Sopra il gorgo che stride - PIMPIRIMPANA
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Famosissimi questi versi delle Riviere, <strong>che</strong> citiamo per la loro indubbia ut<strong>il</strong>ità quasi didascalica, ma<br />
non senza un poco di timore di essere sgridati da Montale, <strong>che</strong> in una lettera all’amico Sergio Solmi at -<br />
tribuisce a quel testo “<strong>il</strong> carattere di una trombonata giovan<strong>il</strong>e, con quelle camelie pallide, quelle voci<br />
d’oro, ecc. ecc”. D’altra parte, non c’è forse poesia di Montale più famosa di Meriggiare pallido e assorto<br />
(anch’essa fra le più anti<strong>che</strong> di Ossi di seppia, del 1916) e i non meno celebri Limoni, <strong>che</strong> sono definiti<br />
proprio “le trombe d’oro della solarità”.<br />
C’è dunque ironia ed autoironia nella poesia come nelle lettere di Montale, ma un’ironia inquieta e<br />
ansiosa, <strong>che</strong> fin dalle prime prove poeti<strong>che</strong> risulta “ebbra di sole”, ma dal “sole divorata”: <strong>il</strong> mondo<br />
poetico di Montale si crea e si distrugge sotto <strong>il</strong> suo stesso impeto vitale, si fonde in un tramonto co-<br />
stante <strong>che</strong> va dall’intuizione dei minimi vitali fino alla loro dissoluzione (“svanire a poco a poco”) e la<br />
loro assim<strong>il</strong>azione nei moti sconfinati dell’universo (“nei colori / fondersi dei tramonti”)... come si leg-<br />
ge ancora in una delle più potenti delle poesie postume, <strong>che</strong>, per brevità, vale la pena citare integralmen-<br />
te:<br />
Un giorno non lontano<br />
assisteremo alla collisione<br />
dei pianeti e <strong>il</strong> diamantato cielo<br />
finirà sommerso in avvalli.<br />
Allora coglieremo rut<strong>il</strong>anti fiori<br />
e stelle al neon.<br />
Guarda, ecco <strong>il</strong> segnale, un fuoco<br />
s’appicca in cielo, si scontrano<br />
Giove con Orione e nel terrib<strong>il</strong>e<br />
frastuono dov’è finito l’uomo?<br />
Certo basta un soffio al mondo<br />
in cui viviamo per scomparire.<br />
Rimarrà forse un grido, quello<br />
della terra <strong>che</strong> non vuole finire.<br />
Non c’è qui <strong>il</strong> “tramonto” ma “un fuoco / s’appicca in cielo”, non si parla di “svanire” e “fondersi”<br />
ma di un poco dissim<strong>il</strong>e “scomparire”; e al posto del pur tenace “osso di seppia” perduto fra le infinite<br />
ondate del mare, c’è qui un ugualmente orgoglioso e potente “grido”, la cui intensità, tuttavia, sembra<br />
avere po<strong>che</strong> possib<strong>il</strong>ità contro <strong>il</strong> “frastuono” di galassie <strong>che</strong> si scontrano.<br />
Accostando questi due testi, è certamente più fac<strong>il</strong>e percepire an<strong>che</strong> nel primissimo ed indimentica-<br />
b<strong>il</strong>e simbolo dell’“osso di seppia” non solo un frammento, un frantumo, o un truciolo, ma una particella di<br />
universo <strong>che</strong> vuole resistere alla sua totale dissoluzione. In corsivo, parole <strong>che</strong> rimandano ai titoli di im-<br />
portanti precedenti letterari di un Montale, quindi, forse isolato ma non distratto – i Frammenti lirici di<br />
Clemente Maria Rebora, del 1913; i Frantumi di Giovanni Boine, del 1915; i Trucioli di Cam<strong>il</strong>lo Sbarbaro,<br />
del 1920 – a cui si deve aggiungere an<strong>che</strong> la parola “rottame”, l’originario titolo della sezione centrale<br />
IN <strong>PIMPIRIMPANA</strong> N. 1 DEL GENNAIO 2012 PAG. 2