Luigi STANZIONE - Università degli Studi della Basilicata
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<strong>Luigi</strong><br />
<strong>STANZIONE</strong><br />
(Geografia)<br />
1. Premessa<br />
Perché non possiamo non<br />
dirci geografi. Appunti per<br />
chi non ama viaggiare 1<br />
Amer savoir, celui qu’on tire du voyage!<br />
Le monde, monotone et petit, aujourd’hui,<br />
Hier, demain, toujours, nous fait voir notre image:<br />
Une oasis d’horreur dans un désert d’ennui!<br />
(Baudelaire, Le Voyage)<br />
Da più parti è stata decretata la fine <strong>della</strong> geografia. 2 Resterebbe,<br />
per chi ne avesse voglia, solo da capire se ciò è avvenuto per<br />
cause naturali – esaurimento del suo ciclo vitale – o perché sono<br />
intervenuti uno o più morbi che ne hanno accelerato il processo di<br />
invecchiamento, conducendola poi alla “morte”.<br />
Certo è che siamo di fronte ad un sapere antico, che risale ad<br />
Anassimandro di Mileto, il primo geografo, colui che gettò le basi<br />
per la conoscenza “critica” <strong>della</strong> terra, per il discorso sul mondo, 3 a<br />
1 I temi qui affrontati rappresentano una messa a fuoco e un parziale approfondimento<br />
di riflessioni sviluppate dall’autore anche in altre occasioni. Si vedano,<br />
in particolare, Le parole o le cose? Adhuc sub iudice lis est, «Geotema», I, 1995; “La geografia<br />
e il sistema mondo: risvolti in tema di educazione allo sviluppo”, in C.<br />
Brusa (a c. di), Immigrazione e multiculturalità nell’Italia di oggi, Angeli, Milano, 1997.<br />
2 Si vedano, in particolare, F. CAIRNCROSS, The deaht of distance, Harvard<br />
Business School Press, Boston, 1997; R. O’BRIEN, Global financial integration: the<br />
end of geography, Chatman House, London, 1992.<br />
3 Dalla ricostruzione <strong>della</strong> prima rappresentazione geografica dell’intera<br />
terra – quella di Anassimandro di Mileto – emerge ciò che c’era dietro il disegno:<br />
“una teoria generale <strong>della</strong> terra (…) e dietro questa teoria un modello astratto da
Strabone, che identificò la geografia con la spiegazione del nostro<br />
mondo abitato, che rappresentano riferimenti fondamentali <strong>della</strong><br />
costruzione di un percorso scientifico di cui, però, fino alla metà del<br />
Settecento si perdono le tracce. Un sapere che, prima di tale epoca,<br />
<strong>della</strong> stagione dell’Erdkunde, e fino ai nostri giorni, si è incrociato,<br />
ha lasciato il posto o è stato sconfitto da altri modi di intendere la<br />
disciplina, diventando strumentario utile a meri fini pratici, all’orientamento,<br />
a stabilire la differenza tra il vicino e il lontano; “limitandosi”<br />
a descrivere e dimenticando che ogni descrizione comporta<br />
interpretazione. O, al contrario, rivendicando improbabili sbocchi<br />
nomotetici sulla base di modelli matematici, ma ignorando che dietro<br />
ogni modello c’è una visione del mondo. Non cogliendo, inoltre,<br />
che gli stessi oggetti dell’osservazione, le forme assunte dallo<br />
spazio terrestre, da visioni del mondo discendono, e si comportano<br />
come poste in gioco per obiettivi che hanno di mira trasformazioni<br />
di portata ampia, trasformazioni culturali, sociali ed economiche:<br />
nuovi mondi. A cosa può servire, allora, il minuzioso calcolo, l’affannoso<br />
e vano tentativo di far somigliare sempre più la terra ad un<br />
piano, su cui poggiare le cose terrestri (parafrasando i geografi tedeschi<br />
del primo Ottocento) e attribuire loro posizioni disgiunte da<br />
funzioni, gerarchie, rapporti di forza, ovvero da tutto ciò che mo<strong>della</strong> e<br />
fa funzionare il nostro mondo? 4<br />
Serve a rassicurare: scopo nobile; ma la geografia non è nata<br />
per questo, almeno non tutta la geografia è nata per dire che ogni<br />
cosa è al suo posto, che è sempre più facile raggiungerla, e che il pianeta,<br />
al progredire dei sistemi di comunicazione, è sempre più piccolo.<br />
una determinata realtà storico-politica: quella che, alla lettera, presiede alla materiale<br />
costituzione <strong>della</strong> città greca classica.” Un’immagine che mostrava al centro il<br />
Mediterraneo, disegnato come un’immensa agorà, fulcro <strong>della</strong> vita civile e politica<br />
di un’organizzazione dello spazio che andava ben oltre la struttura urbanistica: la<br />
polis. Sull’argomento si veda F. FARINELLI, “Viatico per il lettore italiano”, in G.<br />
OLSSON, Uccelli nell’uovo/Uova nell’uccello, Theoria, Roma-Napoli, 1987, pp. 8-9.<br />
4 L’argomento è stato affrontato in più occasioni da Franco Farinelli, si veda,<br />
in particolare “Spazio, spazio geografico e visione del mondo: storia di un rapporto”,<br />
in N. Famoso (a c. di), Una rete di concetti per catturare il mondo, C.U.E.C.M.,<br />
Catania, 1989.<br />
12 <strong>Luigi</strong> <strong>STANZIONE</strong>
Forse ora abbiamo qualche indicazione sul morbo patogeno<br />
che minerebbe la salute <strong>della</strong> geografia.<br />
2. Globalizzazione<br />
Questo è il termine da molti invocato a giustificazione e dimostrazione<br />
dell’inutilità <strong>della</strong> geografia. A cosa serve una scienza che<br />
studia i luoghi quando questi diventano irrilevanti? Già, perché di<br />
questo si tratterebbe: tutto ciò che rende possibile i processi di<br />
globalizzazione, ovvero il progresso tecnologico nel campo dei trasporti,<br />
la centralità assunta dalle informazioni, la “smaterializzazione”<br />
dei processi produttivi e la terziarizzazione dell’economia, porterebbe<br />
all’indifferenza localizzativa, anzi alla formazione di un “astratto<br />
spazio invisibile”, come unica sede dell’economia informazionale.<br />
5 Se a ciò si aggiunge che gli Stati sembrerebbero perdere<br />
peso nelle decisioni politiche e politico-economiche (sia interne<br />
che esterne), che l’economia è sempre più diretta e regolata dalle<br />
funzioni finanziarie (dominio delle attività immateriali), il gioco è<br />
fatto: l’intero nostro sapere non ha più ragione di esistere.<br />
Ma le cose stanno veramente così? E poi, chi dice che uno<br />
spazio astratto e invisibile non possa (o non debba) essere studiato,<br />
compreso?<br />
In primo luogo si osserva che le nuove forme assunte dall’economia<br />
necessitano sì di informazioni più di ogni altra cosa, ma<br />
che tali informazioni si comportano come una materia prima: devono<br />
essere lavorate, trattate e trasmesse per poter diventare beni e<br />
risorse. E chi è in grado di farlo? E, soprattutto, dove ciò avviene?<br />
Certamente non ovunque. Non basta possedere un computer e<br />
una e-mail, navigare (per lo più a vista) su Internet per sostenere<br />
processi che esigono formazione culturale, specializzazione, ricerca<br />
scientifica; merci pur sempre rare e che presuppongono ingenti in-<br />
5 Si veda in proposito F. FARINELLI, La globalizzazione, «I viaggi di Erodo-<br />
no», XL, 1999/2000, pp. 19-27.<br />
Perché non possiamo non dirci geografi. Appunti per chi non ama viaggiare 13
vestimenti in ambiti territoriali precisi. Lo spazio dei flussi non può<br />
prescindere dallo spazio dei luoghi.<br />
Assai spesso, a sostegno <strong>della</strong> tesi <strong>della</strong> indifferenza localizzativa<br />
si porta l’esempio <strong>della</strong> formazione dei mercati finanziari dove le operazioni<br />
possono prescindere dalla reale presenza <strong>degli</strong> operatori.<br />
Teoricamente la piazza affari potrebbe essere in qualsiasi luogo; resta<br />
da capire però perché solo Londra, New York e Tokio giocano un<br />
ruolo assolutamente dominante sulla scena mondiale. Resta da capire<br />
perché i tedeschi si ostinino ad “abbattere” e ricostruire più alti e<br />
più belli i grattacieli simbolo <strong>della</strong> città <strong>della</strong> finanza (Francoforte).<br />
Si sottolinea, inoltre, che i processi di globalizzazione tendono<br />
alla valorizzazione delle diversità infatti, “se la competizione globale<br />
(…) si consuma sempre più sulla base di vantaggi competitivi fra<br />
diversi, la varietà del mondo contemporaneo diventa essa stessa lo<br />
strumento per la produzione del valore economico. (…) I fatti più<br />
recenti suggeriscono come sia territorialmente (localmente) che si<br />
contestualizza la strategia dei soggetti economici e si costituisce la<br />
capacità competitiva. Ne consegue che la globalizzazione del campo<br />
d’azione dell’impresa non è un fenomeno separabile dalla valorizzazione<br />
<strong>della</strong> dimensione territoriale”. 6<br />
In altri termini, allora, è possibile parlare di globalizzazione solo<br />
ammettendo che ogni luogo può divenire un centro: così come sulla<br />
superficie <strong>della</strong> nostra sferica terra ogni punto può essere un centro.<br />
Il nostro secondo interrogativo chiama in causa lo spazio astratto<br />
e invisibile delle reti 7 che trasportano flussi d’informazioni, uno<br />
6 S. CONTI, Prefazione, «Geotema», II, 1995, p. 5.<br />
7 “L’idea di rete è antica, ma le reti sono attualmente un tema di moda in geografia.<br />
Spesso il concetto di rete viene contrapposto a quello di area o territorio, ma<br />
non è del tutto corretto (…). Nelle lingue latine il termine rete (retis) veniva impiegato<br />
per indicare lo strumento utilizzato per cacciare uccelli o pesci: esso veniva usato<br />
per trattenere tra le maglie una risorsa che si muoveva perpendicolarmente rispetto alla<br />
rete stessa. La metafora è stata ora trasposta e rappresenta ciò che permette la circolazione<br />
lungo dei fili e attraverso i nodi (…). Permane senza dubbio una parte <strong>della</strong><br />
metafora originaria: infatti la rete potrebbe essere considerata come un mezzo per<br />
«catturare» il progresso, la ricchezza presente nell’ambiente circostante ecc.; ma è<br />
14 <strong>Luigi</strong> <strong>STANZIONE</strong>
spazio che in apparenza sembrerebbe sottrarsi agli strumenti dell’analisi<br />
geografica. Anche su questo punto è forse lecito avanzare qualche<br />
dubbio.<br />
Va ricordato che da tempo la geografia si occupa dell’“invisibile”:<br />
lungo un solco originato da Immanuel Kant e che conduce<br />
dalla geografia empirica alla «geografia dello spazio buio nel nostro<br />
intelletto», secondo la stessa espressione del filosofo di Königsberg,<br />
si immettono in tempi recenti altri studiosi. Gunnar Olsson, ad<br />
esempio (colui che, come ci ha ricordato Franco Farinelli, prima<br />
inventò la geografia quantitativa e poi la distrusse), che suggerisce:<br />
“Invece di vedere il visibile, bisognerebbe imparare a vedere l’invisibile:<br />
l’evoluzione <strong>degli</strong> uomini, dei rapporti sociali (…)”. 8 Per il<br />
geografo svedese, infatti, molta parte del sapere geografico “tradizionale”,<br />
concentrando la propria attenzione sullo spazio inteso<br />
come oggetto di misurazione, può solo afferrarne le caratteristiche<br />
superficiali, ma non le relazioni costitutive, che sono interne (non<br />
immediatamente visibili, quindi), spesso ambigue e conflittuali e<br />
non inquadrabili in alcun modello matematico.<br />
Non distanti ci appaiono le posizioni di Claude Raffestin quando<br />
nella sua opera più nota afferma che “Ogni trama territoriale è simultaneamente<br />
l’espressione di un progetto sociale risultante dai<br />
rapporti di produzione che si allacciano nei modi di produzione e il<br />
campo ideologico presente in ogni relazione”. 9 Comprendere le dinamiche<br />
e le forme <strong>della</strong> territorializzazione non può dunque prescindere<br />
dall’analisi di tali rapporti e relazioni sociali, che non possono<br />
essere rappresentate da nessun atlante sociale, come ha già<br />
anche un mezzo per incrementare la ricchezza e il progresso, ed è in questo senso<br />
che essa restituisce all’ambiente in cui si trova più di quanto preleva da esso, il che è<br />
paradossale per una rete … La rete permette quindi, da un lato le comunicazioni fra<br />
i nodi, dall’altro «l’irrigazione» <strong>della</strong> superficie che copre”. R. BRUNET, “L’Europa<br />
delle reti”, in G. Dematteis, E. Dansero (a c. di), Regioni e reti nello spazio unificato<br />
europeo, «Memorie Geografiche», II, Società di <strong>Studi</strong> Geografici, Firenze, pp. 237-38.<br />
8<br />
Si veda il colloquio con G. Rivieccio pubblicato da L’Espresso, 26 aprile<br />
1997, p. 203.<br />
9<br />
C. RAFFESTIN, Per una geografia del potere, UNICOPLI, Milano, 1981, p. 170.<br />
Perché non possiamo non dirci geografi. Appunti per chi non ama viaggiare 15
detto Theodor Adorno, né da una carta geografica. Eppure, attraverso<br />
concetti cari ai geografi, come quelli di centro e periferia, accettabili<br />
a giudizio di chi scrive solo se apertamente considerati come<br />
metafore, si tenta di “spiegare” le distanze sociali usando metriche<br />
lineari. Quanto sia poco produttivo di conoscenza un tale percorso<br />
ce lo ricorda ancora Raffestin: “Fare riferimento al centro o alla<br />
periferia è cristallizzare un rapporto in termini geometrici e con ciò<br />
stesso renderlo statico. Se si vuol costruire un’analisi partendo da<br />
situazioni dinamiche, occorrerebbe parlare di organizzazioni o di<br />
gruppi in situazione di centralità (…) o di marginalità. Non si darebbe<br />
con ciò alla necessaria rappresentazione bifacciale una connotazione<br />
geometrica che (…) non è altro che una simbolizzazione<br />
a posteriori che non spiega nulla”. 10<br />
L’impegno del geografo non può dunque fermarsi alla sola descrizione<br />
<strong>della</strong> superficie terrestre; sulla scia di Carl Ritter – che<br />
trasformò la Geographie in Erdkunde, ovvero nella conoscenza <strong>della</strong><br />
terra – deve affrontare anche quella dimensione “nascosta”,<br />
l’invisibile appunto, che in nessun modo può essere separato dal<br />
visibile. Cosi come Gaia non può essere separata dalla dimensione<br />
buia, ctonia da cui, nel mito, emerge. 11<br />
Questo, forse, può significare ragionare, in geografia, in termini<br />
globali.<br />
3. Rappresentare la molteplicità<br />
C’è ancora un motivo che ci permette di dubitare <strong>della</strong> presunta<br />
progressiva irrilevanza <strong>della</strong> territorialità e <strong>della</strong> conseguente fine<br />
<strong>della</strong> geografia. Al di là dell’influenza che la disciplina esercita<br />
10 Ibidem, p. 191.<br />
11 Si veda F. GRAF, Il mito in Grecia, Laterza, Bari, 1988, dove alla pagina 63 si<br />
legge “(…) Gaia non era venerata nella sua veste di benefica «Madre Terra» (…),<br />
bensì come divinità ambivalente, con sacrifici gravati da strani tabù, al margine<br />
<strong>della</strong> religione <strong>della</strong> Polis, come potenza piuttosto sinistra, ma indispensabile”.<br />
16 <strong>Luigi</strong> <strong>STANZIONE</strong>
nell’accademia e nella scuola, 12 contenuti geografici intersecano in<br />
misura crescente altri saperi. Si pensi ad esempio alle discipline storiche<br />
che spesso fanno ricorso all’analisi delle forme assunte dalla<br />
territorializzazione per descrivere e spiegare processi ed eventi<br />
concatenati cronologicamente 13 ; o alle discipline economiche (economia<br />
regionale, economia urbana) che assumono le caratteristiche<br />
territoriali come proxi utili alla costruzione di modelli interpretativi;<br />
a quelle aziendalistiche e, in particolare al marketing, che si avvalgono<br />
di tecniche di georeferenziazione dei dati ecc.<br />
Inoltre, anche sul versante del concreto agire politico ed economico<br />
la sensibilità per le tematiche geografiche è largamente espressa.<br />
La sensazione che se ne ricava è che non si tratta più solo<br />
di “inserire” le cose in uno spazio, un contenitore; o di premettere<br />
ai piani di sviluppo asettiche descrizioni territoriali: sembra finalmente<br />
affacciarsi, invece, la consapevolezza che lo spazio geografico<br />
rappresenta un soggetto in grado di interagire con gli eventi e con<br />
le scelte <strong>degli</strong> uomini. Non stupisce, quindi, che i geografi siano<br />
sempre più coinvolti nelle azioni di programmazione economica e<br />
sociale a diverse scale.<br />
Si osserva, poi, che il rilievo attribuito ad alcuni temi trasversali<br />
a più discipline conferisce nuovo vigore e attualità a contenuti tipici<br />
<strong>della</strong> geografia. Si segnala qui, in particolare, l’interesse per le<br />
tematiche relative ai processi di sviluppo, concetto ampio e dalle<br />
molteplici interpretazioni, ma che oggi trova un sostanziale accordo<br />
nella sua definizione di massima.<br />
Lo sviluppo è cosa diversa dalla crescita economica, la include<br />
come elemento importantissimo, ma chiama in causa altri fattori<br />
non meno significativi: la cultura e il rispetto per le differenze cul-<br />
12 In particolare, nella scuola media di secondo grado, sin dalla Riforma<br />
Gentile, si assiste a una forte erosione delle ore e delle cattedre di geografia.<br />
13 Ciò ha favorito anche in Italia, ad esempio, la ripresa su nuove basi <strong>degli</strong><br />
studi di geopolitica, costretti in “quarantena” dalla fine del secondo conflitto<br />
mondiale, in quanto il termine evocava pericolosi legami tra i regimi autoritari, le<br />
politiche imperialistiche e le analisi condotte, soprattutto in Germania, da geografi<br />
“militanti”, come il generale Karl Haushofer.<br />
Perché non possiamo non dirci geografi. Appunti per chi non ama viaggiare 17
turali; la dimensione sociale e politica, soprattutto in tema di libertà<br />
dei popoli e di democrazia; l’attenuazione <strong>degli</strong> squilibri economici<br />
e sociali tra le diverse parti del pianeta ecc.<br />
Il concetto sfugge, dunque, alla misurabilità meramente quantitativa,<br />
anche perché non esiste una sola via “esportabile” allo sviluppo,<br />
mentre i percorsi che caratterizzano le possibili alternative<br />
rappresentano il portato di diversità culturali (territorializzate) incancellabili.<br />
E allora si torna al punto cruciale: bisogna collocarsi nella prospettiva<br />
globale, senza che ciò implichi come unica possibilità interpretativa<br />
quella di ritenere che “il mondo sia diventato uno e<br />
uno solo (…) come conseguenza dell’espansione dell’Europa e <strong>della</strong><br />
sua civiltà”. 14 E’ necessario, invece, prendere atto <strong>della</strong> varietà<br />
delle forme di organizzazione economica e sociale, che tendono ad<br />
escludere schemi analitici omologanti, che ponevano alla base dello<br />
sviluppo quasi esclusivamente le concentrazioni tecnologiche ed<br />
economiche. 15<br />
Gerarchie consolidate sembrano oggi stravolte dall’emergere<br />
dei paesi di nuova industrializzazione, 16 mentre si indebolisce il<br />
primato produttivo che l’Occidente conservava sin dalla Rivoluzione<br />
industriale. Tali processi trovano una loro spiegazione solo<br />
se si esce da una logica puramente economicistica: essi sono stati<br />
sorretti anche da strutture sociali e valori diversi da quelli che hanno<br />
favorito i percorsi di sviluppo nel “nostro” mondo. Rigidità <strong>degli</strong><br />
ordinamenti sociali e forte senso <strong>della</strong> gerarchia, che permeano<br />
la cultura di molti paesi asiatici, ad esempio, rappresentano elementi<br />
non secondari dei nuovi assetti geo-economici.<br />
Nello stesso tempo, tuttavia, l’affermarsi sulla scena mondiale<br />
di paesi un tempo considerati sottosviluppati contrasta con l’acuirsi<br />
14 K. LAMERS, “Il panorama <strong>degli</strong> equilibri trasformati: l’Europa nel nuovo<br />
ordine mondiale”, «Il Mulino», I, 1996, p. 11.<br />
15 S. CONTI, Prefazione, «Geotema», II, 1995, p. 5.<br />
16 La Cina, l’India e l’Indonesia, ad esempio, hanno visto crescere il Prodotto<br />
Interno Lordo a tassi che si collocano tra i più alti dell’intera economia mondiale.<br />
18 <strong>Luigi</strong> <strong>STANZIONE</strong>
delle differenze con altre aree, dove le immagini dei campi di profughi<br />
afgani, birmani, <strong>della</strong> Sierra Leone, palestinesi ecc. (nel complesso<br />
circa cinquanta milioni di persone) ci riportano alla mente I<br />
dannati <strong>della</strong> terra di Fanon. Così come i fortissimi problemi che sconvolgono<br />
i Balcani e una parte dei paesi dell’Europa dell’est rendono<br />
instabili anche gli scenari occidentali.<br />
Un quadro di riferimento così complesso esige approfondimenti<br />
articolati che certamente non possono essere affidati ad una<br />
sola disciplina. E’necessario avvalersi di analisi storiche, economiche,<br />
filosofiche, linguistiche, antropologiche (per fare solo qualche<br />
esempio) che possano concorrere a dar conto <strong>della</strong> molteplicità<br />
<strong>degli</strong> elementi che caratterizza il “paesaggio globale”.<br />
In tale ambito, la geografia può contribuire, accanto agli altri<br />
saperi, con un ruolo specifico: i diversi modi di organizzare lo spazio<br />
e le società <strong>degli</strong> uomini dipendono anche da complessive visioni<br />
del mondo; localmente, esse si traducono in azioni concrete<br />
di trasformazione territoriale. La nostra disciplina possiede gli<br />
strumenti per aiutare a comprendere che a differenti strategie corrispondono<br />
modi diversi di rappresentare e interpretare lo spazio,<br />
che a loro volta contribuiscono a orientare l’agire umano e a formare<br />
ideologie (si pensi, solo al titolo d’esempio, all’etnocentrismo<br />
che ha permeato e permea molte rappresentazioni geografiche).<br />
Se si vuole sfuggire al pericolo di trasmettere tranquillizzanti<br />
certezze è necessario porre in risalto la molteplicità e la parzialità<br />
(l’essere di parte) dei punti di vista, ricordando che nessuna rappresentazione<br />
del reale è il reale. Interrogarsi sul rapporto tra lo spazio<br />
e i codici linguistici utilizzati per rappresentarlo è ancora compito<br />
<strong>della</strong> geografia.<br />
Perché non possiamo non dirci geografi. Appunti per chi non ama viaggiare 19