strong>di</strong> Vienna va in scena <strong>Orfeo</strong> ed Euri<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> Christoph<br />

Willibald Gluck, su libretto <strong>di</strong> Ranieri de’ Calzabigi, letterato alla corte dell’imperatore a Vienna, e<br />

25


promotore della riforma del melodramma, dopo la degenerazione virtuosistica del Settecento. In<br />

sintesi il principio car<strong>di</strong>ne della riforma, nell’ottica <strong>di</strong> una sobrietà che rivalutasse il testo,<br />

consisteva nel fare della melo<strong>di</strong>a un mezzo d’espressione <strong>di</strong> emozioni e sentimenti ben definiti.<br />

L’opera è tutta incen<strong>tra</strong>ta sulla figura <strong>di</strong> <strong>Orfeo</strong>, vero protagonista <strong>di</strong> una storia ormai nota, ma che<br />

presenta una novità rilevante nel finale (è lo stesso librettista Calzabili a <strong>di</strong>re <strong>di</strong> aver “cambiato la<br />

catastrofe”, per adattare la favola “alle nostre scene”): con<strong>tra</strong>riamente al <strong>mito</strong>, <strong>Orfeo</strong> non muore ed<br />

Euri<strong>di</strong>ce non viene persa per sempre, ma l’intervento del <strong>di</strong>o Amore, il deus ex machina, permetterà<br />

al cantore <strong>di</strong> riavere la sua sposa, il tutto in una cornice <strong>di</strong> danze e gioia.<br />

Di quest’opera si può far ascoltare l’aria più celebre, ossia il rondò (andante con moto, adagio,<br />

della durata <strong>di</strong> circa 5 minuti) della scena prima del terzo atto, con il patetico pianto <strong>di</strong> <strong>Orfeo</strong>:<br />

Che farò senza Euri<strong>di</strong>ce!<br />

Dove andrò senza il mio ben!<br />

Euri<strong>di</strong>ce?…Oh Dio!, rispon<strong>di</strong>;<br />

io son pure il tuo fedel.<br />

Euri<strong>di</strong>ce! Ah, non m’avanza<br />

più soccorso, più speranza<br />

né dal mondo, né dal ciel.<br />

Che farò senza Euri<strong>di</strong>ce!<br />

Dove andrò senza il mio ben!<br />

<strong>Il</strong> Romanticismo, infine, ha proposto un’interpretazione caricaturale del capolavoro <strong>di</strong> Gluck: si<br />

<strong>tra</strong>tta dell’operetta Orphèè aux Enfers (<strong>Orfeo</strong> agli Inferi) <strong>di</strong> Charles Offenbach su libretto <strong>di</strong><br />

Cremieux e Halevy, andata in scena il 21 ottobre 1858 a Parigi. E’ una spumeggiante paro<strong>di</strong>a, il cui<br />

brio <strong>tra</strong>volge i canoni consueti del melodramma e che finirà per far cantare tutta Parigi.<br />

La ripresa del <strong>mito</strong> <strong>di</strong> <strong>Orfeo</strong> da parte del compositore francese è rivoluzionaria, in consonanza con<br />

la satira della Francia del II impero che l’operetta si proponeva. La demitizzazione del mondo<br />

classico a cui si assiste in quest’operetta mira in realtà a colpire l’ambiente contemporaneo.<br />

Vale la pena <strong>di</strong> riassumere la storia: <strong>Orfeo</strong> è un insegnante <strong>di</strong> violino, la virtuosa Euri<strong>di</strong>ce del <strong>mito</strong><br />

non sopporta più lo sposo, tanto che si è innamorata <strong>di</strong> Aristeo e con lui lo <strong>tra</strong><strong>di</strong>sce.<br />

Nell’at<strong>tra</strong>versare un campo <strong>di</strong> grano per raggiungere il suo amato, Euri<strong>di</strong>ce viene punta da un<br />

serpente e muore. Lascia felicemente questo mondo accompagnata da Plutone. <strong>Orfeo</strong>, appresa la<br />

notizia da una lettera, tira un sospiro <strong>di</strong> sollievo, ma l’Opinione Pubblica lo spinge ad andare a<br />

cercare sua moglie, pena il fallimento della carriera <strong>di</strong> musicista. Suo malgrado, <strong>Orfeo</strong> giunge<br />

all’Olimpo, dove reclama u<strong>di</strong>enza: la scena che lo accoglie è memorabile: gli dei ballano il can-can<br />

e contestano Giove al ritmo della Marsigliese. In un susseguirsi <strong>di</strong> trovate e battute, l’azione si<br />

sposta nell’inferno, <strong>tra</strong>sformato quasi in un bordello. Quando Euri<strong>di</strong>ce è ormai recuperata, Giove dà<br />

26


un fenomenale calcio ad <strong>Orfeo</strong> e gliela s<strong>tra</strong>ppa <strong>di</strong> mano: un <strong>tra</strong>scinante baccanale accoglierà per<br />

sempre Euri<strong>di</strong>ce all’Inferno e la sua presenza renderà la festa ancora più bella.<br />

Dunque, Offenbach <strong>di</strong>ssacra la componente apollinea dell’<strong>Orfeo</strong> e l’ha restituita alla <strong>di</strong>mensione<br />

<strong>di</strong>onisiaca. L’operetta <strong>di</strong> Offenbach mos<strong>tra</strong> una ripresa inconsueta <strong>di</strong> un <strong>mito</strong>, <strong>tra</strong>sformato in un<br />

non-<strong>mito</strong>, con la presenza dell’Opinione Pubblica a prendere il posto degli antichi cori nella sua<br />

battaglia contro l’infedeltà. Memorabile, per la fortuna che ebbe in seguito, la <strong>musica</strong> che<br />

accompagna il ballo del can-can:<br />

TOUTS:<br />

Ce bal est original:<br />

d’un galop infernal<br />

donnons touts le signal!<br />

Vive le galop infernal!<br />

Donnons le signal<br />

d’un galop infernal!<br />

Amis, vive le bal!<br />

La la la la la!<br />

Quest’ultimo brano, grazie al suo ritmo <strong>tra</strong>scinante, nel tempo è <strong>di</strong>ventato famoso<br />

in<strong>di</strong>pendentemente dall’opera, ha avuto una vita propria, trovando spesso collocazione come<br />

colonna sonora <strong>di</strong> film o <strong>musica</strong>l o pubblicità.<br />

Per <strong>di</strong>mos<strong>tra</strong>re ulteriormente la modernità del <strong>mito</strong> <strong>di</strong> <strong>Orfeo</strong>, si può concludere la lezione con un<br />

riferimento alla canzone d’autore, che a sua volta ha <strong>tra</strong>tto ispirazione dalla favola del mitico<br />

cantore, at<strong>tra</strong>tta dalla sua carica simbolica. In particolare, nella canzone Euri<strong>di</strong>ce Roberto Vecchioni<br />

(da "Blumun", 1993), con un’interpretazione significativa del <strong>mito</strong>, ha fatto <strong>di</strong> <strong>Orfeo</strong> un simbolo<br />

dell’uomo moderno e della sua ricerca <strong>di</strong> un senso nella vita. <strong>Il</strong> testo può essere analizzato<br />

<strong>di</strong>videndolo in sequenze. In questo modo emerge una costruzione speculare del testo:<br />

PRIMA PARTE SECONDA PARTE<br />

Pensiero <strong>di</strong> scendere nell’Ade Pensiero <strong>di</strong> ritornare nel mondo<br />

Ricordo <strong>di</strong> Euri<strong>di</strong>ce e dolore della natura Possibilità <strong>di</strong> perdere Euri<strong>di</strong>ce<br />

Decisione <strong>di</strong> cantare Decisione <strong>di</strong> voltarsi<br />

Dentro il canto <strong>di</strong> <strong>Orfeo</strong> Dentro il voltarsi <strong>di</strong> <strong>Orfeo</strong><br />

Oltre il canto <strong>di</strong> <strong>Orfeo</strong> Oltre il voltarsi <strong>di</strong> <strong>Orfeo</strong><br />

Riferimento agli uomini<br />

Risultato del canto Risultato del voltarsi<br />

27


Come si evince da questa tabella, la rigida simmetria del testo è infranta da un elemento che<br />

compare solo nella prima parte e non ha riscontro nel secondo blocco, ed è proprio questo tema a<br />

dare originalità e profon<strong>di</strong>tà alla canzone. Questa sequenza <strong>tra</strong>scende la vicenda <strong>di</strong> <strong>Orfeo</strong> e Euri<strong>di</strong>ce<br />

per collocarsi su <strong>di</strong> un piano più elevato, che lascia spazio a considerazioni <strong>di</strong> carattere generale<br />

scaturite dal <strong>mito</strong> specifico: al centro dell’attenzione non sono più i due protagonisti, ma gli uomini,<br />

dei quali si evidenzia innanzitutto la solitu<strong>di</strong>ne (sono semi<strong>di</strong>menticati) ma anche la tenacia<br />

(aggrappati alla vita). <strong>Il</strong> furore dell’ultimo bacio è lo stesso che ci tiene aggrappati alla vita tanto più<br />

quanto più si avvicina il momento della separazione.<br />

E’ lo stesso furore che consente a <strong>Orfeo</strong> <strong>di</strong> vincere Ade: il suo successo è descritto <strong>tra</strong>mite una<br />

climax ascendente, la cui efficacia è sottolineata dal crescendo <strong>musica</strong>le che accompagna i versi:<br />

“E canterò finché tu piangerai / E canterò finché tu perderai / Canterò finché tu scoppierai / e me la<br />

ridarai in<strong>di</strong>etro”.<br />

L’Euri<strong>di</strong>ce che gli viene restituita non è però la stessa che aveva perso: le sue mani erano “passeri <strong>di</strong><br />

mare” quando era viva, ora invece “le carezze su <strong>di</strong> ieri non saranno mai più quelle”. L’elemento<br />

delle mani fa un esplicito riferimento al testo virgiliano (là Euri<strong>di</strong>ce tende le sue fredde palme<br />

all’amante ormai perduto).<br />

L’<strong>Orfeo</strong> del cantautore, dunque, decide <strong>di</strong> voltarsi proprio perchè quella che gli viene ridata non è<br />

più la sua amata, sceglie deliberatamente <strong>di</strong> abbandonare Euri<strong>di</strong>ce con un atto della volontà, non la<br />

perde fortuitamente a causa soltanto della propria debolezza. <strong>Il</strong> carattere tutto d’un pezzo del<br />

personaggio mitico conosce la lacerazione della decisione e della libera scelta, agisce in seguito a<br />

una riflessione, come <strong>di</strong>mos<strong>tra</strong>no i verbi, impiegati alla prima persona singolare dell’in<strong>di</strong>cativo:<br />

“morirò <strong>di</strong> paura”, “canterò”, “non avrò più la forza”, “mi volterò”. Quello <strong>di</strong> Vecchioni è dunque<br />

un <strong>Orfeo</strong> moderno, che ha la facoltà <strong>di</strong> decidere autonomamente, la facoltà del libero arbitrio<br />

sconosciuta agli eroi mitici. <strong>Il</strong> mutamento del carattere <strong>di</strong> <strong>Orfeo</strong> fa cambiare <strong>di</strong> conseguenza le sorti<br />

della vicenda: il cantore abbandona la sposa negli Inferi. E’ la stessa innovazione già apportata dalla<br />

rilettura del <strong>mito</strong> operata da Pavese ne L’inconsolabile, uno dei Dialoghi con Leucò (1947).<br />

La sorte <strong>di</strong> questo “nuovo” <strong>Orfeo</strong> è paragonata da Vecchioni a quelle delle madri: esse perdono<br />

coloro che amano più <strong>di</strong> ogni al<strong>tra</strong> cosa, ma come <strong>Orfeo</strong> sono destinate a comprendere che non c’è<br />

al<strong>tra</strong> via se non quella <strong>di</strong> volere esse stesse la separazione dai figli, proprio in nome dell’amore che<br />

le lega a essi. Per questo le madri accompagnano i figli verso i loro sogni, perché il destino dei figli<br />

è lontano da loro, ed esse l’hanno compreso. Sot<strong>tra</strong>rsi a questa legge significherebbe soltanto<br />

procurare a sé e ai figli continue sofferenze, espresse me<strong>di</strong>ante l’immagine delle vele nere che<br />

segnano i ritorni. Proprio per non vedere le vele nere che avrebbero inevitabilmente segnato il<br />

ritorno <strong>di</strong> Euri<strong>di</strong>ce, <strong>Orfeo</strong> sceglierà <strong>di</strong> accompagnarla verso il suo destino, lontano da lui. Euri<strong>di</strong>ce<br />

28


appartiene al regno dei morti, esattamente come <strong>Orfeo</strong> appartiene a quello dei vivi, e sa che tutto<br />

quello che si piange/ non è amore: la sofferenza che inizia a assaporare sul sentiero degli Inferi è<br />

solo l’inizio <strong>di</strong> quella che lo attenderebbe se riportasse in vita la sposa: si <strong>tra</strong>tterebbe <strong>di</strong> un atto <strong>di</strong><br />

egoismo, come quello delle madri che <strong>tra</strong>ttengono <strong>di</strong>speratamente a sé i figli. <strong>Orfeo</strong> ha un’al<strong>tra</strong> vita:<br />

e ragazze sognanti/ mi aspettano a danzarmi il cuore: la vita lo chiama, esattamente come le stelle<br />

che in<strong>tra</strong>vede all’uscita dell’Averno (e nel mondo su, là fuori/ si in<strong>tra</strong>vedono le stelle).<br />

Per approfon<strong>di</strong>re ulteriormente la modernità del <strong>mito</strong> <strong>di</strong> <strong>Orfeo</strong> si possono fare altri riferimenti alla<br />

<strong>musica</strong> cantautorale: si citano, a titolo esemplificativo, la canzone <strong>Orfeo</strong> <strong>di</strong> Carmen Consoli o The<br />

lyre of Orpheus <strong>di</strong> Nick Kave.<br />

6° lezione: 2 ore<br />

Questa lezione è focalizzata sul IV libro dell’Eneide, in cui si risolve drammaticamente<br />

l’impossibile storia d’amore fra la regina <strong>di</strong> Cartagine <strong>Didone</strong> e il condottiero degli esuli troiani<br />

Enea. Tutto il IV libro ruota attorno alla figura <strong>di</strong> <strong>Didone</strong>, che, colpita dall’eros come da una<br />

malattia, progressivamente perde la propria identità, ed è proprio la vicenda <strong>di</strong> <strong>Didone</strong> a gettare una<br />

nuova luce sulla figura <strong>di</strong> Enea, permettendo <strong>di</strong> sviscerarne meglio la personalità, arricchendolo <strong>di</strong><br />

sfumature che lo rendono più umano e tormentato. E’ questo il libro che più si <strong>di</strong>scosta dal modello<br />

omerico proprio per la cen<strong>tra</strong>lità data alla vicenda amorosa, a cui viene de<strong>di</strong>cato così ampio spazio<br />

(gran parte del I libro, tutto il IV libro e una breve conclusione nel VI libro), e per la statura <strong>di</strong><br />

questo personaggio, analizzato in ogni piega del suo animo. All’interno del libro <strong>Didone</strong> percorre<br />

una parabola che le fa incarnare <strong>di</strong>versi ruoli: all’inizio è una regina, quin<strong>di</strong> chiusa nel suo ruolo<br />

pubblico, ma presto si <strong>tra</strong>sforma in una donna innamorata e poi ancora, ed è qui che campeggia in<br />

tutta la sua drammatica gran<strong>di</strong>osità, <strong>di</strong>venta un’eroina abbandonata.<br />

Prima <strong>di</strong> affrontare nel dettaglio l’episo<strong>di</strong>o dell’abbandono della regina, scrivendo alla lavagna<br />

alcuni versi si possono focalizzare i termini ricorrenti nella descrizione dell’innamoramento:<br />

caeco carpitur igni, IV, v.2<br />

volnus alit venis, IV, v.2<br />

est mollis flammas medullas, IV, v.66<br />

vivit sub pectore volnus, IV, v. 67<br />

furens , IV, v. 68<br />

uritur infelix Dido totaque vagatur urbe furens, v.68-69<br />

demens , IV, v. 78<br />

29


A questo punto sarà facile in<strong>di</strong>viduare i campi semantici prevalenti:<br />

ignis urit volnus<br />

flammas furens demens<br />

passione = fuoco effetti psicologici dell’amore = ferita che porta alla follia<br />

<strong>Didone</strong>, all’inizio del libro, nel momento dell’innamoramento è <strong>di</strong>vorata da una fiamma segreta, un<br />

ardore che ha una natura malata. Virgilio insiste più volte proprio sul concetto <strong>di</strong> malattia e ferita:<br />

<strong>Didone</strong> alimenta nelle sue vene la ferita, è s<strong>tra</strong>volta dal suo sentimento che la <strong>di</strong>vora nelle midolla.<br />

L’amore quin<strong>di</strong> non è solo una piaga, una ferita, ma peggio ancora è una malattia incurabile, che si<br />

subisce, una pestis, come si <strong>di</strong>ce al v. 90. Proprio per questa sua natura esterna, <strong>tra</strong>volgente ed<br />

insana, l’amore riesce ad avere il sopravvento sul pudor della regina cartaginese, anche grazie ai<br />

consigli della sorella Anna: <strong>Didone</strong> scioglie il suo voto <strong>di</strong> fedeltà a Sicheo, il marito deceduto<br />

(solvitque pudorem, v. 56), ma soprattutto <strong>di</strong>mentica i suoi doveri <strong>di</strong> regina e non fa proseguire i<br />

lavori per la costruzione <strong>di</strong> Cartagine. Quando poi al furor si sovrappone la <strong>di</strong>sperazione per<br />

l’abbandono la regina si <strong>tra</strong>sforma in una baccante: infuria smarrita nell’animo e ardente delira per<br />

tutta la città.<br />

Questa concezione dell’amore come una potenza crudele e spietata, una malattia i cui sintomi sono<br />

simili a quelli della morte, è <strong>di</strong> ascendenza greca. La fiamma dell’eros che rode le midolla <strong>di</strong><br />

<strong>Didone</strong> è la stessa che s<strong>tra</strong>volge Saffo, poetessa greca vissuta <strong>tra</strong> il VII e VI sec. a.C, che già nel Fr.<br />

130 dava un’appassionata descrizione del suo male: “Eros che scioglie le membra ora mi agita,<br />

dolceamara invincibile creatura”. Anche i sintomi dell’amore, la voce che manca, il corpo che si<br />

paralizza, il fuoco che scorre nelle vene, tutte immagini <strong>di</strong>ventate dei topoi della letteratura erotica,<br />

compaiono nella poetessa <strong>di</strong> Lesbo: “subito a me / il cuore si agita nel petto / solo che appena ti<br />

veda, e la voce / si perde sulla lingua inerte. / Un fuoco sottile affiora rapido alla pelle, / e ho buio<br />

negli occhi e il rombo / del sangue alle orecchie. / E tutta in sudore e tremante / come erba patita<br />

scoloro: / e morte non pare lontana / a me rapita <strong>di</strong> mente” ( Fr.31, <strong>tra</strong>duzione <strong>di</strong> S. Quasimodo).<br />

Virgilio ha costruito la figura <strong>di</strong> <strong>Didone</strong> risalendo alla <strong>poesia</strong> ellenistica at<strong>tra</strong>verso la me<strong>di</strong>azione<br />

neoterica, senza <strong>tra</strong>lasciare gli influssi della <strong>tra</strong>ge<strong>di</strong>a. La sua <strong>Didone</strong>, infatti, riassume in sé i <strong>tra</strong>tti <strong>di</strong><br />

Medea (vittima <strong>di</strong> un amore devastante nelle Argonautiche <strong>di</strong> Apollonio Ro<strong>di</strong>o e nell’omonima<br />

30


<strong>tra</strong>ge<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Euripide), e <strong>di</strong> Arianna (Carme LXIV <strong>di</strong> Catullo). La passione rovinosa e colpevole,<br />

l’abbandono e la male<strong>di</strong>zione accomunano queste tre eroine.<br />

Nel cuore del libro IV alla passione suben<strong>tra</strong> l’abbandono: Enea e <strong>Didone</strong> si trovano <strong>di</strong> fronte, in<br />

una scena <strong>di</strong>alogata, ma le loro ragioni sono opposte e incompatibili: la regina risponde al co<strong>di</strong>ce<br />

della <strong>poesia</strong> erotica, mentre Enea incarna il co<strong>di</strong>ce epico. La pu<strong>di</strong>cizia che inorgogliva la regina<br />

elevandola fino alle stelle, vero e proprio connotato <strong>di</strong>vino, è estinta, lasciando il posto a<br />

comportamenti furiosi confacenti ad una baccante.<br />

Di nuovo ci si può soffermare su altri versi significativi:<br />

eadem furenti, IV, v. 298<br />

saevit , IV, v. 300<br />

incensa, IV, v. 300<br />

bacchatur; IV, v. 301<br />

excita IV, v. 301<br />

saevit inops animi totamque incensa per urbem bacchatur, IV, vv. 300-301<br />

<strong>Il</strong> lessico della passione continua a ruotare ancora una volta attorno ai campi semantici del fuoco<br />

bruciante e del furor, per altro complementari, che prefigurano il suici<strong>di</strong>o conclusivo.<br />

<strong>Il</strong> comportamento <strong>di</strong> <strong>Didone</strong> da questo momento è quello <strong>di</strong> una donna offuscata nelle sue capacità<br />

mentali, ormai la sua unica via d’uscita è il suici<strong>di</strong>o. Da questo momento la mente della regina è<br />

offuscata dalla rabbia e si lancia in una spietata invettiva contro l’eroe, male<strong>di</strong>cendolo e giurando<br />

eterno o<strong>di</strong>o. <strong>Il</strong> dolore per l’abbandono si mescola al risentimento e allo sdegno. <strong>Didone</strong> si <strong>tra</strong>sforma<br />

in una Furia assetata <strong>di</strong> vendetta, non importa se a costo della sua stessa vita.<br />

<strong>Il</strong> brano scelto da analizzare in classe è proprio quello dell’intenso monologo in cui <strong>Didone</strong> lancia la<br />

sua invettiva contro Enea, vv. 595-629.<br />

Dopo aver fornito la <strong>tra</strong>duzione e l’analisi sintattica dei perio<strong>di</strong>, passando all’analisi, a livello<br />

stilistico risultano interessanti soprattutto i versi conclusivi:<br />

Litora litoribus con<strong>tra</strong>ria, fluctibus undas<br />

imprecor, arma armis: pugnent ipsique nepotesque<br />

per evidenziare il poliptoto litora litoribus ed arma armis, e il chiasmo litora (acc) litoribus (abl) –<br />

fluctibus (abl) undas (acc).<br />

La scelta del monologo come strumento espressivo <strong>di</strong> <strong>Didone</strong> non è casuale, come non lo è lo<br />

sfondo notturno in cui si svolge : la regina è ormai sola, anche la sorella Anna resta fuori dai suoi<br />

31


progetti e la quiete notturna fa risaltare ancor <strong>di</strong> più, per con<strong>tra</strong>sto, il tumultuare dell’animo <strong>di</strong><br />

<strong>Didone</strong>. <strong>Il</strong> cuore delle regina è devastato dalla passione come la sua mente è s<strong>tra</strong>volta dall’ira (quae<br />

mentem insania mutat, v. 595). Abbandonata, ferita e umiliata, nella mente <strong>di</strong> <strong>Didone</strong> si insinua la<br />

sete <strong>di</strong> vendetta. Nel suo delirio la regina ricorda la sua ospitalità concessa ai Troiani esuli ed<br />

insiste con ironia su alcuni comportamenti <strong>di</strong> Enea che, nella sua prospettiva, ribaltano l’immagine<br />

dell’eroe pius. Ecco <strong>di</strong> cosa è stato capace l’eroe che, <strong>di</strong>cono, reca con sé i Penati e ha portato sulle<br />

sue spalle il padre anziano e sfinito, l’eroe che le aveva giurato fedeltà dandole la sua mano des<strong>tra</strong>!<br />

<strong>Il</strong> sarcasmo si mescola alla ferocia: <strong>Didone</strong> indugia a ricordare le occasioni <strong>di</strong> vendetta che si è<br />

lasciata sfuggire (vv. 600-603). Nelle sue tremende parole rivivono le atrocità <strong>di</strong> Medea e il <strong>mito</strong> <strong>di</strong><br />

Atreo: avrebbe potuto offrire ad Enea le carni <strong>di</strong> Ascanio, lo stesso Ascanio che all’inizio del IV<br />

libro teneva amorevolmente in grembo. Ormai non le resta altro da fare e nella sua mente balena,<br />

con fredda luci<strong>di</strong>tà, la risoluzione del suici<strong>di</strong>o.<br />

Importante quel participio futuro del v. 604: moritura, che esprime sapientemente l’idea <strong>di</strong><br />

imminenza e <strong>di</strong> intenzionalità dell’azione. Ormai <strong>Didone</strong> è risoluta a morire, nulla la spaventa più.<br />

L’amore, che rende ciechi nel momento del desiderio e rende acuti nel momento del sospetto, è<br />

capace <strong>di</strong> dare un sinistro coraggio a <strong>Didone</strong>, che da cerva ferita si <strong>tra</strong>sforma in una furia spietata.<br />

Dopo i violenti propositi <strong>di</strong> vendetta incomincia la parte più accorata: una solenne e terribile<br />

invocazione alle potenze del cielo e degli Inferi. Prima la regina eleva la sua preghiera al Sole, che<br />

tutto vede, sentito come garante della giustizia, poi si rivolge a Giunone, consapevole dei suoi mali,<br />

quin<strong>di</strong> ad Ecate, la <strong>di</strong>vinità infernale evocata con ululati durante i riti <strong>di</strong> magia ed infine alle Furie<br />

ven<strong>di</strong>catrici. La delusione e l’autocommiserazione della donna <strong>tra</strong><strong>di</strong>ta sconfinano nell’o<strong>di</strong>o: fata<br />

obstant (v. 440), i fati si oppongono ai suoi progetti d’amore, <strong>Didone</strong> sa che Enea è predestinato a<br />

fondare una nuova città, sia pure, ma a costo <strong>di</strong> dolore e morte: paghi la sua colpa con le sofferenze<br />

<strong>di</strong> una terribile guerra, con l’esilio, con la morte prematura. Queste sono le ultime, terribili parole<br />

che la regina emette insieme col sangue, subito prima <strong>di</strong> suicidarsi (v.621), parole che suonano<br />

come il sigillo della morte.<br />

Di particolare intensità il v. 627:<br />

nunc, olim, quocumque tempore<br />

in cui, con un crescendo <strong>di</strong> intensità e <strong>di</strong> veemenza, <strong>Didone</strong> conclude il suo monologo con una<br />

apostrofe al suo popolo: l’o<strong>di</strong>o non si plachi ma si alimenti anche nelle future generazioni. Con<br />

questo climax il presente e il futuro vengono uniti in una <strong>di</strong>mensione eterna.<br />

Con una profetica male<strong>di</strong>zione <strong>Didone</strong> invoca un ven<strong>di</strong>catore che, sorto dalle sue ossa, perseguiti i<br />

<strong>di</strong>scendenti del popolo troiano:<br />

32


exoriare aliquis nostris ex ossibus ultor<br />

Questo ven<strong>di</strong>catore non ha un nome, ma pare avere un’identità. Dietro questo aliquis ultor,<br />

indefinito e quin<strong>di</strong> ancor più terribile, è suggestivo infatti riconoscere Annibale. Ma perché inserire,<br />

all’interno <strong>di</strong> un contesto intimo come quello <strong>di</strong> una <strong>di</strong>sperata storia d’amore, un riferimento,<br />

seppure velato, ad Annibale? Per riportare il <strong>di</strong>scorso ai toni epici, dopo questa lunga pausa<br />

de<strong>di</strong>cata al tema amoroso: dopo che l’intero IV libro è stato de<strong>di</strong>cato ad una vicenda privata, era ora<br />

<strong>di</strong> tornare alla <strong>di</strong>mensione epica, che è per sua natura bellica: quin<strong>di</strong> l’ultor servirebbe come<br />

cerniera, come collegamento per far riprendere il <strong>di</strong>scorso. Ma c’è qualcosa <strong>di</strong> più: grazie a questo<br />

riferimento implicito alla futura guerra, Virgilio riesce ad inserire la vicenda amorosa nel contesto<br />

storico, rin<strong>tra</strong>cciando proprio in questo amore <strong>tra</strong><strong>di</strong>to, vissuto quando Roma ancora non era stata<br />

fondata, la causa delle guerre puniche. L’o<strong>di</strong>o perenne <strong>tra</strong> Cartaginesi e Romani, perciò, avrebbe<br />

origine in queste parole. Inoltre questo riferimento getta una luce particolare sulla guerra stessa: non<br />

sarebbe uno scontro <strong>tra</strong> popoli <strong>di</strong>versi, ma piuttosto un conflitto nato da un amore <strong>tra</strong> simili. Perché<br />

a ben vedere <strong>Didone</strong> ed Enea sono simili nel loro dolore. Certo, ai nostri occhi la vittima è <strong>Didone</strong>,<br />

è lei che viene sedotta ed abbandonata, è lei a darsi la morte per porre fine al suo s<strong>tra</strong>ziante dolore,<br />

ma anche Enea, seppure in modo <strong>di</strong>verso, è una vittima. Anche Enea, infatti, subisce il destino:<br />

sopra tutto dominano i Fati, gli stessi fati che ostacolano l’amore <strong>di</strong> <strong>Didone</strong> or<strong>di</strong>nano a Enea <strong>di</strong><br />

partire, e l’eroe lo precisa con chiarezza: non cerca <strong>di</strong> sua spontanea volontà l’Italia.<br />

Ed ancor <strong>di</strong> più, negli ultimi versi questa lotta mortale assume toni apocalittici: con due versi<br />

concisi e per questo ancor più espressivi, Virgilio fa <strong>tra</strong>scendere la <strong>tra</strong>ge<strong>di</strong>a <strong>di</strong> <strong>Didone</strong> ad un piano<br />

universale: uomini, natura e storia pagheranno l’o<strong>di</strong>o della regina (litora litoribus con<strong>tra</strong>ria,<br />

fluctibus undas imprecor, arma armis, vv. 628-629).<br />

Ormai <strong>Didone</strong> ha imboccato la via che la condurrà alla morte, è in preda ai propri demoni che le<br />

sconvolgono la mente, ma non ha perso la propria luci<strong>di</strong>tà.<br />

<strong>Didone</strong> appartiene alla nutrita schiera delle eroine innamorate e abbandonate, in particolare la<br />

regina cartaginese porta con sé la linfa delle eroine della <strong>tra</strong>ge<strong>di</strong>a greca, rilette at<strong>tra</strong>verso la lirica<br />

latina: Medea e Fedra rivivono in <strong>Didone</strong>, con la sovrapposizione dei connotati dell’Arianna del<br />

celebre carme LXIV <strong>di</strong> Catullo.<br />

Medea, Arianna e <strong>Didone</strong> sono accomunate dal rifiuto da parte dello s<strong>tra</strong>niero che hanno salvato e<br />

ricorre per tutte loro, una volta <strong>tra</strong><strong>di</strong>te e abbandonate, il topos dell’impossibile desiderio <strong>di</strong> vendetta.<br />

Per tutte l’amore nasce all’insegna della colpa, perchè comporta l’assunzione <strong>di</strong> un crimine. Medea<br />

abbandona la patria, <strong>tra</strong><strong>di</strong>sce il padre, uccide il fratello e sacrifica anche i propri figli alla passione<br />

per Giasone, <strong>di</strong>ventando l’icona della donna privata dei beni più cari (patria, padre, fratello, marito,<br />

figli) che precipita nell’abisso <strong>di</strong> una follia mostruosa, tanto da fare del genere femminile una razza<br />

33


maledetta. Anche Fedra è vittima <strong>di</strong> un furore rovinoso: una <strong>di</strong>ra libido la sovrasta e non lascia<br />

scampo alla ratio. Vicit ac regnat furor, riconosce Fedra, con versi che ci ricordano fin troppo bene<br />

quelli virgiliani, un furor che provoca la morte del figliastro Ippolito che l’aveva rifiutata. La colpa<br />

<strong>di</strong> <strong>Didone</strong> è <strong>di</strong>versa, ma la conduce ugualmente alla per<strong>di</strong>zione: fino ad allora chiusa nel suo pudor,<br />

man mano che prevale in lei il furor, viene meno al suo ruolo <strong>di</strong> regina, alla sua fedeltà al marito<br />

defunto, al suo dovere <strong>di</strong> erigere la città <strong>di</strong> Cartagine. E’ come se l’essere donna e l’essere regina<br />

fossero due forze inversamente proporzionali: più cresce l’una più scema l’al<strong>tra</strong>. La <strong>di</strong>mensione<br />

pubblica e quella privata sembrano inconciliabili, anche Enea è vittima della stessa, triste, legge:<br />

predestinato a fondare la città che dominerà il mondo, e anzi, che garantirà la pace al resto del<br />

mondo, deve sacrificare i desideri <strong>di</strong> uomo al dovere <strong>di</strong> condottiero.<br />

<strong>Didone</strong> quin<strong>di</strong> ha la stessa psicologia delle donne abbandonate ricordate in precedenza, ma è<br />

qualcosa <strong>di</strong> più. La sua statura è maggiore, proprio perché prima <strong>di</strong> essere una donna innamorata è<br />

stata guida <strong>di</strong> un popolo, ha fondato una città, ha dato leggi alla sua gente. E proprio nel momento<br />

dell’abbandono si riappropria <strong>di</strong> questa natura, dell’antico pudor che le fa scegliere l’unica via<br />

d’uscita, ossia il suici<strong>di</strong>o. La <strong>Didone</strong> epica è ferita nell’orgoglio come la Medea <strong>di</strong> Euripide, e il<br />

genere epico assorbe in sé proprio i toni del genere <strong>tra</strong>gico nel momento <strong>di</strong> maggior pathos, cioè<br />

nel monologo della regina: le domande che <strong>Didone</strong> rivolge a se stessa ricalcano infatti quelle <strong>di</strong><br />

Medea. <strong>Il</strong> modello più imme<strong>di</strong>ato, in ambito latino, è la figura dell’ Arianna catulliana del Carme<br />

LXIV: per Teseo ha <strong>tra</strong><strong>di</strong>to la sua famiglia, ha provocato la morte del Minotauro, suo mostruoso<br />

fratello, condannandosi così a una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> solitu<strong>di</strong>ne prima psicologica, poi anche fisica,<br />

quando si trova abbandonata su un’isola selvaggia. Anche l’amore <strong>di</strong> Arianna è stato provocato da<br />

un intervento <strong>di</strong>vino, e anche la sua passione brucia le sue viscere, come è per <strong>Didone</strong> (imis exarsit<br />

tota medullis, Carme LXIV, v.91) e anche l’eroina catulliana lancia la sua terribile male<strong>di</strong>zione<br />

contro l’uomo che l’ha abbandonata. <strong>Il</strong> lamento <strong>di</strong> Arianna ha lo stesso tono <strong>di</strong>sperato <strong>di</strong> quello <strong>di</strong><br />

<strong>Didone</strong>: anche lei ricorda le promesse non mantenute, l’aiuto concesso all’esule, anche lei<br />

rimprovera a Teseo una natura non umana. La <strong>di</strong>fferenza fondamentale <strong>tra</strong> le due figure sta<br />

nell’epilogo delle loro vicende: ad Arianna è concesso il lieto fine: Bacco, giunto sull’isola <strong>di</strong> Dia,<br />

si invaghisce della fanciulla e la sposa.<br />

Alla luce <strong>di</strong> questa visione negativa dell’eros, anche Enea appare ai nostri occhi <strong>di</strong>verso rispetto agli<br />

altri eroi epici. Egli non è un eroe freddo ed insensibile, non è così monolitico come potrebbe<br />

sembrare, ma sa bene che non può mescolare la sfera pubblica con quella privata, la sua missione ha<br />

una mira ben più alta, la fondazione <strong>di</strong> Roma. Proprio nella rappresentazione delle con<strong>tra</strong>d<strong>di</strong>zioni<br />

che agitano l’animo umano, tanto quello <strong>di</strong> <strong>Didone</strong> quanto quello <strong>di</strong> Enea, Virgilio si mos<strong>tra</strong> un<br />

nuovo poeta epico. Quella <strong>di</strong> Virgilio <strong>di</strong>venta così un’epica del sentimento, per citare il titolo <strong>di</strong> un<br />

34


saggio <strong>di</strong> G. B. Conte, una <strong>poesia</strong> che riflette i sentimenti dei suoi protagonisti e che provoca, nei<br />

lettori, quegli stessi sentimenti.<br />

Nel mondo virgiliano assistiamo a una pluralità <strong>di</strong> punti <strong>di</strong> vista: la prospettiva <strong>di</strong> <strong>Didone</strong>, <strong>di</strong>sposta a<br />

posporre il bene del suo popolo alla propria passione, si sovrappone con quella <strong>di</strong> Enea, che pone al<br />

<strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> tutto la sua missione provvidenziale. Vengono così a coesistere tante coscienze, ognuna<br />

con le sue ragioni, inconciliabili ma tutte, allo stesso modo, degne <strong>di</strong> partecipazione da parte <strong>di</strong><br />

Virgilio. <strong>Il</strong> poeta infatti si mos<strong>tra</strong> particolarmente sensibile alle ragioni dei vinti, nel descriverci la<br />

gloria dei vincitori si sofferma sul doloroso prezzo che pagano gli sconfitti. Ed è proprio Enea a<br />

riassumere in sé una duplice natura <strong>di</strong> vinto e vincitore. At<strong>tra</strong>verso questo eroe Virgilio può nello<br />

stesso tempo esporre la sua visione ideologica, che pone Roma al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> tutto, e mos<strong>tra</strong>re quali<br />

valori e quali sentimenti debbano essere dolorosamente sacrificati per fondarla.<br />

Anche per <strong>Didone</strong> è interessante procedere con una lettura comparata del <strong>mito</strong>: anche questa<br />

vicenda, infatti, come quello <strong>di</strong> <strong>Orfeo</strong>, e forse ancor <strong>di</strong> più, è immortale e ha goduto <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse<br />

riletture. Ancora una volta si potrebbe porre a confronto la <strong>Didone</strong> virgiliana con quella <strong>di</strong> Ovi<strong>di</strong>o,<br />

sottolineandone le <strong>di</strong>fferenze. Ovi<strong>di</strong>o ad esempio, insiste sulla <strong>di</strong>mensione esclusivamente privata<br />

del personaggio: nelle Heroides, raccolta <strong>di</strong> lettere d’amore in <strong>di</strong>stici elegiaci scritte da eroine ai<br />

loro amanti, la VII epistola è quella <strong>di</strong> <strong>Didone</strong> per Enea. In questo brano <strong>Didone</strong> prospetta<br />

pateticamente all’uomo che parte la possibilità <strong>di</strong> avere in grembo un figlio suo che morirebbe con<br />

lei decisa a morire, la donna elegiaca non o<strong>di</strong>a l’uomo che la abbandona, non vuole la sua morte<br />

ma continua a preoccuparsi per lui. Ovi<strong>di</strong>o ha umanizzato il <strong>mito</strong>, non pare interessato alla<br />

<strong>di</strong>mensione <strong>tra</strong>gica quanto all’aspetto più intimo <strong>di</strong> questo amore. E’ questa la massima <strong>di</strong>stanza <strong>tra</strong><br />

le due eroine: la <strong>Didone</strong> ovi<strong>di</strong>ana non è regina ma una donna supplice, pronta a sottomettersi –<br />

secondo il co<strong>di</strong>ce elegiaco – al servitium amoris, <strong>di</strong>sposta anche a seguirlo per mare solo come<br />

hospes (hospita <strong>di</strong>car, dum tua sit Dido quidlibet esse feret, Her. 7, 170).<br />

7° lezione: 1 ora<br />

Anche per <strong>Didone</strong> ho pensato valesse la pena impostare un <strong>di</strong>scorso inter<strong>di</strong>sciplinare, dato che la<br />

<strong>tra</strong>gica storia d’amore della regina cartaginese ha preso vita at<strong>tra</strong>verso le note <strong>di</strong> molti compositori,<br />

dalla Dido furens del romano Domenico Mazzocchi (1592-1665), che con successioni armoniche<br />

sorprendenti e con l’impiego <strong>di</strong> tonalità poco o affatto usate sino ad allora, fa vivere nella<br />

protagonista ogni con<strong>tra</strong>stante segno del dramma che sta vivendo (preghiera, dolore, in<strong>di</strong>gnazione),<br />

alla Dido and Enea dell’inglese Purcell e al più celebre melodramma <strong>Didone</strong> abbandonata <strong>di</strong><br />

Metastasio, vera stella dell’opera italiana nella Vienna del Settecento.<br />

35


Tra le tante opere che hanno cantato <strong>Didone</strong> (la <strong>Didone</strong> <strong>di</strong> Cavalli su libretto <strong>di</strong> Busenello del 1641,<br />

la Dido and Aeneas <strong>di</strong> Purcell su libretto <strong>di</strong> Tate del 1689, la <strong>Didone</strong> abbandonata <strong>di</strong> Piccinni su<br />

libretto <strong>di</strong> Metastasio del 1770, la <strong>Didone</strong> abbandonata <strong>di</strong> Mercadante su libretto <strong>di</strong> Metastasio del<br />

1823), ho deciso <strong>di</strong> concen<strong>tra</strong>rmi sul libretto <strong>di</strong> Metastasio, che fa della passione il perno della<br />

vicenda.<br />

Nei drammi metastasiani, infatti, la passione amorosa risalta come tematica cen<strong>tra</strong>le, la <strong>di</strong>namica<br />

fondamentale per l’evolversi dell’azione drammatica. L’espe<strong>di</strong>ente più utilizzato nei suoi drammi<br />

per <strong>musica</strong> (drammi eroici-sentimentali, in cui il protagonista è esitante <strong>tra</strong> il suo ruolo <strong>di</strong> eroe e la<br />

sua passione <strong>di</strong> uomo) è il con<strong>tra</strong>sto <strong>tra</strong> il prorompere irrefrenabile e impreve<strong>di</strong>bile del sentimento e<br />

la necessità <strong>di</strong> sacrificarlo al dovere imposto dal proprio ruolo, dunque un <strong>di</strong>ssi<strong>di</strong>o <strong>tra</strong> la spinta della<br />

passione e il rigore del dovere. <strong>Il</strong> nodo drammaturgico può avere tre <strong>di</strong>verse modalità <strong>di</strong><br />

scioglimento: la rinuncia all’amore per fedeltà al proprio dovere, il <strong>tra</strong><strong>di</strong>mento del proprio dovere<br />

per amore, la non-scelta realizzata at<strong>tra</strong>verso il silenzio (il suici<strong>di</strong>o).<br />

Nella <strong>Didone</strong> il <strong>di</strong>ssi<strong>di</strong>o <strong>tra</strong> passione e dovere è evidente: esso è motore scatenante del precipitare<br />

degli eventi. La regina cartaginese, proprio come nel poema virgiliano, rinuncia al proprio ruolo a<br />

causa della passione amorosa, non potendo più garantire un equilibrato governo al suo popolo; è<br />

una donna che afferma il proprio <strong>di</strong>ritto ad amare chi vuole, al <strong>di</strong> là dei giuramenti e degli obblighi.<br />

<strong>Il</strong> tentativo da parte <strong>di</strong> <strong>Didone</strong> <strong>di</strong> conciliare il <strong>di</strong>ssi<strong>di</strong>o <strong>tra</strong> amore e dovere appare evidente nella<br />

prima aria che Metastasio le fa cantare:<br />

Son regina e sono amante;<br />

e l’impero io sola voglio<br />

del mio soglio e del mio cor.<br />

Darmi legge invan pretende<br />

chi l’arbitrio a me contende<br />

della gloria e dell’amor<br />

<strong>Didone</strong> riven<strong>di</strong>ca il <strong>di</strong>ritto alla libertà, ma non potrà schierarsi da nessuna delle due parti: il suo<br />

essere regina (il dovere) non le interessa più, d’al<strong>tra</strong> parte l’amore richiede una corrispondenza che<br />

Enea non vuole (non può) concedere. Anche l’eroe troiano è posto <strong>di</strong> fronte allo stesso <strong>di</strong>lemma,<br />

<strong>di</strong>viso anch’egli <strong>tra</strong> amore e dovere e, anzi, è proprio una sua aria a mettere in risalto la <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong><br />

essere “eroi”, ruolo che, per Metastasio come già per Virgilio, impone <strong>di</strong> aderire alla missione che<br />

gli dei gli hanno affidato:<br />

36


Fra il dovere e l’affetto<br />

Ancor dubbioso in petto ondeggia il core.<br />

Purtroppo il mio valore<br />

All’impero servì d’un bel sembiante.<br />

Ah una volta l’eroe vinca l’amante<br />

<strong>Didone</strong> non ha scelta: l’unica soluzione le pare il suici<strong>di</strong>o, vinta dalle conseguenze del suo<br />

comportamento e definitivamente annientata dalla scoperta <strong>di</strong> essere stata <strong>tra</strong><strong>di</strong>ta non solo da Enea<br />

ma anche da Osmida, suo confidente e dalla sorella Selene (Anna nel testo virgiliano; il nome è<br />

cambiato in Selene essenzialmente per ragioni metriche e foniche), “amante occulta” <strong>di</strong> Enea,<br />

anch’ella <strong>di</strong>visa <strong>tra</strong> una passione irrazionale e il dovere.<br />

<strong>Didone</strong> non ha quin<strong>di</strong> scampo, deve morire, l’inconciliabilità <strong>tra</strong> amore e passione si risolve in un<br />

nulla, in una schiacciante impossibilità <strong>di</strong> scegliere. <strong>Didone</strong>, dunque, rappresenta una vera e propria<br />

eccezione alla “regola” metastasiana che altrove consente ai suoi personaggi, dopo i tre atti in cui si<br />

svolge il <strong>di</strong>ssi<strong>di</strong>o interiore, il sollievo <strong>di</strong> un lieto fine, sia esso dovuto alle loro scelte o piuttosto a un<br />

deus ex machina. <strong>Il</strong> luttuoso finale della <strong>Didone</strong> abbandonata rappresenta dunque un caso a sé, che<br />

conferma, però, la poetica metastasiana: chi vuole essere grande, sembra <strong>di</strong>re Metastasio, deve<br />

sapersi sacrificare, deve saper mettere da parte i suoi egoismi e le sue passioni, per quanto oneste e<br />

sincere, come ha fatto l’eroe Enea. Chi non riesce ad adeguarsi a questo imperativo, come <strong>Didone</strong>,<br />

muore.<br />

Dopo aver spiegato, sinteticamente, questi principi della <strong>Didone</strong> <strong>di</strong> Metastasio, si può concludere<br />

facendo ascoltare in classe dall’opera l’aria <strong>di</strong> <strong>Didone</strong> “Son regina e son amante”, della durata <strong>di</strong><br />

6’30’’, a cui si è fatto cenno. In questa aria emerge chiaramente tutta la grandezza <strong>di</strong> questa eroina:<br />

altera e fragile allo stesso tempo, che reclama la libertà <strong>di</strong> poter amare, pur sapendo che i Fati glielo<br />

negano.<br />

8° lezione: 2 ore<br />

Queste due ore sono de<strong>di</strong>cate alla verifica sommativa, una prova semistrutturata, volta a<br />

verificare:<br />

la capacità <strong>di</strong> <strong>tra</strong>duzione<br />

la comprensione del testo, a livello linguistico e stilistico<br />

la conoscenza teorica e pratica della morfosintassi latina<br />

la capacità <strong>di</strong> collocare un testo nella produzione dell’autore<br />

la conoscenza delle tematiche dell’autore<br />

A tale scopo, agli studenti sono sottoposti:<br />

37


due brevi es<strong>tra</strong>tti da testi affrontati durante le lezioni da <strong>tra</strong>durre senza l’ausilio del<br />

<strong>di</strong>zionario<br />

quesiti <strong>di</strong> grammatica relativi ai versi <strong>tra</strong>dotti, per verificare l’effettiva comprensione e non<br />

uno stu<strong>di</strong>o meramente mnemonico e quin<strong>di</strong> poco significativo<br />

quesiti <strong>di</strong> carattere stilistico-retorico<br />

quesiti <strong>di</strong> carattere contenutistico<br />

Per <strong>tra</strong>sparenza, vicino ad ogni domanda è stato in<strong>di</strong>cato il relativo punteggio, in modo che gli<br />

studenti possano rendersi conto del livello minimo per la sufficienza. I punti sono stati <strong>di</strong>stribuiti in<br />

modo graduale, a seconda della <strong>di</strong>fficoltà dei quesiti, per arrivare ad un totale <strong>di</strong> 40 punti da<br />

convertire in decimi, su una scala da 1 a 10.<br />

La verifica è stata pensata in modo da non <strong>tra</strong>lasciare nessun argomento affrontato nell’ UD. Ho<br />

deciso <strong>di</strong> dare maggior peso alle competenze linguistiche (5 punti per ogni passo <strong>tra</strong>dotto<br />

correttamente e 2 punti per le domande <strong>di</strong> carattere grammaticale), meno all’aspetto stilistico (un<br />

solo punto per ogni domanda). Per quanto riguarda la valutazione della <strong>tra</strong>duzione (che gli studenti<br />

devono affrontare senza vocabolario, dal momento che questi brani sono stati puntualmente <strong>tra</strong>dotti<br />

ed analizzati in classe), ho sot<strong>tra</strong>tto 1 punto per gli errori <strong>di</strong> sintassi della frase e del periodo, 0,5<br />

punti per gli errori morfologici e per le omissioni <strong>di</strong> una parola, 0,25 per imprecisioni lessicali o dei<br />

tempi verbali.<br />

Rilevante è stato il peso attribuito alle domande che richiedono una risposta aperta <strong>di</strong> commento<br />

generale, dal momento che questa verifica è stata concepita come una interrogazione orale <strong>di</strong> autori<br />

e letteratura.<br />

Mentre pre<strong>di</strong>sponevo la verifica ho riflettuto a lungo se fosse opportuno inserire una domanda<br />

anche sull’interpretazione <strong>musica</strong>le del <strong>mito</strong> <strong>di</strong> <strong>Orfeo</strong> o <strong>di</strong> <strong>Didone</strong>, affrontati in classe. <strong>Il</strong> mio timore<br />

era quello <strong>di</strong> mettere in <strong>di</strong>fficoltà gli studenti, poco avvezzi a maneggiare un vocabolario specifico e<br />

a confronti inter<strong>di</strong>sciplinari. In conclusione ho optato per un compromesso, ho cioè inserito una<br />

domanda abbastanza generica, che lasciasse ampia libertà <strong>di</strong> scelta agli studenti, in modo che non si<br />

sentissero troppo vincolati nella loro risposta.<br />

38


VERIFICA<br />

1) A quale genere letterario appartengono le Georgiche? Quale è il modello più prossimo, in<br />

ambito latino, con cui Virgilio istituisce una sorta <strong>di</strong> <strong>di</strong>alogo a <strong>di</strong>stanza? Quali sono i punti<br />

<strong>di</strong> contatto e le <strong>di</strong>vergenze rispetto a questo modello ? punti 4<br />

_____________________________________________________________________________<br />

_____________________________________________________________________________<br />

_____________________________________________________________________________<br />

_____________________________________________________________________________<br />

_____________________________________________________________________________<br />

_____________________________________________________________________________<br />

_____________________________________________________________________________<br />

_____________________________________________________________________________<br />

2) Quale è la concezione virgiliana dell’amore quale emerge dal brano del III libro delle<br />

Georgiche amor omnibus idem da noi analizzato? Fai riferimenti concreti al testo e <strong>tra</strong>ccia un<br />

confronto con la visione lucreziana dell’amore. punti 6<br />

_____________________________________________________________________________<br />

_____________________________________________________________________________<br />

_____________________________________________________________________________<br />

_____________________________________________________________________________<br />

_____________________________________________________________________________<br />

_____________________________________________________________________________<br />

_____________________________________________________________________________<br />

3) Questi versi sono <strong>tra</strong>tti dal IV libro delle Georgiche:<br />

511 qualis populea maerens philomela sub umbra<br />

amissos queritur fetus, quos durus arator<br />

observans nido inplumis de<strong>tra</strong>xit; at illa<br />

flet noctem ramosque sedens miserabile carmen<br />

515 integrat et maestis late loca quaestibus implet.<br />

<strong>tra</strong>duci il brano punti 5<br />

____________________________________________________________________________________________<br />

____________________________________________________________________________________________<br />

________________________________________________________________________________________<br />

39


_____________________________________________________________________________<br />

_____________________________________________________________________________<br />

_____________________________________________________________________________<br />

4) qualis populea è una similitu<strong>di</strong>ne: chi viene paragonato all’usignolo? Perché il carmen è<br />

definito miserabile? punti 2<br />

_____________________________________________________________________________<br />

_____________________________________________________________________________<br />

_____________________________________________________________________________<br />

5) Spiega, in modo sintetico, la struttura e il contenuto del Libro IV delle Georgiche e il suo<br />

significato morale-<strong>di</strong>dascalico punti 4<br />

_____________________________________________________________________________<br />

_____________________________________________________________________________<br />

_____________________________________________________________________________<br />

_____________________________________________________________________________<br />

_____________________________________________________________________________<br />

6) In classe abbiamo proposto una lettura <strong>musica</strong>le del <strong>mito</strong> <strong>di</strong> <strong>Orfeo</strong>: ogni compositore, a<br />

seconda del periodo storico, ha dato una propria interpretazione del cantore, evidenziandone una<br />

particolare valenza simbolica. Confronta la versione proposta da Montever<strong>di</strong> con quella <strong>di</strong><br />

Offenbach, oppure concen<strong>tra</strong>ti sulla canzone <strong>di</strong> Roberto Vecchioni, mettendo in evidenza le<br />

analogie e le <strong>di</strong>fferenze rispetto al <strong>mito</strong> virgiliano e il significato simbolico <strong>di</strong> cui la vicenda<br />

viene caricata punti 5<br />

_____________________________________________________________________________<br />

_____________________________________________________________________________<br />

_____________________________________________________________________________<br />

_____________________________________________________________________________<br />

_____________________________________________________________________________<br />

_____________________________________________________________________________<br />

_____________________________________________________________________________<br />

_____________________________________________________________________________<br />

_____________________________________________________________________________<br />

_____________________________________________________________________________<br />

40


7) Questi versi sono <strong>tra</strong>tti dal IV Libro dell’Eneide:<br />

625 Exoriare aliquis nostris ex ossibus ultor,<br />

qui face Dardanios ferroque sequare colonos,<br />

nunc, olim, quocumque dabunt se tempore vires.<br />

Litora litoribus con<strong>tra</strong>ria, fluctibus undas<br />

imprecor, arma armis: pugnent ipsique nepotesque.<br />

<strong>tra</strong>duci il passo punti 5<br />

_____________________________________________________________________________<br />

_____________________________________________________________________________<br />

_____________________________________________________________________________<br />

_____________________________________________________________________________<br />

_____________________________________________________________________________<br />

8) vires (v. 627): quale è il suo nominativo singolare? punti 1<br />

____________________________________________________________________________<br />

9) qui face Dardanios ferroque sequare colonos (v. 626) che tipo <strong>di</strong> proposizione è? punti 2<br />

_____________________________________________________________________________<br />

10) quale figura retorica riconosci in nostris ex ossibus (v. 625)? punti 1<br />

____________________________________________________________________________________________<br />

11) litora litoribus con<strong>tra</strong>ria, fluctibus undas (v. 628): quali figure retoriche in<strong>di</strong>vidui? punti 2<br />

_____________________________________________________________________________<br />

_____________________________________________________________________________<br />

12) Chi è l’ultor che compare nel v. 625? Che significato assume questo riferimento all’interno<br />

della vicenda amorosa? punti 3<br />

_____________________________________________________________________________<br />

_____________________________________________________________________________<br />

_____________________________________________________________________________<br />

_____________________________________________________________________________<br />

_____________________________________________________________________________<br />

41


FATTIBILITA’<br />

Progettare un percorso inter<strong>di</strong>sciplinare è sicuramente cosa complessa: bisogna associare<br />

competenze <strong>di</strong>verse e padroneggiare co<strong>di</strong>ci espressivi <strong>di</strong>fferenti. Ovviamente è necessario che<br />

l’insegnante <strong>di</strong> lettere, che decide <strong>di</strong> integrare i contenuti <strong>di</strong> italiano o latino con altre <strong>di</strong>scipline,<br />

quali la <strong>musica</strong>, sia competente anche in questo settore, dal momento che in un Liceo classico o<br />

scientifico questa non è materia <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o, quin<strong>di</strong> non è possibile chiedere la cooperazione <strong>di</strong><br />

colleghi.<br />

Molte sono le <strong>di</strong>fficoltà anche a livello organizzativo: l’insegnante, che già è in continua lotta con il<br />

tempo, spesso in ritardo rispetto alla tabella <strong>di</strong> marcia della programmazione <strong>di</strong> inizio anno, deve<br />

calibrare bene gli spazi de<strong>di</strong>cati ad aspetti “ex<strong>tra</strong>”, deve tener sempre presente che la priorità del<br />

proprio intervento <strong>di</strong>dattico resta sempre e comunque <strong>di</strong> carattere letterario. E’ inoltre richiesta una<br />

buona dose <strong>di</strong> improvvisazione, nel senso che spesso sarà necessario cambiare rotta s<strong>tra</strong>da facendo<br />

a seconda della reazione degli studenti: solo sul campo si potrà capire quali accorgimenti adottare<br />

via via, quali aspetti approfon<strong>di</strong>re ulteriormente e quali invece <strong>tra</strong>lasciare.<br />

Non mancano poi <strong>di</strong>fficoltà più concrete: muovendosi al <strong>di</strong> fuori della programmazione scolastica<br />

<strong>tra</strong><strong>di</strong>zionale, l’insegnante deve fornire alla classe tutti gli strumenti necessari per seguire<br />

l’argomento, quin<strong>di</strong> deve preparare <strong>di</strong>spense, <strong>di</strong>stribuire fotocopie, e adoperare, se è il caso,<br />

l’attrezzatura au<strong>di</strong>o e video, se presente nella scuola, o il proprio PC portatile.<br />

L’importante è non perdere <strong>di</strong> vista la finalità <strong>di</strong> un lavoro simile: l’insegnante non deve fare<br />

sfoggio <strong>di</strong> eru<strong>di</strong>zione, al con<strong>tra</strong>rio dovrà cercare <strong>di</strong> dare alla classe l’impressione che i <strong>di</strong>versi co<strong>di</strong>ci<br />

espressivi siano complementari, quasi come se uno (la <strong>poesia</strong>) trovasse il suo pieno completamento<br />

nell’altro (la <strong>musica</strong>). Per ottenere ciò bisogna cercare <strong>di</strong> essere il meno teorici possibile, rinunciare<br />

talvolta ad una terminologia specifica, perché la <strong>musica</strong>, come d’al<strong>tra</strong> parte la <strong>poesia</strong>, va sentita, in<br />

senso letterale prima ancora che metaforico. La parola è già <strong>musica</strong>: ha una sonorità e un ritmo<br />

capace <strong>di</strong> pene<strong>tra</strong>re nell’orecchio e risuonare nell’anima. Gli studenti, oggi, spesso non sanno<br />

cogliere questi aspetti (<strong>di</strong> qui, a parer mio, la <strong>di</strong>fficoltà a leggere in metrica), perché il loro orecchio<br />

è oggi abituato a sonorità <strong>di</strong>verse, con ritmi martellanti e sonorità assordanti. La <strong>poesia</strong> invece va<br />

ascoltata in silenzio, perché solo dal silenzio può nascere la <strong>musica</strong>. La cosa più <strong>di</strong>fficile <strong>di</strong> un<br />

intervento <strong>di</strong>dattico <strong>di</strong> questo tipo penso che sia proprio questa: creare un ambiente <strong>di</strong> lavoro<br />

idoneo, capace <strong>di</strong> ascoltare, in cui la parola possa <strong>di</strong>ventare <strong>musica</strong>. Per questo motivo ritengo che<br />

una tale UD sia proponibile solo in contesti scolastici me<strong>di</strong>o-alti, dove gli allievi mostrino ancora la<br />

curiosità <strong>di</strong> imparare qualcosa <strong>di</strong> nuovo.<br />

42

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!