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una storia di sfide

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La pubblicazione <strong>di</strong> questa rassegna stampa racconta<br />

la <strong>storia</strong> delle <strong>sfide</strong> <strong>di</strong> mio padre, Pietro Vassena,<br />

delle sue innumerevoli realizzazioni <strong>di</strong> invenzioni<br />

quali motociclette, idro-auto elicotteri, sci per passeggiare<br />

sull’acqua, auto con propulsioni alternative,<br />

motori fuoribordo ed il famoso sommergibile per<br />

ricerche sottomarine C3 Vassena, che mi hanno visto<br />

testimone e quasi sempre in veste <strong>di</strong> entusiasta collaboratore<br />

nella mia prima giovinezza.<br />

Questa monografia nasce sulla spinta <strong>di</strong> amici e<br />

“supporter”, dopo aver letto il libro pubblicato in<br />

occasione del centenario della sua nascita (1897)<br />

“Pietro Vassena e il suo C3”. Approfondendo le conoscenze,<br />

apprezzando l’importanza dei contenuti tecnico-scientifici<br />

del C3 Vassena, ripresi e applicati in<br />

parte anche dallo scienziato Auguste Piccard alla batisfera<br />

Trieste, hanno espresso un vivo interesse perché<br />

un giorno si possa attivare il progetto <strong>di</strong> recupero<br />

sfruttando le nuove conoscenze tecnologiche del settore<br />

delle ricerche sottomarine. Sarà <strong>una</strong> grande<br />

opportunità per tramandare alla <strong>storia</strong> <strong>una</strong> testimonianza<br />

tangibile dell’operosità e dell’ingegno dell’italiano<br />

Pietro Vassena.<br />

Il Centro Caprense Ignazio Cerio ha il merito <strong>di</strong><br />

sostenere questo progetto, coinvolgendo opinione<br />

pubblica, me<strong>di</strong>a e istituzioni, organizzando <strong>una</strong> conferenza<br />

a Capri, luogo in cui giace il C3 Vassena<br />

a -986 m. <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà nel tratto <strong>di</strong> mare antistante i<br />

Faraglioni.<br />

Ognuno <strong>di</strong> noi ha un sogno nel cassetto e come tutti<br />

gli uomini ottimisti, ed io lo sono, sperano fermamente<br />

<strong>di</strong> realizzarlo: il mio è il recupero del C3.<br />

“Nihil <strong>di</strong>fficile volenti”.<br />

2<br />

Capri, 21 maggio 2003<br />

<strong>una</strong> <strong>storia</strong> <strong>di</strong> <strong>sfide</strong>


n° 98 - Anno IX<br />

Novembre 2001<br />

Il sommergibile d’assalto Delfino<br />

<strong>di</strong> Achille Rastelli<br />

Una ine<strong>di</strong>ta realizzazione sperimentale <strong>di</strong> Pietro Vassena<br />

negli anni della seconda guerra mon<strong>di</strong>ale<br />

F<br />

orse per chi è giovane il nome <strong>di</strong> Pietro<br />

Vassena <strong>di</strong>ce poco, ma chi ha già <strong>una</strong> certa età<br />

(e io, purtroppo o per fort<strong>una</strong>, sono tra questi)<br />

si ricorderà certamente <strong>di</strong> un inventore, all’epoca<br />

considerato da molti un originale, ma che, in<br />

realtà, fu uno dei pionieri della navigazione subacquea<br />

ad alta profon<strong>di</strong>tà con il suo batiscafo C3, persosi<br />

purtroppo nelle acque <strong>di</strong> Capri per un incidente.<br />

Vassena impostò le basi tecnologiche per i battelli<br />

d’alta profon<strong>di</strong>tà degli anni successivi: uno degli<br />

scienziati che per primo riconobbe la vali<strong>di</strong>tà delle<br />

teorie e dei suoi esperimenti fu Auguste Piccard, che<br />

introdusse nel noto batiscafo Trieste alcune applicazioni<br />

già provate dall’inventore italiano.<br />

Pietro Vassena, nato il 22 aprile 1897, era il terzo<br />

figlio <strong>di</strong> <strong>una</strong> coppia originaria <strong>di</strong> Valmadrera trasferitasi<br />

poi a Malgrate. Dopo aver partecipato alla<br />

Grande Guerra come bersagliere ciclista, venne<br />

assunto alla Faini, <strong>una</strong> <strong>di</strong>tta <strong>di</strong> Lecco nota per la produzione<br />

<strong>di</strong> stecche da ombrello e raggi per biciclette<br />

e motociclette. Qui cominciò a dare prova delle sue<br />

idee, proponendo spesso innovazioni, a volte traendone<br />

sod<strong>di</strong>sfazioni a volte qualche giu<strong>di</strong>zio sprezzante<br />

del tipo “Tu sei matto!”, senza però perdere la<br />

fiducia in se stesso. Riuscì ad introdursi nel campo<br />

delle motociclette dove realizzò buoni prodotti, dapprima<br />

con la Faini e poi in proprio. Collaborò poi<br />

con la <strong>di</strong>tta Rumi e altre aziende, sempre nel settore<br />

dei motoveicoli. Progettò e realizzò anche numerosi<br />

motori fuoribordo, in proprio e per <strong>di</strong>tte come la<br />

Carniti e la Fiat, oltre ad un idroscivolante, il Grillo.<br />

Ottenne decine <strong>di</strong> brevetti industriali.<br />

Alla base del citato C3, un battello sperimentale,<br />

che riguarda più la <strong>storia</strong> della navigazione in gene-<br />

rale che non quella della marina da guerra, c’era stata<br />

<strong>una</strong> precedente e pressoché sconosciuta realizzazione<br />

<strong>di</strong> Vassena che, pur con i limiti tecnologici dell’epoca,<br />

aveva superato la fase progettuale arrivando alla<br />

costruzione <strong>di</strong> un prototipo.<br />

Pietro Vassena, negli anni precedenti il conflitto,<br />

fra tutti i suoi interessi tecnici non si era occupato<br />

specificatamente <strong>di</strong> navigazione subacquea. Il suo<br />

interesse principale erano le motociclette e all’acqua<br />

si era avvicinato solo con l’ideazione dello “skivass”,<br />

costituito da particolari sci d’acqua con i quali era<br />

possibile camminare sull’acqua. Era anche riuscito<br />

ad organizzare un giro d’Europa su “skivass” che poi<br />

venne ridotto, per contingenze logistiche, ad un più<br />

breve ma sempre interessante giro d’Italia, effettuato<br />

nel 1932 con pochi mezzi, ma con grande passione.<br />

Alla fine degli anni Trenta, in linea con le necessità<br />

dell’autarchia, Pietro Vassena si de<strong>di</strong>cò alla costruzione<br />

<strong>di</strong> un gassogeno da lui brevettato e chiamato<br />

“Autargas”, che ebbe largo sviluppo come sistema<br />

economico per l’alimentazione dei motori a scoppio.<br />

Sull’onda del successo (e della necessità...), negli anni<br />

Quaranta ne incrementò la produzione in tre stabilimenti<br />

nella zona <strong>di</strong> Lecco che impiegavano circa<br />

120 operai.<br />

Non è certo quando in Vassena sia maturata l’idea<br />

<strong>di</strong> concentrare i suoi stu<strong>di</strong> sulla navigazione subacquea:<br />

un desiderio <strong>di</strong> poter esaminare il fondo del<br />

mare l’aveva sempre avuto e la navigazione l’aveva<br />

interessato già quando aveva iniziato a progettare<br />

motori marini. Pare che nel 1938 avesse già messo<br />

sulla carta un primo progetto, ma la sua attenzione,<br />

sotto la spinta degli eventi, si era poi rivolta ai sistemi<br />

propulsivi autarchici, come già detto.<br />

3


4<br />

Il sottomarino Delfino<br />

allo stabilimento Badoni<br />

in <strong>una</strong> foto da stampa<br />

dell’epoca<br />

Autunno 1944:<br />

il Delfino in fase<br />

<strong>di</strong> immersione davanti<br />

alla costa <strong>di</strong> Malgrate - Lecco<br />

Il modello del Delfino Lo stesso modello in moto Un’altra immagine in acqua


Nel 1941, però, grazie anche alla collaborazione<br />

del genio navale, riuscì a dare <strong>una</strong> veste concreta ai<br />

suoi stu<strong>di</strong> e presentò alla Regia Marina, a fine agosto<br />

del 1941, il progetto <strong>di</strong> un piccolo sommergibile, da<br />

lui battezzato Delfino e definito “sottomarino ultra<br />

leggero tipo Razzo”, forse a volerne sottolineare la<br />

sua elevata velocità.<br />

Nelle premesse dello stu<strong>di</strong>o veniva fatto riferimento<br />

all’attacco silurante dei cacciatorpe<strong>di</strong>niere italiani<br />

a Punta Stilo, nel luglio 1940, e si evidenziava che<br />

l’effetto era stato quello <strong>di</strong> ritardare la squadra britannica<br />

più che <strong>di</strong> arrecare effettivi danni. Si faceva<br />

poi notare che, contro <strong>una</strong> squadra navale che operava<br />

in alto mare, non era sempre possibile l’intervento<br />

<strong>di</strong> Mas mentre i sommergibili venivano giu<strong>di</strong>cati<br />

non adatti a partecipare ad <strong>una</strong> battaglia navale<br />

per via della loro bassa velocità. Unica alternativa<br />

sarebbe stata l’aerosilurante, ma il suo lancio veniva<br />

giu<strong>di</strong>cato poco sicuro, gli aerei potevano subire gravi<br />

per<strong>di</strong>te e, inoltre, non avrebbero potuto intervenire<br />

rapidamente sulle basi terrestri.<br />

L’unica possibilità, secondo Vassena e Bertoglio,<br />

risiedeva in un piccolo mezzo silurante che, imbarcato<br />

sulle unità maggiori, avrebbe potuto portare la<br />

propria offesa, <strong>di</strong> giorno e <strong>di</strong> notte, vicino alle basi o<br />

lontano da esse, <strong>di</strong> grande autonomia, poco visibile<br />

sul mare e quin<strong>di</strong> suscettibile <strong>di</strong> portarsi a poche centinaia<br />

<strong>di</strong> metri dal bersaglio, dotato <strong>di</strong> velocità più<br />

elevata rispetto alle navi più veloci onde avere assoluta<br />

libertà <strong>di</strong> manovra, <strong>di</strong> facile ed economica<br />

costruzione, con un solo uomo d’equipaggio e concepito<br />

in modo - come recitava la promessa al progetto<br />

- “da lasciare libero impegno alla tra<strong>di</strong>zionale<br />

maestria e audacia del nostro popolo e poter eliminare<br />

al massimo le per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> vite umane in un caso<br />

sfort<strong>una</strong>to”.<br />

Il mezzo proposto poteva essere impiegato secondo<br />

due <strong>di</strong>fferenti presupposti:<br />

1 - partenza da <strong>una</strong> qualsiasi base opport<strong>una</strong>mente<br />

situata in relazione alla missione da compiere, tale<br />

cioè che lo scopo della missione fosse entro il raggio<br />

<strong>di</strong> autonomia del sottomarino;<br />

2 - sistemazione a bordo <strong>di</strong> unità della squadra e<br />

possibilità <strong>di</strong> venire messo in mare in previsione dell’azione,<br />

questo grazie alle sue ridotte <strong>di</strong>mensioni<br />

(non maggiori <strong>di</strong> quelle <strong>di</strong> <strong>una</strong> motobarca) che ne<br />

avrebbero consentito la destinazione, secondo i progettisti,<br />

anche su unità delle <strong>di</strong>mensioni dei nuovi<br />

esploratori tipo “Regolo”.<br />

Prima <strong>di</strong> esaminare il battello proposto e le sue<br />

caratteristiche è tuttavia necessario affrontare un<br />

breve esame della filosofia operativa che ne avrebbe<br />

giustificato l’impiego. La sua logica non era<br />

nuova; traeva infatti origine dal vecchio desiderio<br />

<strong>di</strong> poter <strong>di</strong>sporre <strong>di</strong> naviglio sottile e veloce per<br />

cooperare, nel corso <strong>di</strong> <strong>una</strong> battaglia navale, all’azione<br />

delle unità maggiori.<br />

Nel XIX secolo si usava imbarcare delle pirobarche<br />

dotate <strong>di</strong> torpe<strong>di</strong>ni ad asta, e poi <strong>di</strong> siluri, e sulla<br />

corazzata Duilio era previsto un bacino allagabile per<br />

ospitare ad<strong>di</strong>rittura <strong>una</strong> piccola torpe<strong>di</strong>niera.<br />

L’idea era stata seppellita per decenni dagli sviluppi<br />

della tecnologia e, curiosamente, era rimasta solo<br />

negli stu<strong>di</strong> dei progettisti italiani: un progetto coevo<br />

a quello <strong>di</strong> Vassena era infatti quello del motoscafo<br />

silurante Passarin, destinato anch’esso all’imbarco su<br />

unità maggiori. Una realizzazione concreta <strong>di</strong> questa<br />

metodologia d’impiego bellico si può riscontrare,<br />

pur con <strong>una</strong> <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> mezzi vettori, nella marina<br />

giapponese che, nel corso della guerra, impiegò dei<br />

gran<strong>di</strong> sommergibili come “avvicinatori” <strong>di</strong> sottomarini<br />

tascabili, tuttavia in un contesto operativo<br />

totalmente <strong>di</strong>verso e con obiettivi limitati all’attacco<br />

<strong>di</strong> basi avversarie lontane.<br />

In questa filosofia, come si nota, è completamente<br />

assente <strong>una</strong> giusta valutazione delle potenzialità dell’aviazione<br />

imbarcata, in parte giustificata dalla mancanza<br />

d’esperienza <strong>di</strong> questa arma, soprattutto da<br />

parte <strong>di</strong> progettisti che non avevano, come si usa<br />

<strong>di</strong>re, il “polso della situazione”; a parziale giustificazione<br />

<strong>di</strong> questi ideatori, va tuttavia osservato che<br />

anche numerosi Stati Maggiori, quello italiano per<br />

primo, “il polso” non l’avevano nemmeno loro.<br />

L’idea poi <strong>di</strong> organizzare numerose basi che <strong>di</strong>sponessero<br />

<strong>di</strong> queste unità per svolgere attacchi, magari<br />

<strong>di</strong> massa, nel settore operativo era presente anche<br />

Grillo volante.<br />

sopra: Angelo Vassena controlla<br />

le candele sul motore Interceptor<br />

sotto: prova su strada<br />

5


Pietro Vassena ad Abano Terme<br />

6<br />

nella tattica d’impiego dei sommergibili Caproni<br />

tipo “CB” e fu applicata verso la fine del conflitto<br />

dalla Kriegsmarine con i suoi numerosi piccoli mezzi<br />

subacquei <strong>di</strong> vario tipo.<br />

I risultati finali dei mini-sommergibili non furono<br />

molto sod<strong>di</strong>sfacenti, anzi, si può affermare che furono<br />

praticamente fallimentari per le limitazioni insite<br />

nelle stesse <strong>di</strong>mensioni del mezzo, troppo piccolo<br />

per affrontare con<strong>di</strong>zioni operative spesso <strong>di</strong>fficili,<br />

senza strumenti <strong>di</strong> navigazioni adatti e con un solo<br />

pilota che, per le suddette <strong>di</strong>fficoltà, spesso non<br />

riusciva a portare a termine la missione perché stremato<br />

dalla fatica.<br />

Tutto questo, però, all’inizio della seconda guerra<br />

mon<strong>di</strong>ale non era noto e fiorivano i progetti <strong>di</strong> mezzi<br />

d’assalto, subacquei e semisommergibili, ma quello<br />

<strong>di</strong> Vassena aveva <strong>una</strong>, e forse qualche altra, marcia in<br />

più che ne rendono meritevole il recupero storico e<br />

il ricordo.<br />

Passiamo adesso a esaminare in dettaglio il<br />

Delfino, riportando per prima cosa le sue caratteristiche<br />

tecniche e <strong>di</strong>mensionali principali:<br />

lunghezza dello scafo: 5,95 metri, più 1,40 metri<br />

del tubo lanciasiluri a prora e 0,60 metri del timone<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>rezione a poppa;<br />

<strong>di</strong>ametro dello scafo: 1 metro, più 0,50 metri<br />

della deriva a 0,40 metri della torretta:<br />

<strong>di</strong>slocamento a pieno carico: 4,67 tonnellate, in<br />

immersione; 3,655 tonnellate in emersione;<br />

apparato motore: un motore a scoppio da 3.500<br />

cc e 85 cv B.P.M. della <strong>di</strong>tta Puricelli, sostituito<br />

poi da un Alfa Romeo da 150 cv;<br />

autonomia: 525 miglia;<br />

combustibile: 0,4 tonnellate <strong>di</strong> benzina;<br />

velocità: 45 no<strong>di</strong> in emersione e 20 no<strong>di</strong> in<br />

immersione;<br />

armamento: un siluro da 400 mm (più probabile<br />

però 450 mm) con <strong>una</strong> lunghezza <strong>di</strong> circa 2,5<br />

metri ed, eventualmente, <strong>una</strong> mitragliatrice;<br />

equipaggio: un pilota<br />

Il battello era costituito da uno scafo a sezione<br />

circolare affusolata alle due estremità con sopra<br />

<strong>una</strong> torretta per l’ingresso del pilota e per la<br />

manovra; a prora sporgeva il tubo lanciasiluri, a<br />

poppa era sistemato il timone <strong>di</strong> <strong>di</strong>rezione; sotto<br />

lo scafo, dotato <strong>di</strong> due particolari redan, era sistemata<br />

<strong>una</strong> deriva e sui lati due timoni <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà;<br />

per la manovra in immersione e per l’attacco<br />

era dotato <strong>di</strong> un periscopio.<br />

Le modalità d’attacco <strong>di</strong> questo battello mettevano<br />

poi in luce quella che era la sua caratteristica principale.<br />

Il Delfino non richiedeva laboriose manovre<br />

per il passaggio dall’emersione all’immersione che<br />

doveva rapidamente con il semplice impiego dei<br />

timoni <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà. Poteva quin<strong>di</strong> portarsi in<br />

emersione ad <strong>una</strong> <strong>di</strong>stanza dal nemico alla quale non<br />

poteva essere avvistato e quin<strong>di</strong> procedere in immersione<br />

a quota periscopica fino a poche centinaia <strong>di</strong><br />

metri dal bersaglio per lanciare il suo siluro.<br />

In immersione a quota periscopio il sommergibile<br />

navigava ancora con il motore a scoppio, “prendendo<br />

aria da <strong>una</strong> presa sistemata sul periscopio munita<br />

<strong>di</strong> chiusura automatica in caso <strong>di</strong> sommersione del<br />

periscopio e scaricando attraverso un apparecchio ad<br />

aspirazione.”<br />

Quello che viene enunciato nel progetto non è<br />

altro che uno snorkel, fino ad allora sperimentato<br />

solo nella Marina olandese e per il quale erano<br />

stati fatti stu<strong>di</strong> ed esperimenti, poi malauguratamente<br />

abbandonati, anche in Italia negli anni<br />

Venti e Trenta.<br />

Qualora si fosse immerso oltre la quota periscopica<br />

(era prevista <strong>una</strong> quota operativa <strong>di</strong> -20 metri),<br />

poteva navigare utilizzando per il funzionamento del<br />

motore l’aria compressa contenuta in bombole (1) e<br />

percorrere così ad alta velocità uno spazio <strong>di</strong> 5.000-<br />

6.000 metri, ritenuti sufficienti a far perdere le proprie<br />

tracce. Il battello <strong>di</strong>sponeva anche <strong>di</strong> un compressore<br />

d’aria, per cui l’immersione a 20 metri poteva<br />

essere ripetuta più volte, ricaricando le bombole<br />

in emersione o rimanendo a quota periscopica.<br />

Lo scafo era costituito da un cilindro d’acciaio,<br />

lungo 3.850 mm e ricoperto con lamiera da 3 mm<br />

<strong>di</strong> spessore, alle cui estremità erano poste due calotte.<br />

La profon<strong>di</strong>tà massima <strong>di</strong> 20 metri era giu<strong>di</strong>cata


sufficiente a garantirne l’invisibilità anche dall’alto<br />

grazie alle sue piccole <strong>di</strong>mensioni. Lo spessore dello<br />

scafo era stato stu<strong>di</strong>ato per resistere ad <strong>una</strong> pressione<br />

<strong>di</strong> 2 atmosfere ed era rinforzato all’interno da or<strong>di</strong>nate<br />

in ferro a “T”, sulle quali ritorneremo brevemente<br />

in seguito.<br />

Il timone <strong>di</strong> <strong>di</strong>rezione era a struttura cellulare, rivestita<br />

in lamierino da 3 mm, delle <strong>di</strong>mensioni <strong>di</strong> 55 x<br />

100 cm. L’asse del timone attraversava la zona poppiera<br />

verticalmente; all’interno dello scafo era sistemata<br />

la barra che veniva manovrata per mezzo <strong>di</strong> frenelli<br />

in cavo d’acciaio da un volante che si trovava<br />

nella torretta.<br />

I timoni <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà a forma alare erano anch’essi<br />

a struttura cellulare rivestita in lamierino da 3 mm<br />

e le loro <strong>di</strong>mensioni erano <strong>di</strong> 100 x 90 cm; collegati<br />

tra loro da un albero <strong>di</strong> 6 cm <strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro, la loro<br />

manovra a mano si otteneva con <strong>una</strong> catena <strong>di</strong> leve<br />

che terminava ad <strong>una</strong> barra situata vicino al pilota.<br />

I redan, in<strong>di</strong>spensabili per ottenere le alte velocità<br />

con piccole potenze, facevano sì che in piena corsa lo<br />

scafo si sollevasse sfiorando il pelo dell’acqua e quin<strong>di</strong><br />

l’attrito venisse ridotto al minimo. Le prove condotte<br />

con il modello <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o del Delfino rimorchiato<br />

da <strong>una</strong> barca a remi (velocità stimata circa 8<br />

Km/h) avevano mostrato che il battello si sosteneva<br />

esclusivamente sui redan, mantenendo fuori tutta la<br />

prora e i timoni <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà che in questo caso<br />

funzionavano da equilibratori laterali, come succedeva<br />

per gli idrovolanti.<br />

La deriva era anch’essa a struttura cellulare con<br />

lamierino da 3 mm come rivestimento e si era<br />

mostrata utile durante le prove per mantenere la<br />

<strong>di</strong>rezione ed evitare il rollio con acque molto<br />

mosse e per attenuare gli sbandamenti sotto forti<br />

angoli <strong>di</strong> barra.<br />

Per l’apparato motore era stato scelto dapprima il<br />

motore a scoppio B.P.M. della <strong>di</strong>tta Puricelli, ma era<br />

poi sostituito nel prototipo con un Alfa Romeo <strong>di</strong><br />

potenza doppia, caratterizzato da un ottimo rapporto<br />

peso/potenza. Il motore era sistemato a poppa per<br />

controbilanciare il peso del siluro a prora e per ottenere<br />

un forte battente d’acqua sopra l’elica in modo<br />

da essere sicuri che questa fosse sempre immersa,<br />

anche nelle con<strong>di</strong>zioni più sfavorevoli. Tutti i<br />

coman<strong>di</strong> del motore facevano capo ad un cruscotto<br />

sistemato <strong>di</strong> fronte al pilota. L’alimentazione era a<br />

benzina, contenuta in due serbatoi sistemati <strong>di</strong> fianco<br />

al motore e sopra <strong>di</strong> esso; questi serbatoi potevano<br />

essere riempiti d’acqua mano a mano che si vuotavano<br />

<strong>di</strong> benzina, in modo da non variare l’assetto<br />

del battello. L’aria per il suo funzionamento veniva<br />

fornita dal tubo (o snorkel) esterno e, in immersione,<br />

dalle bombole d’aria compressa le quali, inoltre,<br />

fornivano l’aria per la respirazione del pilota.<br />

Lo scarico <strong>di</strong> scappamento del motore rappresentava<br />

il problema base da affrontare per far funzionare<br />

il motore a scoppio anche in immersione ed era<br />

stato risolto (almeno così auspicava l’inventore,<br />

n.d.r.) me<strong>di</strong>ante un <strong>di</strong>spositivo aspirante. Poiché l’elica<br />

nel suo moto genera <strong>una</strong> zona <strong>di</strong> depressione, si<br />

era sfruttato questo fatto facendo sboccare il tubo <strong>di</strong><br />

scappamento <strong>di</strong>etro l’elica, sagomando tale tubo in<br />

modo che seguisse in modo perfetto e con un interspazio<br />

<strong>di</strong> soli 2 mm, il profilo delle pale dell’elica. Il<br />

sistema doveva essere però sperimentato, ma secondo<br />

Vassena era suscettibile <strong>di</strong> miglioramenti e <strong>di</strong><br />

variazioni in seguito agli esperimenti.<br />

Il progetto prevedeva inoltre un’accurata ripartizione<br />

dei pesi e calcoli completi per stabilire il corretto<br />

assetto del battello. La velocità in superficie,<br />

stabilita in via teorica in base ai risultati con scafi<br />

analoghi e con potenze comparabili, era prevista nell’or<strong>di</strong>ne<br />

dei 35 no<strong>di</strong>. Per quella in immersione lo stu<strong>di</strong>o,<br />

dopo aver analizzato le caratteristiche <strong>di</strong> molti<br />

sommergibili in servizio, concludeva che, rispetto ai<br />

normali battelli, si aveva a <strong>di</strong>sposizione <strong>una</strong> potenza<br />

per tonnellata 14 volte superiore.<br />

L’immersione e l’emersione dovevano avvenire<br />

senza casse d’assetto, ma con la sola variazione dell’inclinazione<br />

dei timoni <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà il cui effetto<br />

aumentava con l’aumentare della velocità del battello.<br />

Era prevista l’eventualità <strong>di</strong> impiegare un sistema<br />

a “piatto idrostatico” per liberare il pilota dall’incombenza<br />

<strong>di</strong> dover continuamente tenere sotto controllo<br />

il manometro della profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> immersione<br />

Pietro Vassena nelle prove <strong>di</strong> Carpi<br />

7


8<br />

Autunno 1944:<br />

il Delfino naviga<br />

in affioramento<br />

al largo <strong>di</strong> Lecco<br />

Il batiscafo C3<br />

in emersione<br />

durante le prove<br />

effetuate davanti<br />

a Lecco nel 1948


dello scafo, soprattutto nella navigazione a quota<br />

periscopica.<br />

Lo stu<strong>di</strong>o presentava, quin<strong>di</strong>, aspetti interessanti,<br />

considerando quanto andava realizzando la Marina<br />

nel 1941, ma, vista la mole <strong>di</strong> progetti sottoposti da<br />

numerosi inventori per varie soluzioni della navigazione<br />

occulta d’assalto, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> altri che, pur<br />

fallimentari, furono presi in preliminare considerazione<br />

dal Comitato Progetti Navi, quello del<br />

Delfino pare non abbia avuto la minima considerazione.<br />

Non fu però così per la marina tedesca: nel<br />

1942, infatti, si presentò negli uffici <strong>di</strong> Vassena <strong>una</strong><br />

rappresentanza della Kriegsmarine che si fece consegnare<br />

dal costruttore il modello del Delfino e copia<br />

dei <strong>di</strong>segni. Probabilmente i servizi tecnici della<br />

marina alleata, informati <strong>di</strong> questo progetto e già<br />

impegnati nello sviluppo delle attrezzature dei sommergibili<br />

olandesi sull’alimentazione dei motori a<br />

combustione su battelli in immersione a quota periscopica,<br />

erano rimasti incuriositi dalla genialità delle<br />

soluzioni in tal senso <strong>di</strong> Vassena e Bertoglio.<br />

Il progetto originale subì alcune evoluzioni fino al<br />

1943, ma Vassena, con il passare del tempo, in<strong>di</strong>rizzava<br />

sempre più i suoi interessi verso l’immersione a<br />

grande profon<strong>di</strong>tà, sviluppando le soluzioni strutturali<br />

già previste per il Delfino, come le or<strong>di</strong>nate in<br />

ferro a “T” per rinforzare le strutture dello scafo: la<br />

sua idea era ormai <strong>di</strong> realizzare un mezzo che potesse<br />

immergersi e collaborare, in un non lontano<br />

dopoguerra, al recupero delle navi affondate. Erano<br />

i primi stu<strong>di</strong> del suo C3.<br />

Dopo l’8 settembre 1943, il Delfino <strong>di</strong> Vassena<br />

riscosse però l’interesse della neocostituita Marina<br />

della Repubblica Sociale Italiana: nell’ottobre 1943 il<br />

progettista lecchese fu contattato dal colonnello<br />

Fort<strong>una</strong>to, che secondo Vassena veniva da un<br />

comando <strong>di</strong> Vicenza, ma che, molto più probabilmente,<br />

era della Scuola per mezzi d’assalto <strong>di</strong> Schio.<br />

Fort<strong>una</strong>to si fece consegnare da Vassena i piani e gli<br />

stu<strong>di</strong> relativi al Delfino, requisì un locale della <strong>di</strong>tta<br />

Antonio Badoni S.p.A., un’industria <strong>di</strong> Lecco molto<br />

nota e specializzata nella produzione <strong>di</strong> motrici fer-<br />

roviarie, e iniziò la costruzione <strong>di</strong> un prototipo del<br />

battello subacqueo. Vassena non fu coinvolto <strong>di</strong>rettamente<br />

nella realizzazione del suo progetto, ma<br />

continuò a prestare la sua opera <strong>di</strong> consulenza per<br />

tutta la durata della costruzione del prototipo.<br />

Il varo del Delfino avvenne nel 1944, probabilmente<br />

nel corso dell’estate, allo scalo d’alaggio in via<br />

Raffaello a Lecco, nella darsena dei Canottieri, che<br />

era presi<strong>di</strong>ata da soldati della Rsi; questo fatto, unito<br />

alla considerazione che la costruzione era <strong>di</strong>retta dal<br />

colonnello Fort<strong>una</strong>to, fa ritenere che il battello fosse<br />

<strong>una</strong> realizzazione autonoma della Marina repubblicana,<br />

e non della Kriegsmarine o da lei controllata,<br />

come quasi tutti i mezzi d’assalto realizzati in quel<br />

periodo nell’Italia del nord.<br />

Il Delfino iniziò le prove nel lago nell’autunno<br />

1944, facendo riscontrare numerosi problemi, che si<br />

possono far risalire alle inevitabili verifiche sperimentali<br />

<strong>di</strong> ogni prototipo sommate alle <strong>di</strong>fficoltà del<br />

momento, ma purtroppo non ci è rimasta alc<strong>una</strong><br />

relazione tecnica <strong>di</strong> queste prove.<br />

Alla fine della guerra Pietro Vassena affrontò un<br />

periodo <strong>di</strong>fficile per l’accusa <strong>di</strong> collaborazionismo,<br />

allora spesso rivolta a chiunque aveva svolto un’attività<br />

industriale. Imprigionato nelle scuole <strong>di</strong> Lecco,<br />

ne approfittò per approfon<strong>di</strong>re i suoi stu<strong>di</strong> sul progetto<br />

del batiscafo.<br />

Il Delfino era rimasto presso la <strong>di</strong>tta Badoni, dove<br />

fu requisito da <strong>una</strong> commissione tecnica della U.S.<br />

Navy e portato, assieme a tutti i suoi <strong>di</strong>segni, negli<br />

Stati Uniti. E qui si perdono definitivamente le sue<br />

tracce.<br />

Quale sia stato il successivo destino <strong>di</strong> questo interessante<br />

battello sperimentale è ignoto, e non<br />

potrebbe essere altrimenti: probabilmente finì nell’immenso<br />

calderone <strong>di</strong> tutte le armi sperimentali<br />

catturate agli Alleati in Europa, provate e poi demolite,<br />

eccetto poche ancora conservate nei musei.<br />

Ai fini della <strong>storia</strong> <strong>di</strong> Pietro Vassena, è importante<br />

ricordare questo piccolo sommergibile come il “progenitore”<br />

tecnico del più noto batiscafo C3 e, da<br />

questo, <strong>di</strong> quasi tutti i mezzi <strong>di</strong> navigazione a grande<br />

profon<strong>di</strong>tà oggi esistenti al mondo.<br />

9


IMMERSIONE RAPIDA<br />

n° 8 - Anno 2001<br />

Bimestrale giugno-luglio<br />

Dimenticato negli abissi<br />

Dicono che la tenacia e l’ar<strong>di</strong>mento, insomma lo spirito<br />

<strong>di</strong> chi crede nel “nostro” motto: memento audere semper,<br />

rendono quasi impossibile l’insuccesso, ma non è così.<br />

La <strong>storia</strong> è ricca d’uomini che, camminando troppo avanti agli altri,<br />

hanno bevuto fino in fondo l’amaro calice del fallimento.<br />

Magari senza averne alc<strong>una</strong> colpa.<br />

Questa è la <strong>storia</strong> <strong>di</strong> uno <strong>di</strong> quegli uomini e della sua fantastica idea …<br />

il “C3”negli anni della seconda guerra mon<strong>di</strong>ale<br />

<strong>di</strong> Giulio E. Melegari Mazzoni<br />

L<br />

a <strong>storia</strong> del “C3” è un luminoso documento<br />

<strong>di</strong> ingegno e d’ingegnosità realizzativa,<br />

rimasti coperti e nascosti da <strong>una</strong> sorte avversa<br />

e da un inadeguato supporto da parte del<br />

mondo circostante, troppo impreparato e troppo<br />

inerte per poter comprendere e accogliere <strong>una</strong> realizzazione<br />

precorrente i tempi. Possiamo oggi solo<br />

ipotizzare che le imprese dei palombari dell’Artiglio<br />

con gli scafandri rigi<strong>di</strong> articolati sul relitto<br />

dell’Egypt nei primi anni Trenta abbiano attirato e<br />

coinvolto l’attenzione <strong>di</strong> Pietro Vassena, lecchese<br />

per <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> sangue e per <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> nascita, già<br />

inventore affermato <strong>di</strong> soluzioni innovative e <strong>di</strong><br />

realizzazioni ingegnose nella meccanica terrestre<br />

non <strong>di</strong> rado applicate con successo al settore delle<br />

acque e della navigazione. Non ci deve stupire<br />

quin<strong>di</strong> che nel 1938 Pietro Vassena abbia concepito<br />

l’idea <strong>di</strong> un sottomarino e ne abbia stilato il<br />

progetto. Pur non provenendo da <strong>una</strong> <strong>di</strong>retta personale<br />

formazione o pratica subacquea, come<br />

palombaro, Pietro Vassena, con intuito, ingegno e<br />

soprattutto con ineguagliabile e competente capacità<br />

<strong>di</strong> sintesi, è stato in grado <strong>di</strong> percepire e concepire<br />

ante litteram la funzione che nell’intervento<br />

subacqueo profondo avrebbe potuto assumere un<br />

mezzo autonomo e svincolato dalla superficie.<br />

Tra le righe delle cronache degli interventi con gli<br />

scafandri rigi<strong>di</strong> articolati e con le torrette butoscopiche<br />

e dei resoconti delle immersioni con la<br />

batisfera e il bentoscopio <strong>di</strong> Beebe, Pietro Vassena<br />

ha saputo intuitivamente percepire i presupposti,<br />

le implicazioni, le necessità, e i limiti degli strumenti,<br />

dei mezzi e degli utensili utilizzati e utilizzabili<br />

nell’esplorazione scientifica del mondo<br />

sommerso e nel lavoro subacqueo sui relitti a<br />

grande profon<strong>di</strong>tà. I venti <strong>di</strong> guerra del secondo<br />

conflitto mon<strong>di</strong>ale provocano però un cambiamento<br />

<strong>di</strong> destinazione applicativa del concetto <strong>di</strong><br />

sottomarino, in<strong>di</strong>rizzandolo verso impieghi militari<br />

ben più impellenti <strong>di</strong> quelli commerciali o<br />

industriali. Nel 1942 Pietro Vassena progetta<br />

quin<strong>di</strong> e fa costruire, in parte presso la Ditta<br />

Badoni <strong>di</strong> Lecco, un prototipo <strong>di</strong> motosilurante<br />

subacquea capace <strong>di</strong> sviluppare <strong>una</strong> velocità <strong>di</strong> 35<br />

km/h in navigazione <strong>di</strong> superficie e <strong>di</strong> 14 km/h in<br />

navigazione subacquea, mantenendo la con<strong>di</strong>zione<br />

<strong>di</strong> immersione per effetto <strong>di</strong>namico dei timoni<br />

<strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà pur possedendo caratteristiche<br />

strutturali e ponderali <strong>di</strong> galleggiamento statico.<br />

Pochi mesi dopo, nello stesso anno e nell’anno<br />

seguente, viene realizzato il “Delfino” un torpedo<br />

snorkel con un motore <strong>di</strong> 150 HP Alfa Romeo<br />

11


Il figlio Angelo Vassena,<br />

fra i più calorosi sostenitori<br />

del padre, sempre presente<br />

nelle immersioni<br />

12<br />

che gli imprimono <strong>una</strong> velocità <strong>di</strong> 70 km/h in<br />

superficie e <strong>di</strong> 32 km/h in immersione. Con il suo<br />

armamento costituito da un siluro e da <strong>una</strong> mitragliera<br />

risulta il mezzo subacqueo <strong>di</strong> assalto più<br />

veloce del mondo. Nel perdurare del periodo bellico<br />

(1944 e 1945), Pietro Vassena continua a<br />

de<strong>di</strong>carsi alla progettazione <strong>di</strong> sottomarini e sommergibili<br />

tascabili per la <strong>di</strong>fesa subacquea, mentre<br />

la sua attenzione viene progressivamente spostata<br />

sui recuperi marini, stante l’imponente quantità<br />

<strong>di</strong> naviglio affondato dagli eventi bellici e l’approssimarsi<br />

della fine del conflitto. A quel punto,<br />

però, nel 1945, nel corso dell’ondata d’isterismo<br />

postbellico, <strong>di</strong> caccia alle streghe e ai presunti collaborazionisti,<br />

Pietro Vassena viene arrestato e<br />

detenuto, tra il 28 aprile e il successivo 13 giugno,<br />

nell’e<strong>di</strong>ficio scolastico <strong>di</strong> via Ghislanzoni a Lecco<br />

trasformato in carcere occasionale. L’inventore<br />

non lascia trascorrere inerte questo periodo e<br />

quando viene rilasciato ha ben chiaro in mente<br />

tanto il progetto del costruendo sommergibile<br />

tascabile da ricerca e da lavoro in acque profonde<br />

quanto la sigla che lo contrad<strong>di</strong>stinguerà. Si chiamerà<br />

“C3”, dalla targa che sormontava la porta<br />

dell’aula della classe 3ªC nella quale era stato<br />

ingiustamente detenuto. Nell’autunno <strong>di</strong> quello<br />

stesso anno (1945), Pietro Vassena sottopone il<br />

suo progetto e le realizzazioni fino ad allora concretizzate<br />

all’esame <strong>di</strong> Guglielmo Premuda, ingegnere<br />

consulente tecnico della sezione<br />

Costruzioni Navali del Ministero dell’Industria, e<br />

<strong>di</strong> William Carreri, ingegnere reggente il<br />

Comitato Industriale delle Costruzioni Navali. Il<br />

risultato <strong>di</strong> questa attenta ispezione e <strong>di</strong>samina<br />

viene espresso in <strong>una</strong> lusinghiera relazione (19<br />

novembre 1945): “...omissis... si è tratta la convinzione<br />

che il nuovo apparecchio rappresenta effettivamente<br />

<strong>una</strong> felice soluzione per il superamento<br />

delle <strong>di</strong>fficoltà riscontrate sino ad ora nelle operazioni<br />

<strong>di</strong> recupero dei relitti <strong>di</strong> navi a gran<strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà.<br />

Si può quin<strong>di</strong> affermare che il nuovo apparecchio<br />

rappresenta a confronto dei mezzi <strong>di</strong> salvataggio<br />

attualmente in uso per il recupero <strong>di</strong> relitti (palom-<br />

baro con scafandro) sia da piccola che da grande profon<strong>di</strong>tà<br />

(sino a 400 metri) un reale progresso per le<br />

seguenti ragioni: completa in<strong>di</strong>pendenza dalla nave<br />

appoggio, con la quale rimane però in continuo contatto<br />

ra<strong>di</strong>o; possibilità <strong>di</strong> raggiungere le gran<strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà<br />

rapidamente e <strong>di</strong> risalire con eguale rapi<strong>di</strong>tà;<br />

possibilità <strong>di</strong> trattenersi e manovrare a qualsiasi<br />

quota <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà e conseguente facilità <strong>di</strong> eseguire<br />

le ricerche del relitto, <strong>di</strong> esplorare da tutte le parti la<br />

posizione e lo stato dello stesso; <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare il<br />

miglior modo per procedere al salvataggio dello stesso,<br />

all’applicazione dei cavi, ganci o cassoni <strong>di</strong> sollevamento,<br />

<strong>di</strong> eseguire il recupero e la loro sorveglianza<br />

durante le <strong>di</strong>verse manovre <strong>di</strong> sollevamento e<br />

recupero; massima sicurezza per l’equipaggio dell’apparecchio<br />

(como<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> movimento dentro lo scafo e<br />

nessun pericolo <strong>di</strong> <strong>di</strong>sturbi all’organismo); possibilità<br />

<strong>di</strong> permanenza sott’acqua <strong>di</strong> gran lunga superiore a<br />

quella raggiungibile con gli attuali mezzi (35 ore).<br />

...omissis... Questa Commissione si è perciò formata<br />

la convinzione che questa nuova invenzione è<br />

meritevole del più grande incoraggiamento da parte<br />

dello Stato, nonché dell’interessamento da parte delle<br />

<strong>di</strong>tte navali. ...omissis... L’Industria navale italiana<br />

<strong>di</strong> recupero è sempre stata all’avanguar<strong>di</strong>a della tecnica,<br />

sia per l’audacia degli uomini che per perfezione<br />

dei mezzi, e l’adozione <strong>di</strong> questo nuovo apparecchio<br />

potrà significare un nuovo progresso nella tecnica<br />

dei recuperi e contemporaneamente <strong>una</strong> decisa<br />

affermazione della capacità inventiva Italiana.”.<br />

Quasi subito iniziano i lavori per la costruzione del<br />

piccolo batiscafo “C3” nella quale Pietro Vassena<br />

coinvolge la <strong>di</strong>tta “Forni Impianti Industriali<br />

Colombo” e la fabbrica lecchese “De Bartolomeis”.<br />

Lo scafo resistente è costituito da un tubo <strong>di</strong> lamiera<br />

d’acciaio dello spessore <strong>di</strong> 10 mm, con un <strong>di</strong>ametro<br />

<strong>di</strong> 120 cm ed <strong>una</strong> lunghezza <strong>di</strong> 8 m. Alle<br />

due estremità <strong>di</strong> questo tubo vengono applicate<br />

due calotte bombate per formare rispettivamente<br />

la prora e poppa, giungendo ad <strong>una</strong> lunghezza<br />

complessiva del sottomarino <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci metri e ad un<br />

<strong>di</strong>slocamento <strong>di</strong> circa 10 tonnellate. All’interno<br />

vengono poste centinature <strong>di</strong> rinforzo costituite da


Pietro Vassena all’interno<br />

del suo C3. In primo piano<br />

la struttura a T rovesciata,<br />

calcolata per resistere alle alte<br />

pressioni. È importante<br />

ricordare che all’epoca<br />

i sommergibili erano progettati<br />

per resistere ad un massimo<br />

<strong>di</strong> 250 metri <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà<br />

L’inventore del C3 nelle acque<br />

<strong>di</strong> Capri nel novembre 1948.<br />

Il piccolo sottomarino<br />

era considerato dagli esperti<br />

un vero gioiello tecnologico<br />

13


14<br />

Un progetto mai<br />

realizzato per il C3.<br />

Si noti la possibilità<br />

<strong>di</strong> operare<br />

sia posteriormente<br />

che anteriormente<br />

e <strong>una</strong> torretta per<br />

l’Ots, che poteva<br />

saldare e fare<br />

piccoli interventi<br />

I <strong>di</strong>segni per il progetto del C3


ossature metalliche in profilato a T (mm. 70 x 70 x<br />

9), <strong>di</strong>stanziate fra loro <strong>di</strong> 150 mm. All’esterno dello<br />

scafo vengono installati inferiormente due cilindri<br />

longitu<strong>di</strong>nali <strong>di</strong> galleggiamento e <strong>di</strong> allagamento<br />

destinati a fungere da casse <strong>di</strong> assetto e due cilindri<br />

longitu<strong>di</strong>nali più gran<strong>di</strong> destinati ad ospitare gli<br />

accumulatori elettrici che così non si trovano all’interno<br />

del compartimento abitato. Superiormente<br />

viene installata la torretta <strong>di</strong> osservazione e pilotaggio,<br />

alta 60 cm e col <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> 80 cm, dotata <strong>di</strong><br />

quattro hublots circolari e <strong>di</strong> un portello superiore<br />

bombato. Posteriormente, all’esterno dello scafo,<br />

vengono montati due timoni <strong>di</strong>rezionali e un grande<br />

timone <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà. All’interno dello scafo trovano<br />

posto un motore a benzina da 50 HP Fiat per<br />

la navigazione in superficie che permette al sottomarino<br />

<strong>di</strong> raggiungere la velocità <strong>di</strong> 10 no<strong>di</strong> e un<br />

motore elettrico da 5 HP che consente la navigazione<br />

in immersione fino alla velocità <strong>di</strong> 3 no<strong>di</strong>.<br />

Come i sottomarini militari a lungo raggio <strong>di</strong> azione<br />

il “C3” può ricaricare i propri accumulatori<br />

durante la navigazione in superficie. Me<strong>di</strong>ante un<br />

gruppo <strong>di</strong>fferenziale opport<strong>una</strong>mente installato è<br />

possibile inserire alternativamente il motore termico<br />

o quello elettrico sull’elica situata inferiormente<br />

alla calotta bombata <strong>di</strong> poppa. Le dotazioni aggiuntive<br />

a quelle <strong>di</strong> navigazione e <strong>di</strong> lavoro comprendono<br />

cinque potenti fari esterni alcuni dei quali <strong>di</strong>rezionalmente<br />

regolabili dall’interno. I calcoli strutturali<br />

e <strong>di</strong> verifica della resistenza dello scafo agli<br />

effetti della pressione idrostatica sono stati effettuati<br />

dallo stesso Pietro Vassena che, partendo dal<br />

manuale <strong>di</strong> Jochow Forster, ha estrapolato e opport<strong>una</strong>mente<br />

applicato le formule <strong>di</strong> Mises per il<br />

fasciame, <strong>di</strong> Föppel per le ossature e <strong>di</strong> Von Sanden<br />

per le sollecitazioni generali. Vale la pena <strong>di</strong> ricordare<br />

che in quegli anni l’architettura navale degli<br />

scafi dei sottomarini si limitava a strutture destinate<br />

a superare <strong>di</strong> poco il centinaio <strong>di</strong> metri <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà,<br />

mentre Pietro Vassena aveva già chiari l’inten<strong>di</strong>mento<br />

e il concetto <strong>di</strong> un sistema destinato a<br />

immergersi sottostando a pressioni idrostatiche <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>eci volte superiori.<br />

Il 10 febbraio 1948 un’altra relazione <strong>di</strong> William<br />

Carreri ratifica e sancisce la vali<strong>di</strong>tà e l’ingegnosità<br />

del progetto: “ ...... omissis...... Nella <strong>storia</strong> delle<br />

esplorazioni sottomarine e dei recuperi marittimi si<br />

aprono nuovi orizzonti, nuove gran<strong>di</strong> possibilità. E<br />

l’industria navale italiana dei recuperi marini – che è<br />

sempre stata all’avanguar<strong>di</strong>a della tecnica sia per l’audacia<br />

degli uomini che per il perfezionamento dei<br />

mezzi – grazie all’adozione <strong>di</strong> questo nuovo apparecchio<br />

<strong>di</strong> portata tecnica e scientifica incalcolabile e che<br />

ha già destato l’interesse <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>osi e tecnici <strong>di</strong> tutto il<br />

mondo, segnerà un nuovo progresso nella tecnica dei<br />

recuperi, registrando un’altra decisa affermazione della<br />

capacità inventiva italiana”.<br />

Il 9 marzo del 1948 il “C3”, dopo avere compiuto<br />

prove e immersioni preliminari <strong>di</strong> bilanciamento e<br />

regolazione <strong>di</strong> assetto, esegue, non presi<strong>di</strong>ato, <strong>una</strong><br />

immersione <strong>di</strong> collaudo nel lago <strong>di</strong> Como <strong>di</strong> fronte<br />

a Argegno e per controllare che durante la <strong>di</strong>scesa in<br />

profon<strong>di</strong>tà non vi siano infiltrazioni <strong>di</strong> acqua, Pietro<br />

Vassena escogita un ingegnoso sistema costituito da<br />

<strong>una</strong> sveglia posata all’interno <strong>di</strong> <strong>una</strong> pentola metallica<br />

e collegata a un microfono che trasmette via cavo<br />

telefonico il regolare ticchettio in superficie. Il “C3”<br />

viene calato fino a 235 metri <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà perché la<br />

limitata lunghezza del cavo telefonico impe<strong>di</strong>sce <strong>una</strong><br />

ulteriore <strong>di</strong>scesa. Il giorno seguente, dopo aver allungato<br />

opport<strong>una</strong>mente il cavo telefonico, viene compiuta<br />

positivamente un’immersione che arriva fino al<br />

fondo del lago e cioè a 415 metri <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà.<br />

Due giorni più tar<strong>di</strong>, il 12 marzo 1948, Pietro<br />

Vassena, accompagnato da Nino Turati, raggiunge il<br />

fondo del lago a 412 metri <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà in <strong>una</strong><br />

immersione del “C3” con equipaggio e prove funzionali.<br />

Il successo è confermato e clamoroso. Pochi<br />

giorni dopo, il 21 marzo, invitato dal Prof. Augusto<br />

Piccard, Pietro Vassena si reca a fargli visita a Sierre<br />

coronando con l’incontro <strong>una</strong> corrispondenza epistolare<br />

iniziata tempo prima. Piccard si sta preparando<br />

all’allestimento dei batiscafi che legheranno, anni<br />

dopo, il suo nome alle immersioni abissali. Il successo<br />

della immersione a oltre 400 metri <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà<br />

nel lago <strong>di</strong> Como porta ben preso il batiscafo “C3”<br />

Nino Turati a bordo del C3<br />

15


Il C3 durante la fase<br />

<strong>di</strong> preparazione per<br />

il record <strong>di</strong> Argegno<br />

16<br />

in Liguria dove il 21 giugno è esposto a Palazzo<br />

Ducale a Genova e tra il 25 e il 28 agosto compie<br />

<strong>una</strong> serie <strong>di</strong> immersioni fino a 200 metri <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà<br />

tra Santa Margherita Ligure e Portofino. Da<br />

Genova il “C3” è trasferito, a bordo <strong>di</strong> <strong>una</strong> nave, a<br />

Napoli, dove giunge l’11 settembre per effettuare<br />

<strong>una</strong> serie <strong>di</strong> immersioni improntate a osservazioni e<br />

ricerche <strong>di</strong> biologia marina auspicate e assistite dal<br />

prof. Pietro Parenzan, biologo marino ed entusiasta<br />

promotore dello stu<strong>di</strong>o delle forme <strong>di</strong> vita marina<br />

abissale. L’apertura della parentesi napoletana e campana<br />

nella <strong>storia</strong> del “C3” illumina realisticamente le<br />

possibilità applicative <strong>di</strong> impiego del batiscafo nelle<br />

attività <strong>di</strong> indagine ambientale e <strong>di</strong> ricerca scientifica,<br />

settori nei quali scienza e ricerca hanno prima<br />

d’ora brancolato praticamente nel buio senza potere<br />

<strong>di</strong>sporre <strong>di</strong> alcun sistema <strong>di</strong> osservazione <strong>di</strong>retta. L’8<br />

ottobre 1948, a poco più <strong>di</strong> 300 metri <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza<br />

dalla famosa Grotta Azzurra, mentre è trainato dal<br />

rimorchiatore “Gaeta” verso il luogo dell’immersione,<br />

dopo avere lasciato il porto <strong>di</strong> Marina Grande a<br />

Capri, il “C3” imbarca acqua dallo sportello a causa<br />

<strong>di</strong> due grosse ondate che lo sommergono durante<br />

<strong>una</strong> malaugurata fase <strong>di</strong> ricambio d’aria a torretta<br />

aperta. Bastano pochi secon<strong>di</strong> perché il “C3” acquisti<br />

assetto negativo e affon<strong>di</strong>, spezzando il cavo <strong>di</strong><br />

rimorchio e finendo su un fondale <strong>di</strong> oltre 100 metri<br />

<strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà. È un momento <strong>di</strong> <strong>di</strong>sperazione, ma<br />

nel volgere <strong>di</strong> quattro giorni <strong>di</strong> ricerche il “C3” viene<br />

aggianciato alle cinque del mattino del 12 ottobre;<br />

dopo alterne vicende <strong>di</strong> sollevamento e tentativi<br />

ininterrotti <strong>di</strong> recupero in superficie, il batiscafo<br />

viene trasportato in acque più basse e finalmente<br />

recuperato e portato e fuori acqua alle 1,30 del 14<br />

ottobre. Il recupero apporta <strong>una</strong> ripresa <strong>di</strong> entusiasmo<br />

che consente <strong>di</strong> effettuare rapidamente le operazioni<br />

<strong>di</strong> ripristino e <strong>di</strong> preparazione per nuove e<br />

più profonde immersioni.<br />

Trascorrono giorni d’intensa attività e <strong>di</strong> profondo<br />

impegno per il ripristino delle attrezzature non<br />

prevista per la permanenza in acqua salata. Il 4<br />

novembre vengono riprese le prove <strong>di</strong> immersione<br />

e <strong>di</strong> navigazione subacquea con un rinato “C3”,<br />

che è stato ripristinato a tempo <strong>di</strong> primato. Le<br />

prime immersioni avvengono nel porto <strong>di</strong> Capri a<br />

piccola profon<strong>di</strong>tà, poi all’esterno del porto in<br />

acque più profonde fino a raggiungere i 440 metri.<br />

A questo punto vengono confermate le piene capacità<br />

funzionali del piccolo batiscafo e si può pensare<br />

<strong>di</strong> procedere alle ultime prove a grande profon<strong>di</strong>tà<br />

per passare poi alle immersioni <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o<br />

ambientale e <strong>di</strong> ricerca scientifica con il prof. Pietro<br />

Parenzan a bordo, aprendo un auspicato e innovativo<br />

capitolo <strong>di</strong> esplorazione e conoscenza del<br />

mondo sommerso. Mentre le immersioni compiute<br />

fino a 400 metri e oltre sono state effettuate in<br />

piena autonomia e funzionalità operativa con equipaggio<br />

<strong>di</strong> due persone, la <strong>di</strong>scesa in acque più profonde<br />

deve essere preceduta da un vero e proprio<br />

collaudo idrostatico che garantisca la resistenza del<br />

guscio alla pressione idrostatica esterna e la tenuta<br />

dei passaggi a scafo senza infiltrazioni <strong>di</strong> acqua.<br />

Il 16 novembre 1948 alle ore 7.20 il rimorchiatore<br />

“Tenace” della Marina Militare salpa dal porto<br />

<strong>di</strong> Capri con a rimorchio il pontone “G.A.267” e<br />

il batiscafo “C3”. Alle 8.05 il convoglio si <strong>di</strong>rige<br />

sul punto stabilito per l’immersione, dove viene<br />

rilevata <strong>una</strong> profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> 978 metri. Alle ore<br />

10.00 si inizia ad ammainare il batiscafo filando il<br />

cavo al quale il “C3” si trova solidamente connesso<br />

con i ganci <strong>di</strong> prora e <strong>di</strong> poppa. Alle ore 10.45<br />

viene raggiunta la profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> 540 metri e la<br />

situazione all’interno del batiscafo viene confermata<br />

regolare, tramite il già collaudato sistema<br />

della sveglia e del telefono. Quando viene ripresa<br />

la <strong>di</strong>scesa, il verricello sembra non rispondere ai<br />

controlli e aumenta la propria velocità <strong>di</strong> rotazione<br />

senza poter essere frenato. Il cavo non si trova<br />

con la propria estremità fissata o morsettata al<br />

tamburo del verricello e conseguentemente arriva<br />

a sfilarsi senza potere essere fermato. A questo<br />

punto il batiscafo “C3” ha raggiunto il fondo<br />

posandovisi e restando collegato con la superficie<br />

solo tramite il cavo telefonico che consentiva<br />

ancora <strong>di</strong> u<strong>di</strong>re il <strong>di</strong>stinto battito della sveglia che<br />

confermava la perfetta resistenza dello scafo e


Il C3 al suo primo ingresso in acqua nei pressi<br />

della Società Canottieri Lecco sul lago <strong>di</strong> Como<br />

Sul lago <strong>di</strong> Lecco Vassena, circondato<br />

da giornalisti e fotografi, si prepara alla prima<br />

immersione a - 43 m<br />

Il sommergibile transita per via Cavour<br />

e piazza Garibal<strong>di</strong> a Lecco nel giorno del varo<br />

17


Costruito prevalentemente per scopi civili, il C3 avrebbe dovuto, secondo<br />

le intenzioni del suo inventore, consentire all’uomo <strong>di</strong> realizzare interventi<br />

<strong>di</strong> recupero ad alte profon<strong>di</strong>tà, ed eventuaslmente, con le opportune mo<strong>di</strong>fiche,<br />

essere in grado <strong>di</strong> recuperare i sottomarini bloccati sul fondo.<br />

Non ebbe, però mai modo <strong>di</strong> mostrare le sue indubbie possibilità <strong>di</strong> impiego<br />

Jacques Piccard e Pietro Vassena,<br />

Auguste Piccard, il giornalista Tagliabue e<br />

il professor Colombo, vicesindaco <strong>di</strong> Lecco<br />

18<br />

Le varie fasi<br />

<strong>di</strong> realizzazione<br />

del record,<br />

realizzato nel<br />

lago <strong>di</strong> Como,<br />

alla profon<strong>di</strong>tà<br />

<strong>di</strong> 412 metri che,<br />

per l’epoca, erano<br />

veramente molti.<br />

Il collaboratore<br />

e compagno<br />

d’immersione<br />

è Nino Turati<br />

Pietro Vassena sorridente<br />

e Auguste Piccard, durante<br />

la rassegna aeronautica<br />

<strong>di</strong> Milano - Forlanini.<br />

Lo scienziato svizzero in<br />

quel periodo stava ultimando<br />

il batiscafo “Trieste” e si<br />

riproponeva <strong>di</strong> immergersi<br />

a Capri, nel tentativo <strong>di</strong> vedere<br />

ed eventualmente fotografare il C3


delle tenute del portello, degli hublots e dei connettori<br />

alla pressione idrostatica. La posizione<br />

della caduta del “C3” sul fondo, sulla base del rilevamento<br />

effettuato imme<strong>di</strong>atamente dal comandante<br />

del rimorchiatore Tenace, risulta latitu<strong>di</strong>ne<br />

N 40°3’58” e longitu<strong>di</strong>ne E 14°14’00” e la profon<strong>di</strong>tà<br />

corrispondeva a 986 metri. Il peggioramento<br />

delle con<strong>di</strong>zioni meteo-marine e la conseguente<br />

deriva del pontone, che si allontanava lentamente,<br />

costringevano a collegare a <strong>una</strong> boa <strong>di</strong><br />

fort<strong>una</strong> il cavo telefonico, ancora connesso al<br />

“C3” del quale confermava fino all’ultimo ascolto<br />

le perfette con<strong>di</strong>zioni strutturali. In superficie non<br />

era apparso nessun segno, se non il riaffioramento<br />

<strong>di</strong> <strong>una</strong> delle due sfere esterne <strong>di</strong> stabilizzazione <strong>di</strong><br />

assetto emersa intatta a circa 300 metri dal pontone<br />

in seguito al probabile <strong>di</strong>stacco provocato, al<br />

momento della caduta sul fondo, dal movimento<br />

del collegamento <strong>di</strong> prora e poppa al cavo <strong>di</strong><br />

sospensione del “C3”. Oggi i collau<strong>di</strong> idrostatici<br />

<strong>di</strong> questo tipo vengono eseguiti in grossi contenitori<br />

a pressione nei quali si possono simulare<br />

immersioni <strong>di</strong> sottomarini tascabili e <strong>di</strong> campane<br />

<strong>di</strong> immersione fino ad alcune migliaia <strong>di</strong> metri <strong>di</strong><br />

profon<strong>di</strong>tà verificandone contemporaneamente il<br />

comportamento e la reazione elastica dello scafo<br />

resistente. Allora non era <strong>di</strong>sponibile nulla del<br />

genere e l’unica forma possibile <strong>di</strong> collaudo idrostatico<br />

era rappresentata da <strong>una</strong> calata controllata<br />

del sottomarino, opport<strong>una</strong>mente zavorrato e<br />

mantenuto alla estremità <strong>di</strong> un cavo governato<br />

dalla superficie, con tutti i rischi che questa procedura<br />

poteva comportare.<br />

Tali erano questi rischi che la per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> veicoli subacquei<br />

durante i collau<strong>di</strong> si è verificata in più <strong>di</strong><br />

<strong>una</strong> occasione tanto che quasi venti anni dopo, al<br />

largo <strong>di</strong> Marsiglia, in circa mille metri <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà<br />

<strong>di</strong> acque venne perso in con<strong>di</strong>zioni simili un<br />

guscio <strong>di</strong> sottomarino tascabile francese che si trova<br />

ancora nella posizione in cui avvenne la per<strong>di</strong>ta e<br />

che fu qualche tempo dopo localizzato dal sonar<br />

del sottomarino francese “Cyana” dello Cnexo<br />

(Centre National pour l’Exploration des Oceans).<br />

La per<strong>di</strong>ta del “C3”, tanto più amara in quanto<br />

verificatasi al termine <strong>di</strong> un collaudo idrostatico<br />

documentatamente riuscito, era indubbiamente<br />

avvenuta per <strong>una</strong> serie <strong>di</strong> omissioni, impreparazioni<br />

e inadeguatezze del sistema <strong>di</strong> superficie.<br />

Proprio in quegli anni, per ironia della sorte, si<br />

manifestava un generale interesse alla scoperta del<br />

mondo sommerso e alla conquista delle profon<strong>di</strong>tà<br />

sulla scia delle imprese dei palombari<br />

dell'Artiglio e delle immersioni della batisfera <strong>di</strong><br />

Beebe che nel 1934 aveva superato <strong>di</strong> poco la profon<strong>di</strong>tà<br />

<strong>di</strong> 900 metri. Purtroppo, la mancanza <strong>di</strong><br />

focalizzazione delle esigenze impedì al momento<br />

<strong>di</strong> comprendere quanto avveniristicamente e<br />

quanto appropriatamente Pietro Vassena avesse<br />

in<strong>di</strong>viduato le soluzioni tecniche ai problemi della<br />

immersione profonda. Non è da sottovalutare il<br />

fatto che, mentre fino ad allora l’immersione a<br />

pressione atmosferica era stata condotta con mezzi<br />

e sistemi appesi alla estremità <strong>di</strong> un cavo (scafandri<br />

rigi<strong>di</strong> articolati, torrette butoscopiche, batisfere),<br />

Pietro Vassena aveva risolto ante litteram il<br />

problema del controllo dell’assetto idrostatico e<br />

della mobilità tri<strong>di</strong>mensionale del sistema <strong>di</strong><br />

immersione e lavoro a grande profon<strong>di</strong>tà. La focalizzazione<br />

delle esigenze comparirà pochi anni<br />

dopo con la scomparsa del sottomarino nucleare<br />

Tresher (1963) e con il proliferare delle attività <strong>di</strong><br />

ricerca e <strong>di</strong> estrazione <strong>di</strong> idrocarburi dai giacimenti<br />

sottomarini progressivamente più profon<strong>di</strong><br />

(fine anni ’60 – inizio anni ’70). A questo punto<br />

avvenne l’improvvisa fioritura <strong>di</strong> idee e <strong>di</strong> realizzazioni<br />

e comparvero, nel volgere <strong>di</strong> pochi anni,<br />

sottomarini tascabili <strong>di</strong> ogni tipo, modello e<br />

forma e nessuno già si ricordava più che ognuno<br />

<strong>di</strong> quei fiori sbocciava da innesti concettuali, pratici,<br />

filosofici e tecnici fatti sulla prima ed unica<br />

pianta coltivata da Pietro Vassena alla quale erano<br />

stati fatti mancare irrigazione e nutrimento per<br />

<strong>di</strong>sinteresse e carenza <strong>di</strong> aiuti esterni. La ineguagliata<br />

e ineguagliabile realizzazione <strong>di</strong> Pietro<br />

Vassena dopo essere affondata al largo <strong>di</strong> Capri nel<br />

1948, per incuria incompetenza <strong>di</strong> chi doveva<br />

Il 13 marzo 1948 Pietro Vassena<br />

festeggia il raggiungimento<br />

dei 412 metri con nove minuti<br />

<strong>di</strong> permanenza sul fondo<br />

19


garantirne il successo, si arenò negli anni successivi<br />

nelle sabbie della burocrazia, per l’ignavia e l’inerzia<br />

<strong>di</strong> un apparato collettivo incompetente e<br />

impreparato a prevedere e a valutare gli incombenti<br />

sviluppi industriali e commerciali <strong>di</strong> un’idea<br />

precorrente i tempi. Per anni Pietro Vassena, dopo<br />

avere imboccato, con un investimento <strong>di</strong> oltre 17<br />

milioni <strong>di</strong> lire dell’epoca e <strong>di</strong> tutto il proprio<br />

tempo e le proprie energie nello sviluppo del progetto<br />

“C3”, <strong>una</strong> strada che non consentiva ritorno<br />

ma possedeva uno sbocco forte e sicuro, seppur<br />

latente, sul successo della conquista commerciale<br />

e della conoscenza scientifica degli abissi marini e<br />

oceanici, tentò <strong>di</strong>speratamente <strong>di</strong> fare valere i propri<br />

<strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> riconoscimento e d’indennizzo. Non<br />

si trattava <strong>di</strong> un mero recupero economico del<br />

denaro investito e perduto nel nulla per un banale<br />

incidente, ma <strong>di</strong> <strong>una</strong> ricostituzione delle possibilità<br />

<strong>di</strong> ripartire dall’inizio in un’impresa che<br />

aveva mostrato e confermato la sua vali<strong>di</strong>tà tecnica<br />

e realizzativa e i suoi fondati presupposti <strong>di</strong> sviluppo<br />

futuro. L’importanza del concetto varato da<br />

Pietro Vassena è sancita dal fatto che poco più <strong>di</strong><br />

trenta anni più tar<strong>di</strong> (1980) esistevano nel mondo<br />

ben 133 sottomarini tascabili impiegati nella<br />

ricerca scientifica e nelle attività estrattive degli<br />

idrocarburi con profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> impiego massimo<br />

oscillanti tra 300 e 3000 metri <strong>di</strong> colonna d’acqua.<br />

Questi sottomarini costituivano <strong>una</strong> vera e<br />

propria flotta mon<strong>di</strong>ale variamente <strong>di</strong>stribuita tra<br />

i <strong>di</strong>versi stati che svolgevano operazioni <strong>di</strong> interesse<br />

scientifico o industriale: USA (40), UK (28),<br />

Francia (22), USSR (12), Italia (8), Canada (7),<br />

20<br />

Germania Ovest (3), Giappone (3), Norvegia (3),<br />

Repubblica Cinese (2), Svizzera (1), Svezia (1),<br />

Romania (1), Yugoslavia (1), Brasile (1). Di questi<br />

133 sottomarini o veicoli a pressione atmosferica<br />

per immersione profonda ben 105 erano operativi<br />

nel corso <strong>di</strong> quell’anno 1980 e 26 erano in<br />

corso <strong>di</strong> collaudo, manutenzione, mo<strong>di</strong>fiche e<br />

rifacimenti. Di questa flotta mon<strong>di</strong>ale facevano<br />

parte sottomarini tascabili <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi <strong>di</strong>mensioni e<br />

<strong>di</strong>verse caratteristiche <strong>di</strong> impiego, ma tutti possedevano<br />

un comune fattore genetico e concettuale<br />

ed erano <strong>di</strong> fatto ere<strong>di</strong> del “C3”, del quale ricalcavano<br />

uno o più particolari strutturali e funzionali.<br />

Il “C3” si trova ancora sul luogo del suo affondamento.<br />

Alcuni anni fa Angelo Vassena, figlio <strong>di</strong><br />

Pietro Vassena e partecipante <strong>di</strong>retto, ancora<br />

ragazzino, alle immersioni <strong>di</strong> collaudo del “C3”,<br />

effettuò a bordo del “Nautile”, il sottomarino<br />

francese <strong>di</strong> Ifremer, alcune immersioni nella zona<br />

senza tuttavia localizzare il piccolo batiscafo.<br />

Oggi l’industria possiede sistemi <strong>di</strong> ricerca e localizzazione<br />

e sistemi d’intervento e recupero che possono<br />

rendere localizzazione, ispezione e recupero del<br />

“C3” un fatto eseguibile in qualche decina <strong>di</strong> ore.<br />

Il recupero del “C3” è forse il minimo dovuto alla<br />

memoria <strong>di</strong> un uomo e alla realizzazione<br />

<strong>di</strong> un concetto che ci hanno permesso<br />

e ci stanno ancora permettendo<br />

l’accesso e l’utilizzazione del mare profondo.<br />

Noi <strong>di</strong> “Immersione Rapida<br />

M.A.R.E.” faremo tutto il possibile<br />

perché ciò avvenga: la nostra è<br />

<strong>una</strong> promessa.

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