Atti del Convegno - Integrazione Migranti
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ISTITUTO TECNICO STATALE<br />
COMMERCIALE, PER GEOMETRI, PER PROGRAMMATORI, PER IL TURISMO E PER L’AMBIENTE<br />
“F. GALIANI” – CHIETI<br />
tradizione<br />
organizzazione<br />
efficienza<br />
qualità<br />
ATTI DEL CONVEGNO<br />
Seminario conclusivo <strong>del</strong> progetto “Servire Mediando”<br />
AULA MAGNA I.T.C.G.T. “Ferdinando Galiani”<br />
Chieti, 11 Ottobre 2008
RINGRAZIAMENTI<br />
Per il Finanziamento, la collaborazione ed il Patrocinio:<br />
REGIONE ABRUZZO<br />
Per la collaborazione ed il coordinamento di tutto il Progetto:<br />
Prof. CARLO PETRACCA (Direttore Generale – Ufficio<br />
Scolastico Regionale per l’Abruzzo)<br />
Per la collaborazione nella realizzazione <strong>del</strong>le attività <strong>del</strong> Progetto:<br />
Prof.ssa STEFANIA TORO<br />
Prof. ALAIN GOUSSOT<br />
Prof. EDGAR SERRANO<br />
Per il Patrocinio:<br />
COMUNE DI CHIETI<br />
COMUNE DI PESCARA<br />
2
“SERVIRE MEDIANDO”<br />
IL MEDIATORE CULTURALE NELLA SCUOLA ABRUZZESE<br />
PROGRAMMA<br />
ore 9.00 APERTURA LAVORI (registrazione partecipanti)<br />
SALUTI<br />
Francesco Ricci (Sindaco di Chieti); Camillo D’Angelo (Vice Sindaco<br />
di Pescara)<br />
INTRODUZIONE<br />
Carlo Petracca (Direttore Generale Ufficio Scolastico regionale per<br />
l’Abruzzo)<br />
“Il ruolo <strong>del</strong> mediatore culturale nella scuola abruzzese”<br />
Giancarlo Zappacosta (Dirigente Servizio Politiche <strong>del</strong>l’Istruzione,<br />
<strong>del</strong>l’Educazione e <strong>del</strong> Diritto allo Studio – Regione Abruzzo)<br />
“Il Mediatore Culturale: le figure professionali e sociali nella<br />
programmazione regionale”<br />
ore 11.00 Coffee-break<br />
Edgar Serrano (Prof. Università degli Studi di Padova)<br />
“Panorama nazionale sul mediatore”<br />
Everardo Minardi (Direttore <strong>del</strong> Dipartimento di Sociologia -<br />
Università di Teramo<br />
“Come fare rete per la mediazione culturale”<br />
Michele Cascavilla (Preside <strong>del</strong>la Facoltà di Scienze Sociali -<br />
Università di Chieti)<br />
“Le azioni messe in atto dall’Università in Abruzzo”<br />
3
ore 13.30 pausa pranzo<br />
ore 15.00 Ripresa dei lavori<br />
Alain Goussot (Prof. Università degli Studi di Bologna)<br />
“La figura <strong>del</strong> mediatore culturale a scuola”<br />
Clotilde Carunchio (Dirigente Scolastico I.T.C.G.T. “F. Galiani” e<br />
Direttore <strong>del</strong> CRT di Chieti)<br />
“Lingua italiana come L2 – Portfolio linguistico abruzzese” “Il ruolo<br />
dei CRT in Abruzzo”<br />
Daniela Casaccia (Dirigente Scolastico Scuola Media “Tinozzi” -<br />
Pescara)<br />
“Aggiornamento dei docenti e proposte future”<br />
“Esperienze e testimonianze di mediazione culturale in Abruzzo”<br />
Interventi e dibattito<br />
Ore 17.00 Conclusione dei lavori<br />
Alain Goussot (Prof. Università degli Studi di Bologna)<br />
Lucilla D’Antonio (Ispettrice Dirigente Tecnico MIUR)<br />
Segreteria Organizzativa:<br />
I.T.C.G.T. “F. Galiani”<br />
Via U. Ricci, 22 – Chieti<br />
Sig. Antonio Schiazza<br />
Sig.ra Rita Taddei<br />
4<br />
Centro Risorse Territoriali<br />
Chieti<br />
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE<br />
DELL’UNIVERSITA’ E DELLA<br />
RICERCA
SALUTI: prof.ssa Carunchio, Dott. Ricci, Dott. D’Angelo<br />
La prof.ssa Clotilde Carunchio, Dirigente Scolastico <strong>del</strong>l’Istituto<br />
Tecnico Statale “Ferdinando Galiani”, ringrazia tutti i presenti per la<br />
partecipazione all’importante evento di sinergia tra mondo <strong>del</strong>la scuola e<br />
mondo politico-sociale, momento conclusivo <strong>del</strong> progetto “Servire<br />
Mediando”, corso di aggiornamento e di riqualificazione per Mediatori<br />
Culturali, finanziato dalla Regione Abruzzo, rappresentata in questa sede<br />
dal dott. Giancarlo Zappacosta..<br />
Questo Progetto è stato caldamente voluto dal prof. Carlo Petracca,<br />
Direttore Generale <strong>del</strong>l’Ufficio Scolastico Regionale per l’Abruzzo, che<br />
lo scorso mese di luglio ha incaricato il Centro Risorse Territoriali <strong>del</strong>la<br />
Provincia di Chieti, in rappresentanza dei Centri Risorse Territoriali<br />
<strong>del</strong>le quattro province, di organizzare un corso per Mediatori Culturali,<br />
giunto oggi alla sua fase conclusiva. Dopo aver ringraziato tutti coloro<br />
che, a vario titolo, hanno reso possibile la realizzazione <strong>del</strong> progetto,<br />
passa la parola al Dott. Francesco Ricci, Sindaco <strong>del</strong> Comune di Chieti,<br />
che plaudendo alla necessità di rompere il muro <strong>del</strong>l’isolamento<br />
culturale, ricorda la sua esperienza di volontariato, insieme alla moglie,<br />
in un Paese in via di sviluppo, in una città dove su 60.000 individui di<br />
colore diverso, c’erano solo quattro bianchi: loro e una coppia di inglesi.<br />
I muri culturali non sono rappresentati solo dalla lingua, la<br />
comunicazione, ma dalla concezione stessa <strong>del</strong>la vita. “I momenti più<br />
belli <strong>del</strong>le ventiquattr’ore <strong>del</strong>la giornata sono l’Alba e il Tramonto,<br />
quando la notte incontra il giorno e il giorno la notte”.<br />
Porge, poi, i saluti <strong>del</strong>l’Amministrazione di Pescara e <strong>del</strong> sindaco<br />
Luciano D’Alfonso, il Dott. Camillo D’Angelo, Vice Sindaco <strong>del</strong><br />
Comune di Pescara, che ringrazia l’ex assessore Massimo Luciani,<br />
promotore <strong>del</strong>l’iniziativa, con la Regione Abruzzo, di formare persone<br />
che favoriscano l’integrazione tra i popoli, attraverso l’integrazione dei<br />
ragazzi all’interno <strong>del</strong>le istituzioni scolastiche; l’integrazione non deve<br />
essere vissuta come un problema d’ordine pubblico; partire dalla scuola,<br />
dai ragazzi, è fondamentale per lo sviluppo di una società sana, dove<br />
tolleranza e solidarietà siano valori veri, dove il colore <strong>del</strong>la pelle sia un<br />
elemento di integrazione e rispetto.<br />
5
IL RUOLO DEL MEDIATORE CULTURALE NELLA SCUOLA<br />
ABRUZZESE (dott. C. Petracca)<br />
La scuola italiana da diversi anni è soggetta a notevoli<br />
cambiamenti di natura culturale, sociale, organizzativa, pedagogica e<br />
didattica. Un cambiamento di rilievo a cui bisogna dare una risposta<br />
positiva e responsabile è connesso alla presenza sempre più numerosa<br />
di alunni stranieri nel sistema scolastico nazionale e di conseguenza<br />
anche in quello abruzzese. In questo anno scolastico (2008/2009) ben<br />
9.510 alunni stranieri frequentano le nostre scuole.<br />
L’alunno reca sempre un genitore con sé (non sempre avviene<br />
l’opposto) e allora il fenomeno assume una dimensione non solo<br />
scolastica, ma anche sociale e culturale. Tutte le dinamiche che hanno<br />
accompagnato fin dall’antichità l’incontro con lo straniero si<br />
ripresentano e si accentuano. Lo xenos (straniero) nel mondo greco ha<br />
suscitato pensieri e sentimenti di sacralità, di accoglienza e di rispetto,<br />
ma anche di paura, di diffidenza, di ostilità e di rifiuto.<br />
E’ emblematico considerare come da questo termine i latini<br />
abbiano fatto discendere due parole: hospes (ospite) e hostis (nemico).<br />
L’incontro per non trasformarsi in scontro deve sfociare nel<br />
dialogo, nello scambio di parole, pensieri e sentimenti. Il primo passo<br />
per l’integrazione sociale e culturale <strong>del</strong>lo straniero è senza dubbio il<br />
possesso <strong>del</strong>lo strumento principe <strong>del</strong>la comunicazione tra gli umani:<br />
la parola. Felicemente scrive Gusdorf che venire al mondo “è prendere<br />
la parola”. E’ un’immagine bellissima. La nostra nascita viene<br />
paragonata a quel gesto che si fa in una assemblea, magari vasta e<br />
pletorica, in questo caso universale, di alzare il dito per prendere la<br />
parola. Ungaretti racchiude un simile concetto nell’espressione:<br />
“l’uomo è la parola”. R. Simone parlando di educazione linguistica<br />
completa il messaggio asserendo che conquistare la parola è un diritto,<br />
ma anche un dovere <strong>del</strong>l’uomo. E’ un diritto perché ciascun individuo,<br />
in quanto persona, deve essere messo nelle condizioni di poter<br />
interagire con l’altro, di non dover “restare in silenzio” nella comunità<br />
dei parlanti. E’ un dovere perché come essere sociale, ciascuno di noi<br />
deve far proprio l’imperativo di portare un contributo personale alla<br />
società attraverso le proprie azioni e i propri pensieri.<br />
La presenza <strong>del</strong> mediatore culturale o meglio <strong>del</strong>l’operatore <strong>del</strong>la<br />
comunicazione interculturale contribuirà a fare in modo che gli alunni<br />
stranieri “non restino in silenzio” nella nostra comunità, nella scuola e<br />
6
soprattutto in classe in modo da poter partecipare alle interazioni e<br />
attività di gruppo e da poter esprimere una forte componente<br />
<strong>del</strong>l’essere umano: la socialità.<br />
La comunicazione interculturale presuppone il possesso <strong>del</strong>la<br />
parola, ma non si può fermare a questo aspetto. La lingua è lo<br />
strumento principe che i popoli hanno utilizzato per costruire e<br />
organizzare la propria cultura e resta lo strumento principe per<br />
accedere alla cultura di un popolo. La cultura in senso antropologico<br />
indica l’insieme dei prodotti e dei valori, <strong>del</strong>le istituzioni e <strong>del</strong>le forme<br />
di vita creati, appresi e trasmessi da una comunità umana. In questa<br />
seconda accezione la cultura non è ritenuta un settore <strong>del</strong>l’attività<br />
umana, ma una funzione globale <strong>del</strong>la vita <strong>del</strong>la persona: la cultura è<br />
ciò per cui l’uomo in quanto uomo diventa più uomo.<br />
La presenza <strong>del</strong> mediatore culturale deve facilitare l’incontro tra le<br />
due culture: quella che lo straniero porta con sé e quella che trova nel<br />
Paese che lo accoglie. J. Bruner sostiene che per comprendere un<br />
qualcosa in profondità bisogna usare il “principio di prospettiva”,<br />
ossia guardare quel qualcosa da angolazioni diverse. Secondo questo<br />
autore al principio di prospettiva si lega il “principio di tolleranza” e<br />
di convivenza civile, etnica e multiculturale. E J. Guitton aggiunge che<br />
il vero pensiero è quello capace di contemplare la negazione di sé e<br />
quindi di accogliere il suo contrario.<br />
L’incontro tra culture diverse per non trasformarsi in scontro<br />
richiede, quindi, la capacità di cambiare prospettiva, ossia la capacità<br />
di osservare, descrivere e giudicare costumi, tradizioni, istituzioni,<br />
pensieri e valori di un popolo da “finestre” diverse da quelle proprie.<br />
La funzione <strong>del</strong>la scuola e <strong>del</strong> mediatore culturale è quella dunque<br />
di dare a ciascuno (l’alunno straniero e l’alunno italiano) la possibilità<br />
di ricomporre la propria storia, la propria lingua, la propria<br />
appartenenza in un processo dinamico di confronto e di cambiamento<br />
che permetta a ciascuno da una parte di non essere “ostaggio” <strong>del</strong>le<br />
proprie origini e dall’altra di non rinunciare alle proprie differenze e<br />
alla propria identità.<br />
Per queste ragioni esprimo il mio apprezzamento più vivo e i miei<br />
ringraziamenti più sentiti a quanti hanno permesso la realizzazione di<br />
questo progetto e l’elaborazione <strong>del</strong>la Guida pedagogica per<br />
l’accoglienza e l’inclusione scolastica: l’assessore regionale<br />
all’istruzione, Fernando Fabbiani, il dirigente scolastico <strong>del</strong>l’ITCG<br />
7
“Galiani” di Chieti, Clotilde Carunchio, i docenti relatori e formatori e<br />
gli stessi partecipanti.<br />
Prof. Carlo Petracca<br />
Direttore Generale<br />
Ufficio Scolastico Regionale per l'Abruzzo<br />
8
IL MEDIATORE CULTURALE:<br />
LE FIGURE PROFESSIONALI E SOCIALI NELLA<br />
PROGRAMMAZIONE REGIONALE (dott. G. Zappacosta)<br />
Welfare territoriale e competenze emergenti/Lo scenario nazionale<br />
Nel sociale, sono ancora pochissime le professioni che hanno un titolo di<br />
studio o un nome uguale in tutta Italia. Nella maggior parte dei casi<br />
prevalgono tanti nomi diversi da regione a regione, con corsi<br />
professionali di durata variabile per professioni <strong>del</strong> tutto simili (tipico è<br />
l’esempio <strong>del</strong>l’assistente domiciliare).<br />
In tutto, le professioni sociali che possono godere di un qualche statuto a<br />
livello nazionale sono soltanto sei (Box 1): una qualifica di base e cinque<br />
professioni laureate.<br />
Assistente sociale e psicologo sono regolate per legge e hanno l’ordine<br />
professionale.<br />
Educatore si trova a metà percorso; è regolato dalla sanità con laurea<br />
classe SNT/2 (Facoltà di medicina e chirurgia), ma il titolo formato a<br />
Scienze <strong>del</strong>la formazione (classe di laurea 18) è valido solo nei servizi<br />
sociali, non per lavorare nel sistema sanitario.<br />
Altri laureati presenti nella rete dei servizi territoriali sono sociologo e<br />
pedagogista 1 .<br />
Oltre a queste professioni, c’è l’operatore socio-sanitario, una figura di<br />
base, che dopo la scuola media fa un corso professionale di 1000 ore;<br />
oggi questa figura ha finalmente raggiunto un profilo omogeneo in tutto<br />
il paese.<br />
Allargando lo sguardo dalle professioni ai titoli di studio, emergono altre<br />
due qualifiche che hanno una valenza a livello nazionale: la qualifica<br />
triennale di operatore servizi sociali e il diploma quinquennale di tecnico<br />
dei servizi sociali formate dagli Istituti professionali di Stato per i<br />
Servizi sociali.<br />
Si tratta di una formazione regolamentata a livello ministeriale<br />
(Ministero <strong>del</strong>l’Istruzione), che tuttavia non trova riscontro<br />
occupazionale nei servizi, poiché né il comparto sociale, né quello<br />
sanitario, riconoscono il profilo.<br />
1 Vedi Tav. 8 Classe <strong>del</strong>le lauree e lauree magistrali<br />
9
Professioni di rilievo nazionale<br />
Operatore socio-sanitario (OSS)<br />
Assistente sociale<br />
Educatore professionale<br />
Psicologo<br />
Sociologo<br />
Pedagogista<br />
Le figure intermedie, quelle con istruzione superiore all’OSS ma non<br />
laureate, hanno avuto un forte incremento in questi anni tramite la<br />
formazione regionale che, a ritmi accelerati e sotto l’impulso <strong>del</strong> Fondo<br />
Sociale Europeo, ha prodotto corsi a cui si accede dopo il diploma di<br />
istruzione secondaria, di durata variabile, che rilasciano titoli quali<br />
operatore di strada, educatore di comunità, comunicatore sociale,<br />
mediatore, operatore <strong>del</strong>l’inserimento al lavoro, e tanti altri. A questi<br />
corsi, si sono aggiunti quelli finanziati con i fondi previsti dalle leggi di<br />
settore: servizi per l’infanzia (ex L285/97), inserimento dei disabili (L.<br />
68/99), accoglienza di immigrati (L.40/98). Alcune mappature dei corsi<br />
svolti negli ultimi anni danno conto di una miriade di qualifiche e<br />
attestati, sparsi in rivoli minori che non sarà facile incanalare nell’alveo<br />
<strong>del</strong>le professioni nazionali 2 .<br />
Il riordino <strong>del</strong>le professioni <strong>del</strong> sociale<br />
Al fine di ricomporre l’articolato quadro <strong>del</strong> lavoro sociale, il Ministero<br />
<strong>del</strong>la solidarietà sociale ha avviato, tra il 2006 e il 2007, una serie di<br />
consultazioni per implementare una proposta di riordino dei profili (ex<br />
art. 12 Legge 328/2000). Una prima bozza di lavoro ridisegna lo<br />
scenario <strong>del</strong>le professioni e <strong>del</strong> lavoro sociale su tre livelli di operatività:<br />
base, intermedio e apicale, a cui corrispondono altrettanti livelli di<br />
accesso ai canali formativi. Il percorso andrà poi condiviso a livello con<br />
le Regioni e i territori 3 ed aperto al contributo degli altri stakeholders:<br />
operatori e professionisti <strong>del</strong> sociali, organi di rappresentanza, parti<br />
sociali, ecc.<br />
2 Ricerche sono state condotte da ISFOL, FORMEZ e dalle Regioni Toscana e Campania (Studio<br />
Come).<br />
3 Il pieno coinvolgimento <strong>del</strong>le Regioni e degli Enti locali, titolari le une <strong>del</strong>la programmazione<br />
sociale e formativa, gli altri <strong>del</strong>la pianificazione e gestione dei sistemi di welfare locale costituisce un<br />
imprescindibile fattore di sostenibilità <strong>del</strong> percorso che intende dare piena attuazione <strong>del</strong>l’art. 12 <strong>del</strong>la<br />
Legge 328/2000.<br />
1
La proposta individua in tutto 5 profili (Tav. 1.2): una figura di base con<br />
formazione post-licenza media, una figura di livello tecnico con<br />
formazione post-diploma (e tre possibili specializzazioni), tre figure<br />
laureate:<br />
- livello base<br />
: l’OSS (operatore socio-sanitario) viene individuate come<br />
figura unica di base; tutti i profili di assistenza domiciliare variamente<br />
denominati (OSA, Adest, ASA, ecc.) sono considerati ad<br />
esaurimento. La scelta di un unico operatore di base deve essere<br />
ovviamente accompagnata da opportuni percorsi di riqualificazione<br />
degli operatori in servizio<br />
- livello tecnico<br />
: si prospetta un percorso di riunificazione <strong>del</strong>le figure<br />
professionali “di contatto” (unità di strada per tossicodipendenti,<br />
animatori sociali, ecc.). Il profilo individuato è quello di operatore<br />
<strong>del</strong>la mediazione sociale, con formazione post-diploma di 700-800<br />
ore con una base comune e due-tre specializzazioni: promozione<br />
sociale, inserimento lavorativo, mediazione culturale<br />
- livello apicale<br />
: la proposta conferma le due figure laureate<br />
regolamentate (assistente sociale e psicologo), mentre pone la<br />
necessità di un intervento specifico per il profilo <strong>del</strong>l’Educatore<br />
professionale. Questa figura, come già sottolineato in precedenza,<br />
pur operando nel sistema dei servizi e degli interventi socio-educativi,<br />
sociosanitari e penitenziari, gode di un riconoscimento <strong>del</strong> profilo<br />
limitato al comparto sanitario. Il gruppo di lavoro <strong>del</strong> Ministero<br />
riconosce l’importanza di avviare un tavolo interministeriale<br />
finalizzato a definire un profilo unico per gli Educatori (sociali,<br />
sanitari, penitenziari).<br />
La mancata inclusione <strong>del</strong> sociologo e <strong>del</strong> pedagogista tra le figure di<br />
rilievo nazionale per il comparto sociale costituisce, come sottolineato<br />
dal documento <strong>del</strong> Ministero, uno degli elementi di confronto all’interno<br />
<strong>del</strong>la comunità scientifica e <strong>del</strong>le comunità professionali <strong>del</strong> comparto<br />
sociale 4 . Per il profilo <strong>del</strong>l’assistente familiare, invece, si auspica una<br />
“messa in trasparenza” <strong>del</strong>le competenze e <strong>del</strong>le abilità al fine di<br />
individuare e definire degli standard formativi minimi validi a livello<br />
nazionale.<br />
4 Numerose esperienze locali e una consistente letteratura scientifica mettono in luce come la ricerca<br />
sociale e la professione <strong>del</strong> sociologia siano sempre più spesso implementate all’interno <strong>del</strong>le attività<br />
di pianificazione sociale locale.<br />
Per una ricognizione <strong>del</strong> dibatto, si vedano i materiali di documentazione relativi alla<br />
Conferenza nazionale Presente e futuro <strong>del</strong>le professioni sociali per il nuovo welfare territoriale. Le<br />
proposte <strong>del</strong>le autonomie locali (Roma, 23 febbraio 2004) disponibili sul sito www.legautonomie.it<br />
1
Il documento <strong>del</strong> Ministero pone l’attenzione anche su alcune<br />
raccomandazioni espresse a livello europeo nell’ambito <strong>del</strong>la Conferenza<br />
Internazionale “The future of employmement in social care in Europe”<br />
<strong>del</strong>l’ottobre 2006:<br />
- favorire la creazione di posti di lavoro stabili nel settore dei servizi<br />
alla persona (anche in termini di riconoscimento sociale “public<br />
image”) image”<br />
- rendere le condizioni di lavoro più favorevoli: aumento <strong>del</strong>le<br />
retribuzioni, conciliazione dei tempi di vita-lavoro, emersione <strong>del</strong><br />
sommerso e <strong>del</strong>la sotto-occupazione<br />
- investire nella formazione degli operatori e dei professionisti <strong>del</strong><br />
sociale (formazione di base, aggiornamento, sostegno al ruolo, ecc.)<br />
- aumentare la qualità <strong>del</strong> lavoro sociale anche attraverso l’utilizzo<br />
sistematico di strumenti di monitoraggio e valutazione <strong>del</strong>le attività<br />
svolte<br />
- riconoscere le qualifiche a livello europeo e promuovere la mobilità<br />
professionale e geografica dei cittadini<br />
Qualifiche di rilievo regionale<br />
Il ruolo <strong>del</strong>le Regioni è centrale nel determinare un buon equilibrio tra<br />
offerta e domanda di competenze e favorire l’occupabilità <strong>del</strong>le<br />
professioni sociali. In primo luogo, la Regione influenza l’espansione dei<br />
posti di lavoro mediante la programmazione dei servizi sociali, socio-<br />
sanitari e socio educativi, poiché, in questi comparti, la nuova<br />
occupazione è in gran parte pianificata e finanziata dal soggetto pubblico<br />
(regione, enti locali, ambiti sociali). In secondo luogo, la Regione si<br />
trova in posizione privilegiata nel coordinare, tutti i soggetti che nel<br />
territorio promuovono formazione mirata alle competenze sociali: centri<br />
di formazione professionali riconosciuti, agenzie legate alle imprese<br />
sociali e al terzo settore, associazioni professionali, atenei. Tutti questi<br />
soggetti possono avere un ruolo negativo nel sistema, quando agiscono<br />
svincolati dalla domanda reale dei servizi, mentre possono svolgere un<br />
ruolo positivo, quando rispondono a esigenze di aggiornamento e nuova<br />
formazione che rientrano nella programmazione <strong>del</strong> welfare territoriale<br />
(piani sociali di zona). Negli anni passati, alcune figure professionali si<br />
sono per così dire imposte sul mercato non in quanto effettivamente<br />
richieste dall’organizzazione concreta <strong>del</strong> lavoro, bensì legittimate dal<br />
possesso di un diploma, un titolo, un attestato. Questa dinamica<br />
introduce elementi di fragilità nel sistema professionale; al contrario, le<br />
1
professioni sociali acquistano forza e credibilità quando posseggono<br />
competenze effettivamente necessarie nel lavoro sociale. Assumere un<br />
ruolo di regia da parte <strong>del</strong>la Regione comporta:<br />
- prevedere la domanda di figure professionali che proviene dai territori<br />
- coordinare l'offerta di formazione rivolta ai futuri professionisti <strong>del</strong><br />
sociale<br />
- portare a riconoscimento le competenze certificate degli attuali<br />
professionisti<br />
- definire un repertorio <strong>del</strong>le professioni sociali regionali riconosciute<br />
in armonia con le altre Regioni e gli orientamenti nazionali<br />
- mettere in asse il repertorio con il sistema qualità e standard di<br />
organico dei servizi<br />
In attesa che si completi l’iter per il riordino dei profili a livello<br />
nazionale, alcune Regioni hanno cercato di definire il repertorio <strong>del</strong>le<br />
professioni necessarie per implementare la riforma <strong>del</strong> welfare locale.<br />
Iniziative importanti, non solo perché suppliscono alla mancanza di regia<br />
nazionale, ma soprattutto perché indicano una via praticabile per<br />
introdurre alcune regole, dando un orizzonte ad alcune professioni <strong>del</strong><br />
futuro, senza imbrigliare l’offerta formativa locale.<br />
La Regione Campania per prima ha definito il sistema regionale <strong>del</strong>le<br />
professioni sociali (DGR 2843/2003), un repertorio di 11 figure, per<br />
ciascuna è definito profilo, ambiti di lavoro, attività e competenze. Il<br />
repertorio è frutto <strong>del</strong> confronto tra numerosi soggetti che si occupano di<br />
professioni sociali sia dal lato domanda che dal lato offerta. All’interno<br />
<strong>del</strong> repertorio, oltre a due figure di base (operatore socio-assistenziale e<br />
OSS) e due laureate (assistente sociale, educatore professionale), sono<br />
stati individuati cinque profili tecnici afferenti alle aree più innovative<br />
<strong>del</strong> welfare campano: infanzia, mediazione culturale, animazione sociale,<br />
inserimento lavorativo, informazione e accoglienza. A questi profili si<br />
aggiunge la certificazione di competenze per l’assistente famigliare e la<br />
qualifica breve (post-laurea) per il profilo <strong>del</strong> mediatore familiare (Tav.<br />
1.3). Successivamente, tra il 2003 e il 2006 la Regione Campania ha<br />
programmato e attuato misure compensative per l’adeguamento <strong>del</strong>le<br />
competenze degli operatori occupati all’interno di servizi.<br />
La Regione Piemonte con la legge di riordino dei servizi sociali (LR<br />
2/2004) individua le figure <strong>del</strong> welfare piemontese: Assistente sociale,<br />
Educatore professionale, Animatore sociale, Operatore socio-sanitario.<br />
Viene inoltre definito il percorso formativo <strong>del</strong>l’assistente familiare con<br />
riconoscimento di competenze in uscita dal percorso formativo<br />
1
(“Elementi di collaborazione familiare” all’interno <strong>del</strong> percorso OSS) e<br />
il profilo (con standard minimi formativi) <strong>del</strong>l’Educatore prima infanzia<br />
(servizi 0-3 anni). La Regione Umbria ha istituito una Commissione<br />
tecnica di studio con il compito di elaborare il profilo e il percorso<br />
formativo <strong>del</strong>le figure professionali sociali previste con la DGR<br />
1244/2001, scegliendo di dare priorità alle figure tecniche, di secondo<br />
livello, che ottengono la qualifica mediante corsi regionali a cui si<br />
accede dopo il diploma di scuola secondaria superiore. La Regione<br />
Marche ha realizzato una ricerca sull’offerta formativa regionale in<br />
ambito sociale negli anni 2000-2004 ultimi quattro anni che mette le basi<br />
per la programmazione futura dei piani di adeguamento degli operatori<br />
privi di qualifiche o in possesso di qualifiche obsolete; ha inoltre<br />
costruito un dialogo con gli attori sociali – Enti locali, Ambiti,<br />
cooperative e associazioni, sindacati, Università e ordini professionali –<br />
come premessa per individuare i profili <strong>del</strong> sociale da formare e<br />
aggiornare in via prioritaria.<br />
La Regione Lazio ha recentemente definito il profilo di assistente<br />
familiare e la figura di mediatore interculturale, articolata su due livelli:<br />
tecnico e laureato. E’ in fase di avvio il sistema <strong>del</strong>le qualifiche<br />
regionali. Infine, la Provincia di Milano ha svolto una ricerca per la<br />
figura di educatore <strong>del</strong>la prima infanzia da cui è emersa la chiara<br />
indicazione di un profilo unico per educatore prima infanzia e un nucleo<br />
di competenze distintive per baby sitter e coordinatore educativo 5 .<br />
Classificazione per aree d’intervento sociale<br />
Proviamo ora a tracciare un quadro di riferimento, rispetto alle<br />
indicazioni e agli orientamenti prevalenti a livello nazionale, in cui<br />
collocare professioni consolidate e professioni emergenti secondo<br />
quattro aree:<br />
- assistenza di base<br />
- accoglienza e servizio sociale<br />
- area socio educativa<br />
- area <strong>del</strong>la mediazione culturale, sociale, lavorativa<br />
Ogni area individua ambiti di lavoro specifici, interventi e servizi che<br />
richiedono competenze distintive.<br />
5 Provincia di Milano, 2006, Educatore prima infanzia, testo di Francesca Ceruzzi e Patrizia Di Santo,<br />
Milano.<br />
1
Assistenza di base<br />
In questo primo gruppo sono collocate le professioni che accudiscono<br />
malati, bambini piccoli, persone fragili, anziani in perdita di autonomia e<br />
persone disabili dotate di autonomia mentale che hanno bisogno di aiuto<br />
nell’espletamento <strong>del</strong>le attività di vita quotidiana. Il campo<br />
occupazionale è ampio, comprende l’impiego con contratto individuale<br />
nella casa <strong>del</strong> soggetto assistito, il lavoro nei servizi di assistenza<br />
domiciliare, centri diurni, strutture residenziali. Le competenze richieste<br />
sono ad ampio spettro: non solo capacità di aiuto materiale (lavare,<br />
nutrire, accompagnare nel quartiere, ecc.), ma anche competenze<br />
relazionali ed emotive, comunicazione, costanza nella routine, pronta<br />
reazione nelle emergenze, capacità di rispondere ai diversi soggetti che<br />
ruotano attorno alle persone accudite, familiari e operatori socio-sanitari.<br />
La professionalità può essere articolata su tre gradazioni, per rispondere<br />
alle diverse esigenze dei servizi.<br />
Assistente familiare. familiare.<br />
Con questa figura viene riconosciuto il lavoratore<br />
assunto direttamente dal soggetto assistito o dai familiari; spesso si tratta<br />
di una persona in possesso di un livello di istruzione base e/o immigrata.<br />
Dare una prima formazione e riconoscerne la professionalità da un lato<br />
incide sulla qualità <strong>del</strong>le prestazioni, dall’altro favorisce tutela e<br />
inclusione sociale <strong>del</strong> lavoratore stesso. In vari Comuni italiani la<br />
sperimentazione <strong>del</strong> buono servizio è stata accompagnata dalla<br />
istituzione di un registro dei lavoratori certificati, a garanzia dei cittadini<br />
che li assumono e per regolare il mercato privato 6 .<br />
Operatore socio-assistenziale (OSA, Adest, OAA, ecc.). Questa figura,<br />
variamente denominata nelle regioni italiane, svolge attività di assistenza<br />
materiale e relazionale presso i servizi residenziali, semiresidenziali e<br />
domiciliari, gestiti da Enti locali, Ipab, cooperative sociali. Poiché può<br />
operare solo in ambito sociale e non nei servizi socio-sanitari, sembra<br />
destinata ad essere superata con l’introduzione <strong>del</strong>l’OSS; alcune regioni<br />
italiane (come ad esempio la Campania e la Lombardia) intendono<br />
mantenere la figura per consentire maggiore varietà nella composizione<br />
<strong>del</strong>le piante organiche dei servizi e/o, in via transitoria, per tutto il tempo<br />
necessario a riconvertire la formazione di tutti gli operatori attualmente<br />
occupati. Sul territorio nazionale si segnala infatti una carenza<br />
6 Per una rassegna di alcune esperienze vedi: P. Toniolo Piva (2002), Buone pratiche per la qualità<br />
sociale, Ediesse, Roma<br />
1
sistematica di operatori con preparazione adeguata che rischia di<br />
paralizzare la crescita dei servizi per anziani e disabili.<br />
Operatore socio-sanitario (OSS). Campo occupazionale sono i servizi<br />
residenziali, semi-residenziali e domiciliari, sia quelli <strong>del</strong> comparto<br />
sociale che quelli ad alta integrazione socio-sanitaria (RSA, ADI, centri<br />
diurni altzeimer, ecc.). La figura è stata regolata con Accordo in<br />
Conferenza Stato-Regioni <strong>del</strong> 22 febbraio <strong>del</strong> 2001. Il profilo è identico<br />
in tutto il territorio nazionale e consiste in 1000 ore di formazione, con<br />
possibilità di formazione complementare di assistenza sanitaria di 300<br />
ore (Accordo Conferenza Stato-Regioni <strong>del</strong> 16 gennaio 2003).<br />
Accoglienza e Servizio sociale<br />
Il passaggio a un welfare universalistico ha prodotto una diffusione di<br />
servizi-sportelli che svolgono attività più leggere rispetto al segretariato<br />
sociale professionale: facilitano l’acceso alla rete, orientano i cittadini<br />
nella ricerca di soluzioni semplici a problemi semplici e non comportano<br />
una vera e propria presa in carico, quanto la segnalazione di opportunità<br />
sociali offerte dal territorio (dai centri di aggregazione alle associazioni e<br />
gruppi di volontariato, alla formazione per adulti). L’alternativa che si<br />
sta ponendo in molte realtà <strong>del</strong> paese è di tipo organizzativo:<br />
- se convenga creare una rete diffusa di sportelli “a bassa soglia”, di<br />
facile accesso per i cittadini, che incoraggia l’espressione di domande<br />
di aiuto semplici, assicurando il collegamento centrale con il<br />
segretariato sociale professionale (è il caso <strong>del</strong>le antenne sociali in<br />
Campania)<br />
- o se piuttosto convenga mantenere un servizio unico per la zona<br />
(ambito) ad alta professionalità, con maggior garanzie di qualità<br />
nell’accoglienza, anche se più distante dagli abitanti e con una “soglia<br />
di accesso” più alta (vedi gli Uffici di Promozione sociale in Umbria)<br />
I due mo<strong>del</strong>li organizzativi comportano lo sviluppo di figure<br />
professionali diverse:<br />
- nel primo caso, potrebbe essere utilizzato un operatore in possesso<br />
<strong>del</strong> diploma e opportunamente formato (qualifica di secondo livello,<br />
che potrebbe chiamarsi operatore <strong>del</strong>l’accoglienza o <strong>del</strong>la<br />
comunicazione sociale).<br />
- nel secondo caso, la figura deputata è l’assistente sociale.<br />
L’assistente sociale oltre ad essere il profilo a rilevanza nazionale<br />
impiegato nelle attività di accoglienza sociale è la figura deputata a<br />
svolgere il Servizio sociale professionale.<br />
1
Assistente sociale (Servizio sociale professionale). professionale) L’assistente sociale<br />
è la figura professionale impegnata in attività di formazione,<br />
prevenzione, recupero di persone, famiglie, gruppi e comunità in<br />
situazioni di bisogno e di disagio. Svolge compiti di gestione, concorre<br />
all’organizzazione e alla programmazione e può esercitare attività di<br />
coordinamento e di direzione dei servizi sociali (L. 84/1993).<br />
L’assistente sociale opera nelle seguenti aree di intervento: famiglia,<br />
infanzia, adolescenza, indigenza, handicap, devianza, immigrazione,<br />
disagio mentale, mondo <strong>del</strong> lavoro. Queste aree trovano la loro<br />
collocazione all’interno di istituzioni pubbliche e private, spesso con<br />
differenziazioni a livello regionale.<br />
Prima <strong>del</strong>la riforma universitaria, l'assistente sociale poteva esercitare la<br />
professione con titolo rilasciato da Scuole Dirette a Fini Speciali (SDFS)<br />
o Diploma Universitario e iscrizione all'albo professionale mediante<br />
esame di Stato. Nell'anno accademico 1998/99, l'Università di Trieste e<br />
la LUMSA di Roma, in risposta ad una esigenza diffusa di ampliamento<br />
e consolidamento dei percorsi formativi espressa dalla categoria degli<br />
assistenti sociali, hanno sperimentato la laurea in servizio sociale. La<br />
riforma universitaria ha attuato un notevole cambiamento nel sistema<br />
degli studi universitari e ha aperto nuove interessanti opportunità<br />
formative per la quale è stata prevista la classe di Laurea in Scienze <strong>del</strong><br />
Servizio Sociale e la classe <strong>del</strong>le lauree specialistiche in<br />
Programmazione e Gestione <strong>del</strong>le Politiche e dei Servizi Sociali.<br />
Aggiungendo il biennio specialistico alla laurea triennale l'assistente<br />
sociale potrà finalmente vedersi riconosciute funzioni direttive e<br />
l'inquadramento contrattuale corrispondente. In tempi recenti, nuove<br />
disposizioni normative hanno introdotto interessanti novità:<br />
- DPR 328/2001 "Modifiche ed integrazioni <strong>del</strong>la disciplina dei<br />
requisiti per l'ammissione all'esame di Stato e <strong>del</strong>le relative prove per<br />
l'esercizio di talune professioni, nonché <strong>del</strong>la disciplina dei relativi<br />
ordinamenti". Il DPR istituisce le sezioni A e B <strong>del</strong>l'albo<br />
professionale degli assistenti sociali. L'iscrizione alla sezione A è<br />
subordinata al superamento <strong>del</strong>l'esame di Stato a cui è possibile<br />
essere ammessi solo se in possesso <strong>del</strong>la laurea specialistica.<br />
L'iscrizione alla sezione B è anch'essa subordinata al superamento<br />
<strong>del</strong>l'esame di Stato ma, in questo caso, è richiesto il possesso <strong>del</strong>la<br />
laurea di primo livello.<br />
1
- Legge 1/2002 "Conversione in legge, con modificazioni, <strong>del</strong> D.L. 12<br />
novembre 2001 n.402, recante disposizioni urgenti in materia di<br />
personale sanitario" stabilisce il principio secondo il quale i diplomi<br />
conseguiti in base ai precedenti ordinamenti, costituiscono un titolo<br />
valido ai fini <strong>del</strong>l'accesso ai corsi di laurea specialistica, ai master e ai<br />
corsi di formazione post - base.<br />
- Legge 173/2002 "Conversione in legge, con modificazioni, <strong>del</strong> DL 10<br />
giugno 2002, n.107, recante disposizioni urgenti in materia di accesso<br />
alle professioni". Gli assistenti sociali con titolo conseguito secondo<br />
l'ordinamento previgente alla riforma universitaria, svolgono le prove<br />
degli esami di Stato, per gli anni 2002 e 2003, in base a quanto<br />
previsto dall'ordinamento precedente al DPR 328/2001.<br />
Area socio-educativa<br />
In quest’area vengono previste figure dedicate alla educazione, alla<br />
socializzazione, all’animazione sociale di bambini, ragazzi, giovani,<br />
adulti disabili, anziani. Si tratta di un’area molto vasta. Campo<br />
occupazionale sono gli interventi di comunità nei quartieri disagiati,<br />
interventi di riduzione <strong>del</strong> danno per tossicodipendenti, micro<br />
criminalità, prostituzione di strada, programmi di sicurezza urbana e<br />
contrasto <strong>del</strong>l’usura, centri di accoglienza di persone vittime di violenza,<br />
comunità educative, centri di socializzazione per ragazzi, giovani. La<br />
socialità degli anziani nelle strutture residenziali rientra nella funzione di<br />
animazione.<br />
Educatore non laureato. laureato.<br />
Si tratta di un operatore che utilizza in<br />
prevalenza metodi di animazione, auto-aiuto, piccoli gruppi espressivi,<br />
attività strutturate di gioco e creatività, che coadiuva e affianca<br />
l’educatore professionale laureato: è generalmente in possesso <strong>del</strong><br />
diploma e ha seguito un percorso di qualifica regionale attinente all’area.<br />
Oltre alle competenze comuni <strong>del</strong> settore socio-educativo, sono richieste<br />
in particolare capacità di animazione con bambini e anziani, in centri<br />
strutturati (ludoteche, ecc.) e in luoghi aperti. La formazione dovrebbe<br />
prevedere l’apertura di questa figura alla crescita in ambito universitario<br />
(Scienze <strong>del</strong>l’educazione); il problema si pone soprattutto per i molti<br />
operatori non laureati che operano su tutto il territorio nazionale. Alcune<br />
regioni (es. Marche, ma anche Puglia), stanno introducendo il vincolo di<br />
operatori laureati nelle strutture residenziale e semi-residenziali <strong>del</strong>l’area<br />
socio-educativa. Standard così elevati mandano ad esaurimento i profili<br />
degli educatori non laureati. In assenza di interventi di riqualificazione<br />
1
che permettano un accesso facilitato ai percorsi universitari, questi<br />
operatori sono di fatto esclusi dal mercato <strong>del</strong> lavoro.<br />
Educatore sociale laureato ed educatore professionale.<br />
professionale.<br />
L’Educatore<br />
sociale (classe 18) svolge la propria attività presso tutte le strutture<br />
pubbliche e private che svolgono attività socio-educative e culturali:<br />
servizi per l’infanzia, ludoteche, biblioteche, mediateche ed emeroteche,<br />
cooperative sociali e associazioni <strong>del</strong> "terzo settore", centri socio-<br />
educativi, centri di ricerca, fondazioni, società di consulenza. La laurea<br />
non consente l'accesso alle professionalità a programmazione nazionale<br />
<strong>del</strong> Ministero <strong>del</strong>la salute. Ad oggi, la figura <strong>del</strong>l’educatore professionale<br />
è stata individuata solo dal comparto sanitario con Decreto Ministeriale<br />
520/1998, grazie al quale l’Educatore professionale è entrato a far parte<br />
<strong>del</strong>le 22 professioni sanitarie previste dalla legge di riordino <strong>del</strong>la sanità,<br />
ed è stato incluso fra le professioni <strong>del</strong>l’area <strong>del</strong>la riabilitazione. Il<br />
vigente DM 520/1998 definisce l'educatore professionale come<br />
l'operatore sociale e sanitario impegnato nell'attuazione di specifici<br />
progetti educativi e riabilitativi volti a uno sviluppo equilibrato <strong>del</strong>la<br />
personalità in un contesto di partecipazione e recupero alla vita<br />
quotidiana; cura il positivo inserimento o reinserimento psicosociale dei<br />
soggetti in difficoltà.<br />
A differenza degli educatori sociali, gli educatori professionali possono<br />
svolgere la propria attività lavorativa nelle seguenti aree:<br />
- sanitaria (handicap, psichiatria, tossicodipendenze, hiv)<br />
- sociale (minori, handicap di competenza degli enti locali,<br />
multiculturalità, terza età)<br />
- penitenziaria (istituti per minori e adulti).<br />
Annoverando la figura <strong>del</strong>l’educatore professionale tra le professioni<br />
sanitarie e <strong>del</strong>la riabilitazione, la distinzione con gli educatori <strong>del</strong>l’area<br />
sociale, che si sono formati attraverso la Facoltà di Scienze<br />
<strong>del</strong>l’educazione e <strong>del</strong>la formazione, risulta particolarmente rafforzata.<br />
Questa distinzione comporta la presenza di due percorsi formativi<br />
formalmente non equiparabili, con il mantenimento di due profili<br />
professionali sostanzialmente uguali ma giuridicamente e<br />
professionalmente distinti.<br />
A tal proposito, l'ANEP (Associazione Nazionale degli Educatori<br />
Professionali) in un documento nazionale per la definizione <strong>del</strong>l’art.12<br />
<strong>del</strong>la L.328/2000, ha espresso la necessità di un'unica figura di educatore<br />
professionale, formato attraverso un unico percorso interfacoltà con<br />
un’abilitazione finale di competenze in tutti gli ambiti lavorativi (servizi<br />
1
sociali, socio-sanitari, sanitari e penitenziari). Una soluzione di questo<br />
tipo è stata auspicata anche dalle confederazioni sindacali nelle<br />
osservazioni espresse sul documento elaborato dalla Commissione<br />
Tecnica <strong>del</strong> Ministero <strong>del</strong> Lavoro su "Ipotesi di Decreto Profili Sociali"<br />
ai sensi <strong>del</strong>la Legge 328/2000 (ex commissione Sestini). Le<br />
organizzazioni sindacali ritengono che la figura <strong>del</strong>l'educatore<br />
professionale con profili diversificati fra sociale e sanitario non<br />
corrisponda alle logiche <strong>del</strong> nuovo sistema di integrazione socio -<br />
sanitaria.<br />
Area <strong>del</strong>la mediazione culturale, sociale, lavorativa<br />
Nell’ultimo decennio, i grandi cambiamenti che hanno attraversato il<br />
tessuto sociale, nonché la diffusione di servizi a bassa soglia per la<br />
mediazione culturale, l’educativa di strada, l’inserimento socio-<br />
lavorativo di soggetti svantaggiati, hanno motivato la nascita di<br />
numerose figure professionali di “contatto”.<br />
Per la mediazione culturale con soggetti provenienti da culture diverse<br />
da quella italiana è richiesta la conoscenza di una o più lingue straniere<br />
parlate dagli immigrati presenti nel territorio, la conoscenza <strong>del</strong>la cultura<br />
o meglio la provenienza da uno dei paesi extra-comunitari e la capacità<br />
di mediare tra culture, abitudini, stili di vita diversi. Si tratta di un lavoro<br />
che può offrire sbocchi occupazionali agli immigrati stessi, pertanto<br />
dovranno essere indicate le procedure di accertamento dei titoli di studio<br />
conseguiti all’estero o, in sostituzione, accertamento di competenze.<br />
Gli operatori <strong>del</strong>la promozione sociale devono sviluppare competenze<br />
per interventi di strada, nelle scuole e in altri contesti aggregativi.<br />
Ovviamente le attività messe in atto dipendono principalmente<br />
dall’obiettivo <strong>del</strong> progetto. Generalmente si tratta prevalentemente di<br />
interventi di prevenzione primaria e secondaria a bassa soglia, mentre la<br />
prevenzione terziaria o riduzione <strong>del</strong> danno sono meno diffuse. diffuse.<br />
Ai profili di inserimento lavorativo sono richieste competenze di<br />
orientamento, motivazione e sostegno nei confronti di persone che hanno<br />
difficoltà ad entrare/rientrare nel mercato <strong>del</strong> lavoro e di sfruttare le<br />
opportunità <strong>del</strong> territorio.<br />
Mediatore culturale<br />
. Nome e profilo sono in discussione nella maggior<br />
parte <strong>del</strong>le regioni italiane; c’è convergenza nella scelta di aprire questa<br />
qualifica a persone immigrate, con una buona conoscenza <strong>del</strong> territorio<br />
in cui vivono, ma al tempo stesso abbiano conservato contatti,<br />
2
conoscenze, interesse per la cultura di provenienza; questi requisiti<br />
sociali portano a non restringere in modo eccessivamente rigido i titoli di<br />
istruzione richiesti in accesso ai corsi. Va comunque assicurato il<br />
possesso di una buona conoscenza <strong>del</strong>la lingua e cultura italiana<br />
mediante la certificazione in accesso al corso e l’offerta di moduli<br />
integrativi che l’allievo potrà seguire prima o durante il corso per<br />
mediatore. Come per tutte le figure che svolgono funzioni di accoglienza<br />
e orientamento nella rete dei servizi, è indispensabile uno stretto<br />
rapporto con l’assistente sociale che mantiene il ruolo di garanzia, tutela<br />
e presa in carico <strong>del</strong>le situazioni critiche e multi-problematiche.<br />
Mediatore - promotore sociale<br />
. Operatore che, nell’ambito <strong>del</strong>la<br />
mediazione sociale, svolge attività finalizzata allo sviluppo <strong>del</strong>le<br />
potenzialità <strong>del</strong>le persone o dei gruppi e alla promozione di processi di<br />
prevenzione <strong>del</strong> disagio, inserimento e partecipazione sociale (educativa<br />
di strada, interventi di prevenzione primaria e secondaria, ecc.). Il<br />
promotore sociale progetta e gestisce attività di carattere socio-<br />
educativo, culturale, di prevenzione a diretto contatto con adolescenti e<br />
adulti in stato di disagio, tossicodipendenti, persone con disturbi psichici,<br />
ecc.<br />
Molti operatori provengono da studi universitari sulla formazione e<br />
sull’educazione. Altri hanno, ad esempio, un diploma magistrale, di<br />
educatore professionale, di operatore di comunità o di addetto<br />
all’assistenza. Il problema centrale, però, sembra essere quello <strong>del</strong>la<br />
formazione in itinere poiché spesso sono carenti o assolutamente<br />
mancanti percorsi di aggiornamento promossi a livello regionale.<br />
Mediatore <strong>del</strong>l’inserimento lavorativo. lavorativo.<br />
Sono richieste competenze di<br />
orientamento, motivazione e sostegno nei confronti di persone che hanno<br />
difficoltà ad entrare/rientrare nel mercato <strong>del</strong> lavoro e di sfruttare le<br />
opportunità <strong>del</strong> territorio. L’operatore aiuta il soggetto ad avere fiducia<br />
nelle proprie capacità, prendere consapevolezza dei diritti sociali, uscire<br />
da isolamento e auto-esclusione; insegna a sostenere un colloquio di<br />
lavoro, preparare un curriculum, reggere gli eventuali insuccessi, ecc.<br />
L’operatore deve saper dialogare con il tessuto imprenditoriale <strong>del</strong><br />
territorio; diffondere informazioni sulle agevolazioni economiche<br />
(tirocinio, borsa lavoro, ecc.), individuare nelle aziende le posizioni di<br />
lavoro più adatte ai soggetti svantaggiati, mantenere collegamenti e<br />
collaborazioni continue con responsabili <strong>del</strong> personale, artigiani, capi<br />
operai. L’operatore infine deve saper esercitare la funzione di tutor<br />
2
interno all’azienda, soprattutto nelle cooperative sociali di inserimento<br />
(tipo B) per addestrare e supportare i soggetti inseriti. Considerando<br />
l’ampiezza dei compiti che possono essere affidati a questa figura è<br />
importante che abbia completato la scuola secondaria superiore e la<br />
qualifica sia di secondo livello, ovvero il ruolo può essere esercitato da<br />
un educatore laureato o da un assistente sociale con esperienza.<br />
Ruoli e competenze gestionali<br />
Un’ultima considerazione va fatta sui profili di gestione, anche se non<br />
contemplati dal documento di riordino dei profili. In questa fase di<br />
ristrutturazione <strong>del</strong> welfare, le capacità gestionali richieste ai dirigenti<br />
pubblici <strong>del</strong>le politiche sociali e ai gestori <strong>del</strong>le imprese sociali<br />
(cooperative, Ipab, volontariato, associazioni) stanno crescendo a<br />
dismisura, al punto che pochi dirigenti oggi sono in grado di reggere il<br />
sovraccarico di ruolo che ne deriva. Tutti i cambiamenti introdotti nel<br />
welfare territoriale si riversano sui livelli di governo e di gestione,<br />
mettendo sotto pressione le competenze acquisite in passato. Nuove sono<br />
le norme, le funzioni e le capacità necessarie per: creare un patto<br />
fiduciario con utenti e cittadini, programmare in modo partecipato,<br />
attivare finanziamenti, contrattare coi fornitori, accreditare i servizi e<br />
incentivarne la qualità, curare la professionalità degli operatori, dare vita<br />
a enti dotati di autonomia gestionale, creare consorzi, aziende speciali,<br />
istituzioni, ecc.<br />
Questo significa due cose. In primo luogo la cultura organizzativa deve,<br />
in qualche misura, entrare nel curriculum di tutte le figure professionali<br />
sociali; tutti gli operatori, infatti, devono essere in grado di comprendere<br />
e gestire le complesse dinamiche organizzative in cui sono implicati<br />
(lavoro d’equipe, interscambi all’interno <strong>del</strong>la rete, dialogo con il<br />
territorio, ecc.). In secondo luogo, le funzioni di management sono molto<br />
distribuite, articolate a diversi livelli di complessità; la rete dei servizi<br />
non configura più un’unica posizione dirigente, bensì una pluralità di<br />
ruoli manageriali che devono presidiare funzioni diverse, in autonomia e<br />
in dialogo tra loro. Questa evoluzione ha comportato una progressiva<br />
specializzazione <strong>del</strong>le competenze gestionali: coordinamento di area,<br />
servizio, ufficio, promozione di rete integrata, gestione di accordi tra<br />
partner istituzionali, gestione di sistemi di qualità, ecc.<br />
L’assistente sociale è la figura che storicamente ha meglio sviluppato nel<br />
curriculum formativo le competenze organizzative; inoltre per questa<br />
figura è stato normato l’accesso alla dirigenza (L.29/93, L.165/00).<br />
2
Questo non vanifica le due esigenze formative sopra enunciate, vale dire<br />
che tutti gli operatori abbiano una preparazione organizzativa e che<br />
l’accesso alle competenze manageriali “alte” debba essere aperto a varie<br />
figure, non solo all’assistente sociale. In varie Regioni, il coordinamento<br />
di alcuni servizi, quali per esempio asilo nido e assistenza domiciliare,<br />
viene affidato a figure che provengono dall’area professionale specifica<br />
<strong>del</strong> servizio stesso, sia per dare uno sbocco di carriera ai tecnici, sia<br />
come garanzia che il servizio sia gestito da persone che conoscono i<br />
problemi reali. Per la gestione dei servizi, non si tratta di creare dei<br />
profili professionali ad hoc, quanto piuttosto di consolidare un corpus di<br />
conoscenze e metodi, da trasmettere partendo dalle esigenze che<br />
manifestano coloro che già rivestono ruoli di responsabilità nel settore.<br />
Professioni sociali per aree di intervento<br />
assistenza di base<br />
assistente familiare<br />
assistente domiciliare<br />
OSS<br />
OSS specializzato<br />
area socio-educativa<br />
educatore professionale (SNT/2)<br />
educatore sociale (L18)<br />
educatore non laureato - animatore<br />
accoglienza e servizio sociale<br />
tecnico accoglienza<br />
assistente sociale<br />
mediazione<br />
mediatore sociale<br />
mediatore interculturale<br />
mediatore inserimento lavorativo<br />
Dott. Giancarlo Zappacosta<br />
Dirigente <strong>del</strong> Servizio Politiche <strong>del</strong>l’Istruzione,<br />
<strong>del</strong>l’Educazione e <strong>del</strong> Diritto allo Studio<br />
<strong>del</strong>la Regione Abruzzo<br />
2
PANORAMA NAZIONALE SUL MEDIATORE (Prof. E. Serrano)<br />
Innanzitutto, desidero ringraziare per l’invito i promotori e gli<br />
organizzatori di questo Seminario conclusivo.<br />
Tenterò, entro il tempo che mi si concede per svolgere la mia relazione,<br />
di offrire alcune piste analitiche circa il panorama generale <strong>del</strong>la<br />
situazione <strong>del</strong> mediatore e <strong>del</strong>la mediazione interculturale. Direi di<br />
approfittare di questi minuti non tanto per fare un resoconto dei<br />
provvedimenti che diverse regioni italiane hanno varato in materia di<br />
riconoscimento <strong>del</strong>la figura <strong>del</strong> mediatore interculturale, quanto per<br />
aiutare a chiarire il ruolo e la funzione di tale figura nel contesto <strong>del</strong><br />
processo migratorio che viviamo in Italia. E questo perché, come si sa,<br />
l’immigrazione straniera in Italia da molto tempo ha smesso di essere un<br />
fenomeno per trasformarsi in un vero e proprio processo strutturale.<br />
Ritengo, dunque, opportuno inquadrare la situazione nell’ambito di una<br />
domanda fondamentale e perciò assolutamente ineludibile. La domanda<br />
è la seguente: i migranti stranieri presenti attualmente in Italia sono da<br />
considerare parte <strong>del</strong>la comunità oppure essi sono una comunità a<br />
parte? Nel rispondere a questo quesito fondamentale, i governi dei paesi<br />
appartenenti all’Unione Europea hanno seguito due orientamenti politici<br />
ben marcati:<br />
A) I migranti stranieri sono, effettivamente, una comunità a parte per cui<br />
occorre una convergenza per promuovere ed applicare politiche<br />
difensive e restrittive dei loro ingressi e permanenza stabile nei territori<br />
<strong>del</strong>l’Unione. Non è necessario fare un grande sforzo mentale per capire<br />
che questo orientamento escludente concepisce i migranti come un<br />
problema di ordine di pubblico e, quindi, come una minaccia per la<br />
sicurezza sociale.<br />
B) I migranti stranieri sono, ormai, parte <strong>del</strong>la comunità per cui occorre<br />
una convergenza per promuovere la cooperazione internazionale al fine<br />
favorire la governance dei flussi migratori verso L’Unione Europea.<br />
Occorre inoltre favorire l’inclusione sociale, economica e culturale dei<br />
migranti residenti nei diversi paesi <strong>del</strong>l’UE. Contrariamente alla<br />
precedente, questa prospettiva includente si orienta a promuovere<br />
ingressi legali, ordinati e coordinati con i paesi di origine dei migranti<br />
ma anche a favorire l’inserimento e la stabilità dei migranti stranieri nei<br />
rispettivi paesi <strong>del</strong>l’Unione dove essi risiedono.<br />
E’ inutile ricordare che nell’UE prevale soprattutto la prima prospettiva.<br />
Prevale cioè, la prospettiva che offre una risposta decisamente negativa<br />
alla domanda fondamentale che vi ho appena proposto. Prevale insomma<br />
2
la logica <strong>del</strong>l’Europa “fortezza” malgrado il Parlamento Europeo, od il<br />
Consiglio, abbiano approvato innumerevoli <strong>del</strong>ibere e/o risoluzioni a<br />
favore <strong>del</strong>la libera circolazione <strong>del</strong>le persone (in sintonia con la Carta<br />
<strong>del</strong>le Nazioni Unite sui diritti umani) e contro ogni forma di<br />
discriminazione. E’ davvero un paradosso o, meglio, una schizofrenia<br />
istituzionale.<br />
Parto da questa considerazione generale perché, credo, ci serva per<br />
entrare nello specifico <strong>del</strong>l’argomento di cui dovrei trattare in questa<br />
interessantissima giornata. Per quanto riguarda l’Italia, non c’è dubbio<br />
che in materia di immigrazione straniera il nostro Paese si riconosce<br />
chiaramente nella prima prospettiva. Probabilmente sarà per questo che<br />
la formazione ed il mestiere <strong>del</strong> mediatore interculturale si rendono, oggi<br />
come oggi e in tutti i sensi, ancora più imprescindibili e quindi molto<br />
interessanti. Nel nostro Paese è chiaro a tutti -volente o nolente- che il<br />
plurilinguismo e la varietà culturale sono, ormai, elementi costitutivi<br />
<strong>del</strong>la vita quotidiana <strong>del</strong>la collettività. Per tali ragioni considero<br />
necessario e, se vogliamo, urgente dotarci di competenze interculturali<br />
che possano arricchire le nostre abilità personali e rinforzare le nostre<br />
qualità professionali. In questo senso, la figura <strong>del</strong> mediatore, se<br />
concepita come una figura che facilita processi culturali e relazionali, ha<br />
un ruolo di primo piano. Un problema strutturale c’è, però, e riguarda la<br />
grande confusione che attualmente contraddistingue il profilo o la<br />
qualifica professionale e formativa <strong>del</strong> mediatore. Per superare questa<br />
confusione occorrerebbe una Legge nazionale che riconosca, a tutti gli<br />
effetti, il mestiere <strong>del</strong> mediatore come una vera e propria professione.<br />
Occorre una Legge che, oltre a regolamentare il profilo professionale e il<br />
percorso formativo <strong>del</strong> mediatore, rifletta, raccolga e valorizzi le<br />
esperienze virtuose che tante regioni hanno finora compiuto –e<br />
l’Abruzzo è una di queste regioni- e stabilisca gli standard formativi<br />
essenziali e il tipo di certificazione da rilasciare al mediatore. Occorre far<br />
luce, una volte per tutte, circa un percorso formativo codificato riferito<br />
alle competenze professionali <strong>del</strong> mediatore. Insomma, occorre definire<br />
regole e criteri univoci e validi su tutto il territorio nazionale per<br />
superare le attuali difformità di trattamento che osserviamo tra regione e<br />
regione e per garantire mediatori adeguatamente qualificati in specifiche<br />
prestazioni sociali e/o educative. Ma anche a livello regionale, e in<br />
mancanza di una Legge nazionale con le caratteristiche che propongo,<br />
occorre spingersi oltre. Nel caso che qui ci interessa, sono convinto che<br />
se la Regione Abruzzo potesse dar vita ad una networking inter-<br />
2
istituzionale che avesse il compito specifico di occuparsi <strong>del</strong>le tematiche<br />
inerenti la mediazione interculturale, il salto di qualità rispetto ad altre<br />
regioni sarebbe formidabile. Consentitemi di dire che le condizioni ci<br />
sono tutte. E iniziative come il progetto “Servire Mediando” che stiamo<br />
concludendo oggi, ne sono una concreta dimostrazione.<br />
Non è utopico sostenere la necessità e/o la convenienza di fare uno<br />
sforzo di coordinamento inter-istituzionale. Va, cioè, promosso e<br />
favorito uno spazio di coordinamento in cui siedano rappresentanti di<br />
istituzioni che, direttamente o indirettamente, abbiano a che fare con il<br />
tema <strong>del</strong>l’immigrazione a livello locale, provinciale e regionale. Tale<br />
spazio di coordinamento inter-istituzionale dovrà avere il preciso<br />
compito di fare progettualità congiunta, cioè, di fare sistema per<br />
governare il processo migratorio nella regione secondo una logica di<br />
prevenzione includente e non di reazione escludente.<br />
D’altro canto, anche il mediatore deve affinare costantemente i suoi<br />
strumenti conoscitivi, tecnici e metodologici. Guai al mediatore che<br />
crede di sapere già tutto sulla mediazione e, perciò, ritenga di non aver<br />
più bisogno di aggiornamenti teorici, tecnici o metodologici. Il<br />
mediatore che la dovesse pensare così non ha capito il carattere<br />
strutturalmente dinamico <strong>del</strong> particolare tessuto sociale e culturale in cui<br />
egli si trova ad esercitare il suo mestiere. Il mediatore, dunque, deve<br />
perfezionare periodicamente le sue competenze (in particolare quelle<br />
relazionali e comunicative!) per migliorare le sue capacità di analisi dei<br />
bisogni e <strong>del</strong>le potenzialità dei soggetti con cui egli si trova ad operare.<br />
Questo interesse per il permanente miglioramento conoscitivo e tecnico<br />
serva anche per arricchire le sue capacità di promuovere e costruire rete<br />
relazionali tra il i migranti, le istituzioni e la comunità.<br />
Spero che questo mio contributo possa essere di utilità per favorire i<br />
mondi possibili che le istituzioni abruzzesi vorranno costruire mediante<br />
la messa in atto di politiche includenti e di responsabilizzazione dei<br />
migranti nei confronti di sé stessi e <strong>del</strong>le specifiche comunità in cui<br />
risiedono stabilmente. Grazie ancora e buon lavoro.<br />
2<br />
Prof. Edgar J. Serrano<br />
Università degli Studi di Padova
Everardo Minardi (Direttore <strong>del</strong> Dipartimento di Sociologia -<br />
Università di Teramo<br />
“Come fare rete per la mediazione culturale”<br />
2
Michele Cascavilla (Preside <strong>del</strong>la Facoltà di Scienze Sociali -<br />
Università di Chieti)<br />
“Le azioni messe in atto dall’Università in Abruzzo”<br />
2
LA MEDIAZIONE CULTURALE A SCUOLA PER FAVORIRE<br />
L’INCLUSIONE (Prof. A. Goussot)<br />
Parlare di mediazione culturale e di mediatori culturali a scuola significa<br />
parlare di mediazione pedagogica nella gestione <strong>del</strong> processo di<br />
insegnamento/apprendimento; implica anche l’idea di una scuola come<br />
comunità aperta ed accogliente nonché un insieme di competenze sia sul<br />
piano didattico che pedagogico in grado di accompagnare gli alunni<br />
italiani e stranieri nell’esperienza <strong>del</strong>l’incontro e <strong>del</strong>la relazione nei<br />
gruppi classe. I punti fondamentali di un approccio orientato verso<br />
l’inclusione sono.<br />
1. l’organizzazione <strong>del</strong>l’accoglienza<br />
2. la creazione di un contesto di apprendimento inclusivo e cooperativo<br />
3. l’educazione alla varietà culturale e all’incontro con l’altro diverso da<br />
sé<br />
4. lo sviluppo di capacità comunicative in grado di attivare dei percorsi<br />
di riconoscimento e di reciprocità<br />
5. gestire la comunicazione in classi ormai pluriculturali usando le<br />
diverse tecniche di mediazione<br />
6. collegare la programmazione didattica con la pluriculturalità <strong>del</strong>la<br />
popolazione scolastica<br />
7. formare un insieme di competenze aggiornate <strong>del</strong> corpo docente<br />
permettendoli di rispondere in modo adeguato sul piano pedagogico<br />
alla difficile sfida <strong>del</strong>la globalizzazione in classe<br />
8. usare la figura <strong>del</strong> mediatore culturale come tecnico <strong>del</strong>la<br />
comunicazione e animatore pedagogico in contesti scolastici ormai<br />
caratterizzati dalla pluriculturalità<br />
9. sviluppare <strong>del</strong>le situazioni educative interculturali favorendo lo<br />
scambio, l’incontro e la mescolanza tra alunni italiani e alunni<br />
provenienti dal mondo <strong>del</strong>l’immigrazione<br />
10.imparare a gestire la complessità trasformando le differenze in risorse<br />
per il processo di apprendimento di tutti<br />
11.fare <strong>del</strong>la scuola una comunità inclusiva e aperta al mondo globale e<br />
locale<br />
Ovviamente è molto importante creare le condizioni didattiche di un<br />
apprendimento rapido <strong>del</strong>la lingua italiana da parte <strong>del</strong>le ragazze e dei<br />
ragazzi che provengono dal mondo <strong>del</strong>l’immigrazione sapendo che la<br />
situazione di ogni alunno è una situazione specifica. In effetti, si parla<br />
spesso impropriamente di bambini immigrati o di bambini stranieri; in<br />
2
quest’ultimo caso il rischio è di ragionare in termini di Noi e Loro<br />
mentre loro sono ormai parte integrante <strong>del</strong> Noi. Inoltre vogliamo<br />
ricordare di nuovo l’affermazione di Giuseppe Mazzini secondo la quale<br />
“occorre abolire la parola straniero dalla favela <strong>del</strong>l’umanità”; con<br />
questo il grande repubblicano genovese voleva sottolineare che siamo,<br />
pure nella varietà, tutti simili; anzi siamo insieme simili e diversi.<br />
Pedagogicamente quest’affermazione ha una grandissima importanza e<br />
si ricollega direttamente a quella di Jean Jacques Rousseau che scriveva<br />
che “l’altro è un altro io diverso da me" cioè l’altro sente come me,<br />
funziona come ma lo fa a modo suo e per questo è anche radicalmente<br />
diverso da me. Rousseau e Mazzini esprimono qui un principio<br />
pedagogico fondamentale: il principio <strong>del</strong>l’eguaglianza che parte dalle<br />
similitudini per andare verso la scoperta positiva <strong>del</strong>le differenze e il loro<br />
riconoscimento. La scuola e gli insegnanti dovrebbero tener conto di<br />
questa lezione filosofica e educativa: occorre partire da quello che<br />
accomuna per favorire l’incontro e quindi la scoperta e l’accettazione<br />
<strong>del</strong>le differenze. E’ in fondo quello che chiedono i bambini che<br />
provengono dal mondo <strong>del</strong>l’immigrazione: essere trattati da eguali, come<br />
gli altri, addirittura assomigliare agli altri.<br />
L’insegnante, anche se con buone intenzioni, non deve fare <strong>del</strong>le<br />
forzature sottolineando pure positivamente, la diversità <strong>del</strong> bambino,<br />
figlio di migrante. Il piccolo Said di 7 anni non vuole stare al centro<br />
<strong>del</strong>l’attenzione, deve organizzarsi per il suo adattamento in un contesto<br />
nuovo, deve ricostruire il tessuto connettivo dei suoi sentimenti nel<br />
collegamento tra scuola e famiglia. La classe deve essere per lui un<br />
contesto accogliente che li dà il tempo di riorganizzarsi, di ritrovarsi, di<br />
rielaborare i suoi vissuti per capirci qualcosa; Said ha bisogno <strong>del</strong> tempo<br />
necessario per elaborare <strong>del</strong>le strategie e trovare <strong>del</strong>le risposte, non ha<br />
bisogno di essere messo al centro <strong>del</strong>l’attenzione. Il gruppo classe può e<br />
deve essere insieme luogo e strumento per creare il contatto e lo scambio<br />
tra gli alunni, per favorire l’incontro. L’insegnante con la collaborazione<br />
<strong>del</strong> mediatore culturale deve creare le situazioni e costruire i contesti<br />
tramite le attività didattiche e di laboratorio che permettono ai bambini<br />
di partire da quello che hanno in comune per scoprire poi quello che li<br />
distingue e sentirsi in questo modo rispettati. Il recente premio nobel di<br />
letteratura ha ben espresso questo concetto fondamentale <strong>del</strong>l’incontro<br />
con l’altro e <strong>del</strong> meticciamento; J.M.G Le Clézio dice che scrive per<br />
comunicare con gli altri; in effetti lo ha fatto con gli indios <strong>del</strong> Panama e<br />
<strong>del</strong> Messico lasciandosi contaminare dai loro mo<strong>del</strong>li narrativi e<br />
3
trasferendoli nella sua scrittura. Le Clézio ha fatto, con la sua opera<br />
letteraria, il mediatore culturale tra culture amerindie e cultura francese.<br />
Il mediatore culturale in ambito scolastico va a supporto <strong>del</strong>l’azione<br />
didattica <strong>del</strong>l’insegnante; collabora per creare le condizioni relazionali<br />
<strong>del</strong>la comunicazione positiva; interviene anche quando non vi sono<br />
bambini provenienti dal mondo <strong>del</strong>l’immigrazione educando tutti i<br />
bambini all’alterità e alla mondialità cioè alla varietà culturale e<br />
all’interculturalità. L’uso di una pedagogia interculturale come pratica di<br />
mediazione pedagogica favorisce l’acquisizione <strong>del</strong> sentimento<br />
<strong>del</strong>l’eguaglianza e il riconoscimento positivo <strong>del</strong>le differenze.<br />
L’esperienza didattica in classe deve essere un momento in qui si lavora<br />
in modo cooperativo tra alunni e tra alunni ed insegnante, in questo<br />
modo avviene l’apprendimento di una socialità che funziona come<br />
implicazione reciproca. Quest’implicazione nell’esperienza concreta<br />
<strong>del</strong>l’apprendimento produce dei processi transculturali cioè di<br />
contaminazione reciproca e di mescolanza; s’impara il decentramento, il<br />
superamento <strong>del</strong>l’autoreferenzialità e il passaggio <strong>del</strong>le barriere mentali.<br />
Il mediatore culturale deve collaborare con gli insegnanti e gli alunni per<br />
trasformare la comunità scolastica in un laboratorio dove s’impara ad<br />
essere cittadini <strong>del</strong> mondo.<br />
La scuola è un luogo vitale per misurare la capacità di una comunità di<br />
creare l’accoglienza <strong>del</strong>le differenze in una prospettiva dialogante. Da<br />
molto tempo si parla nel nostro paese di cultura <strong>del</strong>l’integrazione in<br />
riferimento agli alunni e le alunne con handicap; dalla legge<br />
sull’integrazione dei disabili nella scuola <strong>del</strong>l’obbligo a tutto il<br />
movimento d’innovazione pedagogica nato dall’attività didattica ed<br />
educativa sviluppatesi sulla scia <strong>del</strong>la rivoluzione culturale introdotta da<br />
uomini come Don Milani e Franco Basaglia. La scuola italiana, in<br />
particolare la scuola <strong>del</strong>l’obbligo, è stato per anni un vero e proprio<br />
laboratorio sperimentale sul piano pedagogico. I temi portati all’interno<br />
<strong>del</strong>la scuola riguardavano l’incontro con l’alterità quindi l’educazione<br />
alla varietà e alla diversità. Si parla d’integrazione in un’accettazione<br />
rispettosa <strong>del</strong>la peculiarità di ogni soggetto in apprendimento; il processo<br />
d’insegnamento-apprendimento viene visto come un processo<br />
relazionale tra chi insegna e chi impara; un processo relazionale dove<br />
spesso l’educatore è contemporaneamente educatore e educando e vice<br />
versa dove l’educando è anche educatore. L’integrazione non è<br />
assimilazione e adattamento passivo <strong>del</strong>l’educando ad un mo<strong>del</strong>lo<br />
definito o predefinito dall’insegnante; è un incontro con l’Altro, un<br />
3
incontro produttore di conoscenze e saperi, momento di crescita<br />
individuale e collettiva. Quest’approccio è presente nella scrittura<br />
collettiva <strong>del</strong>la scuola di Barbiana e nel movimento di cooperazione<br />
educativa che s’ispira <strong>del</strong>la pedagogia popolare di Célestin Freinet.<br />
La scuola italiana si è ispirata molto <strong>del</strong>le teorie pedagogiche <strong>del</strong>la<br />
scuola attiva attenta alla storia, al percorso, al linguaggio e ai bisogni di<br />
ogni soggetto in situazione di apprendimento. Nella parola integrazione<br />
c’è il concetto di accoglienza, c’è l’idea di una scuola come comunità<br />
che accoglie le differenze al suo interno e che fa di queste una risorsa per<br />
lo sviluppo di ciascuno e di tutti.<br />
Oggi la scuola italiana vive un momento estremamente difficile; tagli<br />
<strong>del</strong>le risorse, riforme che sono vere e proprie contro-riforme,<br />
disgregazione di un quadro di riferimento culturale forte per pensare un<br />
progetto pedagogico in grado di contemplare la grande varietà culturale<br />
<strong>del</strong> mondo <strong>del</strong>l’infanzia e <strong>del</strong>l’adolescenza. Mi viene in mente quello<br />
che scriveva il gran pedagogista Raffaele Laporta nel suo libro “l’autoeducazione<br />
<strong>del</strong>le comunità”: “ l’intera esistenza <strong>del</strong>l’individuo e l’intera<br />
vita <strong>del</strong>la società si realizzano in forza di un costante processo di<br />
esperienza. L’esperienza, orientando e promovendo l’attività umana, è<br />
all’origine di quel che genericamente le scienze <strong>del</strong>l’uomo oggi<br />
designano col termine “cultura”. (...) La produzione di esperienza sociale<br />
è l’aspetto collettivo di un naturale apprendimento individuale; la<br />
comunicazione è, almeno implicitamente, educazione nella misura in cui<br />
il risultato di modificare i comportamenti di coloro cui è diretta, ossia<br />
nella misura in cui determina apprendimento”. C’è qui l’allargamento<br />
<strong>del</strong> concetto stesso di educazione dalle istituzioni scolastica e famigliare<br />
a tutte le situazioni sociali; ed è quello che si verifica oggi con la<br />
presenza pervasiva dei mo<strong>del</strong>li veicolati dal sistema di consumi e dai<br />
mass media. I contesti sociale, familiare e materiale parlano un<br />
linguaggio pedagogico e la scuola più che mai si trova a fare i conti con<br />
un mondo che non parla il linguaggio <strong>del</strong>l’incontro, sommerso dal<br />
rumore <strong>del</strong>la pubblicità e dove si comunica poco, un mondo dove i<br />
genitori fanno sempre più fatica a svolgere il proprio mestiere di genitori<br />
ma anche dove l’insegnante non sa più come e cosa trasmettere agli<br />
alunni. Osservare il mondo <strong>del</strong>la scuola dal punto di vista <strong>del</strong>le<br />
differenze; dal punto di vista <strong>del</strong>l’alunno disabile e <strong>del</strong> ragazzo o <strong>del</strong>la<br />
ragazza immigrata permette di evidenziare le criticità.La scuola non è<br />
fuori dalla società, è una parte importante <strong>del</strong>l'organizzazione sociale e<br />
di quel meccanismo che lega le generazioni che gli antropologi hanno<br />
3
chiamato inculturazione cioè la trasmissione di conoscenze, saperi,<br />
sistemi di valore e mo<strong>del</strong>li di vita alle giovani generazioni.<br />
Per affrontare il tema <strong>del</strong>l'integrazione occorre dunque interrogarsi su<br />
cosa oggi la scuola veicola e trasmette alle future generazioni; voglio<br />
anche precisare una cosa: non basta difendere la scuola pubblica se<br />
quello che difendiamo assomiglia sempre di più ad un guscio vuoto.<br />
Occorre riempire lo spazio pubblico che è la scuola di contenuti e<br />
indicare <strong>del</strong>le finalità; talvolta la sensazione è che l'esperienza educativa<br />
che passa attraverso l'apprendimento si sia ormai diluita nel mare di una<br />
pedagogia <strong>del</strong>la pillola in cui gli alunni imparano solo la superficialità<br />
<strong>del</strong>l'essere e <strong>del</strong> pensare. Anche questo è un prodotto <strong>del</strong>la<br />
globalizzazione, o meglio, <strong>del</strong>l'americanizzazione.<br />
Ma prima di affrontare il tema <strong>del</strong>l'integrazione e di una cultura<br />
pedagogica <strong>del</strong>l'integrazione proponiamo di fare riferimento ai principi<br />
<strong>del</strong>l'educazione attiva <strong>del</strong>ineati da Adolphe Ferrière nel 1912; questa<br />
carta dei principi <strong>del</strong>la Scuola attiva rimane per noi un documento di una<br />
grande validità. Nella sua introduzione al testo <strong>del</strong> pedagogista svizzero,<br />
Giuseppe Lombardi Radice ne proponeva una sintesi mettendone in<br />
evidenza i grandi principi educativi: 1) lo scopo essenziale di ogni vera<br />
educazione è di preparare il fanciullo a volere e realizzare nella sua vita<br />
"la supremazia <strong>del</strong>lo spirito" cioè la capacità di pensare il senso <strong>del</strong>la<br />
propria esistenza come soggetto, membro <strong>del</strong>la comunità umana 2)<br />
l'educazione ha da rispettare l'individualità <strong>del</strong> fanciullo; per fare questo<br />
occorre liberare le sue potenzialità 3) gli studi devono essere concepiti<br />
come un avviamento alla vita e dar libero corso agli interessi <strong>del</strong><br />
fanciullo, a quelli che si risvegliano in lui perché espressione <strong>del</strong>la sua<br />
personalità profonda 4) ciascuna età ha <strong>del</strong>le proprie caratteristiche;<br />
l'insegnamento deve tener conto di queste caratteristiche; inoltre occorre<br />
che la disciplina personale e collettiva siano organizzate dai fanciulli<br />
medesimi con la attiva collaborazione degli educatori 5)ogni<br />
competizione egoistica deve essere bandita dall'attività scolastica e<br />
sostituita dalla cooperazione che insegna ai fanciulli a mettere se stessi al<br />
servizio <strong>del</strong>la collettività 6) la coeducazione (istruzione e educazione in<br />
comune tra i due sessi) implica una collaborazione che permetta a<br />
ciascun sesso di esercitare una influenza positiva sull'altro 7)<br />
l'educazione attiva prepara nel fanciullo l'uomo o la donna, un futuro o<br />
una futura cittadina capace di adempiere a tutti i suoi doveri verso gli<br />
altri e l'umanità intera; un essere umano pienamente consapevole <strong>del</strong>la<br />
propria umana dignità. Per la scuola attiva l'educazione è apprendimento<br />
3
<strong>del</strong> dialogo e <strong>del</strong>la responsabilità sociale; è apprendimento (processo di<br />
formazione autodiretto) e non addestramento (processo formativo<br />
eterodiretto), l'integrazione è qui anche concepita come integrazione tra<br />
individualità (l'essere se stesso) e socialità (l'essere se stesso in relazione<br />
con l'altro). La scuola è quindi una comunità educativa dove si scopre se<br />
stesso attraverso la relazione con l'altro. La scuola <strong>del</strong>la Repubblica è<br />
una comunità dove s'impara a stare tra soggetti liberi e eguali; dove il<br />
rispetto <strong>del</strong>la libertà di ognuno giova alla libertà di tutti e viceversa, per<br />
definizione è l'espressione <strong>del</strong> pluralismo culturale e <strong>del</strong>la possibilità per<br />
ogni alunno o ogni alunna di stare in mezzo agli altri con le proprie<br />
caratteristiche.<br />
BAMBINI FIGLI DI MIGRANTI<br />
Con la presenza degli immigrati nella nostra società la scuola italiana si<br />
trova a vivere un profondo cambiamento antropologico. Anche se<br />
dobbiamo sottolineare la tendenza a rimuovere la migrazione interna dal<br />
Sud al Nord (che continua) e la difficoltà per molti bambini meridionali<br />
d'integrarsi nelle scuole <strong>del</strong> Nord. In effetti è assai curioso che in Italia si<br />
comincia a parlare d'intercultura o di pedagogia interculturale con<br />
l'arrivo degli immigrati extracomunitari mentre esisteva, ed esiste tuttora,<br />
un serio problema che riguarda i figli di meridionali nelle scuole <strong>del</strong><br />
Nord <strong>del</strong> paese. Difficoltà di apprendimenti e difficoltà relazionali<br />
dovute al fatto che questi bambini, in nome di una cultura nazionale o<br />
peggio di una cultura padana, vengono negati nella loro identità psicoculturale<br />
profonda. Poniamo questa questione perché il problema oggi<br />
non è la questione settentrionale ma rimane tuttora la questione<br />
meridionale anche al Nord. Il fatto è che con il pretesto che sono tutti<br />
cittadini italiani si fa finto di non capire le differenze culturali che<br />
esistono tra gruppi originari dal sud e dal nord. La scuola <strong>del</strong>la<br />
Repubblica non ha saputo realizzare il grande sogno democratico di<br />
uomini come Mazzini e Cattaneo; cioè di una unità nella diversità, di una<br />
unità rispettosa <strong>del</strong>le differenze. Sul piano pedagogico, ma forse<br />
sbagliamo, ci risulta che l'unico grande pedagogista ad essersi posto<br />
questo problema sia stato Raffaele Laporta nel suo libro "l'autoeducazione<br />
<strong>del</strong>le comunità".Per parlare <strong>del</strong>l'integrazione dei figli di<br />
migranti oggi in Italia non si può negare questa realtà come non si può<br />
negare la grande storia di emigrazione degli italiani. Anche regioni come<br />
3
il Veneto, che sembrano oggi chiuse a qualsiasi apertura all'altro, hanno<br />
una storia anche recente di emigrazione dovuta alla miseria. Questa<br />
storia presenta nella memoria collettiva degli italiani va usata come<br />
risorsa per creare prossimità, comprensione verso gli immigrati che<br />
arrivano oggi. Partenza, sradicamento, viaggio, difficoltà d'inserimento,<br />
discriminazione sono cose che milioni di italiani hanno conosciuto e<br />
qualche volta conoscono ancora oggi. Questa parte <strong>del</strong>la storia italiana,<br />
spesso rimossa, può svolgere una funzione altamente pedagogica e va<br />
recuperata nella scuola.<br />
La scuola italiana sta cambiando antropologicamente, diventando come<br />
la società plurietnica e multiculturale, questo cambiamento pone nuove<br />
questioni agli operatori pedagogici che vogliono continuare a formare i<br />
futuri cittadini di questo paese e a promuovere l'eguaglianza <strong>del</strong>le<br />
opportunità, nell'istruzione, per tutti i bambini a prescindere <strong>del</strong>l'origine<br />
etnico-culturale. Anche qui bisognerebbe ricordare, a duecento anni <strong>del</strong>la<br />
sua nascita, quello che disse Mazzini in un proclamo ai giovani italiani<br />
<strong>del</strong> 1859: "Bisogna abolire la parola straniero dalla favela <strong>del</strong>l'umanità".<br />
Tutti gli uomini indipendentemente dalla loro lingua, dalla loro<br />
provenienza, dal loro colore di pelle e <strong>del</strong>la loro cultura sono i miei<br />
fratelli. Sappiamo che oggi in Italia non tutti la pensano così; ma finché<br />
c'è ancora la Costituzione antifascista, nata sulle ceneri <strong>del</strong>le leggi<br />
razziali, tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge, tutti i bambini<br />
sono uguali di fronte al diritto all'istruzione. Sicuramente l'immigrazione<br />
lancia una grande sfida alla società italiana che deve fare i conti con se<br />
stessa e pone nuove questioni alla democrazia. La scuola è sicuramente<br />
un luogo centrale di questa sfida per una democrazia pluralista<br />
culturalmente, accogliente, solidale e rispettosa dei diritti di ognuno.<br />
L'educazione alla diversità, meglio l'educazione alla varietà, parte dallo<br />
stare insieme nell'esperienza educativa. I bambini di diverse nazionalità<br />
si ritrovano a vivere insieme a vivere l'avventura scolastica e a<br />
confrontarsi. Ma questo Don Milani nella sua esperienza con la scuola di<br />
Barbiana l'aveva capito quando scriveva:<br />
"Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora<br />
vi dirò che io reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati ed<br />
oppressi da un lato, privilegiati ed oppressori dall'altro. Gli uni sono la<br />
mia patria, gli altri i miei stranieri".<br />
Ci rendiamo conto che non è un linguaggio political correct come si dice<br />
oggi in Italia, ma è un linguaggio molto efficace sul piano pedagogico.<br />
3
Diciamo anche che bisogna stare attento a non percepire tutti i bambini<br />
figli di migranti come se fossero un blocco; intanto ogni storia di<br />
migrazione è una storia a sé e poi non è la stessa cosa essere un bambino<br />
di genitori stranieri nato in Italia e un bambino di genitori stranieri nato<br />
nel paese di origine di questi. Non è neanche la stessa cosa essere un<br />
bambino di una coppia mista straniera oppure di una coppia mista di cui<br />
uno dei due genitori è un italiano. Citiamo soltanto questi pochi esempi<br />
per fare capire la complessità <strong>del</strong> problema psico-pedagogico quando si<br />
parla d'intercultura a scuola. Il rischio è quello di identificare il bambino<br />
non italiano con una categoria generale: musulmano, arabo, africano ecc.<br />
Categorie che non dicono niente sul percorso, i vissuti e la struttura<br />
relazionale di quel bambino. L'educatore deve saper osservare e mettersi<br />
il più possibile all'ascolto <strong>del</strong> bambino diverso dagli altri perché proviene<br />
da un altro paese. Lo deve fare mettendo a suo agio questo bambino e<br />
non sottolineando in continuazione la sua diversità. Ecco di nuovo la<br />
lezione di Rousseau partiamo dalle similitudini per scoprire le<br />
differenze. Questo bambino vuole essere come gli altri, essere trattato<br />
come gli altri. Sta all'insegnante creare un clima di accoglienza tale nella<br />
classe che permetta l'incontro e favorisca l'inserimento, quindi anche gli<br />
apprendimenti.<br />
Prendiamo un esempio che riteniamo emblematico su come intendere<br />
con la parola integrazione: il caso <strong>del</strong> dibattito sul velo islamico nella<br />
scuola francese. La "commissione dei saggi" proposta da Chirac ha<br />
prodotto un documento a difesa <strong>del</strong>la laicità <strong>del</strong>la scuola proibendo il<br />
velo, e l'ostentazione di altri simboli religiosi a scuola. Qui c'è una<br />
confusione tra spazio pubblico (la scuola <strong>del</strong>la Repubblica e di tutti e<br />
non devono esservi esposti simboli religiosi particolari; proprio perché<br />
nella società c'è una varietà di credi religiosi e ci sono anche quelli che<br />
non credono) e spazio privato o scelta soggettiva (il fatto di portare<br />
l'hidjab, il velo, la croce ecc è una scelta individuale, la libera<br />
espressione di una scelta personale che non può essere proibita). Ecco di<br />
nuovo torniamo al nostro Rousseau: insieme eguaglianza e diversità. Ha<br />
fatto molto bene, dal nostro punto di vista, Edgar Morin, il filosofo<br />
francese laico, a ricordare che la comunità scolastica è una "unitas<br />
complex" e il rischio di una deriva <strong>del</strong>la laicità verso un laicismo che<br />
rischia di trasformarsi in una nuova religione che esclude tuttavia le<br />
altre. E’ qui che si pone poi la questione dei "mediatori culturali" nelle<br />
scuole; le circolari ministeriali prevedono la presenza di questa figura<br />
(addirittura si parlò di una commissione nazionale <strong>del</strong> ministero che<br />
3
lavorava alla definizione <strong>del</strong> profilo di questa nuova figura<br />
professionale); molti mediatori vengono usati nella scuole e anche nella<br />
realtà dei servizi socio-assistenziali ma non c'è nessun tipo di indicazione<br />
sul ruolo, la funzione e le competenze di questi operatori. Sono ormai<br />
centinaia, se non migliaia, i "mediatori culturali" che operano sul<br />
territorio nazionale ma non hanno nessun tipo di riconoscimento. Il<br />
problema è serio perché i rischi sono diversi e già palpabili: 1) avere<br />
degli operatori precari e deboli sul piano giuridico con l'aggravante <strong>del</strong>la<br />
Bossi-Fini che mette la maggior parte di questi giovani immigrati con<br />
titoli di studio nella situazione di non poter investire in questo mestiere<br />
che non è ancora una professione 2) la formazione eterogenea di questi<br />
operatori e l'uso "selvaggio" di queste figure indipendentemente dalle<br />
loro competenze; visto che non c'è un profilo riconosciuto non c'è<br />
neanche la definizione di un curricolo 3) la ricaduta negativa sulle scuole<br />
che chiedono sempre di più un aiuto per inserire i bambini stranieri.<br />
L'assenza di una vera politica nazionale sull'educazione interculturale si<br />
riflette nella vicenda travagliata <strong>del</strong> riconoscimento di un profilo<br />
professionale serio per i mediatori culturali e di una loro formazione<br />
adeguata sul piano pedagogico per poter intervenire nel mondo <strong>del</strong>la<br />
scuola. E’ anche fondamentale pensare ad una preparazione didattica,<br />
pedagogica e psicopedagogia adeguata degli insegnanti che si trovano a<br />
gestire situazioni nuove nelle classi con bambini che arrivano e non<br />
conoscono l’italiano oppure con bambini nati qui da genitori immigrati<br />
provenienti da altri mondi culturali e che devono trovare una loro<br />
collocazione come meticci e che saranno i cittadini italiani di domani.<br />
Per chiarire citiamo un brano di "Verità e Metodo" di H.G.Gadamer che<br />
riteniamo fondamentale per chiunque si occupa di intercultura: "Nel<br />
rapporto con gli altri..., ciò che importa è esperimentare il tu davvero<br />
come tu, cioè saper ascoltare il suo appello e lasciare che ci parli.<br />
Questo esige apertura...non è solo apertura a qualcuno da cui si vuol<br />
farsi dire qualcosa; bisogna dire invece che chi si mette in<br />
atteggiamento di ascolto è aperto in modo più fondamentale. Senza<br />
questa radicale apertura reciproca non sussiste alcun legame umano.<br />
L'essere legati gli uni agli altri significa sempre sapersi ascoltare<br />
reciprocamente".<br />
3
UNA PEDAGOGIA DELL'INCONTRO PER UNA CULTURA<br />
EDUCATIVA DELL'INCLUSIONE (Prof. A. Goussot)<br />
La cultura educativa <strong>del</strong>l'integrazione a scuola è anzitutto una pedagogia<br />
<strong>del</strong>l'incontro; <strong>del</strong>l'incontro tra educatore e educando; ma anche<br />
<strong>del</strong>l'incontro tra alunni diversi. Alla base <strong>del</strong>l'incontro c'è il dialogo e il<br />
riconoscimento <strong>del</strong>le differenze, compito <strong>del</strong>l'azione educativa è di<br />
creare le condizioni relazionali e comunicative che, attraverso<br />
l'istruzione e l'attività didattica, permettono la possibilità <strong>del</strong> dialogo e<br />
<strong>del</strong>lo scambio. <strong>Integrazione</strong> non significa assimilazione; non significa<br />
che accetto l'altro diverso da me perché è come me. <strong>Integrazione</strong> vuol<br />
dire stare insieme agli altri con la propria differenza; ma questo stare<br />
insieme non è un atto formale e meccanico, è un con-dividere; dividere<br />
con l'altro o gli altri <strong>del</strong>le esperienze, dei vissuti e degli sforzi che<br />
producono senso e significato. La scuola deve accogliere le differenze<br />
dando loro la possibilità di esprimersi e di esistere. Non è sufficiente<br />
piazzare il bambino con handicap nella classe con l'insegnante di<br />
sostegno se non c'è una relazione tra quello che fa e quello che fanno gli<br />
altri. L'integrazione esiste nel momento in cui c'è convivialità; possibilità<br />
di una reciprocità effettiva nel processo di apprendimento. L'insegnante<br />
ha il compito di organizzare la regia per favorire la collaborazione degli<br />
alunni, facendo leva sui loro centri d'interesse, e permettere così a<br />
ciascuno di essere se stesso nel rapporto con gli altri di fronte agli<br />
apprendimenti.<br />
V'invito a tornare alla grande lezione pedagogica di Jean-Jacques<br />
Rousseau; so che oggi l'autore <strong>del</strong>l'"Emilio", <strong>del</strong> "Contratto sociale" e<br />
<strong>del</strong> "Discorso sull'origine <strong>del</strong>le ineguaglianze tra gli uomini" non va più<br />
di modo (anzi viene visto con sospetto perché parla di eguaglianza).<br />
Tuttavia l'insegnamento di Jean-Jacques è ancora di una grande attualità<br />
soprattutto di fronte alle ingiustizie e le ineguaglianze crescenti;<br />
ingiustizie e ineguaglianze che si riflettono sempre di più nella scuola e<br />
che colpiscono i soggetti più deboli. Questo grande "amico<br />
<strong>del</strong>l'eguaglianza"- come amava autodefinirsi- comunicava in latino con il<br />
vicino di casa ungherese che non parlava il francese e si vestiva alla<br />
moda armena; per questo veniva deriso dalla gente <strong>del</strong> villaggio ma<br />
anche dai suoi colleghi filosofi. Per questo "diverso" la difesa <strong>del</strong> bene<br />
pubblico rappresentava la virtù essenziale e considerava l'educazione<br />
come fondamentale, come un bene pubblico, per formare i futuri<br />
cittadini e insegnarli "l'arte di vivere". La formazione <strong>del</strong>l'uomo e <strong>del</strong><br />
3
cittadino è al centro <strong>del</strong>l'Emilio; Rousseau mette in discussione ogni<br />
concezione adulto centrica <strong>del</strong>l'educazione- il bambino è un bambino e<br />
non un piccolo adulto, quindi i metodi educativi devono essere adatti alla<br />
sua diversità.<br />
Ma quali sono i grandi principi pedagogici introdotti da Rousseau e utili<br />
oggi per ragionare su una cultura educativa <strong>del</strong>l'integrazione?<br />
1) l'introduzione <strong>del</strong> principio di eguaglianza concepito come rispetto<br />
profondo <strong>del</strong>la natura umana di ogni essere umano e in particolare<br />
<strong>del</strong>l'altro diverso da me<br />
2) il principio di unicità di ogni essere umano, di ogni bambino, il<br />
riconoscimento <strong>del</strong>la sua irriducibile diversità<br />
3) la capacità per il maestro di ascoltare, osservare per favorire lo<br />
sviluppo di tutte le facoltà e potenzialità <strong>del</strong> bambino<br />
4)il rispetto dei tempi e <strong>del</strong>la fisicità <strong>del</strong> processo di sviluppo <strong>del</strong><br />
bambino come base pedagogica <strong>del</strong> rispetto <strong>del</strong>la differenza <strong>del</strong> bambino<br />
5) l'introduzione di una concezione policentrica <strong>del</strong> modo di concepire la<br />
relazione tra popoli e culture messa in discussione <strong>del</strong> concetto di<br />
"popoli selvaggi" con la denuncia degli orrori prodotti dalla<br />
colonizzazione europea ma anche dalla storia europea con le guerre di<br />
religioni. La sua domanda è. chi sono i "selvaggi?"<br />
6) il nesso indissolubile tra similitudine e differenza; il principio che<br />
siamo insieme tutti simili e diversi.<br />
Rousseau introduce l'integrazione tra universalità e particolarità, anche<br />
per questo motivo ritengo che dobbiamo rileggere oggi Rousseau e<br />
riprendere il suo grande contributo alla cultura pedagogica<br />
<strong>del</strong>l'integrazione (ed è quello che aveva visto molto bene Claude Lévi-<br />
Strauss): quello di avere, appunto unito quello che oggi viene separato in<br />
nome di una concezione univoca, statica, rigida e auto-referenziale<br />
<strong>del</strong>l'identità. Cioè l'eguaglianza e la diversità, la similitudine e la<br />
differenza. Rousseau, nelle sue "Confessioni", scopre che siamo insieme<br />
simili e diversi; e che è partendo dalle similitudini (che ci permettono fra<br />
l'altro di comunicare) che scopriamo di essere irriducibilmente diversi.<br />
Ed è proprio questa diversità che ci rende eguale. La conoscenza di sé<br />
passa attraverso la relazione con l'altro e il riconoscimento <strong>del</strong>l'altro<br />
come un altro io diverso da sé. Insomma la scuola deve formare l'uomo e<br />
il cittadino, l'educazione è anche apprendimento <strong>del</strong>la libertà, <strong>del</strong>la<br />
responsabilità sociale e quindi <strong>del</strong>la democrazia. Per Rousseau ma anche<br />
per noi oggi la scuola deve educare l'uomo e il cittadino a vivere con i<br />
suoi simili sapendo che questi sono diversi. Senza questo riconoscimento<br />
3
<strong>del</strong>le differenze non ci può essere eguaglianza di tutti i bambini di fronte<br />
all'istruzione; la negazione <strong>del</strong>le differenze (in nome <strong>del</strong>la difesa di una<br />
presunta tradizione nazionale, etnica, religiosa o regionale) non può che<br />
produrre discriminazione e disuguaglianze e minare in questo modo i<br />
fondamenti democratici <strong>del</strong>la scuola <strong>del</strong>la Repubblica. Vorrei anche<br />
ricordare qui, visto che parliamo di repubblica, che Giuseppe Mazzini<br />
che sognò una Repubblica unita democratica di uomini liberi e eguali per<br />
l'Italia considerava come un dovere <strong>del</strong>la società fornire l'istruzione<br />
necessaria a tutti i bambini per permetterli di diventare dei cittadini<br />
consapevoli per la gestione futura <strong>del</strong>la cosa pubblica. Solo in uno spazio<br />
scolastico aperto alle differenze sarà possibile creare le condizioni<br />
<strong>del</strong>l'incontro e quindi <strong>del</strong>l'integrazione dando a tutti i bambini le stesse<br />
opportunità.<br />
IL PRINCIPIO PEDAGOGICO DELL'UGUAGLIANZA:<br />
L'EDUCAZIONE COME APPRENDIMENTO DELL'ALTERITÀ<br />
L'educazione è al centro dei processi di costruzione <strong>del</strong> sé individuale e<br />
collettivo; la trasmissione da una generazione all'altra di modi di essere e<br />
di pensare é un processo complesso e accidentato che presuppone la<br />
conoscenza di sé. La conoscenza di sé avviene sempre attraverso la<br />
relazione con l'altro; é nel rapporto con l'altro che mi definisco e che<br />
vengo definito. L’educazione è un momento fondamentale<br />
<strong>del</strong>l’apprendimento <strong>del</strong>la relazione con l’altro.<br />
Già in "Democrazia ed educazione" John Dewey sottolineava come non<br />
si può trasmettere quello che non si sa; questo punto é importante perché<br />
non si può incontrare l'altro diverso da sé se non sappiamo chi siamo e<br />
non conosciamo il percorso storico complesso che ha prodotto quello che<br />
siamo sia come individui che come comunità. L'apprendimento<br />
<strong>del</strong>l'alterità passa attraverso l'apprendimento <strong>del</strong>la conoscenza di sé ma<br />
solo l'altro può aiutarci a scoprirci. Per questa ragione la scuola ha una<br />
funzione centrale, la scuola pubblica e pluralista, quella dove sono<br />
presenti la pluralità <strong>del</strong>le storie e <strong>del</strong>le culture <strong>del</strong>le ragazze e dei ragazzi<br />
che la frequentano. La scuola é la spazio di esperienze sociali e di<br />
apprendimenti, il gruppo- classe ne é il microcosmo, dove si sperimenta<br />
la scoperta di sé nel rapporto con l'altro ed è lì che si scopre l'altro o gli<br />
altri che ci costituiscono. E' lì che l'alunno si mette in gioco nel rapporto<br />
con l'altro; con il suo compagno o la sua compagna di classe diverso da<br />
sé. E’ qui che impara a rischiare l’apertura all’altro nella costruzione di<br />
4
sé. Questo processo riguarda la società nel suo insieme sia da un punto di<br />
vista diacronico che sincronico; tra generazioni diverse e culture diverse.<br />
I processi d'inculturazione s'intrecciano con i processi di acculturazione<br />
cioè la trasmissione <strong>del</strong>le rappresentazioni <strong>del</strong> sé e <strong>del</strong>l'altro nel processo<br />
di insegnamento-apprendimento sono fortemente condizionati dal<br />
rapporto con le culture dominanti; per esempio la globalizzazione<br />
capitalistica (l'americanizzazione dei modi e degli stili di vita) svolge<br />
una funzione pedagogica implicita veicolando e trasmettendo dei mo<strong>del</strong>li<br />
di comportamento che strutturano la rappresentazione <strong>del</strong> sé e<br />
<strong>del</strong>l'altro.La scuola vive tutte le contraddizioni di questi processi in atto<br />
nei provocati dalla globalizzazione; e questi processi non sono affatto<br />
neutrali poiché esiste un mo<strong>del</strong>lo dominante e dei mo<strong>del</strong>li dominati,<br />
esistono dei modi di essere dominanti e dei modi di essere dominati, dei<br />
modi di pensare dominanti e dei modi di pensare dominati, esistono dei<br />
linguaggi dominanti e dei linguaggi dominati, <strong>del</strong>le culture dominanti e<br />
<strong>del</strong>le culture dominate.<br />
Il fatto é che la società esiste nei processi di trasmissione che possono<br />
produrre la presa di coscienza <strong>del</strong>la dialettica io-altro misurandosi<br />
tuttavia con il fatto che i confini sono fondamentalmente flessibili e<br />
aperti; che non si tratta di confini chiusi. Torniamo a "Democrazia e<br />
educazione" di John Dewey, che viveva in una America confrontata con<br />
questi problemi che accompagnava i flussi migratori, che difese Sacco e<br />
Vanzetti, uccisi perché diversi (italiani e anarchici), notava:<br />
"La società continua ad esistere non solo per mezzo <strong>del</strong>la trasmissione,<br />
per mezzo <strong>del</strong>la comunicazione, ma si può dire giustamente che esiste<br />
nella trasmissione, nella comunicazione. Vi è un legame più che verbale<br />
fra le parole comune, comunità e comunicazione. Gli uomini vivono in<br />
comunità in virtù <strong>del</strong>le cose che possiedono in comune. E la<br />
comunicazione é il modo con cui sono giunti a possedere <strong>del</strong>le cose in<br />
comune." (p 5.Democrazia e educazione-Fi-1984).<br />
La comunicazione <strong>del</strong>le cose comuni agli uomini, di quello che li rende<br />
prossimi e non lontani, di quello che permette l'incontro, lo scambio e<br />
anche la possibile mutua fecondazione; il sogno democratico di Dewey<br />
si basava non sul principio <strong>del</strong>la diversità ma su quello <strong>del</strong>l'uguaglianza;<br />
lo considerava come un principio pedagogico fondamentale per<br />
avvicinare gli uomini e fare scoprire ad ognuno di loro attraverso<br />
l'esperienza educativa, l'esperienza <strong>del</strong>la relazione con l'altro diverso da<br />
sé, il carattere fondamentalmente unitario dei processi di conoscenza. In<br />
un altro grande libro "Il mio credo pedagogico" notava che "ogni<br />
4
educazione deriva dalla partecipazione <strong>del</strong>l'individuo alla coscienza<br />
sociale <strong>del</strong>la specie...mediante questa educazione inconsapevole<br />
l'individuo giunge gradualmente a condividere le risorse intellettuali e<br />
morali che l'umanità é riuscita ad accumulare". (Il mio credo<br />
pedagogico. p 4.Fi-1987) L'educazione come scoperta <strong>del</strong>l'uguaglianza<br />
profonda tra gli esseri umani, come scoperta che l'uguaglianza sta anche<br />
nel fatto che siamo tutti contemporaneamente simili e diversi.<br />
L’eguaglianza profonda <strong>del</strong>le differenze e <strong>del</strong>le libertà.<br />
Qui occorre soffermarsi sui concetti di identità, diversità e uguaglianza; i<br />
grandi educatori come Pestalozzi, Dewey, Freinet, ci hanno insegnato<br />
che é proprio il fatto di essere simili che permette agli uomini di<br />
comunicare e di scoprire le loro differenze; anzi di scoprire che ognuno<br />
rappresenta un esemplare unico ed irripetibile. La loro concezione<br />
<strong>del</strong>l'identità era relazionale, aperta, dinamica e situata nel tempo e nello<br />
spazio; la costruzione di sé come un processo relazionale che produce<br />
una auto rappresentazione di sé e <strong>del</strong>l'altro. Contrariamente alla<br />
convinzione di molti ambienti intellettuali ed educativi odierni - cioè<br />
l'idea che bisogna mettere in evidenza la diversità, anzi sottolinearla,<br />
evidenziarla- noi pensiamo che la vera sfida é quella di educare<br />
all'uguaglianza per fare capire l'alterità. Nel principio <strong>del</strong>la diversità<br />
troviamo un’epistemologia individualistica <strong>del</strong>la separazione (cosa<br />
diversa dal rispetto <strong>del</strong>l'individuo come persona nella sua intrinseca<br />
unicità) che fa <strong>del</strong>l'individuo il centro <strong>del</strong>l'universo dimenticando che<br />
ognuno di noi é quello che é perché prodotto dal sistema di relazioni nel<br />
quale é vissuto e cresciuto; la persona é sempre un insieme di rapporti<br />
sociali; anzi quello che fa la persona sono i rapporti sociali attraverso un<br />
processo complesso di proiezione, identificazione ed interiorizzazione.<br />
Siamo tutti quanti insieme degli individui singoli e collettivi. Questo<br />
concetto é stato elaborato per la prima volta da Jean-Jacques Rousseau<br />
nelle “Confessioni” e in un altro saggio meno noto “Saggio sull'origine<br />
<strong>del</strong>le lingue” (non a caso il grande antropologo Claude Lévi-Strauss dirà<br />
che Jean-Jacques Rousseau, con G.B. Vico, é il vero fondatore<br />
<strong>del</strong>l'antropologia moderna); in effetti, il cittadino di Ginevra ci aiuta<br />
ancora oggi a riflettere (anche se oggi non é più di moda, visto che<br />
parlava troppo di uguaglianza); quell'uomo che si autodefiniva “amico<br />
<strong>del</strong>l'uguaglianza”, che parlava in latino con il suo vicino ungherese e che<br />
vestiva all'armena (e per questo veniva deriso dai suoi concittadini).<br />
C'insegna che é attraverso la conoscenza <strong>del</strong>l'altro che é dentro di noi<br />
che riusciamo a sapere chi siamo; per lui l'altro diverso da me é un altro<br />
4
io ma diverso da me; vi é quindi una uguaglianza ontologica, fondata in<br />
natura e una differenza in cultura dovuta all'esperienza storica di ognuno.<br />
E' quindi proprio il fatto di essere diversi nell'esperienza di vita che ci<br />
rende simile. Quello che ci rende simile sono le emozioni, i sentimenti<br />
che ci vengono dalla nostra infanzia; é lì che ognuno impara la<br />
condizione umana, “l'arte di vivere”; "la sorgente <strong>del</strong>le nostre passioni, -<br />
scriveva Rousseau - l'origine e il principio di tutte le altre, la sola che<br />
nasce con l'uomo e non l'abbandona mai finché é in vita, é l'amore di sé:<br />
passione primitiva, innata, anteriore ad ogni altra, e di cui tutte le altre<br />
non sono in un certo senso, che <strong>del</strong>le modificazioni". E' proprio quando<br />
questo sentimento viene meno che l'uomo si sente umiliato; solo il<br />
riconoscimento <strong>del</strong>l'uguaglianza in natura di tutti gli esseri umani, il fatto<br />
che siamo anche insieme simili e diversi, ci permette di riconoscere le<br />
differenze in cultura. Attraverso l'educazione e l'esperienza <strong>del</strong>la<br />
relazione con l'altro l'uomo impara a conoscere se stesso e la molteplicità<br />
che lo costituisce: "studiare se stesso, portare in fondo all'anima la<br />
fiamma <strong>del</strong>la verità, esaminare una volta per tutte ciò che pensiamo, ciò<br />
che crediamo, ciò che sentiamo e ciò che dobbiamo pensare, sentire e<br />
credere per essere felici per quanto lo permetta la condizione<br />
umana";ecco lo scopo <strong>del</strong>l'educazione che é l'apprendimento <strong>del</strong>l'arte di<br />
vivere. (Rousseau. Lettres morales. Paris-1969-vol IV) In questa<br />
concezione c'è quindi l'idea che, non solo la scoperta <strong>del</strong>le differenze<br />
avviene attraverso il riconoscimento <strong>del</strong>le similitudini, la costruzione <strong>del</strong><br />
sé passa attraverso l'identificazione e la differenziazione con l'altro ma<br />
anche attraverso il riconoscimento <strong>del</strong>l'altro o degli altri che abbiamo<br />
dentro;punto fondamentale che passa attraverso l'apprendimento <strong>del</strong><br />
rapporto con l'altro diverso da noi. Insomma siamo formati come un<br />
mosaico fatto di una molteplicità di pezzi e non possiamo essere<br />
identificati con un aspetto solo <strong>del</strong>la nostra personalità. L’apprendimento<br />
nella scoperta <strong>del</strong>l’universo io-altro avviene attraverso l’esperienza <strong>del</strong><br />
dialogo e la sfida <strong>del</strong>l’incontro.<br />
L'essere musulmano, buddista, Down, paraplegico o nero è un tratto<br />
particolare che non riassume la complessità <strong>del</strong>la persona come<br />
globalità. L'identità, e usiamo questo concetto con prudenza, é<br />
molteplice ed é composta insieme da elementi di continuità e di<br />
discontinuità. Ci sono le radici, il senso <strong>del</strong>l'appartenenza, o meglio il<br />
senso <strong>del</strong>le appartenenze, poi c'è l'insieme <strong>del</strong>le esperienze vissute che<br />
strutturano le varie stratificazioni <strong>del</strong>la nostra personalità e che struttura<br />
il substrato di quello che siamo. Imparare a conoscerci significa<br />
4
sperimentare la relazione con l'altro per scoprire questa molteplicità di<br />
elementi che ci costituisce e che fa di noi degli agenti aperti all'altro ma<br />
“connessi a se stesso”. Il fondatore <strong>del</strong>la psichiatria transculturale<br />
Georges Devereux parlava <strong>del</strong> “repertorio potenziale totale e<br />
multifunzionale” <strong>del</strong>la personalità nel processo di apprendimento<br />
permanente nell’arco di tutta la vita. Il dramma nasce quando vengono<br />
scisse le due dimensioni <strong>del</strong>l'essere persona in relazione: similitudine e<br />
differenza e quando veniamo identificati o ci identifichiamo con una<br />
dimensione sola <strong>del</strong> nostro essere nel mondo e col mondo. E’ che<br />
Georges Devereux chiamava i “rischi <strong>del</strong>l'identità”; questa “camicia di<br />
forza” che c'impedisce di vederci come siamo, di riconoscerci e di<br />
accettarsi nel rifiuto <strong>del</strong>l'altro. Qui la scuola ha una gran responsabilità<br />
pedagogica nel creare le condizioni che possono favorire lo sviluppo <strong>del</strong><br />
senso <strong>del</strong>l'uguaglianza come premessa <strong>del</strong> riconoscimento fondamentale<br />
<strong>del</strong>le differenze.<br />
A più riprese Devereux sottolinea il rischio di una concezione<br />
unidimensionale <strong>del</strong>l'identità o di quello che chiama una “identità<br />
iperinvestita”; secondo lui:<br />
“l'identità é una unicità definita per mezzo di un irriproducibile<br />
accumulo di determinazioni imprecise”; aggiunge “si può concepire<br />
l'Io,..., come qualcosa che costituisce una frontiera (e non é una<br />
frontiera) fra "dentro" o "fuori",una una frontiera sempre mobile e<br />
revocabile in ogni momento". "Una "cosa" che sia "dentro" in un<br />
momento può benissimo essere "fuori" in altro momento. Analogamente<br />
ciò che prima era "fuori", può trovarsi "dentro" più tardi. Lo stesso<br />
fatto, quando è percepito, è "fuori", e dunque "ambiente", ma,<br />
successivamente diventa ricordo, cioè "dentro", e continua ad agire in<br />
seguito come un "dentro".<br />
Devereux afferma che "in ogni istante, ogni persona, é soggetto per se<br />
stessa e costituisce l'ambiente per gli altri: tutto ciò che é dentro per il<br />
soggetto é fuori per l'Altro". Questo é importante perché "per diventare<br />
essere sociale, il soggetto deve imparare ad osservarsi, sotto certi aspetti,<br />
e soprattutto nelle relazioni intersoggettive in quanto , in quanto<br />
ambiente per gli altri".<br />
Il rischio che si corre é quindi di vedere l'identità, quella costruita<br />
mentalmente, diventare "una camicia di forza" che non permette di<br />
comprendere che per l'altro siamo "fuori" ma che lui, esattamente come<br />
noi, é "dentro" cioè che ha lo stesso valore umano fondamentale.<br />
Attraverso il suo lungo lavoro di psichiatra e di antropologo Devereux<br />
4
finirà per affermare, esattamente come Lévi-Strauss che esiste una "unità<br />
psichica <strong>del</strong> genere umano" ed é propria questa unità, nei meccanismi<br />
psichici profondi, che permette a tutti gli esseri umani, al di là <strong>del</strong>le<br />
appartenenze culturali e linguistiche, di comunicare. Ovviamente<br />
Devereux come Lévi-Strauss sapevano benissimo che il contatto tra gli<br />
uomini e tra le culture non é mai neutrali, che avviene in contesti dove<br />
c'è un dominante e un dominato, una maggioranza e <strong>del</strong>le minoranze ma<br />
che questo non impedisce, pure in modo estremamente contraddittorio e<br />
talvolta conflittuale, i processi di "contaminazione" reciproca. Questo é<br />
vero nei processi migratori e per i migranti; la condizione d'inferiorità<br />
sociale e di discriminazione esplicita ed implicita può, per esempio,<br />
produrre <strong>del</strong>le reazioni di chiusura e di identificazione con un aspetto<br />
solo <strong>del</strong>la personalità e <strong>del</strong> sé. E' quindi fondamentale creare le<br />
condizioni sociali e intersoggettive per favorire l'incontro basato sul<br />
riconoscimento <strong>del</strong>l'uguaglianza fondamentale di tutti gli esseri umani;<br />
questo non significa negare le differenze ma semplicemente partire dagli<br />
spazi d'incontro possibile dove può avvenire il contatto e lo scambio:<br />
nella scuola, nella vita sociale, nel mondo <strong>del</strong> lavoro, nel mondo <strong>del</strong><br />
lavoro ecc...Non una democrazia multiculturale che lascia ognuno nella<br />
chiusura <strong>del</strong>la propria comunità di appartenenza ma una democrazia<br />
interculturale che lancia la sfida <strong>del</strong>l'incontro e <strong>del</strong>lo scambio; che crea<br />
le condizioni e le mediazioni (attraverso l’azione educativa) per<br />
sperimentare l'alterità; fare quello che il filosofo Gabriel Marcel<br />
chiamava "l'esperienza <strong>del</strong> tu". E' chiaro che tutto ciò é possibile se<br />
esistono veri spazi di cittadinanza e se i diritti di cittadinanza sono uguali<br />
per tutti a prescindere <strong>del</strong>l'origine culturale, linguistica, geografica o<br />
etnica. Il pericolo é di vedere le differenze trasformarsi in entità chiuse e<br />
artificiali e diventare anche nuove forme di disuguaglianza. La società<br />
deve assumere il punto di vista di una collettività plurale dove soggetti<br />
diversi per storia e provenienza interagiscono e possono "fecondarsi<br />
reciprocamente". Da questo punto di vista la scuola rappresenta uno<br />
spazio di grande importanza dove è possibile sperimentare il dialogo,<br />
l’incontro e lo scambio; dove la cooperazione attraverso le attività<br />
didattiche può favorire “l’esperienza <strong>del</strong> tu” come “esperienza <strong>del</strong>l’io” e<br />
<strong>del</strong> riconoscimento <strong>del</strong>l’altro diverso come un altro io ma diverso. Si<br />
possono ricordare i principi pedagogici <strong>del</strong> dialogo interculturale definiti<br />
dal filosofo arabo-andaluso Ibn Rushd (Averroè) nel 12°secolo nel suo<br />
"Trattato decisivo sulla relazione tra filosofia e religione"; in questo<br />
lavoro Averroé tenta di rispondere a coloro che negano la possibilità di<br />
4
un dialogo tra filosofia e religione, tra ragione e fede. Fissa alcuni<br />
principi fondamentali di una filosofia <strong>del</strong>l'intercultura che rappresenta il<br />
primo passo verso il métissage. 1) comprendere l'altro nel suo sistema di<br />
riferimento 2) il diritto alla differenza 3) la comprensione e<br />
l'implicazione reciproca 4) cercare gli argomenti a favore di chi la pensa<br />
diversamente da noi. Quest'approccio può creare le condizioni per<br />
l'apertura all'altro riconoscendo in se stesso l'altro come parte costitutiva<br />
<strong>del</strong> proprio sé.<br />
Non dimentichiamo che il processo comunicativo é un processo<br />
simbolico in cui le relazioni sono mediate da segni e simboli, da<br />
rappresentazioni; dal linguaggio come sistema simbolico per eccellenza.<br />
Si possono sostenere due punti di vista che ricoprono le categorie di<br />
similitudine e di differenza: da una parte esiste una traducibilità dei<br />
linguaggi (pure nella consapevolezza che ogni traduzione é<br />
interpretazione sempre una interpretazione mediata da codici diversi) ma<br />
esiste anche un'area di non traducibilità che appartiene solo a quel<br />
sistema simbolico. Il primo concetto é espresso da Edouard Glissant con<br />
l'espressione di "poetica <strong>del</strong>la relazione"; lo scrittore creolo parte proprio<br />
<strong>del</strong>l'esperienza dei Caraibi e <strong>del</strong>la Martinica per spiegare la ricchezza dei<br />
processi di fusione culturale avvenuti in quelle zone. Il secondo trova<br />
una elaborazione interessante in un pensatore come Jacques Derida<br />
(ebreo francese nato in Algeria) che parla <strong>del</strong> "monolinguismo <strong>del</strong>l'altro"<br />
sottolineando così l'irriducibile identità <strong>del</strong>l'altro e quindi la impossibile<br />
traducibilità o meglio "la possibile intraducibilità". Scrive a questo<br />
proposito: "Niente é intraducibile in un certo senso, ma in un altro senso<br />
tutto é intraducibile, la traduzione é un altro nome <strong>del</strong>l'impossibile". Può<br />
sembrare un paradosso ma esprime bene la realtà composita <strong>del</strong>le<br />
culture; il loro carattere stratificato e le zone di fusione possibili come le<br />
zone non fissionabili e traducibili.<br />
Eppure il métissage é una realtà che attraversa non solo la storia di tutti i<br />
popoli e di tutte le culture ma anche, in modo più radicale, di tutti gli<br />
esseri umani; anzi si può affermare che il métissage é parte integrante <strong>del</strong><br />
nostro DNA perché tutti noi; uomini e donne, in tutti i tempi e in tutte le<br />
culture, siamo nati <strong>del</strong>l'incontro tra un uomo e una donna; due esseri<br />
sessualmente diversi. Questo vuol dire che tutti noi siamo portatori <strong>del</strong>le<br />
due componenti maschile e femminile; che se una é dominante sul piano<br />
biologico l'altra non è per questo meno presente. Siamo dei meticci<br />
sessuati eppure non c'è niente di più difficile, travagliato e faticoso dei<br />
rapporti tra i due sessi; e questo in tutte le società e in tutti tempi. Questo<br />
4
avviene perché i due sessi non riconoscono nell'altro una parte di sé e<br />
perché la differenza sessuata é spesso diventata una gerarchia (é quello<br />
che ha spiegato molto bene l'antropologa francese Françoise Héritier<br />
nella "Dissoluzione <strong>del</strong>la gerarchia. Maschile e femminile"); una<br />
disuguaglianza dove un sesso finisce per dominare l'altro. La difficoltà di<br />
non riconoscere in sé la propria natura meticcia sul piano sessuato ha<br />
finito per creare incomprensioni, rappresentazioni deformate <strong>del</strong>le<br />
relazioni tra i sessi e una visione distorta <strong>del</strong>la stessa diversità tra i sessi.<br />
Anche qui il differenzialismo sessuato finisce per dimenticare che sia il<br />
maschilismo che un certo femminismo finiscono per concepire l'identità<br />
di sesso come una categoria chiusa, non relazionale e non storica.<br />
Eppure la storia <strong>del</strong>la vita é storia di meticciamento e di ibridazione<br />
continua; é storia di creolizzazione. E' anche storia di calore umano e di<br />
comunicazione, di fusione e non fusione oppure di unione <strong>del</strong>le<br />
differenze attraverso quello che chiamiamo amore che coincide con il<br />
riconoscimento <strong>del</strong>l'altro come un altro io, quindi degno <strong>del</strong>lo stesso<br />
rispetto (per l'uguaglianza ontologica che ci unisce), diverso da noi. E'<br />
quello che Raimon Panikkar esprime con il concetto di "fecondazione<br />
reciproca"; siamo tutti degli esseri fecondati da due esseri diversi.<br />
Quest’aspetto <strong>del</strong>la nostra struttura umana è così difficilmente accettato<br />
che ci scagliamo contro l’altro perché diverso da noi; in realtà come ha<br />
scritto René Girard lo facciamo attraverso un meccanismo di vendetta<br />
mimetica proprio perché l’altro è simile a noi; è la logica <strong>del</strong> capro<br />
espiatorio.<br />
Nel suo "Saggio sull'origine <strong>del</strong>le lingue" Rousseau dedica il capitolo XI<br />
ad una "riflessione sulle differenze" e nota:"per apprezzare bene le azioni<br />
degli uomini occorre considerarli in tutti i loro rapporti ed é quello che<br />
non c'insegnano a fare: quando ci mettiamo al posto degli altri, vi ci<br />
mettiamo in modo tale che siamo anche noi modificati, non come<br />
devono essere, e quando pensiamo giudicarli con la ragione, finiamo per<br />
paragonare e misurare i loro pregiudizi ai nostri".(p72. Essai sur l'origine<br />
des langues) Nel momento in cui entro in relazione con l'altro vengo<br />
modificato ,anzi veniamo modificati ma questo processo é laborioso e si<br />
svolge attraverso mille conflitti e contraddizioni.<br />
Sempre nel suo Saggio sull'origine <strong>del</strong>le lingue J.J.Rousseau scrive:<br />
"Il grande difetto degli Europei é di filosofare sempre sull'origine <strong>del</strong>le<br />
cose secondo quello che succede da loro. Non mancano di farci vedere i<br />
primi uomini, abitanti una terra ingrata e rude, morendo di freddo e di<br />
fame, spinti a farsi da mangiare e degli abiti; vedono ovunque la neve e<br />
4
i ghiacci <strong>del</strong>l'Europa, senza pensare che la specie umana, così come<br />
tutte le altre, é nata nei paesi caldi, e che sui due terzi <strong>del</strong> globo<br />
l'inverno é appena conosciuto. Quando si vuole studiare gli uomini;<br />
occorre guardare vicino a sé; ma per studiare l'Uomo, occorre<br />
imparare a portare lo sguardo lontano; occorre prima di tutto osservare<br />
le differenze per scoprire le proprietà". (p53)<br />
Qui il nostro Rousseau anticipa quello che dirà molto tempo dopo il<br />
grande antropologo senegalese Cheikh Anta Diop; il primo uomo nasce<br />
in Africa nera; anzi i primi uomini sono neri e tutti quanti noi bianchi<br />
siamo discendenti di gruppi negroidi; in "Nations nègres et culture"<br />
espone l'ipotesi di una Civiltà Egizia nera (eppure in tutti nostri libri di<br />
testo c'è la convinzione che l'Egitto faraonica é bianca!).Ci spiega che<br />
l'umanità nacque in Africa (l'Homo sapiens é nato sotto l'Equatore<br />
120.000 anni fa) e che attraverso una migrazione verso l'istmo di Suez e<br />
il distretto di Gibilterra si espande verso il continente Euro-Asiatico.<br />
Analizzando la pigmentazione Cheikh Anta Diop scopre che si<br />
schiarisce nel passaggio dall'Africa all'Europa per la minore esposizione<br />
ai raggi solari. Afferma "Il bianco proviene dal nero, é nato dal nero" e<br />
per spiegare l'origine nera <strong>del</strong>la civiltà Egizia si basa su diverse fonti: 1)<br />
le testimonianze degli autori <strong>del</strong>l'antichità greco-romana:uomini come<br />
Erodoto, Aristotele e Strabone descrivono gli egizi come neri 2) lo studio<br />
scientifico <strong>del</strong>la pelle <strong>del</strong>le mummie e la scoperta di una pigmentazione<br />
di color nero 3) gli studi comparati <strong>del</strong>le lingue :per esempio tra<br />
l'egiziano antico e le lingue africane nere(in particolare ci fa scoprire le<br />
similitudini con il wolof) 3) gli affreschi e i monumenti. Contro tutte le<br />
tesi di tipo razziste Cheikh Anta Diop mette in evidenza "l'unità<br />
<strong>del</strong>l'origine <strong>del</strong>la specie umana". Già il grande Gianbattista Vico nella<br />
"Scienza Nuova" paragonando i miti dei diversi popoli antichi e<br />
raccogliendo i proverbi in diverse lingue parlava di una "vocabolario<br />
mentale unico <strong>del</strong> genere umano". Certo questo non significa che non<br />
esistono le differenze anzi, ma che partendo dai punti di contatto si<br />
riesce a comprendere meglio gli elementi di differenziazione. E anche<br />
qui si può dire che il lavoro di Ch. Anta Diop tendeva a mettere in<br />
evidenza il legame tra similitudine e differenza; tutto il suo lavoro sulle<br />
origini <strong>del</strong>l'umanità e la matrice nera <strong>del</strong>la Civiltà Egizia costituisce<br />
anche una affermazione forte di identità; l'orgoglio di una storia ricca di<br />
cultura. In questo modo criticava chi identificava la cultura nera africana<br />
con le emozioni e non con la Ragione; il suo approccio é da questo punto<br />
di vista una critica radicale <strong>del</strong>la concezione di Hegel sui "popoli senza<br />
4
storia" e sull'assenza <strong>del</strong>la ragione tra i neri africani. Affermerà che "la<br />
conoscenza di sé, possedere il suo vero patrimonio culturale é<br />
fondamentale per andare verso gli altri". Quello che tentò di fare Ch.<br />
Anta Diop é di scoprire "l'uomo sbarazzato di ogni coordinata etnica<br />
per capire come é avvenuto il processo di costruzione <strong>del</strong>la civiltà<br />
umana". E' interessante notare che troviamo concetti simili in pensatori<br />
europei <strong>del</strong> passato come Lessino (L'Educazione <strong>del</strong> genere umano") e<br />
Condorcet (“Schizzo di un quadro storico dei progressi <strong>del</strong>lo spirito<br />
umano”), cioè l'idea che ogni popolo, ogni cultura ha contribuito ai<br />
progressi <strong>del</strong>la Civiltà umana e che questi progressi sono avvenuti<br />
attraverso lo scambio e il confronto costante. Ritroviamo queste idee in<br />
due pensatori italiani come Mazzini e Cattaneo.<br />
“l'umana razza ha subito da secoli infinite trasformazioni :l'uomo, in<br />
certo modo, sparisce sotto il manto bizzarro, che le circostanze, i<br />
pregiudizi e le istituzioni gli hanno ravvolto d'intorno...Aprite le storie:<br />
eccovi l'uomo <strong>del</strong> paganesimo, l'uomo <strong>del</strong> feudalesimo, l'uomo <strong>del</strong><br />
secolo XVII, eccovi l'uomo <strong>del</strong> nord, l'uomo <strong>del</strong> mezzogiorno: ma<br />
superiore a tutti questi uomini, che sono la rappresentazione di un<br />
grado di sviluppo intellettuale, il prodotto di tutte le cause fisiche e<br />
morali particolari a una nazione o ad un tempo, sta l'uomo di tutti i<br />
tempi e di tutti luoghi...: l'uomo insomma, non inglese, non francese, non<br />
italiano, ma cittadino <strong>del</strong>la vasta terra, miniatura di tutte le leggi eterne,<br />
invariabili: l'Uomo" .<br />
Quindi la lettura <strong>del</strong>le storie di tutti popoli in tutti tempi ci permette di<br />
comprendere quello che é comune a tutti; quello che li rende insieme<br />
simili e diversi. Questo tipo di riflessione spinse a Mazzini ad affermare<br />
che bisogna "abolire la parola straniero dalla favela <strong>del</strong>l'umanità". Ma<br />
troviamo un ragionamento simile nell'altro grande pensatore democratico<br />
<strong>del</strong> Risorgimento Carlo Cattaneo che in un testo intitolato "psicologia<br />
<strong>del</strong>le menti associate" dichiara:<br />
“più accetta, ancora ai nostri giorni, é la dottrina che reputa il genio<br />
scientifico un distintivo di certe stirpi. E' chiaro che, ciò pensando, ogni<br />
popolo tende a adulare se stesso. E' una forma <strong>del</strong>la boria <strong>del</strong>le<br />
nazioni”.<br />
La "boria <strong>del</strong>le nazioni" che Vico individuava come fonte di tutti guai<br />
<strong>del</strong>l'umanità.<br />
L'idea di un’origine comune, quindi di tratti fondamentali comuni a tutti<br />
gli esseri umani, a prescindere <strong>del</strong>la loro appartenenza linguistica,<br />
culturale ed etnica, non cancella le differenze ma permette<br />
4
semplicemente di partire dal presupposto che l'altro diverso da me mi<br />
assomiglia e che per questo posso comunicare con lui e scoprire in quel<br />
modo la sua specificità, ciò che lo rende poi radicalmente diverso da me.<br />
L'uguaglianza sta proprio nel fatto che siamo radicalmente diversi gli uni<br />
dagli altri ma che siamo anche contemporaneamente radicalmente simili<br />
e questo ci permette di convivere, di comunicare, d'incontrarci e di<br />
lasciarsi investire e fecondare dall'altro facendo lo stesso con lui. A<br />
questo proposito Léopold Sédar Senghor scrisse "Noi costruiremo la<br />
civiltà <strong>del</strong>l'universale, dove sarà bello essere diversi e insieme";<br />
aggiungeva:<br />
"Noi siamo, ne sono convinto, all'ultima soglia critica<br />
<strong>del</strong>l'umanità...Basta guardarsi attorno: ogni nazione é parte integrante e<br />
solidale <strong>del</strong>la comunità internazionale; ognuna <strong>del</strong>le nostre persone é<br />
coestensiva al mondo. Opera degli aerei, <strong>del</strong>le navi, <strong>del</strong>le ferrovie,<br />
domani dei missili, che mescolano i corpi <strong>del</strong>le razze e <strong>del</strong>le nazioni.<br />
Opera dei libri e dei giornali, <strong>del</strong>la radio e <strong>del</strong>la televisione, che<br />
mescolano i pensieri e i cuori. Le tensioni e i conflitti <strong>del</strong> nostro tempo<br />
esprimono semplicemente i confronti drammatici per i quali deve<br />
passare l'umanità alla ricerca <strong>del</strong> proprio equilibrio: esso non si potrà<br />
trovare che nella sintesi". (La civiltà <strong>del</strong>l'universale p8)<br />
Questa visione ottimistica di Senghor deve tuttavia essere acquisita come<br />
patrimonio consapevole <strong>del</strong>l’umanità, dei popoli, dei gruppi e degli<br />
individui che la compongono. L’educazione ha qui un ruolo<br />
fondamentale nel costruire le condizioni <strong>del</strong>l’acquisizione <strong>del</strong> senso<br />
<strong>del</strong>l’eguaglianza che ci rende capace di comunicare e di sperimentare<br />
l’alterità <strong>del</strong>l’altro ma anche la propria diversità rispetto all’altro. Una<br />
pedagogia <strong>del</strong>l’eguaglianza basata su un’etica <strong>del</strong>l’accoglienza <strong>del</strong>le<br />
differenze permette d’imparare a rispettare e riconoscere le differenze.<br />
Le mediazioni create dalla scuola, attività didattiche, lavori di gruppo,<br />
laboratori, giochi educativi ecc…possono costruire gli spazi per<br />
l’esperienza <strong>del</strong>l’incontro con l’altro come te. La presenza di bambini<br />
disabili o di bambini immigrati o figli d’immigrati rappresenta da questo<br />
punto di vista una grande opportunità per imparare una cultura<br />
<strong>del</strong>l’eguaglianza che rispetta le differenze e non le trasforma in<br />
disuguaglianza nell’accesso ai diritti fondamentali <strong>del</strong>la persona umana<br />
<strong>del</strong>l’alunno.<br />
Verso l’incontro e la mescolanza, abbiamo anche detto sopra che il<br />
métissage é già una realtà; ma per riconoscersi nell'altro occorre<br />
conoscersi e per questo occorre conoscere la complessità, le<br />
5
stratificazioni, le continuità e le discontinuità <strong>del</strong>la nostra storia sia<br />
personale sia collettiva. Partiamo dall'Italia; come si studia e si conosce<br />
la storia di questi luoghi? Chi legge Mazzini oppure Benedetto Croce,<br />
fine studioso di tutti gli aspetti <strong>del</strong>la storia culturale italiana? Chi<br />
conosce Ernesto De Martino fondatore di una grande scuola di<br />
antropologia italiana? Chi ha sentito parlare di Raffaele Pettazzoni<br />
inventore <strong>del</strong>l'antropologia religiosa in Italia e studioso dei miti e <strong>del</strong>le<br />
leggende dei popoli dei diversi continenti? Chi si occupa veramente <strong>del</strong>la<br />
cultura popolare dei nostri territori che assomigliano sempre di più a dei<br />
"non luoghi" o a degli aggregati casuali cementificati? Sono solo alcuni<br />
interrogativi ma pensiamo che la fecondazione é possibile se esistono<br />
<strong>del</strong>le entità consapevoli di volersi fecondare, se c'è una consapevolezza<br />
<strong>del</strong>la propria storia, <strong>del</strong>la sua ricchezza, <strong>del</strong>la sua complessità e<br />
molteplicità. Non esiste un’entità astratta senza radici e senza un senso di<br />
appartenenza, che vuol dire anche un “consenso di tutti giorni” (per<br />
riprendere l’espressione di Renan rispetto all’identità nazionale) nel<br />
riconoscersi in alcune cose (valori, idee, costumi, lingua, tradizioni).<br />
Il pedagogista pescarese Raffaele Laporta diceva che un territorio é vivo<br />
se ha memoria storica, se sa rielaborare i processi di acculturazione (si<br />
riferiva in particolare ai rapporti tra Nord e Sud) e se sa dare un senso<br />
all'incontro con l'altro nella prospettiva <strong>del</strong>la ridefinizione di valori<br />
condivisi. Scrive Laporta:<br />
"C'è voluto un lungo travaglio, politico e sociale, mediato dal pensiero<br />
d’intellettuali come Antonio Gramsci, per giungere a comprendere come<br />
una nuova classe dirigente non possa costituirsi senza costruire, sulle<br />
tracce, sui risultati e anche con gli strumenti tecnico-intellettuali di<br />
quelle precedenti, una propria cultura che n’esprima i valori, le<br />
aspirazioni, la concezione <strong>del</strong>la realtà. L'educazione permanente<br />
autonoma di sviluppo <strong>del</strong>le classi che Gramsci chiamava "subalterne",<br />
inteso a costruire con una nuova cultura, una nuova società".<br />
(L'autoeducazione <strong>del</strong>le comunità p24)<br />
Sentirsi parte integrante di una comunità di storia e di esperienze (una<br />
comunità aperta e dialogante) in grado di accogliere l’altro diverso non<br />
come qualcosa di estraneo ma semplicemente nuovo; come potenziale<br />
dono di un nuovo futuro fatto di mescolanze e realtà inedite.<br />
Mi viene in mente quello che scriveva il grande filosofo, scrittore e<br />
antropologo, Amadou Hampaté Ba, nato in Mali, ma un misto tra Peul e<br />
Bambara, presenti tra il Senegal, il Mali, il Burkina-Faso, la Costa<br />
d'Avorio; uomo nato e cresciuto durante il colonialismo francese,<br />
5
scolarizzato nella lingua <strong>del</strong> colonizzatore e grande esperte <strong>del</strong>le<br />
tradizioni orali dei popoli <strong>del</strong>l'Africa occidentale. In una lettera <strong>del</strong> 1985<br />
indirizzata alla gioventù africana dichiarava: "Colui che vi parla é uno<br />
dei primi nati <strong>del</strong> ventesimo secolo. Ha quindi vissuto per molto tempo,<br />
potete immaginare, visto e sentito molte cose attraverso il vasto mondo.<br />
Tuttavia non pretende essere un maestro in qualsiasi cosa. Anzitutto, si é<br />
voluto eterno ricercatore, un eterno alunno, ancora oggi la sua sete di<br />
imparare é viva come nei primi giorni". "Ha cominciato per cercare in se<br />
stesso, dandosi molta fatica per scoprirsi e riconoscersi nel suo prossimo<br />
e amarlo di conseguenza. Aggiungeva: "Dopo questa ricerca difficile, ha<br />
intrapreso numerosi viaggi attraverso il mondo:Africa, Medio-Oriente,<br />
Europa, America. In quanto alunno senza complesso né pregiudizi,<br />
sollecitò l'insegnamento di tutti i maestri e di tutti i saggi che poteva<br />
incontrare. Si mise docilmente a loro ascolto...In breve si sforzò sempre<br />
di comprendere gli uomini, poiché il grande problema <strong>del</strong>la vita é la<br />
mutua comprensione". “Certo che si tratta d'individui, di nazioni, di<br />
razze o di culture diversi, siamo tutti diversi gli uni dagli altri. Ma<br />
abbiamo anche tutti qualcosa di simile; ed é quello che bisogna cercare<br />
per potere riconoscersi nell'altro e dialogare con lui. Allora le nostre<br />
differenze, invece di separarci, diventeranno complementari e fonti di<br />
mutuo arricchimento”. La conoscenza <strong>del</strong>la complessità <strong>del</strong>la propria<br />
storia é la condizione per non semplificare quella <strong>del</strong>l'altro; il conoscere<br />
la ricchezza, le contraddizioni e le stratificazioni <strong>del</strong>la propria storia é la<br />
condizione per non ridurre quella degli altri a degli schemi stereotipati;<br />
la conoscenza <strong>del</strong>la propria storia é anche un conoscere le proprie radici<br />
e sapere ce ci sono, Ampaté Ba usa la metafora <strong>del</strong> Baobab dicendo che<br />
all'inizio questo albero é come un grano di caffè poi crescendo diventa<br />
immensa e con una gigantesca ramificazione che va in tutte le direzioni.<br />
Ecco noi possiamo aprirci agli altri ed innestare altri rami se abbiamo la<br />
consapevolezza <strong>del</strong>la profondità e <strong>del</strong>la ricchezza <strong>del</strong>le nostre radici;<br />
quelle vere, quelle che fanno la continuità <strong>del</strong> nostro essere al mondo ma<br />
che ci permettono anche di dialogare con l'altro e anche innestarlo in un<br />
dialogo che feconda la nostra crescita. Il métissage non ha nulla a che<br />
fare con l'assimilazionismo; é un processo di comunione che s'innesta su<br />
un tronco e per questo parlare dei métissages che si connettono tra loro<br />
perché partono da diversi tronchi. L'immagine che si può avere di questo<br />
processo culturale é quella data da Gilles Deleuze e Félix Guattari nei<br />
"Mille plateaux" in cui vedono nella molteplicità dei piani che<br />
s'incrociano la ricchezza <strong>del</strong>l'umanità come sistema aperto. Concludiamo<br />
5
con Ampaté Ba e Patrice Lumumba; il leader congolese assassinato dai<br />
servizi belgi nel 1961: "Alla nostra epoca-scrive Hampaté Ba- così<br />
grossa di minacce di ogni genere, gli uomini devono mettere l'accento<br />
non più su ciò che li separa, ma su ciò che hanno in comune, nel rispetto<br />
<strong>del</strong>l'identità di ciascuno. L'incontro e l'ascolto <strong>del</strong>l'altro sono sempre più<br />
ricchi, anche per la maturazione <strong>del</strong>la nostra identità, dei conflitti o <strong>del</strong>le<br />
discussioni sterili per imporre il proprio punto di vista. Un vecchio<br />
maestro d'Africa diceva: c'è la "mia" verità e la "tua" verità, che non<br />
s'incontreranno mai. "la" verità si trova in mezzo. per avvicinarsene,<br />
ognuno deve disimpegnarsi un po' dalla "sua" verità per fare un passo<br />
verso l'altro". Prima di morire Lumumba esprimeva un sogno:<br />
"Bisognerebbe integrare ciò che vi é di bello e di buono nei popoli<br />
<strong>del</strong>l'Europa e <strong>del</strong>l'Africa per creare una nuova civiltà euro africana nel<br />
Mediterraneo". E' anche il mio sogno.<br />
Note bibliografiche<br />
Rita El Khayat-Alain Goussot: Métissages culturels(Anai Benai-Casablanca-2004)<br />
J.J.Rousseau: L'Emile ou de l'éducation(paris-1969)<br />
Jacques Derida: Il monolinguismo <strong>del</strong>l'altro (R. Cortina-Milano-2004)<br />
John Dewey: Democrazia e educazione (Fi-1969)<br />
Il mio credo pedagogico (Fi-1970)<br />
Cheikh Anta Diop: Nations nègres et culture(Présence africaine-Paris-1985)<br />
Amadou Hampaté Ba: Lettre à la Jeunesse(Bamako-1985)<br />
G. Mazzini: I doveri <strong>del</strong>l'uomo (Fi-2005)<br />
Alina Gussola: Giuseppe Mazzini (Pisa-Modus-2000)<br />
Georges Devereux: Saggi di psicoanalisi complementarietà (Mi-Compianti-1075)<br />
Adolphe Ferrière: La scuola attiva (introduzione di G. Lombardo-Radice) (Firenze-1930)<br />
Don Milani: Lettera ad una professoressa<br />
Lea Vygotsky: Fondamenti di difettologia (Roma-1986)<br />
Lev Vygotsky: Il processo cognitivo (Torino-1987)<br />
Jerome Bruner: La ricerca <strong>del</strong> significato (per una psicologia culturale) (Torino-1992)<br />
5
A cura di Olga Liverta Sempio: Vygotsky, Piaget, Bruner (concezioni <strong>del</strong>lo sviluppo)<br />
(Milano-1998)<br />
Jean-Jacques Rousseau: Emile ou de l'éducation(Paris-1966)<br />
Tzvetan Todorov: Una fragile felicità: saggio su Rousseau (Bologna-1980)<br />
G.A.Roggerone: le idee di Rousseau (Mi-1961)<br />
Giuseppe Flores D'Arcais: Il problema pedagogico nell'Emilio di Rousseau (Brescia-1969)<br />
Ovide Decroly: Le traitement et l'éducation des enfants irréguliers (Bruxelles-1925)<br />
a cura di Andrea Canevaro e Alain Goussot: La difficile storia degli handicappati<br />
(Roma-2002)<br />
Alain Goussot et Rita El Khayat: Métissages culturels (Casablanca-2003)<br />
Alain Goussot: Giuseppe Mazzini (formazione intellettuale e rapporti con la cultura europea)<br />
(Pisa-2000)<br />
Alain Goussot: La scuola <strong>del</strong>le vita (il pensiero pedagogico di O.Decroly) (Trento-2005)<br />
Aain Goussot: Costruttori di sfondi: diversi approcci per mettere a fuoco l'integrazione (in<br />
Cooperazione educativa-handicap e scuola-n4-sett-ott2004)<br />
H.G.Gadamer: Verità e Metodo (Milano-2000)<br />
Raffaele Laporta: L'autoeducazione <strong>del</strong>le comunità (Firenze-1974)<br />
Antonio Gramsci: La formazione <strong>del</strong>l'uomo (Roma-1975)<br />
5<br />
Prof. Alain Goussot<br />
Università degli studi di Bologna
LA LINGUA ITALIANA COME LINGUA 2 (Prof.ssa C. Carunchio)<br />
La presenza di alunni stranieri nel nostro sistema scolastico pone<br />
una nuova sfida alla scuola italiana; un impegno non solo a mettere in<br />
atto progetti di integrazione, ma anche a cogliere l’occasione per<br />
approfondire i contenuti <strong>del</strong> sapere.<br />
L’intreccio fra culture e condizioni socio-economiche, sollecita a<br />
ricercare e sviluppare contenuti d’insegnamento, di programmi, di<br />
metodologie didattiche nuove. La Scuola deve assumere la<br />
consapevolezza che il suo compito non è solo quello di far conoscere e<br />
comprendere le culture, ma di ricercare valori da condividere superando<br />
l’atteggiamento didattico-educativo tradizionale, dando una valida<br />
risposta pedagogica alla pluralità linguistica, culturale ed etnica<br />
determinata dai continui flussi migratori.<br />
Tutti i nostri alunni dovranno esser orientati a comprendere le<br />
dimensioni planetarie ed irreversibili dei flussi migratori e le difficoltà,<br />
le contraddizioni, i nuovi equilibri che regolano i rapporti di convivenza<br />
fra le diverse nazionalità ed etnie.<br />
L’acquisizione e l’apprendimento <strong>del</strong>l’italiano rappresenta una<br />
componente essenziale <strong>del</strong> processo di integrazione; costituiscono la<br />
condizione di base per capire ed essere capiti, per partecipare e sentirsi<br />
parte <strong>del</strong>la comunità, scolastica e non.<br />
La situazione di plurilinguismo che si sta sempre più diffondendo nelle<br />
scuole rappresenta un’opportunità per tutti gli alunni oltre che per gli<br />
alunni stranieri.<br />
Apprendere una lingua significa poter disporre di fonti educative<br />
formali o informali e di mezzi per ricercare e accedere alle fonti stesse.<br />
In questo contesto, la priorità <strong>del</strong>la scuola diventa quella di saper gestire<br />
l’integrazione di questi allievi, tenendo presente il fatto che uno dei<br />
primi fattori di integrazione è la lingua. A questo riguardo la didattica<br />
<strong>del</strong>l’italiano come L2 è un aspetto determinante sul quale occorre<br />
lavorare parecchio ed elaborare dei mo<strong>del</strong>li che tengano presenti i<br />
risultati <strong>del</strong>le ricerche sull’apprendimento. Responsabilità, <strong>del</strong>ega,<br />
negazione o, viceversa, drammatizzazione <strong>del</strong> problema, sono alcuni<br />
degli atteggiamenti diffusi nei confronti di un evento che richiede<br />
competenze professionali nuove e attenzioni pedagogiche e relazionali<br />
da affinare. Sempre di più gli insegnanti chiedono che su questo tema ci<br />
siano alcune indicazioni comuni, un “mo<strong>del</strong>lo” al quale riferirsi per<br />
5
definire i modi <strong>del</strong>l’inserimento, gli aspetti organizzativi, i tempi e i<br />
bisogni linguistici, i percorsi didattici da seguire ed i criteri per la<br />
valutazione.<br />
I bambini e i ragazzi che apprendono l’italiano come seconda<br />
lingua attraversano tappe e stadi evolutivi che presentano tra loro molte<br />
affinità e alcune differenze. Qualunque sia la lingua d’origine, nel<br />
momento in cui gli apprendenti iniziano a parlare una seconda lingua<br />
compaiono nelle loro produzioni linguistiche elementi simili, forme<br />
ricorrenti, che indicano uno sviluppo <strong>del</strong>la L2 che procede secondo un<br />
ordine più o meno simile in tutti coloro che apprendono. Si possono<br />
rilevare, per esempio, molti elementi relativi ai bisogni comunicativi<br />
iniziali, dato che precocemente troviamo nelle produzioni degli alunni<br />
stranieri parole e formule per entrare in relazione, partecipare alle attività<br />
comuni, diventare parte di un gioco e di un gruppo. Questi aspetti sono<br />
importanti per impostare una programmazione che tenga conto <strong>del</strong>le<br />
strategie di acquisizione, <strong>del</strong>le caratteristiche proprie di ciascuno stadio<br />
di interlingua, per accompagnare e sostenere i percorsi individuali e per<br />
sviluppare la nuova lingua per comunicare e per studiare.<br />
Gli alunni stranieri devono affrontare <strong>del</strong>le sfide quali l’urgenza di<br />
apprendere la nuova lingua, la necessità di ri-orientarsi rispetto allo<br />
spazio, al tempo e alle regole <strong>del</strong> nuovo ambiente, oltre che crescere in<br />
un territorio e in una cultura diversa dalla propria. Tutto ciò fa sì che i<br />
minori immigrati presentino una personalità ben più complessa rispetto<br />
ai loro coetanei italiani, una personalità che si avvicina molto di più alla<br />
rigidità e alle durezze di un’età più adulta. Le difficili condizioni di<br />
esistenza li portano a crescere prima, ad affrontare scelte e situazioni<br />
complesse. Tutte queste caratteristiche non vanno trascurate, poiché<br />
incidono notevolmente nell’esperienza individuale, ed anche nei processi<br />
di apprendimento.<br />
Tuttavia, le difficoltà sono spesso superate grazie al desiderio che<br />
molti studenti immigrati hanno di inserirsi nella nuova scuola e<br />
nell’ambiente di accoglienza, di comunicare ed interagire con i pari e<br />
con gli adulti in situazioni diverse, di studiare e di apprendere i contenuti<br />
<strong>del</strong> curricolo comune per inserirsi positivamente nella classe. Questo,<br />
indubbiamente, favorisce un’accelerazione di qualsiasi processo di<br />
apprendimento, poiché porta l’allievo ad una frequenza assidua e ad un<br />
impegno intenso nello studio.<br />
La scuola, quindi, rappresenta per i bambini e i ragazzi migranti il<br />
luogo privilegiato di confronto con le differenze, di ridefinizione <strong>del</strong>la<br />
5
propria storia e di costruzione di un progetto di vita, che richiede di<br />
passare dal vivere tra due culture, al vivere con due culture.<br />
Naturalmente la scelta <strong>del</strong>la metodologia nell’insegnamento di una<br />
seconda lingua è di tale importanza da determinare il successo o<br />
l’insuccesso <strong>del</strong>l’apprendimento da parte <strong>del</strong>l’allievo. L’approccio<br />
metodologico deve, dunque, rispondere ai bisogni comunicativi degli<br />
allievi riferiti a situazioni reali, partendo da una premessa psicologica<br />
anziché linguistica. La lingua va considerata in termini di funzione, cioè<br />
rispetto al suo uso, al suo effettivo e reale impiego nell’interazione<br />
comunicativa. Possiamo a riguardo evidenziare almeno cinque funzioni<br />
specifiche <strong>del</strong> linguaggio umano:<br />
-Il linguaggio è pensiero: parlare presuppone il pensare, il conoscere, lo<br />
stabilire rapporti intenzionali con la realtà.<br />
-Il linguaggio è rappresentazione: il cuore <strong>del</strong>la parola è il significato che<br />
è, a sua volta, anzitutto una forma rappresentativa (riproduttiva) <strong>del</strong><br />
reale, quindi riconoscimento di relazioni tra concetti e segni.<br />
-Il linguaggio è espressione: qualunque sia il ruolo concreto di un atto di<br />
linguaggio, in tale processo di verbalizzazione si riflette anzitutto, anche<br />
se non sempre esplicitamente, l’Io <strong>del</strong> soggetto parlante (e ascoltante).<br />
Parlare è dire di sé agli altri, con il pretesto di dire altre cose.<br />
-Il linguaggio è comunicazione: nelle interazioni sociali, la<br />
comunicazione riveste una funzione vitale di estrema importanza.<br />
-Il linguaggio è cultura: il linguaggio nel senso concreto di lingua,<br />
storicamente e geograficamente determinata, è un frutto <strong>del</strong>la cultura e<br />
una sorgente di cultura. Dove non c’è lingua, non c’è cultura e viceversa.<br />
Dal punto di vista linguistico, il concetto di polifunzionalità <strong>del</strong><br />
linguaggio è basilare ed ha conseguenze anche sul piano didattico.<br />
Un’analisi <strong>del</strong>la lingua in senso funzionale a cui la linguistica fa ancora<br />
riferimento è quella di Roman Jakobson. Egli fa riferimento al seguente<br />
schema classico <strong>del</strong>la comunicazione:<br />
5
MITTENTE<br />
(LOCUTORE)<br />
In relazione a questo schema, vediamo che la comunicazione<br />
avviene tra un emittente o locutore ed un destinatario. C’è un messaggio<br />
che viene trasmesso attraverso un canale che, quando la comunicazione è<br />
linguistica, è costituito da un codice linguistico. Esiste, poi, un contesto<br />
nel quale la comunicazione si svolge e che può costituire l’argomento<br />
<strong>del</strong>la stessa. Secondo Jakobson, le funzioni linguistiche, in relazione alla<br />
teoria <strong>del</strong>la comunicazione, sono sei:<br />
- EMOTIVA O ESPRESSIVA (centrata sull’emittente). E’ l’espressione<br />
di sé, dei propri bisogni o sentimenti.<br />
- CONATIVA O STRUMENTALE (centrata sul destinatario). Può<br />
essere un invito, un suggerimento, una richiesta che si rivolge al<br />
destinatario.<br />
- REFERENZIALE (centrata sull’argomento). E’ essenzialmente di tipo<br />
descrittivo e si riferisce al contesto.<br />
5<br />
MESSAGGIO<br />
CANALE<br />
CODICE<br />
CONTESTO<br />
(ARGOMENTO)<br />
DESTINATARIO
- FATICA (centrata sul canale). E’ una verifica <strong>del</strong>l’atto di<br />
comunicazione, un accertarsi <strong>del</strong>la presenza <strong>del</strong>l’interlocutore; si pensi<br />
alla comunicazione telefonica: “Pronto? Mi senti?”.<br />
- METALINGUISTICA (centrata sul codice). E’ essenzialmente la<br />
riflessione sulla lingua, la grammatica.<br />
- POETICA (centrata sul messaggio). E’ l’espressione artistica, che non<br />
si rivolge ad un destinatario specifico, ma che trova nell’espressione<br />
stessa il suo fine.<br />
L’analisi linguistica di Jakobson, rappresenta un punto di<br />
riferimento molto chiaro.<br />
Tra le più recenti abbiamo anche la ricerca e l’analisi funzionale<br />
<strong>del</strong>la lingua secondo Halliday. Egli individua alcune macrofunzioni<br />
suddivisibili in microfunzioni più specifiche:<br />
1) FUNZIONE IDEAZIONALE<br />
2) FUNZIONE INTERPERSONALE O SOCIALE<br />
3) FUNZIONE REGOLATIVA<br />
4) FUNZIONE STRUMENTALE<br />
5) FUNZIONE EURISTICA<br />
6) FUNZIONE TESTUALE.<br />
All’interno di queste macrofunzioni l’insegnante troverà le<br />
microfunzioni da presentare, animandole con le strutture ed elementi<br />
linguistici adatti.<br />
5
ESEMPIO:<br />
FUNZIONE IDEAZIONALE MICROFUNZIONI<br />
comprende:<br />
- descrivere - Descrivere un luogo, la scuola<br />
- riferire la casa,....<br />
- narrare - Riferire sul tempo atmosferico,<br />
- inventare sui prezzi,....<br />
- Narrare un avvenimento, parlare<br />
di sport,...<br />
- Inventare poesie, filastrocche,<br />
rime, conte, giochi fonetici,...<br />
FUNZIONE INTERPERSONALE MICROFUNZIONI<br />
O SOCIALE<br />
comprende: - chiedere e dare informazioni<br />
- Informare sulla salute, sull’età,<br />
-esprimere desiderio, meraviglia, sull’ora,...<br />
dispiacere -Esprimere soddisfazione, gusti,<br />
- invitare simpatia, stato d’animo,....<br />
- accettare/rifiutare -Chiedere di fare qualcosa,<br />
- offrire e dare chiedere di avere....<br />
-Invitare a partecipare ad una<br />
festa....<br />
-Accettare un’offerta, un invito,....<br />
-Offrire o dare qualcosa......<br />
FUNZIONE REGOLATIVA MICROFUNZIONI<br />
comprende:<br />
- impartire ordini -Fare silenzio, chiedere di alzarsi,<br />
- impartire istruzioni -Girare a destra, a sinistra, andare avanti,…<br />
FUNZIONE STRUMENTALE MICROFUNZIONI<br />
comprende:<br />
- soddisfare i propri bisogni - Aver fame, sete, sonno,...<br />
6
FUNZIONE EURISTICA MICROFUNZIONI<br />
comprende:<br />
- scoprire, indagare la lingua -Riflessione metalinguistica<br />
FUNZIONE TESTUALE MICROFUNZIONI<br />
comprende:<br />
- individuare -Individuare i personaggi e le<br />
- chiedere situazioni di un racconto, fiaba,<br />
fumetto, ....<br />
-Chiedere il significato di una<br />
parola, ecc.<br />
Da queste brevi riflessioni sulla linguistica si evince che una<br />
programmazione educativa e didattica per la lingua non può non tenere<br />
presente la polifunzionalità <strong>del</strong> linguaggio ed il fatto che l’insegnamento<br />
<strong>del</strong>l’italiano come seconda lingua contribuisce alla costruzione di una<br />
personalità bilingue e biculturale più aperta a nuove esperienze<br />
linguistiche e culturali.<br />
6<br />
Clotilde Carunchio<br />
(Dirigente Scolastico I.T.C.G.T.<br />
“F. Galiani” di Chieti e Direttore<br />
<strong>del</strong> CRT di Chieti)
IL PORTFOLIO LINGUISTICO EUROPEO (Prof. C. Carunchio)<br />
(IL MODELLO ABRUZZESE)<br />
Il flussi migratori, sempre più consistenti, verso il nostro Paese,<br />
sono caratterizzati dalla tendenza alla stabilizzazione e all’integrazione<br />
nella nostra società di nuovi nuclei familiari. Questo fenomeno ha<br />
portato ad un notevole aumento <strong>del</strong>la presenza di minori stranieri, ai<br />
quali deve essere offerta l’opportunità di inserimento nel contesto<br />
sociale. Da quanto abbiamo detto, si evince che la scuola è chiamata in<br />
causa per favorire ed alimentare un equilibrato inserimento degli<br />
alunni stranieri presenti nel nostro territorio. Si avverte la necessità di<br />
creare una società multiculturale, in grado di promuovere il dialogo e<br />
la convivenza costruttiva tra le persone appartenenti a culture diverse.<br />
L’apertura <strong>del</strong>le frontiere interne all’U.E. e il passaggio verso una<br />
società, che si basa sullo scambio <strong>del</strong>l’informazione e<br />
sull’apprendimento continuo lungo tutto l’arco <strong>del</strong>la vita, richiedono<br />
sempre più capacità di muoversi e dialogare in contesti interculturali.<br />
E' proprio in questo contesto innovativo che il Consiglio d'Europa ha<br />
dato una risposta alle esigenze di una società in continua<br />
trasformazione, che non ha interessato solo la sfera economicofinanziaria,<br />
ma anche linguistica. L'attività <strong>del</strong> Consiglio d'Europa si<br />
inserisce in una prospettiva a difesa <strong>del</strong> plurilinguismo e<br />
pluriculturalismo, che consiste nella conoscenza <strong>del</strong>le lingue, mettendo<br />
l’accento sull’integrazione comunicativa e culturale che supera il<br />
concetto <strong>del</strong>l’apprendimento meccanico <strong>del</strong>le lingue.<br />
Tutto ciò pone la nostra scuola nella necessità di affrontare nuove<br />
sfide e di investire, in modo incisivo, sugli aspetti comunicativi <strong>del</strong>la<br />
lingua come elemento chiave <strong>del</strong>la lotta contro l’esclusione sociale. Le<br />
infrastrutture <strong>del</strong>la cultura comunitaria <strong>del</strong>l’Europa di cui facciamo<br />
parte si possono costruire attraverso la formazione e la comunicazione<br />
linguistica, perciò è importante <strong>del</strong>ineare un quadro chiaro <strong>del</strong>le<br />
competenze linguistiche e culturali acquisite nell’arco dei diversi<br />
livelli di studio. Indagare sul curricolo verticale per definire le<br />
competenze comunicative nei diversi livelli, è una necessità accertata<br />
nella formazione ed aggiornamento dei docenti.<br />
Il Portfolio Europeo <strong>del</strong>le lingue è uno strumento rivolto a tutti,<br />
nell’ottica <strong>del</strong>l’apprendimento lungo tutto l’arco <strong>del</strong>la vita.<br />
L’idea di Portfolio per la raccolta <strong>del</strong>le competenze acquisite in campo<br />
linguistico scaturisce dal Quadro Comune Europeo di riferimento per<br />
6
le lingue e dal Portfolio Europeo <strong>del</strong>le Lingue elaborato dal Consiglio<br />
d’Europa di Strasburgo.<br />
In esso si analizza l’insegnamento/apprendimento, la valutazione ed i<br />
parametri valutativi a livello internazionale, si pone come obiettivo la<br />
presa di coscienza, da parte <strong>del</strong>lo studente, <strong>del</strong> processo e degli stili di<br />
apprendimento, nonché dei livelli raggiunti nello studio <strong>del</strong>le lingue.<br />
Quando si parla di Portfolio, il contesto a cui facciamo riferimento è il<br />
“new assessment”, cioè le nuove modalità di valutazione che si<br />
pongono come alternativa ai test oggettivi. I nuovi mo<strong>del</strong>li cognitivi<br />
hanno messo in discussione gli strumenti tradizionali puntando ad una<br />
valutazione dinamica e pluridimensionale <strong>del</strong>la performance <strong>del</strong>lo<br />
studente su compiti significativi e funzionali al contesto di<br />
apprendimento o uso <strong>del</strong>la lingua.<br />
Sulla base <strong>del</strong>le considerazioni fatte e partendo dalle numerose<br />
esperienze di formazione e aggiornamento nell’ambito <strong>del</strong>le lingue,<br />
abbiamo avviato nella nostra Regione una ricerca-azione che ha<br />
portato alla realizzazione di un PEL per studenti, lavoratori e<br />
professionisti. Il processo di ricerca-azione sul Portfolio abruzzese, ha<br />
avuto inizio nel 2001 all’interno di un gruppo di studio <strong>del</strong>le province<br />
di Chieti e Pescara, in seguito si è arricchito <strong>del</strong> contributo <strong>del</strong> Gruppo<br />
Lingue Regionale e <strong>del</strong> contributo di tanti docenti di lingue che hanno<br />
sperimentato nelle loro classi l’utilizzo <strong>del</strong> PEL abruzzese ed hanno<br />
suggerito alcune modifiche. Questa ricerca-studio sul Portfolio<br />
Linguistico Europeo è stato promosso dall’Ufficio Scolastico<br />
Regionale per l’Abruzzo in sinergia con il settore <strong>del</strong>le politiche<br />
formative <strong>del</strong>la Regione Abruzzo e l’Università degli Studi “G.<br />
D’Annunzio” Chieti-Pescara. Abbiamo inteso elaborare uno strumento<br />
che, pur mantenendo le caratteristiche <strong>del</strong>ineate dal Consiglio<br />
d’Europa, fosse agevole, “easy and friendly”, efficace e motivante per<br />
studenti e docenti.<br />
Il Portfolio ha la finalità di offrire gli strumenti per poter<br />
gestire in modo concreto e realistico i processi di formazione al<br />
saper apprendere un lingua. In particolare, intende rendere i processi<br />
formativi documentabili, visibili, controllabili e trasferibili,<br />
permettendo agli studenti ed insegnanti di raccogliere e strutturare i<br />
risultati di esperienze ed attività che il più <strong>del</strong>le volte si disperdono<br />
nella prassi <strong>del</strong>la didattica quotidiana.<br />
Esso, inoltre, ha la funzione di fornire alla “scuola<br />
<strong>del</strong>l’autonomia” e in particolare agli insegnanti, opportunità<br />
6
concrete di affrontare, con la riflessione, la ricerca e l’intervento<br />
fatto non solo sugli studenti ma soprattutto con gli studenti, alcune<br />
problematiche di carattere sia disciplinare che trasversale, come il<br />
riesame <strong>del</strong>le caratteristiche fondanti <strong>del</strong>la propria disciplina,<br />
l’approccio metodologico usato, la considerazione degli aspetti<br />
relazionali e <strong>del</strong> “clima di classe”, l’esplorazione <strong>del</strong>le procedure di<br />
valutazione ed autovalutazione.<br />
Il Portfolio è, dunque, una raccolta di strumenti per documentare e<br />
valutare ciò che s’impara e come si impara. Intende fornire, agli<br />
studenti ed insegnanti, una serie di concrete opportunità, organizzate e<br />
graduate in modo sistematico, per diventare sempre più consapevoli<br />
<strong>del</strong> proprio modo di imparare e di insegnare.<br />
Esso, quindi, permette di registrare le competenze linguistiche<br />
raggiunte dagli studenti rispetto alle indicazioni <strong>del</strong> Quadro Comune<br />
Europeo di riferimento che offre un ricco repertorio di descrittori <strong>del</strong>le<br />
competenze comunicative articolate in sei livelli (A1/A2, B1/B2,<br />
C1/C2) ripartiti in 3 ampi sottolivelli: elementare (A), intermedio (B)<br />
ed avanzato (C).<br />
Adottando il Portfolio <strong>del</strong>le lingue nella pratica didattica,<br />
l’insegnante offre al discente l’opportunità di riflettere sul proprio<br />
apprendimento linguistico e di impegnarsi in un processo di<br />
autovalutazione a tutto vantaggio <strong>del</strong>la costruzione di un sapere<br />
condiviso e motivato. Il valore pedagogico <strong>del</strong> Portfolio è collegato<br />
alla funzione di documento che, come “Passaporto”, registra e<br />
testimonia i livelli di competenza raggiunti nelle diverse lingue<br />
secondo il Quadro Comune di Riferimento. In questo modo, è chiaro<br />
che il Portfolio ha la funzione di un documento che facilita anche la<br />
mobilità individuale.<br />
Le finalità <strong>del</strong> Portfolio Europeo <strong>del</strong>le Lingue sono:<br />
rafforzamento <strong>del</strong>la comprensione e conoscenza reciproca<br />
tra i cittadini internazionali;<br />
rispetto per la diversità linguistica e culturale;<br />
protezione e promozione <strong>del</strong>la diversità linguistica e<br />
culturale;<br />
sviluppo <strong>del</strong> plurilinguismo come processo aperto lungo<br />
tutto l’arco <strong>del</strong>la vita;<br />
sviluppo <strong>del</strong>l’autonomia <strong>del</strong> discente nel processo di<br />
apprendimento e di autovalutazione;<br />
6
promozione <strong>del</strong>la trasparenza e coerenza nei programmi<br />
linguistici;<br />
descrizione puntuale <strong>del</strong>le competenze linguistiche <strong>del</strong><br />
discente per facilitarne la mobilità.<br />
Il Portfolio, quindi, è uno strumento per documentare, insieme<br />
alle competenze, i processi personali di apprendimento. Il concetto<br />
di portfolio potrebbe essere utilizzato proprio come filo conduttore e<br />
anello di collegamento di tutti i momenti in cui a scuola si esplora<br />
l’evoluzione <strong>del</strong> proprio profilo dinamico personale di apprendimento.<br />
Esso è un approccio alternativo all’apprendimento e alla<br />
valutazione in quanto:<br />
si esplicitano le “competenze attese” lasciando spazio agli<br />
“esiti imprevisti” determinati da esperienze attive, concrete,<br />
contestualizzate, dentro e fuori la scuola;<br />
si valorizzano le esperienze personali;<br />
si aggiorna continuamente il proprio curriculum personale;<br />
si punta alla motivazione intrinseca, all’aumento<br />
<strong>del</strong>l’autostima, al senso di autoefficacia;<br />
si realizza un’autovalutazione formativa, basata su<br />
prestazioni che possono essere riconosciute come autentiche<br />
e significative.<br />
L’esigenza, dunque, di specificare competenze linguistiche<br />
valutabili e certificabili non può lasciare in ombra la parallela esigenza<br />
di esplicitare e documentare i processi che portano lo studente a<br />
raggiungere quelle competenze. Per l’insegnante, questo implica<br />
trovare, all’interno <strong>del</strong>le opportunità offerte dai nuovi curricoli, gli<br />
spazi, i tempi, le energie e le risorse per fare emergere dal sommerso le<br />
differenze individuali (stili, intelligenze, attitudini), le convinzioni e<br />
gli atteggiamenti (verso la lingua, la cultura, l’apprendimento) e le<br />
strategie (di apprendimento, di azione comunicativa, di mediazione e<br />
negoziazione interculturale).<br />
Il portfolio <strong>del</strong>lo studente può svolgere un ruolo significativo in<br />
questa direzione, purché sia debitamente valorizzata la sua funzione<br />
pedagogica.<br />
Il PEL può essere utilizzato dal docente per:<br />
• rendersi conto dei livelli di partenza dei discenti al fine di avviare<br />
un percorso di insegnamento rispondente ai bisogni <strong>del</strong> gruppoclasse<br />
6
• pianificare gli obiettivi linguistici da raggiungere in un percorso<br />
di insegnamento/apprendimento<br />
• motivare e coinvolgere i discenti nel processo di<br />
insegnamento/apprendimento consapevole e partecipato<br />
• verificare il raggiungimento dei livelli previsti nell’ambito <strong>del</strong>la<br />
programmazione stabilita, nonché i progressi fatti dai discenti<br />
• attivare eventuali percorsi individualizzati di recupero<br />
Il PEL può essere utilizzato da chi apprende una lingua per:<br />
• partecipare attivamente al proprio processo di apprendimento in<br />
modo da diventare consapevole <strong>del</strong> livello di competenze<br />
raggiunto<br />
• pianificare in modo autonomo il proprio percorso di<br />
apprendimento<br />
• imparare ad auto-valutarsi e confrontarsi con la eventuale<br />
valutazione <strong>del</strong>l’insegnante<br />
• riflettere sul proprio stile di apprendimento e sulle proprie<br />
strategie<br />
• registrare tutte le certificazioni ottenute e qualsiasi esperienza<br />
linguistica e interculturale fatta<br />
Il Portfolio <strong>del</strong>le Lingue abruzzese può essere utilizzato a livello<br />
scolastico per una fascia d’età da 6 a 19 anni, coinvolgendo i tre ordini<br />
di scuola (primaria, media, secondaria superiore). Questo permette di<br />
rafforzare e stimolare il raccordo da un ordine all’altro al fine di<br />
valorizzare le esperienze e le competenze precedenti. I livelli di<br />
competenza linguistica possono scandire, comunque, un percorso di<br />
apprendimento da poter intraprendere a qualsiasi età e per qualsiasi<br />
ambito formativo, sia quello scolastico e universitario che l’ambito <strong>del</strong><br />
mondo <strong>del</strong> lavoro.<br />
Il Portfolio segue lo studente nel suo percorso di studi<br />
permettendogli di verificare (al termine di ogni fase di passaggio) la sua<br />
crescita e i suoi progressi nell’apprendimento e nell’uso <strong>del</strong>la lingua. Si<br />
contribuisce, quindi, alla costruzione di un atteggiamento di continua<br />
autoanalisi ed autovalutazione. Naturalmente con l’uso <strong>del</strong> Portfolio<br />
non si tratta di predisporre attività diverse da quelle programmate; è<br />
soltanto opportuno che il docente abbia in mente le finalità in modo che<br />
esso diventi uno strumento utile per una didattica.<br />
6
Gli indicatori di qualità <strong>del</strong> Portfolio abruzzese sono:<br />
I sei livelli linguistici come indicati dal Quadro Comune Europeo<br />
di Riferimento (A1/A2; B1/B2; C1/C2).<br />
La spendibilità ed utilizzo sia a livello scolastico, che a livello<br />
universitario, professionale o lavorativo.<br />
Le lingue comunitarie usate sono cinque: italiano, inglese,<br />
francese, tedesco e spagnolo. Tuttavia si sta lavorando anche sulle<br />
lingue minoritarie.<br />
I livelli linguistici descritti nel Quadro Comune Europeo di<br />
Riferimento per le lingue sono stati ampliati con un ulteriore<br />
descrittore relativo alle competenze nella comunicazione<br />
multimediale<br />
Lo spazio innovativo e significativo destinato alle nuove<br />
generazioni per quanto concerne le competenze relative alle nuove<br />
tecnologie di comunicazione<br />
La certificazione <strong>del</strong>le competenze linguistiche raggiunte assume<br />
una rilevanza significativa<br />
Lo stretto collegamento con il Quadro di Riforma <strong>del</strong> sistema<br />
scolastico italiano. Infatti, quando si parla di Portfolio, il contesto<br />
a cui facciamo riferimento è il “new assessment”, cioè le nuove<br />
modalità di valutazione che si pongono come alternativa ai test<br />
oggettivi. I nuovi mo<strong>del</strong>li cognitivi hanno messo in discussione gli<br />
strumenti tradizionali puntando ad una valutazione dinamica e<br />
pluridimensionale <strong>del</strong>la performance <strong>del</strong>lo studente su compiti<br />
significativi e funzionali al contesto di apprendimento o uso <strong>del</strong>la<br />
lingua.<br />
Il Portfolio linguistico, quindi, si pone come strumento per poter<br />
gestire in modo concreto e realistico i processi di formazione <strong>del</strong> saper<br />
apprendere. In particolare, intende rendere i processi formativi<br />
documentabili, visibili, controllabili e trasferibili, permettendo agli<br />
studenti ed insegnanti di raccogliere e strutturare i risultati di<br />
esperienze ed attività che il più <strong>del</strong>le volte si disperdono nella prassi<br />
<strong>del</strong>la didattica quotidiana.<br />
Adottando il portfolio nella pratica didattica, il docente offre al<br />
discente l’opportunità di riflettere sul proprio apprendimento<br />
linguistico e di impegnarsi in un processo di auto-valutazione a tutto<br />
vantaggio <strong>del</strong>la costruzione di un sapere condiviso e motivato. Il<br />
valore pedagogico <strong>del</strong> Portfolio è collegato alla sua funzione di<br />
6
documento che registra e testimonia i livelli di competenza raggiunti<br />
nelle diverse lingue secondo il Quadro Comune Europeo di<br />
Riferimento. In questo modo, è chiaro che il Portfolio ha una funzione<br />
di un documento che facilita anche la mobilità individuale e<br />
l’integrazione di ogni alunno favorendo pienamente il processo di<br />
multiculturalità.<br />
6<br />
Clotilde Carunchio<br />
(Dirigente Scolastico I.T.C.G.T.<br />
“F. Galiani” di Chieti e Direttore<br />
<strong>del</strong> CRT di Chieti)
IL RUOLO DEI CRT IN ABRUZZO (Prof.ssa C. Carunchio)<br />
La presenza sul nostro territorio dei CC.RR.TT. per le Lingue è<br />
una peculiarità <strong>del</strong>la Regione Abruzzo.<br />
Il loro funzionamento si sviluppa in ambiti diversi:<br />
- realizzazione <strong>del</strong>le politiche formative <strong>del</strong> MIUR (Piano<br />
Pluriennale, monitoraggi, …..),<br />
- Ampliamento degli orizzonti culturali ed educazione alla<br />
comprensione internazionale<br />
- Sviluppo di un atteggiamento interculturale attraverso il contatto<br />
con il sistema di valori e tradizioni diverse dalle proprie<br />
- Punto di proposte di iniziativeli formazione e aggiornamento nel<br />
campo <strong>del</strong>le lingue comunitarie in risposta ai bisogni <strong>del</strong> territorio:<br />
a. ricerca-azione sul Portfolio Europeo <strong>del</strong>le Lingue<br />
<strong>del</strong>l’Abruzzo,<br />
b. corsi di italiano come L2,<br />
c. corsi di lingua araba,<br />
d. corsi per la certificazione <strong>del</strong>le lingue comunitarie (inglese,<br />
francese, spagnolo e tedesco),<br />
e. corsi di lingue per adulti,<br />
f. corsi di formazione per l’insegnamento CLIL,<br />
g. corsi di formazione per l’insegnamento <strong>del</strong>la lingua inglese<br />
nella scuola <strong>del</strong>l’infanzia,<br />
h. corsi di formazione per docenti <strong>del</strong>le scuole di ogni ordine e<br />
grado per l’attuazione di progetti Scorates, Comenius, Grudvig,<br />
E-twinning, ecc.,<br />
i. corsi di formazione per docenti <strong>del</strong>le scuole di ogni ordine e<br />
grado per l’insegnamento interculturale,<br />
j. consulenza alle scuole <strong>del</strong> territorio in merito a progetti di<br />
educazione linguistica.<br />
Una particolare attenzione merita il Corso per Mediatori<br />
Culturali finanziato dalla Regione Abruzzo - DD174/DL10 <strong>del</strong><br />
20/6/08 che il Centro Risorse Territoriale per le Lingue di Chieti, in<br />
qualità di istituzione capofila ha organizzato per Mediatori culturali con<br />
esperienze di lavoro nel settore e residenti nel territorio regionale<br />
abruzzese, aventi necessità di adeguare il proprio profilo professionale<br />
alle indicazioni e ai criteri stabiliti nella DGR n. 1386/2006.<br />
6
La figura <strong>del</strong> mediatore viene utilizzata in numerose situazioni per<br />
facilitare la comunicazione, l'accoglienza e l'accesso alle risorse e alla<br />
rete dei servizi <strong>del</strong> territorio. Accoglienza, orientamento,<br />
accompagnamento, inserimento socio-professionale rappresentano i<br />
momenti salienti <strong>del</strong> processo di mediazione. Eppure il ruolo <strong>del</strong><br />
mediatore culturale viene spesso inteso come quello di interprete e<br />
perciò, l'utilizzo di queste figure come se fossero dei "pompieri" che<br />
affrontano <strong>del</strong>le emergenze provocate dai migranti neo-arrivati, ha creato<br />
una situazione di grande disomogeneità per quanto riguarda le<br />
competenze, la formazione, la selezione e quindi il loro ruolo.<br />
Oggi è sempre più evidente che il mondo dei servizi, la scuola e la<br />
formazione professionale collegata al mondo <strong>del</strong> lavoro chiede una<br />
presenza di “figure di mediazione” in grado di gestire l'accoglienza e<br />
quindi di favorire l'accesso alle opportunità <strong>del</strong> territorio alle popolazioni<br />
immigrate.<br />
Il profilo professionale <strong>del</strong> mediatore culturale deve possedere un<br />
insieme di conoscenze e di saper fare che afferiscono ad un approccio<br />
relazionale basato sul principio <strong>del</strong>l'ascolto comprensivo. La mediazione<br />
culturale deve configurarsi come una professione fortemente improntato<br />
dall’ermeneutica sociale, cioè da una ricerca dei significati conferiti nella<br />
comunicazione tra gli attori che interagiscono in un determinato<br />
contesto.<br />
Il mediatore culturale, dunque, deve essere professionalmente<br />
competente come tecnico <strong>del</strong>la comunicazione. Egli, al tempo stesso,<br />
deve essere detentore di un’insieme di conoscenze e saperi pratici che gli<br />
consentano di interpretare/decodificare/decostruire la domanda<br />
<strong>del</strong>l’utenza che lo impegna per poi ricostruirla in modo comprensibile e<br />
fruibile per l'utenza in questione. Deve, insomma, sapere costruire<br />
relazioni positive non solo per il singolo utente immigrato ma anche per<br />
il contesto di accoglienza nel quale è inserito tale utente mediante azioni<br />
volte a favorire l'incontro con i servizi, con il territorio ma anche tra<br />
storie di vita, linguaggi, tradizioni culturali, stili comunicativi, ecc., ecc.<br />
E’ proprio agendo sulla relazionalità, ovvero, sulla capacità di<br />
costruire e di stare nella relazione con la varietà culturale che è possibile<br />
promuovere un agire comunicativo non solo rispettoso dei reciproci<br />
patrimoni culturali/esistenziali ma capace, soprattutto, di trasformare tali<br />
varietà in risorse per conoscere e conoscersi, scoprendo ed esplorando<br />
nuovi e comuni orizzonti culturali nei quali reciprocamente ritrovarsi,<br />
interagire, apprendere.<br />
7
Per concludere possiamo affermare che i CRT abruzzesi dislocati<br />
uno per ogni provincia rappresentano un punto di riferimento sul<br />
territorio per la didattica <strong>del</strong>le lingue e per la promozione<br />
<strong>del</strong>l’atteggiamento interculturale.<br />
7<br />
Clotilde Carunchio<br />
(Dirigente Scolastico I.T.C.G.T.<br />
“F. Galiani” di Chieti e Direttore<br />
<strong>del</strong> CRT di Chieti)
AGGIORNAMENTO DEI DOCENTI E PROPOSTE FUTURE<br />
(Prof.ssa Daniela Casaccia)<br />
Anch’io vorrei ringraziare i presenti per l’esito positivo <strong>del</strong> percorso di<br />
formazione, che oggi vede la sua conclusione.<br />
E’ però una conclusione solo di uno step, perché la vera opportunità che<br />
ci siamo dati con questo progetto è l’effettivo inserimento dei mediatori<br />
culturali nelle scuole.<br />
Vorrei partire dalla riflessione su alcuni dati ripresi dall’ultimo<br />
Rapporto Sociale <strong>del</strong>la Provincia di Pescara,dati risalenti al 31 dicembre<br />
2006, e quindi non aggiornati, ma che rappresentano il trend reale:<br />
• C’è nel territorio <strong>del</strong>la Provincia di Pescara una crescita , non<br />
solo di migranti provenienti dall’Africa, ma anche dall’Asia e<br />
dall’America latina<br />
• Le comunità presenti sono l’albanese, la rumena, l’ucraina, la<br />
cinese, e la senegalese<br />
• Quindi c’è una grande eterogeneità di gruppi etnici<br />
• C’è una prevalenza di donne sul numero di migranti (55%)<br />
• I minori alla data <strong>del</strong> Rapporto sono il 18% dei migranti, il che<br />
rappresenta una popolazione giovane e vitale<br />
• Tra questi, sempre a quella data si registra un numero elevato di<br />
minori non accompagnati .<br />
Queste poche note, che ho riportato in maniera assolutamente succinta,<br />
ma ben di più si può ricavare leggendo l’intero rapporto, rappresentano<br />
una situazione che ha posto, evidentemente, a noi come scuola, il<br />
problema di adeguare le nostre competenze professionali ad una realtà<br />
di bambini ed adolescenti, che, proprio perché cittadini <strong>del</strong> mondo,<br />
hanno diritto ad acquisire quelle competenze per la cittadinanza attiva,<br />
che sono la chiave di accesso ad una vita di relazione e lavorativa, che<br />
non li ponga ai margini <strong>del</strong>la società.<br />
Infatti il Ministero <strong>del</strong>la Pubblica Istruzione ha emanato, nel marzo <strong>del</strong><br />
2006 le “Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni<br />
stranieri”, in cui vengono date indicazioni su:<br />
Come accogliere i migranti a scuola<br />
Come organizzare i percorsi per il conseguimento <strong>del</strong> titolo<br />
conclusivo <strong>del</strong> 1^ ciclo di istruzione<br />
Come insegnare l’italiano<br />
7
Come orientare<br />
Come utilizzare i mediatori linguistici e culturali<br />
Come valutare<br />
Come usare i libri di testo<br />
Etc.<br />
Ha quindi fornito a tutte le scuole uno strumento comune per<br />
l’integrazione reale.<br />
E non è casuale che uno dei punti fondamentali sia proprio LA<br />
MEDIAZIONE CULTURALE<br />
Vorrei soffermarmi anch’io sul tema <strong>del</strong> giorno, partendo da una<br />
definizione <strong>del</strong> prof. Raffaele Laporta:<br />
La mediazione culturale “è valorizzazione <strong>del</strong>le differenze per lo<br />
sviluppo <strong>del</strong> territorio e la vita <strong>del</strong>la comunità. E’ un processo di<br />
autoapprendimento e di autoeducazione:”<br />
Quindi il ruolo <strong>del</strong> mediatore, come tecnico <strong>del</strong>la comunicazione<br />
interculturale, come facilitatore <strong>del</strong>la comunicazione tra soggetti diversi,<br />
diventa elemento importantissimo, non solo per l’integrazione dei<br />
migranti, ma come fulcro per una comunità che trae alimento di<br />
conoscenze e competenze dalle sue stesse esperienze.<br />
Per la scuola, in particolare, il mediatore rappresenta “l’osservatore<br />
esterno”, colui/colei che, proprio perché “dentro il sistema”, ma con<br />
caratteristiche di ‘aggiunto’, ha la possibilità di innescare quei<br />
meccanismi di osservazione dei comportamenti didattici ed<br />
interpersonali, che permettono ai docenti di riflettere sul proprio modo di<br />
fare scuola. Sto parlando <strong>del</strong> docente ricercatore ed in quanto tale<br />
“riflessivo”, secondo la definizione di Donald Schon (“Il professionista<br />
riflessivo. Per una nuova epistemologia <strong>del</strong>la pratica professionale”)<br />
Cosa fa il mediatore nella scuola?<br />
E’ il soggetto che promuove atteggiamenti reciproci di conoscenza e<br />
di scambio<br />
Io cerco di non usare sempre il termine “accoglienza”, perché pur<br />
riconoscendo ad esso tutta la sua valenza positiva, ritengo che sia un<br />
concetto da superare e, comunque, che riduce infatti nell’accoglienza<br />
manca la reciprocità, parlerei piuttosto di “integrazione ed “interazione”<br />
come presupposti per la convivenza civile, come capacità di realtà<br />
diverse di scambiarsi opportunità.<br />
Ed il mediatore non rappresenta solo colui o colei che facilita<br />
l’integrazione <strong>del</strong> migrante nella scuola e nella società, ma piuttosto<br />
7
colui o colei che rende il “cosiddetto nativo” disponibile al<br />
cambiamento di punti di vista.<br />
Perché uno o più migranti in una classe rendono necessario il<br />
riadattamento di tutto il contesto classe a questa nuova realtà, altrimenti<br />
resteremmo comunque lontani da quel concetto di diversità come<br />
“ricchezza” e non riempiremmo di significato tale asserzione.<br />
Ma per rendere veramente effettiva l’interazione e l’integrazione credo<br />
che la scuola debba muoversi su due piani:<br />
- Il piano <strong>del</strong>la formazione dei docenti<br />
- Il piano dei rapporti con il territorio (Enti Locali)<br />
Per il primo punto credo che sia fondamentale che la scuola si impegni<br />
in un reale progetto di intercultura, partendo da una serie di opportunità<br />
da dare ai docenti, formandoli come docenti di Italiano come L2.<br />
Credo che il mediatore non basti, è importante che il docente di classe,<br />
<strong>del</strong>le discipline, conosca i meccanismi di apprendimento di un ragazzo<br />
le cui competenze concettuali si sono formate con strutture linguistiche<br />
altre dalle sue.<br />
Sappiamo tutti che la lingua è espressione <strong>del</strong> pensiero e quindi è<br />
importante che il docente, quando si trova davanti un allievo che ha<br />
imparato a strutturare il pensiero in un’altra lingua ne tenga conto.<br />
Allora la scuola potrebbe attrezzarsi con momenti di formazione mirata<br />
in questo campo.<br />
Sul secondo piano vorrei provare a proporre una serie di prospettive:<br />
Possibilità di accordi di programma tra Amministrazioni<br />
Comunali e Provinciale e Istituzioni Scolastiche autonome <strong>del</strong><br />
territorio da sole o meglio se in rete per progettare e cofinanziare<br />
1. “punti di accoglienza” utilizzando mo<strong>del</strong>li comuni utili<br />
a garantire una iniziale preconoscenza linguistica<br />
2. la formazione e l’utilizzo di mediatori culturali per<br />
sostegno e consulenza per alunni e genitori<br />
3. una serie di laboratori linguistici (la lingua per<br />
comunicare, la lingua per studiare, la lingua per<br />
riflettere)<br />
4. la creazione di un centri di documentazione, per l’uso ed<br />
il riuso di strumenti che hanno dato risultati<br />
5. la promozione di iniziative a carattere multietnico (feste,<br />
incontri anche su momenti di cultura materiale)<br />
6. organizzazione di corsi di formazione sulle tematiche di<br />
educazione interculturale<br />
7
7. quant’altro la fantasia e la creatività <strong>del</strong>le scuole e <strong>del</strong>le<br />
amministrazioni vorranno proporre.<br />
Gli accordi di programma potrebbero essere la base di una possibile<br />
progettazione comune per l’ottenimento di finanziamenti europei,<br />
nell’ambito <strong>del</strong> prossimo Piano Operativo Regionale<br />
Si potranno individuare inizialmente alcuni ambiti di intervento, ma ciò<br />
che è secondo me importante è l’assunzione di responsabilità<br />
condivise per affrontare e promuovere veramente il problema <strong>del</strong>la<br />
migrazione, come problema emergente ma anche stimolo per una società<br />
più democratica.<br />
Prof.ssa Daniela Casaccia<br />
(Dirigente Scolastico S.M. Tinozzi - Pescara)<br />
7
APPENDICE<br />
GUIDA PEDAGOGICA (Prof. A. Goussot)<br />
PER L’ACCOGLIENZA E L’INCLUSIONE SCOLASTICA<br />
Pratiche di mediazione interculturale ad uso dei docenti e dei<br />
mediatori culturali<br />
Premessa:<br />
L'idea di questa guida parte da una serie di considerazioni emerse negli incontri con i<br />
mediatori culturali e gli insegnanti in seguito al corso di aggiornamento e di<br />
riqualificazione finanziato dalla Regione Abruzzo e gestito dall'Istituto Tecnico<br />
Statale Galiani di Chieti, sede <strong>del</strong> Centro Risorse Territoriale per le Lingue per la<br />
provincia di Chieti; i temi affrontati erano quelli <strong>del</strong>la gestione dei gruppi classe e<br />
<strong>del</strong>l'integrazione degli alunni di origine immigrata. Le problematiche sono quelle<br />
legate alle modalità <strong>del</strong>l'accoglienza, all'approccio pedagogico e alle metodologie di<br />
gestione dei gruppi. Questo lavoro, senza pretesa di essere un ricettario, che sarebbe<br />
contrario allo spirito sperimentale <strong>del</strong>la ricerca educativa,vuole offrire alcuni<br />
elementi di conoscenza ed alcuni strumenti pedagogici in grado di accogliere i<br />
cambiamenti culturali intervenuti nelle scuole con la presenza di alunni di origine<br />
non italiana ma anche i mutamenti intervenuti tra gli alunni italiani. A più riprese è<br />
emerso che esistono effettivamente differenze tra alunni italiani e stranieri, tuttavia<br />
esistono anche tanti punti comuni. Questo opuscolo vuol essere insieme uno<br />
strumento informativo e operativo che può supportare l'azione degli insegnanti e dei<br />
mediatori culturali. Vi sono alcuni concetti chiave <strong>del</strong>l'azione pedagogica per la<br />
gestione didattica e educativa dei gruppi: l'accoglienza, la mediazione, la<br />
cooperazione educativa, il cooperativ learning, l'incontro, il dialogo, la<br />
partecipazione e l'inclusione. A queste parole chiave possiamo aggiungerne altre:<br />
comunicazione, intercultura e ascolto comprensivo. Si vedrà che questi concetti<br />
trovano una loro traduzione operativa nella pratica educativa e nel processo di<br />
insegnamento/apprendimento. Inoltre le questioni dibattute hanno riguardato anche<br />
gli adolescenti e le adolescenze; usiamo la parola adolescenza al plurale perché tutte<br />
le adolescenze non sono eguali: quella di chi ha vissuto la migrazione con la<br />
partenza, il viaggio, il distacco e le difficoltà <strong>del</strong>l'inserimento o quella di chi è nato in<br />
Italia da genitori italiani o stranieri. La stessa adolescenza degli alunni italiani<br />
presenta una grande varietà di situazioni. Una <strong>del</strong>le questioni pratiche che viene<br />
anche posta è come gestire i conflitti con gli strumenti <strong>del</strong>la mediazione pedagogica e<br />
<strong>del</strong>la cooperazione educativa nell'attività didattica e come prevenire i rischi di<br />
comportamenti intolleranti. Anche le modalità pedagogiche <strong>del</strong>la lotta contro il<br />
razzismo nelle stesse scuole presentano diverse risposte; una questione difficile<br />
perché l'atteggiamento razzista è spesso basato su sentimenti irrazionali e stereotipie<br />
fortemente radicati. Il filosofo Norberto Bobbio in un saggio sulla natura <strong>del</strong><br />
7
pregiudizio dimostrava come tutti i gruppi sono portatori di pregiudizi che non sono<br />
altro che <strong>del</strong>le costruzioni sociali ma di un tipo particolare nella misura in cui fanno<br />
leva sulle emozioni che accompagnano la paura. E' la cosa più difficile da<br />
modificare. E' anche una <strong>del</strong>le cose più complesse da gestire sul piano pedagogico e<br />
sul piano degli apprendimenti: imparare che l'altro é insieme diverso e simile.<br />
Imparare a rispettare ed accogliere le differenze passa attraverso il riconoscimento<br />
<strong>del</strong>le differenze ma si basa anche sul sentimento di eguaglianza cioè sul fatto che<br />
l'altro è sì diverso da me ma anche molto simile: é qualcosa che s'impara attraverso<br />
l'esperienza, a scuola e fuori dalla scuola. Ecco, questo opuscolo tenta di offrire<br />
alcuni consigli metodologici; non ha la pretesa di offrire <strong>del</strong>le soluzioni, o peggio<br />
<strong>del</strong>le ricette, per il semplice motivo che non esistono e che, come dice Edgar Morin,<br />
la sfida <strong>del</strong>l'educazione é quella <strong>del</strong>l'apprendimento <strong>del</strong>la complessità e <strong>del</strong>la<br />
molteplicità cioè <strong>del</strong>l'unità nella diversità. Dal confronto con i formatori e i tutor<br />
sappiamo che la situazione non è semplice, che gli studenti, stranieri e non, sono<br />
anche sottoposti al linguaggio pedagogico <strong>del</strong> mondo sociale dove vivono ma<br />
pensiamo anche che la formazione in generale, e la formazione professionale in<br />
particolare, hanno una grandissima importanza sia nell'orientare i giovani verso un<br />
mestiere, professionalizzandoli, che nell’offrire loro una formazione generale come<br />
cittadini. In un mondo globalizzato ed interdipendente come il nostro anche gli<br />
insegnanti, i formatori e i tutor devono prendere coscienza che vengono plasmati,<br />
come i loro alunni, dal mo<strong>del</strong>lo di società dove vivono e come i loro alunni sono<br />
impregnati di pregiudizi e stereotipie. Questa consapevolezza deve portare a<br />
concepire il lavoro educativo e l'insegnamento come un processo di ricerca<br />
permanente dove si apprende insegnando. La formazione professionale è insieme<br />
istruzione (formazione specializzata) ed educazione (formazione generale <strong>del</strong>l'uomo<br />
e <strong>del</strong> cittadino); dalla capacità di gestione pedagogica dei percorsi di apprendimento<br />
e d'inclusione nelle scuole dipende il valore che gli stessi studenti possono attribuire<br />
al proprio percorso. In tanti incontri mediatori e insegnanti hanno sottolineato la<br />
svalorizzazione <strong>del</strong>la formazione agli occhi di tanti studenti; l'accoglienza è anche<br />
accoglienza <strong>del</strong>le aspettative degli studenti stranieri e italiani. Ma quali sono le loro<br />
aspettative? E' una domanda che si devono porre continuamente gli insegnanti e i<br />
mediatori nelle loro attività; è anche un modo per ridare senso alle cose che si fanno<br />
e un valore alla formazione professionale. Possiamo risalire forse al vero fondatore di<br />
questa concezione <strong>del</strong>la formazione attiva che fu Heinrich Pestalozzi, educatore e<br />
pedagogo svizzero, morto nel 1827; egli si occupava dei ragazzi che provenivano<br />
dalle classi più povere e basava la sua azione educativa su due pilastri: 1)<br />
professionalizzazione e dignità attraverso il lavoro 2) apprendimento attraverso il<br />
mutuo-aiuto come preparazione a diventare cittadini attivi. Pestalozzi si trovò<br />
confrontato alla resistenza dei suoi alunni che non volevano imparare, ai pregiudizi<br />
<strong>del</strong>le famiglie dei suoi allievi perché era protestante in una zona a dominante<br />
cattolica e anche sostenitore <strong>del</strong>le idee <strong>del</strong>la rivoluzione francese. Era visto con<br />
diffidenza e anche ostilità eppure riuscì ad interessare i ragazzi e le ragazze e farli<br />
partecipare alle diverse attività comuni che proponeva. Ma come fece? E questa sua<br />
esperienza di Stanz (città svizzera) è ancora valida oggi? Ne siamo fortemente<br />
convinti; Pestalozzi consigliava di partire dai vissuti e dal linguaggio usato dai<br />
ragazzi; affermava che il metodo migliore era quello naturale <strong>del</strong> rapporto madre-<br />
7
figlio cioè una pratica di accoglienza, un metodo che passa attraverso l'affetto e<br />
l'attenzione verso l'altro, un metodo dialogico che crea un clima di ascolto. Notava<br />
anche come fosse importante insegnare qualcosa, che ci fosse un contenuto e<br />
ricordava che la dimensione etica <strong>del</strong>l'insegnamento era la componente centrale <strong>del</strong><br />
processo di apprendimento nella misura in cui dà autorevolezza all'educatore. Uno<br />
dei problemi odierni <strong>del</strong>la <strong>del</strong>igittimazione di gran parte <strong>del</strong> sistema formativo é<br />
legato all'assenza di coerenza - Pestalozzi parlava di saggezza e di virtù - nei<br />
comportamenti concreti degli educatori. Un educatore eticamente coerente - che<br />
insegna effettivamente qualcosa e che è giusto nel suo rapporto con gli educandi<br />
(anche nella gestione <strong>del</strong> conflitto) - conquista l'autorevolezza necessaria per gestire<br />
il gruppo; é un po’ come un bravo regista che riesce ad ottenere dagli attori sul<br />
palcoscenico il meglio di sé. Certo gli insegnanti e i mediatori culturali si trovano a<br />
gestire situazioni diversificate; lavorando con dei gruppi eterogenei per storia,<br />
linguaggi, provenienza sociale e cultura; lavorano seguendo attività formative in<br />
contesti diversi e anche con percorsi individualizzati. Si può tuttavia affermare che il<br />
tema <strong>del</strong>l'accoglienza e <strong>del</strong>la mediazione sono due momenti importanti per favorire<br />
gli apprendimenti e il dialogo comprensivo, si tratta di un approccio di cooperazione<br />
educativa (ispirato dal lavoro pedagogico di Freinet)o come si dice attualmente di<br />
cooperativ learning (ispirato dal mo<strong>del</strong>lo elaborato da Johnson e Johnson).<br />
L'interculturalità ha un senso come processo cooperativo mediato dagli oggetti<br />
d'insegnamento e di formazione. Certo questo opuscolo non ha la pretesa di fornire<br />
indicazioni risolutive sul come diventare un bravo formatore, non può neanche essere<br />
un ricettario pedagogico, ma fornisce alcuni strumenti utili alla riflessione e alla<br />
pratica degli insegnanti e dei mediatori culturali.<br />
o Alain Goussot<br />
Prof. Facoltà di Psicologia<br />
Università degli Studi di Bologna<br />
7
Pratiche di accoglienza: concetti chiave e mo<strong>del</strong>li operativi<br />
1.L'accoglienza: la parola, il suo significato:<br />
Accogliere è una parola che viene dal latino: ad (e) colligere che significa<br />
raccogliere, riunire, approvare e ricevere.<br />
La parola accoglienza rimanda ad altre parole:<br />
1. Ospitalità: il forestiero che arriva è persona sacra; lo straniero non è estraneo<br />
ma alter ego. Si dà il benvenuto; si dice o si fa capire che è il benvenuto. Lo<br />
straniero è considerato come un dono che ci obbliga e crea dei legami;<br />
abbiamo degli obblighi nei suoi confronti e in cambio ci restituisce il valore<br />
<strong>del</strong>l'ospitalità.<br />
2. Prossimità: nel gesto <strong>del</strong>l'accoglienza vi è la creazione di una “zona di<br />
prossimità”; l'altro che arriva ci diventa prossimo (anche se viene da lontano);<br />
questa permette l'incontro. (J.Derrida: Sull'ospitalità - per una “geografia<br />
<strong>del</strong>la prossimità”)<br />
3. Transizione: l'altro arriva, passa o si ferma, comunque transita. Lo spazio di<br />
accoglienza funziona come uno “spazio transizionale” che permette di<br />
adattarsi e ridefinirsi nella nuova situazione. Il primo impatto è decisivo<br />
perché determina i vissuti di benessere o di malessere. (vedi Donald<br />
Winnicott)<br />
4. Mediazione: l'accoglienza si organizza attraverso le mediazioni che sono fatte<br />
di gesti, azioni, segni, simboli e linguaggi.<br />
5. Ascolto: accoglienza è anche ascolto; ma non ascolto passivo. L'ascolto<br />
comprensivo (C.Rogers) favorisce l'incontro. Accogliere l'altro vuol dire<br />
comprenderlo e dargli la possibilità e gli strumenti per comprendere.<br />
7.<br />
6. Comunicazione: informare, mettere tutti nelle condizioni di<br />
comprendere , di decodificare il contesto. Nell'informare occorre<br />
usare un vocabolario “comprensibile” per tutti. Non basta conoscere<br />
l'altro, occorre saper ricodificare per trasmettere un’informazione<br />
comprensibile e fruibile.<br />
7
2. Pratiche di accoglienza nei Centri:<br />
L'accoglienza è un passaggio decisivo per l'inserimento degli alunni in generale e di<br />
quelli particolari nei Centri ma anche un momento decisivo per il rapporto con le<br />
loro famiglie. La pre-accoglienza è un passaggio fondamentale che passa attraverso<br />
la mediazione di una buona ed efficace informazione. Non dimentichiamo che il<br />
centro di formazione funziona come una comunità educativa: l'accoglienza è<br />
strategicamente importante perché si colloca nel primo impatto <strong>del</strong>l'alunno con la<br />
realtà <strong>del</strong>l'Istituto e determina molte <strong>del</strong>le sue impressioni e dei suoi orientamenti; il<br />
tipo di accoglienza ha una valenza pedagogica perché attiva gli apprendimenti<br />
rispetto all'incontro e favorisce l'inserimento nonché l'implicazione reciproca.<br />
Informare, presentare, organizzare spazi di conoscenza e d'informazione, visite, usare<br />
dei documenti tradotti nelle lingue più rappresentative <strong>del</strong>le famiglie straniere sono<br />
tante mediazioni che possono favorire l'accoglienza e l'inserimento. Per esempio<br />
utilizzare come “mediatori-accompagnatori” dei ragazzi stranieri <strong>del</strong> secondo anno<br />
che possono guidare e accogliere nelle visite i ragazzi italiani <strong>del</strong> primo e viceversa.<br />
Questa pratica di mediazione pedagogica ha una valenza fortemente interculturale:<br />
un ragazzo italiano che spiega a dei ragazzi di origine immigrata come funzionano le<br />
cose o un ragazzo straniero che accompagna quelli italiani. Può essere necessario la<br />
presenza di un mediatore culturale per gli alunni e i genitori di alunni stranieri con<br />
difficoltà non solo linguistiche ma anche culturali cioè di cosa significa la<br />
formazione professionale in un contesto come quello italiano.<br />
L'accoglienza come approccio ecosistemico:<br />
L'accoglienza deve tener conto di diversi livelli:<br />
1. livello macro:<br />
–la legislazione e il quadro normativo nazionale sull'immigrazione<br />
–la legislazione e il quadro normativo sui minori stranieri<br />
–le rappresentazioni collettive: pregiudizi, stereotipie<br />
–legislazione regionale<br />
2. livello intermedio (meso):<br />
–la comunità locale e il suo territorio<br />
–la rete dei servizi per l'accoglienza, l'integrazione Centro-servizi<br />
–la società civile ed i suoi attori (associazionismo ecc...)<br />
3. livello micro:<br />
–la scuola, l'Istituto:<br />
l'organizzazione dei diversi passaggi <strong>del</strong>l'accoglienza<br />
–gli strumenti <strong>del</strong>l'accoglienza<br />
–la scuola-comunità educativa<br />
–il gruppo-classe: inserimento e comunicazione<br />
–le figure che si occupano <strong>del</strong>l'accoglienza come processo di transizione,<br />
d’inserimento e di accompagnamento (insegnante, mediatore culturale, personale<br />
educativo)<br />
8
l'accoglienza, l'accesso, l'inserimento e l'accompagnamento fanno parte <strong>del</strong>lo stesso<br />
processo di accoglienza che funziona come un processo di educazione sociale che<br />
mira a favorire l'incontro e l'inclusione<br />
Mo<strong>del</strong>lo operativo di un processo di accoglienza:<br />
L'accoglienza è un dispositivo organizzativo e pedagogico che si articola su due<br />
momenti fondamentali per i diversi Istituti:<br />
1)la pre-accoglienza nel momento dei primi contatti, <strong>del</strong>l'informazione e<br />
<strong>del</strong>l'iscrizione<br />
2)l'accoglienza i primi giorni <strong>del</strong> corso e durante l'anno.<br />
Contrariamente a quello che potrebbe fare intendere la parola accoglienza nel suo<br />
significato comune, non si tratta soltanto di una fase ma di un processo che dura tutto<br />
l'anno e che prevede una serie di mediazioni per favorire la convivialità, la<br />
comunicazione, gli apprendimenti e l'inclusione. La parola accoglienza può essere<br />
abbinata a quella di accompagnamento che indica una continuità nel tempo: non si<br />
ferma mai l'attività di gestione degli equilibri che si vengono a creare durante l'arco<br />
di un anno formativo; formatori, tutor, docenti e supervisori sono impegnanti nel<br />
garantire un clima accogliente <strong>del</strong>le differenze, dei mutamenti e degli equilibri<br />
comunicativi nei gruppi classe.<br />
Sul piano pedagogico l'accoglienza mira a:<br />
1)creare un clima comunicativo conviviale, di tolleranza e comprensione reciproca<br />
2)garantire l'inclusione, prevenire i meccanismi di esclusione e di intolleranza<br />
reciproca<br />
3)favorire gli apprendimenti e lo sviluppo <strong>del</strong>le potenzialità degli alunni attraverso<br />
<strong>del</strong>le attività formative motivanti<br />
4)fornire conoscenze e saperi che gli alunni percepiscono come fondamentale per la<br />
loro crescita personale e il loro futuro professionale-lavorativo.<br />
L'accoglienza è anche una pratica di mediazione pedagogica che usa una serie di<br />
strumenti mediatori come il gruppo-classe, varie forme di comunicazione, la<br />
disciplina come oggetto intorno al quale organizzare la conoscenza reciproca, degli<br />
spazi d'incontro come i laboratori dove è possibile cooperare, l'individualizzazione<br />
dei percorsi di apprendimento all'interno <strong>del</strong>l'attività di gruppo. L'accoglienza è<br />
quindi un processo complesso che coinvolte una rete di attori diversi e una serie di<br />
strumenti differenziati. L'accoglienza nelle sue varie fasi deve creare le condizioni<br />
per un adattamento positivo e reciproco di alunni di varie provenienze: alunni di<br />
origine immigrata (alunni immigrati che hanno vissuto la migrazione con i genitori<br />
oppure che sono nati in Italia), alunni italiani provenienti da situazioni sociali<br />
disagiate e spesso con vissuti negativi rispetto alla scolarizzazione.<br />
8
Quali possono essere le modalità di gestione educativa <strong>del</strong>l'accoglienza e con<br />
quali strumenti?<br />
1. La pre-accoglienza: fase <strong>del</strong>l'informazione sui corsi e <strong>del</strong>le iscrizioni<br />
L'importanza <strong>del</strong>l'informazione e <strong>del</strong>la comunicazione soprattutto tenendo<br />
conto degli alunni stranieri e <strong>del</strong>le loro famiglie:<br />
a) pubblicità nei giornali e su web con informazioni chiari e comprensibili. Uso<br />
anche di guide o opuscoli multilingue (per quanto possibile visto che le lingue<br />
presenti nel mondo <strong>del</strong>l'immigrazione sono tante; si tratta d'individuare i gruppi<br />
linguistici più significativi)<br />
b) il materiale informativo deve contenere un’informazione fruibile da parte degli<br />
alunni e <strong>del</strong>le loro famiglie su modalità di funzionamento, obiettivi dei corsi,<br />
programmi, attività, profilo professionale, offerte formative e sbocchi lavorativi<br />
c) non bisogna dimenticare che per molte famiglie immigrate e alunni stranieri la<br />
formazione professionale viene vista - a differenza di quello che può succedere nel<br />
caso degli italiani - come un passaggio importante verso l'integrazione e il riscatto<br />
sociale. Tuttavia la formazione viene vista e interpretata attraverso il prismo <strong>del</strong><br />
mo<strong>del</strong>lo culturale di appartenza e quello <strong>del</strong>le aspettative <strong>del</strong>la storia migratoria. Sarà<br />
anche diverso fornire informazione ed accogliere un ragazzo o una ragazza straniero/<br />
a che ha vissuto la migrazione, il viaggio (il distacco dalla terra di origine e le<br />
difficoltà <strong>del</strong>l'inserimento in Italia), magari che non parla o parla poco l'italiano e un<br />
ragazzo/a di origine straniero/a nato/a in Italia.<br />
d) la fase <strong>del</strong>la preaccoglienza è molto importante per creare il primo contatto e<br />
creare le condizioni <strong>del</strong>la comprensione nonché <strong>del</strong>la conoscenza reciproca. Da<br />
questo punto di vista è importante che sia coinvolta un’équipe che comprenda il<br />
coordinatore <strong>del</strong> corso, il tutor, i formatori (questi ultimi devono in qualche modo<br />
essere coinvolti fin dall'inizio per organizzare poi l'accoglienza vera e propria con<br />
l'avvio dei corsi nell'Istituto).<br />
e) l'organizzazione dei colloqui con i singoli alunni e le loro famiglie durante la<br />
raccolta <strong>del</strong>le iscrizioni:questi colloqui sono estremamente importanti sia per<br />
l'informazione e l'orientamento che ne consegue.Con gli alunni stranieri e le loro<br />
famiglie occorre tener conto di una serie di variabili importanti. L'aspetto linguistico:<br />
sondare il livello di conoscenza <strong>del</strong>la lingua italiana <strong>del</strong>l'alunno che desidera<br />
iscriversi. Fornire una informazione comprensibile fruibile:per questo occorre<br />
decodificare la domanda di quella famiglia, rispondere in un codice (non solo<br />
linguistico ma anche culturale) comprensibile che permetta effettivamente di operare<br />
la scelta consapevolmente.Non dimenticare che la famiglia e l'alunno straniero hanno<br />
in testa un mo<strong>del</strong>lo di formazione mediato dalla loro realtà di provenienza.<br />
8
f) la presenza di un mediatore culturale può essere utile per facilitare questo contatto<br />
ma ci vuole anche una preparazione adeguata dei formatori e tutor nella gestione dei<br />
colloqui con questi alunni e le loro famiglie: un minimo di conoscenza <strong>del</strong> mondo<br />
<strong>del</strong>l'immigrazione e saper gestire i processi comunicativi-informativi tenendo conto<br />
<strong>del</strong>le differenze culturali (quando diciamo differenze culturali intendiamo anche<br />
mo<strong>del</strong>li sociali diversi rispetto al rispetto <strong>del</strong>le regole, la scuola, la famiglia e il<br />
lavoro).<br />
g) l'équipe docente in collaborazione con i mediatori deve avere un ruolo centrale<br />
h) già durante questa fase si deve prevedere la visita <strong>del</strong>l'istituto e durante la visita<br />
spiegare in modo chiaro e comprensibile le diverse attività che vi si svolgono<br />
2. l'accoglienza e l'avvio dei corsi:<br />
a) incontro collettivo durante la giornata o le giornate preliminari “porte aperte” dove<br />
i formatori e tutor presentano i corsi alle famiglie. Durante la presentazione utilizzare<br />
il più possibile strumenti multimediali che possono favorire la comprensione per<br />
tutti.<br />
b) visite guidate per gruppi di alunni con alunni <strong>del</strong> secondo anno; le guide devono<br />
essere alunni italiani e di origine immigrata<br />
c) test iniziali sulla lingua italiana per gli alunni stranieri sulla base <strong>del</strong>le<br />
informazioni raccolte durante la fase di pre-accoglienza<br />
d) primi giorni in classe: il primo impatto in classe è importante perché può<br />
determinare l'andamento <strong>del</strong>le dinamiche <strong>del</strong> gruppo per tutto l'anno. Chiedere a<br />
degli alunni (italiani e stranieri) <strong>del</strong> secondo anno di presentare le attività con i<br />
formatori. Organizzare un primo giro di presentazione degli alunni; organizzare fin<br />
dall'inizio dei piccoli gruppi in cui viene fatta una presentazione collettiva di ognuno;<br />
per esempio sta al “portavoce <strong>del</strong> piccolo gruppo” presentare i suoi compagni (sulla<br />
base <strong>del</strong> racconto che hanno fatto di sé) durante la restituzione nel grande gruppo.<br />
Mescolare il più possibile i piccoli gruppi mettendo insieme alunni italiani e stranieri.<br />
Fare in modo che tra i “portavoce” dei gruppi vi sia un equilibrio tra alunni italiani e<br />
stranieri.<br />
e) durante la presentazione lavorare molto sulle aspettative e le motivazioni: come<br />
vedo il corso, cosa penso <strong>del</strong> profilo professionale, cosa mi aspetto, cosa vorrei fare<br />
dopo e cosa penso di saper fare. Costituire fin dall'inizio un Archivio <strong>del</strong>le risorse <strong>del</strong><br />
gruppo.<br />
f) illustrare le regole di funzionamento <strong>del</strong> Centro, ma condividere insieme la<br />
traduzione concreta-operativa di queste regole nella classe con tutti gli alunni.<br />
Organizzare un’assemblea di classe su questo punto; fare nominare un moderatore,<br />
un segretario e confrontarsi sulle modalità di gestione <strong>del</strong>le regole nel gruppo. Fare<br />
8
eleggere un consiglio di classe che si riunirà periodicamente permettendo di far<br />
rispettare le regole e di convocare <strong>del</strong>le assemblee di classe a richiesta.<br />
g) partire dai punti comuni tra i ragazzi e le ragazze; evitare il più possibile fin<br />
dall'inizio di mettere l'accento sulle differenze di origine. Attraverso il confronto,<br />
l'attività didattica e lo scambio portare progressivamente gli alunni a conoscersi<br />
come persona e non come culture; è il contatto personale mediato dalle relazioni<br />
interpersonali che permette anche una conoscenza <strong>del</strong>le differenze.<br />
h) attivare durante l'anno il più possibile tutti gli strumenti e le metodologie<br />
<strong>del</strong>l'educazione cooperativa e <strong>del</strong> cooperativ learning per educare i ragazzi e le<br />
ragazze all'intercultura.<br />
i) il gruppo deve essere il contenitore “affettivo” che deve favorire l'incontro e la<br />
rielaborazione <strong>del</strong>l'esperienza formativa; è uno “spazio transizionale” (per riprendere<br />
il concetto chiave <strong>del</strong>la psicologia di D.Winnicott) che permette la rielaborazione dei<br />
vissuti e anche di fare i conti con se stesso nella relazione con l'altro. Il formatore,<br />
con il tutor e il coordinatore <strong>del</strong> corso, è un regista che deve facilitare lo sviluppo<br />
<strong>del</strong>l'acquisizione di competenze e favorire la comunicazione imparando l'apertura, la<br />
comprensione e la tolleranza attraverso un pratica cooperativa costante.<br />
j) evitare di “etnicizzare” dei conflitti che sono spesso personali e che si manifestano<br />
attraverso luoghi comuni e stereotipie. Quando il momento è maturo, affrontare<br />
anche temi sensibili per tutti gli alunni facendoli gestire dal dispositivo cooperativo<br />
creato in classe con il supporto <strong>del</strong> formatore come “consulente”.<br />
La gestione <strong>del</strong> primo colloquio con gli studenti stranieri e le loro famiglie nella<br />
prima fase <strong>del</strong>l'accoglienza: alcuni accorgimenti metodologici<br />
Per ragionare sulle pratiche di mediazione come pratiche che possono facilitare la<br />
comunicazione prendiamo l’esempio <strong>del</strong>la realtà dei servizi educativi e formativi<br />
<strong>del</strong>l'Istituto. La pratica di accoglienza per gli studenti deve essere strutturata come un<br />
servizio alle persone (alunni stranieri e italiani, famiglie) che produce un bene<br />
relazionale e crea una relazione di aiuto per orientare e favorire la scelta. Ma cosa<br />
significa creare relazione di aiuto per lo studente che arriva e la sua famiglia? Come<br />
rispondere alla richiesta e alla domanda di cui è portatore? Con quali mediazioni?<br />
Come gestire il processo informativo per aiutare la comprensione e la scelta?<br />
a) L'ascolto comprensivo:<br />
Prendiamo l’esempio di un coordinatore di un corso o di un tutor coinvolto nelle fasi<br />
<strong>del</strong>la pre-accoglienza e che deve pensare a come facilitare l’accesso all'informazione<br />
fornita e la scelta consapevole <strong>del</strong>lo studente straniero e <strong>del</strong>la sua famiglia, come<br />
favorire la relazione e come organizzare i colloqui. Gli operatori devono trovare le<br />
giuste mediazioni e gestire la comunicazione in termini comprensibili e fruibili per lo<br />
studente e la sua famiglia. Come in ogni processo comunicativo la prima cosa da fare<br />
8
è porsi in una posizione di ascolto, ma di un ascolto attivo che permetta la<br />
comprensione <strong>del</strong>la richiesta. Prendiamo quello che scrive lo psicologo Carl Rogers<br />
in un testo intitolato “Comunicazione, blocco e facilitazione”: “Voglio proporvi un<br />
piccolo esperimento di laboratorio che potrete tentare per saggiare la qualità <strong>del</strong>la<br />
vostra comprensione. La prossima volta che avrete una discussione con vostra<br />
moglie, o col vostro amico, o con un gruppetto di amici, fermate la discussione e,<br />
per esperimento, ponete questa regola: che ognuno non possa esprimere la propria<br />
argomentazione se non dopo avere preliminarmente riesposto le idee e le sensazioni<br />
<strong>del</strong>l'interlocutore con esattezza e con la conferma di costui. Questo vorrebbe dire<br />
semplicemente che prima di presentare il proprio punto di vista, sarebbe necessario<br />
assimilare il quadro di riferimento <strong>del</strong>l'interlocutore, per comprendere le sue idee e<br />
le sue sensazioni, così da essere in grado di poterle riassumere al posto suo.<br />
Semplice, vero? Ma se fate la prova, scoprirete che è una <strong>del</strong>le cose più difficili che<br />
abbiate mai tentato di fare”. (1970 - p. 14) Qui Rogers ci spiega come bisogna<br />
intendere “l’ascolto comprensivo” (l’ascolto è un accogliere la parola <strong>del</strong>l'altro) sul<br />
piano <strong>del</strong>la modalità operativa e <strong>del</strong>la gestione <strong>del</strong>la relazione con lo studente<br />
straniero e la sua famiglia:<br />
ascoltare attentamente la richiesta e le domande dopo avere fornito le prime<br />
indicazioni su finalità, organizzazione e percorso formativo<br />
prima di dare una risposta accertarsi se abbiamo capito quello che ha detto l’altro<br />
ripetendone sinteticamente il discorso<br />
conoscere il quadro di riferimento culturale <strong>del</strong>l’interlocutore per comprendere le<br />
sue idee e sensazioni<br />
riassumere al posto suo tenendo conto di questi elementi per verificare se<br />
abbiamo effettivamente capito<br />
dare una risposta che sia effettivamente comprensibile.<br />
La comunicazione ha varie forme, è verbale e non verbale; l’agire e il comportarsi è<br />
un modo di comunicare <strong>del</strong>le cose. Bisogna quindi sapere osservare, interpretare e<br />
comprendere.<br />
b) Sapere osservare: le modalità <strong>del</strong>l'osservazione<br />
La comunicazione è spesso comunicazione non verbale, i gesti, gli atteggiamenti non<br />
sono solo dei tratti di carattere ma anche <strong>del</strong>le abitudini socio-relazionali, si può dire<br />
<strong>del</strong>le modalità espressive, dei tratti culturali. I comportamenti sono strutturati come<br />
dei linguaggi che bisogna saper interpretare. Bisogna evitare di osservare per<br />
giudicare, definire o classificare, ma bisogna osservare per comprendere. E' la<br />
comprensione che favorisce la possibilità <strong>del</strong>l’incontro e <strong>del</strong>l’accompagnamento.<br />
Occorre saper mettere “tra parentesi”, il più possibile, i propri giudizi - anche se non<br />
è facile -, bisogna operare quello che Edmund Husserl chiamava “la sospensione <strong>del</strong><br />
giudizio”. Il momento <strong>del</strong>l'osservazione è un momento attivo; come ci ha insegnato<br />
l'antropologia culturale si può definire l'osservazione come osservazione<br />
comprendente e “osservazione partecipante” dove l’osservatore è anche osservato.<br />
Non dimentichiamo che non c'è un osservatore (l’operatore) e un osservato<br />
8
(l’immigrato), ma si osservano reciprocamente. Durante l'incontro il coordinatore e il<br />
tutor osservano partecipando alla relazione, sono insieme coinvolti e distanti:<br />
coinvolti perché in ascolto, distanti perché tentano di comprendere, decodificare e<br />
registrare la richiesta e se lo studente e la famiglia abbiano capito. Per fare questo<br />
devono usare <strong>del</strong>le mediazioni: il linguaggio, <strong>del</strong>le schede, lo spazio (con la<br />
disposizione <strong>del</strong>le sedie o dei tavoli in modo da rendere il luogo il più accogliente<br />
possibile).Non bisogna dimenticare che l’immigrato - che spesso ha difficoltà di tipo<br />
linguistico - osserva, legge nello sguardo, coglie il clima che si viene a creare, tenta<br />
di capire cosa c’è dietro, vi può leggere il pregiudizio, la chiusura oppure la<br />
disponibilità e lo sforzo di comprendere. Spesso nella gestione dei servizi di front<br />
office, ma anche di seconda accoglienza, il rapporto può essere definito come una<br />
“relazione faccia a faccia”, è quello che Erving Goffman ha chiamato il “rituale<br />
<strong>del</strong>l'interazione”. Questo rituale è spesso strutturato come un codice che può risultare<br />
incomprensibile per l'immigrato (ma anche per l'italiano) e creare <strong>del</strong>le situazioni<br />
d'incomprensione.<br />
c) La relazione interculturale come “gioco di faccia” oppure “gioco di specchi”:<br />
La relazione è un interscambio, un “guardarsi in faccia” e un modo per specchiarsi<br />
nello sguardo di chi ci sta di fronte. E’ in questo “atto speculare” che ognuno<br />
costruisce la propria immagine e quella <strong>del</strong>l’altro. Nel nostro caso il coordinatore e il<br />
tutor si sono costruiti un’immagine <strong>del</strong>l’immigrato e l’immigrato si è costruito<br />
un’immagine di cosa è un Istituto scolastico: ognuno partendo dai propri schemi<br />
culturali, dalle proprie stereotipie e anche dai propri pregiudizi. Si può anche dire che<br />
spesso il coordinatore e il tutor hanno già un’immagine <strong>del</strong>lo studente e <strong>del</strong>la sua<br />
famiglia come categoria socio-culturale. A sua volta l'immagine che hanno lo<br />
studente straniero e la sua famiglia è filtrata dal loro mo<strong>del</strong>lo culturale e quando si<br />
parla di mo<strong>del</strong>lo culturale occorre intendere il modo di rapportarsi con il mondo dei<br />
servizi in generale, nel caso, la scuola e la formazione professionale in particolare,<br />
mo<strong>del</strong>lo appreso nel proprio paese di origine, ma anche un “mo<strong>del</strong>lo immaginario”<br />
costruito durante la migrazione e il soggiorno in Italia. Sta agli operatori <strong>del</strong>l'Istituto<br />
a comprendere questo per evitare di interpretare male certi atteggiamenti e trovare le<br />
modalità adeguate alla comprensione reciproca. Quest’aspetto è molto importante<br />
perché è qui che possono nascere equivoci, false aspettative e conflitti. Insegnanti e<br />
mediatori devono interrogarsi sull’immagine che hanno lo studente e la sua famiglia<br />
per superare ogni atteggiamento prevenuto o distorto; devono cercare le modalità che<br />
possono costruire lo spazio <strong>del</strong>l’incontro, per capire le aspettative e costruire le basi<br />
per una comprensione di cosa è questo percorso formativo.<br />
d) Avere alcuni elementi di conoscenza dei mondi culturali altri:<br />
Coordinatore, tutor e formatori, senza diventare <strong>del</strong>le enciclopedie viventi, devono<br />
avere alcune nozioni, conoscenze ed informazioni sulle aree culturali di provenienza<br />
degli studenti immigrati. Se non è possibile conoscere tutte le storie culturali <strong>del</strong>le<br />
comunità d’immigrati presenti sul territorio, si possono almeno conoscere i tratti<br />
fondamentali <strong>del</strong>le “aree culturali” di provenienza degli alunni (Balcani, Asia cinese<br />
8
e indiana, mondo arabo musulmano, africa nera ecc). Sono solo alcuni elementi di<br />
conoscenza che vanno tuttavia utilizzati con prudenza poiché la realtà di queste “aree<br />
culturali” è molto complessa e differenziata. Bisogna evitare di fare <strong>del</strong>le<br />
generalizzazioni; per esempio è vero che i popoli di religione islamica presentano dei<br />
tratti comuni, ma è anche vero che questo mondo va dall’Africa <strong>del</strong> Nord all’Asia<br />
(dal Marocco all’Indonesia, e il modo di praticare l'Islam in Marocco non è identico<br />
a quello <strong>del</strong>l’Indonesia). Ma il concetto di “area culturale” permette tuttavia un<br />
approccio più aperto e consapevole a quelli che l’antropologo americano Alfred<br />
Kroeber ha chiamato i “Mo<strong>del</strong>li di cultura” cioè a quella “connessione di tratti<br />
culturali” che caratterizzano i mondi socio-culturali da cui provengono gli immigrati.<br />
Queste informazioni e conoscenze possono aiutare gli operatori <strong>del</strong> Centro a<br />
comprendere le abitudini, gli atteggiamenti e le modalità comunicative<br />
<strong>del</strong>l’immigrato nonché la realtà complessa <strong>del</strong>le famiglie e <strong>del</strong> mondo adolescenziale<br />
nell'immigrazione. Gli operatori devono sapere che oltre agli aspetti personali<br />
<strong>del</strong>l’identità ci sono degli aspetti collettivi che provengono dal contesto socioculturale<br />
di origine, ma anche dalle contaminazioni subite durante il percorso<br />
migratorio: ognuno pensa attraverso le proprie categorie mentali che sono il prodotto<br />
di mo<strong>del</strong>li di cultura diversi. Vi sono anche tutti gli elementi di contaminazione<br />
avvenuta durante la migrazione. Anche l’operatore, esattamente come l’immigrato,<br />
pensa attraverso <strong>del</strong>le categorie mentali che sono il prodotto dei mo<strong>del</strong>li di cultura<br />
presenti in Italia, mo<strong>del</strong>li culturali che sono anche d'importazione.<br />
e) Lo studente straniero e la sua famiglia sono portatori di un mo<strong>del</strong>lo di cultura<br />
originario ma non possono essere semplicemente identificato con questo: ogni<br />
storia di migrazione è una storia a sé:<br />
Ogni immigrato è anzitutto un emigrato, una persona che ha lasciato il proprio paese<br />
di origine. L’emigrato trasporta con sé il proprio mo<strong>del</strong>lo culturale di appartenenza<br />
ma lo fa in modo <strong>del</strong> tutto personale. Inoltre il migrante vive tutte le contaminazioni<br />
dei contesti vari che incontra nella sua esperienza: la sua esperienza diventa meticcia.<br />
Quindi si può dire che ogni storia di migrazione è una storia a sé; l’immigrato non<br />
può essere identificato soltanto con il proprio mo<strong>del</strong>lo culturale di provenienza. Va<br />
colta la specificità <strong>del</strong>la sua storia come persona, come persona con una storia<br />
complessa, prodotto di influenze varie. Non può essere inglobato all'interno di una<br />
categoria generale che spesso non spiega niente. Ogni immigrato ha una biografia e<br />
una storia, una sua esperienza prima di arrivare in Italia, una storia fatta d’incontri e<br />
di appartenenze molteplici. Una storia che permette di comprendere la sua traiettoria:<br />
l’operatore deve saper usare il metodo biografico e autobiografico per ricostruire<br />
l'insieme <strong>del</strong>le esperienze <strong>del</strong>l’immigrato. Spesso l'operatore tiene poco conto <strong>del</strong>la<br />
biografia <strong>del</strong>l’immigrato, <strong>del</strong>la sua esperienza prima di arrivare in Italia.<br />
L'importante è capire come può essere capitalizzabile qui in Italia l’esperienza<br />
accumulata nel paese di origine: la conoscenza biografica è anche una buona<br />
mediazione per creare l’incontro. Il racconto e la narrazione <strong>del</strong>l'esperienza<br />
emigratoria aprono lo spazio per l'incontro. Lo studente per la sua età vive anche con<br />
grandi intensità i cambiamenti intervenuti durante la migrazione ma anche il ragazzo<br />
8
nato da genitori stranieri vive le difficoltà <strong>del</strong>la costruzione <strong>del</strong> senso <strong>del</strong> proprio sé.<br />
Si chiede spesso: cosa sono?<br />
f) la presenza e il ruolo <strong>del</strong> mediatore culturale:<br />
Nell’organizzazione <strong>del</strong>le attività <strong>del</strong>l'Istituto, fin dalla fase <strong>del</strong>la prima accoglienza<br />
diventa talvolta necessario la presenza di una persona in grado di mediare il rapporto<br />
tra le famiglie straniere e il Centro. Si tratta <strong>del</strong> mediatore culturale, un operatore<br />
<strong>del</strong>la comunicazione interculturale formato per intervenire e con lo scopo di favorire<br />
l’accesso degli immigrati ai vari servizi <strong>del</strong> territorio, nel nostro caso alla formazione<br />
professionale. Ma quale deve essere il suo ruolo e quali devono essere le competenze<br />
di questa figura? Il mediatore culturale deve essere soprattutto un facilitatore <strong>del</strong>la<br />
comunicazione; è in genere un immigrato con una preparazione tecnica e che ha<br />
rielaborato il proprio percorso migratorio. Interviene a supporto sia degli insegnanti<br />
<strong>del</strong>l'Istituto (con passaggio di informazioni sul mondo <strong>del</strong>l’immigrazione) che <strong>del</strong>lo<br />
studente immigrato e <strong>del</strong>la sua famiglia. Il mediatore culturale deve essere un ponte<br />
tra la realtà <strong>del</strong>l'Istituto e l’universo culturale <strong>del</strong>lo studente. Il mediatore non è un<br />
traduttore, un interprete; può tradurre lì dove è necessario, ma il grosso <strong>del</strong> suo<br />
lavoro è di costruire un ponte tra l’immigrato che arriva e gli operatori <strong>del</strong>l'istituto in<br />
modo da facilitare l’accoglienza e l’incontro. Aiuta gli operatori a comprendere<br />
meglio il mondo <strong>del</strong>l’immigrato e aiuta l’immigrato a capire quello che può chiedere<br />
e trovare in quel contesto. Aiuta l’operatore a decodificare la domanda <strong>del</strong>lo<br />
studente, il suo comportamento e aiuta lo studente a decodificare l’organizzazione<br />
<strong>del</strong> Centro dove è inserito. Il mediatore è uno strumento attivo <strong>del</strong>la mediazione che<br />
serve a migliorare la comunicazione non solo tra gli operatori <strong>del</strong>l'Istituto e gli<br />
studenti immigrati, ma anche tra studenti immigrati e studenti italiani nei gruppi<br />
classe, interviene nelle situazioni di conflitto per superare i blocchi comunicativi e<br />
può dare un contributo per un’educazione all’ascolto <strong>del</strong>l’altro e alla convivialità.<br />
Non si sostituisce agli operatori, ma va a supporto <strong>del</strong>le loro attività didattiche e<br />
formative per migliorare le condizioni <strong>del</strong>la comunicazione interculturale.<br />
g) Educare la rete dei servizi e il contesto formativo all'ascolto:<br />
E' la rete dei servizi tutta che deve formarsi all’ascolto <strong>del</strong>l’altro, <strong>del</strong>l’immigrato che<br />
arriva per favorire il suo contatto con gli operatori. Che si tratti <strong>del</strong>la scuola media,<br />
dei servizi sociali e <strong>del</strong>le scuole. Questo significa aggiornare le competenze<br />
comunicative degli operatori e inserire la figura <strong>del</strong> mediatore culturale a supporto<br />
<strong>del</strong>l'azione degli operatori. Possiamo riprendere qui quello che scrive Antonio Nanni<br />
in “Una Nuova Paideia” per definire i tre stadi da percorrere per giungere a<br />
un’effettiva comunicazione:<br />
1.porsi e sentirsi in un contesto dialogico;<br />
2.essere in grado di ascoltare;<br />
8
3.trasformare l’ascolto in comprensione. “Per ascoltare - scrive Nanni - occorre<br />
avere la piena consapevolezza che l’altro, il Tu che ci parla, sia a sua volta un<br />
Io, un soggetto come noi, capace di esprimersi e desideroso di comunicare”….<br />
“Ascoltare deve essere attiva disponibilità a incontrare l’altro in un rapporto<br />
comunicativo, deve essere attiva ricerca <strong>del</strong>l’interlocutore, deve essere attivo<br />
sforzo di comprensione. La reciprocità <strong>del</strong> rapporto non è data dalla<br />
disuguaglianza tra chi parla e chi ascolta, ma dalla parità <strong>del</strong>l'impegno<br />
comunicativo: nessuno può solo parlare, come nessuno è solo ascoltatore.<br />
D’altra parte, se non c'è nessuno capace di ascoltare, anche le nostre parole<br />
risultano inutili, non producono effetto e ci restituiscono l’immagine di una<br />
drammatica solitudine comunicativa”. (1998 - p. 32)<br />
4.Nanni dà anche un consiglio metodologico importante: “Occorre dunque<br />
educare all’ascolto, far sì che le parole dette possano aver senso. Chi parla deve<br />
essere stato a sua volta in ascolto, quanto meno per acquisire un codice di<br />
comunicazione e per entrare in un contesto comunicativo, oltre che per imparare<br />
ad avere qualcosa da dire”. (1998,p. 33)<br />
Si può affermare che l’ascolto aumenta la qualità <strong>del</strong>la relazione nella gestione<br />
<strong>del</strong>l'attività formativa e aiuta a stabilire nei diversi punti <strong>del</strong> Centro una dinamica di<br />
accoglienza, un clima positivo e <strong>del</strong>le dinamiche interpersonali in grado di strutturare<br />
dei percorsi di collaborazione e di mutua comprensione.<br />
h) Decodifica e ricodifica durante il colloquio:<br />
La comunicazione è sempre un processo interpretativo dove, nel caso specifico,<br />
l’operatore <strong>del</strong>la scuola, durante il primo colloquio con lo studente straniero e la sua<br />
famiglia, decodifica le aspettative e il modo di reagire - fa uno sforzo interpretativo<br />
<strong>del</strong> comportamento e <strong>del</strong>la comprensione- e usa un proprio codice per rispondere. Il<br />
problema è proprio qui: non basta decodificare la domanda, comprenderne il<br />
messaggio, ma occorre rispondere cioè ricodificare in un linguaggio comprensibile e<br />
fruibile da parte <strong>del</strong>lo studente e <strong>del</strong>la sua famiglia. Come ho scritto in “Equivoci<br />
comunicativi nella relazione con gli immigrati”: “Jerome Bruner ha messo in<br />
evidenza come quella <strong>del</strong>la comunicazione interculturale sia una questione di<br />
‘congruenza cognitiva’, diversa dalla condivisione, cioè dalla comprensione<br />
<strong>del</strong>l’altro nel processo comunicativo. Spesso, infatti, l’operatore non comprende i<br />
codici (verbali o gestuali) <strong>del</strong>l’altro, ma anche quando l’operatore capisce il<br />
linguaggio <strong>del</strong>l’immigrato (e viceversa) non è detto che egli sia in grado di<br />
ricodificare la sua risposta in un linguaggio effettivamente comprensibile e fruibile<br />
per l’immigrato (accade la stessa cosa per l’immigrato che comprende quello che gli<br />
dice l’operatore, ma non riesce a ricodificare la richiesta)”.(A. Goussot: “Equivoci<br />
comunicativi nella relazione con gli immigrati” – in: Animazione sociale) Se il ruolo<br />
<strong>del</strong>l’operatore <strong>del</strong>l'operatore <strong>del</strong>la scuola, durante questa prima fase <strong>del</strong>l' accoglienza<br />
e non solo, è quello di offrire un “bene relazionale” in grado di produrre relazione di<br />
aiuto attraverso le modalità <strong>del</strong>l’informazione per orientare lo studente e la sua<br />
famiglia, diventa decisivo accertarsi che abbiano davvero ricevuto il<br />
8
messaggio.L’antropologo Clifford Geertz - in “Antropologia interpretativa” - ci<br />
spiega la questione in questo modo:<br />
“Nelle organizzazioni (e il servizio è una organizzazione) il problema<br />
<strong>del</strong>l’interazione diviene quello di rendere possibile per persone che abitano mondi<br />
diversi un incontro genuino e reciproco. Se è vero che, nella misura in cui vi è una<br />
consapevolezza generale, essa consiste nell’interazione di una massa disordinata di<br />
visioni non interamente commensurabili, allora la vitalità di quella consapevolezza<br />
dipende dalla creazione <strong>del</strong>le condizioni in cui avrà luogo questa interazione. E per<br />
questo il primo passo è sicuramente l’accettare la profondità <strong>del</strong>le differenze, il<br />
secondo il comprendere che cosa siano tali differenze e il terzo costruire un tipo di<br />
vocabolario in cui esse possano essere formulate”. (1997- p. 40)<br />
Bisogna creare le condizioni che permettono l’espressione e soprattutto la<br />
comprensione dei linguaggi attraverso una modalità accessibile per tutti. Spesso tutto<br />
ciò passa anche attraverso la creazione di mediazioni utili a questo scopo:<br />
l’organizzazione <strong>del</strong>lo spazio,la disposizione dei tavoli e <strong>del</strong>le sedie, il tipo di<br />
arredamento. Occorre anche fornire dei materiali semplici multilingua consultabili da<br />
parte degli studenti stranieri e soprattutto dei loro genitori ,magari prevedere la<br />
presenza di uno o più mediatori culturali che si possono anche esprimere nella lingua<br />
<strong>del</strong>l’immigrato. Sono tutti accorgimenti che possono creare un’accoglienza <strong>del</strong>la<br />
pluralità di storie, culture e linguaggi di cui sono portatori gli immigrati. Questo può<br />
creare un clima positivo e una migliore comprensione <strong>del</strong>l'offerta formativa.<br />
i) L'operatore <strong>del</strong> Centro e la funzione di consulenza:<br />
Si può dire che l’operatore <strong>del</strong>la scuola in questa prima fase <strong>del</strong>l'accoglienza(ma<br />
pensiamo, anche se in modo diverso, successivamente durante l'anno) svolge<br />
soprattutto una funzione di “consulenza” che Umberto Galimberti nel suo dizionario<br />
di psicologia definisce in questo modo: “forma di rapporto interpersonale in cui un<br />
individuo che ha un problema, ma non possiede le conoscenze o le capacità per<br />
risolverlo, si rivolge a un altro individuo, il consulente, che, grazie alla propria<br />
esperienza e preparazione, è in grado di aiutarlo a trovare una soluzione”. (2000, p.<br />
18)<br />
E' effettivamente quello che succede allo studente straniero e la sua famiglia che si<br />
reca al Centro per chiedere informazione sul tipi di formazione, di programma e di<br />
sbocco professionale. Le procedure tramite cui si esplicita l’intervento sono di vario<br />
genere: dal colloquio che affronta le difficoltà <strong>del</strong>lo studente che è indeciso e non ha<br />
chiaro cosa fare, all’informazione per orientare l’utente, ai consigli pratici e anche<br />
alla somministrazione di tests per capire quali potenzialità possiede lo studente (vedi<br />
la lingua italiana).Questo lavoro di consulenza deve tuttavia tener conto <strong>del</strong>la<br />
dimensione interculturale <strong>del</strong>la relazione. La consulenza si svolge in un setting<br />
particolare (in un contesto concreto, organizzato e arredato in un certo modo);<br />
all'interno <strong>del</strong> contesto <strong>del</strong> Centro .L'operatore che usa la tecnica <strong>del</strong>la consulenza<br />
per produrre relazione d’aiuto (informazione, orientamento, chiarimenti) deve sapere<br />
9
che lo studente e la sua famiglia hanno già una loro rappresentazione sociale<br />
<strong>del</strong>l’istituzione alla quale si rivolge. Questo significa che bisogna curare attentamente<br />
l’accoglienza per favorire il contatto e fornire nei fatti quelle risposte che possano<br />
aiutare la scelta.<br />
9
Adolescenza e adolescenze nel mondo <strong>del</strong>l'immigrazione:<br />
Pensiamo che sia utile fornire alcune indicazioni ai coordinatori degli Istituti sui<br />
giovani provenienti dal mondo <strong>del</strong>l'immigrazione; diciamo giovani perché sappiamo<br />
che il concetto stesso di adolescenza è molto discusso sia sul piano psicologico che<br />
sociologico e antropologico-culturale. L'importante è di sapere che molti giovani di<br />
famiglie immigrate vivono situazioni comuni anche se, va ribadito con forza, ogni<br />
storia è una storia a se. Non si può generalizzare e considerare i giovani che<br />
provengono dal mondo <strong>del</strong>l'immigrazione come assimilabili gli uni agli altri; tuttavia<br />
esistono aspetti trasversali che li riguarda tutti. Inoltre bisogna anche sapere che vi<br />
sono anche più punti di contatto tra giovani stranieri e giovani italiani di quel che può<br />
sembrare con un primo sguardo superficiale.Gli operatori <strong>del</strong>le scuole devono<br />
conoscere quali sono le problematiche psico-affettive e socio-culturali che vivono<br />
molti adolescenti che provengono dal mondo <strong>del</strong>l'immigrazione, sapere che si tratta<br />
di un fenomeno complesso; sapere che le condizioni <strong>del</strong>la migrazione, <strong>del</strong>la partenza,<br />
<strong>del</strong> distacco e quelle <strong>del</strong>l'inserimento sono determinanti nella strutturazione dei<br />
comportamenti <strong>del</strong>la maggioranza dei ragazzi e <strong>del</strong>le ragazze che vengono da quel<br />
mondo.<br />
La complessità <strong>del</strong> fenomeno e la sua conoscenza:<br />
Per affrontare il tema degli adolescenti e dei giovani nel mondo <strong>del</strong>l’immigrazione<br />
occorre chiarire alcuni concetti basilari come, appunto, adolescente, identità, cultura;<br />
inoltre conviene anche ricordare che se ogni storia di migrazione ha dei punti di<br />
contatto con le altre, ogni storia di migrazione è una storia a sé. Bisogna anche sapere<br />
distinguere partendo dalle situazioni concrete: esistono varie categorie di adolescenti<br />
e giovani immigrati o figli d’immigrati. Anche perché vi è una differenza tra chi ha<br />
vissuto l'esperienza migratoria(e può essere definito immigrato) e chi no (ed è figlio/<br />
a d'immigrati).<br />
Le situazioni sono variegate:<br />
l’adolescente o il giovane immigrato cioè quello che ha vissuto l’esperienza<br />
migratoria e che aveva già vissuto la propria infanzia nel paese di origine:la<br />
partenza, lo sradicamento, il viaggio e le difficoltà <strong>del</strong>l’inserimento nel paese di<br />
accoglienza<br />
l’adolescente o il giovane immigrato arrivato molto piccolo in Italia con i genitori<br />
e che praticamente ha passato una parte consistente <strong>del</strong>la propria infanzia qui<br />
quello che è nato in Italia da genitori stranieri <strong>del</strong>la stessa nazionalità<br />
quello che è nato in Italia da genitori stranieri di diverse nazionalità<br />
quello che è nato in Italia da un padre straniero e una madre italiana<br />
quello che è nato in Italia da un padre italiano e una madre straniera.<br />
A questo bisogna aggiungere altri elementi per la nostra riflessione e mostrare che,<br />
quando parliamo di immigrazione abbiamo a che fare con la complessità: il fatto di<br />
9
essere di sesso maschile o di sesso femminile cambia anche i vissuti; se poi a questo<br />
si sommano i mo<strong>del</strong>li di relazione familiare, uomo-donna, genitori e figli che sono<br />
fortemente condizionati dai contesti storico-culturali di provenienza si comprende<br />
che l'operatore sociale o pedagogico deve saper leggere la complessità di ogni storia<br />
concreta.<br />
La storia di ogni migrante è una storia a sé che non può essere assimilata ad un’altra;<br />
ovviamente questo discorso vale per i figli dei migranti. Nel caso dei bambini, degli<br />
adolescenti e dei giovani c’è anche la storia migratoria <strong>del</strong>la famiglia che determina<br />
spesso la loro traiettoria e il loro sviluppo; la storia familiare prima,durante e dopo il<br />
viaggio, i mutamenti intervenuti con la partenza, le motivazioni, le condizioni <strong>del</strong><br />
viaggio e <strong>del</strong>l’arrivo. Sono tutti elementi che sono importanti per la comprensione<br />
<strong>del</strong> loro vissuto e anche <strong>del</strong> modo come affrontano l'adattamento alla situazione<br />
nuova. Per esempio è diverso se i genitori si spostano insieme e lo decidono insieme<br />
da una situazione in cui decide solo il marito seguito, successivamente, dalla moglie<br />
che può vivere tutto ciò con grande sofferenza. Altra cosa ancora se la storia parte da<br />
una donna che arriva sola in Italia, incontra un suo connazionale e si sposa qui.<br />
Insomma per capire la condizione di sviluppo e il vissuto <strong>del</strong>l’adolescente figlio o<br />
figlia d’immigrati occorre partire dalla complessità di ogni storia, che al di là <strong>del</strong>le<br />
generalizzazione, rappresenta un percorso specifico. L’importante è che questo o<br />
questa adolescente possa raccontare la propria storia, esprimere i propri vissuti e<br />
conferire senso a tutto ciò. Anche la storia familiare precedente alla storia migratoria<br />
è importante; molti di questi adolescenti hanno anche dei nonni nei propri paesi di<br />
origine e i nonni, soprattutto nelle situazioni di lontananza, possono rappresentare un<br />
punto di riferimento importante. I nonni sono anche spesso dei punti di riferimento<br />
nella costruzione <strong>del</strong>l'immagine di sé e nella strutturazione <strong>del</strong>la sicurezza interiore. I<br />
nonni svolgono anche spesso per gli adolescenti immigrati o figli di immigrati la<br />
funzione di “oggetti transizionali” affettivi (per riprendere l'espressione di Winnicott)<br />
che facilita la ricerca di un mo<strong>del</strong>lo di sé accettabile.<br />
Quindi non bisogna mai dimenticare il carattere complesso e molteplice dei processi<br />
psico-sociali e storico-culturali nei quali sono inseriti gli adolescenti nel mondo<br />
<strong>del</strong>l’immigrazione. Complessità e molteplicità che sono anche il prodotto di un<br />
mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong> sé costruito attraverso un processo di proiezione, identificazione ed<br />
interiorizzazione: proiezione <strong>del</strong>le proprie emozioni e dei vissuti su alcune figure <strong>del</strong><br />
sistema di relazione familiare e culturale di origine e non (abbiamo sopra fatto<br />
accenno ai nonni ma si può anche pensare ad “oggetti relazionali” diversi come<br />
alcuni tratti <strong>del</strong>la cultura di origine; vedi per esempio l’islam per molti giovani<br />
maghrebini in Europa); identificazione con alcuni mo<strong>del</strong>li rappresentati da figure o<br />
comportamenti e interiorizzazione di questi mo<strong>del</strong>li – spesso contraddittori o<br />
conflittuali come lo vedremo- per conferire senso al proprio mondo interiore e al<br />
proprio esistere. Tutti questi ragionamenti sono consigli pratici per gli insegnanti e i<br />
mediatori che si ritrovano con queste ragazze e ragazzi.<br />
In tutto ciò vi sono anche le condizioni <strong>del</strong>l'inserimento in Italia; le reazioni <strong>del</strong><br />
contesto alla loro presenza; sappiamo che molte reazioni sono il prodotto di<br />
9
interazioni sociali dove passano pregiudizi e stereotipie; questo è vero per gli italiani<br />
nei confronti degli immigrati e dei giovani immigrati ma è anche vero in senso<br />
inverso. Troviamo anche pregiudizi e stereotipie tra studenti immigrati di varie<br />
nazionalità; vi sono anche tante situazioni in cui i giovani stranieri pure di somigliare<br />
agli altri e di assimilarsi finiscono per interiorizzarsi gli stessi pregiudizi veicolati<br />
dagli italiani:per esempio il ragazzo africano che ti parla male dei “terroni” o dei<br />
Rom. Ecco bisogna sapere che i giovani immigrati esattamente come quelli italiani<br />
veicolano pregiudizi e stereotipie (esattamente come lo fanno anche formatori e<br />
tutor).<br />
Inoltre vi sono anche tutti gli elementi che si strutturano intorno al giovane straniero<br />
nei confronti <strong>del</strong>lo studio e <strong>del</strong>la formazione come aspettativa e forma di riscatto<br />
sociale; in molti di queste ragazze e di questi ragazzi si attiva quello che possiamo<br />
definire un meccanismo di resilienza: la differenza culturale e anche la condizione<br />
sociale d'inferiorità vissuta attraverso la famiglia spinge alcuni di loro a mettere in<br />
moto le risorse che rappresenta la molteplicità <strong>del</strong>l'appartenenza culturale cioè il fatto<br />
di parlare più lingue e di conoscere più mondi. Quello che può essere un ostacolo o<br />
una sofferenza diventa una risorsa che permette di fare fronte alle difficoltà, di<br />
superarle e di costruire un proprio progetto di vita.<br />
Ma le reazioni di fronte alle difficoltà <strong>del</strong>l'inserimento possono tradursi in tanti<br />
comportamenti:<br />
1)la chiusura su se stesso, l'autoisolamento e l'ipervalutazione <strong>del</strong>le proprie radici<br />
culturali<br />
2)l'assimilazione e l'identificazione totale con gli italiani, diventando più italiano<br />
<strong>del</strong>l'italiano anche nei suoi aspetti più negativi<br />
3)una dissociazione conflittuale <strong>del</strong>la personalità che porta a forti tensioni che<br />
possono tradursi in comportamenti aggressivi e autoaggressivi<br />
4)l'implicazione reciproca e la ridefinizione <strong>del</strong>la propria traiettoria acquisendo<br />
positivamente i cambiamenti senza perdere se stesso e le proprie radici.<br />
Alcune indicazione utili per comprendere:<br />
Prima di proseguire conviene tuttavia chiarire alcuni concetti che vengono utilizzati<br />
regolarmente quando si parla d’immigrazione; concetti che possono sembrare ovvi,<br />
ma non dimentichiamo mai che i concetti sono le categorie che organizzano il nostro<br />
spazio mentale e ci orientano nel mondo <strong>del</strong>le relazioni. Ci facciamo un’immagine di<br />
noi stessi e degli altri attraverso la mediazione di concetti; i concetti sono la nostra<br />
rappresentazione <strong>del</strong> mondo; sono la nostra comprensione <strong>del</strong>l’universo; sono le<br />
nostre categorie interpretative. Inoltre i concetti svolgono sempre una funzione<br />
sociale secondo il contesto e il loro utilizzo. Da parte degli operatori si sente spesso<br />
l'uso di queste categorie; conviene soffermarsi un attimo su alcuni con una attenzione<br />
particolare alla conoscenza <strong>del</strong> mondo adolescenziale e giovanile proveniente<br />
dall'immigrazione.<br />
9
L’emigrato-immigrato: la traiettoria <strong>del</strong> giovane e <strong>del</strong>la sua famiglia<br />
Dall’inizio abbiamo parlato di immigrazione e di adolescenti; partendo da una<br />
considerazione fatta da Ab<strong>del</strong>malek Sayad nel suo libro “La doppia assenza:<br />
dall’illusione <strong>del</strong>l’emigrazione alla sofferenza <strong>del</strong>l’immigrazione”, si può affermare<br />
che l’immigrato prima di essere un immigrato è un emigrato, cioè una persona che<br />
viveva in un altro paese, con una sua storia familiare, affettiva sociale e culturale e<br />
che ad un cero punto decide di andarsene. In questa traiettoria è tutto il sistema<br />
relazionale di riferimento <strong>del</strong> migrante che viene coinvolto: la famiglia, che in molti<br />
casi significa una rete allargata, la coppia, i figli. Le conseguenze <strong>del</strong>la partenza<br />
rappresentano un cambiamento non solo per chi va via ma anche per chi resta; le<br />
aspettative e le speranze riguardano gli uni e gli altri. Questi mutamenti producono<br />
anche una rappresentazione <strong>del</strong>la propria terra di origine attraverso la famiglia che<br />
può funzionare come meccanismo di difesa di fronte alle difficoltà e alle disillusioni<br />
ma anche come ostacolo al cambiamento e alla ridefinizione di sé in un processo<br />
complesso. L’adolescente vive questa situazione in termini ancora più drammatici e<br />
intensi visto il periodo di transizione che vive comunque; il fatto di dover fare i conti<br />
con il punto di partenza ,la terra di origine, gli affetti familiari, il mondo degli amici,<br />
i sistemi di valori, le concezioni diverse <strong>del</strong> mondo ecc; tutto ciò lo mette spesso in<br />
una situazione di sofferenza. Vogliamo anche sottolineare il fatto che è necessario<br />
andare al di là dei luoghi comuni sul giovane immigrato diviso tra due mondi; anche<br />
qui le cose sono talvolta molto più complicate. Il giovane immigrato o figlio di<br />
migranti deve fare i conti con la propria famiglia di origine, il suo gruppo sociale, il<br />
suo gruppo culturale, con il fatto che è marocchino ma di origine berbera, che parla<br />
l’arabo ma anche il tamazigh (che è la sua lingua materna), che magari ha fatto poi la<br />
scuola in francese, e che si ritrova a vivere in Italia. La traiettoria non è poi solo<br />
spaziale ma soprattutto mentale e psico-sociale; il trovarsi a sperimentare situazioni<br />
diverse, ad assimilare anche codici e linguaggi diversi senza “perdersi” rappresenta<br />
una sfida continua per il giovane immigrato e /o figlio/a di migranti. Tutto ciò non<br />
significa che le “radici” non esistono, ma che si fa fatica a riconoscerle e a<br />
“connettersi a sé” nella variegata esperienza <strong>del</strong>la vita. La traiettoria vuol dire anche<br />
ritrovare le tracce di un percorso che è il frutto di scelte e produttore di senso. Ecco<br />
questo giovane deve mediare dentro e fuori di sé con una molteplicità di mondi che<br />
lo compongono e che l'interpellano continuamente nella quotidianità: la famiglia, la<br />
scuola, il lavoro, il condominio e i rapporti con i vicini, il gruppo dei pari, la vita<br />
sociale e culturale. Deve riuscire a non perdersi, a non estraniarsi da se stesso nel<br />
passaggio da un contesto e da una situazione all'altra. In più deve fare i conti con lo<br />
sguardo <strong>del</strong>la società sulla sua famiglia; l'essere marocchino o albanese non è un<br />
valore sociale positivo come non lo era essere italiano in Belgio nel secondo dopo<br />
guerra. L'adolescente e il giovane si trova a doversi confrontare con l'etichettamento<br />
sociale mediato dalla sua appartenenza ad un gruppo culturale e familiare; altra<br />
traiettoria quella <strong>del</strong> conflitto e <strong>del</strong>la tensione con i genitori che rischia di diventare<br />
frattura e dove può scattare nel rapporto con loro la logica individuata da René<br />
Girard <strong>del</strong>la “vendetta mimetica”. I genitori vengono visti come responsabili di tutte<br />
le sofferenze e colpevoli per la scelta fatta; poi c'è tutta la complessità dei rapporti<br />
con la figura paterna e quella materna.<br />
9
Il rischio <strong>del</strong> discorso sull’identità: le identità meticce<br />
E’ Georges Devereux, il fondatore <strong>del</strong>l’etnopsichiatria moderna, che parlava <strong>del</strong><br />
rischio <strong>del</strong>l’identità; lui ne parlava come conoscitore di se stesso; nato in una<br />
famiglia magiara di origine ebraica, secolarizzato prima in magiaro e<br />
successivamente in rumeno(perché la sua città natale passò nel 1918 alla Romania);<br />
si trasferisce a Parigi,va vivere e lavorare negli Stati Uniti, viaggia tra le popolazioni<br />
<strong>del</strong> Sud Vietnam e gli indiani <strong>del</strong>le riserve <strong>del</strong>l’Arizona. Scriveva in due lingue<br />
diverse dalla sua lingua materna cioè l’inglese e il francese. Ma cosa intendeva<br />
Devereux per rischio <strong>del</strong>l’identità? Intendeva una concezione unidimensionale<br />
<strong>del</strong>l’identità cioè la tendenza ad identificare se stesso o l’altro con una dimensione<br />
sola <strong>del</strong> suo essere storico e socio-culturale; è quello che chiamava il “super<br />
investimento <strong>del</strong>l’identità etnico-culturale”. Questa tendenza a ridurre l’identità con<br />
un aspetto solo; l’essere musulmano, l’essere sikh, l’essere nero, l’essere ebreo ecc…<br />
è riduttiva <strong>del</strong>la molteplicità che compone la storia <strong>del</strong>la persona. Il rischio per<br />
Devereux è anche quello di utilizzare dei concetti culturali per spiegare la storia e la<br />
traiettoria di una persona;e per spiegarsi meglio usava la metafora <strong>del</strong>lo spazio: nella<br />
relazione per me l’altro è fuori e io sono dentro mentre per lui io sono fuori e lui è<br />
dentro; pensava anche che ognuno di noi è affetto di “strabismo culturale” cioè si<br />
costruisce una immagine deformante di se stesso; questo perché non si riesce a<br />
riconoscere se stesso in tutta la complessità e molteplicità di esperienze concrete e<br />
vissute.<br />
Lo dice anche per l’adolescente di cui l’adulto in tutte le società e in tutte le culture si<br />
fa una certa immagine; ed è questa immagine interiorizzata che determina il<br />
comportamento stesso e il modo di essere <strong>del</strong>l’adolescente. Le cose si complicano<br />
nei processi di acculturazione nella misura in cui la persona investita dal contatto con<br />
una altra cultura e un altro modo di vivere ne viene contaminata (sarebbe meglio dire<br />
fecondata-espressione di Raimon Panikkar), a quel punto le vecchie mappe mentali<br />
devono fare i conti con quelle nuove; per potersi orientare e ridefinire nel nuovo<br />
contesto il migrante deve usare <strong>del</strong>le nuove mappe che non liquidano quelle vecchie,<br />
ma che le aggiornano per poter vivere ed adattarsi nelle nuova realtà. E proprio nelle<br />
situazioni di “dissonanza semantica e cognitiva” che avviene la difficoltà <strong>del</strong>la<br />
comprensione e quindi di costruire nuove relazioni senza perdere se stesso (come<br />
dice Devereux rimanendo “connesso a sé”). L’adolescente immigrato o figlio/a<br />
d'immigrati vive spesso una condizione di quel tipo.<br />
Quel che importa forse non è tanto l’identità quanto la capacità di conferire senso e<br />
significato a se stesso, alla propria traiettoria, alla propria esistenza e di poter<br />
raccontarsi e narrare a sé e agli altri la propria storia.<br />
I rischi di una identificazione unidimensionale non riguardano solo il giovane<br />
immigrato o figlio di immigrati, ma anche chi lo guarda, magari con la pretesa di<br />
aiutarlo (operatore sociale, insegnante, educatore, terapeuta ecc…); la lettura<br />
culturalista rischia di assolutizzare un aspetto solo <strong>del</strong>la personalità e anche di farlo<br />
in modo deformante. Il cosiddetto rispetto <strong>del</strong>la diversità culturale è spesso un alibi<br />
9
per non comprendere la storia concreta <strong>del</strong> singolo soggetto con la sua narrazione, il<br />
suo vissuto e la sua capacità di raccontarsi quindi di fornire senso alla sua storia. La<br />
categorizzazione culturale non permette di riconoscere le vere differenze che sono<br />
quelle <strong>del</strong>l'esperienza di vita <strong>del</strong>l'adolescente in carne ed ossa.<br />
Invece di identità, Devereux preferiva parlare di “mo<strong>del</strong>lo di sé” che vedeva come<br />
una configurazione psicologica, base di una personalità integrata a tre livelli: 1) il<br />
comprendere: il comprendere il mondo vitale e sociale dove si è inserito 2) il<br />
comprendersi: il comprendere se stesso in relazione con il mondo e gli altri 3)<br />
l’essere compreso: l’essere compreso nella propria specifica storia. Tutto questo<br />
funziona come un processo dinamico e aperto; è quando avviene un cortocircuito in<br />
questo processo che si crea un blocco e una sofferenza. E’ proprio nella sofferenza<br />
psichica che emerge, secondo Devereux, la similitudine tra tutti gli esseri umani; i<br />
meccanismi psichici <strong>del</strong> profondo sono identici per tutti a prescindere<br />
dall’appartenenza etnico-culturale; per questa ragione si può parlare di “unità<br />
psichica <strong>del</strong> genere umano”.<br />
E’ anche quello che affermava Lev Vygotsky quando parlava <strong>del</strong>l’identità storicoculturale<br />
: per lo psicologo sovietico la cultura è il sociale cioè è l’insieme <strong>del</strong>le<br />
relazioni sociali e <strong>del</strong>le mediazioni che permette agli uomini di vivere insieme e di<br />
riconoscersi; in questo sistema di mediazioni il linguaggio ha una importanza<br />
decisiva in quanto non si tratta solo di uno strumento funzionale alla comunicazione<br />
ma anche in quanto veicola dei codici e un modo di vedere le cose. La<br />
comunicazione sociale precede la comunicazione interiore (l’interpsichico precede<br />
l’intrapsichico) e fornisce gli strumenti per organizzare le proprie emozioni e dare un<br />
senso ai propri sentimenti. Qual’è il linguaggio sociale <strong>del</strong>l’adolescente o <strong>del</strong><br />
giovane immigrato? Visto così ci si rende conto che il problema è molto complesso e<br />
che ogni intervento educativo e sociale ne deve tener conto.<br />
L’adolescenza e le adolescenze:<br />
Anche qui ci sarebbe molto da dire; ricordiamo il titolo di un vecchio testo <strong>del</strong>lo<br />
psicologo di origine belga Gérard Lutte “Sopprimere l’adolescenza?”; era una<br />
domanda provocatoria che nascondeva tuttavia un invito a riflettere sul concetto di<br />
adolescenza e sul suo significato sociale e culturale. In effetti sappiamo ormai che il<br />
concetto di adolescenza non ha lo stesso significato in tutti i contesti storico-culturali<br />
ma sappiamo anche che non ha avuto sempre lo stesso significato in Europa. E’ con<br />
la rivoluzione industriale e Jean-Jacques Rousseau che l’adolescenza acquisisce un<br />
senso e uno statuto diverso; il cittadino di Ginevra parla addirittura di “seconda<br />
nascita”. Non dimentichiamo che l’adolescente e giovane <strong>del</strong>l’immigrazione si trova<br />
a fare i conti con una percezione diversa dei genitori e <strong>del</strong> loro ruolo di genitori nel<br />
contesto nuovo; questo è importante per i processi di identificazione. Cambiano<br />
l’immagine sia <strong>del</strong>la figura paterna che <strong>del</strong>la figura materna; spesso i genitori<br />
vengono vissuti come inferiori socialmente e questo può produrre dei conflitti sia<br />
interiori che interpersonali nel nucleo familiare. Per di più l’adolescente nato e<br />
cresciuto in Italia usa un codice linguistico diverso da quello dei genitori , non sono<br />
9
are le situazioni in cui il figlio risponde in italiano al padre o alla madre che li<br />
parlano in arabo o in wolof. Qui i processi sono complicati; se è vero quello che<br />
afferma Françoise Dolto quando parla di metafora <strong>del</strong> gambero cioè di un<br />
adolescente che perde la vecchia pelle per produrne una nuova; nel caso<br />
<strong>del</strong>l’adolescente <strong>del</strong>l’immigrazione le cose si complicano perché la pelle nuova è<br />
fatta di codici <strong>del</strong> tutto nuovi non sempre compatibili con quelli <strong>del</strong> gruppo di<br />
origine. Ma occorre tener conto anche di un altro aspetto importante; molti<br />
adolescenti e giovani immigrati o figli di migranti provengono da paesi che<br />
conoscono cambiamenti profondi e che, come le nostre società sono colpiti dai<br />
cosiddetti processi di globalizzazione. Significa dei mutamenti anche nel contesto di<br />
partenza che producono spesso situazioni di destrutturazione per i giovani e gli<br />
adolescenti, questo prima di vivere l'avventura migratoria. I fattori socio-culturali dei<br />
paesi di origine che vivono le mutazioni <strong>del</strong>le strutture tradizionali e degli stili di vita<br />
è interiorizzato dagli adolescenti quando arrivano in Italia.<br />
Prendiamo il caso concreto degli adolescenti marocchini di Bologna che provengono<br />
in gran parte da Kuribga (una città a circa 200 km ad est di Casablanca); durante un<br />
viaggio di studio e di ricerca sul campo per comprendere le cause e le motivazioni<br />
<strong>del</strong>la migrazione da quella zona <strong>del</strong> Marocco verso l'Italia ci siamo trovati di fronte<br />
ad una situazione inaspettata. In quanto ricercatori ci aspettavamo trovare una<br />
condizione drammatica sul piano economico e una zona depressa; invece dal primo<br />
impatto con la città (circa 70.000 abitanti) abbiamo capito che le cose erano diverse<br />
dal nostro immaginario sociale di partenza. La città è ordinata e respira anche un<br />
certo benessere; ci sono non lontano le miniere di fosfato (il Marocco è il 3°<br />
produttore mondiale) e si vedono in giro tante macchine targate dall'Italia. E'<br />
evidente che vi è una certa ricchezza dovuta alle miniere e alle rimesse degli<br />
emigranti, ma vi è anche una crisi occupazionale per i giovani e un’assenza di<br />
prospettiva (ma è qualcosa che incontriamo anche in Italia, in particolare in certe<br />
zone <strong>del</strong> Mezzogiorno). Allora come spiegare la “fuga” dei giovani di Kuribga verso<br />
l'Italia (parlando al Bar un ragazzo di 16 anni mi dice che il futuro è l'Italia)?<br />
Problemi complessi legati alla globalizzazione e non riducibili alla povertà<br />
economica o ai fenomeni connessi alla religione. Tutti questi elementi fanno parte<br />
dei vissuti complessi, travagliati e spesso contradditori di questi giovani. Queste<br />
considerazioni sui giovani provenienti dal Marocco possono essere fatte per altre<br />
situazioni di provenienza: Romania, Albania o Nigeria.<br />
I coordinatori dei Centri devono avere gli strumenti di lettura di questo mondo<br />
giovanile che vive grosse trasformazioni; questo è anche vero per gli studenti italiani<br />
che si specchiano poi con questi giovani che arrivano da altri mondi. Lo fanno anche<br />
qui con atteggiamenti diversi: rifiuto, diffidenza, rabbia proiettata, curiosità e<br />
amicizia. Sta agli insegnanti e i mediatori <strong>del</strong>le scuole a sapere leggere questo mondo<br />
giovanile in piena trasformazione mentale, sociale e culturale per impostare l'attività<br />
educativa e formativa in modo tale da favorire l'incontro, la convivenza e gli<br />
apprendimenti di tutti.<br />
9
Pensiamo che una attenzione a questi aspetti psico-sociali e psico-culturali nella<br />
preparazione pedagogica degli insegnati dei Centri sarebbe di una grandissima<br />
importanza per fare crescere le competenze psicopedagogiche di chi insegna materie<br />
umanistiche, scientifiche e pratiche. Sappiamo che la dinamica di un gruppo classe e<br />
l'apprendimento <strong>del</strong>la singola disciplina, a prescindere dalla disciplina, dipende<br />
molto dalle capacità psicopedagogiche <strong>del</strong>l'insegnante, <strong>del</strong>la sua conoscenza dei<br />
ragazzi, <strong>del</strong>la sua sensibilità all'osservazione e all'ascolto e <strong>del</strong> come trasmette la sua<br />
materia.<br />
Interculturalità, mediazione pedagogica e gestione dei gruppi classe:<br />
Una <strong>del</strong>le questioni più importanti che devono affrontare gli insegnanti è la gestione<br />
dei gruppi classe nella didattica e nella gestione dei processi di apprendimento.<br />
Sappiamo che la stessa didattica è fortemente condizionata dal clima che si viene a<br />
creare in classe, dal rapporto tra formatori e alunni, tra alunni e alunni, alunni italiani<br />
e alunni stranieri. Gli insegnanti si trovano a gestire gruppi di alunni estremamente<br />
eterogenei per provenienza sociale, culturale e per percorso scolastico nonché per<br />
situazioni familiari. Sono anche confrontati a quello che gli adolescenti italiani e<br />
stranieri assorbono dalla società dei consumi e dai media come mo<strong>del</strong>li di<br />
comportamento; dalle rappresentazioni che si fanno <strong>del</strong>la loro presenza nella<br />
formazione professionale e <strong>del</strong>le aspettative che hanno. Pensiamo che il mo<strong>del</strong>lo<br />
cooperativo di apprendimento, quello che è chiamato oggi cooperativ learning, può<br />
fornire <strong>del</strong>le indicazioni metodologiche utili per facilitare la comunicazione nei<br />
gruppi e facilitare gli apprendimenti. Le tecniche <strong>del</strong>l'educazione cooperativa e<br />
<strong>del</strong>l'apprendimento cooperativo sono <strong>del</strong>le pratiche di mediazione pedagogica che<br />
permettono all'insegnante di agire come facilitatore <strong>del</strong>la comunicazione e degli<br />
apprendimenti. Qui la figura <strong>del</strong> formatore è quella <strong>del</strong> consulente e non <strong>del</strong> puro<br />
trasmettitore; crea le condizioni con le sue conoscenze, il suo sapere e le sue<br />
competenze per l'attivazione di un processo di auto-apprendimento e per un<br />
apprendimento basato sul principio <strong>del</strong>la collaborazione e <strong>del</strong> mutuo aiuto.Le<br />
metodologie legate all'apprendimento cooperativo offrono gli strumenti per la<br />
gestione dei conflitti nel gruppo in senso pedagogico. Interculturalità, cooperazione<br />
educativa e cooperativ learning possono favorire la creazione di un contesto<br />
interattivo e dialogante; aperto ai cambiamenti e alla molteplicità <strong>del</strong>le culture e <strong>del</strong>le<br />
storie.<br />
Interculturalità:<br />
Vogliamo ricordare qui alcuni dei testi fondamentali <strong>del</strong> ministero <strong>del</strong>la pubblica<br />
istruzione e recentemente <strong>del</strong> MIUR sull'educazione interculturale e l'accoglienza<br />
degli alunni stranieri.<br />
Per educazione interculturale (entro una società multiculturale), sulla scorta <strong>del</strong>la<br />
Circolare Ministero Pubblica Istruzione 205/90, si intende quanto segue: “…<br />
l'educazione interculturale è condizione strutturale <strong>del</strong>la società multiculturale. Il<br />
compito educativo in questo tipo di società, assume il carattere specifico di<br />
mediazione fra le diverse culture di cui sono portatori gli alunni: mediazione non<br />
9
iduttiva degli apporti culturali diversi, bensì animatrice di un continuo, produttivo<br />
confronto fra differenti mo<strong>del</strong>li. … L'educazione interculturale avvalora il significato<br />
<strong>del</strong>la democrazia, considerato che la diversità culturale va pensata quale risorsa<br />
positiva per i complessi processi di crescita <strong>del</strong>la società e <strong>del</strong>le persone. Pertanto<br />
l'obiettivo primario <strong>del</strong>l'educazione interculturale si <strong>del</strong>inea come promozione <strong>del</strong>le<br />
capacità di convivenza costruttiva in un tessuto culturale e sociale multiforme. Essa<br />
comporta non solo l'accettazione ed il rispetto <strong>del</strong> diverso, ma anche il<br />
riconoscimento <strong>del</strong>la sua identità culturale nella quotidiana ricerca di dialogo, di<br />
comprensione, di collaborazione, in una prospettiva di reciproco arricchimento. ...<br />
L'educazione interculturale, pur attivando un processo di acculturazione, valorizza le<br />
diverse culture di appartenenza. Compito assai impegnativo perché la pur necessaria<br />
acculturazione non può essere ancorata a pregiudizi etnocentrici. I mo<strong>del</strong>li <strong>del</strong>la<br />
cultura occidentale non possono essere ritenuti come valori paradigmatici, e, perciò,<br />
non possono essere proposti agli alunni come fattori di conformizzazione…”<br />
La definizione fornita dai documenti ufficiali <strong>del</strong> Ministero <strong>del</strong>la Pubblica Istruzione<br />
implica (anche se non vi è ancora sufficiente consapevolezza al riguardo) un<br />
mutamento di paradigma educativo. Del resto il tentativo di rinnovamento che scuote<br />
la scuola italiana definisce appropriatamente un “processo di rifinalizzazione” e<br />
“ripensamento organico <strong>del</strong> complesso dei compiti <strong>del</strong>la scuola”. Il suo fine è<br />
“colmare il divario umano frutto <strong>del</strong> ritardo evolutivo <strong>del</strong>la nostra specie” dando<br />
corso ad una “paideia per il nuovo millennio” che può (e questo potere dipende<br />
anche dai processi formativi) essere “solidale, multiculturale”, democratica.<br />
Per Duccio Demetrio: "L’interculturalità non si palesa se non laddove ‘qualcuno’<br />
(persona o ente) si ripromette di stabilire un contatto diretto tra i diversi mondi, i<br />
punti di vista, le concezioni religiose. Per tale ragione l’interculturalismo non può<br />
che essere un movimento ideale e d’opinione, e interculturale non può che dirsi ogni<br />
incontro, contatto o occasione che suscitino forme e manifestazioni comunicative<br />
fondate, ancora una volta, su tre direttrici salienti:<br />
l’aiuto di chi si trovi in condizione di disagio (impegno sociale e relazionale)<br />
la reciproca conoscenza (impegno cognitivo, creare le condizioni <strong>del</strong>la<br />
congruenza cognitiva)<br />
la cooperazione per il cambiamento dei punti di vista in una maggiore<br />
prospettiva di convivialità (impegno pedagogico e culturale)".<br />
Nell'ultimo documento di febbraio 2006 <strong>del</strong> MIUR intitolato: “Linee guida per<br />
l'accoglienza e l'integrazione degli alunni stranieri” possiamo leggere:<br />
1. “Si sta <strong>del</strong>ineando in Italia una scuola <strong>del</strong>le cittadinanze, europea nel suo<br />
orizzonte, radicata nell’identità nazionale, capace di valorizzare le tante identità<br />
locali e, nel contempo, di far dialogare la molteplicità <strong>del</strong>le culture entro una cornice<br />
di valori condivisi. Al di là <strong>del</strong>le buone pratiche e <strong>del</strong>le singole iniziative di<br />
accoglienza e di integrazione, occorrono tuttavia un impegno organico e un’azione<br />
strutturale capaci di sostenere l’intero sistema formativo nazionale. L’educazione<br />
interculturale costituisce lo sfondo da cui prende avvio la specificità di percorsi<br />
formativi rivolti ad alunni stranieri, nel contesto di attività che devono connotare<br />
1
l’azione educativa nei confronti di tutti. La scuola infatti è un luogo centrale per la<br />
costruzione e condivisione di regole comuni, in quanto può agire attivando una<br />
pratica di vita quotidiana che si richiami al rispetto <strong>del</strong>le forme democratiche di<br />
convivenza e, soprattutto, può trasmettere le conoscenze storiche, sociali, giuridiche<br />
ed economiche che sono saperi indispensabili nella formazione <strong>del</strong>la cittadinanza<br />
societaria. L’educazione interculturale rifiuta sia la logica <strong>del</strong>l’assimilazione, sia la<br />
costruzione ed il rafforzamento di comunità etniche chiuse ed è orientata a favorire il<br />
confronto, il dialogo, il reciproco arricchimento entro la convivenza <strong>del</strong>le<br />
differenze”.<br />
2. “L'educazione interculturale non è una disciplina aggiuntiva, ma una dimensione<br />
trasversale, uno sfondo che accomuna tutti gli insegnanti e gli operatori scolastici. Il<br />
pluralismo culturale e la complessità <strong>del</strong> nostro tempo richiedono necessariamente<br />
una continua crescita professionale di tutto il personale <strong>del</strong>la scuola”.<br />
3. “La gestione <strong>del</strong>l'accoglienza implica all'interno <strong>del</strong>l'Istituto un lavoro costante di<br />
formazione <strong>del</strong> personale”<br />
4. “I genitori sono la risorsa fondamentale per il raggiungimento <strong>del</strong> successo<br />
scolastico: pertanto le diverse culture di appartenenza richiedono alla scuola di<br />
individuare gli strumenti migliori <strong>del</strong> dialogo. Di particolare importanza risulta la<br />
capacità <strong>del</strong>la scuola di facilitare la comunicazione con la famiglia <strong>del</strong>l'alunno,<br />
prestando attenzione anche agli aspetti non verbali, facendo ricorso , ove possibile ai<br />
mediatori culturali o ad interpreti, per superare le difficoltà linguistiche ed anche per<br />
facilitare la comprensione elle scelte educative <strong>del</strong>la scuola”.<br />
5. “Il primo colloquio, fondamentale per un sereno e proficuo ingresso <strong>del</strong>l'alunno a<br />
scuola va preparato coinvolgendo tutti i soggetti interessati”.<br />
6. “Uno degli obiettivi prioritari nell'integrazione degli alunni stranieri è quello di<br />
promuovere l'acquisizione di una buona competenza nell'italiano scritto e parlato,<br />
nelle forme ricettive e produttive, per assicurare uno dei principali fattori di successo<br />
scolastico e sociale”.<br />
Cooperazione educativa, mediazione pedagogica e lavoro di gruppo (l'approccio<br />
Freinet)<br />
Célestin Freinet si poneva il problema di come motivare e interessare gli alunni;<br />
come integrare socialità e individualità nel processo di apprendimento. Come<br />
trasformare il gruppo in uno spazio stimolante e cooperativo.<br />
1)L'educazione nel gruppo classe: la pedagogia <strong>del</strong>la cooperazione:<br />
Secondo questo approccio nel gruppo e attraverso il gruppo si praticano:<br />
– l'accoglienza come atto pedagogico<br />
– l'ascolto come processo che tende a favorire l'incontro e il dialogo successivo<br />
1
– la prevenzione dei conflitti e la gestione educativa dei conflitti<br />
– la realizzazione di un processo cooperativo tra pari<br />
– l'individualizzazione dei percorsi (il rispetto dei tempi, ritmi e modalità di<br />
ciascuno) come logica pedagogica inclusiva<br />
– il sentimento di “essere arricchito” dalla cooperazione: l'importanza <strong>del</strong>lo spazio<br />
di discussione, confronto e attività collettiva<br />
Il maestro, l'insegnante, l'educatore è un facilitatore degli apprendimenti, un<br />
mediatore attivo che crea le condizioni per favorire la comunicazione nel gruppo<br />
attraverso la mediazione <strong>del</strong>le attività pratiche. E' proprio attraverso lo stare insieme<br />
in gruppo e nel fare <strong>del</strong>le cose insieme che gli studenti imparano che vi sono regole,<br />
vincoli e responsabilità; che vi sono diritti ma anche doveri. Ma sono loro, con il<br />
supporto e l'accompagnamento pedagogico <strong>del</strong>l'insegnante, che creano regole e<br />
modalità di applicazione <strong>del</strong>le regole. La partecipazione attiva alla costruzione <strong>del</strong><br />
sistema che regola i rapporti nella classe ha un effetto responsabilizzante e anche<br />
valorizzante.<br />
La metodologia Freinet usa diversi strumenti:<br />
– i gruppi di lavoro occasionali<br />
– i gruppi di lavoro permanenti<br />
– i gruppi di lavoro spontanei<br />
– i gruppi di lavoro strutturati<br />
– i gruppi di gestione amministrativa<br />
– il Consiglio di cooperativa: si tratta di uno strumento favorevole all'osservazione;<br />
uno strumento di analisi e anche di decisioni collettive (le regole decise insieme<br />
sono già diventate istituzioni; da istituenti-cioè in essere-diventano istituiteesistono,<br />
sono una pratica consolidata perché interiorizzata consapevolmente).<br />
Questo strumento permette di affrontare i problemi di organizzazione e di<br />
responsabilità nella classe che appaiono sotto forma d'incidenti critici e di<br />
conflitti. E' uno strumento fondamentale <strong>del</strong>la regolazione dei conflitti, un luogo<br />
di confronto, di espressione, è il centro motore <strong>del</strong> gruppo.Durante le riunioni <strong>del</strong><br />
Consiglio viene tenuto un verbale.<br />
Quali tecniche possono organizzare le attività e attivare la cooperazione nel<br />
gruppo?<br />
– la drammatizzazione:<br />
1
Attraverso la drammatizzazione gli alunni possono creare una situazione reale o<br />
immaginaria, inventare gli svolgimenti, i vari personaggi, le azioni , gli scambi e<br />
le interazioni. Qui l'insegnante o l'educatore può ispirarsi <strong>del</strong>le tecniche di lavoro<br />
di Augusto Boal <strong>del</strong> teatro <strong>del</strong>l'oppresso oppure dalle tecniche di distanziamento<br />
<strong>del</strong> teatro di Brecht. Qui il linguaggio dei gesti e <strong>del</strong>lo spazio; gesti, movimenti,<br />
corpi,oggetti che interagiscono, suoni e voci. Espressione verbale e non<br />
s'integrano e creano un nuovo contesto comunicativo che funziona come<br />
mediatore attivo e creatore di uno spazio simbolico di rielaborazione dei vissuti.<br />
La drammatizzazione è una tecnica che favorisce l'espressione <strong>del</strong>le emozioni e<br />
dei sentimenti in un contesto dove la conflittualità viene regolata dalla<br />
mediazione <strong>del</strong>la scenografia e dalle regole <strong>del</strong> “palcoscenico”; fa nascere<br />
interessi e motivazioni nuove; fa rivivere in modo mediato e diverso fatti e<br />
situazioni dolorose e conflittuali. L'educatore è il regista-facilitatore che propone<br />
un titolo, un tema, un argomento partendo da una situazione, un incidente critico<br />
proposto dagli studenti,dopo un brainstorming dove vengono indicate su un<br />
cartellone le “parole sporgenti”.<br />
– Il brainstorming:<br />
La “tempesta nel cervello” permette agli alunni di proporre quello che passa loro<br />
per la testa senza preoccuparsi di valutare; la valutazione, l'analisi viene fatta in<br />
un secondo tempo. Con un giro di parole vengono coinvolti tutti (un modo per<br />
dare una “misura” a chi parla troppo), di stimolare la creatività e di mantenere,<br />
attraverso questo “gioco”, di mantenere la concentrazione e l'attenzione. Il<br />
brainstorming non è solo utile nel risolvere i problemi che nascono in classe ma<br />
si applica anche alla didattica. Il brainstorming stimola gli alunni nella fase<br />
successiva <strong>del</strong>l'analisi <strong>del</strong>le parole sporgenti a sviluppare la propria capacità di<br />
problem solving; di farlo insieme, imparando in quel modo a fare una ricerca<br />
collettiva.<br />
– Il gioco <strong>del</strong>le carte:<br />
Si tratta semplicemente di trasferire concetti, parole, pensieri su <strong>del</strong>le carte (dei<br />
cartoncini) che diventano i mediatori <strong>del</strong>la costruzione di un discorso ragionato.<br />
Le carte si raccolgono (dopo un brainstorming dove vengono individuate parole<br />
sporgenti o parole chiave) e si discute liberamente sulla disposizione di queste<br />
parole. Questo gioco ripercorre le modalità <strong>del</strong> gioco <strong>del</strong> domino: ognuno ha a<br />
disposizione un certo numero di carte; inizia un alunno/a con una carta; le altre o<br />
gli altri seguono con parole collegate alla precedente. Il collegamento deve avere<br />
un suo senso logico. I partecipanti sono seduti in cerchio.<br />
– La consegna:<br />
Si tratta di decidere insieme agli alunni il lavoro da fare e come farlo. C'é qui<br />
l'idea di un coinvolgimento degli alunni nell'organizzazione stessa <strong>del</strong> lavoro; di<br />
adattare la consegna al gruppo e ad ogni membro <strong>del</strong> gruppo. La consegna<br />
1
avviene tramite un processo di co-decisione; è anche un modo per verificare il<br />
livello di comprensione degli alunni ma anche per orientare il lavoro da fare; la<br />
consegna deve essere chiara e l'alunno in quel modo attiva un processo di autocontrollo<br />
<strong>del</strong> suo progresso nell'apprendimento. Costituisce un’occasione per<br />
stimolare le capacità di auto-organizzazione e anche di auto-valutazione.<br />
L'insegnante attiva dei supporti e agisce come un consulente che può essere<br />
chiamato liberamente dall'alunno. Si attiva anche la cooperazione in classe<br />
tramite il supporto di chi ha capito a chi non ha capito; perciò sono i pari a<br />
ripetere e trasmettere di nuovo la o le consegne a chi è arrivato dopo o a chi non<br />
ha capito.<br />
– gruppi casuali: Gruppi costituiti a caso senza tener conto degli interessi, <strong>del</strong>le<br />
preferenze e <strong>del</strong>le capacità. Si può utilizzare la tecnica <strong>del</strong> sorteggio: si tratta di<br />
favorire la comunicazione tra studenti eterogenei per origine e caratteristiche; un<br />
modo per passare dal gruppo con il "leader carismatico" al gruppo cooperativo.<br />
– gruppi d'interesse: Il gruppo si costituisce sulla base di un interesse comune per<br />
una attività o un argomento.<br />
– gruppi di livello: il gruppo si costituisce sul livello di apprendimento e<br />
competenze raggiunto dagli studenti.<br />
– gruppi "affettivi" o per simpatie: gli studenti si aggregano per simpatie<br />
personali.<br />
Le diverse forme di organizzazione di gruppo hanno come obiettivo di favorire gli<br />
apprendimenti, facilitare la comunicazione e lo scambio tra studenti e tra studenti e<br />
docente.<br />
– tutoring:<br />
Gli allievi meno in difficoltà aiutano quelli con più difficoltà. Attraverso questo<br />
supporto tra pari l'alunno che insegna impara e quello che impara si sente incluso<br />
nel processo di apprendimento <strong>del</strong>la classe. È Un modo per attivare dei processi di<br />
mutuo-aiuto e di solidarietà.<br />
– la scatola <strong>del</strong>le proteste:<br />
Si permette agli alunni di esprimersi attraverso dei bigliettini che vengono<br />
raccolti ogni 15 giorni o ogni mese dentro una scatola (una specie di cassetta<br />
<strong>del</strong>la posta <strong>del</strong>la classe); la classe nomina un responsabile che ha il compito di<br />
aprire la posta, di leggerla e proporre al gruppo classe quello che é emerso.<br />
– Le inchieste di classe:<br />
1
Il gruppo classe, insieme all'insegnante, propone di condurre una inchiesta nella<br />
scuola dentro o fuori dalla classe su <strong>del</strong>le tematiche che vengono proposte<br />
periodicamente. Gli studenti diventano dei ricercatori e dei giornalisti, dei<br />
cronisti. Si possono elaborare questionari, proporre interviste con registrazioni e<br />
riprese-video, si organizza il montaggio <strong>del</strong>le riprese e poi vengono presentati a<br />
tutta la scuola i risultati <strong>del</strong> lavoro. Il metodo é quello <strong>del</strong>la ricerca-azione<br />
partecipata.<br />
– Il metodo di pedagogia cooperativa di Freinet.<br />
La pedagogia elaborata e sperimentata da Freinet é una pedagogia che fa <strong>del</strong>la<br />
cooperazione, <strong>del</strong> mutuo-aiuto e <strong>del</strong>la solidarietà in classe il principio<br />
organizzatore di tutta la sua pratica educativa. Una pedagogia interattiva di<br />
gruppo che attiva un processo di apprendimento collettivo e differenziato che<br />
tenga conto dei bisogni e <strong>del</strong>le caratteristiche di ognuno. Freinet fa <strong>del</strong>l'educatore<br />
un facilitatore degli apprendimenti che deve garantire l'eguaglianza <strong>del</strong>le<br />
opportunità. Attraverso l'articolazione tra "piano generale <strong>del</strong> gruppo classe" e il<br />
"piano individualizzato" di ogni singolo alunno crea un contesto di<br />
apprendimento in grado di rispettare tempi e ritmi differenziati. Tra le tecniche di<br />
lavoro educativo inventate da Freinet troviamo: il giornale murale in classe ma<br />
anche nella scuola, lo schedario autocorrettivo (calcolo e lingua) per ogni alunno<br />
(un modo per promuovere l'autogestione degli apprendimenti e anche<br />
l'autovalutazione), lo schedario documentario <strong>del</strong>la classe (oggi si può usare il<br />
computer), la Biblioteca di lavoro <strong>del</strong>la classe con un sistema di gestione <strong>del</strong><br />
prestito fatto dagli alunni stessi, uno schedario cooperativo che raccoglie i centri<br />
d'interesse (argomenti, tematiche, hobby) di tutta la classe, il piano di lavoro<br />
generale (che é il piano <strong>del</strong> processo di studio concordato collettivamente), il<br />
giornale scolastico (gestito dagli studenti), i quaderni di esperienze (scolastiche,<br />
di studio ma anche sociali), quaderni di osservazione (durante uscite e visite), il<br />
testo libro, la scatola <strong>del</strong>le domande, la corrispondenza interscolastica tra classi<br />
di diverse scuole o tra classi <strong>del</strong>la stessa scuola, conferenze degli allievi<br />
organizzate nell'ambito <strong>del</strong>la classe o rivolte a tutta la scuola, ateliers e laboratori.<br />
•la tipografia in classe e il computer:<br />
Di fronte alla difficoltà di coinvolgere i suoi piccoli alunni <strong>del</strong>le campagne <strong>del</strong><br />
sud <strong>del</strong>la Francia Freinet tenta di comprendere cos’è che interessa gli alunni. Si<br />
rende conto che non può insegnare loro a scrivere e leggere con il solito<br />
approccio didattico. Partendo dall’interesse dei ragazzi per il lavoro manuale<br />
propone loro di costruire con il legno la propria tipografia. Da lì parte<br />
l’apprendimento <strong>del</strong>la lettura e <strong>del</strong>la scrittura che si fa globale perché parte dai<br />
vissuti e gli interessi dei ragazzi. Oggi la tipografia in classe non avrebbe senso<br />
con l’arrivo <strong>del</strong> computer ma questo può svolgere una funzione molte simile<br />
perché è uno strumento e un tipo di linguaggio che usano ormai tutti i ragazzi<br />
italiani o stranieri. Potrebbe essere interessante sviluppare per l’apprendimento<br />
1
<strong>del</strong>la lingua italiana ma anche per comunicare in lingue straniere con alunni dei<br />
paesi di provenienza degli adolescenti presenti nei centri. Potrebbe essere<br />
impostato un lavoro di corrispondenza interscolastica tramite la mediazione <strong>del</strong><br />
computer; potrebbe essere fatto la stessa cosa con altre scuole italiane.<br />
Alcune tecniche di gestione pedagogica <strong>del</strong> gruppo:<br />
Un'importante distinzione va fatta tra gli strumenti <strong>del</strong>l'azione didattica e pedagogica<br />
che sono gli oggetti organizzatori <strong>del</strong>l'azione (vedi ausili tecnici, testi e<br />
organizzazione materiale <strong>del</strong>lo spazio) e le tecniche che sono le modalità di<br />
applicazione <strong>del</strong>l'approccio metodologico.<br />
1) l'uso <strong>del</strong> giornale scolastico multilingue:<br />
Costituire una redazione e fare elaborare dagli studenti un giornale scolastico con<br />
l'uso <strong>del</strong> computer.permettere ad ogni studente di scrivere nella propria lingua: agli<br />
italiani in italiano, agli stranieri nella propria lingua, con la traduzione italiana fatta<br />
da loro.Questo giornale può essere lo spazio <strong>del</strong> confronto e <strong>del</strong>lo scambio<br />
interculturale nelle classi e tra le classi.<br />
2) La scatola <strong>del</strong>le domande:<br />
Permettere agli alunni di fare domande o considerazioni sulle questioni che<br />
interessano e che sono legate alla vita scolastica ma anche alla loro vita sociale.<br />
Periodicamente consultare le domande e fare gestire dagli alunni stessi le modalità<br />
<strong>del</strong>le risposte e degli approfondimenti legati alle tematiche emerse.<br />
3) Conferenze degli allievi:<br />
Promuovere <strong>del</strong>le conferenze gestite dagli alunni su vari argomenti nelle singole<br />
classi ma anche rivolte a più classi contemporaneamente<br />
4) Il racconto biografico o autobiografico:<br />
Fare raccontare agli alunni le storie di migrazione presenti nelle proprie famiglie.<br />
Usare il metodo <strong>del</strong>l'intervista o <strong>del</strong>la comunicazione a distanza con i parenti che<br />
vivono fuori Italia o in altre regioni d'Italia. Il racconto o la narrazione <strong>del</strong>le storie<br />
familiari di migrazione permette di creare uno spazio comune in cui si può creare il<br />
contatto e lo scambio tra alunni italiani e stranieri.<br />
5) Il gioco degli specchi:<br />
Attraverso il brainstorming e la libera associazione <strong>del</strong>le parole (ad un parola<br />
collegarne un'altra) portare gli alunni a ragionare sul noi e il loro; sui pregiudizi degli<br />
uni e degli altri. L'insegnante deve essere il mediatore attivo che crea la situazione<br />
1
<strong>del</strong>lo specchiamento. Per esempio: abbinare altre parole alla parola italiano, nero,<br />
cultura, marocchino, immigrato, emigrato....<br />
6) I gruppi di ricerca azione:<br />
Il gruppo degli alunni è un gruppo di piccoli ricercatori in azione su diversi<br />
argomenti. La diversità, la differenza di genere, le regole, le differenze culturali, i<br />
linguaggi <strong>del</strong>le culture e <strong>del</strong>le discipline... I piccoli ricercatori usano diversi<br />
strumenti come la telecamera, il registratore… si occupano, con il supporto degli<br />
insegnanti, <strong>del</strong>l'elaborazione dei dati rilevati e <strong>del</strong>la loro rielaborazione. Il gruppo di<br />
ricerca restituisce successivamente a tutta la scuola il risultato <strong>del</strong> processo di ricerca.<br />
Può essere pubblicato nel giornale scolastico.<br />
7) Raccontarsi nel gruppo:<br />
Se il gruppo per esistere ha bisogno di sviluppare il senso <strong>del</strong> “Noi”, è necessario che<br />
ciascuno si senta accettato, stimato e senta che la propria presenza è importante per il<br />
gruppo. Prima che emergano le differenze che possono creare distanza affettiva e<br />
allentare i legami empatici, è necessario curare-sviluppare nel gruppo la trama dei fili<br />
che avvicinano le persone o i ragazzi. Ciascuno di noi ha sperimentato come dopo<br />
esperienze comuni si “scoprono” alcune persone che prima erano avvertite distanti<br />
dal nostro modo di sentire, o dopo chiacchierate informali dove ciascuno può<br />
scoprire il proprio lato più emotivo e scoprire quello degli altri.<br />
Soprattutto all'inizio <strong>del</strong>la vita di un gruppo la sensazione predominante è quella di<br />
estraneità che favorisce il manifestare comportamenti di diffidenza, freddezza<br />
emotiva, controllo <strong>del</strong>le proprie emozioni, riservatezza. Per questo molto spazio<br />
hanno le attività di conoscenza, sia giocando insieme, sia creando spazi di narrazione<br />
dove ciascuno possa raccontare momenti importanti <strong>del</strong>la propria vita e cominci a<br />
crearsi un sottile gioco di riconoscimenti reciproci che rendono gli altri “familiari”.<br />
Ciò che accomuna i membri di un gruppo, oltre agli obiettivi <strong>del</strong> gruppo stesso, sono<br />
proprio le esperienze di vita. Iniziare il lavoro in gruppo con il racconto di ciò che ci<br />
è successo di significativo nella vita fuori, ricrea ogni giorno o ogni volta il legame<br />
di empatia: infatti tutti i membri arrivano con un bagaglio di emozioni che spieganocondizionano<br />
l'umore e il comportamento. Se non si conoscono le cause di un<br />
silenzio, un broncio, un comportamento scostante, nervoso, è più facile addebitarlo<br />
alla personalità <strong>del</strong> ragazzo o <strong>del</strong> collega, favorendo l'instaurarsi di pregiudizi sulla<br />
persona. Sappiamo anche che quando in classe si dà uno spazio preciso alla<br />
narrazione <strong>del</strong>le proprie esperienze di vita, si attivano nuove energie perché c'è più<br />
fluidità tra il “fuori” e il “dentro” <strong>del</strong> gruppo. La frattura tra diversi momenti <strong>del</strong>la<br />
vita incide anche sulla motivazione a stare dentro ad un gruppo, soprattutto nei<br />
momenti di dolore o difficoltà è sempre difficile raccontare ad altri le proprie<br />
esperienze dolorose perché si ha il timore di sentirsi compatiti e non compresi, o<br />
1
giudicati incapaci. Quando si è costruito un clima di confidenza e comprensione, il<br />
gruppo di compagni/colleghi diventa il luogo di contenimento <strong>del</strong>le esperienze<br />
emotivamente più forti: il luogo dove si può esprimere la parte più profonda di sé<br />
sapendo di ricevere dagli altri il giusto supporto affettivo che ci permette di<br />
mantenere la fiducia nella vita. Nelle scuole purtroppo le esperienze dei ragazzi<br />
vengono invece ritenute degli intralci al lavoro scolastico o si confonde la terapia con<br />
la condivisione <strong>del</strong>le proprie esperienze. Il gruppo non può fare terapia, ma già il<br />
fatto di avere lo spazio per poter raccontare le proprie gioie, pene, domande,<br />
esperienze piccole e grandi predispone a sentire significativa l'esperienza di stare in<br />
gruppo. Si possono allora prevedere spazi all'inizio <strong>del</strong>la giornata, una volta alla<br />
settimana o al mese, dove il gruppo racconta ciò arricchisce e cementa i legami<br />
emotivi all'interno <strong>del</strong> gruppo.<br />
8) Come superare le difficoltà: la giusta distanza; la mediazione che<br />
accoglie e promuove la pluralità e la tolleranza:<br />
Anche i momenti di lavoro possono diventare occasioni di conoscenza personale e<br />
reciproca, grazie soprattutto all'intervento <strong>del</strong>l'insegnante che diventa lo specchio <strong>del</strong><br />
processo di apprendimento di ciascun allievo. Valorizzare significa “dare valore”,<br />
mettere quindi in evidenza i cambiamenti, le conquiste, le competenze che appaiono,<br />
che vengono rafforzate; è però altrettanto importante che le difficoltà di<br />
apprendimento non vengano nascoste ma affrontate dall'insegnante come una<br />
situazione da indagare per comprendere quali strategie insieme al ragazzo o alla<br />
classe possono essere messe in pratica per superarle. Fino a quando gli insegnanti<br />
vivono con indifferenza o senso di colpa i vari tipi di difficoltà o verbalizzano ai<br />
ragazzi solo ciò di cui si sentono scontenti, non aiuteranno gli allievi ad avere una<br />
idea reale di sé dove convivono competenze e difficoltà. Il processo di<br />
apprendimento porta con sé sempre <strong>del</strong>le ansie, perché ogni volta che i ragazzi<br />
devono affrontare un nuovo argomento o nuovi concetti o nuove discipline, vengono<br />
abitati da domande <strong>del</strong> tipo: “Riuscirò a capire?". In fondo la riuscita in ambito<br />
scolastico diventa un banco di prova per la loro autostima, anche quando c'è un<br />
manifesto disinteresse o rifiuto. Dietro a tali atteggiamenti c'è spesso la disperazione:<br />
i ragazzi si sentono incapaci a superare le difficoltà oppure sentono il peso di doversi<br />
tenere sempre all'altezza <strong>del</strong>le aspettative dei genitori e degli insegnanti, per cui si<br />
rifugiano nell'opposto, provocando ciò di cui hanno paura: il fallimento. L'insegnante<br />
che non teme di avere di fronte alunni in difficoltà ne fa oggetto di discussione in<br />
gruppo in modo da scoprire insieme gli elementi che le determinano e dare la giusta<br />
strategia per superarle: non processo per scoprire di chi è la colpa, ma quali sono i<br />
fattori che oggi mettono in difficoltà un alunno, e che domani ciascuno potrebbe<br />
ritrovare nel proprio percorso di vita. Dalla difficoltà di un singolo tutti riescono ad<br />
apprendere l'atteggiamento nei confronti <strong>del</strong>le difficoltà non passività o fuga, ma<br />
capacità di scoprirne le radici e poi assumere i giusti correttivi per superarle. Di<br />
giorno in giorno l'allievo acquisisce di sè un'immagine di persona in evoluzione, che<br />
si trasforma grazie alle esperienza <strong>del</strong>la vita e a quelle scolastiche. Ma per far questo<br />
occorrono spazi di riflessione, condotti dall'insegnante che regolamenta la<br />
discussione in modo che ognuno abbia lo spazio per dire ciò che pensa senza essere<br />
1
giudicato, perché tutto ciò che si dice mette in moto il pensiero di gruppo. Il ruolo<br />
<strong>del</strong>l'insegnante è anche quello di raccontare se ha vissuto esperienze analoghe e come<br />
sia riuscito ad affrontarle; o come abbia accettato che per alcune situazioni non esiste<br />
soluzione se non il convivere con quella difficoltà. L'esperienza umana<br />
<strong>del</strong>l'insegnante diventa così un bagaglio di sapienza che viene trasmessa alle nuove<br />
generazioni, un insieme di strumenti culturali e psicologici che gli allievi si<br />
ritroveranno nei momenti di bisogno. Un atteggiamento da evitare da parte<br />
<strong>del</strong>l'insegnante è quello <strong>del</strong>l' accanimento educativo , come Demetrio l'ha chiamato:<br />
il voler a tutti i costi risolvere i problemi familiari, psicologici, sociali dei propri<br />
allievi. Chi si trova in difficoltà deve essere aiutato a tollerare dentro di sé il dolore<br />
<strong>del</strong> fallimento con un atteggiamento sereno, né di conforto né di rabbia: ognuno fa<br />
quello che può. La complessità <strong>del</strong>la vita fa si che spesso i danni immaginati<br />
dall'insegnante sui ragazzi di alcune situazioni siano, per fortuna, ingigantiti, perché<br />
le risorse che ciascuno ha dentro di sé per affrontare le situazioni vanno<br />
semplicemente messe in luce da un occhio esperto. Portare la capacità di “pensare”<br />
intorno a una difficoltà per vederne i contorni e le possibili vie di uscita, può<br />
diventare fonte di cambiamento per tutto il gruppo che interiorizza una maggiore<br />
tolleranza di fronte alle frustrazioni che la vita comunque ci propone.<br />
1
L'approccio <strong>del</strong> cooperative learning di Johnson e Johnson nella gestione <strong>del</strong><br />
gruppo:<br />
Nelle classi il clima di lavoro è spesso competitivo, con alunni che vogliono<br />
dimostrare di essere i migliori o, al contrario, scoraggiati nel confronto con i<br />
compagni. Come modificare questo stato di cose mediante il metodo<br />
<strong>del</strong>l’apprendimento cooperativo nel gruppo classe? le componenti tecniche e<br />
ideali di questo approccio sono:<br />
Interdipendenza positiva<br />
Definizione di ruoli complementari<br />
Responsabilità individuale<br />
Interazione costruttiva<br />
Abilità sociali<br />
Valutazione individuale e di gruppo.<br />
I fratelli David e Roger Johnson (Università <strong>del</strong> Minnesota) hanno fornito un<br />
contributo straordinario e originale ad un vasto movimento di ricerca e attività<br />
scolastica indicato come Cooperative Learning, apprendimento cooperativo. In un<br />
libro intitolato “Apprendimento cooperativo in classe. Migliorare il clima emotivo e<br />
il rendimento” spiegano la loro metodologia; metodologia sperimentate con<br />
situazioni difficili (classi professionali composte da alunni con grossi fallimenti<br />
scolastici e sociali alle spalle) e con gruppo di alunni caratterizzati dalla loro<br />
composizione multiculturale ed etnica. Gli studi di psicologia sociale furono applicati<br />
al contesto scolastico da David e Roger Johnson e da altri ricercatori che svolsero<br />
numerose ricerche in cui si confrontavano l'apprendimento cooperativo con quello<br />
individualistico e competitivo.<br />
Cos'è l'apprendimento cooperativo?<br />
Cooperare significa lavorare insieme per raggiungere obiettivi comuni. All'interno di<br />
situazioni cooperative l'individuo singolo cerca di perseguire dei risultati che vanno a<br />
vantaggio suo e di tutti i collaboratori. L'apprendimento cooperativo è un metodo<br />
didattico che utilizza piccoli gruppi in cui gli studenti lavorano insieme per<br />
migliorare reciprocamente il loro apprendimento. Perciò si distingue sia<br />
dall'apprendimento competitivo che da quello individualistico. L'apprendimento<br />
cooperativo può essere applicato a ogni compito, ogni materia e ogni curricolo.<br />
L'apprendimento cooperativo rispetto ad altri tipi di insegnamento<br />
1
Il metodo di insegnamento/apprendimento cooperativo viene anche indicato come<br />
uno dei metodi “a mediazione sociale e pedagogica”. Nella modalità di insegnamento<br />
"con mediazione <strong>del</strong>l'insegnante", questi è la principale fonte <strong>del</strong>la conoscenza e <strong>del</strong><br />
sapere, stabilisce e valuta che cosa deve essere conosciuto, fissa il ritmo<br />
<strong>del</strong>l'apprendimento, suscita la motivazione o la recupera, facilita e individualizza<br />
l'apprendimento. Nella modalità «con mediazione sociale» le risorse e l'origine<br />
<strong>del</strong>l'apprendimento sono soprattutto gli allievi. Gli studenti si aiutano reciprocamente<br />
e sono corresponsabili <strong>del</strong> loro apprendimento, stabiliscono il ritmo <strong>del</strong> loro lavoro,<br />
si correggono e si valutano, sviluppano e migliorano le relazioni sociali per favorire<br />
l'apprendimento. L'insegnante è soprattutto un facilitatore e un organizzatore<br />
<strong>del</strong>l'attività di apprendimento. L'apprendimento cooperativo deve essere distinto da<br />
altre due modalità a mediazione sociale: l'insegnamento reciproco (peer tutoring) e la<br />
collaborazione tra pari (peer collaboration). Nell'insegnamento reciproco (peer<br />
tutoring) gli studenti in qualche modo rispecchiano le differenze esistenti tra<br />
insegnante e allievo: pur stando in coppia, uno di essi fa da “tutor” ossia segue, aiuta<br />
e incoraggia l'apprendimento <strong>del</strong>l'altro. Nella seconda (peer collaboration,<br />
collaborazione tra pari) gli studenti si trovano alla pari di fronte al compito da<br />
svolgere. Nessuno dei due è in una posizione migliore rispetto all'altro in relazione al<br />
contenuto <strong>del</strong> compito e ambedue devono aiutarsi e collaborare per portare a termine<br />
il loro lavoro di apprendimento. Rispetto a queste due modalità, l'apprendimento<br />
cooperativo propone un gruppo composto da più persone impegnate su un compito<br />
che realizza un'interdipendenza positiva tra i membri <strong>del</strong> gruppo, caratteristica<br />
fondamentale <strong>del</strong> Cooperative Learning. Per interdipendenza positiva si intende una<br />
relazione indispensabile tra i membri di un gruppo per conseguire un risultato; una<br />
volta conseguito questo, non è più possibile attribuire a una persona soltanto quanto è<br />
stato realizzato.<br />
Le diverse modalità di apprendimento cooperativo<br />
Si sono sviluppate diverse correnti o modalità di Cooperative Learning. Esse vanno<br />
sotto il nome di Learning together, Student Team Learning, Group Investigation,<br />
Structural Approach, Complex Instruction e Collaborative Approach .<br />
Lo Student Team si caratterizza soprattutto per l'attenzione rivolta alla motivazione<br />
estrinseca, la prospettiva <strong>del</strong> conseguimento di qualche ricompensa. Il ruolo<br />
<strong>del</strong>l'insegnante è quello di organizzare i gruppi secondo principi corretti di<br />
eterogeneità, di presentare ricompense stimolanti, di stilare e promulgare le<br />
classifiche di gruppo.<br />
Il Group Investigation (sviluppatosi soprattutto nell'ambiente israeliano) sottolinea<br />
come l'elemento che stimola l'apprendimento sia soprattutto il “desiderio di<br />
conoscere”. Un gruppo si muove alla ricerca di una conoscenza se è adeguatamente<br />
stimolato da un problema. Il lavoro di ricerca struttura la comunicazione tra i membri<br />
dei gruppo, l'apprendimento, la motivazione e la valutazione. Il ruolo principale<br />
<strong>del</strong>l'insegnante è quello di suscitare l'interesse su un problema, suddividere il lavoro<br />
di ricerca tra i membri dei gruppo o <strong>del</strong>la classe e promuovere la collaborazione.<br />
1
Lo Structural Approach è una modalità che si sviluppa dalla necessità di<br />
predisporre <strong>del</strong>le strutture di lavoro che garantiscano un'interdipendenza positiva<br />
effettiva, in modo da raggiungere alcuni dei principali obiettivi <strong>del</strong> metodo<br />
cooperativo.<br />
Il Complex Instruction organizza l'interdipendenza positiva come una<br />
interdipendenza di abilità tra i membri <strong>del</strong> gruppo: Il ruolo <strong>del</strong>l'insegnante è quello di<br />
individuare compiti complessi che richiedano una varietà di abilità per essere portati<br />
a termine.<br />
Nel Collaborative Approach la collaborazione è più una struttura funzionale a<br />
obiettivi sociali o di apprendimento che non una struttura di gruppo con<br />
interdipendenza di obiettivi, risorse, ruoli o materiali di riferimento ai quali il gruppo<br />
struttura il suo lavoro di apprendimento.<br />
La modalità Learning Together di Johnson e Johnson :<br />
Il Leaming Together di D.W. Johnson e R.T. Johnson è certamente la modalità che è<br />
stata oggetto dei maggior numero di ricerche sperimentali. Si fonda su cinque<br />
elementi essenziali: l'interdipendenza positiva, l'interazione diretta costruttiva, le<br />
abilità sociali. la responsabilità individuale e la valutazione <strong>del</strong> lavoro di gruppo.<br />
L'interdipendenza positiva è una struttura che vincola i membri di un gruppo nel<br />
raggiungimento di uno scopo. Si devono assegnare compiti chiari e un obiettivo<br />
comune in modo che gli studenti capiscano che è una questione di “uno per tutti e<br />
tutti per uno”. L'interdipendenza positiva è raggiunta quando i membri <strong>del</strong> gruppo<br />
comprendono che il rapporto di collaborazione che li unisce è tale per cui non può<br />
esistere successo individuale senza successo collettivo. Il fallimento <strong>del</strong> singolo è il<br />
fallimento <strong>del</strong> gruppo. L'interdipendenza positiva induce gli studenti a impegnarsi<br />
per la riuscita <strong>del</strong>le altre persone come per la propria e sta alla base<br />
<strong>del</strong>l'apprendimento cooperativo: niente interdipendenza positiva, niente<br />
cooperazione.<br />
L'interazione diretta costruttiva si riferisce ai comportamenti con cui i membri dei<br />
gruppo mostrano interesse per il raggiungimento <strong>del</strong>l'obiettivo: contribuiscono con<br />
idee e lavoro, si ascoltano reciprocamente manifestandosi fiducia e non temono di<br />
esporre la propria opinione perché sono sicuri che può contribuire a migliorare il<br />
risultato. Sebbene l'obiettivo sia unico per il gruppo e tutti concorrano al suo<br />
conseguimento, i membri devono mantenere la loro responsabilità individuale in ciò<br />
che viene fatto. La responsabilità individuale è possibile attraverso la valutazione<br />
<strong>del</strong>le prestazioni di ogni singolo, così che si possa identificare chi richieda più<br />
assistenza, sostegno e incoraggiamento nello svolgimento dei compiti assegnati. Lo<br />
scopo dei gruppi di apprendimento cooperativo è anche quello di rafforzare la<br />
1
competenza individuale di ogni membro <strong>del</strong> gruppo: gli studenti imparano insieme<br />
per poter in seguito fornire prestazioni migliori singolarmente.<br />
La valutazione individuale e/o di gruppo è un chiaro messaggio che un gruppo non<br />
sostituisce l'individuo, ma lo aiuta a far meglio e a raggiungere mete a cui il singolo<br />
studente, da solo, non potrebbe arrivare. Nella valutazione di gruppo i membri<br />
verificano e discutono i progressi compiuti verso il raggiungimento degli obiettivi e<br />
l'efficacia dei loro rapporti di lavoro. I gruppi devono identificare e descrivere quali<br />
azioni dei membri siano positive o negative e decidere quali tipi di comportamento<br />
mantenere o modificare. Per migliorare il processo di apprendimento occorre infatti<br />
analizzare attentamente le modalità di lavoro collettivo <strong>del</strong> gruppo e le possibilità di<br />
migliorarne l'efficacia. Se queste sono le condizioni per un gruppo efficiente, per<br />
produrle concretamente in classe non è mettere <strong>del</strong>le persone a lavorare insieme. La<br />
collaborazione richiede infatti <strong>del</strong>le competenze comunicative e sociali che non<br />
sempre gli studenti possiedono, per cui devono essere insegnate. Pertanto un altro<br />
elemento essenziale <strong>del</strong>l'apprendimento cooperativo consiste nell'insegnare agli<br />
studenti le abilità necessarie nei rapporti interpersonali all'interno <strong>del</strong> piccolo gruppo.<br />
Nei gruppi di apprendimento cooperativo gli studenti devono imparare sia i contenuti<br />
<strong>del</strong>le materie scolastiche sia le abilità interpersonali e di piccolo gruppo necessarie<br />
per funzionare bene come parte <strong>del</strong> gruppo. L'apprendimento cooperativo è per sua<br />
natura più complesso <strong>del</strong>l'apprendimento competitivo o individualistico, perché gli<br />
studenti devono contemporaneamente occuparsi <strong>del</strong> lavoro sul compito e <strong>del</strong> lavoro<br />
di gruppo. I membri <strong>del</strong> gruppo devono saper sostenere efficacemente un ruolo di<br />
guida, prendere decisioni, creare un clima di fiducia, comunicare, gestire i conflitti<br />
ed essere motivati a usare le abilità richieste. Queste abilità sociali devono essere<br />
insegnate con la stessa consapevolezza e cura con cui si insegnano le abilità<br />
scolastiche. La necessità di un aiuto reciproco rende preferibile il gruppo eterogeneo<br />
nel quale le differenze di competenze sono una sono una risorsa e uno stimolo per il<br />
gruppo e per l'apprendimento di ciascuno. Gli inevitabili conflitti interni al gruppo<br />
possono essere controllati insegnando agli studenti a gestirli in modo costruttivo e<br />
positivo.<br />
L'efficacia <strong>del</strong> metodo di apprendimento cooperativo<br />
Si può affermare con un buon margine di sicurezza che la modalità <strong>del</strong> lavoro di<br />
gruppo cooperativo sia più efficace di altre, soprattutto per quanto riguarda i risultati<br />
scolastici, l'autostima, la motivazione e il recupero degli alunni più deboli. L'efficacia<br />
<strong>del</strong>l'apprendimento cooperativo è stata ampliamente dimostrata dalla ricerca di<br />
Johnson e Johnson che hanno preso in esame essenzialmente tre aspetti: impegno e<br />
motivazione nel lavoro, relazioni interpersonali costruttive e positive e benessere<br />
psicologico. La ricerca mostra che la cooperazione di solito permette di ottenere<br />
questi risultati:<br />
1. Aiuta a elevare il livello di tutti gli studenti: dotati, con rendimenti scolastici<br />
alti, medi e scarsi, in difficoltà.<br />
1
2. Aiuta a costruire relazioni positive tra gli studenti, essenziali per creare una<br />
comunità di apprendimento in cui la diversità sia rispettata e apprezzata.<br />
3. Fornisce agli studenti le esperienze di cui hanno bisogno per un sano sviluppo<br />
cognitivo, psicologico e sociale<br />
Naturalmente alcuni aspetti sono ancora oggetto di discussione e di<br />
approfondimento: l'inserimento di alunni con handicap grave, le modalità di<br />
Cooperative Learning in relazione a specifici obiettivi trasversali, la possibilità di<br />
sviluppare questo metodo combinandolo con altri (come il Mastery Learning e l'uso<br />
di nuove tecnologie come avviene nelle cosiddette «community of learners»), ecc<br />
La pratica <strong>del</strong> cooperative learning come strumento per acquisire le abilità<br />
sociali necessarie alla convivenza:<br />
Il successo degli studi, nel lavoro, nella vita dipende dalle abilità sociali. Le abilità<br />
sociali sono una chiave fondamentale per tutti gli aspetti <strong>del</strong>la nostra vita. Ogni volta<br />
che parliamo, giochiamo, interagiamo, lavoriamo con altri, stiamo usando abilità<br />
sociali. Il modo in cui gli individui interagiscono porta a un insieme di valori. Una<br />
seria competizione suggerisce che è importante che facciate meglio degli altri e il<br />
risultato è che la comunicazione è cauta e “non si dà via nulla”. Il lavoro<br />
individualistico vi isola dagli altri e vi focalizza sul vostro esclusivo successo.<br />
Viceversa, il setting cooperativo contiene un messaggio di inclusione accettazione e<br />
cura per gli altri che è non soltanto produttivo in sé ma è estremamente importante<br />
per ogni essere umano. Siamo nella situazione peggiore quando restiamo isolati dagli<br />
altri per un lungo periodo di tempo. I consultori matrimoniali, psicologici e<br />
psicoterapeutici sono fondati sulle relazioni con gli altri e sui modi di rafforzarle.<br />
Perché quindi insistere a scuola per avere studenti in competizione per la maggior<br />
parte <strong>del</strong> tempo o facendoli lavorare con l’obbligo di “non copiare”, di “fare da soli il<br />
proprio compito” e di “non parlare durante la lezione”? Anche se i tre diversi mo<strong>del</strong>li<br />
di interazione (cooperazione, competizione, individualistico) sono utili in diversi<br />
momenti <strong>del</strong>la vita di classe, una classe prevalentemente cooperativa è più<br />
produttiva, è vista in modo più positivo, accetta (e apprezza) di più la diversità ed è<br />
psicologicamente più equilibrata.<br />
David e Roger Johnson hanno descritto le tre “C” <strong>del</strong>le scuole aperte ed efficaci:<br />
• La prima “C” è la Cooperazione dove gli allievi lavorano in gruppi di<br />
apprendimento cooperativo e in scuole cooperative, dove gli insegnanti<br />
lavorano assieme verso obiettivi condivisi e organizzano il lavoro cooperativo<br />
per i loro studenti.<br />
2.La seconda “C” è il Conflitto e la sua risoluzione costruttiva per mezzo di<br />
norme costruite appositamente.<br />
1
3.La terza “C” sono i Valori Civici che permeano le classi e la scuola dove le<br />
prime due “C” sono realizzate.<br />
Il setting cooperativo promuove i valori i valori necessari per essere un buon membro<br />
<strong>del</strong>la famiglia, un buon vicino di casa, un buon membro <strong>del</strong>la comunità. Se<br />
osserviamo un insegnante esperto di Cooperative Learning al lavoro notiamo un gran<br />
numero di valori che vengono sviluppati nel processo cooperativo:<br />
1.Impegno verso gli altri membri <strong>del</strong> gruppo e gli obiettivi condivisi, E’ questo il<br />
marchio di garanzia <strong>del</strong> cooperative learning: “su questo compito, se vuoi avere<br />
successo, devi preoccuparti degli altri membri <strong>del</strong> tuo gruppo tanto quanto di te<br />
stesso”. Chiederci “Come faremo?” piuttosto che “Come farò?”.<br />
2.Responsabilità verso sé e verso gli altri. La responsabilità verso gli altri è dare<br />
aiuto quando è necessario, incoraggiare e sostenere gli sforzi degli altri, metterli a<br />
loro agio con gli sforzi <strong>del</strong> gruppo. La responsabilità verso sé è fare la propria parte<br />
<strong>del</strong> lavoro di gruppo, chiedere aiuto quando vi serve, allontanarvi dal gruppo per<br />
sapere di più.<br />
3.Valutazione <strong>del</strong>la diversità. Dato che i singolari talenti, abilità, intuizioni e<br />
conoscenze di ciascun membro <strong>del</strong> gruppo contribuisce ad aumentare le risorse <strong>del</strong><br />
gruppo, la cosa migliore è quella di massimizzare la diversità <strong>del</strong> gruppo. I gruppi<br />
che raggiungono rapidamente il consenso e finiscono prima sono spesso gruppi i cui<br />
membri sono troppo simili. Anche quando studenti con simili abilità sono assegnati<br />
allo stesso gruppo, altri tipi di diversità dovranno essere massimizzate.<br />
4.Rispetto per gli altri e per le loro idee, opinioni e atteggiamenti. Il rispetto cresce<br />
man mano che i gruppi lavorano, discutono, analizzano e celebrano assieme.<br />
5.Integrità. Avere integrità nelle relazioni con gli altri è quasi sempre la cosa più<br />
semplice da fare nel lungo periodo ed è anche la cosa più facile da fare nel breve<br />
periodo, in una relazione cooperativa.<br />
6.Prendersi cura degli altri. La ricerca dimostra che anche gli studenti “difficili da<br />
accettare” vengono accettati e graditi perché hanno partecipato agli sforzi di un<br />
gruppo che ha meritato un premio.<br />
7.Compassione. Quest’ultimo valore proviene dal poter assumere la prospettiva degli<br />
altri e vedere almeno parte <strong>del</strong>le cose che essi vedono. La compassione tende a<br />
risultare dagli sforzi cooperativi dei membri che lavorano assieme.<br />
1<br />
Alain Goussot<br />
Prof. Facoltà di Psicologia<br />
Università degli Studi di Bologna
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Zanatta A. L. (2003), Le nuove famiglie, 2. ed. aggiornata, Bologna: il Mulino -<br />
142p.; 20 cm.<br />
1
IL MEDIATORE IN ABRUZZO (Dott. G. Zappacosta)<br />
Sono passati più di 6 anni dalla messa in opera <strong>del</strong>la figura <strong>del</strong> mediatore culturale,<br />
dopo i primi corsi di formazione; corsi che erano indirizzati alla formazione di un<br />
profilo professionale sulla base <strong>del</strong>le esperienze di altri Paesi europei,<br />
particolarmente di quelle francese e tedesca.<br />
Crediamo che quei corsi di 200-700 ore contenessero i temi fondamentali per<br />
preparare un mediatore che conoscesse la lingua italiana e appartenesse alla cultura<br />
di un gruppo etnico presente sul territorio italiano; ovvero acquisire una conoscenza<br />
di base <strong>del</strong>l'antropologia, <strong>del</strong>le norme e <strong>del</strong>le leggi italiane nei diversi servizi socioassistenziali,<br />
socio-sanitari ed educativi e capace di comunicare con competenza tali<br />
conoscenze.<br />
I primi corsi erano così: dei punti di partenza per rendere operativa la figura <strong>del</strong><br />
mediatore, per formulare una definizione reale <strong>del</strong> ruolo e <strong>del</strong>la funzione e per<br />
<strong>del</strong>inearne gli ambiti ed i percorsi; cioè un quadro di riferimento capace di definire e<br />
qualificare la figura professionale <strong>del</strong> mediatore culturale.<br />
Sono passati, come dicevo, 6 anni da quando è iniziato questo percorso e la Regione<br />
Abruzzo, tra le prime Regioni d'Italia, già dal 2002, stava pianificando la produzione<br />
di un Repertorio di figure professionali sociali, cui affidare la gestione condivisa dei<br />
servizi sociali, nella lungimirante prospettiva di affiancare ad un Piano Sociale<br />
Regionale di altissimo livello, idonee e cospicue professionalità a supporto dei<br />
bisogni di anziani, minori, disabili ed immigrati.<br />
Accidentali travagli meramente politici e preclare e faziose incompetenze di parte ne<br />
hanno impedito la formulazione scientifica che già aveva ingenerato la preziosa<br />
guida agli standard <strong>del</strong>le strutture socio-assistenziali e socio-sanitarie a cura <strong>del</strong><br />
Servizio Qualità dei Servizi Sociali <strong>del</strong>la Direzione Qualità <strong>del</strong>la Vita.<br />
Il potere sostitutivo esercitato per autotutela e per osmosi istituzionale dalla<br />
Direzione Palfi ha evitato, fortunatamente, la dispersione <strong>del</strong>la conoscenza e di<br />
quanto fin qui prodotto, operando una scelta propedeutica di approccio a due figure<br />
professionali sociali emergenti e con altissimo livello di offerta lavorativa:<br />
l'Assistente Familiare, comunemente nomato Badante, e il Mediatore Culturale nelle<br />
Scuole di ogni ordine e grado.<br />
La prima esigenza ha coinciso con il dato Istat che vuole la nostra Regione come la<br />
seconda con più alta presenza di anziani in Italia dopo la Liguria. La seconda<br />
emergenza ha riguardato la Regione meridionale con il più alto trend di presenze di<br />
immigrati nel proprio territorio (5,7% rispetto al 2,4% di media meridionale).<br />
La fortunata ed entusiastica adesione al Progetto "Servire Mediando" da parte <strong>del</strong>la<br />
Direzione Scolastica Regionale e, precipuamente, <strong>del</strong> suo Direttore Carlo Petracca, ci<br />
ha consentito, agendo con il supporto tecnico <strong>del</strong>l’ufficio competente, di costruire un<br />
percorso atto a sviluppare un mo<strong>del</strong>lo di integrazione libero dalla paura <strong>del</strong>la<br />
diversità e senza anteporre l'idea <strong>del</strong>la sicurezza al fenomeno <strong>del</strong>l'immigrazione;<br />
fenomeno ormai internazionale condizionato da una situazione socio-economica a<br />
livello mondiale che deve fare i conti con la distribuzione <strong>del</strong>le risorse e <strong>del</strong>lo<br />
sviluppo fra il Nord ed il Sud <strong>del</strong> mondo.<br />
Il prossimo passo dovrà essere, nei limiti <strong>del</strong>la vigente normativa in materia, la<br />
costituzione di un Registro regionale dei mediatori culturali che consenta agli Istituti<br />
1
Scolastici di attingere alle professionalità presenti per integrare l'attività didattica con<br />
quella di accompagnamento e di auto-aiuto allo scopo di favorire l'armonia fra<br />
italiani e stranieri o fra ruoli diversi senza negare i diritti o gli sforzi di ognuno, per<br />
ritrovarci insieme sulla strada <strong>del</strong>lo sviluppo di una società più sana e più ricca dalla<br />
e nella diversità.<br />
Nell’ultimo decennio, i grandi cambiamenti che hanno attraversato il tessuto<br />
sociale, nonché la diffusione di servizi a bassa soglia per la mediazione culturale,<br />
l’educativa di strada, l’inserimento socio-lavorativo di soggetti svantaggiati, hanno<br />
motivato la nascita di numerose figure professionali di “contatto”.<br />
Per la mediazione culturale con soggetti provenienti da culture diverse da quella<br />
italiana è richiesta la conoscenza di una o più lingue straniere parlate dagli<br />
immigrati presenti nel territorio, la conoscenza <strong>del</strong>la cultura o meglio la<br />
provenienza da uno dei paesi extra-comunitari e la capacità di mediare tra culture,<br />
abitudini, stili di vita diversi. Si tratta di un lavoro che può offrire sbocchi<br />
occupazionali agli immigrati stessi, pertanto dovranno essere indicate le procedure<br />
di accertamento dei titoli di studio conseguiti all’estero o, in sostituzione,<br />
accertamento di competenze.<br />
Gli operatori <strong>del</strong>la promozione sociale devono sviluppare competenze per interventi<br />
di strada, nelle scuole e in altri contesti aggregativi. Ovviamente le attività messe in<br />
atto dipendono principalmente dall’obiettivo <strong>del</strong> progetto. Generalmente si tratta<br />
prevalentemente di interventi di prevenzione primaria e secondaria a bassa soglia,<br />
mentre la prevenzione terziaria o riduzione <strong>del</strong> danno sono meno diffuse.<br />
Ai profili di inserimento lavorativo sono richieste competenze di orientamento,<br />
motivazione e sostegno nei confronti di persone che hanno difficoltà ad<br />
entrare/rientrare nel mercato <strong>del</strong> lavoro e di sfruttare le opportunità <strong>del</strong> territorio.<br />
Mediatore culturale. Nome e profilo sono in discussione nella maggior parte <strong>del</strong>le<br />
regioni italiane; c’è convergenza nella scelta di aprire questa qualifica a persone<br />
immigrate, con una buona conoscenza <strong>del</strong> territorio in cui vivono, ma al tempo<br />
stesso abbiano conservato contatti, conoscenze, interesse per la cultura di<br />
provenienza; questi requisiti sociali portano a non restringere in modo<br />
eccessivamente rigido i titoli di istruzione richiesti in accesso ai corsi. Va comunque<br />
assicurato il possesso di una buona conoscenza <strong>del</strong>la lingua e cultura italiana<br />
mediante la certificazione in accesso al corso e l’offerta di moduli integrativi che<br />
l’allievo potrà seguire prima o durante il corso per mediatore. Come per tutte le<br />
figure che svolgono funzioni di accoglienza e orientamento nella rete dei servizi, è<br />
indispensabile uno stretto rapporto con l’assistente sociale che mantiene il ruolo di<br />
garanzia, tutela e presa in carico <strong>del</strong>le situazioni critiche e multi-problematiche.<br />
Mediatore - promotore sociale. Operatore che, nell’ambito <strong>del</strong>la mediazione sociale,<br />
svolge attività finalizzata allo sviluppo <strong>del</strong>le potenzialità <strong>del</strong>le persone o dei gruppi e<br />
alla promozione di processi di prevenzione <strong>del</strong> disagio, inserimento e partecipazione<br />
sociale (educativa di strada, interventi di prevenzione primaria e secondaria, ecc.).<br />
Il promotore sociale progetta e gestisce attività di carattere socio-educativo,<br />
culturale, di prevenzione a diretto contatto con adolescenti e adulti in stato di<br />
disagio, tossicodipendenti, persone con disturbi psichici, ecc.<br />
1
Molti operatori provengono da studi universitari sulla formazione e sull’educazione.<br />
Altri hanno, ad esempio, un diploma magistrale, di educatore professionale, di<br />
operatore di comunità o di addetto all’assistenza. Il problema centrale, però,<br />
sembra essere quello <strong>del</strong>la formazione in itinere poiché spesso sono carenti o<br />
assolutamente mancanti percorsi di aggiornamento promossi a livello regionale.<br />
Mediatore <strong>del</strong>l’inserimento lavorativo. Sono richieste competenze di orientamento,<br />
motivazione e sostegno nei confronti di persone che hanno difficoltà ad<br />
entrare/rientrare nel mercato <strong>del</strong> lavoro e di sfruttare le opportunità <strong>del</strong> territorio.<br />
L’operatore aiuta il soggetto ad avere fiducia nelle proprie capacità, prendere<br />
consapevolezza dei diritti sociali, uscire da isolamento e auto-esclusione; insegna a<br />
sostenere un colloquio di lavoro, preparare un curriculum, reggere gli eventuali<br />
insuccessi, ecc. L’operatore deve saper dialogare con il tessuto imprenditoriale <strong>del</strong><br />
territorio; diffondere informazioni sulle agevolazioni economiche (tirocinio, borsa<br />
lavoro, ecc.), individuare nelle aziende le posizioni di lavoro più adatte ai soggetti<br />
svantaggiati, mantenere collegamenti e collaborazioni continue con responsabili<br />
<strong>del</strong> personale, artigiani, capi operai. L’operatore infine deve saper esercitare la<br />
funzione di tutor interno all’azienda, soprattutto nelle cooperative sociali di<br />
inserimento (tipo B) per addestrare e supportare i soggetti inseriti. Considerando<br />
l’ampiezza dei compiti che possono essere affidati a questa figura è importante che<br />
abbia completato la scuola secondaria superiore e la qualifica sia di secondo livello,<br />
ovvero il ruolo può essere esercitato da un educatore laureato o da un assistente<br />
sociale con esperienza.<br />
Dott. Giancarlo Zappacosta<br />
Dirigente <strong>del</strong> Servizio Politiche <strong>del</strong>l’Istruzione,<br />
<strong>del</strong>l’Educazione e <strong>del</strong> Diritto allo Studio<br />
<strong>del</strong>la Regione Abruzzo<br />
1
SPERANZA ED EDUCAZIONE (Prof. A. Goussot)<br />
Sentendo i media sembra che ci sia solo il mondo <strong>del</strong>le borse, <strong>del</strong>le banche, la paura<br />
<strong>del</strong>l’altro diverso da sé, l’insicurezza, l’angoscia esistenziale di un domani che non si<br />
controlla perché non si controlla l’oggi, la disperazione dei tanti che non sanno più<br />
reagire e dare un senso alla propria esistenza, la violenza e l’aggressività verso<br />
l’immigrato, il fastidio verso la vita stessa che diventa noia nel momento in cui non<br />
si è più sottoposto all’eccitazione pubblicitaria dei media. Tutto sembra essere<br />
mortifero, tutti sembrano dominati dal narcisismo e la vanità <strong>del</strong>la società <strong>del</strong>lo<br />
spettacolo, tutto sembra incontrollabile e incomprensibile. Sono anni che si tenta di<br />
distruggere la speranza di un futuro migliore, la capacità di sognare, quello che Ernst<br />
Bloch chiamava “l’utopia concreta” cioè la capacità di trascendere se stesso per<br />
costruire un mondo più giusto e umano per le future generazioni partendo dai gesti<br />
<strong>del</strong>la vita quotidiana. Poi vi è il mondo virtuale che ci presenta la televisione; un<br />
paese che non esiste, un mondo distante dal paese reale e dai vissuti veri di milioni di<br />
persone ma anche un virtuale che svuota continuamente la capacità di sognare e<br />
l’utopia concreta di creare e costruire un mondo diverso. Il mondo virtuale dei media<br />
educa a guardare senza vedere e a sentire senza ascoltare: questo meccanismo<br />
pedagogico di captazione mentale <strong>del</strong>l’attenzione distrugge progressivamente<br />
l’attenzione profonda che è anche contemplazione tramite il linguaggio interiore che<br />
diventa pensiero critico e anche immaginazione. Pensiero critico e immaginazione<br />
vengono continuamente neutralizzati dall’eccitazione momentanea provocata dal<br />
bombardamento neuro-sensoriale provocato dai media televisivi e dall’industria<br />
culturale <strong>del</strong> consumismo pubblicitario. Siamo continuamente sottoposti ad una<br />
pressione sensoriale continua, dalle stazioni ai supermercati dove sono<br />
continuamente accesi degli schermi che ci bombardano di immagini e suoni, alle case<br />
private dove la televisione e internet diventano le nuove droghe <strong>del</strong>l’era<br />
‘postmoderna’. Tutto ciò ha un doppio effetto: l’irrazionale <strong>del</strong>l’eccitazione emotiva<br />
incontrollata ed immediata (l’impulso <strong>del</strong> guardare e consumare sul momento)<br />
disattiva qualsiasi possibilità di usare la ragione che richiede un’attenzione profonda<br />
e orientata alla comprensione <strong>del</strong> mondo e <strong>del</strong>le sue dinamiche. Si sente spesso dire<br />
che il mondo è ormai così complesso che non si può comprendere; la stessa parola<br />
complessità diventa un modo per affermare l’impossibilità di decodificare l’universo<br />
sociale, culturale e politico nel quale si vive. Il risultato è un mondo di adulti<br />
minorati e eterodiretti dalle potenze di captazione mentale <strong>del</strong> nuovo psicopotere dei<br />
media e <strong>del</strong> sistema <strong>del</strong>la pubblicità dei consumi. Ma vi è anche il grande lavoro<br />
culturale che educa a rinunciare a sognare e a trascendere se stesso nella relazione<br />
con l’altro e con l’umanità: esistono come mo<strong>del</strong>li solo i “piccoli narcisismi” di chi<br />
pensa solo a sé stesso dimenticando che questo sé stesso è comunque sempre il<br />
prodotto di un insieme di relazioni, l’immediatezza <strong>del</strong> momento diventa il valore<br />
assoluto, il consumare e il godere sul momento come atto compulsivo che svuota<br />
continuamente l’esistenza di senso e significato. Non vi è più nessun altro “orizzonte<br />
di senso” se non l’immediatezza e l’utilitarismo; si viene educato a non sperare oltre,<br />
a non pensare oltre, a non immaginare e sognare oltre. La speranza non esiste, anzi<br />
viene bandita e disattivata continuamente; non bisogna sperare in un mondo diverso,<br />
1
più umano e più giusto, non bisogna avere idee e usare idee per comprendere il<br />
proprio mondo vitale, ma soltanto consumare e accontentarsi di questo modo<br />
compulsivo di vivere. Per questo non vi è nulla da trasmettere ai figli e alle future<br />
generazioni; non ci si pone il problema di prendersi cura di loro perché se ne occupa<br />
l’industria culturale dei media e dei consumi; il neonato come il bambino di 10 anni<br />
o l’adolescente di 15 sono semplicemente dei potenziali consumatori che vanno<br />
addestrati al consumo, a non sognare, a non desiderare altro, a non pensare e quindi a<br />
non proiettarsi verso un futuro che possa trascendere la propria piccola persona.<br />
L’addestramento consiste nel distruggere qualsiasi capacità di sublimazione e di<br />
attenzione profonda cioè d’interiorità vera che sappia produrre significato e divenire<br />
così una “utopia concreta” perché in grado di cambiare la vita nella quotidianità<br />
facendo <strong>del</strong>l’essere umano un essere maggiorenne e sovrano nelle sue azioni;<br />
autonomo e insieme responsabile nell’esprimere la propria libertà nella relazione con<br />
gli altri e le future generazioni.<br />
Per queste ragioni il ruolo degli adulti rimane fondamentale come riferimento che<br />
può educare in un’altra maniera, educare all’alterità, alla conoscenza di sé, a pensare<br />
con la propria testa, ad assumersi le proprie responsabilità, a rispettare se stesso nella<br />
relazione con l’altro, allo sforzo consapevole per migliorarsi e migliorare la vita <strong>del</strong>le<br />
persone con le quali si è profondamente legati affettivamente, a lottare per<br />
un’umanità più giusta, ad indignarsi di fronte a tutte le forme di dominio e di<br />
negazione <strong>del</strong>la dignità umana partendo dalle relazioni <strong>del</strong>la vita di ogni giorno. Ma<br />
per educare il mondo degli adulti deve dimostrare di essere credibile tramite i propri<br />
comportamenti e le proprie azioni poiché questi dicono tante cose. I bambini e gli<br />
adolescenti guardano gli adulti, li prendono ad esempio oppure li considerano come<br />
poco attendibili perché incoerenti, senza coraggio, senza spinta ideale, senza passioni<br />
vere e autentiche. La scomparsa <strong>del</strong> conflitto generazionale è dovuta al fatto che gli<br />
adulti hanno perso credibilità agli occhi degli adolescenti, non vale la pena scontrarsi<br />
e confrontarsi con una generazione che ha paura <strong>del</strong>la propria ombra e si guarda<br />
continuamente l’ombelico, che non propone niente di significativo sul piano<br />
affettivo, ideale e umano; una generazione che pensa soltanto ad avere, consumare e<br />
apparire, una generazione incapace di piccoli e grandi sacrifici. Solo lì dove è<br />
possibile scontrarsi è possibile formarsi e autoformarsi. Ma vi sono ancora tante parti<br />
<strong>del</strong>la nostra società che lottano, vivono e trasmettono senso <strong>del</strong>l’umano; è vero a<br />
scuola, è vero nella vita di tutti giorni e in tante famiglie; vi sono tante realtà che si<br />
mobilitano per creare situazioni di riflessione collettiva e condivisione comunitaria;<br />
vi sono tante realtà associative e sociali che offrono possibilità d’incontro, di<br />
esperienza educativa e formativa, situazioni di apprendimento reciproco al senso<br />
<strong>del</strong>la cooperazione come principio basilare <strong>del</strong>l’esistenza. Il mondo degli adulti deve<br />
favorire l’incontro, il confronto, l’esperienza vissuta <strong>del</strong> fare e <strong>del</strong>lo stare insieme per<br />
collegare il rispetto <strong>del</strong>la libertà di ognuno a quello <strong>del</strong>lo spazio pubblico.<br />
L’apprendimento <strong>del</strong>lo spazio pubblico come luogo di socialità e di tutela<br />
<strong>del</strong>l’eguaglianza <strong>del</strong>le libertà passa tramite l’esperienza cooperativa che forma al<br />
riconoscimento <strong>del</strong>l’altro e quindi di se stesso come parte integrante di un tutto, di un<br />
qualcosa di più grande sia sul piano sociale che storico. Educare vuol dire sentirsi<br />
responsabile verso le future generazioni trasmettendo in modo rielaborato<br />
1
l’esperienza <strong>del</strong>le generazioni precedenti; come scriveva Immanuel Kant nel suo<br />
libro dedicato alla pedagogia:<br />
“L’educazione è un’arte, la cui esecuzione dev’essere perfezionata da molte<br />
generazioni. Ciascuna generazione, fornita <strong>del</strong>le esperienze <strong>del</strong>le precedenti, può<br />
sempre meglio attuare un’educazione che sviluppi, proporzionalmente e<br />
convenientemente allo scopo, le disposizioni naturali degli uomini, e condurre, così,<br />
l’intero genere umano al suo destino. La Provvidenza ha voluto che l’uomo dovesse<br />
cavare il bene da se stesso, dicendogli: “ va nel mondo: io ti ho dato tutte le<br />
attitudini naturali per il bene. A te, di svilupparle: per ciò felicità e infelicità<br />
dipendono da te”. Così potrebbe esprimersi il Creatore degli uomini. L’uomo deve<br />
innanzi tutto sviluppare le sue disposizioni naturali al bene. La Provvidenza non le<br />
ha poste in lui già rifinite, ed esse sono <strong>del</strong>le semplici e pure disposizioni senza<br />
distinzione di moralità. Divenire migliore, coltivarsi e, se è cattivo, proporsi la<br />
moralità ecco qual è il dovere <strong>del</strong>l’uomo. Se vi si riflette bene, si rivela quanto ciò<br />
sia faticoso e grave. Perciò, l’educazione costituisce il problema più grande e più<br />
difficile che possa venir proposto agli uomini. E l’acume dipende dall’educazione e<br />
questa dipende da quello. L’educazione, quindi, solo a grado a grado può<br />
progredire, perché, solo in quanto una generazione trasmetta all’altra le sue<br />
esperienze e conoscenze e questa, poi, le accresca e le trasmetta a quelle successive,<br />
può scaturire un giusto concetto di come si debba educare. Quale immensa cultura e<br />
grande esperienza questo concetto non presuppone!”.<br />
In che misura gli adulti sono oggi in grado di assumersi il compito educativo di cui<br />
parla Kant; compito che funziona pedagogicamente come un processo<br />
d’incivilimento transgenerazionale, girando l’Italia pensiamo che sono tanti gli adulti<br />
che lo possono fare e che lo fanno, siamo convinti che basta riaccendere la speranza;<br />
l’abbiamo visto recentemente negli occhi di tanta gente e di tanti genitori tra Torino e<br />
Chieti. Ridiamo speranza ai nostri figli; ritroviamo le grandi passioni <strong>del</strong>la vita e il<br />
significato profondo <strong>del</strong>le cose più semplici <strong>del</strong>l’esistenza che stanno nell’abbraccio<br />
di un amico, nell’amore di un amante, <strong>del</strong>lo sguardo amorevole di una madre, nello<br />
sforzo sobrio di un padre, nell’amore di un insegnante per il suo lavoro e i suoi<br />
alunni, nella mano tesa di un volontario verso chi ha bisogno, nella sana indignazione<br />
di chi rifiuta l’ingiustizia e la dominazione che nega la dignità umana. Queste cose le<br />
vediamo e le leggiamo in tanti dei nostri incontri; basta recuperare il sentimento<br />
profondo <strong>del</strong>la nostra umanità per educare le future generazioni al sentimento <strong>del</strong>la<br />
loro umanità!!!<br />
Alain Goussot<br />
Prof. di Pedagogia presso la<br />
Facoltà di Psicologia di Cesena<br />
Università degli Studi di Bologna<br />
1
LA PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO (Dott. A. Sangiuliano – Dott. A. Tenaglia)<br />
Freud S.<br />
Laureatosi a Vienna alla fine <strong>del</strong> 1800, iniziò la sua attività come neurologo e<br />
successivamente si dedicò esclusivamente alle malattie mentali. Grazie agli studi fatti<br />
inizialmente con il metodo <strong>del</strong>l’ipnosi Freud formulò una teoria in cui ipotizzava<br />
l’esistenza di un’attività mentale, totalmente nascosta al soggetto, ma altrettanto<br />
importante rispetto a quella conscia: l’inconscio.<br />
ES - IO - SUPER IO<br />
Freud ipotizza l’esistenza di un architettura psichica composta da tre parti:<br />
Es, Io e Super io.<br />
L’Es, completamente inconscio, costituisce la sede degli istinti fondamentali<br />
e <strong>del</strong>le pulsioni che tendono a soddisfarli.<br />
L’io è la parte cosciente a cui il pensiero ha accesso ed è costituito dalle<br />
principali funzioni che mettono il soggetto in relazione con il mondo.<br />
Il super io è costituito da quei valori che guidano il nostro comportamento.<br />
E’ in parte conscio in parte inconscio e si costruisce durante lo sviluppo per<br />
opera <strong>del</strong>l’ambiente familiare.<br />
Il bambino per Freud<br />
Freud fu il primo a studiare il bambino. Egli afferma che lo sviluppo <strong>del</strong> bambino<br />
attraversa tre fasi durante le quali la pulsione si dirige verso parti diverse <strong>del</strong><br />
corpo, le cosiddette zone erogene.<br />
Le fasi edipiche<br />
Fase orale<br />
in questa fase la zona erogena è rappresentata dalla bocca. Questa fase si protrae<br />
per tutto il primo anno, durante la quale il bambino prova piacere nel succhiare e<br />
nell’inghiottire, ed è per questo, che mette tutto in bocca. Quando spuntano i<br />
denti, inizia anche a mordere e a manifestare atteggiamenti sadici.<br />
Fase Anale<br />
1
La zona erogena si sposta dalla bocca alla mucosa anale. Questa fase va dal 2° al<br />
3° anno di vita ed è legata alla maturazione peri-anale. Il piccolo, prova piacere<br />
nel trattenere e lasciare andare le feci<br />
Fase fallico-edipica<br />
la zona erogena è costituita dagli organi sessuali. Questa fase va dal 3° al 5° anno<br />
di vita ed è caratterizzata dalla curiosità <strong>del</strong>le differenze anatomiche fra maschio<br />
e femmina. Come conseguenza di questa curiosità si ha una specie<br />
d’innamoramento per il genitore di sesso opposto e una forte rivalità per<br />
quello <strong>del</strong>lo stesso sesso.<br />
Da ciò deriva la denominazione edipica, che deriva dalla famosa tragedia greca<br />
di Sofloche in cui Edipo uccide il padre, senza sapere che è il padre e sposa la<br />
madre, senza sapere che è la madre. In questa fase inizia una frequente attività<br />
masturbatoria esplorativa.<br />
Fase di latenza<br />
Fase in cui abbiamo una stasi <strong>del</strong>le pulsioni sessuali e un crescendo degli<br />
interessi sociali. Questa fase coincide con l’età scolare e perdura fino alla<br />
pubertà.<br />
Il bambino ha subito la sconfitta edipica, rendendosi conto che la coppia dei<br />
genitori lo esclude e che il genitore <strong>del</strong>lo stesso sesso è un rivale troppo forte,<br />
l’unico modo, per sfuggire all’angoscia è di identificarsi con il genitore <strong>del</strong>lo<br />
stesso sesso cercando di diventare simile a lui.<br />
Fase genitale<br />
la zona erogena è costituita dai genitali che stanno raggiungendo la definitiva<br />
maturazione. Questa fase comincia con la pubertà e perdura per tutta<br />
l’adolescenza.<br />
Metodo psicoanalitico<br />
Freud introdusse il metodo psicanalitico precursore <strong>del</strong>l’attuale psicoanalisi; egli<br />
chiedeva al paziente di riferire ogni pensiero, idea o sogno,(libera associazione di<br />
idee) anche non razionali, e lui come terapeuta trovava il senso comune di tali<br />
idee apparentemente senza senso.<br />
1
A questo proposito è utile considerare due concetti fondamentali: quello di<br />
transfert e di controtransfert. Il transfer è il trasferimento sull’analista di<br />
tensioni affettive che permettono al paziente di rivivere situazioni <strong>del</strong> passato.<br />
Quindi è possibile far luce sulle ragioni <strong>del</strong>la nevrosi manifestata dal paziente e<br />
risalire alle cause. Il controtransfert, trascurato da Freud, si riferisce alle risposte<br />
inconsce <strong>del</strong> terapeuta nei confronti <strong>del</strong> paziente.<br />
JEAN PIAGET<br />
È uno degli Psicologi che ha studiato il pensiero infantile in modo più<br />
approfondito. Le domande che Piaget si poneva riguardavano le diverse fasi <strong>del</strong>lo<br />
sviluppo <strong>del</strong> bambino e quelle <strong>del</strong>lo sviluppo scientifico. Secondo Piaget lo<br />
sviluppo segue tappe (stadi) predeterminate geneticamente. Lo stadio per Piaget è<br />
un concetto che indica il periodo <strong>del</strong>la vita in cui avvengono le modificazioni<br />
strutturali che portano il cambiamento <strong>del</strong>la comprensione <strong>del</strong>la realtà. Ogni<br />
stadio è diverso dall’altro, in ogni stadio apprenderà cose diverse. Gli stadi non si<br />
possono saltare (invarianza) le conquiste <strong>del</strong>lo stadio precedente vengono<br />
integrate e subiscono modifiche nello stadio successivo (integrazione<br />
gerarchica)<br />
Per Piaget gli stadi sono 4:<br />
• senso motorio (0-2 anni) si basa sulla percezione e sensazioni evidenti;<br />
• preoperatorio (2-7 anni) si basa sulle attività rappresentative come il<br />
disegno e la scrittura;<br />
• operazioni concrete (7-11 anni) è in grado di usare la logica;<br />
• operazioni formali (11 anni in poi), pensiero astratto, terapia più<br />
MELANIE KLEIN<br />
avanzata <strong>del</strong>lo sviluppo <strong>del</strong>l’intelligenza.<br />
Klein sposta la sua teoria da quella edipica a quella a 2 (madre/bambino).<br />
Osservando i bambini molto piccoli dedusse che la maggior parte <strong>del</strong>la vita<br />
dipende dal 1° anno. Non usa il termine fasi ma posizione perché analizza la<br />
posizione <strong>del</strong>l’oggetto con il bambino.<br />
Fase Schizzo-paranoide<br />
1
Fondamentale è il concetto di scissione. L’angoscia di perdere il suo oggetto (il<br />
seno) fa sì che il bambino tiri fuori l’aggressività e la proietti verso l’oggetto. In<br />
questo senso il seno diviene un oggetto persecutorio.<br />
Angoscia depressiva<br />
Il bambino sente sentimenti ambivalenti verso un oggetto. Egli si sforza di far<br />
prevalere i sentimenti buoni su quelli cattivi. Qui il meccanismo che prevale è la<br />
riparazione, ossia riparare l’oggetto prima danneggiato.<br />
ANNA FREUD<br />
A. Freud riteneva che il bambino non possedesse un io maturo, poiché dipendeva<br />
totalmente dai suoi genitori. Quest’ultima sostiene che il bambino è fragile e<br />
dipendente per paura <strong>del</strong>l’aggressività pertanto s’identificherà con l’aggressore.<br />
A. Freud ha posto l’accento soprattutto sull’io <strong>del</strong> bambino, il quale più è maturo<br />
e più sa difendersi.<br />
ERIK ERIKSON<br />
Principalmente il suo merito è di aver dato risalto alla relazione <strong>del</strong>l’individuo<br />
con la società in cui vive e che influisce con ogni fase <strong>del</strong>lo sviluppo. Secondo<br />
Erikson l’ambiente è la caratteristica principale per diventare ciò che vogliamo;<br />
fa riferimento a Freud per descrivere le fasi <strong>del</strong>lo sviluppo, le quali sono<br />
caratterizzate da specifiche crisi psico-sociali. I termini che propone per definire i<br />
processi vanno dalla fiducia all’autonomia.<br />
WINNICOTT<br />
Winnicott osservava il modo di fare dei bambini e <strong>del</strong>le mamme parlando di<br />
relazione madre-bambino e non solo di bambino, perché senza la madre che si<br />
prende cura di lui e che facilita ogni suo movimento, da solo non esisterebbe<br />
Diversi tipo di madri<br />
Secondo Winnicott esistono diversi tipi di madri:<br />
• Fobica: che impedisce al bambino di muoversi da solo perché ha paura.<br />
• Distratta: perché non si occupa abbastanza <strong>del</strong> bambino.<br />
• Madre sufficientemente buona: permette al bimbo di conoscere la realtà<br />
esterna avendo lei come appoggio, per poi lasciarlo andare da solo per<br />
fare le sue scelte.<br />
1
Holding<br />
Winnicott introduce il concetto di holding ovvero quell’appoggio che permette al<br />
bambino di cominciare ad esistere da solo; la madre si sente in stretta relazione<br />
con il bambino dandogli le cure di cui ha bisogno, cosicché egli può fare tutte le<br />
scoperte che vuole visto che c’è la madre che gliele rende tollerabili.<br />
Nei 2-3 anni il bambino inizia a crescere, si sente separato dalla madre di cui<br />
però ha bisogno. La madre non sempre è presente, soprattutto quando il bambino<br />
dorme, infatti, egli cercherà un oggetto che sostituirà la madre.<br />
BOWLBY<br />
Bowlby introduce il concetto/teoria definita teoria <strong>del</strong>l’attaccamento. Tale<br />
teoria parla di un legame particolare che unisce il bambino con la madre, ma a<br />
differenza di Winnicott non è un legame di dipendenza bensì affettivo e duraturo.<br />
L’attaccamento si basa sulla tendenza <strong>del</strong> bambino a cercare una base sicura, se<br />
questo legame viene interrotto provoca ansie e paure.<br />
Comportamentismo<br />
Orientamento psicologico il quale ritiene che nella reazione ad uno stimolo si<br />
produce nell’organismo una risposta comportamentale utile a mantenere<br />
l’equilibrio.<br />
Queste risposte sono innate, e stiamo pertanto parlando di comportamento non<br />
appreso in altre parole d’apprendimento condizionato filogeneticamente la cui<br />
maturazione avviene con i fattori esterni.<br />
Cognitivismo<br />
Orientamento psicologico che nasce fondamentalmente come critica al<br />
comportamentismo. Tale orientamento da un ruolo attivo alla mente, dove il<br />
ruolo attivo è utile per realizzare ottime forme d’adattamento all’ambiente.<br />
I METODI SCIENTIFICI DELLA PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO<br />
I metodi<br />
metodo longitudinale: si studia sempre lo stesso bimbo o lo stesso gruppo<br />
durante un periodo di tempo<br />
metodo trasversale consiste nel fare un paragone con gruppi di bambini d’età<br />
diversa<br />
1
DAL CONCEPIMENTO ALLA NASCITA<br />
il periodo di gestazione <strong>del</strong>la madre viene chiamato stato interessante, tale<br />
periodo va dal primo giorno <strong>del</strong>l’ultima mestruazione alla nascita <strong>del</strong> bambino e<br />
dura mediamente 39/40 settimane.<br />
La vita prenatale<br />
I nove mesi di vita intrauterina sono un’importante premessa a quella che inizierà<br />
dopo la nascita, infatti l’ambiente intrauterino si presenta ricco di stimoli<br />
endogeni ed esogeni che possono essere costanti o temporanei.<br />
Gli stimoli<br />
• Stimoli uditivi→stimoli endogeni costanti (battito cardiaco, il respiro);<br />
incostanti (la voce <strong>del</strong>la madre); stimoli uditivi esogeni sempre incostanti<br />
(la voce <strong>del</strong> padre, rumori ambientali come musica)<br />
• Stimoli visivi→è dimostrato che la luce filtra in utero quando la mamma<br />
è nuda o poco vestita.<br />
• Stimoli vestibolari→la madre si muove continuamente e il bambino<br />
sperimenta cambiamenti di stato che vanno dal dondolio più o meno<br />
rapido ad uno stato di quiete.<br />
• Stimoli tattili→il continuo messaggio <strong>del</strong> liquido amniotico, sulla pelle<br />
<strong>del</strong> bambino, costituisce uno stimolo persistente e intenso che avvolge<br />
l’intero corpo <strong>del</strong> bambino e ne rende la pelle particolarmente sensibile.<br />
• Stimoli gustativi→il bambino ingoia il liquido amniotico e riceve stimoli<br />
gustativi diversi secondo l’alimentazione <strong>del</strong>la madre.<br />
Il bambino reagisce con diverse risposte a questi stimoli e dimostra d’essere capace<br />
di forme elementari d’apprendimento<br />
Risposte agli stimoli<br />
È stato dimostrato che fin dal 6° mese di vita intrauterina tutti i sistemi sensoriali<br />
sono funzionanti e attivabili, Il bambino infatti, risponde con risposte<br />
differenziate al variare degli stimoli, visto che grazie alle sofisticate tecniche di<br />
cui oggi si dispone è stato possibile rilevare le risposte <strong>del</strong> bambino in utero. Le<br />
risposte più usate sono la motricità e il battito cardiaco che variano,<br />
La nascita<br />
1
Questo evento coincide con la prima separazione faticosa e dolorosa e dal punto<br />
di vista psicologico possiamo soffermarci su almeno tre punti:<br />
• La nascita è un’interruzione e un passaggio da uno stato ad un altro sia<br />
per la madre sia per il bambino, infatti dalla simbiosi fisica si passa<br />
bruscamente alla separazione<br />
• La nascita e il parto sono accompagnati dal dolore che può essere più o<br />
meno forte e soprattutto più o meno tollerato.<br />
• Per il bambino nascere comporta uno sforzo fisico notevolissimo: luci,<br />
suoni, stimolazioni tattili, investono il sistema sensoriale <strong>del</strong> bambino che<br />
deve mettere in atto un rapido adattamento attivando a meccanismi<br />
biologici di difesa adeguati come ad esempio il sonno.<br />
I cambiamenti prodotti<br />
La nascita produce un enorme cambiamento nel sistema familiare visto che i figli<br />
non sempre uniscono, talvolta possono anche dividere. Proprio per questa<br />
ragione, oggi, si tenta di coinvolgere il padre sia durante la gravidanza, sia al<br />
momento <strong>del</strong> parto. La psicanalisi e la psicologia sociale, hanno corretto il<br />
concetto di perifericità <strong>del</strong> padre nei confronti <strong>del</strong> figlio perché se l’ambiente gli<br />
è favorevole, il padre si mostra capace di prendersi cura <strong>del</strong> proprio bimbo allo<br />
stesso modo <strong>del</strong>la madre.<br />
Il parto<br />
Purtroppo ancora in troppi ospedali la sala parto assomiglia ad una sala<br />
operatoria, sono rari i casi in cui sono utilizzate pratiche, come il parto in acqua o<br />
il parto alla Leboyer, che tendono a minimizzare i rischi di un’eccessiva<br />
stimolazione per il neonato e di un’esagerata passività per la madre.<br />
Pediatri e psicologi si battono da quasi 20 anni affinché il neonato sia lasciato<br />
vicino alla madre fin dal primo momento, poiché, la relazione madre-bambino<br />
inizia a strutturarsi proprio in questi primissimi contatti in cui i ritmi interni ed<br />
esterni <strong>del</strong>la madre e <strong>del</strong> piccolo devono trovare una sincronia ottimale.<br />
La depressione da parto<br />
La situazione <strong>del</strong> post-partum è molto <strong>del</strong>icata per la donna che manifesta spesso<br />
sconforto e uno stato generale di depressione, è particolarmente sensibile e<br />
1
piange frequentemente. In genere questa situazione è temporanea e scompare<br />
dopo un periodo d’adattamento, in casi rari, però, può degenerare in sindromi<br />
depressive gravi.<br />
Nascita pre-termine<br />
Un bambino si considera prematuro quando nasce prima <strong>del</strong>le 37 settimane di<br />
gestazione; il peso adeguato è un fattore decisivo per lo sviluppo <strong>del</strong> bambino<br />
prematuro, perché questo si trova esposto alle stimolazioni esterne, prima che il<br />
suo sistema nervoso sia giunto al livello maturativo per la nascita.<br />
La prematurità è frequentemente accompagnata da patologie di varia entità, ed è<br />
per questa ragione che è necessario ricostruire per lui un ambiente il più simile a<br />
quello intrauterino e controllare in modo continuo le sue condizioni.<br />
Il neonato è a rischio non solo dal punto di vista organico, ma anche da quello<br />
psicologico in quanto gli vengono a mancare quelle braccia che dovrebbero<br />
contenerlo una volta uscito dal riparo intrauterino,<br />
IL PRIMO ANNO DI VITA<br />
L’interesse per il neonato è cominciato nella prima metà <strong>del</strong>l’800 con le<br />
osservazioni di Darwin su suo figlio Doddy, per trovare una conferma alla sua<br />
tesi di continuità fra il mondo animale e quello umano.<br />
Stupisce che l’interesse per il neonato sia ricominciato solo verso gli anni ’50-’60<br />
dopo che per lungo tempo si pensò che il neonato fosse un essere inerte e<br />
passivo.<br />
Chi è il neonato e cosa sa fare<br />
Nel neonato possiamo osservare una serie di movimenti riflessi che sono:<br />
• Riflesso di moro→apertura <strong>del</strong>le braccia quando si sente senza<br />
sostegno.<br />
• Riflesso si marcia automatica→se si solleva il bimbo in posizione<br />
eretta sorreggendolo sotto le ascelle il neonato cammina<br />
muovendo i piedi uno dietro l’altro.<br />
• Riflesso di rotazione <strong>del</strong> capo (rooting reflex)→se si stimola la<br />
guancia, il bimbo ruota la testa nella direzione <strong>del</strong>la stimolazione.<br />
1
Lo stato<br />
• Riflesso Babinsky→se si stimola la pianta <strong>del</strong> piede prima allarga<br />
le dita po le contrae.<br />
• Riflesso di prensione→se si preme con un dito il palmo <strong>del</strong>la mano<br />
<strong>del</strong> neonato le sue dita si flettono intorno al dito stringendolo.<br />
• Riflesso di suzione→il neonato spinge le labbra e la lingua in<br />
direzione <strong>del</strong>l’oggetto che le stimola.<br />
• Riflesso di deglutizione→il bimbo deglutisce il latte che ha<br />
succhiato.<br />
• Riflesso di contrazione→il bimbo ritrae il piede se viene punto con<br />
un ago.<br />
Se si osserva un neonato ci può sembrare che stia semplicemente dormendo o che<br />
stia sveglio, ma da molto tempo gli studiosi hanno distinto varie modalità di sonno o<br />
di veglia:<br />
• Nel sonno profondo il bambino è in pieno riposo e mostra scarsa attività<br />
motoria. Le palpebre sono chiuse, non vi sono movimenti spontanei degli<br />
occhi e i muscoli facciali sono rilassati. Il respiro è profondo e regolare<br />
• Nel sonno attivo il bambino mostra movimenti irregolari degli altri,<br />
movimenti oculari frequenti. I movimenti respiratori sono periodici.<br />
• Nel dormiveglia il bambino è tranquillo, con gli occhi chiusi o<br />
semiaperti,fa solo movimenti leggeri<br />
• Nella veglia tranquilla il bambino ha gli occhi aperti, fa pochi<br />
movimenti ed è in grado di prestare attenzione alle stimolazioni.<br />
• Nella veglia agitata il bambino si muove abbastanza, risponde poco agli<br />
stimoli e può emetter qualche vocalizzo.<br />
• Nello stato <strong>del</strong> pianto il bambino ha un’intensa attività motoria e non si<br />
interessa agli stimoli se non a quelli che possono sedare il suo malessere.<br />
• L’alternanza sonno-veglia è uno dei ritmi più evidenti e più importanti<br />
<strong>del</strong> neonato dove il sonno occupa la maggior parte <strong>del</strong>la giornata (16-18<br />
ore al giorno).<br />
1
L’allattamento<br />
il momento <strong>del</strong>l’allattamento è anche quello di maggior contatto fra il piccolo e la<br />
madre in cui i due bisogni (quello alimentare e quello di contatto) vengono<br />
soddisfatti simultaneamente; l’allattamento si configura come un momento di<br />
interazione particolarmente importante.<br />
Il pianto<br />
un neonato piange in media due ore al giorno nelle prime settimane e una dopo la<br />
quinta, ogni neonato ha un particolare ritmo e una particolare intensità di pianto,<br />
ma tutti esprimono una stato di disagio, infatti il neonato manifesta, fin dalla<br />
nascita, diverse modalità di pianto a seconda dei bisogni che esprime:<br />
Modalità di pianto<br />
• l pianto per fame, comincia in modo sommesso e raggiunge dei toni molto<br />
acuti;<br />
• il pianto per dolore, che ha inizio generalmente con uno strillo acuto e con<br />
un successivo momento di apnea,<br />
• il pianto per disagio (freddo,sensazione di bagnato) che ha sempre la<br />
stessa tonalità ed è prolungato fino a quando l’adulto non interviene.<br />
la madre impara ben presto a comprendere il bambino, è infatti, dimostrato che<br />
dopo circa una settimana, lei riesce a riconoscere le diverse modalità di pianto <strong>del</strong><br />
bambino e attribuire loro l’esatto significato.<br />
Esperimenti sul pianto<br />
il neonato, fin dai primissimi giorni di vita, sa distinguere il proprio pianto da<br />
quello di altri neonati se infatti gli viene fatto ascoltare un nastro registrato con il<br />
suo pianto egli si pone in ascolto e non piange, se invece sente il pianto di altri<br />
neonati, piange a sua volta, mentre rimane <strong>del</strong> tutto indifferente al pianto di un<br />
bambino più grande.<br />
I due-tre mesi<br />
Al termine <strong>del</strong> 2° mese di vita il bambino modifica notevolmente il suo<br />
comportamento e acquisisce nuove capacità, infatti si assiste ad un notevole<br />
cambiamento nell’attività percettiva, sia visiva che sonora, nei tempi di<br />
attenzione e nelle modalità comunicative.<br />
1
Piaget aveva osservato che nello stadio senso-motorio che va dai 2 ai 4 mesi il<br />
bambino acquisisce <strong>del</strong>le abitudini, compaiono quelle che egli definì reazioni<br />
circolari primarie, che consistono nella ripetizione circolare di una schema<br />
d’azione, come se il bambino fosse stimolato dal suo stesso risultato ottenuto la<br />
prima volta per caso.<br />
gli otto-nove mesi<br />
In questa fase possiamo cominciare a parlare di intenzionalità nell’azione. Per<br />
Erikson il compito <strong>del</strong>l’ambiente è quello di trasmettere al bambino la fiducia di<br />
base cioè un atteggiamento positivo verso la realtà che lo circonda, sulla base di<br />
una certa prevedibilità degli eventi e <strong>del</strong>la sua acquisita capacità di influenzarli in<br />
senso positivo.<br />
La fiducia di base deve essere controbilanciata da una certa dose di sana sfiducia<br />
verso ciò che non si conosce e che è pertanto imprevedibile: il bambino, infatti,<br />
deve imparare a riconoscere le situazioni pericolose ecc.<br />
IL SECONDO E IL TERZO ANNO DI VITA<br />
Dai 18 ai 24 mesi<br />
E’ questo un periodo di passaggio in cui si vanno <strong>del</strong>ineando molte nuove<br />
condotte e se ne rinforzano altre. Da un punto di vista motorio la differenza con il<br />
bambino di un anno è evidente soprattutto perché la deambulazione si fa più<br />
sicura.<br />
Lo sviluppo linguistico procede rapidamente: il bambino impara ogni giorno a<br />
pronunciare nuovi vocaboli e ad imbastire i primi discorsi usando spesso le<br />
parole-frasi. Ha una più completa consapevolezza <strong>del</strong>la sua identità corporea,<br />
riconoscendosi allo specchio.<br />
Dai due ai tre anni<br />
Fra i due e i tre anni l’attività preferita dal bambino è quella <strong>del</strong>l’esercizio<br />
motorio, la motricità fine è migliorata al punto che, può tenere un bicchiere con<br />
una sola mano e portarsi il cucchiaio alla bocca senza far cadere il cibo. Queste<br />
acquisizioni si accompagnano in genere ad una notevole vivacità che rende la<br />
vita dura agli adulti.<br />
1
Il linguaggio si fa sempre più articolato e complesso Le parole possono essere<br />
ancora notevolmente storpiate e pronunciate male.<br />
Secondo Piaget, in questo passaggio dall’intelligenza senso-motoria a quella<br />
rappresentativa il linguaggio gioca un ruolo molto importante. Ci sono autori che<br />
non concordano sul significato da attribuire al linguaggio in questo periodo <strong>del</strong>la<br />
vita.<br />
Lo sviluppo affettivo<br />
Il bambino più capace sul piano cognitivo, diventa più autonomo dall’adulto. Il<br />
bambino tenderà anche a sporcare tutto ciò che gli capita a tiro, come se volesse<br />
lasciare ovunque una traccia evidente di se.<br />
L’immagine <strong>del</strong> Sé<br />
Il fatto di essere un io ben distinto dagli altri, appare a noi adulti un fatto <strong>del</strong> tutto<br />
scontato: ma basta un semplice ragionamento per rendersi conto di come non lo<br />
sia.<br />
La nostra immagine è nota agli altri, se non ci serviamo di uno specchio non<br />
sappiamo quali siano la nostra espressione e i nostri gesti.<br />
prova significativa è il nostro disappunto di fronte alle foto in cui stentiamo ad<br />
accettare la nostra immagine e in cui spesso ritroviamo di “essere venuti molto<br />
male”.<br />
Il riconoscimento <strong>del</strong>la nostra immagine fisica è una conquista tardiva avviene<br />
nel secondo anno di vita. Dal punto di vista teorico la costruzione <strong>del</strong>l’immagine<br />
<strong>del</strong> Sé è un problema che ha a che fare sia con lo sviluppo cognitivo sia con lo<br />
sviluppo sociale, sia con i processi intrapsichici e affettivo-relazionali.<br />
Gli psicologi sociali e tutti gli psicologi che hanno sottolineato l’importanza<br />
<strong>del</strong>l’ambiente, mettono in luce che sia la percezione che l’immagine <strong>del</strong> Sé<br />
derivino principalmente dall’esperienza e dai contatti sociali (dall’oggetto e non<br />
dal soggetto),<br />
Gli psicologi cognitivisti pongono l’accento sulle caratteristiche e capacità<br />
intrinseche al soggetto.<br />
1
Tutti concordano sul fatto che gli adulti devono fornire al bambino, fin dalla<br />
nascita, tutti gli strumenti perché egli possa pian piano riconoscersi e costruire<br />
un’immagine si sé il più possibile positiva.<br />
Nel primo anno di vita l’adulto dovrà avere la piena consapevolezza che il<br />
neonato deve imparare a conoscere il suo corpo perché non può sapere di<br />
possedere mani, gambe, braccia, occhi, bocca ecc<br />
Per questo il contatto corporeo frequente e la stimolazione cutanea durante il<br />
bagno o il cambio, accompagnati dal commento verbale, sono pratiche che i<br />
genitori mettono in atto spontaneamente per permettere al piccolo di “sentire il<br />
suo corpo” attraverso gli altri.<br />
DAI TRE AI CINQUE ANNI<br />
In questo periodo di vita il bambino comincia a farsi domande circa la realtà che<br />
lo circonda infatti questa fase viene chiamata anche “l’età dei perché”; ormai ben<br />
consapevole di se stesso e <strong>del</strong>l’altro, sa esprimere i propri sentimenti ed<br />
emozioni, accetta alcune regole e imposizioni <strong>del</strong>l’ambiente con maggiore<br />
consapevolezza, cerca l’approvazione <strong>del</strong>l’adulto ed è in grado di giocare con i<br />
coetanei rispettando alcune regole elementari.<br />
Lo sviluppo cognitivo<br />
il linguaggio, la memoria, la percezione, le capacità di concettualizzare e di<br />
categorizzare si evolvono nell’arco di questi anni trasformando in maniera<br />
radicale il bambino.<br />
In questo periodo <strong>del</strong>lo sviluppo gli oggetti sono ancora ritenuti vivi e dotati di<br />
intenzionalità, così come lui è vivo e dotato di intenzionalità solamente in un<br />
secondo momento saranno distinti in vivi, quelli che si muovono, e inanimati,<br />
quelli che non si muovono, infine vivi, quelli che si muovono da soli e inanimati<br />
quelli che non si muovono da soli. Una particolarità <strong>del</strong> pensiero <strong>del</strong> bambino è<br />
poi il concetto di realismo ovvero la tendenza a confondere i contenuti <strong>del</strong>la<br />
mente con oggetti concreti o esistenti fuori <strong>del</strong>la mente stessa: i sogni sono quasi<br />
reali, i pensieri sono assimilati alle parole e risiedono nella bocca.<br />
La comprensione <strong>del</strong>la mente<br />
1
Molte ricerche segnalano verso l’età dei 4 anni un importante cambiamento<br />
qualitativo nello sviluppo <strong>del</strong> pensiero ovvero la comparsa <strong>del</strong> pensiero<br />
metarappresentativo: il bambino comprende che le persone agiscono in base alla<br />
rappresentazione che hanno <strong>del</strong>la realtà esterna.<br />
Lo sviluppo affettivo<br />
Il bambino a tre anni manifesta una spiccata curiosità verso tutto ciò che non<br />
conosce,<br />
tale curiosità sembra particolarmente viva nei confronti <strong>del</strong>le differenze sessuali<br />
infatti secondo Freud verso i 3 anni, inizia il cosiddetto stadio fallico dove<br />
sperimenta il primo innamoramento che, sempre secondo Freud, non può che<br />
essere rivolto al genitore di sesso opposto: parliamo dunque <strong>del</strong> complesso di<br />
Edipo.<br />
Problemi particolari dai tre ai cinque anni<br />
Il mondo <strong>del</strong>l’immaginario e <strong>del</strong>la fantasia<br />
l’immaginario è il patrimonio di materiali mentali (derivanti da esperienze<br />
compiute, da cose ascoltate, da letture fatte ecc) ai quali la fantasia attinge per le<br />
sue elaborazioni, la fantasia è invece un insieme di costruzioni (che si possono<br />
esprimere in immagini, in musica, in parole, in gesti) più o meno articolate e<br />
complesse, più o meno vicine alla realtà provata. Il bambino comincia dapprima<br />
ad usare l’immaginario, e solo in un secondo momento la fantasia vera e propria.<br />
E’ questa la ragione per cui un bambino crede così facilmente all’esistenza di<br />
creature magiche come la Befana e Babbo Natale.<br />
Anna Freud parlava <strong>del</strong>l’uso <strong>del</strong>la fantasia, nella prima infanzia, come<br />
meccanismo di difesa dall’angoscia <strong>del</strong>la realtà, ma ha ritenuto che nel corso<br />
<strong>del</strong>la vita adulta esso possa rappresentare un pericolo quando costituisce una<br />
gratificazione fittizia e una fuga dalla realtà troppo ansiogena o frustante.<br />
Lo sviluppo <strong>del</strong>la fantasia è legato alla capacità di giocare, di usare metafore, di<br />
trovare soluzioni creative ecc. E’ quindi evidente come lo sviluppo<br />
<strong>del</strong>l’immaginario e <strong>del</strong>la fantasia sia strettamente correlato alle capacità<br />
cognitive.<br />
L’età scolare<br />
1
Il periodo <strong>del</strong>la vita che va dai 5 ai 10 anni coincide, in quasi tutti i paesi, con<br />
quello <strong>del</strong>la scolarità vera e propria. Il bambino, in questa fase, appare più docile<br />
e cooperativo, più capace di accettare l’imposizione <strong>del</strong>le regole sociali, più<br />
interessato a ciò e a chi lo circonda.<br />
I coetanei diventano più importanti rispetto alle epoche precedenti generando<br />
così amicizie di natura più duratura e solida basate sulle caratteristiche <strong>del</strong>l’altro.<br />
Il bambino è capace di coordinare più punti di vista e di tenere perciò conto <strong>del</strong>la<br />
prospettiva <strong>del</strong>l’altro.<br />
La proprietà <strong>del</strong>l’identità e <strong>del</strong>la reversibilità consentono al bambino una<br />
maggiore costanza dei rapporti e <strong>del</strong>le caratteristiche degli altri. La reversibilità<br />
porta alla comprensione quasi definitiva <strong>del</strong>le dimensioni temporale e spaziale. Il<br />
tempo diviene quello <strong>del</strong>l’orologio e non più soltanto legato agli stati psicologici<br />
o alle routine giornaliere.<br />
PREADOLESCENZA E ADOLESCENZA<br />
Questo lungo periodo <strong>del</strong>la vita coincide con il definitivo sviluppo fisico e<br />
sessuali dato che da un punto di vista organico, verso i 20 anni il giovane è al<br />
massimo <strong>del</strong>le sue potenzialità. Quest’età coincide con il periodo <strong>del</strong>la scuola<br />
media, con le ansie di dover affrontare nuovi insegnanti e nuovi compagni,<br />
proprio nel momento in cui è scomparsa la sicurezza <strong>del</strong> bambino e si è senza<br />
guscio.<br />
Comincia qui il secondo gran salto verso l’autonomia, dando alla parola<br />
autonomia il suo significato etimologico, di capacità di aderire liberamente a<br />
leggi scelte da se stessi.<br />
Sviluppo cognitivo<br />
In questo periodo le stesse operazioni che compiva un bambino in età scolare,<br />
facendo riferimento a classi di eventi o di oggetti, sono ora possibili anche<br />
usando simboli totalmente astratti. Il preadolescente però è ancora molto attento<br />
all’aspetto concreto degli eventi e anche il suo giudizio sugli altri inoltre è più<br />
legato alle caratteristiche fisiche, piuttosto che a quelle psicologiche. Per questa<br />
ragione può vivere molto male un ritardo di sviluppo o di difetto fisico<br />
temporaneo.<br />
1
Lo sviluppo affettivo<br />
In questa fase specifica <strong>del</strong>lo sviluppo si riaccendono le “cariche pulsionali”,<br />
grazie allo sviluppo fisico e alla maturazione sessuale. La pubertà segna un<br />
ritorno di molti aspetti <strong>del</strong>la pregenitalità nella femmina questo avviene in modo<br />
molto più sfumato e meno evidente che nel maschio il quale utilizza “parole<br />
sporche”. La femmina si volge invece più rapidamente all’altro sesso mettendo in<br />
atto precoci comportamenti seduttivi.<br />
Sia maschio che la femmina, devono far fronte però al senso di vuoto provocato<br />
dalla forte spinta sessuale e all’impossibilità di soddisfarla con un oggetto<br />
d’amore adeguato. L’attività masturbatoria, diviene così sempre più frequente,<br />
vissuta in genere molto male ed accompagnata da forti sensi di colpa<br />
L’adolescenza<br />
Il ragazzo dai 14 ai 18 anni è considerato adolescente vero e proprio, i suoi<br />
problemi differiscono notevolmente da quelli <strong>del</strong>la pubertà: lo sviluppo fisico e<br />
cognitivo è quasi completo ed i cambiamenti sono graduali e massicci<br />
Lo sviluppo emotivo-affettivo<br />
Le pulsioni sessuali sempre più forti e la difficoltà a trovare un partner di sesso<br />
opposto fa sorgere forti tensioni che si possono esprimere in vari modi. L’io<br />
sviluppa una serie di meccanismi di difesa, alcuni dei quali tipici <strong>del</strong>l’età. La<br />
scissione <strong>del</strong>la realtà in oggetti totalmente buoni e totalmente cattivi (intensi<br />
innamoramenti e odi profondi) genera fenomeni di difesa quali:<br />
l’intellettualizzazione, l’ascetismo, l’identificazione, proiettiva, conformismo a<br />
norme e mode <strong>del</strong> gruppo arrivando anche a somatizzazioni (acne giovanile,<br />
ecc).<br />
PROBLEMI PARTICOLARI NELL’ADOLESCENZA<br />
Molti sono i problemi che affliggono questa fase <strong>del</strong>lo sviluppo, i quali, se non<br />
identificati e affrontati, possono sfociare in patologie gravi ed invalidanti. È il<br />
caso questo <strong>del</strong>la Bulimia <strong>del</strong>l’ Anoressia <strong>del</strong>l’Obesità e <strong>del</strong>la Depressione<br />
I maltrattamenti ai minori<br />
1
Il termine “maltrattamento” è molto generico e spesso poco significativo. Per<br />
questa ragione il Consiglio d’Europa, ha formulato una definizione che propone<br />
la seguente distinzione:<br />
Maltrattamenti fisici:<br />
attacco fisico al bambino da parte <strong>del</strong>l’adulto, dalle percosse a tutte le<br />
altre atrocità che vanno fino all’uccisione.<br />
Maltrattamenti psicologici:<br />
possono avere effetti devastanti sullo sviluppo <strong>del</strong>la personalità quanto i<br />
maltrattamenti fisici.<br />
Patologia <strong>del</strong>le cure fornite:<br />
incuria, discuria, ipercuria.<br />
Abusi sessuali:<br />
intrafamiliari ed extrafamiliari.<br />
Le cause <strong>del</strong> maltrattamento infantile possono essere di vario tipo e riconducibili<br />
a numerosi fattori quali quelli psicologici, sociali e culturali che spesso non sono<br />
isolabili.<br />
Il bambino maltrattato è solitamente una vittima silenziosa, che non denuncia e<br />
spesso difende l’immagine degli adulti, pertanto fondamentale è il controllo e la<br />
vigilanza su di essi senza però sfociare in un allarmismo inopportuno. Il<br />
comportamento comune dei bambini maltrattati è l’apatia e la paura <strong>del</strong>le<br />
relazioni e dei contatti fisici, essi manifestano inoltre spesso gravi disturbi<br />
psichici e comportamenti devianti in adolescenza.<br />
Bibliografia<br />
Alessio Sangiuliano – Arturo Tenaglia<br />
Schaffer, H. R. (2004). Psicologia <strong>del</strong>lo sviluppo: Un’introduzione. Milano: Raffaello<br />
Cortina Editore. / Miller P.H. (200). Teorie <strong>del</strong>lo sviluppo psicologico. Bologna: Il Mulino.<br />
Ford D.H. e Lerner R.M. (1995). Teoria dei sistemi evolutivi. Milano: Raffaello Cortina<br />
Editore / Berti A.E., Bombi A.S. (2005), Corso di Psicologia <strong>del</strong>lo Sviluppo. Bologna, Il<br />
Mulino / Palmonari, A. (1997) Psicologia <strong>del</strong>l’adolescenza. Bologna, Il Mulino<br />
1
I DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO (Dott. A. Sangiuliano)<br />
I DSA costituiscono un termine di carattere generale che si riferisce ad un gruppo<br />
eterogeneo di disordini. Tali disturbi si manifestano con significative difficoltà<br />
nell’acquisizione ed uso di abilità di comprensione <strong>del</strong> linguaggio orale, espressione<br />
linguistica, lettura, scrittura e ragionamento logico matematico. La eziopatogenesi di<br />
tali disordini può essere fatta risalire a disfunzioni <strong>del</strong> sistema nervoso centrale. La<br />
sintomatologia è presente per tutto l’arco di vita di una persona. Inoltre è possibile<br />
rintracciare, in concomitanza <strong>del</strong> disturbo, altre difficoltà relative all’autoregolazione<br />
<strong>del</strong> comportamento, alla percezione ed interazione sociale. Anche se il disturbo<br />
<strong>del</strong>l’apprendimento può presentarsi in concomitanza con altre condizioni di handicap<br />
(ad es. danno sensoriale, ritardo mentale, disturbo emotivo, influenze esterne<br />
culturali) è fondamentale specificare che i DSA non sono il mero risultato di queste<br />
condizioni o influenze. Generalmente si compie un errore per quanto riguarda il<br />
riconoscimento dei disturbi <strong>del</strong>l’apprendimento, spesso infatti il DSA è confuso con<br />
la dislessia mentre è oramai riconosciuto dalla comunità scientifica che il DSA è<br />
composto da altre tre problematiche ossia: la disgrafia, disortografia e discalculia.<br />
Dati statistici affermano che sul territorio italiano da tre a cinque bambini su cento in<br />
età <strong>del</strong>la scuola <strong>del</strong>l’obbligo è affetta da DSA; la dislessia è il disturbo più diffuso.<br />
DSA: una definizione<br />
La comunità scientifica internazionale ha riscontrato una notevole difficoltà nel corso<br />
degl’anni nella definizione di tale quadro sintomatologico dato che venivano presi<br />
parametri di riferimento di volta in volta diversi. La maggiore difficoltà è sita nel<br />
riconoscimento dei tratti distintivi <strong>del</strong>la condizione patologica e, nello specifico,<br />
nella distinzione <strong>del</strong>le cause dagli effetti. Attualmente vi sono due filoni di studio:<br />
quelli orientati verso un approccio descrittivo, con la finalità di individuare le<br />
caratteristiche comuni tra i bambini con DSA, un altro approccio è quello<br />
cognitivista il quale ricerca, nel funzionamento mentale, le cause <strong>del</strong>le difficoltà di<br />
apprendimento. Attualmente la comunità scientifica concorda su alcuni punti<br />
fondamentali quali:<br />
1
• l’utilizzo <strong>del</strong> termine”disturbo specifico <strong>del</strong>l’apprendimento” è riferito<br />
esclusivamente a difficoltà di lettura, di scrittura e di calcolo.<br />
• Le difficoltà di lettura scrittura e calcolo si presentano in concomitanza.<br />
• I fattori biologici vengono rintracciati alla base <strong>del</strong> disturbo<br />
<strong>del</strong>l’apprendimento.<br />
• Sono da escludere tutti i soggetti le cui difficoltà sono legate a problematiche<br />
di tipo cognitivo, sensoriale, psicologiche e relazionali.<br />
• Si è riscontrata l’importanza di distinguere tra DSA e difficoltà scolastiche<br />
visto che i soggetti affetti dalla patologia avranno maggiori probabilità di<br />
sviluppare problematiche scolastiche ma non l’inverso.<br />
Si è osservato che il DSA si accompagna a sintomi minori come incertezze<br />
linguistiche spaziali temporali e motorie, ma nessuno di questi sintomi può essere<br />
interpretato come disturbo <strong>del</strong>l’apprendimento, infatti nessuna attività riabilitativa<br />
potrà focalizzarsi su aspetti secondari.<br />
Vengono ulteriormente osservate problematiche legate all’interazione tra ambiente e<br />
DSA come la scarsa autostima, la frustrazione e la rabbia acculata spesso associata<br />
ad aggressività, l’evitamento di prove difficili. Questi aspetti non possono essere<br />
generalizzati dato che ogni individuo costituisce una storia a se visto che la risposta<br />
ambientale non è uguale in tutti i soggetti.<br />
Caratteristiche diagnostiche<br />
Generalmente i Disturbi <strong>del</strong>l'Apprendimento sono diagnosticati quando i risultati<br />
ottenuti nei test, somministrati individualmente, su lettura, calcolo, o espressione<br />
scritta sono al di sotto di quanto previsto in base all'età, all'istruzione, e al livello di<br />
intelligenza. Le difficoltà di apprendimento si presentano spesso correlati a<br />
problematiche scolastiche o con le attività quotidiane che comportano l’uso di<br />
capacità di lettura, di calcolo, o di scrittura. Sono utilizzati diversi metodi statistici<br />
per stabilire se una disabilità è significativamente rilevante. Di solito viene definito<br />
sostanzialmente inferiore un divario di più di 2 deviazioni standard tra i risultati ed il<br />
QI. Per quanto riguarda i soggetti affetti da altre condizioni cliniche o retroterra<br />
differente, si utilizza talora un divario minore tra i risultati ed il QI (per es., tra 1 e 2<br />
1
deviazioni standard). Quando si è in presenza di un deficit sensoriale, le difficoltà<br />
legate al DSA devono andare al di là di quelle di solito associate al deficit.<br />
Manifestazioni e disturbi associati<br />
Il DSA si presenta molto frequentemente in associazione a demoralizzazione, scarsa<br />
autostima, e deficit nelle capacità sociali. È stato riscontrato un elevato tasso di<br />
abbandono scolastico fra i bambini o gli adolescenti con Disturbi<br />
<strong>del</strong>l'Apprendimento, le ricerche indicano una percentuale di circa 1,5 volte in più<br />
rispetto alla media. Studi sulla popolazione di adulti con diagnosi di Disturbi<br />
<strong>del</strong>l'Apprendimento, riferiscono notevoli difficoltà sul piano lavorativo e sul profilo<br />
sociale. Il DSA frequentemente presenta una comorbilità con il Disturbo <strong>del</strong>la<br />
Condotta, Disturbo Oppositivo Provocatorio, Disturbo da Deficit di<br />
Attenzione/Iperattività, Disturbo Depressivo Maggiore, o Disturbo Distimico. Si è<br />
riscontrato che ritardi <strong>del</strong>lo sviluppo <strong>del</strong> linguaggio possono insorgere in<br />
associazione con i Disturbi <strong>del</strong>l'Apprendimento (specie il Disturbo <strong>del</strong>la Lettura),ma<br />
ciò non giustifica una diagnosi separata di Disturbo <strong>del</strong>la Comunicazione. I Disturbi<br />
<strong>del</strong>l'Apprendimento possono anche essere associati ad una più alta incidenza <strong>del</strong><br />
Disturbo di Sviluppo <strong>del</strong>la Coordinazione. Inoltre il DSA è può essere associato ad<br />
anomalie <strong>del</strong>l'elaborazione cognitiva, deficit <strong>del</strong>la percezione visiva, <strong>del</strong>lo sviluppo<br />
<strong>del</strong> linguaggio, <strong>del</strong>l'attenzione, <strong>del</strong>la memoria, o una combinazione dei precedenti. Se<br />
è presente una predisposizione genetica, una lesione perinatale, e varie condizioni<br />
neurologiche, tali condizioni possano essere associate con lo sviluppo dei Disturbi<br />
<strong>del</strong>l'Apprendimento, ma la presenza di queste condizioni non predice l'esito in un<br />
Disturbo <strong>del</strong>l'Apprendimento. I Disturbi <strong>del</strong>l'Apprendimento si trovano spesso in<br />
correlazione ad una varietà di condizioni mediche generali, avvelenamento da<br />
piombo, sindrome fetale da alcool, o sindrome <strong>del</strong>l'X fragile.<br />
Caratteristiche legate alla cultura<br />
È necessario assicurarsi che le procedure per la valutazione <strong>del</strong>l'intelligenza prestino<br />
una necessaria attenzione al retroterra etnico o culturale <strong>del</strong> soggetto. Questo sarò<br />
possibile utilizzando, test in cui le caratteristiche <strong>del</strong>l'individuo sono presenti nel<br />
campione di standardizzazione <strong>del</strong> test, se non fosse possibile utilizzare un test<br />
standardizzato sarà opportuno impiegare un esaminatore che ha familiarità con gli<br />
aspetti <strong>del</strong> retroterra etnico o culturale <strong>del</strong> soggetto.<br />
1
Diagnosi differenziale<br />
I Disturbi Specifici <strong>del</strong>l’apprendimento vanno differenziati da semplici difficoltà<br />
scolastiche causate dalla carenza di opportunità, insegnamento scadente, o fattori<br />
culturali. Infatti, un'istruzione inadeguata, o l’appartenere ad una cultura differente<br />
possono determina una performance scadente nei test standardizzati di rendimento.<br />
Alcuni dati scaturiti da una ricerca I bambini con questo stesso retroterra possono<br />
anche essere a rischio maggiore di assenteismo scolastico dovuto a malattie più<br />
frequenti o ad ambienti di vita impoveriti o caotici. Una compromissione visiva o<br />
uditiva può danneggiare la capacità di apprendimento e dovrebbe essere studiata con<br />
test di screening audiometrico o visivo. Un Disturbo <strong>del</strong>l'Apprendimento può essere<br />
diagnosticato in presenza di tali deficit sensoriali solo se le difficoltà di<br />
apprendimento vanno al di là di quelle solitamente associate con quei deficit.<br />
Nel Ritardo Mentale le difficoltà di apprendimento sono proporzionate alla<br />
compromissione generale <strong>del</strong> funzionamento intellettivo. Comunque, in alcuni casi di<br />
Ritardo Mentale Lieve, il livello di apprendimento nella lettura, nel calcolo, o<br />
nell'espressione scritta è significativamente al di sotto dei livelli previsti in base<br />
all'istruzione <strong>del</strong> soggetto e alla gravità <strong>del</strong> Ritardo Mentale. In questi casi dovrebbe<br />
essere ulteriormente diagnosticato l'appropriato Disturbo <strong>del</strong>l'Apprendimento.<br />
Dovrebbe essere fatta una diagnosi aggiuntiva di Disturbo <strong>del</strong>l'Apprendimento nel<br />
contesto di un Disturbo Generalizzato <strong>del</strong>lo Sviluppo solo quando la compromissione<br />
scolastica è significativamente al di sotto dei livelli previsti in base al funzionamento<br />
intellettivo e all'istruzione <strong>del</strong> soggetto. Può accadere che in soggetti con Disturbi<br />
<strong>del</strong>la Comunicazione il funzionamento intellettivo debba essere valutato usando<br />
misurazioni standardizzate <strong>del</strong>la capacità intellettiva non verbale. In casi in cui il<br />
rendimento scolastico è significativamente inferiore rispetto ai risultati <strong>del</strong>la<br />
misurazione di questa capacità, si dovrebbe diagnosticare il Disturbo<br />
<strong>del</strong>l'Apprendimento appropriato.<br />
Il Disturbo <strong>del</strong> Calcolo e il Disturbo <strong>del</strong>l'Espressione Scritta insorgono assai<br />
frequentemente in associazione con il Disturbo <strong>del</strong>la Lettura. Quando vengono<br />
soddisfatti i criteri per più di un Disturbo <strong>del</strong>l'Apprendimento, tutti quanti<br />
dovrebbero essere diagnosticati.<br />
1
Disturbo <strong>del</strong>la lettura<br />
Per disturbo <strong>del</strong>la lettura intendiamo il disturbo dislessico. Il disturbo <strong>del</strong>la lettura per<br />
essere diagnosticato deve rispondere a tre criteri diagnostici: il primo è il Criterio A<br />
ovvero la capacita di leggere <strong>del</strong> soggetto si situa al di sotto <strong>del</strong>la media <strong>del</strong>le<br />
persone a parità di QI, età cronologica e condizioni culturali. L’anomalia deve<br />
compromettere in modo sostanziale l’apprendimento scolastico (Criterio B) ed<br />
inoltre se è presente un deficit sensoriale le difficoltà <strong>del</strong> soggetto affetto da disturbo<br />
<strong>del</strong>la lettura andranno al di là di quelle generalmente associate ad esso.<br />
Nei soggetti con dislessia si osserva una lettura caratterizzata da distorsioni<br />
sostituzioni ed omissioni, cosa che avviene sia nella lettura ad alta voce che in quella<br />
a mente. Il disturbo di scrittura e quello <strong>del</strong> calcolo sono generalmente associati al<br />
disturbo di lettura ed è molto raro che tali disturbi si manifestino in assenza <strong>del</strong>la<br />
dislessia.<br />
Caratteristiche legate al genere<br />
Si è osservato che dati rilevati da osservazioni compiute dagli insegnanti denunciano<br />
che il 60-80% dei bambini con dislessia sono maschi, ciò è dovuto al fatto che le<br />
metodologie di osservazione possono spesso risultare forvianti questo perché i<br />
maschietti mostrano comportamenti dirompenti in associazione al disturbo<br />
<strong>del</strong>l’apprendimento. Dati rilevati con un attenta valutazione diagnostica mostrano<br />
come sostanzialmente le percentuali si aggirano sul 50%.<br />
La prevalenza <strong>del</strong>la dislessia è difficile da stabilire visto che le ricerche sono centrati<br />
principalmente sulla prevalenza <strong>del</strong>l’intera classe dei Disturbi <strong>del</strong>l'Apprendimento<br />
senza distinguere i disturbi specifici <strong>del</strong>la Lettura, <strong>del</strong> Calcolo, o <strong>del</strong>l'Espressione<br />
Scritta. Possiamo però dire che il disturbo <strong>del</strong>la lettura, da solo o in associazione con<br />
gli altri disturbi, è responsabile di circa 4 casi su 5 di DSA.<br />
Sebbene i sintomi <strong>del</strong>la dislessia possano insorgere anche alla scuola materna,<br />
raramente si riesce a diagnosticare un disturbo <strong>del</strong>la lettura prima <strong>del</strong>la fine <strong>del</strong>la<br />
scuola materna o <strong>del</strong>l'inizio <strong>del</strong>le scuole elementari in quanto l'insegnamento formale<br />
<strong>del</strong>la lettura non inizia prima di questo livello. In particolar modo quando il Disturbo<br />
<strong>del</strong>la Lettura è associato ad un alto livello di QI, cosa che permette al bambino di<br />
“mascherare” il disturbo fino alla quarta elementare o oltre. Con la diagnosi e<br />
1
l'intervento precoce, la prognosi è buona in una percentuale significativa di casi. Il<br />
Disturbo <strong>del</strong>la Lettura può persistere nell'età adulta.<br />
È stata dimostrata una familiarità per quanto concerne il disturbo dislessico e la sua<br />
prevalenza è maggiore tra i parenti biologici di primo grado di soggetti con Disturbi<br />
<strong>del</strong>l'Apprendimento.<br />
Disturbo <strong>del</strong> calcolo<br />
Caratteristica principale <strong>del</strong> Disturbo <strong>del</strong> Calcolo è una capacità di calcolo che si<br />
situa sostanzialmente al di sotto di quanto previsto in base all'età cronologica <strong>del</strong><br />
soggetto, alla valutazione psicometrica <strong>del</strong>l'intelligenza, e a un'istruzione adeguata<br />
all'età. Il disturbo <strong>del</strong> calcolo interferisce in modo significativo con l'apprendimento<br />
scolastico o con le attività <strong>del</strong>la vita quotidiana che richiedono capacità di calcolo. Se<br />
è presente un deficit sensoriale, le difficoltà nelle capacità di calcolo vanno al di là di<br />
quelle di solito associate con esso (Criterio C). Nella discalculia possono essere<br />
numerose le capacità compromesse, incluse le capacità "linguistiche" (per es.,<br />
comprendere o nominare i termini, le operazioni, o i concetti matematici, e<br />
decodificare problemi scritti in simboli matematici), capacità "percettive" (per es.,<br />
riconoscere o leggere simboli numerici o segni aritmetici e raggruppare oggetti in<br />
gruppi), capacità "attentive" (per es., copiare correttamente numeri o figure,<br />
ricordarsi di aggiungere il riporto e rispettare i segni operazionali) e capacità<br />
"matematiche" (per es., seguire sequenze di passaggi matematici, contare oggetti, e<br />
imparare le tabelline). La prevalenza <strong>del</strong>la discalculia, come nella dislessia, è<br />
difficile da stabilire visto che le ricerche sono centrati principalmente sulla<br />
prevalenza <strong>del</strong>l’intera classe dei Disturbi <strong>del</strong>l'Apprendimento senza distinguere i<br />
disturbi specifici <strong>del</strong>la Lettura, <strong>del</strong> Calcolo, o <strong>del</strong>l'Espressione Scritta. Possiamo però<br />
dire che il disturbo <strong>del</strong>la lettura, da solo, è responsabile di circa 1 casi su 5 di DSA.<br />
Sebbene i sintomi <strong>del</strong>la discalculia possano insorgere anche alla scuola<br />
materna,ugualmente per quanto accade con la dislessia, raramente si riesce a<br />
diagnosticare un disturbo <strong>del</strong> calcolo prima <strong>del</strong>la fine <strong>del</strong>la prima elementare in<br />
quanto l'insegnamento formale <strong>del</strong> calcolo non inizia prima di questo livello. In<br />
particolar modo quando il Disturbo <strong>del</strong> calcolo è associato ad un alto livello di QI,<br />
1
cosa che permette al bambino di “mascherare” il disturbo fino alla quarta elementare<br />
o oltre.<br />
Disturbo <strong>del</strong>l’espressione scritta<br />
Il disturbo <strong>del</strong>l’espressione scritta per essere diagnosticato deve rispondere a tre<br />
criteri diagnostici: il primo è il Criterio A ovvero la capacità di scrittura <strong>del</strong> soggetto<br />
si situa al di sotto <strong>del</strong>la media <strong>del</strong>le persone a parità di QI, età cronologica e<br />
condizioni culturali. L’anomalia deve compromettere in modo sostanziale<br />
l’apprendimento scolastico (Criterio B) ed inoltre se è presente un deficit sensoriale<br />
le difficoltà <strong>del</strong> soggetto affetto da disturbo <strong>del</strong>l’espressione scritta andranno al di là<br />
di quelle generalmente associate ad esso. Nel soggetto affetto da discalculia troviamo<br />
un insieme di difficoltà nella capacità di comporre testi scritti, messa in evidenza da<br />
errori grammaticali o di punteggiatura nelle frasi, scadente organizzazione in<br />
capoversi, errori multipli di compitazione (disortografia), e calligrafia deficitaria.<br />
Non possiamo fare diagnosi di disgrazia se vi sono solo errori di compitazione o<br />
calligrafia deficitaria (disgrafia) in assenza di altre compromissioni <strong>del</strong>l'espressione<br />
scritta. Rispetto ad altri Disturbi <strong>del</strong>l'Apprendimento, si sa relativamente poco<br />
riguardo ai Disturbi <strong>del</strong>l'Espressione Scritta e alla loro correzione, specie quando essi<br />
insorgono in assenza di Disturbo <strong>del</strong>la Lettura. Il Disturbo <strong>del</strong>l'Espressione Scritta si<br />
associa comunemente con il Disturbo <strong>del</strong>la Lettura o col Disturbo <strong>del</strong> Calcolo. Vi è<br />
qualche riscontro che deficit <strong>del</strong> linguaggio e percettivo - motori possono<br />
accompagnare questo disturbo. Sebbene i sintomi <strong>del</strong>la disgrafia possano insorgere<br />
anche alla scuola materna, ugualmente per quanto accade con la dislessia e la<br />
discalculia, raramente si riesce a diagnosticare un disturbo <strong>del</strong>la scrittura prima <strong>del</strong>la<br />
fine <strong>del</strong>la prima elementare in quanto l'insegnamento formale <strong>del</strong>la scrittura non<br />
inizia prima di questo livello. In particolar modo quando il Disturbo <strong>del</strong>la scrittura è<br />
associato ad un alto livello di QI, cosa che permette al bambino di “mascherare” il<br />
disturbo fino alla quarta elementare o oltre.<br />
Bibliografia<br />
Dott. Alessio Sangiuliano<br />
Brotini M., Le difficoltà di apprendimento, Tirrenia, Edizoni Del Cerro, 2000 / Zucchermaglio C., Gli<br />
apprendisti <strong>del</strong>la lingua scritta, Il Mulino, Bologna, 1991 / Biancardi A., Milano G., Quando un bam-<br />
bino non sa leggere. Vincere la dislessia e i disturbi <strong>del</strong>l’apprendimento, Milano, Rizzoli, 2001<br />
1
I DISTURBI SPECIFICI DEL LINGUAGGIO (Dott. A. Tenaglia)<br />
I DSL si caratterizzano per una significativa limitazione <strong>del</strong>la componente<br />
linguistica, nonostante non siano presenti i fattori che abitualmente accompagnano la<br />
riduzione <strong>del</strong> linguaggio verbale cioè: sordità o ipoacusia, danni neurologici (paralisi<br />
cerebrali) o deficit intellettivi.<br />
Il linguaggio è lo strumento di comunicazione più potente per lo scambio nella specie<br />
umana, quindi una limitazione nelle sue capacità determina gravi problemi sia di<br />
comunicazione che di adattamento sociale. Pertanto risulta fondamentale conoscere<br />
la natura e lo studio dei DSL per poter interpretare le sue manifestazioni con lo scopo<br />
di mettere in atto misure adeguate il più precocemente possibile. Il DSL è un disturbo<br />
le cui manifestazioni nella maggior parte dei casi accompagnano il soggetto per<br />
l’intero arco di vita, anche se con modalità ed intensità diverse, nei relativi contesti<br />
linguistici.<br />
Cos’è il linguaggio?<br />
Il linguaggio è quella capacità di utilizzare un codice per comprendere esprimere e<br />
rappresentare le idee sul mondo attraverso un mo<strong>del</strong>lo convenzionale di segni<br />
arbitrari.<br />
Il concetto fondamentale è la natura generativa <strong>del</strong> codice che permette di produrre e<br />
interpretare un numero infinito di significati. Tale capacità è presente fin dalla<br />
nascita anche se viene espressa in modo differente nelle diverse fasi <strong>del</strong>lo sviluppo<br />
linguistico. Una lingua si costituisce di un numero finito di unità minime di<br />
significato (denominate fonemi), la combinazione di più unità genererà unità di<br />
significato più grandi (le parole). Quando la capacità di codifica si presenta in ritardo<br />
o in maniera deficitaria, si sta parlando di Disturbo Specifico <strong>del</strong> Linguaggio.<br />
È fondamentale porre l’attenzione sul concetto che nel DSL la capacità che viene<br />
meno è quella di codifica, non tanto quella di parlare (intesa come capacità di<br />
articolare suoni).<br />
A partire dagli anni ’60 si è avuta una trasformazione <strong>del</strong> concetto di linguaggio, lo<br />
sviluppo linguistico non è più concepito come una funzione che si sviluppa per<br />
1
mezzo <strong>del</strong>l’allenamento, ma come una serie di cambiamenti strutturali all’interno di<br />
un sistema di regole. Tali cambiamenti sono frutto di un processo di scoperta<br />
progressiva e di ricostruzione.<br />
Le dimensioni <strong>del</strong> sistema linguistico<br />
Per analizzare sistematicamente una struttura complessa come il linguaggio è<br />
fondamentale dividerlo in sotto sistemi e specificare quale dimensione è coinvolta e<br />
in quali misure.<br />
Fonologia<br />
La fonologia è l’insieme <strong>del</strong>le regole che danno le combinazioni possibili tra i suoni<br />
per produrre le parole di una lingua. La linguistica distingue la fonetica dalla<br />
fonologia. La fonetica studia e classifica i suoni prodotti dalla voce umana nel loro<br />
aspetto fisico; ciò permette una descrizione <strong>del</strong>le componenti articolatorie, acustiche<br />
e uditive dei foni.<br />
La fonologia studia l’organizzazione dei foni di una lingua e la loro<br />
standardizzazione da parte <strong>del</strong> parlante, cioè di quei suoni al cui cambiamento<br />
corrisponde un cambiamento di significato. I suoni prodotti da un parlante non sono<br />
mai identici anche se siamo in grado di riconoscerli; sulla base di un’esperienza<br />
fonetica possiamo realizzare i processi che permettono di categorizzare i suoni. Le<br />
rappresentazioni fonologiche sono di primaria importanza perché permettono di<br />
comprendere una lingua, ma anche perché sono indispensabili per l’apprendimento<br />
<strong>del</strong>la letto-scrittura.<br />
Semantica e lessico<br />
La semantica è quella branca <strong>del</strong>la linguistica che ci permette di descrivere i processi<br />
coinvolti nella determinazione <strong>del</strong> significato. Il lessico è uno degli ambiti principali<br />
in cui si esplica la semantica, infatti è l’insieme <strong>del</strong>le parole per mezzo <strong>del</strong>le quali i<br />
componenti di una comunità linguistica comunicano fra loro, è un sistema aperto che<br />
può svilupparsi nell’intero arco di vita.<br />
Grammatica<br />
La grammatica è l’insieme di regole che permettono le combinazioni possibili fra le<br />
parole per produrre le frasi di una lingua. Nella grammatica è possibile rilevare due<br />
sotto sistemi: la sintassi e la morfologia grammaticale. La sintassi è quella<br />
1
componente <strong>del</strong>la grammatica che studia le funzioni <strong>del</strong>le parole nella frase e le<br />
regole in base alle quali le parole andranno a combinarsi in frasi. La morfologia<br />
grammaticale studia le forme <strong>del</strong>le parole distinte in categorie o parti <strong>del</strong> discorso<br />
che assumono nella flessione. Dato che lo studio <strong>del</strong>le forme è collegato allo studio<br />
<strong>del</strong>le funzioni, la morfologia ha un’interazione costante con la sintassi; per questo<br />
parliamo di morfo-sintassi. All’interno <strong>del</strong>lo studio <strong>del</strong>la morfo sintassi è di primaria<br />
importanza discernere dalla morfologia gli elementi liberi da quelli legati. I primi<br />
racchiudono gli elementi grammaticali denominati funtori, che possono essere<br />
separati dagli elementi lessicali; la morfologia legata si compone <strong>del</strong>le diverse<br />
flessioni dei verbi, dei nomi ed aggettivi che non possono essere separati dagli<br />
elementi lessicali.<br />
Pragmatica<br />
La pragmatica racchiude gli elementi che rendono il linguaggio interpretabile<br />
all’interno di un contesto, cioè va a studiare i meccanismi e le rappresentazioni<br />
mentali, che danno modo al parlante ed agli ascoltatori, di risolvere le ambiguità e di<br />
interpretare il linguaggio verbale e non verbale. La conoscenza <strong>del</strong> linguaggio<br />
prescinde che i bambini debbano conoscere non solo le regole sintattiche o<br />
semantiche, ma anche saper utilizzare il linguaggio nel contesto sociale ed in<br />
funzione dei diversi interlocutori, infatti tale competenza prevede due aspetti<br />
principali: lo sviluppo di competenze conversazionali e lo sviluppo <strong>del</strong>la capacità di<br />
considerare il punto di vista <strong>del</strong>l’interlocutore.<br />
Criteri diagnostici nei DSL<br />
La diagnosi di DSL si basa su criteri di esclusione che permettono la distinzione tra il<br />
disturbo specifico <strong>del</strong> linguaggio da altre condizioni che presentano le medesime<br />
caratteristiche di alterazione <strong>del</strong> linguaggio; infatti le strutture che sottendono il<br />
sistema linguistico sono molto fragili per cui è frequente riscontrare tale alterazione<br />
in molti quadri patologici.<br />
Criteri per la diagnosi di DSL<br />
• Abilità linguistiche: la prestazione deve essere inferiore alla media nei test di<br />
linguaggi adeguati all’età di sviluppo (punteggio inferiore a 1,5 deviazioni<br />
standard)<br />
1
• Livello cognitivo: il QI non verbale deve essere uguale o maggiore di 85<br />
• Udito: esami <strong>del</strong>l’apparato uditivo devono risultare negativi agli esami di<br />
routine<br />
• Otiti medie: da uno studio anamnestico non devono riscontrarsi episodi<br />
recenti<br />
• Disfunzioni neurologiche: non devono essere presenti patologie a carico <strong>del</strong><br />
sistema nervoso centrale quali epilessia, paralisi cerebrali, traumi cerebrali<br />
ed il soggetto non deve essere sottoposto a trattamento con farmaci anti-<br />
epilettici.<br />
• Apparato orale: non devono presentarsi anomalie strutturali<br />
• Motricità oro-bucco-linguale: gli esami devono essere adeguati all’età di<br />
sviluppo<br />
• Condizione psico-sociale:a seguito di un resoconto anamnestico non vi<br />
devono essere restrizioni di particolari abilità sociali.<br />
Nel momento in cui tali criteri saranno soddisfatti sarà possibile parlare di DSL, una<br />
condizione contraddistinta dal fatto che l’unica anomalia <strong>del</strong>lo sviluppo è<br />
rappresentata da un’alterazione <strong>del</strong>le capacità linguistiche.<br />
Storia naturale dei bambini con DSL<br />
Per quanto concerne lo sviluppo linguistico i genitori dei bambini con DSL<br />
riferiscono la comparsa tardiva <strong>del</strong> linguaggio, ma tale elemento da solo non può<br />
essere considerato un indicatore <strong>del</strong>la presenza <strong>del</strong> disturbo poiché si evidenzia una<br />
elevata variabilità nell’esordio <strong>del</strong> linguaggio anche in bambini che presenteranno<br />
uno sviluppo tipico. I bambini con DSL presentano difficoltà nella componente<br />
fonologica e di accesso lessicale, i loro enunciati abbondano di espressioni deittiche<br />
(termini generici che hanno solamente un significato referenziale), le narrative<br />
contengono elementi essenziali di una storia, ma sono organizzate in modo<br />
improprio. Si è osservato in soggetti con DSL una difficoltà nella comprensione<br />
<strong>del</strong>la metafora; tale problematica comporterà problemi a livello sociale.<br />
Riassumiamo dicendo che:<br />
• Nei primi tre anni di vita:<br />
1
– livelli fonologici e<br />
– Il disturbo in ambito lessicale<br />
– Disturbo nell’organizzazione <strong>del</strong>le semplici strutture sintattiche<br />
• fasi immediatamente prima <strong>del</strong>la scolarizzazione:<br />
– deficit che riguardano la costruzione <strong>del</strong>la frase<br />
– coordinazione degli elementi lessicali, morfo-sintattici, fonologici e<br />
pragmatici<br />
• periodo di scolarizzazione:<br />
– difficoltà nella gestione <strong>del</strong>le parti <strong>del</strong> discorso<br />
• età adolescenziale e adulta<br />
– disturbo diventa più difficile da individuare<br />
– il discorso risulta povero e scarsamente articolato<br />
Disturbi fonologici nei DSL<br />
Le difficoltà fonologiche sono contraddistinte da una lallazione poco variata e, in<br />
seguito, da difficoltà nell’organizzazione dei suoni all’interno di una parola. Tale<br />
condizione rende difficile la stabilizzazione <strong>del</strong>le rappresentazioni fonologiche che<br />
corrispondono agli elementi semantici elaborati. Le difficoltà con cui i bambini con<br />
DSL producono le prime parole è frutto di una più evidente difficoltà fonologica di<br />
base nell’organizzazione <strong>del</strong> lessico. Nella fase in cui il bambino ha acquisito un<br />
repertorio lessicale più ampio il disturbo si manifesta per mezzo di alterazioni <strong>del</strong>la<br />
struttura fonologica <strong>del</strong>la parola.<br />
I disturbi fonologici tenderanno a produrre i loro effetti nell’acquisizione <strong>del</strong>la letto-<br />
scrittura. Infatti la scrittura richiede, da parte <strong>del</strong> bambino, una corretta analisi<br />
fonologica <strong>del</strong>la parola.<br />
Disturbo <strong>del</strong>lo sviluppo lessicale<br />
Lo sviluppo lessicale è un’importante fattore <strong>del</strong>lo sviluppo <strong>del</strong>le capacità<br />
linguistiche <strong>del</strong> bambino, infatti è stato ampiamente dimostrato come il numero <strong>del</strong>le<br />
parole prodotte ad una determina età sia un indice affidabile <strong>del</strong>l’adeguatezza <strong>del</strong><br />
1
linguaggio. La soglia quantitativa è un minimo di 50 parole prodotte all’età di 24<br />
mesi.<br />
Le difficoltà lessicali si riscontrano in una fase di enunciazione nel momento in cui<br />
viene fatta richiesta di recuperare un termine specifico che non può essere sostituito<br />
con forme deittiche o circonlocuzioni. È stato osservato come il disturbo lessicale<br />
sia meno rilevante negli scambi che riguardano le routine di tutti i giorni mentre si<br />
evidenzia nelle attività scolastiche. Va sottolineato che i bambini con DSL<br />
manterranno nel corso degli anni una maggiore difficoltà nel recupero dei termini<br />
lessicali specifici ed una lentezza nei compiti di denominazione, mentre non si<br />
evidenzia un difetto nell’elaborazione semantica dei contenuti.<br />
Disturbo <strong>del</strong>lo sviluppo sintattico<br />
La caratteristica principe nello studio dei bambini con DSL risiede nella difficoltà di<br />
utilizzare <strong>del</strong>le informazioni grammaticali. I bambini con DSL hanno maggiore<br />
difficoltà nell’assegnazione dei ruoli grammaticale di agente e quindi incontrano<br />
notevoli difficoltà nel costruire ipotesi sul significato <strong>del</strong>la frase. Per quanto<br />
concerne la produzione i bambini con DSL hanno un uso limitato dei morfemi liberi<br />
come gli articoli e i clitici, infatti gli articoli sono prevalentemente omessi.<br />
Disturbo <strong>del</strong>lo sviluppo <strong>del</strong>la pragmatica<br />
La pragmatica coinvolge aspetti che non sono strettamente ascrivibili al sistema di<br />
codifica , ma riguardano l’interpretazione <strong>del</strong> contesto. Le difficoltà fin’ora descritte<br />
concorrono a penalizzare socialmente il bambino e gli rendono ulteriormente difficile<br />
esplicitare le richieste che gli permettono l’interpretazione <strong>del</strong> messaggio. Alcuni<br />
studiosi collocano il disturbo pragmatico lungo un continuum di disturbi di natura<br />
artistica, anche se si esclude che siano rintracciabili segni specifici di autismo. Per<br />
quanto riguarda le conseguenze sociali <strong>del</strong> disturbo pragmatico alcune ricerche<br />
evidenziano che bambini affetti da DSL sono meno desiderati di altri come compagni<br />
di giochi.<br />
Basi biologiche<br />
I bambini con DSL hanno una storia familiare positiva per problemi analoghi, i dati<br />
fin’ora disponibili sulle basi neuroanatomiche possono essere cosi sintetizzati:<br />
• dallo studio di gemelli si evince la natura genetica <strong>del</strong> DSL<br />
1
• dati neuroanatomici ricavati da studi di RMN indicano che bambini con DSL<br />
hanno una ridotta asimmetria <strong>del</strong> planum temporale rispetto ai gruppi di<br />
controllo, tuttavia non è ancora chiaro se tale spiegazione possa essere alla<br />
base <strong>del</strong>le caratteristiche che si evidenziano nei soggetti affetti da DSL.<br />
• Dati neuro fisiologici dimostrano un elevata correlazione fra alcuni profili di<br />
attività elettrica cerebrale e la presenza di DSL, in particolare è stato più volte<br />
evidenziata una latenza nella risposta a potenziali evocati uditivi.<br />
Le conseguenze relazionali e sociali dei DSL<br />
I soggetti affetti da disturbo <strong>del</strong> DSL riscontrano maggiori frustrazioni per<br />
l’insuccesso comunicativo dei tentativi di produzione, e tali difficoltà andranno a<br />
ripercuotesi sulle future interazioni sociali. È stato riscontrato che il genitore sia<br />
l’unico in grado di interpretare le produzioni <strong>del</strong> linguaggio <strong>del</strong> bambino in<br />
quanto si abitua a riconoscere le distorsioni fonologiche più frequenti, conosce le<br />
parole idiosincratiche che spesso vengono adottate da tutta la famiglia ed è in<br />
grado di prevedere il contenuto <strong>del</strong>le frasi prodotte dal bambino. In questi<br />
disturbi si verifica un rafforzamento <strong>del</strong>la sintomatologia causato dal senso di<br />
protezione <strong>del</strong>la madre che cerca di risparmiare frustrazioni al proprio figlio. In<br />
questi casi il bambino che non è in grado di usare il linguaggio o che sa che non<br />
verrà capito, tenderà ad utilizzare direttamente l’azione procurandosi gli oggetti<br />
anche con comportamenti aggressivi.<br />
I disturbi psicopatologici associati al DSL: disturbo oppositivo provocatorio,<br />
disturbo da deficit <strong>del</strong>l’attenzione con iperattività, disturbo da deficit<br />
<strong>del</strong>l’attenzione senza iperattività, disturbo da separazione e disturbo da<br />
esitamento.<br />
Alcune considerazioni sul trattamento rieducativo<br />
Si può affermare con certezza che le diverse componenti <strong>del</strong> sistema linguistico<br />
non sono ugualmente rieducabili: le due componenti prescrittive si prestano<br />
maggiormente ad un approccio rieducativo in quanto gli obbiettivi da<br />
raggiungere possono essere determinati con maggior chiarezza. Per quanto<br />
concerne la componente fonologica è possibile identificare i suoni che non sono<br />
presenti nel repertorio fonetico. Per quanto riguarda la sintassi è possibile<br />
1
iscoprire una regolarità <strong>del</strong>le omissioni e l’errato utilizzo nei vari contesti. Si è<br />
dimostrata meno facile la rieducazioni <strong>del</strong>le cosiddette componenti “aperte”.<br />
Alla luce di queste considerazioni si può affermare che il recupero <strong>del</strong>le<br />
componenti fonologiche e sintattiche sembra adatto alla rieducazione con<br />
trattamento specialistico; al contrario il recupero dei disturbi lessicali e<br />
pragmatici si presta maggiormente ad una rieducazione in ambiente familiare e<br />
scolastico.<br />
Bibliografia<br />
Dott. Arturo Tenaglia<br />
G. Sabbadini, manuale di neuropsicologia <strong>del</strong>l’età evolutiva. Il linguaggio,<br />
Bologna, Zanichelli 1995; G. Stella, I disturbi <strong>del</strong> linguaggio, in L.Baldini (a cura<br />
di ), Psicologia evolutiva e disturbi <strong>del</strong>lo sviluppo nell’infanzia, Roma, Il<br />
pensiero scientifico, 1995<br />
1
LA PEDAGOGIA INTERCULTURALE (Dott. R. Coccia)<br />
Un’introduzione: Globalizzazione, Welfare e immigrazione<br />
L’epoca in cui viviamo è definita <strong>del</strong>l’era globale, ovvero viviamo l’età in cui per<br />
dirla con il filosofo Luporini si assiste ad una unificazione <strong>del</strong> genere umano, ovvero<br />
ad una unificazione di ogni aspetto <strong>del</strong>l’esperienza umana. Gli uomini tutti sono<br />
soggetti ad un unico mo<strong>del</strong>lo di produzione e dunque a simili contraddizioni ad<br />
iniziare da quelle ambientali ed ecologiche più in generale. Questa situazione è alla<br />
base <strong>del</strong> fenomeno <strong>del</strong>l’immigrazione di intere popolazioni da una parte ad un’altra<br />
<strong>del</strong> pianeta. Il timore immediato per i governi europei-occidentali è che<br />
l’immigrazione metta a repentaglio la sostenibilità <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo sociale europeo nelle<br />
sue varianti nazionali. Questo timore, <strong>del</strong>la SOSTENIBILITA’<br />
DELL’IMMIGRAZIONE, è molto alto fra gli studiosi e gli osservatori.<br />
Secondo alcuni studiosi (Freeman e Glaeser), guardando a quanto accaduto negli<br />
USA, l’Europa rischia una <strong>del</strong>egittimazione sociale interna al proprio sistema di<br />
welfare se il numero di immigrati arrivasse ad essere maggioranza dei<br />
beneficiari diretti <strong>del</strong> welfare stesso.<br />
L’ipotesi avanzata è quella che si concretizzi un rapporto immigrazione-welfare di<br />
segno negativo, e questo per due ragioni<br />
Economica: gli immigrati possono rappresentare un onere eccessivo sulla<br />
fiscalità generale, nella misura in cui sono sovra rappresentati tra gli utenti <strong>del</strong><br />
welfare;<br />
Sociologica: l’ipotesi di un rapporto problematico tra immigrazione e<br />
sostenibilità <strong>del</strong> welfare nasce dalla convinzione che la presenza crescente di<br />
stranieri eroda la legittimità sociale di uno stato sociale universalistico come<br />
quello europeo.<br />
D’altra parte, il welfare in Europa si è sviluppato di pari-passo con lo Stato<br />
Nazionale, dunque esso è percepito come condivisione e strumento di sostegno di e<br />
per un gruppo sociale culturalmente e socialmente omogeneo. La presenza di<br />
diversità etniche e linguistiche metterebbe in crisi l’identità omogenea e il senso di<br />
solidarietà propri dei nostri mo<strong>del</strong>li di welfare.<br />
L’immigrazione, dunque, metterebbe a rischio il welfare europeo perché:<br />
crea discontinuità nelle fila dei destinatari “naturali” <strong>del</strong>lo stato sociale;<br />
Indebolirebbe il consenso a favore <strong>del</strong>la funzione redistributiva <strong>del</strong> welfare<br />
nella misura in cui accresce la consapevolezza <strong>del</strong>le differenze identitarie<br />
espresse dal linguaggio “NOI” e “LORO”.<br />
Negli USA non si è sviluppato un welfare “universalistico” come quello europeo<br />
proprio per questi fattori, e l’Europa oggi ha imboccato la starda liberista e<br />
abbracciato schemi politici e ideologie ostili ad un welfare come fin qui affermatosi.<br />
L’idea sottesa al welfare, che oggi si vuole abbandonare in nome <strong>del</strong> liberismo, è<br />
quella fondata sull’idea di solidarietà, di eguaglianza nei diritti e sull’equità nella<br />
redistribuzione <strong>del</strong>le risorse. In conseguenza di queste idee, dunque, una società<br />
multiculturale quale quella che si sta configurando oggi, presupporrebbe che il<br />
1
welfare dovrebbe richiedere ai cittadini autoctoni di identificarsi, in qualche misura,<br />
con gli “stranieri”…e nel clima politico che viviamo oggi questo è molto dubbio.<br />
Da quanto appena detto si evidenzia che una variabile importante insieme a<br />
quella economica, <strong>del</strong>la spesa sociale, è quella politico-culturale quale indicatore<br />
per guardare al rapporto welfare-immigrati.<br />
Nel passaggio da un welfare universalistico di tipo Keinesiano ad uno liberista<br />
assistiamo anche alla slatentizzazione di tendenze culturali e politiche di stampo<br />
xenofobe che si traducono in esperienze ghettizzanti ed esclusiviste <strong>del</strong>l’immigrato.<br />
Questa tendenza, non avviene solo rispetto all’immigrato ma anche verso quelle<br />
“categorie” deboli <strong>del</strong>la società come anziani, disabili, disoccupati.<br />
Se dunque le paure di un rapporto negativo tra spesa sociale e immigrazione può<br />
essere non reale nel breve e medio periodo (perché persiste in Europa una<br />
conduzione politica <strong>del</strong>lo Stato di tipo socialdemocratico e perchè l’ipotesi in tal<br />
senso è postulata guardando agli USA) è anche vero che “l’americanizzazione” <strong>del</strong>la<br />
nostra economia e <strong>del</strong> welafre stesso (lenta ma a quanto pare irreversibile) sta<br />
producendo fra le persone un “sentire comune” che tende ad inasprire il proprio<br />
atteggiamento negativo verso l’immigrazione, verso l’immigrato.<br />
Sempre da osservazioni empiriche, riguardanti variabili strutturali di tipo economico,<br />
c’è da dire che il rapporto negativo tra “sentire comune” <strong>del</strong>l’autoctono e<br />
l’immigrazione tende a sparire nella misura in cui lo Stato Sociale è mosso da<br />
politiche tendenti a ridurre al massimo la disoccupazione e a mantenere sotto<br />
controllo i rischi di inflazione e la diminuzione <strong>del</strong> potere d’acquisto per le classi<br />
sociali medie e medio-basse.<br />
Si può concludere, con Johnston e Beating, che nei paesi in cui la fiducia <strong>del</strong>la<br />
popolazione verso le proprie istituzioni e i propri dirigenti gode di buona salute, la<br />
tendenza a sentirsi minacciati dagli immigrati e dunque all’esplodere di razzismi, è<br />
quasi nulla.<br />
Allo stesso modo i due sociologi osservano che nei paesi in cui i governi sono mossi<br />
da politiche tendenti ad includere i cittadini nel dibattito politico pubblico e che<br />
dunque le società risultino più attive e impegnate politicamente e culturalmente, è più<br />
facile che un sentimento di solidarietà e accettazione anche verso l’immigrato (così<br />
come verso ogni “diverso”) possa radicarsi fra le persone autoctone.<br />
Ad oggi comunque, sempre riferendomi ad una ricerca condotta dall’EVS (European<br />
Values Study) gli atteggiamenti complessivi <strong>del</strong>la nostra società verso gli immigrati<br />
risultano tendenzialmente negativi.<br />
Dalla ricerca condotta dall’EVS emerge che la “solidarietà informale” (il sentire<br />
comune) espressa dai cittadini europei verso gli immigrati è piuttosto bassa.<br />
La ricerca è stata condotta rilevando la solidarietà informale espressa verso gli<br />
immigrati a confronto con altre fasce sociali ritenute vulnerabili.<br />
La ricerca ha evidenziato cinque criteri secondo i quali le persone creano il proprio<br />
sentire l’altro da sé e attraverso cui costruiscono la propria solidarietà verso l’altro<br />
ritenuto vulnerabile dalla società.<br />
Questi criteri sono:<br />
• LE CAUSE DELLA DIFFICOLTA’: chi è ritenuto personalmente<br />
responsabile <strong>del</strong>le proprie condizioni di bisogno viene percepito come<br />
meno meritevole di sostegno o aiuto;<br />
1
• IL LIVELLO DEL BISOGNO: le persone che versano in condizioni di<br />
maggiore bisogno sono ritenute più meritevoli di riceverlo;<br />
• GLI ATTEGGIAMENTI: sono più meritevoli di sostegno-aiuto le<br />
persone di aspetto gradevole, che sono riconoscenti verso chi le aiuta, che si<br />
conformano agli standard di comportamento;<br />
• L’IDENTITA’: le persone bisognose che risultano più simili a noi, sono<br />
più meritevoli perché percepite come più bisognose;<br />
• LE RECIPROCITA’: sono più meritevoli chi in passato ha dato un<br />
contributo positivo al gruppo <strong>del</strong> “NOI”.<br />
Come possiamo evincere da quanto detto e guardando anche alla nostra esperienza<br />
personale (come mediatori culturali o educatori), i <strong>Migranti</strong> disattendono quasi tutti i<br />
criteri rilevati attraverso i quali si costruisce la solidarietà informale. Fra un<br />
immigrato che lavora regolarmente e un italiano disoccupato, tra il primo che<br />
contribuisce anche alla spesa sociale e il secondo che non lo fa, la solidarietà<br />
informale per quanto concerne la sola accettazione è rivolta al disoccupato piuttosto<br />
che all’immigrato che quindi non viene accettato. Il disoccupato risponde al criterio<br />
esclusivo n.1 ma anche a criteri inclusivi come il 2, il 3, il 4 e il 5.<br />
Dunque, è all’interno di questo quadro, qui proposto in modo schematico e riduttivo,<br />
<strong>del</strong> “sentire comune” o <strong>del</strong>le “case matte” come diceva Gramsci, che occorre agire,<br />
in modo da superare quei criteri attraverso i quali si costruisce la “solidarietà<br />
informale” e il conseguente “guardare al mondo” di ogni cittadino.<br />
Questo è il fine possibile e auspicabile a cui tendere e verso cui la pedagogia<br />
interculturale vuole contribuire, favorendo l’incontro degli elementi comuni <strong>del</strong>le<br />
diverse culture, educando le persone alla ricerca di sé stessi nel confronto e<br />
all’accettazione <strong>del</strong>l’alterità .<br />
Favorire l’incontro fra individui portatori di culture diverse educando alla<br />
ricerca degli elementi comuni che uniscono più che di quelli che dividono.<br />
L’Italia, per restare a casa nostra, è storicamente, data la sua posizione geografica e<br />
per i ruoli geo-politici svolti da sempre, un esempio di incontro tra culture diverse,<br />
tra concezioni <strong>del</strong> mondo diverse. Sia nella storia che nella politica la “grandezza”<br />
<strong>del</strong> nostro paese nell’arte, nelle scienze e nell’elaborazione culturale in generale si è<br />
avuta quando il dialogo fra culture ha preso il posto <strong>del</strong>lo scontro.<br />
La domanda principale che pone e si pone la pedagogia interculturale è:<br />
“nel mutato contesto sociale, nello sconvolgimento di saperi dati per scontato e di<br />
visioni <strong>del</strong> mondo dati per assodate, imposto dalla globalizzazione e dal fenomeno<br />
migratorio, come favorire un integrazione ne’ assimilatoria ne’ ghettizzante tra<br />
cittadini di diversa provenienza e nazionalita’?”<br />
La pedagogia interculturale si pre-occupa, in quanto sviluppo <strong>del</strong>la pedagogia, di<br />
cercare e proporre mo<strong>del</strong>li educativi e formativi nuovi proprio perché i tradizionali<br />
sono il frutto di un contesto sociale e culturale omogeneo e non variegato come<br />
quello imposto oggi dal fenomeno migratorio e in quanto tali non idonei ad<br />
“accogliere” e integrare, senza ghettizzare ed escludere, l’immigrato (in Italia il<br />
processo di unità nazionale -1861- ha imposto un mo<strong>del</strong>lo economico, culturale,<br />
formativo ed educativo, quello piemontese, sul resto <strong>del</strong>la giovane nazione italiana e<br />
questo ha causato determinate contraddizioni che tutt’oggi viviamo e di cui ne<br />
sentiamo l’onda lunga –questione meridionale, impoverimento di aree geografiche a<br />
1
favore di altre, non-riconoscimento di diversità culturali, ecc- In riferimento a questo,<br />
Raffaele Laporta nel lontano 1974 parlava per la prima volta di “mediazione<br />
culturale” come azione pedagogica ed educativa per superare le contraddizioni<br />
dovute alla migrazione interna di popolazione <strong>del</strong> sud verso il nord Italia.),.<br />
1<br />
Presupposti <strong>del</strong>la pedagogia interculturale.<br />
In Italia si arriva a parlare di Pedagogia Interculturale dopo un quarantennio di eventi<br />
in cui movimenti culturali e politici ponevano all’ordine <strong>del</strong> giorno <strong>del</strong> dibattito<br />
sociale la questione <strong>del</strong> terzo mondo e <strong>del</strong>la decolonizzazione (anni ’60-’70),<br />
<strong>del</strong>l’ambiente e <strong>del</strong>lo “sviluppo sostenibile” (anni 80), <strong>del</strong>l’approccio a nuove letture<br />
nell’analisi sociale e politica imposta dalla globalizzazione dei mercati (anni 90).<br />
Possiamo dire che fino ai primi anni 90, la strada imboccata per la definizione di<br />
pedagogia interculturale era mossa da scrupoli genericamente solidaristici e culturali<br />
e lo stesso linguaggio usato (“multiculturalismo”, “diritto alle differenza”, ecc.) era<br />
frutto di una ideologizzazione <strong>del</strong>l’approccio al fenomeno migratorio e ad una<br />
politicizzazione diffusa, logica di un mondo ancora contrapposto e diviso in blocchi<br />
ideologici e politici.<br />
Il crollo <strong>del</strong>l’URSS e <strong>del</strong> blocco socialista e la “realizzazione” <strong>del</strong> mercato globale,<br />
l’esplodere <strong>del</strong> fenomeno migratorio, pongono l’appena nata pedagogia interculturale<br />
a ricercare un proprio statuto scientifico iniziando a “rivisitare” alcuni concetti fino<br />
ad allora in voga.<br />
Possiamo dire che la ricerca scientifica è innanzitutto indirizzata a superare un<br />
linguaggio ideologizzato e ideologizzante:<br />
Appare evidente che il concetto <strong>del</strong> DIRITTO ALLA DIFFERENZA non tiene più,<br />
teleologicamente, come obiettivo per una pedagogia che cerca di comprendere e<br />
ricercare percorsi educativi e formativi volti ad un incontro fra culture: se il<br />
DIRITTO ALLA DIFFERENZA per molto tempo ha rappresentato un atteggiamento<br />
antirazzista e poi una posizione culturale e scientifica, presupposto per sviluppare<br />
mo<strong>del</strong>li educativi “inclusivi”, col tempo, di fronte al concreto quotidiano imposto<br />
dalla globalizzazione, lo stesso concetto ha preso uno sviluppo diametralmente<br />
opposto divenendo di fatto la chiave di lettura di azioni politiche e culturale di<br />
stampo razzista e xenofobe.<br />
Il DIRITTO ALLA DIFFERENZA è divenuto presupposto per blandire slogan quali<br />
ad esempio “l’Italia agli italiani” “la padania ai padani”, ecc. presupposto per<br />
politiche ghettizzanti ed esclusiviste.<br />
Allo stesso modo, la tematica MULTICULTURALE rischia di porre l’accento sulle<br />
differenze piuttosto che sulle uguaglianze, favorendo l’emergere, come successo, di<br />
spinte verso la legittimazione dei ghetti, <strong>del</strong>la separazione (FENOMENO <strong>del</strong>l’<br />
INCISTAMENTO). Su questa strada sta maturando un “sentire comune” che vuole<br />
che la posizione <strong>del</strong>l’immigrato nella nostra società è data dalla sua capacità o meno<br />
di avvicinarsi alla nostra cultura (IDEA DELL’ASSIMILAZIONE) .<br />
L’uso stesso <strong>del</strong>la tematica <strong>del</strong>la CULTURA, <strong>del</strong> linguaggio pedagogico incentrato<br />
sulla CULTURA, rischia di creare generalizzazioni che in termini educativi<br />
comportano la spersonalizzazione <strong>del</strong>l’individuo immigrato verso cui la scuola,<br />
l’istituzione, l’operatore culturale, il mediatore (quindi un altro individuo), perpetua<br />
nei fatti l’atteggiamento mentale <strong>del</strong> NOI-LORO.<br />
1
In questo caso, occorre ricordare dei concetti fondamentali a cui la pedagogia, che<br />
oggi è e deve essere pedagogia interculturale, non può e non deve rinunciare:<br />
alla base <strong>del</strong> fenomeno migratorio vi sono condizioni economiche e sociali<br />
determinate dallo sviluppo globale <strong>del</strong> mercato imposto dal capitalismo<br />
internazionale;<br />
la persona migrante non è solo un “rappresentante” di una cultura, portatore di<br />
costumi altri, è innanzitutto uomo o donna in carne ed ossa con propri progetti,<br />
convinzioni personali e ansie varie, con una propria “forza”, propri interessi culturali<br />
e politici, con una propria estrazione di classe, di casta e di reddito;<br />
l’individuo, il cittadino che lascia il proprio paese d’origine è portatore di<br />
un’esperienza soggettiva in cui la cultura d’origine, nei suoi schemi, viene<br />
necessariamente rivista dallo stesso proprio attraverso l’esperienza <strong>del</strong>l’emigrazione<br />
e le condizioni soggettive sopra dette. Se dunque occorre incontrarlo anche attraverso<br />
la conoscenza <strong>del</strong>la cultura di provenienza, è fondamentale essere consapevoli di<br />
farlo in quanto persona “che transita” da una società ad un’altra sempre e comunque<br />
configurata da uno specifico mercato <strong>del</strong> lavoro e conseguenti sistemi di<br />
gerarchizzazione sociale.<br />
Quando il paese che accoglie nega questi presupposti, e sulla spersonalizzazione e la<br />
generalizzazione <strong>del</strong>l’immigrato costruisce la propria risposta politica, culturale ed<br />
educativa è facile ipotizzare lo sviluppo nella persona immigrata e in seno alle<br />
comunità di migranti di idee radicali tendenti al recupero ideologico e a-critico <strong>del</strong>la<br />
cultura d’origine, producendo auto-separazione (FENOMENO<br />
DELL’AUTOINCISTAMENTO), presupposto <strong>del</strong> conflitto.<br />
Ovviamente, quanto detto non nega l’importanza <strong>del</strong>la dimensione culturale<br />
<strong>del</strong>l’immigrazione nel paese che accoglie, non si vuole negare il fatto che comunque<br />
la cultura di origine <strong>del</strong>le comunità immigrate è una variabile da considerare<br />
nell’analisi e nella ricerca di percorsi educativi volti all’integrazione.<br />
Riconoscere l’identità culturale non deve però essere un capro-espiatorio per dire che<br />
una mancata integrazione <strong>del</strong>l’immigrato è dovuta a proprie responsabilità dovute<br />
alla propria appartenenza culturale . Ovvero non si deve cadere nella logica<br />
“evoluzionista” secondo cui l’integrazione passa inevitabilmente attraverso un<br />
giudizio di valore di minore o maggiore avvicinamento <strong>del</strong>l’immigrato agli schemi<br />
valoriali, culturali occidentali. Questo atteggiamento valutativo che pone<br />
l’istituzione, la scuola, l’operatore in una posizione gerarchica automaticamente<br />
superiore al cittadino immigrato, comporta il rischio di una chiusura comunicativa e<br />
relazionale sia per l’uno che per l’altro (incistamento e auto-incistamento).<br />
Questa considerazione, questo presupposto <strong>del</strong>la pedagogia, comporta il maturare di<br />
una pratica educativa intenzionale da parte <strong>del</strong>le istituzioni scolastiche e un<br />
atteggiamento assertivo con cui il paese che accoglie ha verso i nuovi cittadini.<br />
Per dirla con Kurt Lewin “LE RELAZIONI TRA I GRUPPI SONO UN<br />
PROBLEMA BIFRONTE. CIO’ SIGNIFICA CHE PER MIGLIORARE LE<br />
RELAZIONI TRA I GRUPPI, E’ NECESSARIO STUDIARE ENTRAMBI I<br />
GRUPPI OGGETTO DELL’INTERAZIONE. NEGLI ULTIMI ANNI SI E’<br />
COMINCIATO A COMPRENDERE CHE I COSIDDETTI PROBLEMI DELLA<br />
MINORANZA SONO DI FATTO PROBLEMI DELLA MAGGIORANZA, CHE IL<br />
1
PROBLEMA DEL NEGRO E’ QUELLO DEL BIANCO, CHE LA QUESTIONE<br />
EBRAICA E’ LA QUESTIONE DEI NON EBREI”.<br />
Il rapporto tra una minoranza e una maggioranza configura le relazioni interculturali.<br />
Relazione a cui, per scorciatoie giuridiche, molti paesi occidentali fra cui il nostro<br />
rispondono creando <strong>del</strong>le asimmetrie politiche e sociali che pongono di fatto gli<br />
immigrati in situazione di svantaggio e di “invisibilità”, di cittadini di serie B (la più<br />
evidente è la negazione di diritti quali ad esempio la partecipazione alla vita politica<br />
attraverso il voto).<br />
Ovvero: se non riconosciamo che il problema di un immigrato è anche problema di<br />
un autoctono, cioè che le questioni imposte dal fenomeno immigrazione investono e<br />
riguardano anche “noi” (democrazia, sviluppo sostenibile, economia redistributiva,<br />
globalizzazione <strong>del</strong> mercato, servizi culturali e sociali, ecc.) si perpetua la logica<br />
devastante e potenzialmente esplosiva <strong>del</strong> Noi-Loro.<br />
Riassumendo, possiamo dire:<br />
Non esistono, per la comprensione e l’azione educativa, leggi generali che<br />
abbiano validità di fronte all’esperienza soggettiva <strong>del</strong>l’immigrazione (vissuta<br />
o subita direttamente o indirettamente); esistono però <strong>del</strong>le strutture<br />
comportamentali simili, sia all’immigrato che all’autoctono, che possono<br />
determinare risposte positive o negative in relazione al contesto politicoeconomico<br />
(rapporto welfare-immigrazione, diffidenza <strong>del</strong> nuovo, difficoltà<br />
al cambiamento, incistamento e auto-incistamento, ecc.);<br />
Non possiamo rinunciare a ciò che siamo e allo stesso modo pretendere che lo<br />
faccia l’altro-da-noi, dunque “arrendersi” all’ incontro, resa che presuppone<br />
comunicazione;<br />
L’immigrato, così come l’autoctono, è una persona e non un oggetto di<br />
studio, dunque ognuno è portatore di una propria lettura esperienziale sia<br />
<strong>del</strong>la cultura d’origine sia <strong>del</strong>l’esperienza migratoria.<br />
Dunque, l’incontro fra individui appartenenti a culture diverse, il passaggio da una<br />
formazione sociale ad un'altra da parte di più individui, va letto in chiave pedagogica<br />
secondo un senso EVOLUTIVO, DINAMICO, INTEGRATIVO.<br />
EVOLUTIVO: capire e pensare che l’incontro fra due individui, siano essi<br />
anche due comunità culturali o religiose, differenti per esperienze, lingua e<br />
costumi, può e deve condurre ad una evoluzione culturale, valoriale dovuta alla<br />
reciprocità (compito <strong>del</strong>l’educazione è non far passare questo processo attraverso<br />
il conflitto);<br />
DINAMICO: l’immigrato è un individuo che come l’autoctono “subisce” una<br />
cultura dominante (d’origine o di accoglienza); in quanto individuo, persona, non<br />
può essere ridotto ad una categoria indistinta (in questo caso l’immigrato, ma lo<br />
stesso presupposto può essere rivolto al disoccupato, al povero, al disabile,<br />
all’anziano, al minore, e così via) e si trasforma nel tempo in relazione<br />
all’esperienza vissuta e alla propria capacità di leggere-elaborare sia la cultura da<br />
cui proviene sia la cultura che lo accoglie, (così l’autoctono); compito<br />
<strong>del</strong>l’educazione è sviluppare personalità capaci di riflettere innanzitutto su se<br />
stesse.<br />
INTEGRATIVO: ognuno, autoctono e immigrato, contribuisce alla formazione<br />
e allo sviluppo <strong>del</strong>l’altro.<br />
1
In questa chiave di lettura, l’approccio di una pedagogia che guarda all’uomo nel suo<br />
divenire e non alla subordinazione di questo ad un qui-ed-ora (ad emergenze varie),<br />
deve necessariamente proporre e sviluppare percorsi finalizzati alla diffusione di una<br />
educazione <strong>del</strong>l’accoglienza, che eviti il conflitto, verso i cittadini autoctoni stessi.<br />
PEDAGOGIA ed EDUCAZIONE oggi significano essenzialmente PEDAGOGIA ed<br />
EDUCAZIONE INTERCULTURALE. In tutto questo appare evidente come la<br />
scuola e le istituzioni educative e formative debbano ripensare se stesse in chiave<br />
interculturale. Le parole chiave <strong>del</strong>la pedagogia interculturale sono:<br />
- l’accoglienza,<br />
- la formazione.<br />
1) L’accoglienza…: …non è un semplice dovere civile di solidarietà, ma condivisione<br />
e attenzione ai bisogni e ai diritti <strong>del</strong>le minoranze; l’accoglienza non è una<br />
strategia dei singoli, ma <strong>del</strong>l’intera comunità verso cui occorre dipanare un grande<br />
sforzo educativo e formativo. Da questo punto di vista l’immigrazione, nel “sentire<br />
comune” <strong>del</strong>le persone deve essere recepita come un DONO…..<br />
…. che ci permette di recuperare un parte <strong>del</strong>le nostra umanità, un dono perché<br />
l’incontro con l’altro diverso da noi ci aiuta a conoscerci meglio, un dono nella misura<br />
in cui può offrirci di ricostruire i legami sociali e creare una rete territoriale<br />
effettivamente più solidale per tutti, In questo caso la partecipazione dei migranti alla<br />
vita sociale <strong>del</strong> territorio porta un cambiamento, porta anche <strong>del</strong>le tensioni, produce<br />
paure e diffidenza. Solo se si costruiscono i luoghi <strong>del</strong>l’incontro e <strong>del</strong>la partecipazione<br />
si può pensare di costruire degli spazi di cittadinanza reali e rispettosi <strong>del</strong> pluralismo<br />
culturale.La partecipazione implica tuttavia la presa di parola da parte <strong>del</strong> migrante; la<br />
possibilità per lui di uscire dalla propria condizione sociale di “essere meno” rispetto<br />
agli altri cittadini; la possibilità per lui di essere accompagnato in un percorso di<br />
rielaborazione e di comprensione <strong>del</strong>l’universo sociale e culturale nuovo nel quale<br />
vive. Non c’è cittadinanza senza capacità di decidere , non c’è capacità di decidere<br />
senza autonomia; non c’è neanche autonomia senza avere gli strumenti per<br />
decodificare il mondo sociale locale, le sue dinamiche e le possibilità che offre. Se<br />
vogliamo evitare che la situazione nuova , lo “choc psico-culturale” provocato<br />
dall’impatto con la società italiana, diventi un ostacolo nella nuova vita sociale <strong>del</strong><br />
migrante bisogna creare le mediazioni necessarie allo sviluppo di una cittadinanza<br />
effettiva<br />
Alain Goussot<br />
2) La formazione: nel riconoscere il tessuto bi-linguistico, bi-psicologico propri<br />
<strong>del</strong>la convivenza tra culture, occorre operare per una sintesi attraverso cui<br />
l’immigrato e l’autoctono escono da sé senza rinnegare il proprio passato attraverso i<br />
contenuti di apposite politiche formative che necessariamente consentano il<br />
superamento di quelle “mappe” mentali fin qui utilizzate nell’elaborazione dei<br />
percorsi didattici e formativi.<br />
1
SCUOLA ED EDUCAZIONE INTERCULTURALE –<br />
ALCUNI MODELLI<br />
L’incontro con l’altro da sé, soprattutto se l’altro esprime un costume, una lingua e<br />
un colore <strong>del</strong>la pelle diverso, può avvenire in molti modi diversi a seconda che si<br />
adotti un atteggiamento “naturalistico” (rivolgendoci all’altro come oggetto) o<br />
“personalistico”, volto a considerare l’altro in quanto persona.<br />
In questo secondo caso, l’incontro con l’altro presuppone l’incontro con noi stessi<br />
(rivisitare sé stessi, è per questo che prima ho parlato di immigrazione come dono per<br />
l’autoctono). Compito <strong>del</strong>la pedagogia è ricercare e proporre mo<strong>del</strong>li educativi e<br />
formativi attraverso cui formare persone capaci di riflettere su se stessi, sugli altri,<br />
sugli stereotipi e i pregiudizi in maniera critica e cosciente <strong>del</strong>la complessità e <strong>del</strong>la<br />
relatività dei punti di vista.<br />
Husserl scriveva: “l’uomo si attua soltanto se si trascende verso gli altri”<br />
Gli altri, nelle nostre società comprendono i diversi da noi, siano essi disabili, poveri,<br />
ecc. Nelle società trasformate dall’immigrazione, gli altri sono i diversi per colore di<br />
pelle, espressione di costumi, di lingua, i quali a loro volta possono essere disabili,<br />
poveri, tossicodipendenti, ecc.<br />
I mo<strong>del</strong>li <strong>del</strong>la trascendenza sono innanzitutto:<br />
- LA GRATUITA’ <strong>del</strong>l’aiuto reciproco e <strong>del</strong>la comprensione nel quotidiano (tradotto<br />
in termini politici l’estensione dei diritti di rappresentanza, senza condizioni,<br />
limitazioni, contropartite);<br />
- LA SOLIDARIETA’ in ambito socio –politico (in ambito quotidiano la solidarietà<br />
è un sentimento distaccato, nel quotidiano si parla di CONDIVISIONE).<br />
In ambito educativo, ovvero nella relazione educativa, ad iniziare dalla scuola, la<br />
TRASCENDENZA verso gli altri si pratica attraverso l’EMPATIA.<br />
L’educazione interculturale nelle teoria e nella pratica in Europa<br />
Le linee direttive proposte dall'Unione Europea con riferimento ai "progetti volti a<br />
promuovere la dimensione interculturale e l'introduzione <strong>del</strong>le pratiche pedagogiche<br />
innovative" così si esprimono: "I progetti di istruzione interculturale previsti a questo<br />
titolo sono intesi a sviluppare la tolleranza e la comprensione reciproca tra gli allievi<br />
e gli insegnanti di contesti linguistici e socio-culturali diversi, contribuendo quindi in<br />
modo diretto alla lotta contro il razzismo e la xenofobia”.<br />
In Italia, rif. Circolare Ministeriale n. 205 <strong>del</strong> 26 luglio 1990, la scuola assume come<br />
compito educativo la:<br />
"mediazione fra le diverse culture: mediazione non riduttiva degli apporti culturali<br />
diversi, bensì animatrice di un continuo, produttivo confronto fra differenti mo<strong>del</strong>li.<br />
L'educazione interculturale - si osserva - avvalora il significato di democrazia,<br />
considerato che la "diversità culturale" va pensata quale risorsa positiva per i<br />
complessi processi di crescita <strong>del</strong>la società e <strong>del</strong>le persone. il riconoscimento <strong>del</strong>la<br />
sua identità culturale, nella quotidiana ricerca di dialogo, di comprensione e di<br />
collaborazione, in una prospettiva di reciproco arricchimento".<br />
E ancora, rif. C.M. <strong>del</strong> 2/3/1994 n° 73, il Ministero <strong>del</strong>l’Istruzione indica come<br />
strategie operative <strong>del</strong>l'educazione interculturale:<br />
a) l'attivazione nella scuola di un clima relazionale di apertura e di dialogo;<br />
b) l'impegno interculturale nell'insegnamento disciplinare e interdisciplinare;<br />
1
c) lo svolgimento di interventi integrativi <strong>del</strong>le attività curricolari, anche con il<br />
contributo di Enti e Istituzioni varie;<br />
d) l'adozione di strategie mirate, in presenza di alunni stranieri.<br />
Il documento ministeriale appena citato ("Dialogo interculturale e convivenza<br />
democratica") vede l'educazione interculturale non come una disciplina aggiuntiva<br />
che si colloca in un momento a sé <strong>del</strong>l'orario scolastico, ma come approccio globale<br />
che va a ridisegnare la scuola nelle sue strategie di insegnamento e all’interno di ogni<br />
materia scolastica, ovvero va a rivedere:<br />
1. i curricoli formativi<br />
2.gli stili comunicativi<br />
3. la gestione <strong>del</strong>le identità, <strong>del</strong>le differenze e dei bisogni di apprendimento.<br />
Per dirla con le parole di Graziella Favaro, l'educazione interculturale opera per<br />
realizzare un progetto di 7 :<br />
a) integrazione, poiché:<br />
- realizza dispositivi di facilitazione e di accoglienza dei bambini venuti da lontano<br />
- conosce e valorizza le lingue d'origine, i saperi e i riferimenti culturali altri<br />
- presta attenzione al clima <strong>del</strong>la classe e alla fase di primo inserimento <strong>del</strong>le<br />
famiglie e dei bambini immigrati<br />
- cerca di rimuovere gli ostacoli (informativi, burocratici, linguistici e comunicativi)<br />
che possono rendere difficili l'accesso e l'uso <strong>del</strong>le risorse educative <strong>del</strong> paese di<br />
immigrazione<br />
b) interazione, poiché:<br />
- porta alla scoperta <strong>del</strong>le differenze e <strong>del</strong>le analogie tra individui e gruppi e al<br />
riconoscimento di punti di vista diversi, attraverso il confronto<br />
- provoca l'analisi e la de-costruzione degli stereotipi e dei pregiudizi e la<br />
consapevolezza <strong>del</strong>le reciproche immagini, "etichette" e rappresentazioni<br />
- considera il processo di incontro e di "rimescolamento" come il terreno privilegiato<br />
<strong>del</strong>l'intervento educativo<br />
c) relazione, poiché, attraverso l'incontro e lo scambio:<br />
- facilita e promuove i processi di cambiamento, scambio reciproco, ibridazione<br />
- sostiene la gestione dei conflitti e la negoziazione<br />
- è attenta alla dimensione affettiva, allo "star bene insieme e con le proprie<br />
differenze"<br />
d) decentramento, poiché, attraverso il riconoscimento dei diversi punti di vista,<br />
comportamenti, giudizi e valori:<br />
- facilita e promuove la capacità di decentrarsi rispetto a dimensioni molteplici:<br />
quella<br />
temporale e <strong>del</strong>la storia, quella spaziale e <strong>del</strong>l'etnologia, quella simbolica, dei fatti e<br />
dei significati<br />
- aiuta a mettersi nei panni degli altri (empatia)<br />
- permette di dare significato e di contestualizzare fatti e comportamenti, nostri e<br />
altrui<br />
- aiuta a conoscere se stessi e a conoscere gli altri.<br />
7 Rif. Graziella Favaro PEDAGOGIA INTERCULTURALE: LE IDEE E LE INDICAZIONI DIDATTICHE<br />
1
Da questo, la pedagogia interculturale nella scuola propone tre temi sui quali lavorare<br />
in classe per “fare” educazione interculturale:<br />
- l’approccio autobiografico<br />
- la narrazione e la fiaba<br />
- la revisione dei curricoli di studio e l’individuazione di nuclei tematici<br />
trasversali alle discipline.<br />
Strategie didattiche di educazione interculturale (Agostino Portera)<br />
Concretamente, all’interno <strong>del</strong>l’aula scolastica, prima di adottare interventi educativi<br />
a carattere interculturale, occorre anzitutto applicare alcune strategie così come<br />
indicate da D. Demetrio:<br />
- facilitare condizioni idonee perché i minori stranieri trovino l’habitat di<br />
accoglienza più adatto;<br />
- evitare di trasmettere l’immagine <strong>del</strong> “povero” straniero;<br />
- proporre argomenti che richiamino alle culture “altre”;<br />
- valorizzare la lingua dei paesi d’origine;<br />
- invitare a scoprire che le differenze rappresentano un fattore positivo;<br />
- aiutare ad individuare stereotipi e pregiudizi (anche in chiave ludica);<br />
- presentare temi-guida rinvenibili nelle culture più diverse come il viaggio, la<br />
peregrinazione, la nostalgia, le radici, lo straniero.<br />
In classe, è inoltre indispensabile instaurare un clima impregnato di valori come<br />
l’accettazione <strong>del</strong>l’altro, in quanto portatore <strong>del</strong>la dignità umana comune a tutti;<br />
<strong>del</strong>l’accoglienza, come vera apertura verso l’altro, oltre ogni ripulsa psicologica e<br />
comportamentale; <strong>del</strong>la convivenza, cioè disponibilità ad accettare la coesistenza di<br />
valori diversi.<br />
Ma ciò che sostanzia maggiormente l’educazione interculturale sono tutte le<br />
occasioni in cui, sia mediante unità didattiche ad hoc sia in ogni altra situazione di<br />
apprendimento, l’insegnante riesca a promuovere modalità:<br />
• di ascolto attivo (nel senso di apertura, accettazione e rispetto, atteggiamento non<br />
preconcetto; non interrompere, porre domande di comprensione, saper cogliere anche<br />
i segnali non verbali, i bisogni insoddisfatti);<br />
• di dialogo (in termini non solo di imparare a comunicare il proprio pensiero<br />
verbalmente in maniera chiara, concisa e strutturata, ma anche di saper riconoscere e<br />
gestire i propri sentimenti, le emozioni e le sensazioni corporee);<br />
• di incontro (come capacità e possibilità di contatto autentico, sullo stesso piano, da<br />
persona a persona nel senso di M. Buber o C. Rogers);<br />
• di confronto (riuscire a pensare con la propria testa, accettando anche l’autonomia<br />
di pensiero <strong>del</strong>l’altro; una partita dove le regole sono chiare – il rispetto reciproco e il<br />
rapporto paritetico – ma la fine è aperta: può essere il pareggio, la vittoria <strong>del</strong>l’ uno e<br />
la sconfitta <strong>del</strong>l’altro, ma anche la vincita di entrambi);<br />
• di interazione ( vera “perla pedagogica”: rapporto educativo caratterizzato da<br />
attività nell’attività).<br />
Se intesa e gestita in tal modo, la presenza in classe di alunni con differenze etniche o<br />
culturali, potrebbe rappresentare un’occasione di arricchimento non solo per tutti gli<br />
alunni, ma anche per l’insegnante: migliorare curricoli formativi, stili comunicativi,<br />
struttura e finalità stesse dei percorsi di insegnamento.<br />
Come ricompensa al maggiore impegno, l’insegnante accrescerebbe la propria<br />
1
competenza professionale e umana.<br />
Persino l’incertezza diventerebbe una risorsa, stimolando a partire non da soluzioni<br />
precostituite, ma da un interrogativo, da un bisogno di cercare percorsi innovativi.<br />
Un insegnante pedagogicamente competente e umanamente ricco potrebbe persino<br />
assumere il ruolo di mediatore interculturale, non solo nel senso di saper dialogare<br />
con l’alunno straniero, ma anche di saper facilitare la relazione fra alunni immigrati e<br />
autoctoni in classe, fra scuola e famiglia, persino fra genitori diversi.<br />
In ultima analisi, per attuare appropriati interventi pedagogici interculturali, occorre<br />
un lavoro di formazione incentrato su uno schema inverso a quello abituale:<br />
per regolare la rappresentazione degli altri, è necessario agire innanzitutto sulla<br />
rappresentazione di sè, «la questione che si pone non è più chi è l’altro ma chi<br />
sono io stesso in rapporto all’altro»; ogni problema riguardante l’altro dev’essere<br />
raddoppiato con l’interrogativo sul me.<br />
La globalizzazione, l’interdipendenza, l’avvento di società pluralistiche e<br />
multiculturali sono processi ormai inarrestabili. Dopo il crollo <strong>del</strong>l’impero sovietico<br />
non esiste una sola civiltà (quella occidentale), da propagare sull’intero pianeta e da<br />
proteggere dagli attacchi esterni.<br />
Nel mondo post guerra fredda si attesta l’esistenza e la nascita di molte altre civiltà<br />
non occidentali, in parte nuove, in parte altrettanto antiche e assiologicamente<br />
radicate (come quelle di Asia orientale, Giappone, stati islamici, religione ortodossa,<br />
sud America). Perciò la grande sfida <strong>del</strong> XXI° secolo è (e sarà sempre più) di riuscire<br />
a gestire i conflitti di natura religiosa, economica, culturale, sociale e<br />
comportamentale che ineludibilmente scaturiscono dal contatto e dalla convivenza<br />
-talvolta forzata- fra persone differenti (vedi, per esempio, Irak, Israele e Palestina).<br />
Per svolgere bene il proprio compito educativo (oltre che istruttivo), l’insegnante non<br />
potrà non prepararsi adeguatamente alla presenza di bambini e giovani immigrati.<br />
Prendersi cura di loro, riuscire a coglierne i rischi e le opportunità, non vuol dire<br />
solamente aiutare alcuni soggetti “bisognosi” ad inserirsi meglio, ma acquisire<br />
competenze ed abilità indispensabili per la propria vita privata e professionale:<br />
«l’altro mi guarda e mi riguarda» (E. Levinas).<br />
CONCETTO FONDAMENTALE (valido sempre): L’ALTRO DA SE’ SI PUO’<br />
CONOSCERE, COMPRENDERE, DUNQUE SOSTENERE, SE RICONOSCO IN<br />
LUI GLI STESSI MIEI BISOGNI (FORMATIVI, EDUCATIVI, IDEALI, DI<br />
EMANCIPAZIONE, ECC.).<br />
LA PEDAGOGIA INTERCULTURALE<br />
NELL’AMBITO DELLA GIUSTIZIA MINORILE: alcuni concetti<br />
LEGGI DI RIFERIMENTO:<br />
Art. 2 COSTITUZIONE: garantisce i diritti e le libertà fondamentali <strong>del</strong>l’uomo.<br />
Art. 3 COSTITUZIONE: la Repubblica deve rimuovere ogni ostacolo, economico o<br />
sociale, che limita di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, che sono eguali<br />
indipendentemente dal credo politico o religioso, dalla razza o dalla lingua, dalle<br />
condizioni sociali o economiche<br />
RDL 1404/34: ISTITUZIONE DEL CARCERE MINORILE E DEL<br />
PROCEDIMENTO PROCESSUALE DIFFERENZIATO<br />
1
L. 354/75 : norme sull’Ordinamento penitenziario e sulla esecuzione <strong>del</strong>le misure<br />
privative e limitative <strong>del</strong>la libertà” (che vale per adulti e minori)<br />
DPR 448/88: disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni;<br />
DLgs 272/89: applicativo <strong>del</strong> DPR 448/88<br />
EDUCAZIONE INTERCULTURALE:<br />
ALCUNE CONSIDERAZIONI SULL’IMPORTANZA DELLA<br />
COMUNICAZIONE<br />
Da un punto di vista generale, ogni esperienza compiuta dall’uomo è un “morire e rinascere”.<br />
Ogni esperienza è tale in quanto pone l’individuo ad affrontare “compiti di sviluppo”<br />
ed “eventi critici” di tipo normativi ma anche, ed è il caso <strong>del</strong>l’esperienza<br />
<strong>del</strong>l’immigrazione, di tipo extra-normativo.<br />
Per compiti normativi, intendo quei “compiti” che ognuno di noi si è trovato e si<br />
trova a svolgere nel proprio divenire: imparare la relazione, il linguaggio, le regole<br />
non scritte <strong>del</strong> vivere-in-relazione, il passaggio da fasi di età ad altre, ecc.<br />
Per compiti extra-normativi, intendo quegli avvenimenti che si sommano ai compiti<br />
normativi ma che risultano “straordinari” , come l’immigrazione, il ri-adattarsi ad un<br />
mutato contesto linguistico, geografico, valoriale, sociale ed economico.<br />
Le condizioni di incertezza e inadeguatezza che il soggetto sperimenta in queste<br />
occasioni dipendono dal livello culturale economico e sociale <strong>del</strong> soggetto stesso (la<br />
risposta soggettiva alle problematiche indotte dal fenomeno immigrazione è diversa<br />
in un soggetto con un back-graund di un certo tipo rispetto ad un altro che si muove<br />
per necessità, per fame). Comunque, l’impatto con un ambiente diverso dal proprio<br />
può provocare criticità nella persona indipendentemente dalla condizione di partenza<br />
(criticità psicologiche, comportamentali, da attribuire ad altre cause indipendenti<br />
dall’evento migrazione stesso).<br />
Comunque, l’esperienza <strong>del</strong>l’immigrazione è un “compito” che rimette in<br />
discussione l’individuo che la compie, innanzitutto l’esperienza <strong>del</strong>l’immigrazione<br />
ri-disegna per l’individuo l’insieme dei propri “sistemi relazionali”.<br />
Che cos’è un “SISTEMA RELAZIONALE”?<br />
un sistema relazionale può essere inteso come l’insieme costituito da uno o più<br />
unità collegate tra loro in modo che un cambiamento nello stato di un’unità sarà<br />
seguito dal cambiamento di stato anche nelle altre unità 8 ….Ogni individuo è<br />
parte di più sistemi relazionali.<br />
In base a questa definizione proviamo a pensare cosa nell’esperienza<br />
<strong>del</strong>l’immigrazione di un individuo si mette in moto in relazione alle unità (alle<br />
persone, mogli, mariti, figli, genitori, amici, fidanzati, ecc.) che lascia e a quelle che<br />
trova (parenti, amici, mogli, mariti, ecc.).<br />
L’esperienza <strong>del</strong>l’immigrazione comporta per chi la compie, soprattutto per<br />
necessità, dei cambiamenti di stato in tutte le sfere relazionali in cui come individuo<br />
ne è partecipe.<br />
SE si potessero vedere le relazioni umane come un rapporto fisico ed elettrico fra<br />
elettroni in un conduttore quale il rame di un circuito, possiamo dire che l’esperienza<br />
8 Protima Agostini LA CONSULENZA EDUCATIVA , Collana pedagogica <strong>del</strong>l’ Ass. Nazionale Pedagogisti (ANPE), ediz. La<br />
Rondine<br />
1
<strong>del</strong>l’immigrazione crea tra gli individui e le unità in cui è inserito e all’interno <strong>del</strong><br />
proprio sistema relazionale e anche nelle unità relazionali con cui entra in contatto<br />
nel paese di destinazione, <strong>del</strong>le differenze di potenziale, <strong>del</strong>le differenze di tensione<br />
che determinano il mutamento fisico ed elettrico <strong>del</strong> circuito.<br />
Mutamento che può condurre ad uno sviluppo positivo <strong>del</strong>l’intero circuito (incontro)<br />
oppure a determinare un cortocircuito in cui l’individuo perde se stesso (scontro,<br />
incistamento o auto-incistamento).<br />
All’interno di un sistema relazionale è fondamentale la comunicazione.<br />
Il processo relazionale messo in atto nelle scuole o nelle comunità al fine<br />
<strong>del</strong>l’accoglienza <strong>del</strong>l’immigrato è basato essenzialmente sulla comunicazione.<br />
Impossibile non comunicare, anche la differenza linguistica è un impedimento<br />
relativo alla comunicazione.<br />
La comunicazione è il passaggio di informazioni tra un individuo ed un altro.<br />
Attraverso la comunicazione si veicolano visioni <strong>del</strong> mondo, sentimenti, richieste e<br />
bisogni, attraverso una buona pratica comunicativa è possibile permettere la crescita<br />
di buone pratiche educative e formative.<br />
La comunicazione può essere:<br />
di tipo digitale: la lingua parlata, scritta<br />
di tipo analogica: coincide con la comunicazione non verbale (posizioni <strong>del</strong><br />
corpo, gesti, espressione <strong>del</strong> viso, inflessioni <strong>del</strong>la voce, sequenza, ritmo, ecc.)<br />
Saper leggere in termini analogici la comunicazione è una “virtù” data<br />
dall’esperienza, dalla pratica e dalla conoscenza di se stessi e <strong>del</strong>l’altro. Quando<br />
l’altro è un immigrato occorre che si conosca la sua cultura di provenienza, il<br />
contesto da cui proviene (linguaggi non verbali possono avere significati diversi in<br />
diverse geografie), ecco perché è bene per chi voglia fare <strong>del</strong>la mediazione culturale<br />
o essere madre-lingua o farsi dei bei viaggetti in quei paesi di cui si vuole apprendere<br />
la lingua, si vuole conoscere la cultura, si vuole condividere dei valori, ecc.<br />
Possiamo comunque dire che il linguaggio non-verbale è fondamentale al fine <strong>del</strong>la<br />
comunicazione, e che il linguaggio non-verbale è frutto degli “archetipi simbolici”<br />
<strong>del</strong>la cultura di appartenenza, in cui un individuo cresce e si forma.<br />
Il pianto, il riso, il silenzio sono esempi lampanti di come alla base <strong>del</strong>la<br />
comunicazione non-verbale vi sono elementi simbolici comuni a tutte le culture.<br />
La comunicazione è biunivoca, avviene tra un emittente ed un ricevente in cui<br />
ognuno è alternativamente l’altro; nell’ambito <strong>del</strong>la comunicazione all’interno di una<br />
mediazione culturale bisogna stare attenti al feed-back che si rimanda<br />
all’interlocutore che si vuole conoscere o sostenere in un percorso di accoglienza, di<br />
inserimento, di formazione ed educativo.<br />
Un Feed-Back può essere negativo o positivo e questi a loro volta dipendono dal<br />
contesto in cui avviene la comunicazione.<br />
Un contesto si costituisce entro una situazione precisa, che comporta una determinata<br />
finalità, Frasi, constatazioni o comportamenti assumono significati in rapporto alla<br />
situazione, al contesto.<br />
I contesti possono essere vissuti diversamente (meta contesti), o vissuti come<br />
esperienza soggettiva <strong>del</strong> contesto.<br />
In un contesto come la scuola, un feed-back può essere negativo se ad esempio il<br />
minore straniero vive il mediatore o l’insegnante come un giudice che valuta<br />
1
l’inserimento <strong>del</strong> ragazzo in base al suo, più o meno, avvicinamento a stili<br />
comportamentali, di usi e costumi, propri <strong>del</strong>l’insegnante (ecco perché occorre<br />
superare, in generale, la VALUTAZIONE scolastica così come è oggi imposta<br />
sull’alunno, come strumento principe <strong>del</strong>le scuola nel suo rapporto con l’alunno, sia<br />
immigrato che autoctono).<br />
Sul piano <strong>del</strong>l’azione progettuale finalizzata all’accoglienza e all’integrazione nel<br />
gruppo-contesto-classe, occorre centrare l’obiettivo <strong>del</strong>lo scambio e <strong>del</strong>la conoscenza<br />
reciproca attraverso la ri- valutazione <strong>del</strong>le abilità scolastiche soggettive originarie<br />
<strong>del</strong>l’alunno grazie all’intervento <strong>del</strong> mediatore linguistico e culturale.<br />
Per questo occorre ripensare pedagogicamente la scuola, rivalutando quelle<br />
esperienze di pedagogia definita ATTIVA (con particolare riferimento a Freinet e<br />
Makarenko).<br />
LE PEDAGOGIE ATTIVE: UN’INTRODUZIONE<br />
L’esperienza <strong>del</strong>l’ immigrazione è soggettiva;<br />
L’immigrazione è un DONO perché consente all’autoctono di ri-vedersi, ri-pensarsi,<br />
ri-creare strumenti e reti relazionali;<br />
La comunicazione è fondamentale all’incontro con l’altro da sé;<br />
L’altro da sé è essenzialmente un’ altro IO, per cui l’incontro può risultare positivo<br />
se si evidenziano le uguaglianze piuttosto che le differenze;<br />
Il fine <strong>del</strong>l’educazione, che è educazione interculturale, è far emergere dall’incontro<br />
tra “diversità” una nuova visione-<strong>del</strong>-mondo che annulli il conflitto;<br />
La società è oggi società multiculturale, multietnica, ecc. L’incontro è frutto di una<br />
pratica educativa a 360°. Pratica educativa fondata sull’assioma <strong>del</strong>la con-divisione e<br />
non <strong>del</strong> “NOI-LORO”. La scuola torna ad avere un ruolo centrale in tutto questo se è<br />
capace di ripensare alla propria organizzazione didattica e alla propria mission<br />
pedagogica;<br />
Nella scuola, l’incontro può essere favorito se la didattica, il “fare scuola” più in<br />
generale, si ristruttura in base alle nuove esigenze formative ed educative imposte<br />
dall’immigrazione;<br />
Il “Fare Scuola”, l’insegnamento, deve coinvolgere l’alunno, sia autoctono che<br />
straniero, alla definizione <strong>del</strong>la didattica e dei programmi di insegnamento.<br />
Le pedagogie attive, nascono storicamente sull’onda dei movimenti religiosi<br />
(pietismo, metodismo e protestantesimo in generale) e politici (democratico,<br />
anarchico, socialista e comunista) convinti <strong>del</strong>la necessità che la formazione e<br />
l’educazione <strong>del</strong>l’individuo siano condizioni indispensabili per il miglioramento<br />
<strong>del</strong>la società tutta in termini di libertà, uguaglianza e fratellanza e che dunque la<br />
scuola debba essere aperta e rivolta a tutti, indipendentemente dall’estrazione sociale,<br />
e che debba essere innanzitutto luogo di incontro in cui formare l’individuo alla<br />
pratica di quei valori di condivisione e comunione affermatisi dalla rivoluzione<br />
francese <strong>del</strong> 1789.<br />
Possiamo dire che le pedagogie attive cercano di realizzare nella pratica educativa le<br />
riflessioni di filosofi e pedagogisti come Rousseau e Condorcet, Pestalozzi, Kant,<br />
Marx, recuperando anche insegnamenti etici e valoriali proprie di alcune correnti<br />
religiose sviluppatesi in seno al cristianesimo.<br />
1
Rousseau (1712-1778) afferma, all’inizio <strong>del</strong>la sua opera pedagogica principale,<br />
“l’Emilio”: “Tutte le cose sono create buone da Dio, tutte degenerano tra le mani<br />
<strong>del</strong>l’uomo”, compito <strong>del</strong>l’educazione quindi è comprendere e dunque praticare<br />
l’essenzialità <strong>del</strong>l’essere UOMO; scrive Rousseau “TUTTI SONO NATI NUDI E<br />
POVERI, TUTTI SOGGETTI ALLE MISERIE DELLA VITA, ALLE<br />
AMAREZZE, AI MALI, AI BISOGNI, AI DOLORI DI OGNI SPECIE; TUTTI<br />
INFINE SONO DESTINATI ALLA MORTE…..INSEGNATE AL VOSTRO<br />
ALLIEVO AD AMARE TUTTI GLI UOMINI, ANCHE QUELLI CHE<br />
DISPREZZANO I LORO SIMILI; FATE IN MODO CHE NON SI RICHIUDA IN<br />
NESSUNA CLASSE SOCIALE, MA SI TROVI IN TUTTE; DINANZI A LUI<br />
PARLATE DEL GENERE UMANO CON TENEREZZA, CON PIETA’, MA<br />
GIAMMAI CON DISPREZZO. O UOMO, NON DISONORARE L’UOMO”.<br />
Con Jean-Antoine Condorcet (1743-1794) si inizia a praticare quei presupposti<br />
teorici individuati da Rousseau; la rivoluzione francese <strong>del</strong> 1789 infatti istituisce<br />
l’obbligatorietà e la gratuità <strong>del</strong>la scuola per tutti, uomini e donne,<br />
indipendentemente dall’estrazione sociale e soprattutto nasce la scuola laica, in cui il<br />
sapere trasmesso e l’educazione impartita non sono subordinati ad alcuna fede o<br />
dogma religioso; si guarda all’uomo e all’uguaglianza <strong>del</strong>l’uomo e <strong>del</strong>la donna nei<br />
termini sopra detti.<br />
Condorcet è il primo che dice esplicitamente che l’educazione, che è l’unico<br />
strumento in grado di permettere la correzione di quelle storture o contraddizioni<br />
come la povertà, la diseguaglianza sociale ed economica, frutto <strong>del</strong>la divisione <strong>del</strong>la<br />
società in classi sociali, deve essere permanente, accompagnare l’uomo in tutte le<br />
fasi <strong>del</strong>la sua vita.<br />
L’uomo, non diventa uomo se non per mezzo <strong>del</strong>l’educazione, scriveva Pestalozzi<br />
(filosofo 1746-1827), ma l’educazione deve avere alla propria base una visione <strong>del</strong><br />
mondo ben precisa e una proposta di mondo possibile. Se alla base di un’idea di<br />
educazione vi è quella di formare un individuo alla guerra e al conflitto, che aderisca<br />
in pieno alla realtà sociale presente, fatta di diseguaglianze e ingiustizia, allora lo si<br />
lascerà a sé, alle “onde impetuose <strong>del</strong>la natura” che di per sé è caotica, animale (il<br />
forte che prevarica sul debole). Se si pensa che l’uomo è anche altro dall’ordine<br />
materiale, naturale, <strong>del</strong>la competizione al fine <strong>del</strong> potere sull’altro, di dominio che<br />
presuppone guerra e ingiustizie varie, allora alla base <strong>del</strong>l’idea di educazione vi è la<br />
pace, l’idea di uguaglianza e di fratellanza, idea che va coltivata attraverso la pratica<br />
concreta quotidiana, ad iniziare dalla scuola.<br />
Ancora oggi, nel mutamento che investe il mondo, nei contesti sociali e culturali indefinizione,<br />
possiamo utilizzare l’immagine descritta da Pestalozzi nel guardare alla<br />
stratificazione sociale ed educativa <strong>del</strong> suo tempo:<br />
“ ….il nostro sistema di educazione mi appariva una gran casa, il cui piano superiore<br />
è ornato con arte perfetta e squisita, ma è abitato solo da pochi uomini. Al piano di<br />
mezzo alberga un numero già maggiore di persone, ma esso manca di scale con cui<br />
queste possano, come si usa tra gli uomini, salire a quello superiore, e se qualcuno<br />
mostra il desiderio di arrampicarvisi in qualche modo, gli viene tagliato un braccio o<br />
una gamba perché non vi riesca. Al pianterreno dimora un gregge innumerevole di<br />
uomini che hanno lo stesso diritto alla luce <strong>del</strong> sole e all’aria pura, pure non solo<br />
sono abbandonati a se stessi nell’oscurità ributtante di stanze prive di ogni finestra,<br />
1
ma se qualcuno osa solo sollevare la testa o volgere lo sguardo verso lo splendore dei<br />
piani superiori, gli vengono senz’altro strappati gli occhi”.<br />
Compito <strong>del</strong>la scuola è quello di costruire sempre nuove e più “scale” in modo da<br />
permettere ad ognuno di accedere a quegli strumenti formativi capaci di accrescere le<br />
capacità di ognuno di capire e conoscere e dunque di crescere.<br />
Scopo ultimo <strong>del</strong>l’educazione, per Pestalozzi, non è dare a tutti un’istruzione<br />
“perfetta” ma di fornire a tutti quella “preparazione alla vita” che presuppone<br />
l’insegnamento al “pensare”, alla riflessione tramite lo sviluppo <strong>del</strong>l’intelligenza, <strong>del</strong><br />
sentimento, <strong>del</strong>le capacità creative e artistiche.<br />
La riflessione pedagogica, attraverso questi filosofi, inizia a occuparsi <strong>del</strong>la società,<br />
dei fenomeni e <strong>del</strong>le contraddizioni economiche, politiche, culturali e sociali che<br />
attraversano le società; Kant (teologo protestante 1724-1804) diceva che “ l’uomo è<br />
quello che l’educazione lo fa”. Perciò “ l’educazione è il problema più grande e più<br />
difficile che possa essere proposto agli uomini…ciò che noi sappiamo dipende<br />
dall’educazione, ma l’educazione a sua volta dipende da ciò che noi sappiamo”. Da<br />
qui nasce l’esigenza di trasformare l’arte <strong>del</strong>l’educazione e l’intuizione <strong>del</strong>la<br />
pedagogia in scienza, farla “diventare ragione”, altrimenti “una generazione potrà<br />
distruggere quello che l’altra ha costruito”.<br />
E’ dall’esigenza espressa da Kant, di fondare scientificamente la pedagogia, che si<br />
abbandona l’idea fino ad allora ritenuta valida che l’esperimento non sia necessario<br />
in educazione. Si inizia dunque a rivendicare la necessità di fondare una scienza<br />
<strong>del</strong>l’educazione in cui gli strumenti <strong>del</strong>l’osservazione e <strong>del</strong>l’esperimento vengono<br />
fatti propri.<br />
Con Kant, si abbandona la pedagogia “ingenua”, e si apre quel movimento, o meglio<br />
quel filone di pedagogisti che, basandosi sull’osservazione dei contesti sociali e<br />
politici, sullo studio <strong>del</strong>le culture o subculture nelle organizzazioni sociali, sulla<br />
riflessione dei mutamenti storici, inizia a proporre e praticare mo<strong>del</strong>li educativi il cui<br />
fine è sempre quello di realizzare le aspettative di una società, attraverso l’uomo,<br />
fondata sulla pace, l’uguaglianza, la libertà e la condivisione.<br />
LE PEDAGOGIE ATTIVE: MAKARENKO E FREINET<br />
DEFINIZIONE: si definiscono pedagogie attive quelle riflessioni e pratiche<br />
educative proposte a partire dall’osservazione <strong>del</strong>l’individuo (nel suo contesto<br />
politico, storico, sociale ed economico) e <strong>del</strong> processo formativo <strong>del</strong>l’individuo<br />
stesso, attraverso l’uso di strumenti e conoscenze scientifiche proprie <strong>del</strong>la<br />
sociologia, <strong>del</strong>la psicologia, <strong>del</strong>l’antropologia, <strong>del</strong>la politica e <strong>del</strong>l’economia. La<br />
pedagogia si emancipa dall’essere solo ed esclusivamente speculazione filosofica<br />
sull’uomo (pensato in astratto) e sulla sua formazione e diviene sperimentazione di<br />
pratiche e metodologie (didattica) in cui però la saggezza tradizionale (il bagaglio<br />
culturale <strong>del</strong>la filosofia) non viene abbandonato ma si raffina e si sovrappone<br />
all’accumulazione di sagge e buone pratiche educative.<br />
E’ John Dewey a guardare concretamente alla pedagogia come prassi educativa che,<br />
capovolgendo il rapporto tradizionale che subordinava la pedagogia alla filosofia,<br />
arriva a porre problemi, orientare la riflessione su di sé, ricondurre le teorizzazioni al<br />
loro impiego funzionale che diventa il terreno di lavoro <strong>del</strong>la loro verifica. Con<br />
Dewey si avvia una metodologia educativa basata sull’esperienza attiva <strong>del</strong> bambino<br />
1
concepito non più come semplice ricettore di informazioni e di saperi, ma come<br />
soggetto attivo <strong>del</strong> percorso educativo e formativo in quanto risolutore egli stesso di<br />
situazioni problematiche. Con Dewey, l’educazione assume il significato di processo<br />
sociale attraverso il quale l’individuo, l’alunno, vive concretamente una serie di<br />
esperienze che gli permettono da un alto di conoscere ed assimilare il patrimonio<br />
culturale <strong>del</strong>la società in cui vive, e dall’altro di diventare padrone di se stesso,<br />
capace di pensare se stesso, di conoscere e ri-conoscere la propria individualità (le<br />
proprie capacità, i propri limiti, le proprie facoltà ed istinti) e dunque di essere<br />
autonomo seppur “adattato”, integrato al contesto sociale <strong>del</strong>la comunità in cui vive.<br />
Tra i pedagogisti ed educatori che hanno contribuito allo sviluppo <strong>del</strong>le pedagogie<br />
attive ricordiamo Décroly, Cleparede, Cousinet, Montessorri, Makarenko, Freinet,<br />
Freire, don Milani, Laporta, ed altri ancora che hanno messo al centro <strong>del</strong>le loro<br />
riflessioni teoriche e <strong>del</strong>le loro esperienze educative con bambini o adulti, l’uomo<br />
concreto con le sue strutturazioni psicologiche, sociali e politiche e culturali, e in<br />
particolare gli uomini che, appartenenti a classi sociali economiche e a culture e<br />
linguaggi e costumi subordinate alle varie élite, storicamente sono stati sempre<br />
espulsi dall’imparare.<br />
Tra questi, vorrei proporvi in particolare due pedagogisti ed educatori che secondo<br />
me racchiudono le esperienze di altri qui citati e che possono ancora dirci molto nella<br />
pratica educativa nelle nostre scuole oggi, nel contesto attuale offerto dal fenomeno<br />
<strong>del</strong>l’immigrazione.<br />
La pedagogia comunitarista di Anton S. Makarenko<br />
Nonostante l’URSS di Stalin, la rivoluzione <strong>del</strong>l’ottobre socialista <strong>del</strong> 1917 è stata e<br />
resta, a tutt’oggi, la più grande e meravigliosa esperienza di emancipazione <strong>del</strong>le<br />
classi sociali subalterne dal dominio-sfruttamento di un ceto latifondista feudale e<br />
dall’appena nato sistema di relazioni capitalistico-industriale.<br />
La rivoluzione d’Ottobre non significò solo questo, essa fu contemporaneamente la<br />
più grande esperienza di avvicinamento di intere masse popolari verso<br />
l’alfabetizzazione e la cultura. Chi nega questo, oggi, lo fa per miopìa storico-politica<br />
e per gretto opportunismo politico, in un “tempo presente” dominato dall’ assenza di<br />
idealità nell’azione politica e nell’elaborazione culturale (per fortuna è un dato<br />
ancora limitato all’Italia,).<br />
Nel contesto dinamico <strong>del</strong> processo rivoluzionario russo, si iscrive la figura di Anton<br />
S. Makarenko, insegnante, pedagogista per necessità, quasi ignaro <strong>del</strong>l’ideologia<br />
comunista così come verrà affermandosi nel leninismo, ma favorevole ad<br />
un’emancipazione individuale e collettiva <strong>del</strong>l’uomo dalla schiavitù <strong>del</strong>la povertà,<br />
materiale ed intellettuale. Un comunista per istinto più che per formazione.<br />
Anton Semënovič Makarenko nasce a Belopolje (Ucraina), da una famiglia operaia,<br />
il 13 marzo 1888. Il padre è operaio nelle officine ferroviarie. La figura paterna, di<br />
umile operaio alfabetizzatosi frequentando il sindacato socialista <strong>del</strong>le ferrovie,<br />
influenza molto la formazione politico-culturale <strong>del</strong> giovane Anton.<br />
Successivamente ad un corso di pedagogia, nel 1905 Anton S. Makarenko inizia la<br />
sua carriera magistrale nella scuola ferroviaria di Krjukov. Dal 1911 al 1914 insegna<br />
presso la scuola <strong>del</strong>la stazione ferroviaria di Dolinskaja. Lo stesso anno per concorso,<br />
è ammesso all’ Istituto Pedagogico di Poltava.<br />
1
Nel 1917 (nel pieno <strong>del</strong>la rivoluzione) ritorna presso la scuola dove aveva iniziato la<br />
sua prima esperienza da insegnante. Dopo circa tre anni, il Commissariato <strong>del</strong> popolo<br />
per l’Istruzione ucraino gli affida la direzione di un’ istituzione per ragazzi<br />
abbandonati, che chiamerà "colonia Gor'kij", dedicando l’esperienza al noto scrittore<br />
e intellettuale comunista.<br />
Nasce così il primo laboratorio pedagogico destinato ad accogliere ed educare<br />
giovani abbandonati o disadattati .<br />
Con la “ Colonia Gor’kij”, Anton S. Makarenko inizia realmente la sua eccezionale<br />
esperienza di pedagogista e di educatore.<br />
Nella seconda metà <strong>del</strong> 1927 sposa Galina Sal’ko (1891-1957), che lo introduce al<br />
pensiero comunista così come verrà elaborandosi nella Russia sovietica.<br />
Nel 1928, i suoi metodi educativi risultano troppo all’avanguardia e non compresi,<br />
ma nonostante questo passa alla direzione <strong>del</strong>la comune Dzerzinskij, sotto<br />
“protezione” <strong>del</strong>la polizia politica sovietica (la temibile Ceka).<br />
Altri incarichi sono, la vice direzione <strong>del</strong>la Sezione <strong>del</strong>le colonie di lavoro <strong>del</strong><br />
Commissariato <strong>del</strong> popolo per gli affari interni <strong>del</strong>l’ Ucraina (1935).<br />
Nel 1937 inizia un’intensa attività di scrittore, si trasferisce a Mosca e inizia<br />
un’instancabile attività di divulgatore pedagogico e conferenziere.<br />
Anton S. Makarenko, muore improvvisamente per un arresto cardiaco il 1° aprile<br />
1939.<br />
L’opera più famosa di questo pedagogista è il “Poema Pedagogico”.<br />
Makarenko lo scrive in forma di romanzo, narrando l’inizio <strong>del</strong>la “Colonia Gor’kij”,<br />
<strong>del</strong> suo peregrinare da struttura a struttura, da paese a paese, nell’Ucraina post-<br />
rivoluzionaria.<br />
Un metodo pedagogico espresso in poema<br />
“Nel settembre <strong>del</strong> 1920, il direttore <strong>del</strong>l’ufficio provinciale mi fece chiamare e mi<br />
disse….”, così inizia il Poema Pedagogico, attraverso un’accesa discussione fra il<br />
Direttore <strong>del</strong>l’ufficio provinciale scolastico (istruzione popolare) e Anton S.<br />
Makarenko.<br />
Quest’ultimo si lamentava perché nella scuola dove insegnava (un istituto<br />
professionale) vi erano banchi rotti e pareti che cadevano a pezzi. Il Direttore gli<br />
rispondeva facendogli osservare che l’insegnamento non era questione di banchi<br />
nuovi, che la qualità <strong>del</strong>l’ educazione non poteva dipendere da edifici nuovi di zecca<br />
e aule perfette, soprattutto nella “visione” di quel periodo pieno di speranze ma<br />
anche di miserie dovute da un lato alla rivoluzione e dall’altro alla guerra civile in<br />
corso.<br />
“Voialtri pedagoghi fate solo <strong>del</strong> sabotaggio: non va bene l’edificio, non vanno<br />
bene i tavoli. Vi manca proprio quel…..sai? quel fuoco dentro, quel fuoco<br />
rivoluzionario. Tirate a campare!” .<br />
Anton S. Makarenko inizia con questo rimprovero da parte <strong>del</strong> Direttore<br />
all’istruzione popolare la costruzione di una colonia per “giovani <strong>del</strong>inquenti e<br />
sbandati”. Inizia così a gettare la basi <strong>del</strong>la nuova pedagogia sovietica che<br />
influenzerà il pensiero e l’elaborazione pedagogica mondiale.<br />
Lo Stato Sovietico affida ad un giovane insegnante la costruzione di una colonia per<br />
giovani <strong>del</strong>inquenti e sbandati, figli di un’epoca segnata da un’estrema povertà e<br />
1
dalla corruzione, intesa però a riscattarsi attraverso la rivoluzione socialista <strong>del</strong><br />
“proletariato di tutto il mondo unitevi”, <strong>del</strong> “né servi né padroni”.<br />
La rivoluzione Sovietica voleva essere compimento e conclusione di un’altra<br />
rivoluzione, avvenuta più di un secolo prima e altrove, in Francia, <strong>del</strong>la “libertè,<br />
ègualité, fraternité” (come nella Francia <strong>del</strong> 1789 anche nella Russia <strong>del</strong> 1917 le<br />
influenze massoniche risultano molto forti, ma questa è un’altra storia).<br />
Come per la Rivoluzione Francese, anche per quella Russa il sogno lasciò il passo<br />
alla bestialità <strong>del</strong>l’uomo, all’infrangersi di quel già labile confine fra tensione<br />
“mistica”, “sogno” di libertà da un lato, e autoritarismo, imposizione dall’altro.<br />
Come la Rivoluzione Francese anche quella russa ebbe poi il suo terrore giacobino,<br />
il suo termidoro, e dunque il suo Napoleone<br />
Nonostante quello che poi si rivelerà l’URSS, nel periodo qui considerato (1917 –<br />
1930) i margini di “libertà” erano molto ampi rispetto anche a molti sistema-stato<br />
europei ed occidentali in generale.<br />
La Carta Costituzionale Sovietica <strong>del</strong> 1917 introduceva, ad esempio, molte di quelle<br />
libertà e diritti civili che faticheranno, e per alcuni casi faticano ancora oggi, ad<br />
affermarsi in alcune democrazie occidentali (ad esempio il diritto al divorzio e<br />
all’aborto, alla cura e all’istruzione gratuita e per tutti, al voto alle donne, alla parità<br />
uomo-donna nei posti di lavoro e negli organi di rappresentanza politica, al reato di<br />
discriminazione e razzismo, ecc.).<br />
Come ben espresso attraverso le parole che il Direttore <strong>del</strong>l’ufficio scolastico<br />
provinciale rivolge a Makarenko, molti uomini e donne vivevano quel periodo mossi<br />
da “un fuoco dentro” che li spingeva a guardare con ottimismo al futuro e “corciarsi<br />
le maniche” per costruirlo.<br />
L’onda emancipatrice <strong>del</strong>la rivoluzione<br />
Nonostante una certa storiografia ufficiale, occidentale, descriva la rivoluzione Russa<br />
come un colpo di stato di poche migliaia di “avvinazzati comunisti”, molti testimoni<br />
oculari (soprattutto americani ed inglesi) ci hanno riferito che essa fu un grande<br />
movimento di popolo e di idee. Democratici, comunisti, socialisti, anarchici, liberali<br />
e socialisti utopistici, lanciarono le parole chiave che destarono in milioni di genti la<br />
sommossa che detronizzò l’ultima monarchia assoluta di tipo feudale <strong>del</strong>l’Europa. Il<br />
1917 fu preceduto dal 1905, ovvero due rivoluzioni che educarono il popolo, che<br />
chiedeva pane e libertà, a disciplinarsi attraverso organizzazioni politiche e sindacali<br />
attraverso i quali rovesciarono definitivamente la barbarie zarista.<br />
Due uomini si affermarono per le loro lucide analisi sul da farsi, Lenin e Trotsckij.<br />
Quest’ultimo, in particolare (mentre Lenin era in Scandinavia nascosto sotto una<br />
parrucca bionda), teorizzò e cercava di realizzare la prima forma di democrazia<br />
partecipativa: il Soviet. L’idea <strong>del</strong> Soviet (consiglio) concepiva un sistema-stato<br />
organizzato in comunità autonome; ognuna di queste si regolava, nelle leggi e nel<br />
funzionamento, attraverso la partecipazione diretta dei cittadini ai soviet, appunto,<br />
unico istituto deputato al governo <strong>del</strong>la comunità.<br />
L’obiettivo generale era quello di liberare il collettivo dal dominio di pochi uomini (i<br />
burocrati <strong>del</strong>le leggi, <strong>del</strong>lo stato, <strong>del</strong>le istituzioni) creando forme di partecipazione<br />
diretta alla gestione e alla conduzione ed elaborazione <strong>del</strong>la “cosa pubblica”. In Italia<br />
sarà Antonio Gramsci a teorizzare qualcosa di simile.<br />
1
Partecipazione collettiva attraverso organi di base deputati alla gestione <strong>del</strong>la<br />
comunità. La comunità come fondamento <strong>del</strong>la società intera. Il collettivo come<br />
processo e percorso culturale da contrapporre all’individualismo.<br />
Questo “sogno” politico, sociale e culturale si ripercuoteva nella nascente scuola e<br />
pedagogia <strong>del</strong> Paese dei Soviet.<br />
La parola d’ordine, soprattutto in ambito intellettuale e studentesco, era: “basta con<br />
la disciplina da caserma!”. Era naturale approdare verso miti libertari dopo secoli di<br />
cieca oppressione in tutti gli ambiti <strong>del</strong>la vita. In questa parola d’ordine vi era la<br />
necessità di farla finita con una disciplina puramente esteriore, con metodi educativi<br />
coercitivi e completamente subordinate alle logiche <strong>del</strong> potere, totalitario, costituito.<br />
Ma i pericoli di questo estremismo libertario erano la deriva verso nuove forme di<br />
individualismo attraverso l’esaltazione <strong>del</strong> mito naturalistico <strong>del</strong>lo sviluppo<br />
puramente spontaneo <strong>del</strong>la personalità <strong>del</strong>l’uomo e <strong>del</strong> fanciullo. Nelle scuole,<br />
infatti, si arrivava a negare ogni forma di autorità al maestro, condannando qualsiasi<br />
intervento <strong>del</strong>l’adulto nel processo educativo <strong>del</strong> bambino (ritroveremo un<br />
“sentimento” simile nella “rivoluzione culturale” maoista che influenzerà il ’68<br />
europeo e italiano in particolare).<br />
Anton S. Makarenko, in contrasto con l’allora “Mondo Pedagogico” si oppose a tale<br />
deriva libertaria.<br />
Per comprendere meglio il punto di vista pedagogico di Makarenko, occorre ricorrere<br />
a Antonio Gramsci che quasi contemporaneamente e pur non conoscendosi, arrivava<br />
alle sue stesse conclusioni a proposito <strong>del</strong>la pedagogia libertaria.<br />
Gramsci scriveva ai figli, ancora piccoli e alle prese con l’alfabeto: “non si è liberi di<br />
scrivere da destra verso sinistra” e continuava rimproverando alla moglie,<br />
affettuosamente, di essere imbevuta di “spirito ginevrino”, di lasciarsi andare a torto<br />
al mito <strong>del</strong>l’”educazione secondo natura”, che aveva trovato nell’Emilio di Rousseau<br />
la sua più completa espressione.<br />
Il bambino, così anche l’uomo, in Gramsci è una formazione storica, influenzato<br />
dall’ambiente di cui fa parte; “di qui l’importanza di sviluppare nell’individuo la<br />
capacità critica attraverso un’educazione attiva <strong>del</strong> soggetto”, in cui l’adulto, il<br />
maestro ha un ruolo fondamentale; ma questo ruolo fondamentale deve<br />
necessariamente maturare passando attraverso una continua riflessione su se stesso.<br />
L’adulto consapevole di essere e di svolgere un ruolo fondamentale per il bambino,<br />
nel riflettere su stesso deve anche fare lo sforzo di entrare in empatia col ragazzo, e<br />
una primo approccio Gramsci lo indica scrivendo alla moglie, preoccupata per il<br />
fatto che il figlio Giuliano si guardi continuamente allo specchio; Gramsci le<br />
scrive:<br />
“Hai mai osservato come i grandi non riescano più a ricordarsi <strong>del</strong> loro essere stati<br />
bambini e quindi difficilmente comprendano il modo di pensare e le reazioni che<br />
avvengono nella psiche dei bambini con cui devono trattare? Perciò non sempre<br />
riescono a rendersi conto di determinati atteggiamenti dei piccoli”.<br />
Attraverso questo “ricordarsi <strong>del</strong>l’essere stati bambini” che Gramsci, nonostante il<br />
carcere, cerca di avere un colloquio con i figli. Al figlio Delio descrive i tentativi di<br />
quando da bambino a Sassari, voleva allevare due ricci o il pappagallino che aveva<br />
in casa da ragazzo; I suoi ricordi diventano storie che raccontate nelle lettere ai figli<br />
1
diventano strumento con cui “cercherà sempre di far giungere la sua opinione sugli<br />
argomenti più diversi”.<br />
Il raccontare se stessi come strumento sia di comunicazione con l’altro <strong>del</strong><br />
proprio mondo sia di aiuto alla comprensione propria e per chi si ha di fronte,<br />
sia esso bambino o adulto.<br />
Gramsci usa anche la letteratura (consiglia dei libri ai suoi familiari e amici,<br />
consiglia le fiabe dei fratelli Grimm per i suoi bambini), “come ponte tra il<br />
“dentro” e il “fuori”, come mezzo di comunicazione critica tra lui e i figli”, come<br />
spiegazione <strong>del</strong> giusto modo di usare la fantasia, che definisce “concreta” per<br />
distinguerla dalla fantasticheria. Per Gramsci la fantasia è “… l’attitudine a rivivere<br />
la vita degli altri, così come realmente è determinata, coi suoi bisogni … non per<br />
rappresentarla artisticamente, ma per comprenderla “.<br />
E’ importante, allora che i bambini vengano educati e formati ad apprezzare ed<br />
amare le opere di fantasia. Allo stesso modo è necessario al fine di una giusta<br />
crescita, spronarli ad usare la fantasia, che può essere coltivata attraverso il gioco<br />
ma non solo attraverso questo.<br />
La distinzione tra fantasia e fantasticheria è fondamentale in Gramsci e lo è anche<br />
in Makarenko. La fantasia è l’attitudine a non fermare il pensiero al qui-ed-ora, la<br />
fantasticheria è “costruire dei grattaceli su una testa di spillo”, sostituire alla<br />
concretezza <strong>del</strong> vissuto o <strong>del</strong>la storia il “sé”.<br />
Come per Gramsci, ciò che cerca di suscitare Makarenko è il senso di concretezza -<br />
che non esclude l’utilizzo <strong>del</strong>la fantasia – nell’interesse <strong>del</strong> ragazzo.<br />
Ma l’educazione, che deve condurre anche ad amare e apprezzare le opere di<br />
fantasia, che sprona all’utilizzo <strong>del</strong>la fantasia, non può essere lasciata ad una sorta<br />
di “anarchia culturale” nei rapporti docente-discente o educatore-educando.<br />
Tale preoccupazione caratterizzerà l’opera educativa di Makarenko durante tutta la<br />
sua attività.<br />
La principale critica di Makarenko così come di Gramsci è verso quella concezione<br />
<strong>del</strong> bambino proposta dalle scuole libertarie e idealistiche che si andavano<br />
sviluppando in Europa secondo le quali il bambino ha in sè tutto, e il suo sviluppo<br />
non ha bisogno di alcun intervento esterno, ovvero occorre da parte <strong>del</strong>l’adulto una<br />
rinuncia ad educarlo.<br />
La critica di Makarenko allo spontaneismo permea l’intero suo Poema Pedagogico:<br />
“….il ragazzo veniva visto come un’essenza piena di uno speciale gas ….. non si<br />
trattava altro che <strong>del</strong>la vecchia anima con la quale si erano dati da fare ai loro tempi<br />
già gli apostoli. Si poneva come ipotesi di lavoro che quel gas avesse la capacità di<br />
autosvilupparsi, a condizione che non lo si disturbasse”<br />
Da un lato si voleva che il bambino, il ragazzo, potesse affermare sé stesso nella più<br />
completa libertà di linguaggio e di azione, dall’altro si cercava di preservare il<br />
collettivo dalla piena e totale affermazione <strong>del</strong>l’individualità (la fantasticheria). Ogni<br />
individuo è in sé importante ed è valore aggiunto in termini di ricchezza culturale ed<br />
esperienziale per gli altri, dunque è giusto che l’individuo abbia le proprie aspirazioni<br />
da realizzare.<br />
Un collettivo però non è solo e semplicemente la somma di più individui. Nel<br />
collettivo nasce un’intimità affettiva o relazionale (dettata da necessità comuni)<br />
1
capace di creare aspettative e aspirazioni condivise, capaci a loro volta di fare<br />
“società”.<br />
Come in una catena di anelli, dove ogni anello è necessario affinché la catena risulti<br />
solida, armoniosamente compatta e resistente agli agenti negativi esterni, così nel<br />
collettivo ogni individuo è fondamentale , ma in ultima analisi deve rispondere a<br />
regole ed equilibri necessari alla resistenza, all’armonia e alla compattezza <strong>del</strong>la<br />
“catena” <strong>del</strong>la comunità.<br />
Questo non significa che una comunità, una società debba essere sempre uguale a sé<br />
stessa, tutt’altro. Ogni comunità deve aprirsi al contributo e alle novità espresse da<br />
istanze generazionalmente e “geograficamente” nuove e diverse, deve garantire i<br />
diritti individuali e realizzare le aspirazioni di ognuno dei suoi membri, ma non<br />
subordinare l’interesse generale all’interesse particolare.<br />
Conclusioni (aperte)<br />
Oggi, nella complessità <strong>del</strong>le società, le comunità locali stesse sono disgregazioni di<br />
individualità, di clan, in quanto non esiste nessun collante “utopistico” verso cui<br />
tendere se non il profitto e l’affermazione sociale-economica individuale e, dunque,<br />
la lotta individuale o di clan per la supremazia <strong>del</strong>l’uno sull’altro.<br />
E’ fondamentale non solo l’ “utopia” come collante fra gli individui, ma soprattutto il<br />
tipo di relazione fra le generazioni di individui. Se Makarenko riconosce<br />
fondamentale il “conflitto” fra le generazioni come motore <strong>del</strong>la crescita ( non solo<br />
per il singolo individuo ma anche per la società tutta e per la propria cultura), allo<br />
stesso modo è fermo nel rivendicare la gestione <strong>del</strong> conflitto attraverso momenti<br />
deputati all’incontro-scontro (i consigli di istituto, di quartiere, i Soviet) in cui<br />
l’adulto non assume le vesti <strong>del</strong> padre-padrone ma neanche si conforma al ragazzo<br />
(insegnanti-amici, educatori-giovanilisti, ecc.) ma ne riconosce semplicemente le<br />
competenze, ne riconosce a pieno titolo, diremo oggi, la “cittadinanza”.<br />
Nella “Colonia Gor’Kij” la vita di comunità era regolata innanzi tutto dalla semplice<br />
imposizione naturale di dover mangiare per vivere, e quindi organizzare il lavoro nei<br />
campi e nei laboratori artigianali. Questa organizzazione però avveniva attraverso la<br />
“partecipazione partecipata”, attiva, di tutti i membri <strong>del</strong>la Colonia,<br />
indipendentemente dal ruolo ricoperto (insegnante, direttore, allievo, ospite).<br />
L’incontro avveniva attraverso le competenze e si abituavano i ragazzi a incontrarsiscontrarsi<br />
su queste in base alle diverse necessità <strong>del</strong>la Colonia (non dimentichiamo<br />
che gli ospiti e gli allievi <strong>del</strong>la “Gor’kij erano “giovani sbandati”, assassini, ladri,<br />
orfani, o come diciamo oggi, con i nostri a volte un pò melliflui termini, adolescenti<br />
a rischio di devianza, di emarginazione sociale, ecc.). E’ molto interessante leggere,<br />
nelle pagine <strong>del</strong> Poema Pedagogico, la vicenda di un ragazzo, inviato alla “Gork’ij”<br />
dopo mesi di prigione ( per necessità rubava e incidentalmente uccise un uomo<br />
durante un furto) che, nella necessità <strong>del</strong>la Colonia di dotarsi di un mezzo di<br />
trasporto, scoprì e fece conoscere agli altri di avere doti manuali e meccaniche<br />
notevoli assumendo formalmente nella comune il ruolo di responsabile officina.<br />
A ognuno in base alle proprie necessità, da ognuno in base alle proprie capacità.<br />
Il rapporto tra pari o fra le generazioni non avveniva attraverso masturbazioni<br />
psicologistiche ma attraverso il “fare”. Metodo utilizzato molti anni dopo da<br />
don Milani nella sua “scuola di Barbiana”. Il “fare” come collante fra gli<br />
individui e nel gruppo. Il “fare” come strumento di cosapevolizzazione di sé<br />
1
stesso e <strong>del</strong> proprio essere-in-relazione con gli altri.<br />
In Makarenko, l’etica <strong>del</strong> lavoro (non il “mito” <strong>del</strong> lavoro), come base per lo<br />
sviluppo di valori morali comunitari, e la costruzione di una prospettiva sociale,<br />
è prioritaria rispetto alle altre dimensioni <strong>del</strong>l’educazione.<br />
Nell’opera di M. si percepisce l’importanza <strong>del</strong> “fare” come base per il<br />
confronto-relazione fra gli individui. Il lavoro come momento di condivisione di<br />
saperi e di conoscenze. Intendendo per lavoro ogni attività umana svolta<br />
individualmente e in gruppo il cui fine è il miglioramento <strong>del</strong>la qualità di vita<br />
globale <strong>del</strong>la comunità. Dal lavoro dei campi alla pittura artistica, l’attività <strong>del</strong><br />
singolo o <strong>del</strong> gruppo è indirizzata al bene <strong>del</strong> collettivo in cui riconoscere la<br />
propria e individuale utilità, il singolo talento. Discriminante sociale non è il<br />
possedere (in termini di ricchezza materiale) come lo è oggi in occidente ma è<br />
l’essere nel collettivo.<br />
La comunità trova in sé le risorse per sostenere i propri componenti nelle<br />
vicissitudini quotidiane, materiali ed esistenziali, attraverso l’etica <strong>del</strong> lavoro.<br />
I luoghi <strong>del</strong>l’esistenza <strong>del</strong>l’individuo sono quelli necessari alla comunità, la<br />
libertà non è lo spontaneismo individuale ma è l’accettazione responsabile di<br />
regole, la democrazia non è <strong>del</strong>egare ad altri fuori-da-sé il potere di decidere ma<br />
è concreta esperienza vissuta attraverso la partecipazione reale alla vita <strong>del</strong> e<br />
nel collettivo. La solidarietà non esiste, esiste la condivisione.<br />
Quando, in una comunità e in una società in generale, si arriva a parlare di<br />
“opere buone” e ad organizzare istituzioni per l’aiuto ai bisognosi, per la<br />
solidarietà ai più deboli, occorre prendere atto che quella comunità e quella<br />
società, o meglio i mo<strong>del</strong>li culturali che la ispirano, sono fallimentari.<br />
I luoghi <strong>del</strong>le “opere buone” vanno ricercati nel quotidiano, nell’impegno e<br />
nell’espressione <strong>del</strong>le competenze individuali in una comunità, sono la<br />
condivisione quotidiana, nel bene e nel male, il senso di appartenere l’uno<br />
all’altro in quanto membri di un medesimo spazio geografico (dalla comunità<br />
locale al mondo intero), ed esistenziale.<br />
Nulla di nuovo sotto il sole, infondo Martin Luthero, 500 anni prima,<br />
nell’affrontare il problema <strong>del</strong> rapporto fra individui in una comunità soleva<br />
dire: un calzolaio che ripara bene le scarpe, compie lo stesso servizio divino <strong>del</strong><br />
prete all’altare.<br />
ETICA, MORALE, CULTURA, DEMOCRAZIA, UGUAGLIANZA,<br />
LIBERTA’, GIUSTIZIA<br />
Questioni centrali, verso cui la riflessione scientifica si incontra continuamente<br />
soprattutto con l’esplodere <strong>del</strong> fenomeno migratorio (che obbliga l’incontro-scontro<br />
tra diverse “visioni-<strong>del</strong>-mondo”).<br />
Partendo dal nostro punto di vista da casa nostra (e <strong>del</strong>l’occidente capitalista), si<br />
impone OGGI il dibattito sul RELATIVISMO CULTURALE.<br />
Il Relativismo contemporaneo è un fenomeno storico. In quanto tale è molte cose<br />
insieme, possiamo però riassumere così l’approccio relativista alla realtà sociale e<br />
agli strumenti di studio verso questa:<br />
1. per il relativista non esistono fatti ma solo interpretazione dei fatti;<br />
2. non esistono conoscenze scientificamente verificate e verificabili, ma solo<br />
opinioni;<br />
1
3. non esistono idee giuste e idee sbagliate ma solo punti di vista differenti.<br />
In quanto fenomeno <strong>del</strong>la storia, il Relativismo presenta molti aspetti positivi, basta<br />
ricordare che da tale approccio è maturata l’idea <strong>del</strong>l’autodeterminazione dei popoli<br />
come “equilibrio” nella convivenza di differenti proposte di organizzazione sociale<br />
ed economico-politica.<br />
Attraverso l’approccio relativista si arriva però a dubitare <strong>del</strong>l’esistenza di criteri<br />
universali validi attraverso i quali separare la Verità dalla Menzogna, la Giustizia<br />
dall’Ingiustizia, il Bene dal Male e via via fino a dubitare <strong>del</strong>l’esistenza <strong>del</strong> Sano e<br />
<strong>del</strong> Patologico.<br />
Ogni cultura ha la sua dignità e va rispettata (d’accordo), ma il Relativismo arriva a<br />
giustificare e dunque a perpetuare ogni “manifestazione <strong>del</strong> sentire il mondo”.<br />
Il fenomeno immigrazione ha portato a casa nostra, ad esempio, la pratica<br />
<strong>del</strong>l’infibulazione. Secondo l’approccio relativista, tale pratica “culturale” va capita e<br />
giustificata perché espressione culturale altra.<br />
Da questo “punto di vista”, l’approccio relativista propone una “scelta di<br />
qualunquismo” perché nega l’esistenza di valori universali, infatti esso si pone in<br />
antitesi alla stessa Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che deve essere in<br />
ultima analisi la base su cui favorire l’incontro fra diversità e il tappeto pedagogico<br />
su cui far camminare l’educazione <strong>del</strong>le generazioni future.<br />
Possiamo affermare che il Relativismo propone, sul piano <strong>del</strong>la morale, un’etica<br />
<strong>del</strong>le intenzioni al posto di un’etica <strong>del</strong>la responsabilità, degenerando sul piano <strong>del</strong>le<br />
idee e <strong>del</strong>la conseguente pratica politica in forme di qualunquismo ideologico (nel<br />
XX secolo si sono giustificate attraverso lo “strumento” <strong>del</strong> Relativismo ogni forma<br />
di oppressione e dittature, così come oggi, basta ripercorrere il rapporto Usa-Iraq).<br />
Fondamentalmente il Relativismo contemporaneo è esaltazione <strong>del</strong>l’individuo,<br />
giustificazione <strong>del</strong>l’affermazione di sé indipendentemente all’altro da sé, in quanto<br />
negando l’esistenza di assiomi etici universalmente condivisi giustifica appieno la<br />
libera espressione <strong>del</strong>l’individuo e <strong>del</strong>l’individualità.<br />
Si arriva a confondere LIBERTA’ con LIBERO ARBITRIO, la prima presuppone<br />
responsabilità, rispetto e condivisione, la seconda no (è un po’ come dire “fate come<br />
vi pare”).<br />
Nelle società capitaliste, la concezione relativista sviluppa ulteriormente una visione<br />
ATOMISTA <strong>del</strong>la società.<br />
In una società atomista come quella occidentale (tradotta politicamente con postulati<br />
quale “Stato minimo”, economicamente con “laissez faire, laissez passer”, e<br />
culturalmente con “Fine <strong>del</strong>la storia”, ecc.), L’IO è così <strong>del</strong> tutto separato dall’altro<br />
IO, in contrapposizione ad esso, e la relazione IO-TU è giustificata solo dal livello di<br />
“ritorno” economico che tale relazione può dare.<br />
La relazione umana si giustifica solo per l’Affermazione di sé e realizzazione<br />
economica, in cui l’avere, il possedere è unità di misura e strumento di potenza e di<br />
espressione di sé.<br />
In questa ottica, il “nuovo”, il diverso, l’immigrato è vissuto come una minaccia alla<br />
propria capacità di avere, di possedere e dunque di essere.<br />
Ogni IO si muove e costruisce relazioni in base alla NECESSITA’ di realizzazione di<br />
SE’, che Nietzsche chiamava “volontà di potenza”. La realizzazione di Sé non si<br />
1
ferma di fronte all’oppressione, alla guerra, all’uso <strong>del</strong>la violenza. La realizzazione<br />
di sé avviene proprio attraverso l’uso di questi strumenti.<br />
La volontà di potenza (Nietzsche), ovvero la Forza che muove la vita e la natura, è<br />
l’unica realtà esistente per l’uomo.<br />
Le società stesse si esprimono (per dinamiche esogene e endogene) mosse da<br />
Volontà di potenza. L’uomo vive questa realtà e basta.<br />
In questa riduzione <strong>del</strong>l’UOMO alla NECESSITA’, anche il Bene e il Male sono<br />
“relativi” e determinati dalla NECESSITA’ stessa, che esprime e si sazia attraverso<br />
la VOLONTA’ di POTENZA.<br />
Si nega, allora, un’altra realtà, quella che vede il BENE e anche il MALE (dei<br />
riferimenti etici universalmente riconosciuti) come non subordinati alla naturale<br />
NECESSITA’.<br />
Oggi, le nostre società realizzano appieno quelli che erano le idee di Nietzsche (il<br />
quale si rivolterebbe nella tomba nel vedere che è nel capitalismo la piena<br />
realizzazione <strong>del</strong> suo pensiero), che negavano appunto l’esistenza <strong>del</strong> bene e <strong>del</strong> male<br />
se non subordinate alla Forza, quella stessa forza che muove le stelle, il sole, che fa<br />
cadere un peso a terra e che spinge l’uomo ad incontrare un altro uomo.<br />
La FORZA che muove le stelle, il sole, è la stessa che struttura l’organizzazione<br />
umana, le religioni e anche le diverse rappresentazioni di DIO.<br />
E=mc2 sarebbe allora la formula che contiene il segreto <strong>del</strong>l’ESSERE.<br />
L’Essere in questo-mondo è determinato dalla forza. La FORZA come affermazione<br />
propria <strong>del</strong>la fisica si traduce, parlando <strong>del</strong>l’uomo, in VOLONTA’. Chi possiede il<br />
potere è perché possiede la Forza e chi gestisce il potere gestisce il mondo.<br />
Il volto di chi possiede la forza è possibile scorgerlo guardando i vari imprenditori<br />
che controllano le grandi multinazionali e stabiliscono, nella codifica <strong>del</strong>la forza in<br />
leggi e forme politiche, le condizioni di vita <strong>del</strong>le moltitudini.<br />
LA FORZA E’ QUELLA LEGGE SUPREMA DEL SOCIALE E DEL POLITICO<br />
RICORDATA DAGLI ATENIESI AGLI ABITANTI DELL’ISOLA DI MELO,<br />
PRIMA A PAROLE E POI CON LA SPADA O DALLE CIVILTA’ MERCANTILI<br />
(V sec. A.c.) AGLI ABITANTI DELLE ISOLE LIPARI (prima società comunista<br />
<strong>del</strong>la storia) ATTRAVERSO L’ANNIENTAMENTO, O DAI COLONI EUROPEI<br />
AGLI INDIANI D’AMERICA ATTRAVERSO IL GENOCIDIO, e così via fino ai<br />
nostri giorni.<br />
L’essere è forza, e questo è un dato di fatto dimostrato dalla storia. Se oggi siamo ad<br />
un livello di civiltà migliore da quello di 2000 anni fa lo si deve alle manifestazioni<br />
<strong>del</strong>la FORZA (guerre, rivoluzioni, omicidi, ecc.).<br />
Ma l’ESSERE è anche altro e questo non va dimenticato. Negare l’esistenza di una<br />
realtà altra da quella immanente espressa dalla forza, significa bloccare la crescita<br />
individuale, soggettiva, sociale, collettiva e oggettiva <strong>del</strong>la nostra specie (la FINE<br />
DELLA STORIA).<br />
Allora, l’uomo si muove e costruisce o distrugge attraverso la naturale e inevitabile<br />
FORZA che muove il cielo, le stelle ei pianeti tutti, ma non è l’unico suo motore.<br />
L’uomo si muove anche attraverso un’altra forza non presente in natura ma non per<br />
questo meno reale e che ci distingue dagli altri esseri viventi, il BENE.<br />
Il Bene (chiamiamolo anche desiderio di giustizia, Dio, o con altri modi) è un evento<br />
soggettivo, eminentemente soggettivo. Il Bene nasce dall’unione di condizioni<br />
1
oggettive e di disposizioni soggettive 9 . L’educazione agisce in questo secondo<br />
ambito, e come dicevo prima il suo scopo è di formare personalità capaci di riflettere<br />
su se stessi, sugli altri, sugli stereotipi e i pregiudizi in maniera critica e cosciente<br />
<strong>del</strong>la complessità e <strong>del</strong>la relatività dei punti di vista, capaci di conoscere e riconoscere<br />
se stessi nell’incontro con l’altro.<br />
Il BENE è anche una condizione soggettiva, dunque, ma non va confuso con azioni<br />
quali posare nudi per un calendario i cui proventi vengono destinati ai bambini<br />
poveri <strong>del</strong>l’Africa o organizzare eventi di beneficienza al fine di aumentare il<br />
prestigio morale di qualcuno, qualche politico o qualche imprenditore che vuole<br />
accrescere la propria autogratificazione (padre Alex Zanottelli rimanda<br />
continuamente al mittente le offerte che riceve attraverso i circuiti di certe<br />
beneficienze, affermando che i poveri non hanno bisogno di beneficienza ma di<br />
giustizia).<br />
Il Bene, la GIUSTIZIA, si genera se praticate, ed è praticato giustamente, solo nella<br />
piena libertà da se stessi, ovvero senza “ricatti” morali alla base (leggi, regolamenti,<br />
ecc.). Possiamo dire che per ogni nuova legge antirazzista, antixenofoba che viene<br />
promulgata, l’educazione perde terreno nella partita formativa verso l’incontro con<br />
l’altro da sé.<br />
Il Bene nasce se libero dall’autoaffermazione <strong>del</strong>l’IO e se libero dalla dipendenza<br />
<strong>del</strong>la relazione col TU. Si potrebbe dire che il Bene è, se è disinteressato, da<br />
qualunque parte lo si guardi.<br />
Il Relativismo culturale è giustificazione <strong>del</strong>lo status quo (qualunque esso sia), è<br />
abbandono <strong>del</strong>l’uomo alla sola FORZA alla sola Volontà di Potenza. Giustificando<br />
questo, non si ammette la possibilità <strong>del</strong>l’uomo di essere altro dall’ ESSERE che<br />
cerca solo ed esclusivamente la realizzazione di sé. Homo hominis lupus (Hobbes).<br />
La pedagogia non può non ricondurre la propria attenzione verso le forze che<br />
agiscono nella natura sociale e non può non attaccare il Relativismo culturale nei<br />
suoi principi prima esposti.<br />
La pedagogia, non può non affermare che l’uomo è altro dalla sola conoscenza<br />
sensibile (Cartesio) o dall’ORDINE DEI CORPI (Pascal), l’uomo è anche res<br />
cogitans, Ordine <strong>del</strong>lo Spirito che ci fa diversi dagli altri esseri viventi su questo<br />
mondo. E, come ricordava Pascal, l’Ordine <strong>del</strong>lo Spirito presuppone lo studio. Nel<br />
suo rapporto con l’altro da sé, l’individuo deve poter scoprire, e qui l’educazione<br />
deve far valere il proprio agire, che oltre allo Studio e alla razionalità, l’uomo è<br />
capace di vivere una terza dimensione più profonda che solo l’incontro con l’altro da<br />
sé può slatentizzare: una conoscenza diversa dalla logica <strong>del</strong> branco (res extensia) o<br />
dalla ragione (res cogitans), ma di cui queste prime ne sono il presupposto: LA<br />
PIETAS (carità, condivisione, comunione, ecc.).<br />
La PIETAS , ovvero la capacità di con-patire, con-dividere con l’altro.<br />
Nelle scienze <strong>del</strong>l’educazione, la PIETAS è espressa e spiegata dal concetto di<br />
empatia (capacità di guardare il mondo dal punto di vista <strong>del</strong>l’altro e non solo dal<br />
proprio, senza però “perdere” se stessi).<br />
In una realtà sociale, quale quella occidentale, in cui l’effimero diviene l’assoluto e<br />
in cui il flusso di migliaia di persone provenienti da altre latitudini, portatori di altre<br />
9 Vito Mancuso RIFONDAZIONE DELLA FEDE, ediz. Mondadori<br />
1
visioni <strong>del</strong> mondo, sono conduttori di contraddizioni, sviluppare la PIETAS significa<br />
ridiscutere inevitabilmente se stessi.<br />
Innazitutto, iniziamo a chiederci cosa proiettiamo di noi stessi in quanto<br />
“costruzione” sociale e culturale alle nuove generazioni e agli “stranieri” che<br />
arrivano nelle città occidentali.<br />
consumismo sessuale, o meglio, il sesso omologato a merce e in quanto tale<br />
ridotto a bene di consumo.<br />
Lungi dal rispetto <strong>del</strong>la donna, l’occidente rimanda a noi stessi e a chi arriva a<br />
viverci e alle nuove generazioni, l’immagine <strong>del</strong>la donna come oggetto poco più<br />
nobile <strong>del</strong>la coca-cola (qui non si parla <strong>del</strong>la prostituzione ma <strong>del</strong>l’immagine più<br />
generale che diamo <strong>del</strong>la donna nelle nostre società);<br />
abdicazione educativa: riduzione <strong>del</strong>la famiglia, dei ruoli genitoriali e <strong>del</strong>la<br />
scuola a contenitori <strong>del</strong>le manifestazioni dei bambini i quali ricevono schemi<br />
comportamentali e educativi da agenzie diverse come la macchina <strong>del</strong> marketing<br />
(i bambini viziati, adultizzati nei costumi e nei comportamenti) ;<br />
Centralità <strong>del</strong> corpo: ognuno di noi è continuamente rimproverato se la cura estetica<br />
<strong>del</strong> corpo, l’apparire, non è centrale nella propria vita. L’apparire giovani (unica<br />
dimensione <strong>del</strong>l’essere ammessa dall’occidente) è imperativo categorico per<br />
l’affermazione di sé e per la propria relazione sociale. Questo nuovo dio, il corpo, ha<br />
prodotto il rigetto <strong>del</strong>la dimensione <strong>del</strong>la vecchiaia (così come per alcuni versi <strong>del</strong>la<br />
disabilità, e in generale di ogni diversità) a oggetto senza alcun valore, paura da<br />
esorcizzare con cure e chirurgie varie, svuotandola di quel significato di saggezza e<br />
riferimento esistenziale per i più giovani che per millenni ha avuto nella storia.<br />
L’anziano infatti è oggi ostacolo e non risorsa. Oltre a questo, l’impatto culturale<br />
sulla crescita dei più giovani è devastante. Il mito <strong>del</strong>l’eterna giovinezza conduce ad<br />
una posizione mentale <strong>del</strong>l’uomo secondo cui il presente è ciò che conta, il passato<br />
così come il futuro non ci riguardano. L’eterna giovinezza (l’eterno presente)<br />
produce anche lo svuotamento <strong>del</strong>l’anima in quanto si perpetua quella natura<br />
“animale” che di per sè appartiene al giovane e non all’anziano (di per sé, ed è giusto<br />
cosi e sappiamo che in quella fase di crescita tutti siamo stati preda di amori <strong>del</strong><br />
momento, volubili, sensibili al luccichio <strong>del</strong>l’effimero e <strong>del</strong>la vanità; il ragazzo è<br />
pura affermazione di sé, parte <strong>del</strong> branco in cui far emergere sé; le nostre società<br />
accolgono il diverso con la vanità, l’effimero e la vacuità proprie <strong>del</strong> giovane).<br />
Dalla negazione di una dimensione diversa dal presente, e quindi dalla diseducazione<br />
al pensare, dall’inutilità <strong>del</strong> pensiero, <strong>del</strong>l’idea, <strong>del</strong>la progettualità, <strong>del</strong> pensare il<br />
domani, nascono quelle patologie innaturali proprie <strong>del</strong>le nostre società come la<br />
depressione, estremizzazione <strong>del</strong>la semplice noia (riaffermiamo che la noia è un<br />
momento proprio <strong>del</strong>l’uomo che non va demonizzato ma verso cui occorre educare le<br />
nuove generazioni, perché la noia è una fase di passaggio tra un vecchio e un nuovo<br />
nel divenire quotidiano, educhiamo i giovani a gestire la noia), e la riduzione<br />
<strong>del</strong>l’anima a psiche, la “materialità” di Dio (si scavano tombe per riportare alla luce<br />
cadaveri da toccare, guardare in modo che la stessa ricerca di Dio – sia esso Bene,<br />
l’ALTRO, ecc.- non è più percorso interiore che potrebbe sconvolgere il tutto, ma<br />
ricerca esteriore e appagamento immediato, in modo che lo status quo <strong>del</strong>le cose è<br />
salvo, accettato).<br />
1
Centralità <strong>del</strong> denaro nella relazione umana: l’unico DIO contemplato dall’occidente<br />
è il denaro e l’unico esempio di rettitudine verso questo Dio è l’uomo capace di<br />
produrre ricchezza materiale (non importa come e con quali strumenti lo si fa).<br />
Il fenomeno <strong>del</strong>l’immigrazione, quando ciò avviene per necessità, per fame, è il<br />
prodotto ultimo, diretto e indiretto, di tutto questo, <strong>del</strong> mantenimento di tutto questo,<br />
<strong>del</strong>la globalizzazione di tutto questo.<br />
Se accettiamo come vero il concetto espresso da Kurt Lewin “LE RELAZIONI TRA<br />
I GRUPPI SONO UN PROBLEMA BIFRONTE. CIO’ SIGNIFICA CHE PER<br />
MIGLIORARE LE RELAZIONI TRA I GRUPPI, E’ NECESSARIO STUDIARE<br />
ENTRAMBI I GRUPPI OGGETTO DELL’INTERAZIONE. ……”, non possiamo<br />
non escludere dalla nostra riflessione il “carattere” sopra esposto <strong>del</strong>le nostre società<br />
occidentali, <strong>del</strong>le nostre espressioni culturali.<br />
Un individuo che non vive la dimensione sociale e l’espressione culturale <strong>del</strong>l’avere,<br />
<strong>del</strong>l’affermazione di sé nel denaro e attraverso il corpo, nella centralità <strong>del</strong> denaro, è<br />
un emarginato, e lo diviene perché non riconosciuto dalla propria comunità. Allo<br />
stesso modo una comunità di individui portatori di una cultura-altra se non si adegua,<br />
viene emarginata, si ha il fenomeno che abbiamo definito <strong>del</strong>l’ incistamento o <strong>del</strong>l’<br />
auto-incistamento (un esempio tutto occidentale <strong>del</strong>l’auto-incistamento è quello <strong>del</strong>le<br />
comunità amish in america <strong>del</strong> nord).<br />
L’incontro con l’altro, sia esso immigrato o altro ancora, è un dono nella misura in<br />
cui ci conduce a ripercorrere ciò che siamo e a riscoprire o scoprire nuovi modi di<br />
vivere-in-relazione e di vivere con noi stessi<br />
La pedagogia (così come le altre discipline), nella sua variante che studia il<br />
fenomeno migratorio e l’incontro fra culture, non può non portare l’attenzione su<br />
questioni di casa nostra e una conseguente critica ai nostri sistemi culturali con cui<br />
educhiamo le nuove generazioni.<br />
Riconoscere dunque che l’uomo è anche altro dalla NECESSITA’, dalla FORZA,<br />
che in ognuno di noi, e in questo siamo tutti uguali, alberga il DESIDERIO DI<br />
GIUSTIZIA, significa RIPENSARE le nostre coordinate culturali, valoriali, e<br />
promuovere una giusta pratica <strong>del</strong>l’incontro e <strong>del</strong>la relazione.<br />
In ogni cultura, in ogni latitudine, sulle cose fondamentali che costituiscono la vita<br />
umana c’è ACCORDO su concetti quali FEDELTA’, ARMONIA, ONESTA’,<br />
RISPETTO, SINCERITA’. Per capirlo basta guardare alla produzione letteraria <strong>del</strong>le<br />
civiltà, evidenziare le “storie” tramandate attraverso i diversi testi sacri, favole,<br />
leggende, miti, attraverso gli arkètipi culturali, frutto <strong>del</strong>l’esperienza di millenni da<br />
parte degli uomini.<br />
È in questo, è qui che è possibile dire che nonostante le differenze culturali e sociali,<br />
le diverse geografie di provenienza il DESIDERIO DI GIUSTIZIA è uguale per tutti<br />
(regno dei cieli per Gesù, mondo <strong>del</strong>le idee per Platone, l’ armonia universale per<br />
Confucio, la Volontà Generale di Rousseau, ecc.).<br />
Da qui occorre partire per rifondare una Pedagogia come scienza <strong>del</strong>l’educazione e<br />
<strong>del</strong>la formazione <strong>del</strong>l’individuo (Grazie al fenomeno <strong>del</strong>l’immigrazione oggi questo<br />
è possibile), da questo stadio sorgivo <strong>del</strong>l’esperienza umana, prima che entrino in<br />
gioco le diverse tradizioni religiose, le categorizzazioni <strong>del</strong>l’intelletto, occorre fare<br />
leva per un “giusto” incontro tra “diversi”. La pedagogia interculturale, in virtù di<br />
quanto detto, ricerca metodi e mo<strong>del</strong>li attraverso cui favorire l’incontro partendo<br />
1
dall’individuo e dalla sua quotidianità, che come per ognuno di noi è ricerca <strong>del</strong><br />
DESIDERIO DI GIUSTIZIA.<br />
Riconoscere questo presupposto, significa avviarsi su un percorso che ci aiuterebbe a<br />
percepire l’altro, il diverso (sia esso anziano, povero, disabile, immigrato,<br />
emarginato, ecc.) come “UGUALE” a noi.<br />
L’operatore pedagogico, così come ogni individuo che voglia uscire dalla stupidità<br />
che alza muri e barriere verso l’altro, dovrebbe tenere presente che la strada che porta<br />
all’accoglienza <strong>del</strong>l’altro è certamente piena di conflitti, di de-strutturazioni e ristrutturazioni<br />
di visioni –<strong>del</strong>-mondo. L’educazione all’accoglienza allora dovrebbe<br />
realizzare in ogni individuo questi sette obiettivi:<br />
GIUSTA CONOSCENZA. Far maturare la consapevolezza <strong>del</strong>la non-permanenza di<br />
tutti i fenomeni fisici esterni e di tutti i componenti <strong>del</strong>la propria e altrui personalità<br />
(tutto cambia e può cambiare). Le idee cambiano man mano che la comprensione si<br />
sviluppa. Solo così si può eliminare il pregiudizio.<br />
GIUSTI OBIETTIVI. L’obbiettivo immediato è quello di vivere la verità (il<br />
riconoscimento <strong>del</strong>l’altro e di sé nell’altro) che si e raggiunta;<br />
GIUSTA PAROLA. Saper comunicare con l’altro significa educarsi ed educare alla<br />
chiarezza, alla cortesia (“che il tuo dire sia si, si o no, no” Vangelo di Matteo 5,37).<br />
GIUSTA CONDOTTA. Sia pacifica, benevola e volta all’altro. Praticare ciò cui si<br />
dice di aderire idealmente (la democrazia va praticata quotidianamente).<br />
GIUSTO SFORZO. Lo sforzo continuo di controllare pensieri e azioni distruggerà<br />
tutto quello che è dannoso. Crescere, significa vincere continuamente ignoranza<br />
(luoghi comuni, sentito dire, generalizzazioni, su persone o culture altre) e desiderio<br />
(pensare a sé e alla soddisfazione <strong>del</strong> proprio IO ad ogni costo).<br />
GIUSTA ATTENZIONE. L’osservazione continua e consapevole <strong>del</strong>la vita e dei<br />
propri pensieri personali, degli atti, le intenzioni e le loro cause. Occorre osservare le<br />
funzioni <strong>del</strong> corpo e <strong>del</strong>la mente, raccogliere le esperienze, coltivare la<br />
consapevolezza <strong>del</strong> presente e meditare sul futuro. Questa abitudine facilità l’analisi<br />
e la riflessione necessarie alla crescita di sé e <strong>del</strong> proprio intorno sociale.<br />
GIUSTA CONCENTRAZIONE. Ogni cosa che si fa (lavoro, studio, gioco, incontro)<br />
va fatta nel migliore dei modi per sé e per gli altri, perché tutta la vita e tutti noi<br />
siamo interdipendenti.<br />
Per concludere, ricorro ad una metafora: la vita reale <strong>del</strong>l’uomo, nella storia così<br />
come in quella di tutti i giorni, è più simile ad una musica stonata (guerre, sopprusi,<br />
povertà, razzismo, precariato, negazione <strong>del</strong>la dignità, ecc. dominio <strong>del</strong>la FORZA,<br />
<strong>del</strong>la VOLONTA’ DI POTENZA), che ad una bella sinfonia, ma va riconosciuto che<br />
ognuno di noi in potenza ha orecchio, talento, voce (anima, desiderio di giustizia e<br />
senso <strong>del</strong> bene); è solo una questione di educazione.<br />
“l’uomo può diventare uomo solo attraverso l’educazione” – I. Kant<br />
Dott. Remo Coccia<br />
(Pedagogista ANPE e Mediatore Relazionale)<br />
1
Bibliografia consigliata:<br />
D. DEMETRIO: nel tempo <strong>del</strong>la pluralità. Educazione interculturale in<br />
discussione e ricerca. ED. La Nuova Italia;<br />
F. SUSI: come si è stretto il mondo. L’educazione interculturale in Italia e in<br />
Europa: teorie, esperienze e strumenti. ED. Armando editore.<br />
A. NANNI: l’educazione interculturale oggi in Italia, Ed. EMI.<br />
AGOSTINO PORTERA: Globalizzazione e pedagogia interculturale. Interventi<br />
nella scuola. Ediz. Erickson<br />
GRAZIELLA FAVARO Pedagogia Interculturale: le Idee e le Idicazioni<br />
Didattiche<br />
W. Van Oorschot: Gli immigrati meritano solidarietà? L’opinione pubblica nei<br />
diversi welfare europei in Lavoro Sociale n. 1-2008 ed. Erickson;<br />
P. Bertolini: Dizionario di pedagogia e scienze <strong>del</strong>l’educazione ediz. Zanichelli.<br />
P. Bertolini: L’esistere pedagogico ED. NIS;<br />
Gabriella Giornelli, A<strong>del</strong>e Maioli: Educazione linguistica interculturale, Edizioni<br />
Erickson<br />
1
DIAGNOSI PEDAGOGICA NEL LAVORO EDUCATIVO CON ALUNNI DI<br />
ORIGINE ROM (Dott. N. Guarnieri)<br />
La scuola proclama ufficialmente la necessità <strong>del</strong>le convivenze con le culture<br />
diverse, ma nessuno indica il percorso necessario per realizzarla. L’unica prospettiva<br />
che sembra emergere oggi è quella economica/finanziaria. L’integrazione proposta è<br />
quella economica e la scuola si va sempre più orientando in quella direzione. La<br />
formula <strong>del</strong>le tre “I” (Internet – Inglese – Impresa) indica ormai il mercato come<br />
unico fine <strong>del</strong> percorso scolastico. Ma abbracciare questa prospettiva significa<br />
abbandonare ogni impegno educativo.<br />
Se si accetta una scuola funzionale al mercato, presto non si potrà più governare il<br />
paese per l’assenza di quella mediazione culturale che garantisce l’osmosi tra<br />
struttura politica e società civile. Per accogliere ed integrare gli alunni immigrati e<br />
rom la scuola ha bisogno di alcune modifiche organizzative e finanziarie:<br />
La formazione <strong>del</strong> personale scolastico per affrontare la presenza di nuovi cittadini;<br />
Inserimento nella scuola di figure professionali agevolatrici <strong>del</strong> processo di<br />
integrazione: mediatori culturali, facilitatori culturali, educatori, operatori<br />
psicopedagogici, ecc.<br />
Un’organizzazione scolastica in grado di avvalersi di personale che riesca a<br />
realizzare attività extrascolastiche, di integrazione alle attività didattiche, finalizzato<br />
all’inserimento degli alunni immigrati e rom;<br />
Un percorso formativo dei singoli studenti con particolare attenzione<br />
all’apprendimento <strong>del</strong>la lingua Italiana, in modo che la differenza linguistica non sia<br />
di ostacolo al successo scolastico e educativo;<br />
L’integrazione scolastica degli alunni immigrati e rom, nell’organizzazione<br />
scolastica e <strong>del</strong> POF contemplandone i fattori critici: Condizione economica,<br />
provenienza geografica, appartenenza religiosa, specificità degli alunni zingari;<br />
Strutturare in ambiente scolastico un raccordo molto stretto con i presidi sul territorio<br />
che si occupano dei nuclei familiari degli immigrati e rom;<br />
Programmi legati alla storia e all’economia di popoli diversi. La produzione di<br />
materiale scolastico interculturale per facilitare l’apprendimento.<br />
Hanno preso vita così numerose iniziative interculturali che riguardano scuole situate<br />
in tutte le regioni d’Italia. Si rilevano in particolare nella scuola <strong>del</strong>l'obbligo, dove è<br />
iscritta la maggiore percentuale dei bambini di famiglia straniera, mentre sono ancora<br />
episodiche nelle medie superiori, sia perché il numero relativamente contenuto di<br />
iscritti non italiani rende meno immediata l'esigenza che avviare percorsi<br />
interculturali, sia perché appare più difficile inserire queste attività nella<br />
programmazione scolastica. Senza dubbio tutte queste iniziative sono di<br />
fondamentale importanza al fine di ottenere un ambiente più aperto ed attento alle<br />
esigenze dei minori immigrati, ma la strada da percorrere è ancora lunga, e ciò che<br />
dobbiamo sperare è che anche altre istituzioni, oltre la scuola, si impegnino in<br />
sempre nuove attività volte a facilitare il complesso processo d’integrazione dei<br />
bambini stranieri.<br />
Dott. Nazareno GUARNIERI<br />
1
LA LEGISLAZIONE ITALIANA A TUTELA DEI MINORI (Avv. G. Di Tommaso)<br />
1. IL DIRITTO MINORILE<br />
ORIGINI ED EVOLUZIONE DELLA LEGISLAZIONE MINORILE<br />
La legislazione minorile è il frutto di un lento percorso di maturazione <strong>del</strong>la società e<br />
<strong>del</strong>la coscienza civile, che ha riconosciuto le peculiarità <strong>del</strong>la condizione dei minori,<br />
attuando una serie di tutele per gli stessi.<br />
E’ stato creato, ad esempio, un sistema distinto di diritto penale e processuale, che<br />
tiene conto <strong>del</strong>la fragile situazione dei minori.<br />
Altro esempio è individuabile in uno dei principi basilari <strong>del</strong>la nostra Costituzione,<br />
cioè il principio “favor minoris”, per cui in tutte le decisioni riguardanti i minori deve<br />
essere tenuto in conto principalmente il “superiore interesse” degli stessi.<br />
Dal punto di vista storico le prime istituzioni, specificamente minorili, sorsero a<br />
partite dal diciottesimo secolo, in cui era previsto l’internamento in istituto per i<br />
minori abbandonati, vagabondi, incontrollati.<br />
Sul finire <strong>del</strong> secolo sorsero organi giudiziari che si occupavano esclusivamente di<br />
minori; in Italia il Tribunale per i Minorenni fu istituito solo nel 1934 con il Regio<br />
Decreto Legge n. 1404, e rappresentò il primo tentativo di disciplinare in modo<br />
rigoroso la materia minorile; fu istituito durante il periodo fascista anche se il primo<br />
progetto risale al 1908 (Progetto Quarta-Vacca).<br />
Con la nascita <strong>del</strong>la Repubblica, la Costituzione pose le basi per una più completa<br />
protezione e tutela <strong>del</strong> minore.<br />
Attualmente il diritto minorile rappresenta un insieme autonomo di norme (civili,<br />
penali ed amministrative) che disciplinano l’attività posta in essere direttamente dai<br />
minori o dagli adulti con ripercussioni sui minori stessi.<br />
L’autonomia <strong>del</strong> diritto minorile rispetto agli altri ambiti <strong>del</strong> diritto si ritrova su<br />
diversi piani:<br />
• sul piano scientifico: il diritto minorile forma oggetto di studi specializzati;<br />
• sul piano legislativo: esiste un corpo organico di norme che disciplina in maniera<br />
completa tutta la materia;<br />
1
• sul piano didattico: il diritto minorile ha in tutti gli atenei autonomia didattica,<br />
con cattedre apposite di legislazione minorile o diritto e procedura penale<br />
minorile.<br />
Le FONTI DEL DIRITTO MINORILE<br />
Le fonti <strong>del</strong> diritto sono i fatti, gli atti giuridici, che producono o contengono le<br />
norme <strong>del</strong> diritto.<br />
In generale nel nostro diritto positivo le fonti seguono una gerarchia precisa:<br />
4.Costituzione e norme costituzionali.<br />
5.Fonti primarie: leggi ordinarie <strong>del</strong>lo Stato - decreti-legge - decreti legislativi -<br />
leggi regionali - leggi <strong>del</strong>le Province autonome di Trento e Bolzano.<br />
6.Fonti secondarie: regolamenti - ordinanze <strong>del</strong>le autorità amministrative.<br />
7.Contratti collettivi “erga omnes”.<br />
8.Consuetudine: ovvero un comportamento costante ed uniforme, tenuto dai<br />
consociati, nella convinzione che tale comportamento sia obbligatorio.<br />
Relativamente all’ambito minorile le fonti sono rappresentate da tutte quelle norme<br />
giuridiche che attengono ai minori, imponendo una deviazione rispetto ai principi<br />
generali dovuta, appunto, alla minore età.<br />
Le fonti principali che promanano dal diritto interno sono le seguenti:<br />
COSTITUZIONE<br />
La Costituzione, oltre a fissare principi fondamentali validi per tutti i consociati,<br />
detta <strong>del</strong>le norme riguardanti in modo esclusivo i minori.<br />
Di seguito si riportano gli articoli che direttamente o indirettamente si rivolgono ai<br />
minori.<br />
Art. 2 - Diritti inviolabili<br />
“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili <strong>del</strong>l'uomo, sia come<br />
singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede<br />
l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”<br />
Art. 30 – Tutela dei figli nati fuori <strong>del</strong> matrimonio<br />
“È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati<br />
fuori <strong>del</strong> matrimonio.<br />
Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro<br />
compiti.<br />
La legge assicura ai figli nati fuori <strong>del</strong> matrimonio ogni tutela giuridica e sociale,<br />
compatibile con i diritti dei membri <strong>del</strong>la famiglia legittima.<br />
La legge detta le norme e i limiti per la ricerca <strong>del</strong>la paternità.”<br />
1
Art. 31 - Tutela <strong>del</strong>la famiglia<br />
“La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione<br />
<strong>del</strong>la famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle<br />
famiglie numerose.<br />
Protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale<br />
scopo.”<br />
Art. 34 - Istruzione<br />
“La scuola è aperta a tutti.<br />
L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I<br />
capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più<br />
alti degli studi.<br />
La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie<br />
ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.”<br />
Art. 37 - Lavoro<br />
“La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni<br />
che spettano al lavoratore.<br />
Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento <strong>del</strong>la sua essenziale<br />
funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata<br />
protezione.<br />
La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato.<br />
La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a<br />
parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione.”<br />
CODICE CIVILE<br />
Sono previsti istituti specifici in ragione <strong>del</strong>l’età dei soggetti e <strong>del</strong> bisogno di<br />
compensare la relativa incapacità.<br />
In ambito di diritto <strong>del</strong>le persone e <strong>del</strong>la famiglia, soprattutto, si sono susseguite<br />
numerose leggi, ad esempio, riguardanti l’interdizione e la inabilitazione, attraverso<br />
il recente istituto <strong>del</strong>l’amministrazione di sostegno; la separazione ed l’affidamento<br />
condiviso dei figli; in materia di protezione contro gli abusi familiari e la violenza<br />
nelle relazioni familiari.<br />
CODICE DI PROCEDURA CIVILE<br />
Sono contemplati istituti specifici, nel codice di procedura civile, in ragione <strong>del</strong>l’età<br />
dei soggetti e <strong>del</strong> bisogno di compensare la relativa incapacità come, ad esempio, le<br />
norme relative ai minori, agli interdetti, agli inabilitati o quelle che disciplinano la<br />
procedura davanti al Tribunale per i Minorenni.<br />
CODICE PENALE<br />
1
Il codice penale, in particolare, detta specifiche statuizioni, aventi come presupposto<br />
la minore età, introducendo reati previsti esclusivamente a tutela <strong>del</strong> minore come<br />
soggetto passivo.<br />
In altri casi può porre deviazioni alle regole generali come avviene per l’imputabilità,<br />
ossia la capacità d’intendere e di volere.<br />
Art. 97. Minore degli anni quattordici.<br />
“Non è imputabile chi nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto<br />
i quattordici anni.”<br />
Art. 98. Minore degli anni diciotto.<br />
“E' imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, aveva compiuto i<br />
quattordici anni, ma non ancora i diciotto, se aveva capacità d'intendere e di volere;<br />
ma la pena è diminuita.<br />
Quando la pena detentiva inflitta è inferiore a cinque anni, o si tratta di pena<br />
pecuniaria, alla condanna non conseguono pene accessorie.<br />
Se si tratta di pena più grave, la condanna importa soltanto l'interdizione dai<br />
pubblici uffici per una durata non superiore a cinque anni, e, nei casi stabiliti dalla<br />
legge, la sospensione dall'esercizio <strong>del</strong>la patria potestà o <strong>del</strong>l'autorità maritale.”<br />
Altro esempio è il cosiddetto perdono giudiziale.<br />
Art. 169. Perdono giudiziale per i minori degli anni diciotto.<br />
“Se, per il reato commesso dal minore degli anni diciotto la legge stabilisce una<br />
pena restrittiva <strong>del</strong>la libertà personale non superiore nel massimo a due anni,<br />
ovvero una pena pecuniaria non superiore nel massimo a euro 1549, anche se<br />
congiunta a detta pena, il giudice può astenersi dal pronunciare il rinvio a giudizio,<br />
quando, avuto riguardo alle circostanze indicate nell'articolo 133, presume che il<br />
colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati.<br />
Qualora si proceda al giudizio, il giudice, può, nella sentenza, per gli stessi motivi,<br />
astenersi dal pronunciare condanna.<br />
Le disposizioni precedenti non si applicano nei casi preveduti dal n. 1 <strong>del</strong> primo<br />
capoverso <strong>del</strong>l'articolo 164.<br />
Il perdono giudiziale non può essere conceduto più di una volta.”<br />
CODICE DI PROCEDURA PENALE<br />
Il D.P.R. n. 448 <strong>del</strong> 1988, relativo al processo penale a carico di imputati minorenni,<br />
crea una normativa apposita, acquisendo particolare rilevanza nell’ambito <strong>del</strong>le fonti<br />
<strong>del</strong>la legislazione minorile.<br />
NORME IN MATERIA DI ORDINAMENTO PENITENZIARIO<br />
La Legge n. 354 <strong>del</strong> 1975 contiene norme sull’ordinamento penitenziario e<br />
sull’esecuzione <strong>del</strong>le misure privative e limitative <strong>del</strong>la libertà particolari per il<br />
minore, ponendo anche in questo caso deviazioni alle regole generali.<br />
1
ORGANIZZAZIONE GIUDIZIARIA MINORILE<br />
TRIBUNALE PER I MINORENNI<br />
In Italia il Tribunale per i Minorenni fu istituito nel 1934 con il Regio Decreto Legge<br />
n. 1404, convertito in legge n. 835 nel 1935.<br />
Questa legge introduce nel nostro ordinamento un organo giudiziario specializzato,<br />
chiamato a giudicare le difficili situazioni in cui vengono a trovarsi i minori, con<br />
competenza civile, penale ed amministrativa, autonoma rispetto agli altri Tribunali, e<br />
giurisdizione su tutto il territorio <strong>del</strong>la Corte d’appello o <strong>del</strong>la sezione di Corte<br />
d’appello<br />
Dal punto di vista <strong>del</strong>la composizione emerge chiaramente la specializzazione <strong>del</strong><br />
giudice minorile che è caratterizzata dalla presenza nel collegio giudicante di<br />
componenti privati, ovvero giudici laici e non togati.<br />
L’art. 2 <strong>del</strong>la citata legge istitutiva prevede, infatti, la presenza di “un uomo ed una<br />
donna, benemeriti <strong>del</strong>l’assistenza sociale, scelti tra i cultori di biologia, psichiatria,<br />
antropologia criminale, psicologia”.<br />
Tali esperti devono essere nominati dal C.S.M. per un triennio, possono essere<br />
riconfermati e devono aver compiuto il trentesimo anno di età.<br />
In concreto nell’ambito <strong>del</strong>la Tribunale dei minori ci sono i seguenti soggetti<br />
specializzati:<br />
1) Giudici minorili: G.I.P. (organo monocratico); G.U.P. (organo collegiale – 1<br />
magistrato e 2 laici); Tribunale dibattimentale (2 magistrati e 2 laici); Sezione di<br />
Corte d’Appello per i minorenni (3 magistrati e 2 laici); Cassazione: manca una<br />
composizione specializzata;<br />
2) P.M.: esiste un separato ed autonomo Procuratore <strong>del</strong>la repubblica;<br />
3) Sezione di polizia giudiziaria: personale di P.G. alle dipendenze <strong>del</strong> Procuratore<br />
con particolari attitudini per le problematiche minorili;<br />
4) Difensore: quello di fiducia può essere scelto liberamente tra tutti i legali iscritti<br />
ad un ordine forense; in mancanza <strong>del</strong>la nomina <strong>del</strong> primo, quello d’ufficio viene<br />
individuato dagli appositi elenchi.<br />
1
Relativamente alle attribuzioni, in ambito civile è competente nei procedimenti civili<br />
e di volontaria giurisdizione riguardanti i minori, con esclusione di quelli di<br />
competenza <strong>del</strong> giudice tutelare.<br />
In ambito amministrativo è competente riguardo l’adozione di provvedimenti in<br />
favore di adolescenti in difficoltà, disadattati alla vita sociale, per la irregolarità <strong>del</strong><br />
carattere o <strong>del</strong> comportamento, anche senza che gli stessi abbiano commesso alcun<br />
reato.<br />
In ambito penale è il giudice naturale competente per tutti i reati commessi da minori<br />
di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni, anche nel caso di concorso nel reato<br />
di minorenni e maggiorenni; inoltre ha funzioni di Tribunale di sorveglianza e<br />
Magistrato di sorveglianza.<br />
GIUDICE TUTELARE (Normativa di riferimento: art. 344 ss. c.c.)<br />
Il giudice tutelare è un magistrato interno al Tribunale ordinario a cui sono affidate<br />
funzioni in materia di tutela <strong>del</strong>le persone, in particolare dei soggetti più deboli,<br />
come i minori e gli incapaci, con riguardo agli aspetti sia patrimoniali che non.<br />
E’ designato ogni due anni dal Presidente <strong>del</strong> Tribunale e sovrintende alle<br />
attività definite di “volontaria giurisdizione”, in cui vi sono persone incapaci o non<br />
<strong>del</strong> tutto capaci di provvedere da sole ai propri interessi, a favore <strong>del</strong>le quali<br />
interviene un giudice con funzioni di tutela e di garanzia.<br />
Tale magistrato agisce su sua autonoma iniziativa o su richiesta dei parenti o di altri<br />
soggetti che operano con la stessa finalità di protezione.<br />
Le sue attribuzioni principali sono di autorizzare i genitori a compiere gli atti di<br />
straordinaria amministrazione relativi al patrimonio dei figli minori; di nominare il<br />
curatore speciale ai figli minori in caso di conflitto patrimoniale tra loro o con i<br />
genitori; di nominare l’amministratore di sostegno, il tutore e il curatore e vigilare sul<br />
loro operato; di adottare i provvedimenti urgenti in favore <strong>del</strong> minore o<br />
<strong>del</strong>l’interdetto prima <strong>del</strong>l’assunzione <strong>del</strong>le funzioni <strong>del</strong> tutore o <strong>del</strong> protutore.<br />
Il procedimento davanti al giudice tutelare è caratterizzato da estrema semplicità e<br />
dalla mancanza di formalità; addirittura nei casi urgenti la richiesta di un<br />
provvedimento può essere fatta al giudice anche verbalmente.<br />
1
2. TUTELA DEL MINORE IN AMBITO CIVILE NORMATIVA A TUTELA<br />
DEGLI INCAPACI E DEI MINORI<br />
CAPACITÀ GIURIDICA E DI AGIRE IN RAPPORTO ALLA MINORE<br />
ETA’<br />
Il minore è considerato in diritto una persona a cui si applica il regime giuridico <strong>del</strong>le<br />
persone fisiche; persona nel linguaggio giuridico indica un soggetto di diritto, cioè<br />
capace di essere titolare di diritti e doveri giuridici (capacità giuridica) e di esercitare<br />
i medesimi diritti e doveri (capacità di agire).<br />
La capacità giuridica, ovvero la capacità di essere titolare di diritti e doveri giuridici,<br />
si acquista al momento <strong>del</strong>la nascita (art. 1 c.c.), in concomitanza con l’inizio <strong>del</strong>la<br />
respirazione polmonare a seguito <strong>del</strong>la separazione <strong>del</strong> feto dal corpo materno.<br />
E’ una capacità che compete a tutte le persone fisiche e giuridiche e non può essere<br />
oggetto di rinuncia o transazione.<br />
Anche al concepito è riconosciuta la capacità giuridica, sia pure subordinatamente<br />
alla nascita; lo stesso ha, infatti, piena capacità di succedere e di rilevare per<br />
donazione.<br />
La capacità di agire, ovvero di esercitare diritti ed assumere obblighi, si acquisisce<br />
con la maggiore età e cioè al compimento <strong>del</strong> 18° anno (art. 2 c.c.); dopo tale età si<br />
presume che il soggetto possa curare consciamente i propri interessi e sia in grado di<br />
vagliare gli atti da porre in essere.<br />
Tale capacità di regola permane fino alla morte ed è legata alla concreta capacità <strong>del</strong><br />
soggetto di cura dei propri interessi; infatti quando tale idoneità è limitata o<br />
addirittura scompare anche la capacità di agire subisce la stessa condizione.<br />
CASI DI INCAPACITÀ<br />
1.Incapacità legale di agire.<br />
Riguarda l’inidoneità <strong>del</strong> soggetto alla cura dei propri interessi; tale incapacità è<br />
assoluta, in quanto il soggetto non può compiere nessun atto.<br />
I casi sono tassativamente determinati dalla legge e sono di seguito indicati.<br />
•La minore età: il negozio compiuto dal minore è annullabile, a meno che lo<br />
stesso abbia occultato la propria età con artifici o raggiri; l’azione di<br />
1
annullamento può essere esercitata entro 5 anni dal raggiungimento <strong>del</strong>la<br />
maggiore età.<br />
•L’interdizione giudiziale (art. 414 c.c.): si ha quando un soggetto è affetto da<br />
abituale e permanente infermità di mente ed è dichiarato con sentenza incapace di<br />
provvedere a propri interessi.<br />
•L’interdizione legale (art. 32 c.p.): è una misura che si applica nei confronti di<br />
coloro che sono condannati all’ergastolo o alla reclusione per un tempo non<br />
inferiore a cinque anni.<br />
2.Incapacità relativa.<br />
Nelle ipotesi in cui il soggetto ha una limitata capacità di agire, la legge gli<br />
attribuisce il potere di compiere solo atti di ordinaria amministrazione, che non<br />
incidono sul suo patrimonio.<br />
I casi sono tassativamente determinati dalla legge e sono di seguito elencati.<br />
- L’emancipazione (art. 390 c.c.): indica uno “status” di limitata capacità di<br />
agire, che si verifica nel caso in cui il minore, che abbia compiuto i 16 anni,<br />
ma non ancora i 18, sia ammesso dal Tribunale per i minorenni a contrarre<br />
matrimonio per gravi motivi. L'emancipazione interviene prima <strong>del</strong><br />
matrimonio e permane anche se il matrimonio contratto è successivamente<br />
dichiarato nullo.<br />
- L’inabilitazione (art. 415 c.c.): consegue a particolari condizioni fisiche e<br />
psichiche <strong>del</strong> soggetto che lo rendono parzialmente incapace: infermità<br />
abituale di mente non grave da comportare l’interdizione; prodigalità o abuso<br />
di bevande alcoliche o di stupefacenti; alcune imperfezioni o menomazioni<br />
fisiche.<br />
ISTITUTI DI PROTEZIONE DEGLI INCAPACI<br />
Nelle ipotesi di incapacità sopra indicate operano appositi sistemi di protezione che<br />
permettono al soggetto incapace lo svolgimento <strong>del</strong>l’attività giuridica attraverso<br />
l’intervento di una persona pienamente capace.<br />
1) Potestà dei genitori.<br />
La potestà genitoriale consiste nella cura <strong>del</strong>la persona <strong>del</strong> minore e nella<br />
amministrazione dei suoi beni e spetta ad entrambi i genitori; in concreto questi<br />
1
ultimi devono proteggere, istruire ed educare i figli minorenni e curarne gli interessi<br />
patrimoniali.<br />
A tale potestà sono sottoposti i figli minori non emancipati, legittimi, legittimati,<br />
adottati e naturali; essa è affidata ad entrambi i genitori (art 316 <strong>del</strong> c.c.), tuttavia in<br />
mancanza di essi, sia per morte sopravvenuta, o perché decaduti dalla patria potestà,<br />
si procede alla nomina di un tutore, che provvederà alle stesse incombenze dei<br />
genitori.<br />
2) Tutela.<br />
Il giudice tutelare nomina un tutore oltre che, nel caso prima indicato, di minori i cui<br />
genitori siano morti o non siano in grado di esercitare la potestà sui loro figli, anche<br />
nel caso di interdetti giudiziali o legali.<br />
Il compito <strong>del</strong> tutore è curare e proteggere l'incapace, rappresentandolo e<br />
sostituendolo nel compimento di tutti gli atti di natura patrimoniale di ordinaria e<br />
straordinaria amministrazione.<br />
Rientra, inoltre, tra i compiti <strong>del</strong> tutore occuparsi <strong>del</strong> benessere psicofisico<br />
<strong>del</strong>l'incapace, promuovendo quanto più possibile il suo sviluppo.<br />
Il tutore non può, peraltro, sostituirsi all'interdetto nei cosiddetti atti personalissimi<br />
(fare testamento, contrarre matrimonio, effettuare donazioni), che sono quindi<br />
preclusi all'incapace.<br />
C) Curatela.<br />
Riguarda l’inabilitato ed il minore emancipato la cui volontà viene integrata<br />
dall’intervento di un terzo: il curatore.<br />
Suo compito è quello di assisterli negli atti di straordinaria amministrazione ed in<br />
quelli di riscossione dei capitali.<br />
La differenza più rilevante rispetto alla funzione <strong>del</strong> tutore è che il curatore non<br />
rappresenta l'incapace e non si sostituisce allo stesso, ma lo assiste.<br />
D) Amministrazione di sostegno.<br />
L’amministrazione di sostegno è una figura istituita con la Legge n. 6 <strong>del</strong> 9 gennaio<br />
2004, a tutela di chi, pur avendo difficoltà nel provvedere ai propri interessi, non<br />
necessita comunque di ricorrere all'interdizione o all'inabilitazione.<br />
1
E’ una figura istituita per quelle persone che, per effetto di un’infermità o di una<br />
menomazione fisica o psichica, si trovano nell’impossibilità, anche parziale o<br />
temporanea, di poter provvedere alla cura dei propri interessi (anziani, disabili,<br />
alcoolisti, tossicodipendenti, carcerati, malati terminali, etc.).<br />
In tali casi, anche in previsione <strong>del</strong>la propria eventuale futura incapacità, si può<br />
richiedere al giudice tutelare la nomina di un amministratore di sostegno, che abbia<br />
cura <strong>del</strong>la persona e <strong>del</strong> patrimonio.<br />
Preferibilmente gli amministratori di sostegno vengono scelti tra il coniuge, purché<br />
non separato legalmente, la persona stabilmente convivente, il padre, la madre, il<br />
figlio o il fratello o la sorella, e comunque il parente entro il quarto grado.<br />
NORMATIVA A TUTELA DEL LAVORO MINORILE<br />
ART. 37 COSTITUZIONE<br />
“La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni<br />
che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento<br />
<strong>del</strong>la sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una<br />
speciale adeguata protezione.<br />
La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato.<br />
La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a<br />
parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione.”<br />
Già l’art. 37 <strong>del</strong>la costituzione riconosce alcuni principi fondamentali: la competenza<br />
legislativa in tema di età minima per l'ammissione al lavoro; la necessità di una tutela<br />
speciale per il lavoro minorile; la garanzia per il minore <strong>del</strong>la stessa retribuzione <strong>del</strong><br />
lavoratore adulto a parità di lavoro.<br />
Tali principi sono, peraltro, strettamente connessi ad altri sanciti in altri articoli <strong>del</strong>la<br />
Costituzione: ad esempio l’art. 31 2° comma sulla protezione <strong>del</strong>l'infanzia e <strong>del</strong>la<br />
gioventù; l’art. 32 sulla tutela <strong>del</strong>la salute; l’art. 34 sull'istruzione scolastica; l’art. 35<br />
2° comma sulla formazione professionale.<br />
Per dare esecuzione all’art. 37 è stata emanata la legge n. 977 <strong>del</strong> 1967, sulla “tutela<br />
<strong>del</strong> lavoro dei fanciulli e degli adolescenti”, che ne regola i vari aspetti: dalla<br />
condizione e ambiente di lavoro, agli orari, alla retribuzione, alle ferie.<br />
Tale legge è stata negli anni modificata varie volte e vi è stata una radicale riforma<br />
operata dal D.Lgs. 345 <strong>del</strong> 1999 che ha dato attuazione ad una Direttiva <strong>del</strong>la<br />
Comunità Europea sulla “protezione dei giovani sul lavoro”; attualmente, pertanto,<br />
la disciplina italiana è in sintonia con le normative comunitarie.<br />
1
Nello specifico l’età minima per l’ammissione al lavoro è fissata dall’art. 3 <strong>del</strong>la<br />
legge <strong>del</strong> 1967, poi sostituito dall’art. 5 <strong>del</strong> d.lgs. <strong>del</strong> 1999; essa è individuabile nel<br />
momento in cui il minore ha concluso il periodo di istruzione obbligatoria e, prima<br />
<strong>del</strong>la modifica <strong>del</strong> 2006, non poteva essere inferiore ai 15 anni compiuti.<br />
Attualmente, infatti, la legge n. 296 <strong>del</strong> 2006 (finanziaria per il 2007) ha elevato l’età<br />
a 16 anni; il Ministero <strong>del</strong>la Pubblica istruzione, con il Decreto 22 agosto 2007 n.<br />
139 di attuazione, ha innalzato a 10 anni complessivi la durata <strong>del</strong> periodo di<br />
istruzione obbligatoria al fine di garantire il "conseguimento di un titolo di studio di<br />
scuola secondaria superiore o di una qualifica professionale di durata almeno<br />
triennale entro il diciottesimo anno di età".<br />
Relativamente al riposo settimanale esso è stabilito in due giorni o in trentasei ore,<br />
quando sussistono particolari e comprovate esigenze produttive ed organizzative.<br />
Vi è poi il divieto, sancito dall’art. 6 <strong>del</strong>la Legge <strong>del</strong> 1967, di adibire gli adolescenti a<br />
lavori potenzialmente pregiudizievoli per il pieno sviluppo fisico degli stessi; i<br />
minori, ad esempio, non possono più essere adibiti a lavori notturni, salvo alcune<br />
ipotesi particolari e, comunque, solo dopo i sedici anni compiuti.<br />
A tal fine è previsto l’obbligo di valutare l’idoneità alla mansione <strong>del</strong> minore<br />
attraverso visite mediche preassuntive e periodiche.<br />
Inoltre la valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza <strong>del</strong> lavoratore,<br />
obbligatoria per tutti i datori di lavoro, in caso di presenza di minori deve essere<br />
effettuata considerando gli specifici rischi.<br />
Sull’osservanza <strong>del</strong>le prescrizioni che riguardano il lavoro minorile vigila<br />
istituzionalmente l’ispettorato <strong>del</strong> lavoro ed i suoi funzionari, in tale ambito,<br />
assumono la qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria. NORMATIVA A TUTELA<br />
DEI MINORI STRANIERI<br />
Ai minori stranieri si applicano le norme costituzionali analizzate prima ed inoltre gli<br />
stessi sono titolari di una serie di diritti garantiti dalla Convenzione di New York <strong>del</strong><br />
1989, “sui diritti <strong>del</strong> fanciullo”; ciò vale anche per i minori entrati clandestinamente<br />
in Italia.<br />
1
In tale Convenzione, tra l’altro, è affermato che in tutte le decisioni riguardanti i<br />
minori deve essere tenuto prioritariamente in conto il “superiore interesse” degli<br />
stessi; principio questo, come visto, espresso anche in Costituzione.<br />
Esiste un organo ad hoc, costituito dalla legge, presso il Ministero <strong>del</strong>la Solidarietà<br />
Sociale, per la tutela dei diritti degli stessi in conformità <strong>del</strong>le disposizioni enunciate<br />
dalla Convenzione di New York: il Comitato per i minori stranieri; ha compiti di<br />
vigilanza sulle modalità di soggiorno, dei minori stranieri, temporaneamente<br />
ammessi sul territorio <strong>del</strong>lo Stato, e di cooperazione e raccordo con le<br />
amministrazioni interessate.<br />
I minori astanti sul nostro territorio possono essere accompagnati e non<br />
accompagnati: i primi sono affidati a parenti entro il terzo grado, regolarmente<br />
soggiornanti; i secondi si trovano in Italia privi di assistenza e rappresentanza da<br />
parte dei genitori o di altri adulti, per loro legalmente responsabili, in base alle leggi<br />
vigenti nell’ordinamento italiano.<br />
I minori stranieri titolari di un permesso di soggiorno devono essere<br />
obbligatoriamente iscritti, da chi ne esercita la tutela, al Servizio Sanitario Nazionale,<br />
e di conseguenza hanno pienamente diritto di accedere a tutte le prestazioni sanitarie.<br />
Quelli privi di permesso di soggiorno, anche se non possono iscriversi al S.S.N.,<br />
hanno comunque diritto alle cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti ed essenziali, a<br />
quelle per malattia ed infortunio, ai programmi di medicina preventiva e di profilassi,<br />
etc.<br />
Tutti i minori stranieri, anche se privi di permesso di soggiorno, hanno il diritto di<br />
essere iscritti alla scuola; ciò vale per ogni ordine e grado, non solo per la scuola<br />
<strong>del</strong>l’obbligo.<br />
Ulteriori diritti sono riconosciuti ai minori stranieri non accompagnati; si applicano<br />
le norme previste dalla legge italiana in materia di assistenza e protezione dei minori,<br />
quelle a tutela degli incapaci, prima analizzate.<br />
In particolare, ad esempio, è prevista la tutela per il minore i cui genitori non siano<br />
in grado di esercitare la potestà genitoriale, oppure l’affidamento ad una famiglia o<br />
ad una comunità, <strong>del</strong> minore temporaneamente privo di un ambiente familiare<br />
idoneo.<br />
1
I minori stranieri non possono essere espulsi, eccetto che vi siano motivi di ordine<br />
pubblico e sicurezza <strong>del</strong>lo Stato; i minori stranieri non accompagnati, tuttavia,<br />
possono essere rimpatriati, attraverso il rimpatrio assistito, misura finalizzata a<br />
garantire il ricongiungimento familiare.<br />
Tutti i minori stranieri non accompagnati hanno diritto di ottenere un permesso di<br />
soggiorno per minore età, quindi per il solo fatto di essere minorenni e quindi in<br />
espellibili; hanno, inoltre, diritto di presentare domanda di asilo nei casi in cui si<br />
tema che possano subire persecuzioni nel loro Paese per motivi politici, di razza, di<br />
religione, etc.<br />
Da ultimo ai minori stranieri si applicano in materia di lavoro le stesse norme dei<br />
minori italiani.<br />
TUTELA DEL MINORE IN AMBITO AMMINISTRATIVO<br />
In ambito amministrativo il Tribunale per i minorenni è competente riguardo<br />
l’adozione di provvedimenti in favore di adolescenti in difficoltà, disadattati alla vita<br />
sociale, per la irregolarità <strong>del</strong> carattere o <strong>del</strong> comportamento, anche senza che gli<br />
stessi abbiano commesso alcun reato. Il Tribunale può, in tali casi, emettere misure<br />
rieducative di tipo amministrativo, di durata indeterminata, che possono sempre<br />
essere soggette a modifica, trasformazione o estinzione.<br />
Questa ultima ipotesi si verifica quando il minore è riadattato, raggiunge la maggiore<br />
età o quando nessun provvedimento appare idoneo alla rieducazione, in<br />
considerazione <strong>del</strong>le condizioni psicofisiche <strong>del</strong>lo stesso.<br />
Il Tribunale viene investito <strong>del</strong> caso su segnalazione dei genitori, <strong>del</strong> tutore, <strong>del</strong><br />
Procuratore <strong>del</strong>la Repubblica, dei servizi sociale, etc, quando un minore dimostra<br />
aspetti di irregolarità nella condotta e nel carattere.<br />
Se viene accertata l’esistenza di tali irregolarità, attraverso approfondite indagini<br />
sulla personalità <strong>del</strong> minore, il Tribunale in camera di consiglio dispone il<br />
trattamento rieducativo più idoneo, in libertà o in comunità.<br />
Il provvedimento ha la forma di decreto motivato e può essere oggetto di reclamo<br />
alla Corte d’Appello, sezione minorenni.<br />
2
In concreto, il trattamento in libertà consiste nella cosiddetta libertà assistita, ovvero<br />
l’affidamento al servizio sociale che viene disposto quando si ritiene il minore<br />
rieducabile senza ricorrere all’internamento.<br />
L’assistente sociale che riceve in affidamento il minore intrattiene stretti contatti con<br />
il Tribunale e nello specifico deve redigere un diario di affidamento e trasmetterlo<br />
periodicamente allo stesso Tribunale.<br />
All’atto <strong>del</strong>l’affidamento vengono impartite al minore prescrizioni rigorose in ordine<br />
a vari aspetti <strong>del</strong>la sua vita, dall’istruzione, al lavoro, al tempo libero etc.<br />
La misura, che come visto cessa al raggiungimento <strong>del</strong>la maggiore età, può essere<br />
prorogata, col consenso <strong>del</strong>l’interessato, fino al ventunesimo anno di età.<br />
Quando il trattamento in libertà non risulta sufficiente per la rieducazione <strong>del</strong> minore<br />
il Tribunale dispone che avvenga in comunità.<br />
In tale caso i compiti, prima affidati all’assistente sociale, sono svolti dal direttore<br />
<strong>del</strong>la comunità, il quale deve trasmettere al Tribunale dei rapporti periodici<br />
sull’operato <strong>del</strong> minore e sui risultati raggiunti.<br />
Quando si ritiene che il trattamento abbia avuto esito positivo, il Tribunale può<br />
disporre la cosiddetta licenza di esperimento, al fine di valutare il grado di<br />
riadattamento all’esterno <strong>del</strong>la struttura; dall’esito di tale esperimento dipenderà il<br />
rientro <strong>del</strong> minore in istituto o l’archiviazione <strong>del</strong>la pratica.<br />
TUTELA DEL MINORE IN AMBITO PENALE<br />
Il caso in cui il minore sia autore <strong>del</strong> reato è stato già affrontato nella parte relativa al<br />
Tribunale dei minorenni; anche il minore autore <strong>del</strong> reato è tutelato in quanto, ad<br />
esempio, è previsto un codice di procedura specifico ed istituti appositi come il<br />
perdono giudiziale (art. 169.c.p.).<br />
Di seguito sarà analizzato il caso in cui il minore sia vittima <strong>del</strong> reato, valutando le<br />
diverse fattispecie penali a tutela <strong>del</strong>lo stesso.<br />
Vi è una premessa da fare, ovvero, che tutti o quasi tutti i reati possono avere come<br />
soggetto passivo un minore (ad esempio dal furto all’omicidio); vi sono invece <strong>del</strong>le<br />
fattispecie penali previste espressamente per il minore, nelle quali il minore è<br />
soggetto passivo necessario (es. l’infanticidio).<br />
2
Esse configurano dunque reati propri, dal punto di vista <strong>del</strong> soggetto passivo, in<br />
quanto ledono un bene o interesse giuridico che riguarda espressamente il minore.<br />
In altre fattispecie il minore è indicato dalla norma in alternativa ad altri soggetti<br />
deboli, incapaci di provvedere a se stessi. (es. circonvenzione di persone incapaci).<br />
In altre ipotesi ancora la minore età costituisce una circostanza aggravante; ad<br />
esempio nel reato di incesto la pena aumenta in caso di vittima minorenne.<br />
Questa tutela penale specifica, indirizzata al minore, esprime una presa di coscienza<br />
da parte <strong>del</strong> legislatore <strong>del</strong>la condizione di particolare fragilità psicologica e fisica in<br />
cui versa lo stesso e <strong>del</strong>la conseguente maggiore tutela da approntare; il legislatore,<br />
infatti, cerca di assicurare un equilibrato sviluppo ai minori di oggi per investire nella<br />
comunità sociale di domani.<br />
Di seguito si analizzeranno esclusivamente i reati che vedono il minore come vittima<br />
o soggetto passivo, unico o in alternativa ad altri soggetti deboli, per ottenere una<br />
ricostruzione sistematica <strong>del</strong>la tutela penale rivolta ai minori.<br />
LIBRO SECONDO - DEI DELITTI IN PARTICOLARE<br />
I reati individuati nel codice penale, a tutela <strong>del</strong> minorenne, sono numerosi; alcune<br />
fattispecie conservano la loro formulazione originaria; altre sono state modificate<br />
negli anni; altre ancora sono di recente formulazione.<br />
La collocazione di tali fattispecie nel codice è indice <strong>del</strong>la volontà <strong>del</strong> legislatore di<br />
dare apposita risposta a condotte che aggrediscono beni primari <strong>del</strong> minore.<br />
TITOLO XI – DEI DELITTI CONTRO LA FAMIGLIA<br />
Vi sono numerose fattispecie che hanno come soggetto passivo il minore,<br />
considerato come membro di un nucleo familiare, che tutelano la salute, la crescita<br />
psicofisica, i suoi diritti civili e patrimoniali.<br />
CAPO III – DEI DELITTI CONTRO LO STATO DI FAMIGLIA<br />
Art. 566 - Supposizione o soppressione di stato<br />
“Chiunque fa figurare nei registri <strong>del</strong>lo stato civile una nascita inesistente è punito<br />
con la reclusione da tre a dieci anni.<br />
Alla stessa pena soggiace chi, mediante l'occultamento di un neonato, ne sopprime<br />
lo stato civile.”<br />
Art. 567 - Alterazione di stato<br />
“Chiunque, mediante la sostituzione di un neonato, ne altera lo stato civile è punito<br />
con la reclusione da tre a dieci anni.<br />
2
Si applica la reclusione da cinque a quindici anni a chiunque, nella formazione di un<br />
atto di nascita, altera lo stato civile di un neonato, mediante false certificazioni,<br />
false attestazioni o altre falsità.”<br />
Art. 568 - Occultamento di stato di un fanciullo legittimo o naturale riconosciuto<br />
“Chiunque depone o presenta un fanciullo, già iscritto nei registri <strong>del</strong>lo stato civile<br />
come figlio legittimo o naturale riconosciuto, in un ospizio di trovatelli o in un altro<br />
luogo di beneficenza, occultandone lo stato, è punito con la reclusione da uno a<br />
cinque anni.”<br />
CAPO IV – DEI DELITTI CONTRO L’ASSISTENZA FAMILIARE<br />
Puniscono condotte che ledono o minacciano i vincoli di solidarietà materiale e<br />
morale che caratterizzano il nucleo familiare.<br />
Art. 570 - Violazione degli obblighi di assistenza familiare<br />
“Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una<br />
condotta contraria all'ordine o alla morale <strong>del</strong>le famiglie, si sottrae agli obblighi di<br />
assistenza inerenti alla patria potestà, o alla qualità di coniuge, è punito con la<br />
reclusione fino a un anno o con la multa da euro 103 a euro 1.032.<br />
Le dette pene si applicano congiuntamente a chi:<br />
1. malversa o dilapida i beni <strong>del</strong> figlio minore o <strong>del</strong> pupillo o <strong>del</strong> coniuge;<br />
2. fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al<br />
lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua<br />
colpa.<br />
Il <strong>del</strong>itto è punibile a querela <strong>del</strong>la persona offesa salvo nei casi previsti dal numero<br />
1 e, quando il reato è commesso nei confronti dei minori, dal numero 2 <strong>del</strong><br />
precedente comma.<br />
Le disposizioni di questo articolo non si applicano se il fatto è preveduto come più<br />
grave reato da un'altra disposizione di legge.”<br />
Art. 571 – Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina<br />
“Chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona<br />
sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione,<br />
cura, vigilanza o custodia, ovvero per l'esercizio di una professione o di un'arte, è<br />
punito, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, con la<br />
reclusione fino a sei mesi.<br />
Se dal fatto deriva una lesione personale, si applicano le pene stabilite negli articoli<br />
582 e 583, ridotte a un terzo; se ne deriva la morte, si applica la reclusione da tre a<br />
otto anni.”<br />
Art 572 - Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli<br />
“Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, maltratta una persona<br />
<strong>del</strong>la famiglia, o un minore degli anni quattordici, o una persona sottoposta alla sua<br />
autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o<br />
custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte, è punito con la reclusione<br />
da uno a cinque anni.<br />
Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a<br />
otto anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni;<br />
se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a venti anni.”<br />
Art 573 - Sottrazione consensuale di minori<br />
2
“Chiunque sottrae un minore, che abbia compiuto gli anni quattordici, col consenso<br />
di esso, al genitore esercente la patria potestà o al tutore ovvero lo ritiene contro la<br />
volontà <strong>del</strong> medesimo genitore o tutore, è punito, a querela di questo con la<br />
reclusione fino a due anni .<br />
La pena è diminuita, se il fatto è commesso per fine di matrimonio; è aumentata, se è<br />
commesso per fine di libidine.<br />
Si applicano le disposizioni degli articoli 525 e 544.”<br />
Art 574 - Sottrazione di persone incapaci<br />
“Chiunque sottrae un minore degli anni quattordici, o un infermo di mente, al<br />
genitore esercente la patria potestà, al tutore, o al curatore, o a chi ne abbia la<br />
vigilanza o la custodia, ovvero lo ritiene contro la volontà dei medesimi, è punito, a<br />
querela <strong>del</strong> genitore esercente la patria potestà, <strong>del</strong> tutore o <strong>del</strong> curatore, con la<br />
reclusione da uno a tre anni.<br />
Alla stessa pena soggiace, a querela <strong>del</strong>le stesse persone, chi sottrae o ritiene un<br />
minore che abbia compiuto gli anni quattordici, senza il consenso di esso per fine<br />
diverso da quello di libidine o di matrimonio.<br />
Si applicano le disposizioni degli articoli 525 e 544.”<br />
TITOLO XII – DEI DELITTI CONTRO LA PERSONA<br />
CAPO I – DEI DELITTI CONTRO LA VITA E L’INCOLUMITÀ<br />
INDIVIDUALE<br />
Art. 578 - Infanticidio in condizioni di abbandono materiale e morale<br />
“La madre che cagiona la morte <strong>del</strong> proprio neonato immediatamente dopo il parto,<br />
o <strong>del</strong> feto durante il parto, quando il fatto è determinato da condizioni di abbandono<br />
materiale e morale connesse al parto, è punita con la reclusione da quattro a dodici<br />
anni.<br />
A coloro che concorrono nel fatto di cui al primo comma si applica la reclusione<br />
non inferiore ad anni ventuno. Tuttavia, se essi hanno agito al solo scopo di favorire<br />
la madre, la pena può essere diminuita da un terzo a due terzi.<br />
Non si applicano le aggravanti stabilite dall'articolo 61 <strong>del</strong> codice penale.”<br />
Art. 591 - Abbandono di persone minori o incapaci<br />
“Chiunque abbandona una persona minore degli anni quattordici, ovvero una<br />
persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa,<br />
di provvedere a se stessa, e <strong>del</strong>la quale abbia la custodia o debba avere cura, è<br />
punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.<br />
Alla stessa pena soggiace chi abbandona all'estero un cittadino italiano minore<br />
degli anni diciotto a lui affidato nel territorio <strong>del</strong>lo Stato per ragioni di lavoro.<br />
La pena è <strong>del</strong>la reclusione da uno a sei anni se dal fatto deriva una lesione<br />
personale, ed è da tre a otto anni se ne deriva la morte.<br />
Le pene sono aumentate se il fatto è commesso dal genitore, dal figlio, dal tutore o<br />
dal coniuge, ovvero dall'adottante o dall'adottato.”<br />
Art. 593 - Omissione di soccorso<br />
“Chiunque, trovando abbandonato o smarrito un fanciullo minore degli anni dieci, o<br />
un'altra persona incapace di provvedere a se stessa, per malattia di mente o di<br />
corpo, per vecchiaia o per altra causa, omette di darne immediato avviso all'autorità<br />
è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 2.500 euro.<br />
2
Alla stessa pena soggiace chi, trovando un corpo umano che sia o sembri inanimato,<br />
ovvero una persona ferita o altrimenti in pericolo, omette di prestare l'assistenza<br />
occorrente o di darne immediato avviso all'autorità.<br />
Se da siffatta condotta <strong>del</strong> colpevole deriva una lesione personale, la pena è<br />
aumentata ; se ne deriva la morte, la pena è raddoppiata.”<br />
CAPO III – DEI DELITTI CONTRO LA LIBERTA’ INDIVIDUALE<br />
SEZIONE I - DEI DELITTI CONTRO LA PERSONALITA’ INDIVIDUALE<br />
La Legge n. 269 <strong>del</strong> 1998, “Norme contro lo sfruttamento <strong>del</strong>la prostituzione,<br />
<strong>del</strong>la pornografia, <strong>del</strong> turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di<br />
riduzione in schiavitù”, ha introdotto una serie di nuove incriminazioni,<br />
adeguando la normativa alle Convenzioni internazionali, quale la Convenzione<br />
di New York sui diritti <strong>del</strong> fanciullo.<br />
Tali reati, modificati ed integrati dalla Legge n. 38 <strong>del</strong> 2006, offendono<br />
l’intangibilità sessuale <strong>del</strong> minore e favoriscono lo sfruttamento <strong>del</strong>la<br />
prostituzione, facendo leva anche sulla miseria di alcune popolazioni<br />
extraeuropee.<br />
Art. 600 bis - Prostituzione minorile<br />
“Chiunque induce alla prostituzione una persona di età inferiore agli anni diciotto<br />
ovvero ne favorisce o sfrutta la prostituzione è punito con la reclusione da sei a<br />
dodici anni e con la multa da euro 15.493 a euro 154.937.<br />
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie atti sessuali con un<br />
minore di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni, in cambio di denaro o di<br />
altra utilità economica, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la<br />
multa non inferiore a euro 5.164.<br />
Nel caso in cui il fatto di cui al secondo comma sia commesso nei confronti di<br />
persona che non abbia compiuto gli anni sedici, si applica la pena <strong>del</strong>la reclusione<br />
da due a cinque anni.<br />
Se l'autore <strong>del</strong> fatto di cui al secondo comma è persona minore di anni diciotto si<br />
applica la pena <strong>del</strong>la reclusione o <strong>del</strong>la multa, ridotta da un terzo a due terzi.”<br />
Art. 600 ter - Pornografia minorile<br />
“Chiunque, utilizzando minori degli anni diciotto, realizza esibizioni pornografiche<br />
o produce materiale pornografico ovvero induce minori di anni diciotto a<br />
partecipare ad esibizioni pornografiche è punito con la reclusione da sei a dodici<br />
anni e con la multa da euro 25.822 a euro 258.228.<br />
Alla stessa pena soggiace chi fa commercio <strong>del</strong> materiale pornografico di cui al<br />
primo comma.<br />
Chiunque, al di fuori <strong>del</strong>le ipotesi di cui al primo e al secondo comma, con qualsiasi<br />
mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga, diffonde o pubblicizza il<br />
materiale pornografico di cui al primo comma, ovvero distribuisce o divulga notizie<br />
o informazioni finalizzate all'adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori<br />
2
degli anni diciotto, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da<br />
euro 2.582 a euro 51.645.<br />
Chiunque, al di fuori <strong>del</strong>le ipotesi di cui ai commi primo, secondo e terzo, offre o<br />
cede ad altri, anche a titolo gratuito, il materiale pornografico di cui al primo<br />
comma, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da euro 1.549 a<br />
euro 5.164.<br />
Nei casi previsti dal terzo e dal quarto comma la pena è aumentata in misura non<br />
eccedente i due terzi ove il materiale sia di ingente quantità.”<br />
Art. 600 quater - Detenzione di materiale pornografico<br />
“Chiunque, al di fuori <strong>del</strong>le ipotesi previste dall'articolo 600-ter, consapevolmente<br />
si procura o detiene materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni<br />
diciotto, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa non inferiore a<br />
euro 1.549.<br />
La pena è aumentata in misura non eccedente i due terzi ove il materiale detenuto<br />
sia di ingente quantità.”<br />
Art. 600 quinquies - Iniziative turistiche volte allo sfruttamento <strong>del</strong>la prostituzione<br />
minorile<br />
“Chiunque organizza o propaganda viaggi finalizzati alla fruizione di attività di<br />
prostituzione a danno di minori o comunque comprendenti tale attività è punito con<br />
la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da euro 15.493 e euro 154.937.”<br />
Art. 600 sexies - Circostanze aggravanti<br />
“Nei casi previsti dagli articoli 600-bis, primo comma, 600-ter, primo comma, e<br />
600-quinquies, nonché dagli articoli 600, 601 e 602, la pena è aumentata da un<br />
terzo alla metà se il fatto è commesso in danno di minore degli anni quattordici.<br />
Nei casi previsti dagli articoli 600-bis, primo comma, e 600-ter, nonché dagli<br />
articoli 600, 601 e 602, se il fatto è commesso in danno di minore, la pena è<br />
aumentata dalla metà ai due terzi se il fatto è commesso da un ascendente, dal<br />
genitore adottivo, o dal loro coniuge o convivente, dal coniuge o da affini entro il<br />
secondo grado, da parenti fino al quarto grado collaterale, dal tutore o da persona<br />
a cui il minore è stato affidato per ragioni di cura, educazione, istruzione, vigilanza,<br />
custodia, lavoro, ovvero da pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio<br />
nell'esercizio <strong>del</strong>le loro funzioni ovvero se è commesso in danno di minore in stato di<br />
infermità o minoranza psichica, naturale o provocata.<br />
Nei casi previsti dagli articoli 600-bis, primo comma, e 600-ter la pena è aumentata<br />
se il fatto è commesso con violenza o minaccia.<br />
Nei casi previsti dagli articoli 600-bis e 600-ter, nonché dagli articoli 600, 601 e<br />
602, la pena è ridotta da un terzo alla metà per chi si adopera concretamente in<br />
modo che il minore degli anni diciotto riacquisti la propria autonomia e libertà.<br />
Le circostanze attenuanti, diverse da quella prevista dall'articolo 98, concorrenti<br />
con le aggravanti di cui al primo e secondo comma, non possono essere ritenute<br />
equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla<br />
quantità <strong>del</strong>la stessa risultante dall'aumento conseguente alle predette aggravanti.”<br />
SEZIONE II – DEI DELITTI CONTRO LA LIBERTÀ PERSONALE<br />
Con la Legge n. 66 <strong>del</strong> 1996 è stata approvata la riforma dei reati in materia di<br />
violenza sessuale.<br />
2
Tali reati hanno ottenuto una nuova collocazione tra i <strong>del</strong>itti contro la persona quindi,<br />
come si è visto, all’interno <strong>del</strong> Titolo XII, in virtù <strong>del</strong>la cognizione che la libertà<br />
sessuale è un corollario <strong>del</strong>la libertà individuale.<br />
Art. 609 bis - Violenza sessuale<br />
“Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno<br />
a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.<br />
Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:<br />
1) abusando <strong>del</strong>le condizioni di inferiorità fisica o psichica <strong>del</strong>la persona offesa al<br />
momento <strong>del</strong> fatto;<br />
2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra<br />
persona.<br />
Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi.”<br />
Art. 609 ter - Circostanze aggravanti<br />
“La pena è <strong>del</strong>la reclusione da sei a dodici anni se i fatti di cui all'articolo 609-bis<br />
sono commessi:<br />
1) nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni quattordici;<br />
2) con l'uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri<br />
strumenti o sostanze gravemente lesivi <strong>del</strong>la salute <strong>del</strong>la persona offesa;<br />
3) da persona travisata o che simuli la qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di<br />
pubblico servizio;<br />
4) su persona comunque sottoposta a limitazioni <strong>del</strong>la libertà personale;<br />
5) nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni sedici <strong>del</strong>la quale il<br />
colpevole sia l'ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore.<br />
La pena è <strong>del</strong>la reclusione da sette a quattordici anni se il fatto è commesso nei<br />
confronti di persona che non ha compiuto gli anni dieci.”<br />
Art. 609 quater - <strong>Atti</strong> sessuali con minorenne<br />
“Soggiace alla pena stabilita dall'articolo 609-bis chiunque, al di fuori <strong>del</strong>le ipotesi<br />
previste in detto articolo, compie atti sessuali con persona che, al momento <strong>del</strong> fatto:<br />
1) non ha compiuto gli anni quattordici;<br />
2) non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia l'ascendente, il genitore,<br />
anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni<br />
di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o<br />
che abbia, con quest’ultimo, una relazione di convivenza.<br />
Al di fuori <strong>del</strong>le ipotesi previste dall'articolo 609-bis, l'ascendente, il genitore, anche<br />
adottivo, o il di lui convivente, o il tutore che, con l'abuso dei poteri connessi alla<br />
sua posizione, compie atti sessuali con persona minore che ha compiuto gli anni<br />
sedici, è punito con la reclusione da tre a sei anni .<br />
Non è punibile il minorenne che, al di fuori <strong>del</strong>le ipotesi previste nell'articolo 609bis,<br />
compie atti sessuali con un minorenne che abbia compiuto gli anni tredici, se la<br />
differenza di età tra i soggetti non è superiore a tre anni.<br />
Nei casi di minore gravità la pena è diminuita fino a due terzi.<br />
Si applica la pena di cui all'articolo 609-ter, secondo comma, se la persona offesa<br />
non ha compiuto gli anni dieci.”<br />
Art. 609 quinquies - Corruzione di minorenni<br />
2
“Chiunque compie atti sessuali in presenza di persona minore di anni quattordici, al<br />
fine di farla assistere, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.”<br />
Art. 609 sexies - Ignoranza <strong>del</strong>l'età <strong>del</strong>la persona offesa<br />
“Quando i <strong>del</strong>itti previsti negli articoli 609-bis, 609-ter, 609-quater e 609-octies<br />
sono commessi in danno di persona minore di anni quattordici, nonché nel caso <strong>del</strong><br />
<strong>del</strong>itto di cui all'articolo 609-quinquies, il colpevole non può invocare, a propria<br />
scusa, l'ignoranza <strong>del</strong>l'età <strong>del</strong>la persona offesa.”<br />
TITOLO XIII – DEI DELITTI CONTRO IL PATRIMONIO<br />
Tra i <strong>del</strong>itti contro il patrimonio è presente una fattispecie a tutela dei minori che<br />
riguarda in particolare la loro libertà di disposizione patrimoniale.<br />
CAPO II - DEI DELITTI CONTRO IL PATRIMONIO MEDIANTE FRODE<br />
Art. 643 - Circonvenzione di persone incapaci<br />
“Chiunque, per procurare a sé o ad altri un profitto, abusando dei bisogni, <strong>del</strong>le<br />
passioni o <strong>del</strong>la inesperienza di una persona minore, ovvero abusando <strong>del</strong>lo stato<br />
d'infermità o deficienza psichica di una persona, anche se non interdetta o<br />
inabilitata, la induce a compiere un atto, che importi qualsiasi effetto giuridico per<br />
lei o per altri dannoso, è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da<br />
euro 206 a euro 2.065.”<br />
LIBRO TERZO - DELLE CONTRAVVENZIONI IN PARTICOLARE<br />
Anche tra le contravvenzioni vi sono alcune fattispecie a tutela dei minori che di<br />
seguito sono riportate.<br />
Art. 671 - Impiego di minori nell’accattonaggio<br />
“Chiunque si vale, per mendicare, di una persona minore degli anni quattordici o,<br />
comunque, non imputabile, la quale sia sottoposta alla sua autorità o affidata alla<br />
sua custodia o vigilanza, ovvero permette che tale persona mendichi, o che altri se<br />
ne valga per mendicare, è punito con l'arresto da tre mesi a un anno.<br />
Qualora il fatto sia commesso dal genitore o dal tutore, la condanna importa la<br />
sospensione dall'esercizio <strong>del</strong>la patria potestà o dall'ufficio di tutore.”<br />
Art. 689 - Somministrazione di bevande alcooliche a minori o a infermi di mente<br />
“L'esercente un'osteria o un altro pubblico spaccio di cibi o di bevande, il quale<br />
somministra, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, bevande alcooliche a un<br />
minore degli anni sedici, o a persona che appaia affetta da malattia di mente, o che<br />
si trovi in manifeste condizioni di deficienza psichica a causa di un'altra infermità, è<br />
punito con l'arresto fino a un anno.<br />
Se dal fatto deriva l'ubriachezza, la pena è aumentata.<br />
La condanna importa la sospensione dall'esercizio.”<br />
Art. 716 - Omesso avviso all'autorità <strong>del</strong>l'evasione o fuga di minori<br />
“Il pubblico ufficiale o l'addetto a uno stabilimento destinato all'esecuzione di pene<br />
o di misure di sicurezza ovvero ad un riformatorio pubblico, che omette di dare<br />
immediato avviso all'autorità <strong>del</strong>l'evasione o <strong>del</strong>la fuga di persona ivi detenuta o<br />
ricoverata, è punito con l'ammenda da euro 10 a euro 206.<br />
La stessa disposizione si applica a chi per legge o per provvedimento <strong>del</strong>l'autorità è<br />
stata affidata una persona a scopo di custodia o di vigilanza.”<br />
2
Art. 730 - Somministrazione a minori di sostanze velenose o nocive<br />
“Chiunque, essendo autorizzato alla vendita o al commercio di medicinali, consegna<br />
a persona minore degli anni sedici sostanze velenose o stupefacenti, anche su<br />
prescrizione medica, è punito con l'ammenda fino a euro 516.<br />
Soggiace all'ammenda fino a euro 103 chi vende o somministra tabacco a persona<br />
minore degli anni quattordici.”<br />
Art. 731 - Inosservanza <strong>del</strong>l'obbligo <strong>del</strong>l'istruzione elementare dei minori<br />
“Chiunque, rivestito di autorità o incaricato <strong>del</strong>la vigilanza sopra un minore,<br />
omette, senza giusto motivo, d'impartirgli o di fargli impartire l'istruzione<br />
elementare è punito con l'ammenda fino a euro 30.”<br />
2<br />
A cura <strong>del</strong>l’Avv. Gaetano De Tommaso
INDICE<br />
RINGRAZIAMENTI....................................................................................................2<br />
PROGRAMMA............................................................................................................3<br />
SALUTI: prof.ssa Carunchio, Dott. Ricci, Dott. D’Angelo.........................................5<br />
IL RUOLO DEL MEDIATORE CULTURALE NELLA SCUOLA ABRUZZESE<br />
(dott. C. Petracca).........................................................................................................6<br />
LE FIGURE PROFESSIONALI E SOCIALI NELLA PROGRAMMAZIONE<br />
REGIONALE (dott. G. Zappacosta).............................................................................9<br />
PANORAMA NAZIONALE SUL MEDIATORE (Prof. E. Serrano)......................24<br />
LA MEDIAZIONE CULTURALE A SCUOLA PER FAVORIRE L’INCLUSIONE<br />
(Prof. A. Goussot).......................................................................................................29<br />
UNA PEDAGOGIA DELL'INCONTRO PER UNA CULTURA EDUCATIVA<br />
DELL'INCLUSIONE (Prof. A. Goussot)...................................................................38<br />
LA LINGUA ITALIANA COME LINGUA 2 (Prof.ssa C. Carunchio)...................55<br />
IL PORTFOLIO LINGUISTICO EUROPEO (Prof. C. Carunchio)..........................62<br />
IL RUOLO DEI CRT IN ABRUZZO (Prof.ssa C. Carunchio)..................................69<br />
AGGIORNAMENTO DEI DOCENTI E PROPOSTE FUTURE (Prof.ssa Daniela<br />
Casaccia).....................................................................................................................72<br />
APPENDICE.............................................................................................................76<br />
GUIDA PEDAGOGICA (Prof. A. Goussot)..............................................................76<br />
SPERANZA ED EDUCAZIONE (Prof. A. Goussot)..............................................122<br />
LA PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO (Dott. A. Sangiuliano – Dott. A. Tenaglia)<br />
..................................................................................................................................125<br />
I DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO (Dott. A. Sangiuliano).......142<br />
I DISTURBI SPECIFICI DEL LINGUAGGIO (Dott. A. Tenaglia).......................149<br />
LA PEDAGOGIA INTERCULTURALE (Dott. R. Coccia) ...................................157<br />
DIAGNOSI PEDAGOGICA NEL LAVORO EDUCATIVO CON ALUNNI DI<br />
ORIGINE ROM (Dott. N. Guarnieri).......................................................................187<br />
2
LA LEGISLAZIONE ITALIANA A TUTELA DEI MINORI (Avv. G. Di<br />
Tommaso).................................................................................................................188<br />
2