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Luca Zarrilli L'ISLANDA AL TEMPO DELLA KREPPA. CRISI ...

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<strong>Luca</strong> <strong>Zarrilli</strong> ∗<br />

L’ISLANDA <strong>AL</strong> <strong>TEMPO</strong> <strong>DELLA</strong> <strong>KREPPA</strong>. <strong>CRISI</strong><br />

ECONOMICA, PROSPETTIVA EUROPEA E IDENTITÀ<br />

NAZION<strong>AL</strong>E<br />

1. Introduzione: l’Islanda fra stereotipo e realtà<br />

Nell’immaginario collettivo l’Islanda si connota soprattutto per le sue<br />

caratteristiche geologiche e naturali, e a dominare è spesso una visione oleografica<br />

di questa terra (“di ghiaccio e fuoco”, “selvaggia”, “estrema”). Del suo contesto<br />

socio-culturale, invece, si conosce poco: lo si associa in genere alla mitologia<br />

nordica e alla copiosa letteratura delle saghe, alla cantante Björk o allo scrittore<br />

Halldór Laxness, premio Nobel per la letteratura nel 1955.<br />

Con una consistenza demografica che supera di poco le 300.00 unità ed una<br />

storia di relativo isolamento, la società islandese si caratterizza per una<br />

omogeneità etno-linguistica ancora piuttosto elevata – nonostante gli apporti<br />

dall’estero - e tratti identitari ben definiti, tanto da rappresentare una sorta di<br />

“laboratorio” per analisi di tipo genetico e antropologico (Durrenberger, Pálsson,<br />

1989), ma anche territoriale 1. Come scrisse Giorgio Manganelli, giunto in Islanda<br />

negli anni settanta in qualità di inviato del quotidiano “La Stampa”, «questa terra è<br />

inquieta e inquietante. E tuttavia su questa isola-pianeta l’uomo, che ha qualcosa<br />

dell’ospite, vive una sua vita difficile, intensa, unica» (Manganelli, 2006, p. 83). Ed<br />

ancora: «la loro [degli islandesi] vita è in primo luogo la scienza del rapporto con<br />

l’incredibile terra in cui vivono» (ibidem, p. 86).<br />

D’altro canto, anche l’ambito socio-economico si è prestato a stereotipi<br />

(“spirito vichingo”, “isola felice”, “tigre artica”) che non danno conto,<br />

ovviamente, della complessità di un sistema nazionale e di una relazione uomoambiente<br />

del tutto particolare. Secondo una visione comune, ma non priva di<br />

fondamento, la realtà islandese è un esempio ben riuscito di “volontarismo”<br />

territoriale: nonostante il difficile contesto ambientale, un uso efficace – anche se<br />

non sempre sostenibile - delle risorse naturali ha garantito non solo il<br />

sostentamento ma anche la prosperità della popolazione. Ed in effetti, una volta<br />

recisi i legami coloniali con la Danimarca, che per secoli ne avevano inibito lo<br />

sviluppo relegandola ad una condizione di marginalità, l’Islanda ha registrato una<br />

dinamica economica tale da raggiungere i primi posti nel mondo per ciò che<br />

∗ Dipartimento di Economia – Università “G. D’Annunzio” di Chieti-Pescara.<br />

1 La popolazione islandese ammonta a 317.630 residenti al 1° Gennaio 2010; al 1° gennaio 2008<br />

il 6,8% dei residenti risultavano essere cittadini stranieri. I più numerosi sono i polacchi (8.488),<br />

seguiti dai lituani (1.332) (Statistics Iceland).


LUCA ZARRILLI<br />

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riguarda il prodotto interno lordo pro-capite e l’indice di sviluppo umano, per<br />

citare solo gli indicatori più comuni. Alla base di tale successo va collocata<br />

soprattutto l’industria della pesca, che fa dell’Islanda uno dei principali paesi al<br />

mondo per volume di pescato, e di gran lunga il primo se tale volume viene<br />

rapportato alla popolazione 2. Per comprendere l’importanza economica - ma<br />

anche culturale – di questo settore basti pensare che per tutelare i propri banchi di<br />

pesca gli islandesi non hanno esitato a combattere le cosiddette “guerre del<br />

merluzzo” (le “cod wars”) contro il Regno Unito, ed ancora oggi la difesa del<br />

settore ittico dalle flotte straniere e dalle politiche di Bruxelles rappresenta la<br />

principale remora all’ingresso nell’Unione Europea 3. All’ottima performance<br />

economica ha contribuito anche la produzione di energia da fonti rinnovabili<br />

(geotermale ed idroelettrica), che fa dell’Islanda il paese meno inquinato<br />

dell’Occidente con il più basso costo energetico pro-capite ed una localizzazione<br />

ottimale per industrie ad alta intensità di energia (alluminio soprattutto); così<br />

come il paesaggio naturale, la nátturufegurð, che nella sua spettacolarità rappresenta<br />

una risorsa formidabile per un settore turistico in forte espansione, oltre che un<br />

“biglietto da visita” nazionale rivelatosi utile nell’attrarre investimenti dall’estero<br />

nel settore della fiction cinematografica (fig. 1).<br />

2 Al 2007, l’Islanda si collocava 12° posto della graduatoria mondiale per PIL pro capite, con<br />

circa 38 mila dollari (CIA World Factbook), al 3° posto per Indice di Sviluppo Umano (0,969),<br />

dopo Norvegia e Australia (UNDP), al 16° posto per volume del pescato, con 1.399.167 tonnellate<br />

(FAO).<br />

3 Le dispute tra Islanda e Regno Unito per i diritti di pesca, conosciute come “guerre del<br />

merluzzo”, iniziano nel 1958, quando l’Islanda estende il limite delle proprie acque territoriali da 4 a<br />

12 miglia. Ne è seguito un contenzioso con il Regno Unito, risolto nel 1961 con l’accettazione dei<br />

nuovi limiti. La seconda “guerra del merluzzo” risale al nel 1972, quando l'Islanda estende<br />

unilateralmente le sue acque territoriali fino al limite di 50 miglia. Nel 1975, infine, adducendo<br />

motivazioni relative alla flessione delle risorse di merluzzo ed alla necessità di misure conservative,<br />

l’Islanda estende ancora il limite delle sue acque a 200 miglia. Ne è seguita la terza “guerra del<br />

merluzzo”, risolta nel febbraio del 1976 dalla CEE, che ha fissato una zona di 200 miglia valida per<br />

tutta l’Europa.


L’ISLANDA <strong>AL</strong> <strong>TEMPO</strong> <strong>DELLA</strong> <strong>KREPPA</strong><br />

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Fig. 1 - Bláa Lónið (Laguna Blu), nei pressi di Keflavík. Sullo sfondo, la centrale<br />

geotermica di Svartsengi (foto di <strong>Luca</strong> <strong>Zarrilli</strong>).<br />

La fase espansiva dell’economia islandese, iniziata nel secondo dopoguerra ed<br />

interrottasi bruscamente nell’ottobre del 2008, non è però da attribuire<br />

esclusivamente alla valorizzazione del contesto ambientale (lo spazio acqueo, i<br />

campi geotermali, il reticolo idrografico, il paesaggio naturale). In realtà, dalla<br />

metà degli anni Novanta ed in seguito alla privatizzazione degli istituti di credito<br />

attuata dal governo di centro-destra allora guidato da Davíð Oddsson, primo<br />

ministro dal 1991 al 2004, il settore bancario in generale, e quello della finanza<br />

cosiddetta “creativa” in particolare, hanno conosciuto uno sviluppo che non<br />

sarebbe eccessivo definire abnorme e molto al di là delle capacità di intervento<br />

della Banca Centrale: basti considerare il dato relativo al debito estero (in massima<br />

parte ascrivibile alle attività finanziare degli istituti di credito), che a metà del 2008<br />

aveva raggiunto un valore pari a circa 10 volte il prodotto interno lordo. La<br />

conseguente facilità di accesso al credito bancario ha quindi sostenuto un livello<br />

di consumi assolutamente sovradimensionato rispetto alle reali capacità di reddito<br />

e di spesa della popolazione. Da qui un’impressione di opulenza rivelatasi in parte<br />

effimera, poiché basata non soltanto sulla produzione di ricchezza ma anche – in<br />

misura rilevante – sul ricorso all’indebitamento.<br />

In concomitanza della crisi finanziaria globale, e per ragioni in parte<br />

ricollegabili ad essa, in parte specifiche della realtà islandese, il macroscopico<br />

squilibrio finanziario venutosi a determinare ha trascinato il paese sull’orlo della<br />

bancarotta e ha dato origine alla cosiddetta kreppa, ovvero alla (letteralmente)<br />

gravissima crisi - finanziaria, economica, occupazionale, politica, sociale – in cui


LUCA ZARRILLI<br />

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gli islandesi sono stati catapultati praticamente da un giorno all’altro 4. Come è<br />

stato giustamente osservato, la kreppa, al di là del suo significato letterale, «actually<br />

connotes something more: the roar of a volcano perhaps; the approach of a<br />

catastrophe» (Boyes, 2009, p. X). Un altro stereotipo abbastanza diffuso vuole il<br />

popolo islandese avvezzo alle catastrofi che per secoli hanno decimato la<br />

popolazione e che periodicamente si manifestano sotto forma di eruzioni,<br />

valanghe e jökulhlaup (inondazioni conseguenti a un’eruzione vulcanica posta<br />

sotto ad un ghiacciaio). La catastrofe sotto forma di default finanziario è però una<br />

novità, oltre che un evento con cui gli islandesi dovranno – letteralmente – fare i<br />

conti per molti anni a venire: accanto agli evidentissimi effetti economici, la crisi<br />

finanziaria sta producendo conseguenze rilevanti anche in termini di politica<br />

interna, di relazioni internazionali, di dibattito culturale e in ultima analisi di<br />

identità nazionale, temi, questi, oggetto di questo scritto.<br />

2. Le fasi salienti della crisi<br />

Lungi dal voler approfondire le cause della crisi islandese, che esulano dagli<br />

scopi di questo lavoro, se ne vogliono qui ripercorrere sinteticamente le fasi<br />

salienti, per una migliore comprensione degli eventi e degli effetti che ne sono<br />

conseguiti.<br />

I segnali premonitori vanno collocati all’inizio del 2006, quando si ebbero i<br />

primi casi di insolvenza delle tre banche principali (Glitnir, Kaupþing e<br />

Landsbanki), tanto che già allora si parlò di “Geyser Crisis”. Ed in effetti<br />

l’economista Robert Aliber dell’Università di Chicago fin dal 2005 definiva la<br />

situazione finanziaria islandese come una “bolla perfetta” (Kindleberger, Aliber,<br />

2005) e ne preconizzava l’esplosione. Questa si è verificata nell’ottobre del 2008,<br />

quando l’Islanda è stata travolta dai crolli delle borse mondiali seguiti alla crisi<br />

americana dei mutui subprime. Ed ecco che agli stereotipi dell’”isola felice” e della<br />

“tigre artica” si sostituiscono, nella divulgazione mass-mediatica, quelli di<br />

“paradiso fallito” e di “isola in bancarotta”.<br />

Va innanzitutto considerato l’aspetto valutario. La valuta nazionale (krona)<br />

risultava già dai primi anni del XXI secolo fortemente esposta alle fluttuazioni<br />

internazionali, complici gli alti tassi di interesse (5-6%, contro il 2-4% dell’area<br />

euro-USA, e soprattutto lo 0-1% del Giappone) che incoraggiavano l’afflusso di<br />

denaro dal mercato globale per finanziare debito pubblico, azioni e obbligazioni<br />

islandesi. Era quindi particolarmente conveniente per gli speculatori internazionali<br />

contrarre prestiti, ad esempio, in Giappone e reinvestirli in Islanda. Per<br />

scoraggiare il ricorso all’indebitamento da parte della popolazione la Banca<br />

Centrale alzò i tassi di interesse, innescando così un circolo vizioso: più i tassi<br />

salivano, più i titoli di debito diventavano appetibili e attiravano capitali, il che<br />

4 Nel 2009 il prodotto interno lordo è arretrato del 6,5%, mentre il tasso di disoccupazione è<br />

passato dal 2,3% del 2007 al 7,2% del 2009 (Statistics Iceland).


L’ISLANDA <strong>AL</strong> <strong>TEMPO</strong> <strong>DELLA</strong> <strong>KREPPA</strong><br />

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spingeva i tassi sempre più in alto, fino a raggiungere nel settembre del 2008 un<br />

valore del 15,5%.<br />

L’enorme afflusso di denaro, in assenza di adeguati meccanismi di controllo<br />

sulle transazioni finanziarie, consentì agli istituti di credito, ed ai gruppi<br />

imprenditoriali ad essi collegati 5, di investire all’estero praticamente senza freni:<br />

fra il 2003 ed il 2007 il debito estero dei tre istituti di credito è passato dal 200% al<br />

900% del PIL 6. Particolarmente grave risulterà la situazione debitoria di Icesave -<br />

il famigerato prodotto finanziario on-line della Landsbanki al centro dell’odierno<br />

dibattito politico islandese - nei confronti di risparmiatori britannici ed olandesi 7.<br />

Nell’ottobre del 2008 la concomitanza di più elementi trascina l’Islanda<br />

nell’occhio del ciclone: la stretta creditizia sui mercati interbancari innescato dalla<br />

crisi dei mercati finanziari internazionali; la corsa ai depositi da parte dei clienti<br />

stranieri di Icesave 8 di fronte alla persistente debolezza della krona (che già nel<br />

febbraio del 2008 veniva considerata da The Economist la valuta più sopravvalutata<br />

del mondo); l’impossibilità di un intervento da parte della Banca Centrale<br />

islandese a causa della macroscopica sproporzione tra l’indebitamento delle<br />

banche, stimato in oltre 75 miliardi di euro, e le riserve valutarie del paese, pari a 5<br />

miliardi di Euro.<br />

Seguono eventi convulsi, che sconvolgono la situazione economico-finanziaria<br />

del paese al punto da spingere l’allora Primo Ministro Geir Haarde a parlare<br />

apertamente di rischio di bancarotta nazionale 9. Il governo, su suggerimento del<br />

Fondo Monetario Internazionale, tra il 7 ed il 10 ottobre procede alla<br />

nazionalizzazione delle tre banche, accollandosene gli oneri, con conseguente<br />

esplosione del debito pubblico. Il 9 ottobre la krona viene sospesa dalle<br />

contrattazioni dopo aver perso il 78% del suo valore in poche ore. La borsa<br />

islandese, il cui listino era composto per il 73% da titoli ricollegabili agli istituti di<br />

credito coinvolti dalla crisi, alla riapertura di lunedì 14 ottobre, dopo una<br />

5 Si parla dei gruppi Samson, Baugur, Fons, Oddaflug, Bakkavor, Exista, Samskip, considerati<br />

oligarchici alla maniera russa per la vicinanza alle leve del potere politico e finanziario, e definiti “new<br />

vikings” per la spiccata propensione alle “razzie societarie” all’estero (Hamleys, Saks, Bang &<br />

Olufsen, Woolworths, American Airlines, EasyJet, Finnair, West Ham United, XL Leisure, House<br />

of Fraser, fra le aziende partecipate).<br />

6 Particolarmente illuminanti le parole di Richard Thomas, analista finanziario della Merril<br />

Lynch, a proposito delle banche islandesi: «too fast, too young, too much, too short, too connected,<br />

too volatile», (citato in Jónsson, 2009, p. 123).<br />

7 300 mila britannici e 125 mila olandesi, oltre ad un centinaio di enti pubblici del Regno Unito,<br />

per un debito complessivo oggi valutato in 3,9 miliardi di euro.<br />

8 Il 7 ottobre nel sito inglese di Icesave si leggeva: «We are not currently processing any deposits<br />

or any withdrawal requests through our Icesave internet accounts. We apologise for any<br />

inconvenience this may cause our customers. We hope to provide you with more information<br />

shortly» (www.icesave.co.uk).<br />

9 «There is a very real danger, fellow citizens, that the Icelandic economy in the worst case<br />

could be sucked into the whirlpool, and the result could be national bankruptcy…. If there was ever<br />

a moment when the Icelandic nation needed to stand together and show fortitude in the face of<br />

adversity, then this is the moment…. God bless the Icelandic nation!» (G. Haarde, dal “Discorso<br />

alla nazione” del 6 ottobre 2008, riportato in Jónsson, 2009, pp. 170-171).


LUCA ZARRILLI<br />

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settimana di blocco delle contrattazioni, perde circa il 77% dell’intera<br />

capitalizzazione.<br />

Rimasta lettera morta una proposta russa di prestito per oltre 4 miliardi di<br />

euro, il 20 ottobre 2008 vede la luce un piano alternativo pilotato dal Fondo<br />

Monetario Internazionale, in cui si prevede un prestito diretto di un miliardo di<br />

dollari, e di altri cinque miliardi attraverso le banche centrali scandinave e<br />

giapponese. Durante il 2009 la situazione tende verso la stabilizzazione, ma le<br />

finanze del paese continuano a versare in una situazione drammatica: a luglio<br />

2009 è solo con un prestito di 2 miliardi di euro da parte del Fondo Monetario<br />

Internazionale che viene scongiurata l’ennesima imminente bancarotta.<br />

Il caso islandese appare quindi emblematico non tanto per le sue dimensioni<br />

assolute, del tutto marginali per il sistema finanziario globale 10, quanto per la<br />

dinamica e le modalità con le quali ha avuto luogo, al punto che oggi l’espressione<br />

“Going Iceland” sta a indicare il collasso di un intero sistema finanziario nazionale.<br />

3. Le ripercussioni politiche<br />

Le prime reazioni della popolazione alle drammatiche notizie susseguitesi nei<br />

giorni successivi al 6 ottobre 2008 sono state, comprensibilmente, improntate al<br />

panico: lunghe code agli sportelli bancari, incetta di generi alimentari,<br />

accaparramento di oggetti preziosi e di beni di lusso per conservare un potere<br />

d’acquisto ormai non più garantito dalla valuta nazionale. Ben presto, però, al<br />

panico subentrano lo sdegno e la protesta di piazza, che evolverà in quella che è<br />

stata definita la “rivoluzione delle pentole” 11 (“kitchenware revolution”): inizialmente<br />

solo di sabato, in seguito con cadenza quotidiana, gruppi sempre più numerosi di<br />

cittadini 12 manifestano nella Piazza del Parlamento per chiedere le dimissioni del<br />

governo e la convocazione di nuove elezioni. Il momento di massima tensione si<br />

raggiunge il 20 gennaio del 2009 e nei giorni immediatamente successivi, quando<br />

le proteste degenerano in scontri con la polizia. Queste ultime sortiscono però<br />

l’effetto desiderato, costringendo il governo alle dimissioni. Un esecutivo di<br />

transizione conduce il paese alle elezioni anticipate del 25 aprile 2009, che vedono<br />

la vittoria della coalizione di centro-sinistra formata dall’Alleanza<br />

Socialdemocratica e dai Verdi, dopo 18 anni di ininterrotta guida da parte della<br />

coalizione di centro-destra.<br />

La ramificazione internazionale della crisi islandese è testimoniata anche dal<br />

fatto che alla protesta antigovernativa si è sommato il risentimento contro<br />

l’esecutivo del Regno Unito, in quello che potremmo definire l’incipit della<br />

10 «From the international perspective, Iceland as a country was not too big to fail» (Jónsson,<br />

2009, p. 136).<br />

11 Cosi definita per gli utensili da cucina percossi dai manifestanti.<br />

12 Il picco della partecipazione popolare ha visto la presenza in piazza di 6 mila manifestanti,<br />

numero irrisorio se considerato in valore assoluto, ma che rappresenta il 2% dell’intera popolazione<br />

islandese.


L’ISLANDA <strong>AL</strong> <strong>TEMPO</strong> <strong>DELLA</strong> <strong>KREPPA</strong><br />

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questione Icesave. Nell’ottica britannica, la nazionalizzazione della Landsbanki<br />

avrebbe addossato al governo islandese l’onere di risarcire i clienti di Icesave.<br />

L’orientamento espresso da Reykjavík di dare la priorità, nell’immediatezza della<br />

crisi, alle garanzie patrimoniali dei risparmiatori nazionali 13, ha indotto il governo<br />

Brown ad utilizzare le clausole finanziarie previste dalla legislazione antiterrorismo<br />

14, introdotta in seguito agli attentati dell’11 settembre, per congelare i<br />

beni delle banche e del governo islandesi nel Regno Unito, rendendo di fatto<br />

impossibile qualsiasi transazione finanziaria da e verso l’Islanda e contribuendo in<br />

questo modo a far precipitare la già difficilissima situazione finanziaria del paese.<br />

La percezione da parte islandese della reazione britannica – giudicata eccessiva<br />

anche dagli analisti e legata probabilmente ad esigenze di politica interna - è stata<br />

quella di un atto di grave e ingiustificata ostilità, che ha di fatto equiparato l’intera<br />

nazione ad una organizzazione terroristica 15, laddove la responsabilità sarebbe<br />

stata invece da attribuire ad un gruppo ristretto e interconnesso di banchieri,<br />

politici ed oligarchi (peraltro “in combutta” con controparti del Regno Unito),<br />

oltre che alla inadeguatezza dei meccanismi comunitari di controllo sulle<br />

operazioni finanziarie trans-frontaliere 16.<br />

Il 5 giugno 2009 il nuovo esecutivo islandese ha firmato degli accordi bilaterali<br />

con il Regno Unito e i Paesi Bassi per una soluzione negoziata della questione<br />

Icesave, anche al fine di facilitare l’accesso ai finanziamenti del Fondo Monetario<br />

Internazionale ed accelerare il processo di adesione all’Unione Europea, punto<br />

cruciale – come vedremo - della nuova agenda politica di Reykjavík. In base a<br />

questi accordi, Regno Unito e Paesi Bassi hanno anticipato il denaro necessario a<br />

risarcire i risparmiatori britannici ed olandesi, denaro che l’Islanda avrebbe<br />

13 «We need to secure the domestic situation before I can give you any guarantees for anything<br />

else». Così Árni Mathiesen, Ministro delle Finanze islandese, in una conversazione telefonica del 7<br />

ottobre con il suo omologo del Regno Unito Alistair Darling (riportata in Boyes, 2009, pp. 167-<br />

173). Tale dichiarazione, come è evidente, non rappresenta necessariamente un rifiuto di<br />

riconoscere il diritto al risarcimento dei risparmiatori stranieri, come invece è stato sostenuto dal<br />

governo britannico. In una intervista radiofonica alla BBC dell’8 ottobre, Darling infatti dichiarerà:<br />

«The Icelandic government, believe it or not, has told me yesterday they have no intention of<br />

honouring their obligations here» (riportata in Jónsson, 2009, p. 184).<br />

14 “Anti-Terrorism, Crime and Security Act” del 2001. L’applicazione di questa legge nei confronti di<br />

uno Stato non coinvolto in attività terroristiche è senza precedenti.<br />

15 «To the Icelanders, though, it was tantamount to a declaration of war. At one stroke Britain<br />

had placed the island on the same level as Al Qaeda, even though it was a fellow NATO partner»<br />

(Boyes, 2009, p. 174). In questa occasione è nata InDefense, un’associazione di cittadini che ha<br />

organizzato una petizione on line ("Icelanders are NOT terrorists") per protestare contro l’adozione<br />

della legislazione anti-terrorismo da parte del governo britannico. La petizione ha raccolto 83.000<br />

firme.<br />

16 «Il fatto che il Fondo Islandese di Garanzia dei Depositi contenesse appena l’1% del totale<br />

effettivo dei fondi depositati era perfettamente legale: in altre parole, la normativa UE non<br />

prevedeva l’eventualità di un crollo bancario di tipo sistemico. Aggiungiamo inoltre che le regole<br />

comunitarie non prevedevano neppure che, in caso di fallimento, lo schema di assicurazione dei<br />

depositi di una banca privata dovesse divenire di responsabilità del governo di quello specifico paese<br />

dove la banca stessa aveva sede legale» (Rossi, http://www.eurasia-rivista.org/3301/lislanda-ed-ilreferendum-icesave-previsioni-sul-risultato)


LUCA ZARRILLI<br />

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dovuto restituire secondo tempi e modi 17 definiti da una legge approvata a stretta<br />

maggioranza dal Parlamento islandese il 30 dicembre 2009. La legge in questione<br />

non è stata però promulgata dal Presidente della Repubblica Ólafur Ragnar<br />

Grímsson, che ha voluto tenere conto di una petizione 18, firmata da 56 mila<br />

cittadini islandesi (pari al 23,3% dell’elettorato), in cui veniva chiesto di non<br />

avallare il piano finanziario previsto dalla legge, considerato eccessivamente<br />

oneroso e ingiustamente lucrativo per i governi britannico e olandese 19.<br />

Conformemente all’articolo 26 della Costituzione, è stato indetto un referendum<br />

perché fossero gli islandesi stessi a decidere in merito alla questione. Il<br />

referendum si è svolto il 6 marzo 2010 con la vittoria schiacciante (93,2% dei<br />

votanti) – ed ampiamente prevista – della fazione contraria alle condizioni di<br />

risarcimento previste dall’accordo Icesave.<br />

4. Verso l’Europa?<br />

Il 31 maggio 2005, presso il Centre for European Policy Studies di Bruxelles, Davíð<br />

Oddsson, nella veste di Ministro degli Esteri, concludeva così il suo discorso<br />

sull’integrazione europea dell’Islanda: «We Icelanders are most certainly pro-<br />

European. We want close cooperation with all those who adhere to the high<br />

European ideals of prosperity, peace and freedom. We follow those aims but<br />

have for ourselves chosen a route outside the European Union – a pragmatic one<br />

but not only because of the fish! We take this route because it is beneficial for us<br />

and without harm to anyone else» (http://www.ceps.be/).<br />

Queste parole ben testimoniano la distanza che l’esecutivo di centro-destra, e<br />

forse più in generale la società islandese, hanno sempre frapposto alla prospettiva<br />

di una integrazione europea che non si limitasse all’interscambio commerciale e<br />

alla mobilità delle persone: l’Islanda ha infatti aderito al Consiglio d’Europa nel<br />

1950, all’EFTA 20 nel 1970, all’EEA 21 nel 1994 ed agli Accordi di Schengen nel<br />

1996, ma fino ad oggi non aveva mai preso in seria considerazione l’ipotesi di una<br />

17 Per grandissime linee, in 14 anni ad un tasso del 5,5%.<br />

18 Anche in questo caso InDefence si è resa promotrice della petizione.<br />

19 «The proposed interest rate of 5.5% is particularly unfair, given that the UK’s Financial<br />

Services Compensation Service has, according to the UK Treasury, “financed its payout [to UK<br />

depositors] through a loan from the Bank of England. The Treasury does not disclose the rate of<br />

interest on this loan – a rate over which it had absolute discretion. The Bank of England’s base rate<br />

is today 0.5% (1.5% in January, 2009). The ECB’s base rate was 2.0% in January 2009, yet the<br />

Netherlands government had even greater audacity in seeking, initially, interest at 6.7%!» (Pettifor,<br />

http://advocacyinternational.co.uk/?p=813).<br />

20 European Free Trade Association, associazione di libero scambio oggi costituita da Islanda,<br />

Lichtenstein, Norvegia e Svizzera.<br />

21 European Economic Area, o Spazio Economico Europeo, istituito il 1º gennaio 1994 in<br />

seguito ad un accordo tra l'EFTA e l'UE con lo scopo di permettere ai paesi EFTA di partecipare al<br />

mercato comune europeo senza dover essere membri dell'Unione. È a partire dall’adesione all’EEA<br />

che il settore bancario islandese conoscerà il suo abnorme sviluppo.


L’ISLANDA <strong>AL</strong> <strong>TEMPO</strong> <strong>DELLA</strong> <strong>KREPPA</strong><br />

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adesione all’Unione Europea. I motivi sono chiari: entrare nell’Unione Europea<br />

significa sottostare alle normative comunitarie, che esigono di concedere alle<br />

flotte degli altri stati membri uguali opportunità di accesso ai banchi di pesca, con<br />

presumibile grave danno per il settore trainante dell’economia, mentre in qualità<br />

di paese EEA l’Islanda è esclusa dalle politiche marittime della UE, e la materia è<br />

regolata da accordi bilaterali ad hoc.<br />

Il nuovo esecutivo islandese, guidato da Jóhanna Sigurðadóttir, ha invece<br />

assunto immediatamente un atteggiamento europeista, mettendo la questione<br />

dell’adesione all’Unione Europea ai primi posti della sua agenda politica. Infatti,<br />

già nel luglio 2009, ossia a poco più di due mesi dal suo insediamento, il governo<br />

islandese ha presentato una richiesta formale di adesione, accolta con<br />

soddisfazione dalla presidenza svedese e dall’allora Commissario europeo per<br />

l’allargamento Olli Rehn 22. Nelle parole del premier, «Iceland’s application for EU<br />

membership represents a clear strategy for the country's direction and vision for<br />

the longer term. The application and the reception it has received send a clear and<br />

reassuring message to the outside world.» 23 Considerazioni di prestigio e<br />

credibilità internazionali, più che mere preoccupazioni di natura economica 24,<br />

sembrano quindi aver ispirato l’azione del governo islandese in questa materia:<br />

dopo decenni di relativo “euroscetticismo”, solo mitigato dall’adesione alle<br />

istituzioni sopra citate, e dopo il calo di immagine causato dalla crisi finanziaria e<br />

dagli eventi ad essa collegati, l’Islanda deve compiere un passo deciso in direzione<br />

dell’Europa e dell’integrazione in un contesto socio-politico di più ampio respiro.<br />

22 In un discorso tenuto all’Università di Islanda, Olli Rehn ha sottolineato l’elevato grado di<br />

integrazione nelle istituzioni europee già raggiunto dall’Islanda, il che dovrebbe rendere<br />

relativamente facile il recepimento completo dell’acquis communitaire e rapido il processo di adesione.<br />

23 http://www.euractiv.com/en/enlargement/eu-iceland-relations/article-187881<br />

24 Anche se una eventuale adozione dell’euro da parte dell’Islanda viene da molti considerata<br />

positivamente, poiché rappresenterebbe una forma di stabilizzazione dell’economia e una difesa<br />

dalle tempeste valutarie. Non va poi sottovalutato il fatto che quella islandese è la più piccola<br />

economia mondiale ad avere una propria valuta, ed è quindi alto il rischio di un attacco da parte<br />

degli speculatori internazionali.


LUCA ZARRILLI<br />

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Fig. 2 – Miðlína Bridge, valle tettonica di Álfagjá (penisola di Reykjanes), punto di<br />

incontro tra la placca tettonica europea e quella nord-americana (foto di <strong>Luca</strong> <strong>Zarrilli</strong>).<br />

Questo nelle intenzioni del governo in carica. Ma almeno due ostacoli si<br />

frappongono al destino europeo dell’Islanda: l’opinione pubblica e l’esito<br />

referendario del 6 marzo 2010. Un’analisi frettolosa avrebbe potuto indicare, fra<br />

gli effetti della kreppa, una svolta in senso europeista dell’opinione pubblica per le<br />

ragioni sostenute dal governo, ma forse anche per motivazioni più emotive, legate<br />

all’incertezza del momento e alla paura del futuro. Invece, stando ai risultati dei<br />

sondaggi, sembra che si stia verificando il contrario: se nel 2005 gli islandesi<br />

favorevoli ad un ingresso nell’Unione Europea erano il 43%, oggi si sono ridotti<br />

al 33,2%; analogamente, i contrari passano dal 37 al 56% 25. È abbastanza evidente<br />

che le questioni economiche, interpretate però in una chiave “conservatrice” – nel<br />

senso culturale, per certi versi “identitario”, del termine – dominano le<br />

preoccupazioni degli islandesi, lasciando ai margini un pur presente, ancorché<br />

minoritario, spirito europeista. Il che è confermato anche dall’esito referendario:<br />

si è trattato di un plebiscito contro quella che veniva percepita come una vera e<br />

propria sanzione economica, ma che rischia adesso di rappresentare un ulteriore<br />

ostacolo all’ingresso dell’Islanda nella UE (per un possibile “boicottaggio” da<br />

parte di Regno Unito e Paesi Bassi) e, più in generale, di spingere il paese verso<br />

un maggiore isolamento internazionale.<br />

25 Sondaggi svolti nell’agosto 2005 e nel febbraio 2010 dall’istituto Capacent-Gallup.


L’ISLANDA <strong>AL</strong> <strong>TEMPO</strong> <strong>DELLA</strong> <strong>KREPPA</strong><br />

_______________________________________________________________________________________<br />

5. Conclusioni: ripartire dal territorio?<br />

Sembra quindi che l’Islanda “al tempo della kreppa” si trovi di fronte ad un<br />

bivio: accelerare l’integrazione europea ed entrare nell’Unione, con conseguente<br />

ridimensionamento del settore ittico, in cambio però di una prospettiva di<br />

sostegno politico e finanziario che le verrebbe garantita dal suo status di paese<br />

membro, senza considerare il ritorno in termini di immagine internazionale.<br />

Oppure proseguire sulla strada del moderato isolazionismo che ha connotato<br />

finora la sua politica economica, sapendo però di dover contare principalmente<br />

sulle risorse assicurate dal contesto naturale, con una enfasi particolare sulla<br />

pesca, ovviamente, ma anche sulla produzione di energia, con costi ambientali e<br />

paesaggistici che possono essere rilevanti 26.<br />

È una scelta questa che ha a che fare anche con l’identità nazionale, sotto<br />

diversi profili. Vi è innanzitutto da considerare un aspetto più strettamente<br />

politico: l’opzione europeista viene percepita da molti come una cessione di<br />

sovranità indesiderabile per un paese che soltanto nel 1944, dopo secoli di<br />

dominio coloniale, ha raggiunto la piena indipendenza. Non possiamo poi<br />

ignorare il profilo storico-economico. A partire dalla fine del XIX secolo, lo<br />

sviluppo in senso commerciale ed imprenditoriale della pesca – prima relegata ad<br />

attività stagionale di sussistenza, integrativa dei redditi derivanti dall’agricoltura e<br />

dall’allevamento - ha profondamente trasformato la struttura della società<br />

islandese: il ruolo egemonico, tradizionalmente appannaggio di proprietari terrieri<br />

legati alla Danimarca da rapporti commerciali, è stato assunto da un ceto<br />

emergente di pescatori-armatori, ed il baricentro insediativo ed economico del<br />

paese si è spostato verso la costa. La transizione alla cultura della pesca ha quindi<br />

rappresentato, in un certo senso, anche l’ingresso dell’Islanda nella modernità e<br />

l’affrancamento da un blocco di potere costituito dall’élite agraria e dai<br />

commercianti danesi. L’identità nazionale stessa ne è stata ridefinita: «political<br />

mobilization, national self-determination, capital investment, wage labor, and the<br />

hope of a prosperous future all developed together to link fishing, the sea,<br />

prosperity, national, and individual independence into a single gestalt in terms of<br />

which Icelanders now understand their recent past and present. These images of<br />

Icelandicness are replacing the previous more bucolic ones based on livestock<br />

farming» (Durrenberger, 1996, p. 184).<br />

Dall’altro lato, e questa non è necessariamente una contraddizione, esiste nella<br />

società islandese una componente cosmopolita (ma non necessariamente<br />

europeista) che contrasta con lo spirito “insulare” e di conservazione dello status<br />

quo politico ed economico venutosi a determinare in seguito all’indipendenza:<br />

«through the ages, the nation has swung between the extremes of isolation and<br />

openness. Years spent in withdrawal from the world have been followed by<br />

26 È il caso, ad esempio, dell’impianto idroelettrico di Kárahnjúkar, nella sezione orientale del<br />

paese, realizzato per fornire energia ad uno stabilimento per la produzione di alluminio della<br />

multinazionale statunitense Alcoa.


LUCA ZARRILLI<br />

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outbursts of a yearning to aggressively pursue its riches» (Jónsson, 2009, p. 9). In<br />

un certo senso, l’audacia – per non dire la spregiudicatezza – con cui le banche e i<br />

gruppi imprenditoriali islandesi hanno operato nei mercati stranieri potrebbe<br />

essere considerata indicativa di questa componente: fin troppo ovvio il richiamo<br />

alle origini vichinghe.<br />

L’identità nazionale non è una categoria statica: essa si forma e si trasforma in<br />

relazione agli – e in conseguenza degli - eventi che hanno riguardato la nazione,<br />

ed il caso islandese non fa eccezione. Come sostengono Gísli Pálsson e Paul<br />

Durrenberger, «Iceland is a modern nation and a site for the manufacture of<br />

nationalism» (Pálsson, Durrenberger, 1996, p. 2), e si comprende quindi come<br />

nella storia recente di questo popolo l’aspetto politico e quello economico<br />

abbiano concorso alla costruzione di una coscienza identitaria basata su alcuni<br />

capisaldi: indipendenza politica ed economica, modernità, prosperità,<br />

individualismo. In questo scenario, l’idea di Europa appare da un lato troppo<br />

ampia, un mare magnum che rischia di diluire un senso di identità nazionale che si<br />

vuole invece tutelare; dall’altro, claustrofobica per una nazione che culturalmente<br />

– oltre che geograficamente – si considera un avamposto nordico della civiltà<br />

occidentale, a metà strada tra Europa e America, ma proiettato al di là<br />

dell’Atlantico.<br />

Posta in questi termini la questione, sembra esserci effettivamente una<br />

incompatibilità tra l’appartenenza comunitaria e l’immagine – o le immagini – che<br />

gli islandesi hanno dell’Islanda. A parere di chi scrive, tuttavia, la questione può<br />

essere posta anche diversamente, partendo dalla considerazione che l’Islanda non<br />

è soltanto pesca e insularità da un lato, finanza creativa e cosmopolitismo<br />

dall’altro. È anche – forse soprattutto - territorio, nel senso geologico, tellurico,<br />

ma anche culturale del termine: avemmo già occasione di sottolineare<br />

(Finocchietti, <strong>Zarrilli</strong>, 2007a, 2007b) come in Islanda – più che altrove - il<br />

territorio diventi un fattore identitario in se stesso e finisca per permeare molti<br />

aspetti della società, da quello economico a quello politico, da quello ludico a<br />

quello artistico 27, dal design al video-clip 28. Per il pittore Helgi Thorgils Fridjónsson,<br />

ad esempio, «the artist’s mind is linked to sense of the sublime that nature alone<br />

can give and to a specific religious or divine experience which you can find in the<br />

Icelandic highlands» (Ólafsdóttir, 2001, p. 34), mentre il fotografo Ólafur<br />

Elíasson fa della natura islandese il punto di partenza della propria ricerca e<br />

spiega: «I could use music or film, but I use Iceland, because I know it and my<br />

personal content comes from there. Otherwise I would just be like a physicist<br />

investigating natural phenomena.» (ib., p. 36). Sono semplici esempi, che però<br />

27 «Nell’arte islandese la natura del paese è allo stesso tempo un importante soggetto da trattare<br />

ed un fattore determinante dell’identità culturale del popolo islandese. L’arte moderna inizia in<br />

Islanda alla fine del secolo scorso di pari passo con le migliorate condizioni di vita e con<br />

l’indipendenza politica della nazione. Il paesaggio era all’inizio il tema dominante di tale arte.»<br />

(Kvaral, 1999, p. 9).<br />

28 Un esempio particolarmente eloquente è fornito dal video-clip del brano Joga, tratto<br />

dall’album Homogenic (1997) di Björk, per la regia di Michel Gondry.


L’ISLANDA <strong>AL</strong> <strong>TEMPO</strong> <strong>DELLA</strong> <strong>KREPPA</strong><br />

_______________________________________________________________________________________<br />

svelano un’altra dimensione dell’essere islandese, della “Icelandicness”: il rapporto<br />

“speciale” con il contesto naturale che, anche nell’esperienza di chi scrive, non<br />

appare riducibile alla condizione di - ennesimo - stereotipo (anche se ovviamente<br />

non ha mancato di alimentarne) (fig. 3).<br />

Fig. 3 - Sólfar (Sun Voyager), scultura di Jon Gunnar Arnason (1986) che riproduce le<br />

celebri navi vichinghe, a Reykjavik (foto di <strong>Luca</strong> <strong>Zarrilli</strong>).<br />

Che non si tratti di un semplice stereotipo, o di un fatto di folklore, è<br />

dimostrato dalle elevate competenze, spesso d’avanguardia, che l’Islanda ha<br />

maturato in settori legati allo studio ed al governo del territorio: la geotermia in<br />

tutte le sue possibili applicazioni e, più in generale, la produzione di energia da<br />

fonti rinnovabili; la gestione di eventi naturali anche catastrofici; il turismo<br />

naturalistico nelle sue molteplici declinazioni, ma anche quello termale; l’analisi e<br />

la pianificazione del paesaggio; l’agricoltura biologica e la biodiversità; la cosmesi<br />

e le terapie naturali. Una loro valorizzazione 29, magari secondo la logica del<br />

29 Esiste già qualche iniziativa in questo senso: il progetto Náttúra (http://nattura.info/) ideato<br />

dalla cantante Björk, ad esempio, finalizzato allo start-up e alla messa in rete di micro-imprese<br />

operanti nei settori legati alla valorizzazione sostenibile della natura e dell’ambiente. Nelle parole di<br />

Björk, «Iceland can be more self-sufficient and more creative and have an approach that is more<br />

21st century than 19th century […] We can use this economical crisis to become totally sustainable,<br />

and teach the world all we know about geothermal power plants. It may take longer to build and<br />

deliver profits, but it is solid, stable and something that will stand independent of the roller coaster<br />

rides of Wall Street and volatile aluminum prices. And it will help Iceland do what it is best at: being<br />

a gorgeous, unpredictable force of nature […] After financial meltdown, now it's smeltdown. The<br />

men who made Iceland go cap in hand to the IMF are now bent on ruining its landscape», Times On


LUCA ZARRILLI<br />

_______________________________________________________________________________________<br />

distretto produttivo e della specializzazione territoriale, rappresenterebbe una<br />

risposta alla crisi in un’ottica di sostenibilità ambientale e di diversificazione<br />

settoriale, un superamento del “dilemma europeo” 30 e la riaffermazione – oggi più<br />

necessaria che mai - di un tratto culturale e identitario.<br />

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http://www.timesonline.co.uk/tol/comment/columnists/guest_contributors/article5026175.ece).<br />

30 Una scelta di questo tipo sarebbe perfettamente compatibile con l’ingresso nella UE, ed anzi<br />

ne riceverebbe ulteriore impulso sotto la forma dei finanziamenti comunitari previsti per attività di<br />

questo tipo, non sempre accessibili ai paesi terzi.


L’ISLANDA <strong>AL</strong> <strong>TEMPO</strong> <strong>DELLA</strong> <strong>KREPPA</strong><br />

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