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w w w . a l t r a c i t t a . o r g L e P i a g g e , F i r e n z e - A n n o X I I - S e c o n d a s e r i e - N u m e r o 2 - A p r i l e 2 0 0 8<br />
Coca Cola ci ruba “Bella Ciao”<br />
Sono già undici in Colombia i sindacalisti assassinati dall’inizio del 2008. Fra questi<br />
sono in pericolo anche gli esponenti del Sinaltrainal (il sindacato che da anni si batte<br />
contro i soprusi di Coca Cola), tanto che anche Amnesty International ha lanciato<br />
l’allarme, dopo le recenti minacce di morte dirette contro di essi. La grave situazione<br />
risveglia in tutta Italia la campagna di boicottaggio di Coca Cola lanciata da Reboc,<br />
che denuncia le connivenze della multinazionale con i gruppi paramilitari colombiani.<br />
Numerose le iniziative, a partire da Empoli, dove il Comune ha nuovamente escluso i<br />
prodotti della multinazionale di Atlanta dai distributori automatici.<br />
Intanto dal Messico ecco la nuova “perla”: in uno spot Coca Cola sta utilizzando la<br />
canzone partigiana “Bella Ciao” per reclamizzare il suo ultimo nuovo prodotto. Per maggiori<br />
informazioni e aderire alle iniziative di Reboc: www.nococacola.info.<br />
Biglietti, prego!<br />
Il treno dalle Piagge è comodo,<br />
ma la biglietteria non c’è...<br />
È<br />
sabato e devo andare a Castelfiorentino. Abito alle Piagge, per<br />
fortuna da qualche anno qui c’è una stazioncina FS, quindi decido<br />
di prendere il treno. Controllando l’orario alla stazione, sul monitor<br />
leggo che il biglietto posso andare a farlo alla Coop delle Piagge,<br />
dall’altra parte della strada.<br />
Ma qui mi aspetta una brutta notizia: non posso fare il biglietto perchè,<br />
mi viene detto da due impiegate, “Da settimane le Ferrovie non ci inviano<br />
più i biglietti; abbiamo scritto per chiedere spiegazioni ma non ci<br />
hanno risposto... essendo un servizio che facevamo gratis, poi non è che<br />
ci siamo smossi ulteriormente”.<br />
Io ho poi comunque preso il treno facendo il biglietto alla Stazione di<br />
S.Maria Novella, però la cosa non mi è andata molto giù. Così nei giorni<br />
successivi ho telefonato alle FS, ottenendo una versione “leggermente”<br />
diversa... “In realtà è la Coop che da settembre, per problemi tecnici<br />
suoi, preferisce non tenere più i biglietti e quindi non ce li chiede!”.<br />
Insomma, il solito scaricabarile all’italiana. Intanto però, chi ci rimette<br />
sono quei “valorosi” cittadini che decidono di partire da Firenze col<br />
treno invece che con la propria auto, aiutando la riduzione del traffico e<br />
dell’inquinamento. Infatti, bisogna farsi una scarpinata per trovare dei<br />
punti vendita dove acquistare i famigerati titoli di viaggio.<br />
Una soluzione ottimale per risolvere questa situazione potrebbe essere<br />
l’installazione nei pressi della fermata di una biglietteria automatica,<br />
ma, dicono le Ferrovie, “occorrerebbe un locale coperto per evitare il<br />
rischio di atti vandalici e in zona non ci sono!”. Comico: prima fanno<br />
una stazione non presidiata e poi non possono mettere una biglietteria<br />
automatica perchè hanno paura dei vandali...<br />
“Comunque, perchè non mandate qualcosa di scritto alla Direzione delle<br />
Ferrovie, per richiedere l’installazione della biglietteria? Ad una richiesta<br />
scritta fanno più fatica a rispondere di no...” - suggerisce il gentile<br />
impiegato FS che ci ha risposto al telefono.<br />
Già, amici piaggesi: facciamo una bella raccolta di firme e poi mandiamola<br />
ai dirigenti ferroviari...<br />
Massimo Parrini<br />
Alcuni punti vendita dei biglietti<br />
Tabaccheria Tesi – via di Brozzi 295/a<br />
Tabaccheria Nucci – via di Brozzi 12/r<br />
Cartoleria Io e te - via Umbria<br />
i libri di equazione a cura di Alberto Mega<br />
Marina Valente,<br />
Osteria CalCutta<br />
Libro intrigante, appassionato<br />
e scritto con grazia e<br />
leggerezza. Si racconta l’avventura,<br />
purtroppo per ora<br />
interrotta, di una associazione<br />
di Promozione Sociale<br />
laica, libertaria e autogestita<br />
che ha lavorato all’interno dello slum di Sarada Pally, luogo<br />
poverissimo alla periferia sud di Calcutta in India.<br />
Vi si narrano le molteplici iniziative create per aiutare i<br />
2500 abitanti dello slum: un centro medico, un dispensario,<br />
corsi di alfabetizzazione, attività di microcredito e<br />
attività con donne e bambini.<br />
La particolarità di questa associazione, che la rende diversa<br />
da esperienze simili, è data dalla scelta di impegnare<br />
volontari non professionali, provenienti anch’essi da fasce<br />
marginali della società italiana, quindi operai, disoccupati e<br />
persone con difficoltà di adattamento.<br />
Lo strano nome “Osteria” è dovuto al tentativo di ricreare<br />
l’atmosfera e la solidarietà delle antiche osterie di paese<br />
dell’Italia che fu, per dare un senso più vero e familiare alla<br />
difficile attività da svolgere.<br />
Un libro che scorre rapido, intriga e indigna allo stesso<br />
tempo.<br />
Il racconto riporta le difficoltà, i successi, il devastante<br />
impatto con la mafia e i poteri forti dell’India di oggi, paese<br />
che è noto alle cronache per i clamorosi successi economici<br />
ma che nasconde al suo interno la miserrima condizione<br />
delle basse caste, delle donne e dei bambini, con una<br />
popolazione al 50% analfabeta e che vive in condizioni di<br />
povertà estrema.<br />
Ma è anche e soprattutto una storia di speranza, di sogno<br />
che ci dice che, con fatica e difficoltà, è possibile mettere in<br />
pratica un’utopia concreta.<br />
Il libro “Osteria Calcutta”, edito da Sensibili alle foglie,<br />
costa 15 euro ed è in vendita, con lo sconto del 10%, alla<br />
Bottega delle Economie Solidali “EquAzione” alle Piagge.<br />
Nuove schiavitù<br />
Storie di lavoratori immigrati<br />
per l’ultimo libro di Curcio<br />
Gli uomini, le donne e i bambini che sfidano le protezioni della<br />
Fortezza Europa lo fanno in nome di un potere che gli stati capitalistici<br />
osteggiano da sempre: l’immaginazione”.<br />
Amico da tempo della Comunità di Base, Renato Curcio, ricercatore e<br />
sociologo, è stato alle Piagge per presentare “I dannati del lavoro”.<br />
Un testo molto interessante sulla condizione di vita e di lavoro dei migranti<br />
oggi “tra sospensione del diritto e razzismo culturale”.<br />
Dannati che sono tanti e che sono anche qui fra noi, come giustamente<br />
ricorda, in apertura di serata, Alessandro Santoro. Il titolo del libro<br />
è ispirato al lavoro di un grande rivoluzionario degli anni ’60, Frantz<br />
Fanon: “I dannati della terra” del 1962 era dedicato ai temi del colonialismo<br />
e del ruolo svolto dalla classe contadina nelle rivoluzioni anticoloniali<br />
nei paesi del terzo mondo.<br />
“I dannati del lavoro” nasce da una ricerca svolta a partire dal 2002 a<br />
Milano, nelle aziende della grande distribuzione per capire come è cambiato<br />
il mondo del lavoro nel passaggio da società industriale a società<br />
globale. I protagonisti sono lavoratori provenienti da diverse aree del<br />
mondo, dal sud all’est asiatico; quella moltitudine di uomini e donne le<br />
cui storie spesso “cerchiamo di allontanare” perché “non ci piace vederle<br />
né sentirle raccontare, anche se le incrociamo ogni giorno”.<br />
Il libro di Renato Curcio raccoglie queste storie analizzando diversi<br />
aspetti della vita dei lavoratori e delle lavoratrici migranti: dalla decisione<br />
di emigrare e, quindi, dall’allontanamento dal Paese di origine,<br />
dove si lascia la propria gente, i legami affettivi, culturali, economici e<br />
religiosi, al viaggio scegliendo tra la via regolare, spesso impraticabile e<br />
ricca di ostacoli burocratici oltre che economici, e quella “intemerata”,<br />
come la definisce l’autore, che passa dai mari e dalle strade e che tutti<br />
conosciamo, per arrivare infine a guadagnare il suolo europeo superando<br />
i muri costruiti intorno alla “Fortezza Europa”. Ed è qui che nascono le<br />
storie di discriminazione raccontate da Curcio.<br />
Un testo che suggeriamo di leggere per capire cosa nascondono i tanti<br />
luoghi comuni diffusi sull’immigrazione e soprattutto per ricordare<br />
che non è dalla Nigeria o dal Togo che nasce il fenomeno dell’emigrazione,<br />
ma piuttosto dalle sollecitazioni provenienti dalle aree più<br />
ricche del mondo che inducono “Ibrahim, Liliana, Ivan e Mustafà a<br />
tentare la sorte”.<br />
Floriana Pagano<br />
“I dannati del lavoro”, edizioni Sensibili alle foglie, euro 15,00.<br />
Vita difficile per<br />
gli alberi in città<br />
Alle Piagge si piantano male o<br />
si tagliano per fare parcheggi<br />
A<br />
Firenze gli alberi fanno sempre discutere, anche quando vengono<br />
piantati, non solo quando cadono giù (e non solo per colpa<br />
della tramvia).<br />
Alle Piagge, nell’ambito dei lavori previsti dal Contratto di Quartiere<br />
per la “riqualificazione” delle Navi di via Liguria e dei giardini circostanti,<br />
sono state piantate decine e decine di alberi, nell’area verde intorno<br />
all’Anfiteatro.<br />
Buona notizia, finalmente alberi che vengono piantati e non tagliati. Sì,<br />
però... bisogna anche vedere come si pianta. E in questo caso il lavoro è<br />
veramente da criticare.<br />
Gli alberi sono tutti “geometrici”, perfettamente allineati, tutti uguali<br />
(stenterelli...), perfettamente equidistanti... Insomma quello spazio ora<br />
più che un giardino o una parvenza di bosco, assomiglia ad un vivaio;<br />
o, peggio, ad un cimitero di guerra americano. Sembra più un lavoro da<br />
ditta edile (tutto deve essere a “piombo”) che di una di giardinaggio.<br />
Tra l’altro, visto che ci si avvicina alla bella stagione: quant’acqua servirà<br />
per far sopravvivere tutti quei “fili” rachitici? Sempre che qualcuno li<br />
annaffi davvero. Anche l’assessore all’ambiente Del Lungo, rispondendo<br />
ad una nostra lettera, ha criticato il tutto, scaricando la responsabilità<br />
sul Quartiere 5, però ci ha tranquillizzato sul fatto che è stato messo<br />
l’impianto d’irrigazione.<br />
Ma alle Piagge, negli ultimi tempi, ci sono alberi che hanno avuto sorte<br />
peggiore. In via di Cocco, angolo con via Pistoiese, alcune conifere alte<br />
una decina di metri sono state abbattute per permettere la realizzazione<br />
di un parcheggio (ah, il dio auto...), mentre lungo l’Arno il boschetto<br />
nato spontaneamente alla confluenza della Greve è stato eliminato, insieme<br />
alle decine di uccelli come garzette, aironi, cormorani che ospitava,<br />
in nome di quella ormai antiquata credenza che gli alberi provochino<br />
le alluvioni.<br />
Insomma alle Piagge, come nel resto di Firenze, ancora è lontano il tempo<br />
in cui gli alberi non saranno considerati più oggetti da togliere e<br />
mettere con faciloneria...<br />
Massimo Parrini<br />
Processo G8, chiesti 80 anni di carcere<br />
Ammontano complessivamente a 76 anni, 4 mesi e 20 giorni di reclusione le richieste di<br />
condanna per i 44 imputati, in grandissima parte membri delle forze dell’ordine, che hanno<br />
preso parte alle violenze e ai soprusi nella caserma di Bolzaneto durante il G8 del 2001 a<br />
Genova. Secondo la Procura vennero qui attuate “almeno quattro” delle cinque tecniche<br />
di interrogatorio che la Corte Europea sui Diritti dell’Uomo contempla come “inumane e<br />
degradanti”.<br />
I magistrati di Genova hanno formulato la richiesta più pesante per Antonio Biagio Gugliotta,<br />
all’epoca responsabile della sicurezza della caserma: 5 anni, 8 mesi e 5 giorni per abuso di<br />
autorità e per aver agevolato ed eseguito percosse con calci, pugni e manganello su alcuni<br />
arrestati per l’identificazione. I pm hanno chiesto l’assoluzione per uno solo degli imputati. Le<br />
sentenze dovrebbero arrivare tra la fine maggio e l’inizio di giugno.<br />
Dentro le storie<br />
a cura di Massimo Caponnetto<br />
Cimo<br />
Sono nato nell’estate del 1980 a Kute, un piccolo borgo di campagna<br />
nel centro dell’Albania. Era il tempo in cui i miei erano<br />
impegnati a costruire la nostra casa, e mia madre si alzava tutte<br />
le mattine alle quattro, con una nuova fatica da sostenere: portare<br />
l’acqua per fare il cemento, dentro secchi premuti contro il<br />
fianco. Con tanta apprensione per quel bimbo che portava dentro<br />
di sè. Ed alla fine tanta fatica ha lasciato un segno, un marchio di<br />
sofferenza: la mia scoliosi deformante.<br />
Fino al 1991 a Kute vivevamo grazie alla terra. Se ne ricavava<br />
poco, il minimo indispensabile, ma così era per tutti, e questa<br />
forma di uguaglianza sapeva di destino e smontava sul nascere<br />
ogni protesta. La stampa e la televisione poi ci ripetevano quanto<br />
eravamo fortunati a vivere in Albania, mentre il resto dell’Europa<br />
era afflitto da carestie e ridotto alla fame, e noi non potevamo<br />
che ringraziare il partito e il destino. Sono state le prime migrazioni,<br />
avvenute dopo la svolta del ’91 e rivolte soprattutto verso<br />
la Grecia, ad aprirci gli occhi verso ciò che accadeva nel mondo.<br />
Più ancora dei racconti di chi tornava, a me colpiva la loro voce,<br />
la loro nuova sicurezza. Avevano riempito l’anima di qualcosa<br />
di nuovo. Le difficoltà che avevano passato erano alle spalle, e<br />
quello che restava era una luce diversa nei loro occhi, una nuova<br />
speranza. E, non ultimo, un po’ di lek nelle tasche, con cui prendere<br />
tempo, riposarsi e portare miglioramenti nella casa, nella<br />
loro vita, mettendo un freno al disgregarsi delle cose, in una terra<br />
che una volta era fertile e che improvvisamente si era fatta troppo<br />
dura per tutti.<br />
Nel 2000 è venuto anche per me il tempo di allontanarmi da<br />
Kute. Il tragitto per la Grecia prevedeva lunghi tratti di cammino,<br />
impossibili per la mia schiena. Dovevo ricorrere al mare, e<br />
la direzione poteva essere solo l’Italia. Avevo venti anni, e il desiderio<br />
di andare finalmente incontro al mio tempo, uscendo da<br />
quella bolla d’aria che avvolgeva e isolava il mio paese. Grazie ad<br />
un amico misi da parte quanto era necessario per l’unico viaggio<br />
alla mia portata, quello da clandestino, e nel settembre del 2000,<br />
di nascosto alla mia famiglia, lasciai tutto e partii. Avevo visto il<br />
mare solo due volte prima di trovarmi, quella sera, su un gommone<br />
di dodici metri, pigiato e stipato insieme ad altri quarantasei<br />
migranti. A darmi coraggio era la speranza di trovare una<br />
possibilità di cura che fermasse la deformazione progressiva della<br />
mia schiena, ma anche molto di più: c’era l’idea di un paese libero<br />
e lontano dalla pressione e dai morsi della miseria, che toglie<br />
spirito alla vita e ci costringe a volare troppo bassi. Pensavo che<br />
l’uomo, liberato finalmente dal bisogno, non avesse più alcun<br />
impedimento verso il benessere, la felicità. Durante la traversata<br />
questi pensieri tenevano lontano la paura, e quella che rimaneva<br />
la scaricavo aggrappandomi alla corda.<br />
Dopo circa quattro ore di viaggio cominciammo a vedere le luci<br />
di Bari, che piano piano si allargarono, aprendosi alla nostra vista.<br />
Per la prima volta su quel gommone ci guardammo tutti<br />
in viso, per condividere quel momento di sollievo, dopo aver<br />
tenuto le paure strette dentro di noi. Arrivai a Firenze la sera<br />
successiva.<br />
Quella prima esperienza si è conclusa dopo cinque anni. Portai<br />
via con me qualche soldo, tanti racconti da fare, e un’amarezza<br />
dentro. Per aver visto chiudersi ogni porta d’accesso. Non sono<br />
mancati i segni di amicizia, gli incontri fortunati, e per ognuno<br />
di questi ho messo da parte cento episodi negativi, ma la strada<br />
verso una cura, verso un centro specializzato, così come verso un<br />
lavoro, era sbarrata. Non potevo neppure avvicinarmi. La mancanza<br />
di documenti era una colpa originaria da cui era impossibile<br />
riscattarmi. E così, dopo tanti inverni passati al freddo di un<br />
semaforo, in un disagio sempre crescente, ho deciso di ripartire,<br />
con l’impressione di tornare dietro le quinte, dove dalla vita<br />
giungono solo le voci, e il resto ci si deve immaginare.<br />
Sono tornato a Firenze da pochi mesi, grazie ai flussi e ad un’occasione<br />
di lavoro presso un caro amico. Kute è un paese sempre<br />
più povero, svuotato dall’emigrazione e dalla sfiducia. È un mondo<br />
che sembra incapace di ricostruirsi, che non concede le necessarie<br />
speranze, e che pure è la mia terra, il luogo dei miei ricordi,<br />
delle mie radici familiari. Ma che non ha ancora, e forse non<br />
l’avrà più, alcuna promessa da fare. Vivo mettendoci tutte le mie<br />
forze, che non sono mai sufficienti, cercando di essere straniero<br />
ma non estraneo in questo nuovo mondo. In fondo ognuno di<br />
noi deve tracciare la propria strada, segnare il proprio cammino,<br />
e può farlo solo dove la durezza della terra lo consente.<br />
La storia di Cimo, di cui qui presentiamo un breve<br />
riassunto, farà parte di una raccolta di storie che verrà<br />
prossimamente pubblicata dalla Comunità delle Piagge.<br />
Il progetto <strong>Altracittà</strong><br />
L’<strong>Altracittà</strong>, giornale della periferia è nato nel 1995 per raccontare<br />
le dinamiche locali e internazionali della globalizzazione<br />
economica e le esperienze di chi resiste e lotta per<br />
un sistema alternativo, più equo e rispettoso della persona e<br />
degli equilibri Nord/Sud del mondo.<br />
Viene pubblicato dalla Comunità delle Piagge, una realtà di<br />
base fondata sulla prassi del coinvolgimento e sulla logica<br />
dell’autodeterminazione sociale.<br />
Internet: http://www.altracitta.org<br />
E-mail: redazione@altracitta.org<br />
Direttore responsabile: Cecilia Stefani<br />
Progetto grafico: Antonio De Chiara<br />
Registrato al Tribunale di Firenze con il n. 4599 del 11/7/1996<br />
Stampato da Litografia IP con il contributo di ECR FIRENZE<br />
Redazione: Via Barellai, 44 | 50137 Firenze | Tel. 055/601790