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c recensioni<br />

Daniele Bazzani<br />

Untitled 2010<br />

Fingerpicking.net<br />

«Best unknown guitar talents out<br />

there? There’s a guy from Italy called<br />

Daniele Bazzani, who p<strong>la</strong>ys well, really<br />

well». Paro<strong>la</strong> di Tommy Emmanuel. La<br />

domanda è: chi sono io per smentire<br />

lo stel<strong>la</strong>re Tommy? Nessuno: soprattutto<br />

perché non c’è alcuna ragione<br />

per dar corso ad una smentita. Anzi.<br />

È vero: Bazzani suona bene, davvero<br />

bene. Ma <strong>la</strong> cosa non finisce qui. C’è<br />

di più. Molto di più. E ci sono almeno<br />

altri due elementi importanti da considerare<br />

quando si ascolta il suo <strong>la</strong>voro:<br />

<strong>la</strong> scrittura e <strong>la</strong> strada. Partirei dal<strong>la</strong><br />

seconda, anche perché mi sembra<br />

rivesta un ruolo fondamentale nel<strong>la</strong><br />

nascita, nello sviluppo e nel<strong>la</strong> maturazione<br />

del<strong>la</strong> prima. Con strada intendo<br />

sia il percorso personale di Bazzani,<br />

ricco – malgrado l’età – di esperienze<br />

professionali importanti e certamente<br />

significative, in Italia e all’estero, sia il<br />

valore che il concetto di ‘strada’ ha<br />

nelle radici del fare musica con <strong>la</strong> chitarra<br />

e nel<strong>la</strong> cultura che tali radici hanno<br />

determinato in questi ultimi, ormai,<br />

cento anni. La strada come simbolo<br />

esistenziale, dunque, ma anche come<br />

punto di osservazione e luogo privilegiato<br />

dell’esecuzione e del<strong>la</strong> creazione<br />

musicale. Quel<strong>la</strong> stessa strada<br />

(tanto dolorosa, quanto luminosa) attraverso<br />

<strong>la</strong> quale nonno blues ha dato<br />

al<strong>la</strong> luce i tre grandi papà del<strong>la</strong> musica<br />

‘popo<strong>la</strong>re’ contemporanea: jazz, rock<br />

e pop. C’è molta di questa strada<br />

nei piedi, negli occhi, nel<strong>la</strong> testa, nel<br />

cuore e nelle dita di Daniele Bazzani<br />

e non credo sia un caso che le immagini<br />

del<strong>la</strong> copertina siano intrise di<br />

riferimenti a lei. Impossibile non notare<br />

(oltre al<strong>la</strong> strada stessa, al <strong>la</strong>to del<strong>la</strong><br />

quale il chitarrista al<strong>la</strong>rga le braccia<br />

al<strong>la</strong> folgorazione dell’ispirazione, in<br />

uno stilema c<strong>la</strong>ssico dell’iconografia<br />

blues) tutta una serie di richiami simbolici,<br />

che rimandano istantaneamente<br />

al concetto stesso di ‘crossroads’<br />

– tra i più fertili di filiazioni creative – e<br />

a copertine-icona, come quel<strong>la</strong> del<br />

mitico Nashville Skyline (Bob Dy<strong>la</strong>n,<br />

1969). Sì, perché <strong>la</strong> strada di Bazzani<br />

parte certamente dal ‘delta’ di<br />

Mr. Johnson & Co., passa inequivocabilmente<br />

per <strong>la</strong> straordinaria fucina<br />

creativa di Nashville (dove tra l’altro,<br />

nel 2008, hanno smesso di vibrare le<br />

corde del grande Jerry ‘Guitar Man’<br />

Reed, al quale è certamente dedicato<br />

il bellissimo bluesy-rag “So Long,<br />

Jerry”), si bagna (a lungo) nelle rigeneranti<br />

acque di Liverpool e riscende a<br />

ritrovare misura ed equilibrio nel<strong>la</strong> dolente<br />

mediterraneità di Roma e Napoli<br />

(pregevoli le riletture di “Roma nun fa’<br />

<strong>la</strong> stupida stasera” e “Reginel<strong>la</strong>”). Un<br />

viaggio lungo il quale il nostro non perde<br />

mai di vista il senso e il gusto per<br />

un ingrediente fondamentale: <strong>la</strong> melodia.<br />

L’ingrediente che – a mio modo<br />

di vedere – marca il confine tra quanti<br />

sanno ‘cosa’ dire e non soltanto ‘come’<br />

dirlo. E una cosa è certa: Daniele<br />

Bazzani appartiene al<strong>la</strong> (circoscritta<br />

e fortunata) schiera di quei musicisti<br />

che posseggono un ‘come’ adeguato<br />

all’alto valore del ‘cosa’. Tutt’altro che<br />

facile. Tutt’altro che frequente. L’insegna<br />

luminosa che segna<strong>la</strong> <strong>la</strong> presenza<br />

di un musicista. Sebbene, naturalmente,<br />

un ascolto attento riveli come<br />

siano stati molti altri i porti intermedi<br />

toccati nel corso di una navigazione<br />

lunga (e sempre aperta alle contaminazioni<br />

con le buone vibrazioni), quelle<br />

segna<strong>la</strong>te appaiono, tuttavia, le tappe<br />

essenziali del percorso fondativo<br />

dell’espressività dell’autore e interprete<br />

di questo Untitled 2010. Una casa<br />

con molte stanze (15: roba da album<br />

doppio, soprattutto di questi tempi!):<br />

tutte diverse e tutte meritevoli di una<br />

visita e una sosta. Visita e sosta che<br />

non rischiano mai di deludere. Anzi.<br />

Forse è proprio per questo – azzardo<br />

– che l’album resta ‘Untitled’ e che<br />

il suo autore lo sig<strong>la</strong> ‘2010’, come a<br />

40<br />

chitarra acustica 1 duemi<strong>la</strong>undici<br />

volerlo situare nel tempo, indicando<br />

il momento di una breve sosta, nel<strong>la</strong><br />

quale ordinare le immagini e i pensieri<br />

raccolti, per fissarli nei solchi iridati di<br />

un cd, in attesa di riprendere ciò che<br />

<strong>la</strong> musica ci chiede di fare: cercar<strong>la</strong> e<br />

crear<strong>la</strong>... along the road.<br />

Andrea Valeri<br />

Maybe<br />

Vinile Records<br />

Giuseppe Cesaro<br />

Credo sia <strong>la</strong> prima volta, in più di<br />

vent’anni di articoli sui miei incontri<br />

con <strong>la</strong> musica e i musicisti, che mi<br />

capiti di par<strong>la</strong>re del disco di un chitarrista<br />

targato anagraficamente 1991:<br />

l’età di mia figlia. Mi rendo conto che,<br />

prima o poi, doveva pur capitare, ma<br />

non nego che <strong>la</strong> cosa faccia un certo<br />

effetto. E, ascoltando le undici (belle)<br />

tracce di questo Maybe, mi fa ancora<br />

più effetto l’idea che un ragazzo di<br />

non ancora vent’anni possa mostrare<br />

un così invidiabile rapporto con <strong>la</strong> sua<br />

sei corde. Ma il talento è talento e non<br />

conosce età. Ed è del tutto evidente<br />

che, qui, del talento c’è. Non so voi,<br />

ma personalmente sono sempre felice<br />

di incontrare – anche se, per ora,<br />

solo attraverso l’acustica delle note –<br />

chitarristi come Andrea Valeri. Anche<br />

perché non si tratta di incontri così<br />

frequenti. Felice, ma anche preoccupato.<br />

Non fraintendete: preoccupato<br />

in senso positivo. Per <strong>la</strong> speranza che<br />

il talento abbia <strong>la</strong> sapienza (l’occasione,<br />

evidentemente, l’ha già avuta) di<br />

riuscire a mantenere ciò che promette.<br />

Che non è certo poco. Come diceva<br />

uno dei grandi maître à penser

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