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IL GENERALE GANDIN A CEFALONIA

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pochi settori, quindi si profilava una lotta priva di sbocchi<br />

contro la Luftwaffe e contro uno sbarco tedesco in<br />

forze che prima o poi il gen. Löhr avrebbe disposto. Insomma,<br />

tutto portava a considerare spiegabile l’amaro<br />

ordine dell’Armata.<br />

Gandin convocò a rapporto i comandanti di corpo. Riepilogò<br />

e chiarì le circostanze e chiese i loro pareri circa<br />

il disarmo in tempi successivi. I comandanti della Marina<br />

e dell’artiglieria si dichiararono contrari; quelli della<br />

fanteria e del genio favorevoli, ovviamente senza alcun<br />

entusiasmo 2 . Allora Gandin, che probabilmente non pensava<br />

alla ineluttabilità di un confronto armato con l’alleato<br />

di ieri e comunque preferiva fosse quest’ultimo a<br />

provocare la frattura, ritenne possibile rinvenire una via<br />

d’uscita, sfruttando anche i buoni rapporti personali che<br />

nei tre anni passati al Comando Supremo aveva stabilito<br />

con i vertici del Reich e della Wehrmacht. Da un lato<br />

volle che l’ordine del Comando d’Armata fosse trasmesso<br />

integralmente ai reparti, in modo da metterli a conoscenza<br />

delle prospettive; dall’altro, in un nuovo incontro<br />

nella tarda serata con il ten. col. Barge, comandante delle<br />

forze tedesche di stanza nell’isola, comunicò il possibile<br />

orientamento a lasciare le artiglierie all’atto della<br />

partenza da Cefalonia e le armi di reparto al momento<br />

del rientro in Italia 3 .<br />

A tal proposito, si pone una domanda: poiché il rimpatrio<br />

sarebbe logicamente avvenuto nell’Italia settentrionale,<br />

occupata dai tedeschi, quale sarebbe stato il suo seguito?<br />

Non risulta che la cosa abbia formato oggetto di<br />

ipotesi o di discussioni. È probabile il pensiero che, qualunque<br />

fosse stata la sorte finale, meglio accadesse in<br />

Italia piuttosto che in Balcania. Per certo la quasi totalità<br />

avrebbe rifiutato di riprendere la guerra in patria con dei<br />

tedeschi. E nulla autorizza ad affermare che Gandin si<br />

sarebbe posto a disposizione dell’OKW.<br />

LA CRISI<br />

L’11 settembre, in mattinata, da parte germanica venne<br />

posto a Gandin un esplicito quesito: voleva schierarsi a<br />

fianco dei tedeschi, combattere contro di loro o semplicemente<br />

cedere le armi? Risposta entro le ore 19.00 4 .<br />

Gandin volle allora conoscere con esattezza l’opinione<br />

di coloro che avevano modo e veste per raccogliere i<br />

sentimenti delle truppe. Convocò prima i cappellani, poi<br />

i comandanti di corpo. Gli uni riconobbero la necessità<br />

di cedere le armi “per evitare un inutile spargimento di<br />

sangue fraterno” 5 . I secondi respinsero senza esitare le<br />

tre soluzioni; ma era una non risposta. Gandin domandò<br />

quale fosse lo stato d’animo dei soldati. Gli fu detto che<br />

“nel complesso, fino a quel momento, nella maggioranza<br />

dei reparti, le truppe erano tranquille e disciplinate”,<br />

anche se presso Argostoli “si erano verificate manifestazioni<br />

tutt’altro che tranquillanti” 6 .<br />

Al termine del rapporto, Gandin ricevette il ten.col Barge<br />

e si dichiarò disponibile alla cessione delle armi, beninteso<br />

con le note garanzie, però chiese ed ottenne una<br />

nuova dilazione 7 .<br />

Innegabilmente, a dispetto di ogni buona intenzione, la<br />

condotta temporeggiante seguita da Gandin stava andando<br />

troppo per le lunghe e finì per mostrarsi controproducente<br />

sia in ambito divisionale, ove la voce presto sparsasi<br />

dell’ordine del generale di gettare le armi di fronte<br />

ai pochi tedeschi presenti a Cefalonia non fece che ingigantire<br />

il fermento già esistente ed esaltato dalla interessata<br />

propaganda greca; sia nei confronti dei comandi<br />

germanici, risoluti ormai ad “evacuare con ogni mezzo<br />

gli italiani dall’isola e nel più breve tempo”. Risultato:<br />

inizio di un atteggiamento aggressivo da parte tedesca<br />

ed insorgere di gravissimi incidenti disciplinari in alcuni<br />

reparti della “Acqui” e di ingiuriose accuse contro lo<br />

stesso comandante della divisione.<br />

All’alba del 13 settembre tre batterie del 33° artiglieria<br />

e altri pezzi della Marina aprirono il fuoco d’iniziativa<br />

contro due motozattere germaniche affondandone una e<br />

danneggiando gravemente l’altra. Il dado era tratto. Intervenne<br />

di persona il gen. Lanz, comandante del XXII<br />

Gebirgsarmeekorps, intimando a Gandin la consegna<br />

delle armi e minacciando, in caso contrario, di ricorrere<br />

alla forza. Tenne inoltre a precisare, significativamente,<br />

che con l’azione del mattino la “Acqui”<br />

aveva compiuto “un aperto ed evidente atto<br />

di ostilità”. Secondo Lanz, Gandin gli<br />

avrebbe detto di “aver perso l’autorità nei<br />

confronti dei suoi ufficiali” e dichiarato,<br />

comunque, di sentirsi “legato al giuramento<br />

al Re” 8 .<br />

Poco dopo Gandin si sarebbe accordato con<br />

il ten.col. Barge per la consegna a partire<br />

dal mezzogiorno del 14 e per la riunione<br />

delle unità disarmate nella zona di Sami nella giornata<br />

del 16 9 . Ma in nottata giunse un messaggio del Comando<br />

Supremo che imponeva di resistere con le armi ai tedeschi,<br />

considerandoli nemici. A questo punto Gandin<br />

volle che gli uomini della “Acqui” si pronunciassero sul<br />

noto quesito: con i tedeschi, contro i tedeschi o cessione<br />

delle armi e rimpatrio? L’esito dell’indagine, riferitogli<br />

il mattino del 14, mostrò un’adesione pressoché unanime<br />

alla resistenza armata 10 .

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