IL GENERALE GANDIN A CEFALONIA
IL GENERALE GANDIN A CEFALONIA
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Nel pomeriggio il ten.col. Barge si presentò nuovamente<br />
al Comando di divisione e vi si trattenne in un lunghissimo<br />
dibattito sin quasi alla mezzanotte. A quanto egli comunicò<br />
al gen. Lanz, la divisione rifiutava di eseguire<br />
l’ordine di concentrarsi disarmata nella zona di Sami<br />
perché temeva o di essere lasciata nell’isola alla mercé<br />
dei greci o di essere trasportata non in Italia, bensì nella<br />
penisola greca, e obbligata a battersi contro i ribelli. Perciò<br />
intendeva conservare l’armamento individuale e<br />
consegnare le artiglieria “solo un attimo prima di essere<br />
imbarcati”. Qualora queste richieste fossero state respinte,<br />
il gen. Gandin preferiva “rinunciare definitivamente a<br />
trattare” e affrontare la situazione<br />
alla testa dei suoi uomini 11 .<br />
All’alba del 15 settembre il ten.<br />
col. Barge intimò alla “Acqui” la consegna, entro le ore<br />
12, come ostaggi, di un generale, un ufficiale di Stato<br />
Maggiore e dieci altri ufficiali per garantire “lo sgombero<br />
della zona di Argostoli e la consegna, per il momento,<br />
di tutte le armi pesanti presenti in postazioni fisse lungo<br />
la costa”. In caso di rifiuto, alle 14 il Comando tedesco<br />
avrebbe proceduto con la forza 12 . Allo scadere del tempo<br />
fissato, gli Stuka iniziarono le incursioni su Cefalonia.<br />
Gandin, convinto della non affidabilità delle promesse<br />
tedesche e tenuto conto dell’ordine appena ricevuto dal<br />
Comando Supremo, era pronto a sostenere con la Divisione<br />
una battaglia che sapeva senza speranza.<br />
QUALCHE CONSIDERAZIONE<br />
Sembra adesso opportuno un inciso. È chiaro che Gandin<br />
sin dall’inizio si attenne al secondo ordine di Vecchiarelli.<br />
È comprensibile che ritenesse di poter trovare<br />
un’accettabile via d’uscita, dati i suoi precedenti. È normale<br />
che si preoccupasse di “sentire il polso” delle truppe.<br />
È evidente che nei drammatici giorni dal 10 al 15<br />
settembre egli cercò di evitare che la situazione, sfuggitagli<br />
di mano, sfociasse nello scontro armato. Abbiamo<br />
accennato all’assenza di un fattore determinante, l’aviazione<br />
italiana, alla nessuna fiducia in aiuto concreto dal<br />
governo Badoglio o dagli Alleati. Non abbiamo toccato<br />
un altro punto, sicuramente a lui presente: i dubbi sull’efficienza<br />
operativa della Divisione ai suoi ordini.<br />
Premetto che mi riferisco essenzialmente alla fanteria<br />
“di linea”, cioè all’arma di massa, quella più delicata e<br />
difficile da condurre in battaglia. Non per nulla, nei rapporti<br />
tenuti da Gandin gli ufficiali di fanteria non si mostrarono<br />
inclini ad azioni di forza.<br />
L’artiglieria fruiva di un rapporto numerico quadri-truppa<br />
assai più favorevole. Il suo impiego era più tecnico, il<br />
suo spirito di corpo più elevato. Ricordo, al riguardo,<br />
che alla resa della Ia Armata italiana in<br />
Tunisia, l’ultima salva<br />
delle artiglierie fu<br />
preceduta dal grido:<br />
“Viva il Re! Viva<br />
l’Artiglieria!” ed i<br />
pezzi vennero fatti<br />
saltare davanti alle<br />
batterie schierate sul<br />
“presentat’arm”.<br />
La fanteria, pur battendosicoraggiosamente<br />
– ricordo,<br />
sempre in Tunisia, la<br />
bella difesa ad Enfidaville<br />
– presentava<br />
nel suo complesso<br />
una minore solidità,<br />
riscontrata del resto<br />
anche da tedeschi ed<br />
inglesi. Quali i motivi?<br />
Firma prima di tutto un inquadramento poco valido:<br />
i reggimenti avevano appena una dozzina di ufficiali in<br />
s.p.e. su oltre 110 ufficiali in forza; solo un battaglione<br />
su tre era comandato da un ufficiale effettivo; nei battaglioni<br />
soltanto una compagnia su cinque era comandata<br />
da un capitano (raramente) o da un tenente effettivo. Ma<br />
il tallone d’Achille era rinvenibile a livello ufficiali superiori:<br />
richiamati dopo venti anni di lavoro in una qualsiasi<br />
professione civile e di colpo proiettati alla testa di<br />
un battaglione in guerra, con lontani ricordi di un comando<br />
di plotone, non potevano non risentire dell’insufficiente<br />
grado di preparazione professionale, della quale<br />
naturalmente non erano responsabili. Poi l’addestramento.<br />
Bisogna riconoscere che l’addestramento della fanteria<br />
italiana lasciava a desiderare. Non si trattava di regolamentazione<br />
difettosa, bensì di carenze di tecnica addestrativa.<br />
Non esisteva una programmazione addestrativa<br />
centralizzata. Imparammo la differenza dagli inglesi durante<br />
la guerra di liberazione.<br />
Per le truppe in Balcania si aggiungeva un terzo elemen-<br />
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