Marzo 2010 - n. 1 - Anno 20° - Centro Orientamento Educativo

Sped. in abb. postale ART. 2. Comma 20/C Legge 662/96 Filiale di Lecco - Anno XVI
Marzo 2010 - n. 1 - Anno 20°

Il Festival del Cinema Africano è gioia. È riconoscenza
per quegli uomini che hanno fatto cinema per fare
dono di una nuova interpretazione della realtà, di un
orientamento e di un messaggio di vita e armonia per
l’uomo e per la società.
Marzo 2010 - Anno 20° - n. 1
Registrazione Tribunale di Milano
n. 245 dell’11 Aprile 1992
Bimestrale
Sped. in abb. postale Art. 2
Comma 20/C Legge 662/96
Filiale di Lecco - Anno XVI
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Prashanth Cattaneo
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SOMMARIO
3 A volte capita che...
4 Cristo crocefisso e risorto
5
Lo sviluppo umano
6 I laici e la missione
7 Missione e dialogo
8
9
10
Impegno per un mondo nuovo
11 Il Festival compie 20 anni!
13
15
16
17
18
Finestra sul mondo
Cortometraggi africani
La Diocesi di Mbalmayo
in festa
Ascensione verso le
“Char de Dieu”
I ribelli del L.R.A. a Tapili
19 Non dimentichiamoli!
20 Educare attraverso lo sport
22
23
Sobri e solidali
Il COE e la Valsassina
Libri
Iniziative d’inverno
Marzo 2010 - n. 1 - Anno 20°
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editoriale
A VOLTE CAPITA CHE...
di Gigi
A
volte capita che, anche nel mezzo della frenetica
vita d’oggi, si faccia spazio un silenzio che diresti
d’altri tempi o di un ambiente particolare: silenzio
di chiostro, silenzio di grandi spazi alpini, silenzio d’acque
sfiorate appena da un vento lieve come una carezza che
ne increspi la superficie… Un silenzio strano, ti sembra,
quello; come una cosa che non abbia nessun rapporto
con la tua quotidianità affannata, con il tuo guardare freneticamente
l’orologio per essere sicuro di non mancare
ad un appuntamento
dal quale può
dipendere qualcosa
di decisivo per te,
per i tuoi. Silenzio;
e basta. Nessuna
interferenza di cose
visibili e tangibili.
Silenzio allo stato
puro: come un’aria
che non vedi ma
nella quale sei immerso.
Resti in
dubbio se gioirne
o rammaricarti di
non poter capire subito
e pienamente
quello strano spazio
(non un vuoto!)
d’improvviso aperto
alla tua percezione.
Una percezione diversa da quella normale che hai delle
cose. Come un respiro più profondo, come una musica
che s’inventa nella tua mente e ti accompagna non sai per
quanto tempo; e se la smarrisci, se tace, se s’interrompe
scopri quasi con dolore d’averla perduta, e ti dà gioia il
sentirla ripullulare frescamente, ancora e all’improvviso;
l’avverti come il soffio di una piuma che volteggi leggera
nell’aria e sembri fermarsi ora in un punto ora in un altro
dove tu cerchi, dove tu rincorri un tuo desiderio di consolazione
e di pace.
Succede, a volte, che un raggio di sole al tramonto, un
raggio obliquo ricco di colore, attiri la tua attenzione.
Forse per un momento tutto risulta sospeso intorno a te.
Sei affascinato da quel colore; lo osservi quasi per non
perderne la minima sfumatura. E basta quel colore, quel
piccolo miracolo di natura, a farti accorgere che c’è un
cielo che hai perduto l’abitudine di guardare perché la
terra richiede fin troppo la tua attenzione, e camminando
nel mondo devi stare attento che insidiose buche non siano
pronte ad interrompere i tuoi passi, che una caduta dia
una brusca dolorosa svolta ai tuoi pensieri.
Già, il cielo! Non lo ricordavi più, tenero all’alba, trasparente
e lieve; carico della ricchezza del giorno al tramonto.
E stipato da un carico di stelle, la notte, se ti capita di
trovarti in un luogo dove le ingannevoli luci della città
non impediscano al
tuo occhio di vedere
la misteriosa bellezza
di uno spettacolo
che riscopri
con un’emozione
segreta in cui s’annida
una puntura di
memoria infantile
che tanto è acuta da
far male.
Succede, a volte,
che una strana sensazioneinterrompa
il corso dei tuoi
pensieri abituali.
Un’immagine familiare
che si ridesti
nella memoria, il
ricordo di un gioco
infantile, una cantilena
d’altri tempi che zampilla da un remoto passato con
la freschezza di un oggi che, ti fosse chiesto, non sapresti
definire. Perciò ti meravigli; credi che ciò che ti succede
in qualcuno di quei momenti possa essere addirittura un
segno di vecchiezza.
Ma non c’è malinconia nell’abbandonarsi fiduciosamente
alla sensazione di benessere che quel silenzio, quel raggio
di sole al tramonto, quel cielo stellato ti comunicano.
Per un momento dimentichi di controllare l’orario, ti lasci
andare a una confortevole ondata di benessere. Che cosa
è questo?
Forse cerchi una voce e quel silenzio si è destato in te per
consentirti di captarla, se risuoni; quel raggio di sole, per
aiutarti a comprenderne la bellezza; quel cielo stellato per
darle solennità di cosa eterna…
Capita a volte...
3

4
CRISTO CROCEFISSO E RISORTO
L’amore è sempre uno
scandalo, un inciampo
e una provocazione a
uscire da una situazione
sterile verso nuove
aperture e coinvolgimenti,
a rinnovare i percorsi
umani perché ritrovino
accoglienza e solidarietà.
Un amore è sempre
profezia di ciò che
ancora non è, di orizzonti
spalancati per vedere la
novità che avanza nella
pur sempre faticosa ricerca
umana, di potenzialità
inesplorate per un dialogo
tra diversi nel rispetto
e nell’autentica ricerca
del bene dell’altro, di un
mondo nuovo possibile
e significativo ricco di libertà e responsabilità. Ma l’amore non è
amato e non è capito, anzi talora deriso e calpestato; è più facile e più
omogeneo al sistema accettare e avallare il male nella sua devastante
distruzione della bellezza del cuore della persona che cercare,
raggiungere e affermare la forza debole del bene.
“Colui col quale ho spezzato il pane, ha levato il calcagno contro di
me”!
La terra diventa fredda e fa paura, ma se il seme del grano non
marcisce non dà frutto. L’amore diviene un apparente spreco di risorse
e originalità, ma la strada del futuro sta nel morire per amore.
Noi in Lui morto e risorto ritroviamo la certezza dell’unico ideale
“perdersi per ritrovarsi”, per accoglierci nell’Amore in tutte le potenzialità
positive, per scrivere la speranza in questo nostro tempo carico di
possibili ideali ma mortificato e avvilito per le sordità egoistiche, per le
superficialità mortificanti, per il disprezzo proclamato verso il povero
e il bisognoso.
La vera rivoluzione sta nel dare, anche se talora non si sa dove corre
il proprio cuore, sta nel non difendersi, ma nell’umiltà di chi accetta il
passaggio del Getzemani, nella via della Croce fino al Calvario.
Certi che la Risurrezione ricompone nella libertà e nella gioia ogni
apparente fallimento, ci fa essere cristiani sereni, donatori lieti, testimoni
umili, poveri ma autentici.
Possiamo ancora credere all’amore perché Lui è con noi nella Sua
Morte e Risurrezione.
A tutti Buona Pasqua
LA PASSIONE
DI SERVIRE
Portatori di una realtà che è più grande di
loro, perché ordinati, consacrati all’offerta
del mistero eucaristico, profondamente legati
alla croce di Cristo, vissuta in comunione
con il Risorto, i sacerdoti, a imitazione
del Pastore bello/buono, depongono le
loro vesti ogni giorno per servire i fratelli.
In questo anno sacerdotale, dove la figura
del presbitero è stata oggetto di tante parole,
è bene rimettere al centro la barra del
timone per procedere in alto mare, perché
il Signore possa ancora, attraverso di loro,
compiere le cose meravigliose che la storia
della salvezza ricorda: liberare, salvare,
proteggere il popolo che hanno ricevuto in
carico.
Sacerdoti per il mondo da Dio tanto amato,
non solo in forza della consacrazione presbiterale,
ma dello stesso battesimo.
Sacerdoti per una Chiesa protesa verso
il mondo, che si spalanca su tutto l’orbe,
come il progetto salvifico di Dio.
Sacerdoti per tutti, servi di tutti, come
Gesù che «non è venuto per essere servito,
ma per servire» (Mt 20,28), a tempo pieno,
dal mattino alla sera.
Servi premurosi, che nutrono il popolo di
Dio con il pane della parola, lo santificano
con i sacramenti, al quale offrono la testimonianza
della loro vita.
Annunciatori di una parola che risuona libera
e profetica, che sgorga dalla preghiera,
dallo studio approfondito della Scrittura sacra.
Parola paradossale, da non sfumare, da
presentare in tutta la sua forza dirompente,
da vivere fino alle estreme conseguenze.
Servi che hanno una forte passione per il
regno di Dio, perché si espanda, raggiunga
tutti gli uomini, quelli con i quali vengono
a contatto, comportandosi «in maniera
degna della vocazione ricevuta» (Ef 4,1),
gettando continuamente le reti, nella speranza,
certi della presenza del Signore, del
suo amore che non abbandona mai.
Ma amare implica sacrificio, sofferenza,
tenere alto l’impegno assunto, sia nei confronti
di Dio che dell’uomo. Una stessa
passione deve bruciare per le realtà divine
e per quelle umane. Una consegna di sé
totale, una resa incondizionata alla volontà
del Signore. Questo chiediamo ai nostri sacerdoti,
accompagnando con la preghiera
la loro missione. Il loro cuore batta incessantemente
per Cristo, innamorati del suo
amore per tutti.
Scrive Ireneo di Lione: «Dio ricerca la collaborazione
degli uomini per avere la possibilità,
lui che è buono e misericordioso,
di riversare i suoi benefici su quelli che
perseverano nel suo servizio» (Contro le
eresie, 4,13,4).

LO SVILUPPO UMANO
Alcune idee cardine dall’enciclica di Papa Benedetto XVI
di Gerolamo Fazzini
L’enciclica risponde fondamentalmente
a questa domanda: a quali
condizioni lo sviluppo può dirsi
davvero umano? La risposta di Bendetto
XVI è: quando si basa sulla carità
vera (declinata laicamente in gratuità e
fraternità). In questo senso è una ripresa
e una riattualizzazione della Populorum
Progressio, che non a caso viene
definita la Rerum Novarum dei nostri
giorni.
Un’idea-guida della Caritas in veritate è
questa: o lo sviluppo è di tutto l’uomo
oppure non è tale. Ciò significa tener
presente sia l’integrità della persona
dalla nascita al concepimento (e questo
spiega perché in un’enciclica sociale
si parli di diritto alla vita, di bioetica,
ecc.) sia la totalità delle dimensioni della
persona: relazionale, sociale, economica,
politica ma anche religiosa (di
qui il riferimento alla libertà religiosa,
a prima vista “estemporaneo”).
Dentro questa grande riflessione che
ricalca Paolo VI, ci sono accenti nuovi,
specie laddove si parla delle povertà
spirituali del nostro tempo. Il Papa
non lo esplicita, ma è come se dicesse:
“Non di solo Pil vive l’uomo”.
Questo tema è di forte attualità, basti
pensare al filone di riflessione su economia
e felicità o al ripensamento dei
parametri del ben-essere (cfr. la Com-
missione Fitoussi-
Stiglitz-Sen in Francia)…
Il Papa benedice lo
sviluppo (in questo
senso distanziandosi
da Latouche e da altri
critici dello sviluppo
in quanto tale), ma
non a qualunque costo,
tant’è che chiede
nuovi stili di vita.
Ancora: lo sviluppo
può (e deve) servirsi
della tecnica, ma il
primato è dell’uomo.
La questione sociale
è questione antropologica, si legge al
n. 35; anche in questo caso il Papa non
disprezza la tecnica (apre agli Ogm),
ma la vuole finalizzata al bene comune.
Il Papa sottolinea, poi, che lo sviluppo
dev’essere di tutti gli uomini. Lo sviluppo
integrale implica, infatti, la fraternità
universale, altrimenti non solo non
è morale, ma non funziona: si ritorce
cioè contro gli stessi ricchi (basti vedere
le conseguenze delle migrazioni
forzate). Fraternità universale, infine,
vuol dire ripensare i meccanismi di
partecipazione economica e politica,
dai livelli locali fino all’Onu.
Il Papa insiste: la globalizzazione non
è da demonizzare tout court, ma certo
questa globalizzazione non funziona,
perché mette al centro l’economia
e non l’uomo. Qui si innesta la parte
forse più originale dell’enciclica che introduce
parole insolite, ovvero gratuità
(valore infinito della persona) e fraternità
(un passo oltre la mera uguaglianza).
Occhio alle illusioni della globalizzazione,
sembra dire Benedetto XVI: ci
ha reso vicini ma non fratelli. Tradotto:
abbiamo internet e skype, ma la gente
continua a morire di fame. Un appello
alla responsabilità che deve scuotere
tutti, credenti in primis.
GIOIA PER LA VITA
CHE NASCE
Insieme ai genitori siamo contenti
di comunicarvi la nascita di:
ANGELO di Anna ROCCO
e Riccardo SEBASTIANI
GIULIA di Simona BALESTRA
e Luca BONAFÈ
DELIA di Louise Carole NGUE
e Jerome ROUSSELIN
5

Vorrei iniziare questa testimonianza
con una domanda
che forse qualcuno di voi si è
posto: qual è la vocazione del volontario
o missionario laico? In parole
semplici direi che è quella di testimoniare
il Vangelo con la propria
professionalità, con le proprie opere.
Chi sono i volontari laici? Persone di
tutte le età che dedicano parte o tutta
la vita per gli altri nello spirito di solidarietà,
secondo le possibilità, con
il loro lavoro, con la testimonianza
della vita.
Ma perché impegnarsi per gli altri e
non vivere solo per sé, pensando a
realizzare la propria vita?
Papa Benedetto XVI nell’ultima enciclica
“Caritas in Veritate” ci dice:
“L’amore - «caritas» - è una forza
straordinaria, che spinge le persone
a impegnarsi con coraggio e generosità
nel campo della giustizia e della
pace. È una forza che ha la sua origine
in Dio, Amore eterno e Verità
assoluta. Ciascuno trova il suo bene
aderendo al progetto che Dio ha su
di lui, per realizzarlo in pienezza: in
tale progetto infatti
egli trova la sua verità
ed è aderendo
a tale verità che egli
diventa libero…
Bisogna poi tenere
in grande considerazione
il bene
comune. Amare
qualcuno è volere il
suo bene e adoperarsi
efficacemente
per esso. Accanto
al bene individuale,
c’è un bene legato
al vivere sociale
delle persone: il
bene comune.”
Da diversi anni faccio
parte del COE
(Centro orienta-
6
I LAICI E LA MISSIONE
di Pietro Mariani
mento Educativo), uno degli organismi
di volontariato cristiano internazionale.
Il suo fondatore, don
Francesco Pedretti, già negli anni 60
e alla luce dell’impegno dei laici nel
mondo secondo lo spirito del Concilio
Vaticano II, aveva avuto l’intuizione
di valorizzare la loro professionalità
e il volontariato, prima in
Italia e poi con l’apertura ai Paesi più
poveri. Da allora il COE manda persone
in tutto il mondo a lavorare nei
progetti di sviluppo promossi nei vari
settori: agricoli, sanitari, nelle scuole
professionali, artistiche, nei programmi
educativi interculturali e in molte
altre iniziative.
Come cristiani diamo molta importanza
alla preghiera, irrinunciabile
aiuto per avere la forza di affrontare
le tante situazioni e le difficoltà che si
incontrano nella vita.
Perché impegnarsi come volontari,
sacrificando parte della propria
carriera, dei profitti, nello spirito di
gratuità? Innanzitutto per rispondere
a un chiamata e per ringraziare il Si-
Pietro Mariani con alcuni collaboratori colombiani
gnore dei doni ricevuti, poi per aiutare
chi ha più bisogno, come ci dice
il Vangelo. Certamente è un andare
controcorrente, non seguendo le logiche
del profitto o della carriera. Ma
nella logica del dono non mancano
le soddisfazioni sia professionali che
umane.
La mia prima esperienza missionaria
è stata in Cile, a fine anni 80 inizio
90, poi, dopo alcune brevi esperienze
di Africa, sono stato inviato in
Bangladesh dove ho incontrato culture
e religioni differenti e, negli ultimi
tempi, in Colombia, da dove sono
rientrato da poco. Da queste esperienze
ho tratto un grande arricchimento
sia professionale cha umano:
i luoghi, le persone, le culture, gli stili
di vita differenti, la ricchezza umana
dei poveri, l’accoglienza, la gioia,
l’apertura di nuovi orizzonti culturali,
nuove esperienze di vita.
Di cosa c’è bisogno oggi per lo sviluppo
dei popoli? Benedetto XVI
nella sua enciclica ci dice: Lo sviluppo
ha bisogno
di cristiani con le
braccia alzate verso
Dio nel gesto
della preghiera,
cristiani mossi dalla
consapevolezza
che l’amore pieno
di verità, caritas
in veritate, da cui
procede l’autentico
sviluppo, non è da
noi prodotto ma ci
viene donato. Auguriamoci
che tante
persone, tanti
giovani, rispondano
generosamente
all’appello per la
costruzione di un
mondo più giusto e
più buono.

Il movimento ecumenico moderno
compie cento anni, risalendo il suo
inizio ufficiale convenzionalmente
al 1910. Nell’ambito della Conferenza
missionaria internazionale di Edimburgo
del 1910 venne infatti raccolta la
sfida dei paesi di missione: ‘Portateci
il Vangelo, non le vostre divisioni’. Seguirono
il costituirsi nel 1925 del movimento
Vita e azione, organizzato dal
vescovo luterano di Upsala Nathan Soderblom
e, con l’assemblea di Losanna
del 1927, il movimento Fede e Costituzione,
iniziato dal vescovo episcopaliano
canadese Charles Henry Brent, cui
aderisce anche la Chiesa cattolica.
L’anno centenario offre l’occasione di
interrogarsi sul percorso compiuto,
sull’impegno per l’unità della chiesa
nel presente e come prospettiva per il
riconoscimento dell’unità di fondo di
tutta la famiglia umana. Non v’è dubbio
che lo Spirito creatore del Signore è
stato all’opera in questi cento anni per
una profonda conversione nelle chiese
e nell’animo dei credenti: per cui possiamo
constatare che tante nebbie si
sono dissolte e tanti muri sono caduti.
Non si può che gioire anche nel vedere
cambiato lo spirito con cui si affrontano
attualmente gli ostacoli che permangono
e le questioni che restano aperte,
MISSIONE E DIALOGO
a 100 anni dalla Conferenza di Edimburgo
di Annamaria Sammartano
con la capacità di
passare dalla polemica
ad un aperto
confronto critico tra
le varie confessioni
cristiane.
La nostra speranza
per il futuro vive
dunque del riconoscimento
delle
grandi opere che il
Signore compie e
gliene rende lode.
Abbiamo continuato
a farlo quest’anno
nell’impegno
di preghiera della
settimana che va
dal 18 al 25 gennaio, preceduta, negli
ultimi vent’anni, dalla giornata dedicata
al dialogo ebraico-cristiano, per
il recupero della radice ebraica della
nostra fede in Gesù. Il tema di riflessione
concordato e sottoscritto dai
rappresentanti di Chiese ortodosse,
cattoliche ed evangeliche era incentrato
quest’anno, sulla testimonianza,
ritenuta, in particolare ai nostri giorni,
come elemento veramente qualificante
la missione. Sono state le chiese della
Scozia a proporre e a preparare la
traccia per gestire la preghiera e le celebrazioni
della settimana, scegliendo
il versetto di Luca 24,48: ’Voi sarete
testimoni di tutto ciò’.’ E’ evidente che
la divisione dei cristiani è in contraddizione
con la Verità che essi hanno la
missione di diffondere, e dunque essa
ferisce gravemente la loro testimonianza...’
E’ Giovanni Paolo II, nell’enciclica
‘Ut unum sint’ a mettere il dito sulla
piaga.
Il 5 marzo marzo ritorna poi l’appuntamento
per la giornata mondiale di
preghiera, promossa più recentemente
dalle donne e la cui animazione è affidata
ogni anno alle donne di uno dei
paesi del Sud del mondo. Quest’anno
è la volta delle donne cristiane del Camerun,
che propongono come tema il
versetto 6 del Salmo 150, la solenne
lode che chiude il salterio: ‘Ogni essere
che respira lodi il Signore’. E’ un toccante
invito alla gioia e alla gratitudine,
è un riconoscimento commosso del
dono della vita.
Conosciamo la creatività e la capacità
di mobilitazione di queste donne e ci
auguriamo che anche per il futuro sappiano
metterla al servizio della pace e
della giustizia, per colmare in tanti paesi
le gravi carenze nella tutela dei diritti
umani e nelle opportunità di sviluppo
economico, che ne frenano fortemente
l’emancipazione.
OGGI SPOSI
Auguri di ogni bene ad
ALESSIA STRADELLA
e NICOLAS DEUBALBÉ
FLAVIA LOMBARDO
e DONATO MUNZILA
che nel matrimonio hanno
coronato il loro sogno d’amore.
7

Una tendenza che va timidamente
affermandosi, ma che
è anche salutare in tempi di
crisi, è quella di sostituire alle bomboniere,
alle liste di nozze, alle feste
di compleanno l’invito a sostenere
un’attività nel Terzo Mondo. E’ un
richiamo alla sobrietà e nello stesso
tempo attenzione e sensibilità verso
quanti non hanno le opportunità che
abbiamo noi. Abbiamo avuto il simpatico
esempio di persone che hanno
annunciato il battesimo di un bimbo
con l’invito a sostenere l’ampliamento
della maternità di Nkoldongo o la
costruzione del reparto di pediatria
dell’ospedale di Tshimbulu, famiglie
che vogliono ricordare la prima comunione
o la cresima di un loro figlio
sostenendo le spese di scolarità di un
suo coetaneo, fidanzati che hanno
rinunciato al regalo di nozze a favore
del centro nutrizionale di Rungu e
anche aziende che hanno sostituito il tradizionale
regalo di Natale dei loro clienti
con il sostegno a un’opera missionaria…
Si tratta ancora di esempi isolati che però
rispondono a quello stile di sobrietà e
solidarietà cui ci richiamano gli appelli
insistenti dei nostri vescovi e del papa.
L’arcivescovo Tettamanzi ha più volte sottolineato
il fatto che solo una vita sobria,
alla ricerca della giusta misura, libera dalla
logica dello spreco e dell’eccesso, sa
creare gli spazi per una vera solidarietà e
accoglienza dell’altro. E in occasione del
Natale di quest’anno ha suggerito ai bambini
la ricetta delle “Cinque R” per essere
felici, una ricetta adatta anche agli adulti
e che va controcorrente rispetto alla tesi
che più si spende e consuma più in fretta
si risolverà la crisi. «Ridurre gli acquisti
all’essenziale, riciclare vestiti e giochi, riparare
quel che si può, rispettare le cose
e le persone che le hanno realizzate col
loro lavoro, regalare con gioia.»
Sul piano della “crisi ecologica” che incombe
su tutto il mondo questa ricetta
può applicarsi nel cambio di mentalità
necessario per “abbandonare stili di vita,
personali e nazionali, dettati dall’egoismo
8
SOBRI E SOLIDALI
di Carla Airoldi
e dal consumismo, a favore di una solidarietà
tra persone, nazioni e generazioni,
fondata sulla comune responsabilità
nei confronti del creato”. E’ il messaggio
di Papa Benedetto XVI per la Giornata
Mondiale della Pace 2010. “Tutto ciò
che esiste appartiene a Dio, che lo ha
affidato agli uomini, ma non perché ne
dispongano arbitrariamente. L’uomo ha il
dovere di esercitare un governo responsabile
della creazione, custodendola e
coltivandola, anche per le generazioni
future”.
Il Papa ci esorta a non rimanere indifferenti
di fronte alle problematiche che
derivano da fenomeni quali i cambiamenti
climatici che già sono responsabili
del crescente fenomeno dei ‘profughi
ambientali’, persone che devono lasciare
l’ambiente in cui vivono a causa del
degrado e a reagire ai conflitti in atto e
a quelli potenziali legati all’accesso alle
risorse naturali.
La crisi ecologica è fortemente connessa
al concetto stesso di sviluppo e alla visione
dell’uomo e delle sue relazioni con i
suoi simili e con il creato. E’ necessario
“un profondo rinnovamento culturale”, la
riscoperta di quei valori che costituiscono
il fondamento sul quale costruire
un futuro migliore per tutti.
Poiché le crisi “siano di carattere
economico, alimentare, ambientale
o sociale, sono, in fondo, anche crisi
morali collegate tra di loro”, esse “obbligano
a riprogettare il comune cammino
degli uomini.
Obbligano, in particolare, a un modo
di vivere improntato alla sobrietà e
alla solidarietà, con nuove regole e
forme di impegno”. Con azioni personali,
iniziative collettive, scelte politiche
che portino a una vita più semplice
e sobria, rispettosa dell’ambiente,
attenta ai più poveri e alle generazioni
future.
In questa complessa realtà hanno valore
anche i piccoli gesti come quelli
di una festa di famiglia in cui non si dimentica
chi è nella povertà, i bambini
denutriti, i ragazzi di strada, chi non
ha i mezzi per mandare i figli a scuola o
per curarsi e soprattutto è necessario che
ci educhiamo e che educhiamo i giovani
a conoscere e saper affrontare le sfide
del nostro tempo.
Le risorse della terra si esauriscono, le
disuguaglianze fra ricchi e poveri aumentano
e miliardi di persone vivono al di
sotto della soglia di povertà.
Tra le buone vecchie abitudini c’è da riprendere
e rilanciare anche la sesta “R”:
Risparmiare con l’intento di usare rispetto
all’ambiente: risparmiare acqua ad esempio
che diventerà sempre più preziosa
anche per noi e che già è scarsa o mancante
per milioni di persone; risparmiare
energia, educandoci a un consumo più
oculato e introducendo sistemi meno
dispersivi e meno inquinanti; riprendere
quando è possibile l’andare a piedi o in
bicicletta o con i mezzi pubblici.
Sono proposte che possiamo considerare
e che possono educare i giovani a
vivere la loro vita con passione, capaci
di mettersi in relazione in maniera significativa
con l’ambiente nella salvaguardia
del creato che Dio ci ha donato e nella
solidarietà con tutti i popoli del mondo.

Giovanni Fazzini, era un giovane
maestro di Premana quando
ha conosciuto l’associazione
fondata da don Francesco Pedretti. In
quegli anni lontani, ha potuto constatare
quale sia stato il progetto educativo
del COE e quale ricaduta sull’intero
comprensorio montano abbia avuto la
presenza rispettosa e creativa di quel
“gruppo di ragazze” costituitosi grazie
al carisma e alle intuizioni di questo
sacerdote.
Come è avvenuto il suo incontro con
il COE?
Sono entrato in contatto con il COE
quando ero già diplomato nel 1959,
quando iniziai a insegnare in una
scuola sussidiaria a Vegno di Crandola,
con sette alunni, in una pluriclasse.
A fine anno lo stato verificava la preparazione
degli alunni sottoponendoli
a un esame e dava anche un premio
all’insegnante. Io l’ebbi, perché tutti
gli alunni furono promossi… Carla
Airoldi, in quel periodo mi coinvolse
nell’insegnamento come supplente
nella scuola media di Introbio e
per tre anni assistetti al decollo della
Scuola di Avviamento e quindi all’istituzione
della Scuola Media Unificata.
A quei tempi, in Valsassina, chi voleva
continuare a studiare dopo le elementari,
o andava dai salesiani a Vendrogno,
a Sondrio o a Milano, oppure al
collegio “Volta” di Lecco. Il COE, per
una decina d’anni, ha traghettato la
frequenza scolastica della fascia degli
adolescenti, alle medie e dopo, quando
ormai queste erano consolidate, ha
lasciato che le istituzioni le gestissero,
pur mantenendo una presenza all’interno
della scuola con la preside Carla
Airoldi.
Quale rapporto mantenevano i docenti
con il COE?
Come docente ho fatto esperienza a
Introbio per un anno, ma continuavo
IL COE E LA VALSASSINA
Intervista a Giovanni Fazzini
a frequentare l’ambiente. Si percepiva
di appartenere a una organizzazione
molto ampia e complessa, ad una rete
intricatissima ed efficientissima, sia
che tu fossi alunno, sia che tu fossi insegnante.
Anche la casa de “La Benedicta” di
Santa Caterina, era una risorsa a disposizione
per far crescere i giovani
a contatto con la natura. Docenti e
alunni, ci si trovava a tentare di salire
al Cevedale o il Gran Zebrù, sotto la
guida del COE. Era lo stesso contesto;
uno spirito chiaro permeava tutto.
Sia a Santa Caterina che in Valsassina,
c’era uno stretto legame con le parrocchie
e con le associazioni sportive.
È emblematica la vicenda del professor
Migliore. Arrivava da Caltanisetta
e cercava lavoro. Era capitato per caso
a Premana e pensava di trasferirsi altrove
in breve tempo. Carla Airoldi gli
disse che il suo posto era a Premana.
Leonardo Migliore è rimasto e si è così
radicato nella comunità, che ha sposato
una premanese, è diventato assessore
e, da quindici anni, è presidente
della casa “Madonna della neve”. E
confessa che, allora, le scelte per lui le
fecero Carla Airoldi e don Francesco,
dei quali si era fidato. È un caso che
evidenzia l’attenzione che il COE aveva
alla scuola: Don Francesco e i suoi
collaboratori individuavano docenti
motivati, con valori, che costituissero
un punto di riferimento, così che le
scuole fossero caratterizzate e li invitarono
a collaborare.
Che cosa faceva il COE in Valsassina
e in Valvarrone?
Il COE aveva legami con molti paesi
della zona, e manteneva contatti
anche con gli ex allievi. Curava con
grande attenzione la formazione
professionale dei docenti. In tutta la
Valsassina organizzava varie attività:
tornei sportivi, recite, cori. In questo
modo, anche i docenti che arrivavano
da lontano potevano esercitare le proprie
capacità e mettere a disposizione
le proprie potenzialità culturali. Il COE
copriva la metà delle proposte in Valsassina
riguardo ai corsi professionali
ed era molto attento alle esigenze delle
ragazze. Era un impegno, nella valle
intera, una risorsa, mai una prevaricazione.
Il COE aveva creato una “rete”,
grazie alla quale transitavano docenti,
studenti, iniziative. Beh, c’era sempre
un pullmino che andava su e giù…
Com’era il rapporto con le famiglie?
Proprio il servizio prestato a moltissimi
alunni della Valsassina è stata
occasione preziosa per tener contatti
con le famiglie, per informarle dell’andamento
dei figli e per fare attività di
sensibilizzazione culturale. Il COE si
è sempre qualificato. Si sapeva che
la scelta educativa aveva motivazioni
molto profonde. Don Francesco era
onnipresente. Non so quanti viaggi
abbia fatto da Saronno a Barzio per
incoraggiare, promuovere, inventare.
E con le istituzioni locali?
È stata una felice intuizione quella di
legarsi al territorio. Anche l’impegno
per la mondialità è una caratteristica
del COE, una costante a tutti i livelli. Il
COE ha investito moltissimo sulla valle
e tutta la Valsassina ha fatto tesoro del
COE come risorsa. Non vorrei dimenticare
il ruolo del prof. Vittorio Calvetti,
assessore provinciale all’Istruzione
in quegli anni lontani. Con il Provveditore
agli Studi di Como, Calvetti e il
COE si creò un triangolo virtuoso che
permise, in pochi anni, il decollo della
scuola media in Valsassina, allargando
la fascia di utenza dell’istruzione
obbligatoria. Le istituzioni compresero
che il COE non avrebbe dato un
appoggio distaccato e formale, ma un
progetto educativo da condividere.
9

Creatore è l’altro nome di Dio e
l’uomo è, per eccellenza, la sua
creatura più completa, non necessariamente
la più importante, ma
è quella che ha ricevuto il compito
di continuare la sua opera creatrice.
Come dice il poeta, Dio non ha bocca
per parlare agli uomini, ha solo la nostra.
Dio non ha mani e piedi per costruire
e camminare, ha solo le nostre
mani e i nostri piedi. A luce di quanto
appena detto, l’uomo è rivestito di
maggiori responsabilità in relazione a
tutte le altre creature ed è chiamato a
mettere in essere i doni che il Signore
gli ha dato, moltiplicarli piuttosto che
nasconderli in modo da rendere la propria
vita e quella degli altri più degna
di essere vissuta.
Se è valido il pensiero secondo cui
ogni uomo e ogni donna sono chiamati
innanzitutto ad arricchire la propria
esistenza con scelte e decisioni opportune,
si distinguono coloro che singolarmente,
o assieme ad altri, si impegnano
nella creazione di un mondo nuovo.
Costoro si possono riconoscere anche
dai piccoli gesti di cordialità umana
come dalle grandi scelte quale quella di
impegnarsi, in maniera non episodica,
10
IMPEGNO PER UN MONDO NUOVO
di Francisco Pacavira
Compleanno
nella ricerca delle migliori soluzioni alle
sfide del proprio tempo con una attenzione
particolare agli ultimi.
Sotto questo punto di vista, il COE, nel
suo piccolo, continua l’opera creatrice
del Signore e nel cammino percorso si
evidenziano le opportunità create perché
persone e culture dialogassero in
diversi luoghi del globo terrestre. Inoltre,
vanno sottolineati l’organizzazione
di eventi e le opere di promozione
umana in cui la formazione
e l’educazione rivestono
un ruolo di vitale
importanza, tra l’altro,
frutto di una scelta ben
precisa: creare una realtà,
viverla attivamente,
con scopi ben precisi.
La presente riflessione
avviene quando il COE
ha appena celebrato il
suo cinquantesimo anniversario
della fondazione,
la cui preparazione
e festa sono state improntate
dalla riscoperta
della spiritualità di don
Francesco, del suo modo
di vedere e di fare le
cose, dal suo stile e carisma nonché da
un’analisi profonda circa la validità del
progetto iniziale, ossia le ragioni per
cui nacque il COE. La comunità del
COE di Roma si è trovata a riflettere sul
marchio storico con alcune domande
che richiedono innanzitutto risposte
personali, che intendiamo condividere
con chi leggerà questo articolo.
Ma il COE, ha ragione di continuare ad
esistere? Il COE sta rispondendo alle
sfide attuali? Il COE continua l’opera
di creazione di Dio o guarda se stesso
perdendo la direzione cui guardare
e scegliendo di subire gli eventi e non
più crearli? Cosa sarà il COE entro dieci,
quindici anni? Come vorremmo che
fosse nei prossimi vent’anni?
Domande apparentemente retoriche,
ma che rivestono una certa importanza
strategica, perché investire è creare,
è aver fiducia nel futuro. Nel momento
in cui si lascia di investire, di osare
e sognare, di volere trasformarsi per
meglio rispondere alle sfide del nostro
tempo, uccidiamo il futuro.
“Se tornassi indietro io rifarei quella
strada piena di incanti, di incontri che
ci facevano subito amici, che ci legavano
profondamente”. (Don Francesco)
Roman del Turkmenistan ed Elias d’Israele

La 20ª edizione del Festival del
Cinema Africano, d’Asia e America
Latina si terrà a Milano dal
15 al 21 marzo 2010: un appuntamento
ormai storico per gli appassionati
del cinema del sud del mondo,
l’unico festival in Italia interamente
dedicato alla conoscenza della cinematografia,
delle realtà e delle culture
dei paesi dell’Africa, dell’Asia e
dell’America Latina.
Il programma del 20° Festival del
Cinema Africano, d’Asia e America
Latina prevede le ormai consuete
due sezioni “competitive” - Concorsi
Finestre sul Mondo - aperte
ai lungometraggi di fiction e ai documentari
di Africa, Asia e America
Latina e due concorsi riservati esclusivamente
all’Africa: Concorso per il
Miglior Film Africano e Concorso per
i Migliori Cortometraggi di Fiction e
Documentari (unificati quest’anno in
un’unica sezione).
Tra i film del Concorso Finestre sul
Mondo, da Haiti l’ultimo film di Raoul
Peck, Moloch Tropical, lettura creola
del Moloch di Sokurov, un’acuta e
inquietante rappresentazione della
follia del potere assoluto.
Novità di quest’anno: la collaborazione
con l’International Film Festival
Rotterdam (27 gennaio - 7 febbraio
2010) per la presentazione in prima
nazionale di una selezione di film
del programma “Where is Africa”. E’
la prima volta che un festival internazionale
del calibro di Rotterdam
dedica all’Africa un focus così ricco
e innovativo e siamo felici di poterlo
portare in Italia.
L’idea nasce da Gertjan Zuilhof (programmatore
storico di Rotterdam)
che dichiara: “Non c’è altra ragione
nell’aver fatto ora questa sezione se
non che avremmo dovuto farla prima.
È evidente che l’Africa non è
IL FESTIVAL
COMPIE 20 ANNI!
a cura di Gabriella Rigamonti
rappresentata nell’ambito dei festival
internazionali se non per qualche
film selezionato. L’idea era quella di
andare nei paesi meno rappresentati
e incontrare i filmmaker locali”.
Il programma “Where is Africa” includerà
nuovi corti e lunghi dedicati
al cinema indipendente africano, in
particolare dall’Africa anglofona, e
presenterà anche la nuovissima serie
dal titolo provocatorio Forget Africa
costituita da film commissionati dal
festival di Rotterdam e girati nel continente
da registi asiatici e occidentali
in collaborazione con registi locali.
Ai registi è stato chiesto semplice-
11

mente di viaggiare ciascuno per una
paese africano a sua scelta e girare
un film sulla base delle loro prime
impressioni.
A Milano in occasione del festival
sarà quindi proposta una selezione
dei film africani di “Where is Africa”
e per interno, lo speciale focus
“Forget Africa” che includerà quindi
opere del filmmaker filippino Khavn
De la Cruz (Cameroun), della regista
Malese Tan Chui Mui (Sudafrica),
delle registe americane Kimi Takesue
(Uganda) e Deborah Stratman (Malati),
della filmmaker Indo – americana
Pia Sawhney (Ruanda), del
filmmaker tedesco Uli Schuppel e
dell’artista Sherman Ong (Tanzania),
della filmmaker filippina residente
in Pechino Joanna Arong Vasquez e
dell’artista/regista tailandese Jakrawal
Nilthamrong (Zambia), dell’indonesiano
filmmaker Edwin (Kenya),
dell’americano Kevin Jerome Everson
(Angola) e dell’artista austriaca Ella
Raidel (Mozambico).
“Africa nel pallone”: sempre attento
alle tematiche forti che provengono
dal continente africano, e soprattutto
alle immagini che questo continente
produce, in occasione dei Mondiali
del 2010 in Sudafrica, il Festival ha
deciso di dedicare un focus al calcio
nel continente. Il programma “Africa
nel pallone” presenterà quei film
e video che negli ultimi anni hanno
dato espressione al rapporto intenso
e complesso tra il football e l’Africa
mostrandone gli aspetti più appassionati
e positivi (il forte valore di aggregazione
sociale e nazionale del gioco
del calcio); ci sarà spazio per il calcio
femminile, ma anche per documentare
realtà più contraddittorie come
la tratta dei piccoli calciatori africani
attirati dal sogno di diventare dei
grandi campioni.
12
Un fotogramma del cortometraggio “Ils se sount tus”
Il fuoriconcorso del Festival presterà
un’attenzione particolare ai registi
italiani con la sezione “Extra” presentando
opere rivolte ai tre continenti
protagonisti del Festival e
che trattano problematiche relative
all’immigrazione in Italia.
Abbracciando lo slogan il “Razzismo
è una brutta storia”, il Festival
parteciperà inoltre alla campagna
lanciata da “la Feltrinelli” su un tema
sempre più attuale e urgente, l’antirazzismo,
con una sezione di film
ispirati al tema e una serie di incontri
ed eventi.
Questa nuova collaborazione tra Festival
e la Feltrinelli ha dato vita al
Premio Feltrinelli che si aggiunge
agli altri premi del Festival e che sarà
consegnato al miglior film del festival
che affronta il tema del razzismo.
Alla programmazione nelle sale cinematografiche
si affiancano gli eventi
del Festival Center, uno spazio di incontro/bar
per gli ospiti del Festival
e gli spettatori che accoglierà varie
iniziative: mostre e attività multidisciplinari
(danza, atelier di decorazione,
giochi di società…) ispirate
alle culture dei tre continenti e, tra
le novità di quest’anno, la stanza
dei bambini e il film&bookcrossing,
scambi di indirizzi ed esperienze di
viaggi e immagini dal sud del mondo.
Il Festival Center è ubicato nel bastione
ovest di Porta Venezia e sarà
attivo da martedì 16 a domenica 21
dal mattino fino alle 20. Tutte le attività
per il pubblico saranno gratuite.
Dalle 17 alle 18 all’Ora del Tè, il festival
vi aspetta per conversare con i
registi ospiti sorseggiando i tè delle
diverse culture.
Dalle 18.30 alle 20.00 l’Etno-Bar offre
al pubblico un happy hour con
assaggi di cibo dal mondo.
Alcuni film del Festival anche
quest’anno circuiteranno su tutto il
territorio italiano toccando altre città
italiane.

FINESTRA SUL MONDO
STORIA DI UN FESTIVAL
Don Francesco Pedretti, padre Bellucci, padre
Bruno alla prima edizione del Festival
Il Festival del Cinema Africano nasce
a Milano nel 1991 nell’ambito delle
iniziative che il COE ha promosso
per diffondere in Italia la conoscenza
delle culture e dei popoli dell’Africa. E’
da subito che si afferma anche come
occasione d’incontro e di approfondimento
dei temi e dei linguaggi di nuove
cinematografie, quelle africane e
della diaspora africana nel mondo.
Molti sono gli obiettivi che il COE, attraverso
la realizzazione del Festival,
ha perseguito fin dall’inizio e che nel
corso degli anni si sono riaffermati in
tutta la loro urgenza rendendo sempre
più determinato l’impegno del COE in
questo campo:
- veicolare un’immagine del Sud del
mondo, con i suoi problemi, le sue
aspettative e le sue realtà culturali e
sociali, attraverso il punto di vista dei
registi locali;
- sollecitare nelle scuole l’introduzione
degli audiovisivi come strumenti didattici
per l’educazione all’immagine e
per l’approccio interculturale;
- offrire alle comunità straniere in Italia
un’opportunità d’incontro con la pro-
pria cultura d’origine;
- proporre un’alternativa concreta alla
cultura e all’informazione corrente
dei mass media in rapporto al Sud del
Mondo;
- dare un’opportunità ai registi di entrare
in contatto con le istituzioni europee
di produzione e distribuzione
cinematografica;
- stimolare uno scambio culturale tra
gli artisti, il pubblico, i giornalisti e i
professionisti del settore degli audiovisivi;
- approfondire la conoscenza dei temi
e dei linguaggi delle cinematografie
meno conosciute e mettere in evidenza
le potenzialità della creatività artistica
dei tre continenti.
Per i primi 9 anni il Festival del Cinema
Africano di Milano rimane legato
esclusivamente all’Africa.
La sua proposta cinematografica si rivela
di grande importanza perché, grazie
a una visione dell’Africa e del mondo
proposta da autori africani, il Festival
propone un’alternativa concreta alla
cultura e all’informazione corrente dei
mass-media.
Il film TILAI è il vincitore della prima edizione del Festival
Nel corso degli ultimi anni ‘90 la programmazione
del festival si arricchisce
man mano di nuovi orizzonti geografici
e di nuove sezioni, come la sezione
video che evidenzia l’entrata nell’era
del digitale.
Con la Sezione ”Finestre sul mondo”,
istituita nel 2000, si valicano i confini
dell’Africa aprendo il Festival ad una
dimensione di cinema meticcio dove i
limiti culturali e razziali si fanno sempre
più labili.
Con questa sezione cominciano a comparire
sugli schermi del festival film dai
Caraibi, dal Pacifico, dall’area mediorientale,
dall’Asia e dal Sudamerica. La
ricchezza e la varietà di questa produzione
cinematografica ci spingono,
pochi anni dopo, a riformulare il regolamento
del concorso e a modificare
radicalmente la struttura del festival.
Nel 2003 infatti il il Festival del Cinema
Africano di Milano prende il nome
di Festival del Cinema Africano, d’Asia
e America Latina estendendo la competizione
al cinema dei tre continenti.
Nasce la sezione competitiva di lungometraggi
provenienti da Africa, Asia e
America Latina: Concorso Lungome-
13

traggi “Finestre sul mondo” e la sezione
competitiva di documentari provenienti
da Africa, Asia e America Latina:
Concorso Documentari “Finestre sul
mondo”
Ai Concorsi Finestre sul Mondo si affianca
la sezione “Panoramica sul cinema
africano” che accoglie tutte le nuove
produzioni africane
fuori-concorso.
Dal 2006 anche questa
sezione diventa competitiva
con la creazione
di un Premio al Miglior
Film Africano del Festival.
Le altre sezioni del festival:
Concorso Cortometraggi
Africani (aperto a
fiction e documentari),
Retrospettive e Sezioni
a tema rimangono dedicate
al cinema africano
per mantenere viva la
tradizione e la specificità
del festival.
I motivi di quest’apertura
del festival agli altri
continenti del Sud del
mondo sono molteplici.
Innanzitutto la richiesta
degli stessi registi africani
di partecipare ad una
competizione che non
14
Serata finale alla 18ª edizione
si limiti al cinema africano
ma che apra le
porte ad un confronto
con altre cinematografie.
Si moltiplicano gli
sguardi sulle cinematografie
più nascoste
per un ulteriore arricchimento
del dialogo
multiculturale.
Nel corso degli anni
il pubblico del festival
è numericamente
cresciuto arrivando a
circa 14.000 presenze
nell’ultima edizione.
Se grande è l’interesse
del COE per il
pubblico in generale,
non meno grande è
quello per il pubblico
scolastico e i giovani
universitari. Il COE infatti, sin dall’inizio
delle sue attività, ha rivolto proprio
al mondo scolastico una particolare
attenzione per la formazione di educatori
e di giovani con una mentalità
e un atteggiamento aperti ad una dimensione
interculturale, proponendo
percorsi didattici che privilegino le
La serata di premiazione dell’ultima edizione del Festival
produzioni artistico-espressive come
strumenti di conoscenza di sé e degli
altri.
L’organizzazione all’interno del festival
di uno Spazio Scuola e di uno Spazio
Università rispondono proprio a questa
esigenza. Le giornate del Festival
sono così rese gioiose dalla partecipazione
di tante classi delle scuole elementari,
medie inferiori e superiori alle
diverse proiezioni appositamente organizzate
per le scuole. Alcuni studenti
delle scuole superiori sono chiamati a
costituire una giuria multiculturale per
conferire ad un cortometraggio africano
un premio messo a disposizione dal
CEM (Centro Educazione Mondialità –
Padri Saveriani), mentre una giuria di
insegnanti conferisce il premio ISMU.
Incontri con registi ospiti del Festival
si tengono in varie Università e molti
studenti-stagisti collaborano con diverse
mansioni all’organizzazione e allo
svolgimento della manifestazione.
Come dalla prima edizione, insieme
alla competenza e alla serietà professionale
i collaboratori e i volontari del
COE continuano a mettere a disposizione
del Festival il loro entusiasmo e
la loro generosità garantendo ad ogni
edizione un grande successo.

The projet
Cortometraggi africani
Alcuni film, selezionati nell’ultimo Festival,
distribuiti in Italia dal COE
E’ un’opera prima il cortometraggio di Mohamed Ali
Nahdi, The projet, vincitore del premio CEM-Mondialità.
Le monologue de la muette
Questo documentario della senegalese Khady Silla e
del belga Charlie Van Damme, vincitore del Premio
CUMSE, ci porta nel mondo di Amy, “bonne”, cioè
collaboratrice domestica, “politicaly correct” parlando,
o serva, realisticamente parlando, presso una
famiglia di Dakar .
Il mondo di Amy è un mondo chiuso tra le quattro
mura della casa in cui lavora duramente, avvolto in
un remissivo silenzio. Non c’è comunicazione con
la padrona, che le rivolge la parola solo per impartire
ordini o muovere rimproveri e a cui deve un’ossequiosa
ubbidienza e non c’è più comunicazione con
Un viaggio nelle scorribande notturne dei giovani tunisini
di un quartiere degradato, di cui è protagonista il
giovane Sami che passa il tempo tra risse, furti e incomprensioni
familiari, finché non viene arrestato.
Una Tunisi, poco riconoscibile, ma uniformata a tutte le
metropoli per la piccola delinquenza che la abita, che
scorre davanti ai nostri occhi a ritmo forsennato.
Lo sguardo dell’autore è severo, grazie anche a una fotografia
plumbea e a dialoghi secchi: non ammette scusanti
neanche quando entra in gioco l’escamotage della
finzione filmica, perché la critica alla sovrastruttura è
più severa di quella alla struttura.
Si accenna, in conclusione, a una garbata censura che
mina, con una terribile naturalezza, il mondo culturale
e per la quale lo sguardo sconcertato del regista nel
finale non sembra ammettere possibilità di soluzione.
la casa, la famiglia che è rimasta al villaggio, lasciato
come molte altre coetanee, insieme agli studi, per cercare
un po’ di fortuna in città.
Amy, dal volto fiero, ma triste, che porta tutti i segni dei
sogni che non ci sono più e del dolore con cui convive,
nella sua solitudine, tace, ma parlano i suoi pensieri,
che viaggiano malinconicamente verso casa, in modo
da non annullare completamente dentro di sé il legame
affettivo, spezzato nella realtà.
Invece, parlano in macchina, intervistate, altre ragazze
come lei, costrette alla stessa scelta, che, con umiltà e
un velo di tristezza, ammettono le rinunce e le speranze
accantonate.
E parlano anche i due autori attraverso una drammatizzazione
rap al femminile di quelli che sono i voli
dell’anima di queste donne che vivono sfruttate, in una
forma di schiavitù socialmente accettata, per la quale
raramente conoscono ribellione e solidarietà dall’esterno.
E ne esce così un monito duro, fermo contro lo sfruttamento
tanto del corpo quanto dell’anima di coloro che
non hanno voce o, meglio, che hanno rinunciato ad
averla, nella convinzione che il loro destino non possa
essere che quello.
15

16
cameroun
La Diocesi di Mbalmayo in festa
di Abbé Adalbert Balla
Sabato 23 Gennaio 2010, la Diocesi
di Mbalmayo (Cameroun) ha vissuto
un momento di gioia intensa e di
preghiera nella celebrazione del 25mo di
episcopato di Mons. Adalbert Ndzana,
vescovo di questa Diocesi.
L’iniziativa promossa dal clero diocesano
che conta un’ottantina di preti ha previsto
un buon periodo di preparazione con riunioni
settimanali, e, a ridosso della festa,
una conferenza sul programma pastorale
del vescovo, un concerto di musica religiosa,
un pellegrinaggio al Santuario Maria
Regina della Pace, con mobilitazione
d’un gran numero di fedeli.
Il giorno della festa, il piazzale adiacente
alla cattedrale, chiamato Piazza Mons.
Paul Etoga, è stracolmo di fedeli venuti da
tutte le parrocchie della Diocesi per festeggiare
il loro Vescovo. Su questa stessa
piazza, il 20 gennaio 1985, il giovane
prete, l’abbé Adalbert Ndzana riceveva
delle mani del Nunzio Apostolico Mons.
Donato Squicciarini, la consacrazione
episcopale che lo designava successore
di Mons. Paul Etoga, primo Vescovo della
Diocesi di Mbalmayo e primo Vescovo
nero dell’Africa francofona. E’ lui oggi,
il Vescovo festeggiato Mons. Adalbert
Ndzana, a presiedere l’Eucaristia, attorniato
dai due Arcivescovi di Yaoundé e
di Douala, dai Vescovi di Obala, Eseka,
Doumé/Abong Mbang, Kribi, dal Segretario
Incaricato d’Affari della Nunziatura,
da numerosi prelati e da un centinaio di
preti, senza contare i numerosi religiosi
e le religiose. Sono presenti anche il
rappresentante personale del Presidente
della Repubblica, Ministro e Segretario
Generale del partito al potere, numerosi
membri del Governo e numerose autorità
civili, politiche e militari.
Insomma, la celebrazione delle nozze
d’argento del nostro Padre e Vescovo
Mons. Adalbert Ndzana, è per tutti un
grande evento di grazia e di riconoscenza
a Dio per il dono che ha fatto alla Chiesa
di Mbalmayo.
Veniamo ora ai momenti forti che hanno
segnato questo avvenimento.
Il primo è dato dalla profondità e la pertinenza
delle due allocuzioni pronunciate
all’inizio della cerimonia: quella del Sindaco
di Mbalmayo M. Dieudonné Zang Mba
che ha presentato un bilancio delle opere
realizzate dal Vescovo, tra cui un nuovo
Collegio per l’insegnamento Secondario,
un nuovo Ospedale e due Santuari (Maria
Regina della Pace a Nkol Ebindi e Sacro
Cuore a Mbog-Kulu) e quella del Vicario
Generale della Diocesi Mons. Raphael
Ondigui, che ha espresso il senso di legittima
riconoscenza a Dio per l’azione
pastorale svolta nella Diocesi di Mbalmayo
attraverso il suo servo Mons. Adalbert,
sottolineando anche il fatto che la celebrazione
di questo anniversario è stata
voluta e sostenuta da tutto il clero e dal
popolo in segno di
riconoscenza al loro
Pastore. Il secondo
momento forte è stato
l’omelia del Padre
Joseph Marie Ndi
Okalla che, dopo
aver commentato le
letture della messa
si è soffermato sui
due sentimenti che
devono albergare
nell’anima del nostro
Padre Vescovo
in questo giorno giubilare:
un sentimento
di legittima gioia
e di soddisfazione
per il bene compiuto e ricevuto e un sentimento
di umiltà e di compunzione per
le proprie mancanze. Precisando che uno
non esclude l’altro, il predicatore ha abbondato
sul sentimento dell’amore, dono
di Cristo, facendo il parallelo con l’azione
pastorale del nostro Vescovo. Un terzo
tempo forte è stata la benedizione nuziale
a 23 coppie, coronamento della pastorale
familiare, uno dei punti fondamentali del
ministero episcopale di Monsignor Adalbert
Ndzana. E’ stato un bel “bouquet” di
23 matrimoni, con lo spettacolo delle graziose
spose dal bianco vestito svolazzante
in mezzo alla piazza, tenute per mano dai
loro sposi in abito di festa.
L’ultimo momento forte è stato il discorso
dello stesso “Giubilante” che ha nuovamente
sottolineato la duplice dimensione
di questa festa: la dimensione verticale
che rinvia a Dio autore di tutti i beni e
quella orizzontale in direzione degli uomini
a cui ha espresso la sua riconoscenza
per i tanti sacrifici consentiti.
Sono seguite, infine, diverse testimonianze
tra cui quella molto toccante di Mons.
Victor Tonye Bakot, Arcivescovo di Yaoundé,
e le lettere di felicitazioni e di incoraggiamento:
quella di Benedetto XVI con
la benedizione papale, del Cardinal Dias
della Sacra Congregazione per l’Evangelizzazione
e del Nunzio Apostolico Mons.
Eliseo Antonio Ariotti. Da notare le tre
lingue ufficiali usate in tutta la cerimonia,
l’ewondo, il francese e l’inglese, e il latino
per la lettera del Papa.
La cerimonia, durata cinque ore - ma in
Africa il tempo non si misura ! - si è conclusa
con l’offerta dei doni al Vescovo,
primo fra tutti quello del capo dello Stato:
una valigia con un servizio completo di
messa. Dopo il banchetto eucaristico, la
festa è continuata al Centro Diocesano
d’Accoglienza sulla collina di Mbog-Kulu
con la partecipazione di molti invitati, vescovi,
preti, autorità civili e religiose. Le
corali, i catechisti e tutti gli animatori parrocchiali
con in testa le diverse associazioni
hanno avuto pure le loro parte.
Rendiamo grazie a Dio per il dono di questo
grande Pastore e a lui diciamo: «Ad
multissimos annos».

cameroun
Nel sesto secolo prima dei nostri tempi
i marinai cartaginesi condotti da
Hanno, il Navigatore hanno dato il
nome di Carro di Dio al Monte Camerun,
che il popolo Bakweri della zona chiama
Mongo ma Loba cioè Montagna di Dio, un
vulcano attivo fino ai nostri giorni e la più
alta dell’Africa Centrale (4100 m). La città
di Buea capoluogo della regione del Sud-
Ovest si trova ai suoi piedi.
Da più di un anno Monsignor Immanuel
Buschu, vescovo della diocesi di Buea ha rivolto
l’invito al COE a essere presente nella
sua diocesi.
Diversi impegni hanno fatto rimandare l’incontro
col Vescovo e l’occasione propizia é
arrivata quando Nicoletta ha ricevuto l’invito
dalla sua amica suora carmelitana nel
monastero di Sasse a Buea di partecipare
alla professione religiosa di Suora Maria Teresa
di Gesù il 7 novembre 2009.
Per partecipare a questo avvenimento e nello
stesso tempo per incontrare il vescovo
partiamo Pina, Nicoletta, Aurora e Magloire
da Mbalmayo la mattina del 6 novembre
a bordo della vettura del CPS per arrivare
a metà pomeriggio a Buea dove troviamo
l’amica Mirabelle, conosciuta durante l’ultimo
CFAS, che ci fa da guida. Dopo una
breve sosta all’albergo si va direttamente al
Vescovado dove Mons. Buschu ci attende.
Pina incomincia presentando la delegazione
che l’accompagna poi passa a parlare
dell’impegno del COE nel mondo e in Ca-
Ascensione
verso le “Char de Dieu”
di Mbarga Manga Magloire
merun e conclude affermando
che, nonostante
la scarsità dei
mezzi, il COE assume
questi impegni con
gioia e fiducia nel Signore
che ci interpella
a essere presenti
dove c’è bisogno.
Monsignore da parte
sua presenta il suo
impegno nella formazione
(scuola di teologia
e di musica) e le
sue preoccupazioni
per l’animazione e la
formazione dei giovani
a Buea che è sede
di una delle più grandi università del Camerun
nella zona anglofona. Espone anche
la sua idea di un Centro di formazione dei
giovani in tecniche di produzione agricola
biologica. Augura che il COE possa collaborare
e introdurre novità come il turismo,
l’arte e altre iniziative utili per la crescita dei
giovani di questa diocesi.
Il giorno dopo rivediamo il Vescovo in cattedrale
durante la commovente cerimonia
dei voti perpetui della giovane suora carmelitana
accompagnata dai suoi genitori giunti
dalla Sicilia!
L’incontro con Monsignor Immanuel Bushu,
un uomo aperto, semplice e umile che ci ha
parlato dei suoi impegni, delle sue preoccu-
UN AVVENIMENTO STRAORDINARIO
di Gabriella Pasqui
pazioni e dei suoi progetti per la pastorale
dei giovani, ci ha fatto scoprire che la mietitura
è grande e gli operai sono poco numerosi…
In altre parole, usando la metafora
adatta al posto, l’ascensione della montagna
è lunga e difficile e gli accompagnatori sono
pochi… Il vescovo ha invitato il COE a dare
il suo contributo all’edificazione di uomini
nuovi per un mondo nuovo a Buea, città del
popolo Bakweri, città universitaria e capoluogo
della regione del Sud-ovest, con tante
potenzialità da valorizzare.
Negli usi delle culture tradizionali africane
un uomo maturo e rispettoso non parla molto…
non chiede, si esprime…A noi di capirlo
e rispondere al suo desiderio…
Tale può definirsi un concerto di chitarra classica al carcere di
Mbalmayo tenuto l´11 Febbraio 2010 in occasione della «Fete de
la Jeunesse» dal maestro Michelangelo Severi.
Il maestro è in Cameroun con la moglie Gabriella per un´esperienza
di due mesi e mezzo di volontariato col COE. Essendo i prigionieri
abituati ai ritmi frenetici dei tamburi, balafon e tam tam, eravamo
dubbiosi sull’accoglienza che avremmo ricevuto.
Invece i carcerati hanno ascoltato la musica, prima timidamente,
poi rapiti ed estasiati in un “CRESCENDO”...trascinati dall’esecuzione
del maestro, travolti dall’entusiasmo e dall’emozione che ci
ha coinvolto tutti.. Ci hanno lasciato col grido “Incroyable! Tornate:
le porte sono aperte...” Quel momento è stato un coro, una preghiera
rivolta verso l´ALTO…!
17

Tapili lunedì, 14 dicembre 2009.
Verso le 17, viene notato un
passaggio massiccio di persone,
provenienti dai villaggi situati a
30 Km, verso la strada che porta a
Buta. Esse ci informano che i soldati
del L.R.A. (l’esercito di resistenza del
Signore) si trova a 80 Km da Tapili,
un villaggio tra Niangara, Ndingba,
Isiro e Poko, importante
centro
cittadino della
zona.
L’im p r ov vis o
movimento di
truppe non ci
ha permesso di
passare la notte
tranquilli, ma
abbiamo vegliato
fino all’alba
in un clima di
paura e di smarrimento.
Durante la notte,
infatti, il gruppo
dei ribelli del
L.R.A. si muove
in direzione di
Tapili e martedì
mattina, mentre
siamo riuniti
cercando di capire
la situazione
e organizzare il da farsi, giunge ad
appena 3 Km dal nostro villaggio.
Essi intendono, dapprima infiltrarsi,
circondare totalmente la popolazione
e infine agire.
Crediamo in un aiuto divino quando
un soldato della FARDC, l’esercito
regolare congolese, che si trovava a
Tapili in missione di servizio, prende
il coraggio di verificare le voci circolanti
e, accompagnato dal Capo ufficio
dell’Amministrazione, ben armato,
si avvia con la moto in direzione
dei ribelli.
18
Disgraziatamente i due, incappati in
un’imboscata, cadono nelle mani degli
assalitori e vengono uccisi davanti
alla chiesa protestante di Tapili. Vengono
spogliati e derubati dei fucili e
delle munizioni. È il panico!
Gli assalitori, che avevano preceduto
il gruppo, cominciano a sparare,
rubare, massacrare, incendiare... e
poco dopo i ribelli invadono l’abitato,
ciascuno con un obiettivo preciso:
devastare.
La situazione è disastrosa. La paura
mi paralizza. Ma quando gli assalitori
si sparpagliano nelle stradine, tra le
case in fiamme, fuggo con la famiglia
senza prendere niente. Solo quando
riprendo un po’ di coraggio, ritorno
indietro e, per grazia di Dio, riesco a
recuperare la mia bicicletta e la mia
borsa con i diplomi scolastici. Poi mi
nascondo cercando di identificarli.
Ne vedo quattro in divisa con cap-
congo r.d.
I ribelli del L.R.A. a Tapili
dal racconto di Kamango
Donne e bambini sfollati
pello, gambiere, uniforme color militare,
ben armati ed equipaggiati.
Il terrore mi prende e, senza perder
tempo, cerco di mettermi in salvo.
I ribelli si incamminano verso la Parrocchia
cattolica S. Paolo di Tapili
dove sfondano le porte della chiesa,
entrano in sacristia, rompono gli armadi
con gli abiti della messa, aprono
il tabernacolo,
prendono le
ostie consacrate,
i calici, il ciborio
e distendono
tutto sulla strada
mettendoci sopra
una scopa.
Compiuto il sacrilegio,
tornano
verso il centro
di Tapili aumentando
i danni
materiali.
Verso la sera dello
stesso giorno
alcune fucilate
r i m b o m b a n o
nell’aria per annunciare
la fine
del saccheggio.
I ribelli ritornano
indietro per
la stessa direzione
da cui erano venuti, portandosi
con loro i prigionieri e i beni rubati.
Due giorni dopo uno dei fuggiaschi
di Tapili ci racconta che nei villaggi
intorno alla città altre persone erano
state uccise a colpi di macete...
Questo è il racconto della mia esperienza,
ma come si può immaginare,
le parole non bastano a descrivere la
disastrosa situazione del nostro paese
nel quale centinaia di persone trovano
la morte e altre vivono in condizioni
disumane.

congo r.d.
In Congo i tempi difficili non sono
passati. A circa un anno dal massacro
della popolazione nella parte
Nord-Est del paese, per mano dei ribelli
LRA (The Lord’s Resistence Army di
Joseph Kiny), Rungu continua ad accogliere
gente di tutte le età che fuggono
dai villaggi sinistrati.
L’ultimo attacco di questi ribelli, avvenuto
il 13-14 e 17 dicembre scorso a
Tapili, villaggio a 45 km da Niangara e
85 da Rungu, non ha fatto che peggiorare
la situazione già angosciante della
popolazione.
I fuggitivi arrivati in città sono stati migliaia
in condizione di vita deplorevole.
Tanti sono stati accolti nelle famiglie,
altri sono stati ospitati all’ufficio della
croce rossa, e un grande numero nell’ex
internato delle scuole e nelle scuole
elementari Ababu e Tchembete, dove
di notte si dorme, mentre di giorno si
fa ugualmente scuola. Le difficoltà con
cui si devono confrontare sono tante:
alloggio, fame, igiene personale. Manca
il necessario per la preparazione del
cibo e per la cura delle malattie...
L’aumento della popolazione ha determinato
inoltre altri grandi inconvenienti,
come l’insufficienza di gabinetti,
Famiglia di sfollati
Non dimentichiamoli!
le volontarie di Rungu
di sorgenti per
l’acqua, soldi
per curarsi. I
bambini hanno
dovuto interrompere
una
scuola, già precarianell’insegnamento,
nella
quale i maestri
non sono pagati
regolarmente e,
a volte, aspettano
il salario per
oltre tre mesi.
Da qualche settimana
anche
la nostra zona
è considerata
“zona rossa”,
cioè a rischio, per cui le autorità militari
hanno mandato una compagnia di
soldati allo scopo di proteggere la popolazione.
Purtroppo succede esattamente
il contrario. I militari molestano
la povera gente senza tanti preamboli.
Alle donne che ritornano dai campi
prendono con prepotenza i viveri, e
portano via i pochi animali allevati in
casa. Fermano chi passa, senza guardare
se giovane
o anziano, e si
impossessano
delle biciclette
e del carico trasportato.
Noi stiamo cercando
di aiutare
questa gente,
accogliendo in
ospedale quelli
gravemente
ammalati. Abbiamo
aperto
ai più bisognosi
il nostro centro
nutrizionale e
abbiamo offerto
alle donne
Difficoltà per far giungere gli aiuti umanitari
la possibilità di lavorare le coltivazioni
del centro nutrizionale per guadagnare
qualcosa per vivere.
Ma è una goccia d’acqua che si perde
nell’oceano.
Sono passati di qui i rappresentanti di
alcune ONG umanitarie che hanno rilevato
alcune statistiche dell’ospedale,
hanno fatto una ricerca dei bisogni più
urgenti, hanno promesso aiuti, ma finora
non è arrivato niente.
Anche se non siamo direttamente toccate,
noi viviamo le stesse situazioni di
disagio e di tensione della gente. Ogni
tre o quattro giorni ci arrivano notizie
non poco belle. Non lontano da noi
i ribelli tornano a farsi vivi periodicamente
massacrando e creando panico
nella gente. Davanti a noi, lungo la
strada, mamme e bambini stremati, in
cammino con in testa le poche cose
che hanno, tentano di allontanarsi e
mettersi al sicuro.
Non si può restare indifferenti.
Sappiamo che richieste di aiuto giungono
da ogni parte della terra, ma
speriamo che qualcuno metta a fuoco
i bisogni urgenti della popolazione di
Rungu e dia una mano.
19

20
Educare attraverso lo sport
di Matteo Sametti
Derrick Shimaninga, Lovemore
Tembo, Gibby Mwale, Closter
Mukoka, Ernest Banda, Jane
Seke e Memory Malupande. Chi sono
costoro?
Sono i protagonisti della Never Give
Up, circuito podistico articolato su
cinque prove campestri su distanze e
percorsi diversi, nel distretto di Kafue
in Zambia organizzato dal St. Ambrose
Trade Centre colla sponsorizzazione
dell’Atletica Lecco Colombo Costruzioni.
Da quest’anno il programma sportivo
‘Never Give Up’ si è arricchito con
l’introduzione del Never Give Football
Tournment che coinvolge 80 squadre
suddivise in 5 categorie con 1300 giocatori
(e giocatrici) impegnati ogni sabato
sui polverosi o fangosi campi di
Kafue e dintorni.
Qui l’attività sportiva non rappresenta
certo una priorità. La mancanza d’infrastrutture,
il problema nazionale del
trasporto, lo scarso interesse per lo
sport in generale da parte di scuole,
famiglie, chiese (non in una delle 74
chiese di Kafue c’è un oratorio come
quello che frequentavo io da piccolo)
e l’assenza di società sportive fanno sì
che quel poco di attività che si pratica
è nelle mani di pochi appassionati illu-
minati, solitamente professori di scuola,
che cercano di fare qualcosa, ma non
sono in grado di assicurare continuità,
di trovare finanziamenti per l’attività di
base, di trovare manifestazioni dove
portare gli atleti. Qui è impensabile per
un genitore pensare di poter pagare
per l’attività sportiva dei figli, la scuola
costa e se si tiene conto che le famiglie
in media hanno tre quattro figli, si
comprende come la vita sia veramente
dura anche per chi ha un lavoro.
Non so se lo sport è un diritto, più o
meno inalienabile, come molti iniziano
a sostenere, ma non si può negare,
come sostenuto nel messaggio al
seminario ‘Sport, educazione e fede’
da Benedetto XVI che ‘lo sport possiede
un notevole potenziale educativo
soprattutto in ambito giovanile e, per
questo, occupa grande rilievo non solo
nell’impiego del tempo libero, ma anche
nella formazione della persona. Il
Concilio Vaticano II lo ha voluto annoverare
tra i mezzi che appartengono al
patrimonio comune degli uomini e che
sono adatti al perfezionamento morale
ed alla formazione umana’. Inoltre
nel messaggio il Papa sottolinea che
‘la Chiesa sostiene lo sport che aiuta
lo sviluppo integrale della persona e
sostiene lo sport per i giovani, valoriz-
zambia
zando appieno anche l’attività agonistica
nei suoi aspetti positivi, come, ad
esempio, nella capacità di stimolare la
competitività, il coraggio e la tenacia
nel perseguire gli obbiettivi, evitando,
però, ogni tendenza che ne snaturi la
natura stessa con il ricorso a pratiche
persino dannose per l’organismo, come
avviene nel caso del doping’.
Ed è proprio pensando all’intrinseca
capacità dello sport di stimolare
la competitività, il coraggio e la tenacia
nel perseguire gli obbiettivi che,
ormai quattro anni fa, scegliemmo il
nome ‘Never Give Up’ (tieni duro, non
mollare mai) per la competizione. Chi
opera in Africa sa quanto pesino nella
vita di tutti i giorni, e nello sviluppo
socio-economico più in generale, la
mancanza di tenacia, coraggio e competitività.
Spesso non si ha nemmeno
il coraggio di iniziare qualcosa: perché
tanto è inutile. Poi quando si parte con
un qualcosa a un grande entusiasmo
iniziale, segue di frequente l’abbandono
dell’iniziativa presa, per l’assenza di
tenacia. Infine specie nel lavoro è facile
vedere un appiattimento verso il basso
cause la mancanza di una sana competitività
e la kaduka (invidia) dilagante.
Chi pratica uno sport sa come sia difficile
allenarsi costantemente senza

zambia
un obiettivo definito. Le
due edizioni annuali del
circuito, con le gare a distanza
di due settimane
l’una dall’altra hanno lo
scopo di dare continuità
e una ragione valida per
cui allenarsi costantemente.
Mentre scrivo, sta
per concludersi la sesta
edizione delle campestri
e si stanno per disputare i
quarti di finale del torneo
di calcio. Molti ragazzi si
cimentano sia nella corsa
sia nel calcio, alcuni con
ottimi risultati. Le squadre
sono eterogenee per
composizione, estrazione sociale ma
sono tutte animate da un incredibile
entusiasmo.
Quest’anno oltre alle sette squadre originarie
se ne sono aggiunte altre nove
con una media di 320 partecipanti. Si
va dal disperato e poco professionale
team di Zambia Compound guidato
da un allenatore che assomiglia più a
un boss di quartiere che a un atleta al
team di Chipapa dal super tecnico Bornface
Tembo. Alcuni atleti di Zambia
Compound corrono con appariscenti
catene al collo tanto che, a parte uno
veramente forte, potrebbero fare i cattivi
nel video di qualche rapper americano.
Anche se i risultati sono scarsi
a noi questo team piace perché rappresenta
la voglia di uscire in qualche
modo dal compound di fare qualcosa
di diverso. Chipapa è animata da Bornface
Tembo, appassionato, tenace e
combattivo al punto che in una delle
scorse edizioni quando arrivo alla
partenza intorno alle 9 trovo già tutti
i team pronti. I coach, però, stanno discutendo,
qualcosa non va … Bornface
si trova al centro della discussione …
chiedo cosa non va … e mi spiegano
che Bornface vuole allungare la corsa
da due a tre, quattro giri perché è preoccupato
che il suo gioiellino Derick
possa soccombere su una distanza così
breve. E’ una debolezza forse inaspettata
per questo serio allenatore, vincitore
delle due precedenti edizioni con
due team diversi, anima della Never
Give Up, ma che la dice lunga sul suo
impegno e la voglia di vincere e determinazione
che trasmette agli atleti
negli allenamenti quotidiani.
Certo perché, come auspica Benedetto
XVI, l’attività sportiva sia strumento per
lo ‘sviluppo integrale della persona, bisogna
ancora lavorare molto, soprattutto
sugli educatori allenatori e sulla
sensibilità dei (pochi) luoghi naturalmente
preposti ad accogliere le attività
sportive come scuole e parrocchie, ma
che spesso trascurano i giovani e le attività
sportivo-ricreative
con le scuse più varie.
Ma a vedere questa moltitudine
colorata di mini
atleti lanciarsi determinati
e coraggiosi verso
l’arrivo, o le ragazzine
di Chikoka motivarsi prima
dell’inizio della partita
in cerchio pregando
e cantando si matura la
speranza, per non dire
qualcosa che assomiglia
più alla convinzione che
lo Zambia sarà migliore
sin dal prossimo futuro.
KAFUE
44 Km a sud di Lusaka, capitale
dello Zambia, fatte le debite
proporzioni, ricorda alcuni
paesi della periferia milanese
a vocazione industriale, e dalle
‘rovine’ ancora esistenti si
capisce che sicuramente negli
anni 70 era veramente una
bella cittadina.
Ora ad alcuni quartieri che furono
‘residenziali’, si alternano
‘compound’ o ‘slum’ (bassifondi),
dove numerosissime famiglie
vivono schiacciate in case
precarie, a volte dotate di antenne
paraboliche e televisioni
alimentate da vecchie batterie
d’auto, ma dove l’acqua filtra
facilmente nella stagione delle
piogge e la temperatura sale
come in un forno durante la
stagione secca, nelle strade
dei compound si trovano indifferentemente
galline, maiali,
cani addormentati, bambini,
prostitute, venditori di
popcorn, topi, spazzatura, affilatori
di coltelli e molto altro
inimmaginabile.
Ogni venti case c’è una taverna,
dove si consuma il
chibuku, la densa birra locale
ottenuta dal mais. L’alcolismo
è diffusissimo ed è concausa
dell’Aids. Anche se la scuola
pubblica primaria è da un
paio d’anni gratuita sulla carta,
l’accesso all’istruzione rimane
complicato tenuto conto della
pesante incidenza della voce
spese scolastiche sul bilancio
familiare, infatti, pur essendo
le tasse scolastiche minime,
restano tutta una serie di spese
accessorie quali divisa obbligatoria,
scarpe rigorosamente
nere e sempre lucide, quaderni
e libri, compassi e righelli ...
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AMBROGIO VOLONTÉ
Eravamo in tanti ad accompagnare Ambrogio per l’ultimo
viaggio una mattina fredda di febbraio, ma avremmo voluto
essere tutti da Barzio, da Santa Caterina, da Esino, da Roma,
dal Camerun … perché Ambrogio ha lasciato in ognuno di
questi luoghi e a ciascuno il ricordo della sua laboriosità
e semplicità. Era sempre pronto e disponibile ad affrontare
qualsiasi lavoro e a prevenire che cosa c’era da fare in casa,
in giardino rispondendo a ogni necessità. La sua specialità
era lavorare il ferro: “mani di acciaio” l’ha ricordato il
figlio Ivano, ma si industriava in qualsiasi lavoro. Sempre
era accompagnato dalla moglie Antonia e ritroviamo una
testimonianza affettuosa di don Francesco una volta che li
aveva incontrati a Roma: “L’accoglienza affettuosa di Antonia
e Ambrogio mi commuovono. Ho voluto dire loro la stima,
la riconoscenza e l’affetto: due persone sempre disponibili e
che fanno tutto (e sono impegni grandi) per amore. Vivono
il dono della vita come l’hanno sempre vissuto nel loro
matrimonio allargando il cerchio e aumentando l’impegno,
il dono.”
Purtroppo lunghi anni di sofferenza hanno costretto
Ambrogio all’inattività ma lo sentiamo vicino e presente
in tutto quanto le sue mani e il suo cuore d’oro ci hanno
lasciato.
Siamo vicini anche a Giuliano FUSI per la morte del caro
papà VITTORINO e preghiamo perché il Signore dia a tutta
la famiglia serenità e conforto.
libri
Ci è gradito presentare alcune
delle numerose pubblicazioni
sul lavoro educativo
svolto in questi anni dal professor
CARLOS DIAZ MARCHANT.
Il prof. Diaz, socio del COE da diversi
anni, docente di pedagogia
all’Università Cattolica del Cile, è
impegnato nello studio e nell’elaborazione
di nuove proposte educative
atte a promuovere un nuovo
modello di scuola in Cile.
HISTORIA DE LA EDUCACIÓN
CHILENA
(Storia dell’educazione cilena)
Anno 2007
È il racconto dei principali successi
dell’educazione nel Cile.
POR UNA ESCUELA CARIÑOSA
(Per una scuola affettiva) Anno 2008
Questo libro fa conoscere l’importanza
di insegnare attraverso l’amore e
l’affetto.

iniziative d’inverno
DICEMBRE
2009
Ogni quadro,
ogni
opera d’arte,
ci racconta
una
storia e ci
trasmet te
un’emozione.
L’emozione
arriva fino
al nostro
cuore attraverso numerosi dettagli, tra cui,
all’osservatore più attento non sfugge di certo,
l’uso del colore.
Ecco che il colore viene percepito allora come
una sensazione, quella che il pittore vuole fare
arrivare come proprio messaggio.
Perché al semaforo quando è rosso ci si ferma
e con il verde si va? Di che colore vestiamo un
bambino in un prato verde per poterlo vedere
meglio? La scelta di un colore al posto di un
altro nasconde un preciso significato.
Nel laboratorio i ragazzi hanno risposto insieme
a queste ed altri semplici domande, hanno
compiuto degli esperimenti creativi per gustare
con sorpresa cosa si ottiene mescolando
insieme i colori.
Il magico mondo dei colori
A La Benedicta di Santa Caterina Valfurva numerosi
gruppi di giovani e famiglie hanno trascorso
favolose vacanze natalizie, a contatto
con la natura, tra le alte montagne innevate e
una stimolante proposta di mondialità.
Tutti in pista verso il mondo
Il COE ha partecipato a Milano all’iniziativa
con uno stand alla Mostra-presentazione delle
associazioni di volontariato milanesi per farsi
conoscere alla cittadinanza e presentare:
i progetti di educazione allo sviluppo e all’intercultura
in particolare attraverso i linguaggi
espressivi di tutti i popoli; i progetti di cooperazione
e sviluppo che promuove in America
Latina, Africa, Asia e Papua Nuova Guinea; la
formazione legata ai temi del volontariato internazionale
il 20° Festival del Cinema Africano,
d’Asia e America Latina di Milano.
I giorni del volontariato
FEBBRAIO
2010
E s i s t o n o
diverse tecnichepittoriche
che si
differenziano
sia per
i materiali
e gli strumenti
usati
sia per le
superfici
sulle quali
è eseguita
l’opera.
Attraverso i dipinti presenti in sala, hanno imparato
a riconoscerle e a riprodurle.
Sperimentando tecniche pittoriche diverse,
gli alunni sono stimolati a sviluppare la capacità
di osservare ed apprezzare opere d’arte
provenienti da diversi paesi.
Le tante “facce” dell’arte
23

Grazie al contributo di tanti amici, la ristrutturazione della
MAISON SAINT PAUL a Kinshasa
per l’accoglienza di studenti universitari è a buon punto.
Con orgoglio vi presentiamo un’immagine di quello che sarà
a lavori finiti. Ma per completare tutto il Mosaico
della Solidarietà entro il 2010 resta ancora tanto da fare.
Ci stai a dare una mano?