IL GENERALE GANDIN A CEFALONIA
IL GENERALE GANDIN A CEFALONIA
IL GENERALE GANDIN A CEFALONIA
Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
a cura di Anna Maria Isastia<br />
Gli eventi di Cefalonia presentano alcune peculiarità.<br />
Anzitutto, una situazione iniziale “difficile” ed una<br />
impensabile strage conclusiva. In secondo luogo, un riconoscimento,<br />
in verità tardivo, della prima Resistenza organica,<br />
con le stellette del R. Esercito, dopo l’8 settembre.<br />
Conosciamo bene la successione dei momenti attraversati<br />
dalla D.f. “Acqui”, perciò mi limiterò ad alcune considerazioni<br />
circa un argomento molto delicato. Dico subito<br />
che credo di poter parlare sine ira et studio, con sufficiente<br />
distacco e con buona comprensione del tumulto<br />
di sentimenti affiorati ai vari livelli in quel settembre<br />
1943. Ero tenente in Montenegro ed ho ancora buona<br />
memoria.<br />
Un fatto d’arme ha un protagonista che spicca su tutti gli<br />
altri. È colui che esercita il comando, colui che detiene il<br />
potere decisionale e la responsabilità della decisione<br />
presa per un’intera unità, grande o piccola che sia. Per<br />
questo desidero soffermarmi sull’azione di comando del<br />
gen. Antonio Gandin, un personaggio al centro di osanna<br />
e di feroci critiche. Solo qualche cenno per ben collocarlo<br />
in quel particolare momento ambientale.<br />
Quando ci si accinge all’esame critico della decisione<br />
presa da un comandante per la risoluzione di un problema<br />
operativo, conosciamo tutto: gli esatti rapporti di forza,<br />
i propositi degli antagonisti, il peso dei fattori che incideranno<br />
sullo snodarsi dell’operazione e soprattutto<br />
l’esito finale. Non è quindi molto difficile saper individuare<br />
gli errori e la mossa vincente. Però, volendo esprimere<br />
un giudizio sul comandante in causa, è buona nor-<br />
<strong>IL</strong> <strong>GENERALE</strong><br />
<strong>GANDIN</strong><br />
A <strong>CEFALONIA</strong><br />
di Mario M. Montanari<br />
ma tener ben presenti gli elementi del problema in suo<br />
possesso, esaminare la valutazione da lui fatta in quelle<br />
circostanze, riconoscere l’imponderabile, soppesare l’incidenza<br />
dei fattori esterni, ammettere anche il fattore fortuna.<br />
Questo non vuole affatto significare benevolenza<br />
per l’operato di quel tale comandante in causa. Vuole<br />
semplicemente capire, distinguere l’errore comprensibile<br />
da quello senza appello, l’abilità o meno di trarsi d’impaccio<br />
a seguito di una decisione iniziale sbagliata, la capacità<br />
di forzare felicemente una situazione di partenza<br />
sfavorevole o l’inettitudine di sprecarne una favorevole.<br />
LA DECISIONE INIZIALE<br />
Il primo ordine del Comando II a Armata (gen. Vecchiarelli)<br />
fu ricevuto da Gandin nella notte del 9 settembre.<br />
In sintesi: restare al proprio posto; non far causa comune<br />
né con gli anglo-americani né con i partigiani; non agire<br />
contro i tedeschi se non provocati.<br />
La sera del 9 pervenne un secondo ordine del Comando<br />
II a Armata. In breve: non opporre resistenza agli angloamericani;<br />
reagire contro eventuali attacchi dei partigiani;<br />
ricevere sulle posizioni attuali il cambio da reparti tedeschi<br />
e cedere loro artiglierie ed armi d’accompagnamento.<br />
Una volta sostituita, la divisione doveva radunarsi<br />
in località da precisare, conservando l’armamento individuale,<br />
per rientrare in Italia 1 .<br />
Questo secondo ordine del gen. Vecchiarelli risultava in<br />
chiara disarmonia con l’indirizzo del Comando Supremo.<br />
Gandin esaminò la questione. Ai suoi occhi il Comando<br />
II a Armata, che sicuramente si trovava in difficoltà<br />
a causa della sua composizione italo-tedesca, era<br />
giunto ad accordi con il Comando Heeresgruppe E (gen.<br />
Löhr) per risolvere nel modo ritenuto migliore la specifica<br />
situazione dello scacchiere greco. D’altro canto il governo<br />
Badoglio, appena trasferitosi a Brindisi, con ogni<br />
verosimiglianza era pressoché esautorato, quindi non bisognava<br />
attendersi aiuti né aerei né navali dall’Italia. Gli<br />
Alleati avevano operato sbarchi in Calabria, nelle Puglie<br />
e adesso a Salerno, quindi poteva reputarsi del tutto improbabile<br />
che dilatassero i loro impegni operativi. In sostanza,<br />
la “Acqui” doveva contare soltanto sulle proprie<br />
forze. Il suo problema tattico non era affatto proibitivo<br />
al momento (nell’isola si trovava solo un reggimento tedesco<br />
non a pieno organico), però non possedeva aviazione,<br />
le sue difesa costiera e contraerei erano limitate a<br />
21
22<br />
pochi settori, quindi si profilava una lotta priva di sbocchi<br />
contro la Luftwaffe e contro uno sbarco tedesco in<br />
forze che prima o poi il gen. Löhr avrebbe disposto. Insomma,<br />
tutto portava a considerare spiegabile l’amaro<br />
ordine dell’Armata.<br />
Gandin convocò a rapporto i comandanti di corpo. Riepilogò<br />
e chiarì le circostanze e chiese i loro pareri circa<br />
il disarmo in tempi successivi. I comandanti della Marina<br />
e dell’artiglieria si dichiararono contrari; quelli della<br />
fanteria e del genio favorevoli, ovviamente senza alcun<br />
entusiasmo 2 . Allora Gandin, che probabilmente non pensava<br />
alla ineluttabilità di un confronto armato con l’alleato<br />
di ieri e comunque preferiva fosse quest’ultimo a<br />
provocare la frattura, ritenne possibile rinvenire una via<br />
d’uscita, sfruttando anche i buoni rapporti personali che<br />
nei tre anni passati al Comando Supremo aveva stabilito<br />
con i vertici del Reich e della Wehrmacht. Da un lato<br />
volle che l’ordine del Comando d’Armata fosse trasmesso<br />
integralmente ai reparti, in modo da metterli a conoscenza<br />
delle prospettive; dall’altro, in un nuovo incontro<br />
nella tarda serata con il ten. col. Barge, comandante delle<br />
forze tedesche di stanza nell’isola, comunicò il possibile<br />
orientamento a lasciare le artiglierie all’atto della<br />
partenza da Cefalonia e le armi di reparto al momento<br />
del rientro in Italia 3 .<br />
A tal proposito, si pone una domanda: poiché il rimpatrio<br />
sarebbe logicamente avvenuto nell’Italia settentrionale,<br />
occupata dai tedeschi, quale sarebbe stato il suo seguito?<br />
Non risulta che la cosa abbia formato oggetto di<br />
ipotesi o di discussioni. È probabile il pensiero che, qualunque<br />
fosse stata la sorte finale, meglio accadesse in<br />
Italia piuttosto che in Balcania. Per certo la quasi totalità<br />
avrebbe rifiutato di riprendere la guerra in patria con dei<br />
tedeschi. E nulla autorizza ad affermare che Gandin si<br />
sarebbe posto a disposizione dell’OKW.<br />
LA CRISI<br />
L’11 settembre, in mattinata, da parte germanica venne<br />
posto a Gandin un esplicito quesito: voleva schierarsi a<br />
fianco dei tedeschi, combattere contro di loro o semplicemente<br />
cedere le armi? Risposta entro le ore 19.00 4 .<br />
Gandin volle allora conoscere con esattezza l’opinione<br />
di coloro che avevano modo e veste per raccogliere i<br />
sentimenti delle truppe. Convocò prima i cappellani, poi<br />
i comandanti di corpo. Gli uni riconobbero la necessità<br />
di cedere le armi “per evitare un inutile spargimento di<br />
sangue fraterno” 5 . I secondi respinsero senza esitare le<br />
tre soluzioni; ma era una non risposta. Gandin domandò<br />
quale fosse lo stato d’animo dei soldati. Gli fu detto che<br />
“nel complesso, fino a quel momento, nella maggioranza<br />
dei reparti, le truppe erano tranquille e disciplinate”,<br />
anche se presso Argostoli “si erano verificate manifestazioni<br />
tutt’altro che tranquillanti” 6 .<br />
Al termine del rapporto, Gandin ricevette il ten.col Barge<br />
e si dichiarò disponibile alla cessione delle armi, beninteso<br />
con le note garanzie, però chiese ed ottenne una<br />
nuova dilazione 7 .<br />
Innegabilmente, a dispetto di ogni buona intenzione, la<br />
condotta temporeggiante seguita da Gandin stava andando<br />
troppo per le lunghe e finì per mostrarsi controproducente<br />
sia in ambito divisionale, ove la voce presto sparsasi<br />
dell’ordine del generale di gettare le armi di fronte<br />
ai pochi tedeschi presenti a Cefalonia non fece che ingigantire<br />
il fermento già esistente ed esaltato dalla interessata<br />
propaganda greca; sia nei confronti dei comandi<br />
germanici, risoluti ormai ad “evacuare con ogni mezzo<br />
gli italiani dall’isola e nel più breve tempo”. Risultato:<br />
inizio di un atteggiamento aggressivo da parte tedesca<br />
ed insorgere di gravissimi incidenti disciplinari in alcuni<br />
reparti della “Acqui” e di ingiuriose accuse contro lo<br />
stesso comandante della divisione.<br />
All’alba del 13 settembre tre batterie del 33° artiglieria<br />
e altri pezzi della Marina aprirono il fuoco d’iniziativa<br />
contro due motozattere germaniche affondandone una e<br />
danneggiando gravemente l’altra. Il dado era tratto. Intervenne<br />
di persona il gen. Lanz, comandante del XXII<br />
Gebirgsarmeekorps, intimando a Gandin la consegna<br />
delle armi e minacciando, in caso contrario, di ricorrere<br />
alla forza. Tenne inoltre a precisare, significativamente,<br />
che con l’azione del mattino la “Acqui”<br />
aveva compiuto “un aperto ed evidente atto<br />
di ostilità”. Secondo Lanz, Gandin gli<br />
avrebbe detto di “aver perso l’autorità nei<br />
confronti dei suoi ufficiali” e dichiarato,<br />
comunque, di sentirsi “legato al giuramento<br />
al Re” 8 .<br />
Poco dopo Gandin si sarebbe accordato con<br />
il ten.col. Barge per la consegna a partire<br />
dal mezzogiorno del 14 e per la riunione<br />
delle unità disarmate nella zona di Sami nella giornata<br />
del 16 9 . Ma in nottata giunse un messaggio del Comando<br />
Supremo che imponeva di resistere con le armi ai tedeschi,<br />
considerandoli nemici. A questo punto Gandin<br />
volle che gli uomini della “Acqui” si pronunciassero sul<br />
noto quesito: con i tedeschi, contro i tedeschi o cessione<br />
delle armi e rimpatrio? L’esito dell’indagine, riferitogli<br />
il mattino del 14, mostrò un’adesione pressoché unanime<br />
alla resistenza armata 10 .
Nel pomeriggio il ten.col. Barge si presentò nuovamente<br />
al Comando di divisione e vi si trattenne in un lunghissimo<br />
dibattito sin quasi alla mezzanotte. A quanto egli comunicò<br />
al gen. Lanz, la divisione rifiutava di eseguire<br />
l’ordine di concentrarsi disarmata nella zona di Sami<br />
perché temeva o di essere lasciata nell’isola alla mercé<br />
dei greci o di essere trasportata non in Italia, bensì nella<br />
penisola greca, e obbligata a battersi contro i ribelli. Perciò<br />
intendeva conservare l’armamento individuale e<br />
consegnare le artiglieria “solo un attimo prima di essere<br />
imbarcati”. Qualora queste richieste fossero state respinte,<br />
il gen. Gandin preferiva “rinunciare definitivamente a<br />
trattare” e affrontare la situazione<br />
alla testa dei suoi uomini 11 .<br />
All’alba del 15 settembre il ten.<br />
col. Barge intimò alla “Acqui” la consegna, entro le ore<br />
12, come ostaggi, di un generale, un ufficiale di Stato<br />
Maggiore e dieci altri ufficiali per garantire “lo sgombero<br />
della zona di Argostoli e la consegna, per il momento,<br />
di tutte le armi pesanti presenti in postazioni fisse lungo<br />
la costa”. In caso di rifiuto, alle 14 il Comando tedesco<br />
avrebbe proceduto con la forza 12 . Allo scadere del tempo<br />
fissato, gli Stuka iniziarono le incursioni su Cefalonia.<br />
Gandin, convinto della non affidabilità delle promesse<br />
tedesche e tenuto conto dell’ordine appena ricevuto dal<br />
Comando Supremo, era pronto a sostenere con la Divisione<br />
una battaglia che sapeva senza speranza.<br />
QUALCHE CONSIDERAZIONE<br />
Sembra adesso opportuno un inciso. È chiaro che Gandin<br />
sin dall’inizio si attenne al secondo ordine di Vecchiarelli.<br />
È comprensibile che ritenesse di poter trovare<br />
un’accettabile via d’uscita, dati i suoi precedenti. È normale<br />
che si preoccupasse di “sentire il polso” delle truppe.<br />
È evidente che nei drammatici giorni dal 10 al 15<br />
settembre egli cercò di evitare che la situazione, sfuggitagli<br />
di mano, sfociasse nello scontro armato. Abbiamo<br />
accennato all’assenza di un fattore determinante, l’aviazione<br />
italiana, alla nessuna fiducia in aiuto concreto dal<br />
governo Badoglio o dagli Alleati. Non abbiamo toccato<br />
un altro punto, sicuramente a lui presente: i dubbi sull’efficienza<br />
operativa della Divisione ai suoi ordini.<br />
Premetto che mi riferisco essenzialmente alla fanteria<br />
“di linea”, cioè all’arma di massa, quella più delicata e<br />
difficile da condurre in battaglia. Non per nulla, nei rapporti<br />
tenuti da Gandin gli ufficiali di fanteria non si mostrarono<br />
inclini ad azioni di forza.<br />
L’artiglieria fruiva di un rapporto numerico quadri-truppa<br />
assai più favorevole. Il suo impiego era più tecnico, il<br />
suo spirito di corpo più elevato. Ricordo, al riguardo,<br />
che alla resa della Ia Armata italiana in<br />
Tunisia, l’ultima salva<br />
delle artiglierie fu<br />
preceduta dal grido:<br />
“Viva il Re! Viva<br />
l’Artiglieria!” ed i<br />
pezzi vennero fatti<br />
saltare davanti alle<br />
batterie schierate sul<br />
“presentat’arm”.<br />
La fanteria, pur battendosicoraggiosamente<br />
– ricordo,<br />
sempre in Tunisia, la<br />
bella difesa ad Enfidaville<br />
– presentava<br />
nel suo complesso<br />
una minore solidità,<br />
riscontrata del resto<br />
anche da tedeschi ed<br />
inglesi. Quali i motivi?<br />
Firma prima di tutto un inquadramento poco valido:<br />
i reggimenti avevano appena una dozzina di ufficiali in<br />
s.p.e. su oltre 110 ufficiali in forza; solo un battaglione<br />
su tre era comandato da un ufficiale effettivo; nei battaglioni<br />
soltanto una compagnia su cinque era comandata<br />
da un capitano (raramente) o da un tenente effettivo. Ma<br />
il tallone d’Achille era rinvenibile a livello ufficiali superiori:<br />
richiamati dopo venti anni di lavoro in una qualsiasi<br />
professione civile e di colpo proiettati alla testa di<br />
un battaglione in guerra, con lontani ricordi di un comando<br />
di plotone, non potevano non risentire dell’insufficiente<br />
grado di preparazione professionale, della quale<br />
naturalmente non erano responsabili. Poi l’addestramento.<br />
Bisogna riconoscere che l’addestramento della fanteria<br />
italiana lasciava a desiderare. Non si trattava di regolamentazione<br />
difettosa, bensì di carenze di tecnica addestrativa.<br />
Non esisteva una programmazione addestrativa<br />
centralizzata. Imparammo la differenza dagli inglesi durante<br />
la guerra di liberazione.<br />
Per le truppe in Balcania si aggiungeva un terzo elemen-<br />
23
24<br />
to negativo: la territorializzazione. La fisionomia delle<br />
nostre unità in Balcania era diventata quella delle truppe<br />
d’occupazione. Le divisioni erano sparpagliate e conducevano<br />
una vita piatta di presidio, tranne qualche operazione<br />
di limitata entità contro i partigiani, e con scarsissima<br />
attività addestrativa.<br />
Tutto ciò può spiegare i molti dubbi dei comandanti di<br />
reggimento sulla capacità offensiva delle truppe, cosa<br />
che non contrasta affatto con i generosi impulsi di giovani<br />
ufficiali. Scadente armamento a parte, un attacco condotto<br />
con reparti entusiasti ma poco saldi è destinato a<br />
subire sensibili perdite ed a sbriciolarsi rapidamente;<br />
mentre, nelle stesse condizioni, un’animosa resistenza in<br />
posto può essere condotta onorevolmente sino a quando<br />
la schiacciante superiorità del nemico non induca ad interrompere<br />
la lotta per evitare ulteriori sacrifici.<br />
Valutazioni del genere furono per certo fatte da Gandin,<br />
che ben conosceva le relazioni trasmesse al Comando<br />
Supremo circa gli sviluppi delle nostre campagne in<br />
Grecia, in Africa settentrionale ed in Russia. Sicuramente<br />
in quei giorni egli fu sottoposto ad una tensione nervosa<br />
di rara gravità, che non poté non avere riflessi, psicologicamente<br />
negativi, come provato da talune discutibili<br />
decisioni, quali la convocazione dei cappellani e<br />
l’indagine svolta fra i soldati circa l’ultimatum tedesco.<br />
Possiamo aggiungere l’eccezionalità di ricevere quattro<br />
giovani ufficiali disposti allo scontro armato, qualunque<br />
ne fosse l’esito, pur di non cedere le armi senza aver<br />
esaurito ogni possibile resistenza. Il drammatico ricordo<br />
dell’atteggiamento di Gandin in quell’occasione è eloquente<br />
in proposito 13 . E aggiungiamo anche i mancati<br />
provvedimenti di rigore nei confronti dei responsabili di<br />
gesti inconsulti. Evidentemente egli intese evitare, almeno<br />
in quel momento delicatissimo, un possibile inasprimento<br />
degli animi.<br />
LA TRISTE CONCLUSIONE<br />
I combattimenti si svolsero a Cefalonia dal 15 al 22 settembre.<br />
In una prima fase l’iniziativa tedesca si risolse<br />
in un successo italiano; in una seconda fase accadde<br />
l’inverso, l’iniziativa fu italiana, ma il successo tedesco;<br />
in una terza fase la rinnovata iniziativa italiana fu anticipata<br />
dai tedeschi e si concluse con il massacro della divisione<br />
“Acqui”.<br />
Due interrogativi: perché un accanimento feroce contro i<br />
vinti in combattimento? Perché la strage finale, a lotta<br />
conclusa?<br />
Al primo quesito si può trovare una spiegazione nella<br />
diffusissima rabbia tedesca, a tutti i livelli, per il tradimento<br />
dell’Italia, che abbandonava l’alleata quando la<br />
guerra volgeva al peggio. Un’accusa che già si era diffusa<br />
in Germania all’annuncio fatto da Mussolini della non<br />
belligeranza, come riferito a suo tempo dall’ambasciatore<br />
Attolico e dall’addetto militare gen. Marras, ed aveva<br />
perfino richiamato il ricordo del 1915. Dopo le previsioni<br />
di una prossima defezione italiana sorte alla caduta di<br />
Mussolini il 25 luglio, l’annuncio dell’armistizio non<br />
soltanto rafforzò l’indignazione<br />
ma fece ritenere a breve<br />
scadenza un voltafaccia<br />
come nel 1915. Il tutto acui-<br />
to dalla constatazione di aver dovuto aiutare l’Italia con<br />
materie prime, materiale d’armamento ed unità della<br />
Wehrmacht, in quei suoi problemi che da sola era incapace<br />
di risolvere. Senza dimenticare che la situazione interna<br />
della Germania – come risulta dalle relazioni inviate<br />
in agosto dal gen. Marras – si faceva sempre più<br />
critica a causa dei recenti devastanti bombardamenti aerei<br />
alleati (ad Amburgo oltre 100 mila morti ed un milione<br />
di sfollati).<br />
Al secondo interrogativo forse si può rispondere richiamando<br />
la violenta irritazione di Hitler e dell’OKW per il<br />
comportamento temporeggiante di Gandin che minacciava<br />
di aggravare la già complessa situazione in Balcania.<br />
Urgeva intervenire radicalmente con un durissimo<br />
esempio per chiudere al più presto la questione Cefalonia,<br />
sia perché esisteva la possibilità che gli Alleati passassero<br />
dalle Puglie a Cefalonia, sia per evitare il verificarsi<br />
di un contagioso “esempio coronato dal successo di<br />
lotta da parte italiana contro il disarmo” 14 .<br />
Quanto al particolare Sonderbefehl di Hitler del 18 settembre<br />
di “non fare prigionieri italiani a Cefalonia a<br />
causa del loro comportamento perfido e traditore” 15 , esso<br />
non trovò applicazione rigida. Dipese molto da chi<br />
eseguì l’ultimo ordine della catena gerarchica.<br />
Inutile soffermarsi sulla futilità delle accuse. A prescindere<br />
da quella generale di tradimento, la prima, specifica,<br />
riguardò la posizione legale di franchi tiratori in cui<br />
si sarebbero venuti a trovare i reparti che si fossero opposti<br />
ai tedeschi, non avendo il governo italiano dichiarato<br />
guerra alla Germania 15 . L’accusa – enunciata già dal<br />
10 settembre – era speciosa, però non priva di una qualche<br />
apparente validità. Infatti lo stesso Eisenhower la<br />
prospettò, insistendo con Badoglio per una dichiarazione<br />
di guerra da parte italiana 16 . Dai tedeschi fu usata con<br />
convinzione ed un ordine dell’OKW la codificò il 15<br />
settembre prescrivendo “la fucilazione degli ufficiali dopo<br />
sommaria corte marziale” ed il “trasferimento all’E-
st” dei sottufficiali e soldati quali lavoratori coatti 17 .<br />
L’11 settembre il gen. Rendulic, comandante della 2°<br />
Panzerarmee, da cui dipendeva il gen. Lanz, precisò che<br />
“anche i soldati italiani facenti parte del gruppo d’armate<br />
Est che non dovessero uniformarsi agli ordini di resa<br />
verranno fucilati quali ribelli” 18 . Per la divisione “Acqui”<br />
si aggiunse “ad abundantiam” l’accusa di non aver<br />
obbedito agli ordini del Comando 11 a Armata.<br />
Ultima accusa: l’ammutinamento. Sia chiaro che non<br />
deve intendersi riferita al comportamento di elementi<br />
italiani verso il gen. Gandin: le questioni interne lasciavano<br />
del tutto indifferenti i tedeschi. Difatti il gen. Lanz<br />
fu molto esplicito a Norimberga: “Dopo che l’armata del<br />
gen. Vercellino aveva capitolato, i membri di questa armata<br />
erano prigionieri di guerra.<br />
Che essi lo volessero o no,<br />
ciò non aveva rilevanza dal<br />
punto di vista giuridico. Orbene,<br />
se questi prigionieri di<br />
guerra, nonostante gli ordini<br />
che noi avevamo dato (…)<br />
continuavano la resistenza con<br />
le armi alla mano,<br />
1 Diario storico Comando VIII Corpo d’Armata, date 8 e 9.9.1943.<br />
2 Archivio USSME, Relazione del col. Ezio Ricci, comandante del<br />
317° reggimento fanteria.<br />
3 Giuseppe Moscardelli, Cefalonia, Regionale, Roma 1945, p. 26.<br />
4 Relazione col. Ezio Ricci cit.<br />
5 Romualdo Formato, L’eccidio di Cefalonia, De Luigi, Roma 1946,<br />
pp. 45-47.<br />
6 Relazione col. Ezio Ricci cit.<br />
7 Gert Fricke, Le azioni di guerra del XXII Corpo d’Armata da montagna<br />
contro le isole di Cefalonia e di Corfù, in “Relazioni di storia militare”,<br />
Rombach, Friburgo 1967, pp. 9-10.<br />
8 Gabrio Lombardi, L’8 settembre fuori d’Italia, Mursia, Milano 1966,<br />
p. 143.<br />
questo è naturalmente ammutinamento”. E dello stesso<br />
avviso si mostravano il Comando Heeresgruppe E e<br />
l’OKW 19 .<br />
Ho parlato di “sacrificio” non per indulgere a motivi retorici<br />
o per far leva sul facile sentimentalismo, bensì<br />
perché questo mi sembra il termine giusto per definire<br />
un combattimento troppo ineguale per consentire speranze,<br />
ma che fu liberamente affrontato dalla Divisione<br />
compatta, dietro al suo comandante ed ai suoi ufficiali,<br />
per intima ribellione ad ingiunzioni inaccettabili. Ho<br />
detto “sacrificio” perché quanto avvenne a singoli scontri<br />
conclusi ed a combattimento ultimato esce dalle norme<br />
della Convenzione di Ginevra circa i prigionieri di<br />
guerra e, soprattutto, dalle regole dell’etica militare. ●<br />
9 Diario di guerra del Comando XXII Gebirgsarmeekorps, data<br />
13.9.1943 all. 47.<br />
10 G. Moscardelli, Cefalonia, cit., p. 53 e seg.<br />
11 Diario di guerra del XXII Gebirgsarmeekorps, date 14 e 16.9.1943.<br />
Cfr. G. Moscardelli, Cefalonia cit., p. 56.<br />
12 Diario di guerra del XXII Gebirgsarmeekorps, data 16.9.1943.<br />
13 Relazione del cap. Renzo Apollonio.<br />
14 Trials of War Criminals, XI, p. 1104.<br />
15 Kriegstagebuch des OKW, data 18.9.1943.<br />
16 Conferenza di Malta del 29.9.1943.<br />
17 G. Lombardi, L’8 settembre fuori d’Italia cit., pp. 415-417.<br />
18 Trials of War Criminals, XI, pp. 1288-1294.<br />
19 Trials of War Criminals, XI, pp. 1108-1109.<br />
25