Attori non statali, uso della forza e legittima difesa nella ...
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1. approFondimenTi<br />
<strong>Attori</strong> <strong>non</strong> <strong>statali</strong>, <strong>uso</strong> <strong>della</strong> <strong>forza</strong> e <strong>legittima</strong> <strong>difesa</strong><br />
<strong>nella</strong> giurisprudenza più recente <strong>della</strong> Corte Internazionale di Giustizia<br />
Sommario: 1. La questione dell’<strong>uso</strong> <strong>della</strong> <strong>forza</strong> innanzi alla Corte Internazionale di Giustizia. –<br />
2. Definizione del campo di indagine: aspetti riguardanti l’<strong>uso</strong> <strong>della</strong> <strong>forza</strong> e attori <strong>non</strong> <strong>statali</strong><br />
<strong>nella</strong> giurisprudenza <strong>della</strong> Corte. – 3. L’assistenza a gruppi ribelli o sovversivi come violazione<br />
indiretta del divieto dell’<strong>uso</strong> <strong>della</strong> <strong>forza</strong>. – 4. Assistenza ai ribelli e attacco armato indiretto –<br />
5. La questione <strong>della</strong> liceità di reazioni armate short of Article 51. – 6. La <strong>legittima</strong> <strong>difesa</strong> contro<br />
attori <strong>non</strong> <strong>statali</strong>. – 7. Considerazioni conclusive.<br />
1. Nel corso degli ultimi anni, si è assistito ad un incremento del numero<br />
dei casi deferiti alla Corte Internazionale di Giustizia, o di reclami presentati<br />
nel loro ambito, aventi ad oggetto la liceità del ricorso alla <strong>forza</strong> armata. Dopo<br />
la sentenza del 27 giugno 1986 relativa all’affare delle Attività militari e paramilitari<br />
in Nicaragua e contro di esso (Nicaragua c. Stati Uniti), che rappresenta il<br />
primo caso sottoposto alla Corte complessivamente vertente sull’<strong>uso</strong> <strong>della</strong> <strong>forza</strong>,<br />
il massimo organo giurisdizionale delle Nazioni Unite ha quindi avuto modo<br />
di pronunciarsi su importanti aspetti attinenti la disciplina dell’<strong>uso</strong> <strong>della</strong> <strong>forza</strong>,<br />
peraltro <strong>non</strong> solo in sede contenziosa 1 , ma anche nell'esercizio <strong>della</strong> propria<br />
1 Sentenza del 9 aprile 1949 relativa all’affare concernente lo Stretto di Corfù (Regno Unito c. Albania);<br />
sentenza del 24 maggio 1980 nell’affare del Personale diplomatico e consolare ostaggio a Tehran<br />
(Stati Uniti c. Iran); ordinanze sulle misure provvisorie del 13 settembre 1993 e del 16 aprile 1993<br />
relative all’affare concernente l’Applicazione <strong>della</strong> Convenzione per la prevenzione e la repressione del<br />
crimine di genocidio (Bosnia-Erzegovina c. RFJ), su cui la Corte ha accertato la propria giurisdizione<br />
con sentenza dell’11 luglio 1996; ordinanze sulle misure provvisorie del 2 giugno 1999 negli affari<br />
concernenti la Legalità dell’<strong>uso</strong> <strong>della</strong> <strong>forza</strong> (RFJ c. Belgio), (RFJ c. Canada), (RFJ c. Francia), (RFJ c.<br />
Germania), (RFJ c. Italia), (RFJ c. Paesi Bassi), (RFJ c. Portogallo), (RFJ c. Spagna), (RFJ c. Regno<br />
Unito), (RFJ c. Stati Uniti) su cui la Corte ha accertato di <strong>non</strong> avere giurisdizione con le stesse ordinanze<br />
o con sentenze del 15 dicembre 2004; ordinanze sulle misure cautelari del 1° luglio 2000<br />
relativa all’affare delle Attività armate nel territorio del Congo (Congo c. Uganda) e del 10 luglio 2002<br />
relativa all’affare delle Attività armate nel territorio del Congo (nuova domanda 2002)(Congo c. Ruanda),<br />
su cui la Corte ha rilevato l’insussistenza <strong>della</strong> propria giurisdizione con sentenza del 3 febbraio
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competenza consultiva 2 . Accanto al dato indubbiamente positivo rappresentato<br />
dall’accresciuta propensione degli Stati a sottoporre ad accertamento giurisdizionale<br />
anche controversie attinenti all’<strong>uso</strong> <strong>della</strong> <strong>forza</strong> – e quindi ad un superamento<br />
dell’eccezione basata sulla politicità delle controversie sorte in relazione<br />
ad eventi militari o bellici 3 e sulla inidoneità del regolamento giudiziale quale<br />
mezzo per la loro composizione 4 – in una prospettiva meno ottimistica il nu-<br />
2006; sentenza del 6 novembre 2003 relativa all’affare delle Piattaforme petrolifere (Iran c. Stati Uniti<br />
d’America); sentenza del 19 dicembre 2005 relativa all’affare delle Attività armate nel territorio del<br />
Congo (Congo c. Uganda).<br />
Toccano, o hanno implicato, questioni inerenti la <strong>forza</strong> armata internazionale i seguenti ulteriori<br />
casi deferiti alla Corte: affari concernenti le Attività armate sul territorio del Congo (Congo c. Burundi)<br />
e (Congo c. Ruanda), cancellati dal ruolo con ordinanze del 31 gennaio 2002; affare dell’Incidente<br />
aereo del 10 agosto 1999 (Pakistan c. India), su cui la Corte ha concl<strong>uso</strong> di <strong>non</strong> avere giurisdizione con<br />
sentenza del 21 giugno 2000; sentenza del 4 dicembre 1998 nell’affare concernente la Competenza<br />
in materia di pescherie (Spagna c. Canada); affare concernente l’Applicazione <strong>della</strong> Convenzione sulla<br />
prevenzione e repressione del crimine di genocidio (Bosnia Erzegovina c. Croazia); affari relativi alle<br />
Attività armate frontaliere e transfrontaliere (Nicaragua c. Honduras) e alle Attività armate frontaliere<br />
e transfrontaliere (Nicaragua c. Costa Rica), i cui relativi processi, istituiti il 28 luglio 1986 sono stati<br />
cancellati su richiesta del Nicaragua con ordinanze rispettivamente del 19 agosto 1987 e del 27<br />
maggio 1992.<br />
2 Parere dell’8 luglio 1996 sulla Liceità dell’<strong>uso</strong> delle armi nucleari in un conflitto armato e parere<br />
del 9 luglio 2004 sulle Conseguenze giuridiche derivanti dalla costruzione del muro nei territori palestinesi<br />
occupati.<br />
3 Si pensi all’argomento avanzato dagli Stati Uniti <strong>nella</strong> contromemoria sulla giurisdizione e<br />
la ricevibilità in margine all’affare delle Attività militari e paramilitari in Nicaragua e contro di esso,<br />
secondo cui “a claim on unlawful use of armed force is a matter committed by the United Nations<br />
Charter and by practice to the exclusive competence of other organs, in particular the Security<br />
Council”; e “an ongoing armed conflict involving the use of armed force contrary to the Charter is<br />
one with which a court cannot deal effectively without overstepping proper judicial bound” (in I.C.J,<br />
Reports, 1986, par. 32, p. 26). Nello stesso senso, gli Stati Uniti avevano sostenuto, nel corso del procedimento,<br />
che una determinazione sulla <strong>legittima</strong> <strong>difesa</strong> collettiva invocata dallo Stato ricorrente<br />
“involves a pronouncement on political and military matters, not a question of a kind that a court<br />
can usefully attempt to answer” (ibidem, par. 34, p. 27).<br />
4 Tale convinzione trova riflesso nelle riserve concernenti controversie sorte in relazione ad<br />
eventi bellici o conflitti armati, un tempo molto frequenti nei titoli di giurisdizione e attualmente<br />
incluse in 10 delle 66 dichiarazioni di accettazione <strong>della</strong> giurisdizione obbligatoria <strong>della</strong> Corte in<br />
vigore, di cui la più recente, inserita <strong>nella</strong> dichiarazione di Gibuti del 2 settembre 2005, si riferisce<br />
alle controversie “relating to or connected with facts or situations of hostilities, armed conflicts,<br />
individual or collective actions taken in self-defence, resistance to aggression, fulfilment of obligations<br />
imposed by international bodies and other similar or related acts, measures or situations<br />
in which the Republic of Djibouti is, has been or may in future be involved”, in http://www.icj-cij.<br />
org/icjwww/ibasicdocuments/ibasictext/ibasicdeclarations.htm.
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mero delle controversie sottoposte alla Corte sembra rispecchiare altresì la crisi<br />
in cui la disciplina internazionale dell’<strong>uso</strong> <strong>della</strong> <strong>forza</strong> si è trovata negli ultimi<br />
anni, sia a seguito dell’esplodere di conflitti locali e regionali congelati, all’epoca<br />
<strong>della</strong> Guerra fredda 5 , dalla logica dei blocchi contrapposti, sia dalla tendenza da<br />
parte di taluni Stati, in primis gli Stati Uniti dopo gli attentati dell’11 settembre<br />
2001, a ricorrere unilateralmente alla <strong>forza</strong> armata al di fuori del sistema di sicurezza<br />
collettiva delle Nazioni Unite e dei parametri tradizionali che connotano<br />
l’istituto <strong>della</strong> <strong>legittima</strong> <strong>difesa</strong>, nel contesto <strong>della</strong> guerra contro il terrorismo e in<br />
nome <strong>della</strong> sicurezza nazionale.<br />
Vale la pena rilevare che, complessivamente, tale stato di cose sembra aver<br />
suscitato l’esigenza, talvolta esplicitamente sottolineata dalla Corte e/o da singoli<br />
giudici, talvolta palesata dall’approccio metodologico utilizzato nell’esame delle<br />
cause e nelle scelte argomentative operate – e manifestata dapprima in sede di<br />
esame di richieste di misure provvisorie, poi anche di pronuncia sul merito – di<br />
<strong>non</strong> esimersi dall’apportare un contributo giurisprudenziale ogni qual volta siano<br />
in causa questioni implicanti l’<strong>uso</strong> <strong>della</strong> <strong>forza</strong>, specie rispetto a situazioni di<br />
conflitto armato caratterizzate da gravi violazioni dei diritti umani e del diritto<br />
internazionale umanitario, se <strong>non</strong> addirittura di cogliere quante più occasioni possibili<br />
per pronunciarsi in materia di disciplina del ricorso alla <strong>forza</strong>, per ribadire o<br />
precisare la perdurante validità ed i confini <strong>della</strong> normativa pertinente.<br />
A tale proposito, rileva in primo luogo l’ormai noto, per quanto breve, passo<br />
contenuto nelle ordinanze del 2 giugno 1999 relative agli affari concernenti la<br />
Legalità dell’<strong>uso</strong> <strong>della</strong> <strong>forza</strong>, sollevati dalla Repubblica Federale Jugoslava (RFJ)<br />
contro dieci Stati membri <strong>della</strong> NATO, in cui la Corte, pur rilevando di <strong>non</strong><br />
avere giurisdizione prima facie ai fini dell’indicazione di misure cautelari in otto<br />
dei dieci casi ad essa deferiti, e accertando l’assenza manifesta di giurisdizione<br />
nelle controversie con la Spagna e gli Stati Uniti, si è dichiarata “profoundly concerned<br />
with the use of force in Yugoslavia”, osservando che “under the present<br />
circumstances such use raises very serious issues of international law” 6 . Anche<br />
nell’ordinanza del 10 luglio 2002 relativa all’affare delle Attività armate sul territorio<br />
del Congo (Congo c. Ruanda) 7 , la Corte ha respinto la richiesta di misure<br />
5 Si pensi ai casi giunti innanzi alla Corte concernenti le varie fasi del conflitto <strong>nella</strong> ex Jugoslavia<br />
o ai vari conflitti armati nel continente africano.<br />
6 Si veda, per tutte, l’ordinanza del 2 giugno 1999 relativa all’affare <strong>della</strong> Liceità dell’<strong>uso</strong> <strong>della</strong> <strong>forza</strong><br />
(RFJ c. Belgio), par. 16, in http://www.icj-cij.org/icjwww/idocket/iybe/iybeframe.htm.<br />
7 In http://www.icj-cij.org/icjwww/idocket/icrw/icrworder/icrw_iorders_20020710.PDF, specie<br />
parr. 54-56 e 93.
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cautelari, ma <strong>non</strong> ha mancato di esprimere la sua preoccupazione rispetto alla<br />
gravità <strong>della</strong> situazione, dichiarando anzi di ritenere necessario “to emphasize that<br />
all parties to proceedings before it must act in conformity with their obligations<br />
pursuant to the United Nations Charter and other rules of international law…” 8 .<br />
Mentre <strong>nella</strong> precedente ordinanza del 1° luglio 2000 relativa all’affare parallelo<br />
delle Attività armate sul territorio del Congo (Congo c. Uganda) 9 , la Corte aveva<br />
ritenuto opportuno <strong>non</strong> esimersi dall’esercitare il proprio potere di indicazione<br />
di misure provvisorie, a prescindere dalla sussistenza <strong>della</strong> giurisdizione nel merito,<br />
per richiamare le parti al rispetto di princìpi e regole fondamentali, impedire<br />
l’aggravarsi di una situazione caratterizzata da grave sofferenza <strong>della</strong> popolazione<br />
nelle zone di conflitto, e contribuire al mantenimento <strong>della</strong> pace e <strong>della</strong> sicurezza<br />
internazionale.<br />
Nei casi citati, il contegno <strong>della</strong> Corte è stato variamente commentato da alcuni<br />
giudici, in senso critico o favorevole, talché si palesa un dibattito in seno allo stesso<br />
organo circa la politica giudiziaria opportuna di fronte a situazioni implicanti serie<br />
questioni di <strong>uso</strong> <strong>della</strong> <strong>forza</strong> 10 . Negli affari concernenti la Legalità dell’<strong>uso</strong> <strong>della</strong> <strong>forza</strong>,<br />
vale la pena ricordare la posizione del giudice Vereshchetin, secondo il quale la<br />
Corte, in qualità di “guardiana del diritto internazionale” – come tale responsabile<br />
“for the safeguarding of international law” – ed in base a “major considerations<br />
of public order”, avrebbe dovuto esercitare il suo “inherent power … to call upon<br />
the Parties neither to aggravate nor to extend the conflict and to act in accordance<br />
with their obligations under the Charter of the United Nations” 11 . Anche la<br />
8 Cfr. par. 56 dell’ordinanza.<br />
9 In http://www.icj-cij.org/icjwww/idocket/ico/ico_orders/iCO_iOrder_20000701.htm, soprattutto<br />
par. 42 dell’ordinanza.<br />
10 Di un dibattito in tal senso in seno alla Corte parla anche GaTTini a., La <strong>legittima</strong> <strong>difesa</strong> nel<br />
nuovo secolo: la sentenza <strong>della</strong> Corte internazionale di giustizia nell’affare delle piattaforme petrolifere, in<br />
Rivista di diritto internazionale, 2004, pp. 147-170.<br />
11 Dichiarazione annessa alle ordinanze sulle misure cautelari del 2 giugno 1999 relative agli affari<br />
concernenti la Legalità dell’<strong>uso</strong> <strong>della</strong> <strong>forza</strong> (RFJ c. Stati Uniti), (RFJ c. Spagna), (RFJ c. Germania),<br />
(RFJ c. Italia), (RFJ c. Francia), (RFJ c. Regno Unito), in http://www.icj-cij.org/icjwww/idocket/iyfr/<br />
iyfrorders/iyfr_iorder_opinions_19990602/iyfr_iorder_19990602_Vereschetin.htm e opinione dissidente<br />
annessa alle ordinanze relative a Canada, Belgio, Paesi Bassi, Portogallo, in http://www.icj-cij.<br />
org/icjwww/idocket/iyca/iycaorders/iyca_iorder_19990602_opinions/iyca_iorder_19990602_Vereshchetin.htm;<br />
simili le posizioni del giudice Shi <strong>nella</strong> dichiarazione annessa alle ordinanze sulle misure<br />
cautelari del 2 giugno 1999 relative agli affari concernenti la Legalità dell’<strong>uso</strong> <strong>della</strong> <strong>forza</strong> (RFJ c. Stati<br />
Uniti), (RFJ c. Spagna), (RFJ c. Germania), (RFJ c. Italia), (RFJ c. Francia), (RFJ c. Regno Unito) e<br />
nell’opinione dissidente annessa alle ordinanze nei casi analoghi contro Belgio, Canada, Paesi Bassi,
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pronuncia <strong>della</strong> Corte nell’ordinanza del 2002 relativa all’affare delle Attività armate<br />
sul territorio del Congo (Congo c. Ruanda) è stata giudicata carente da quanti,<br />
data la gravità e l’urgenza <strong>della</strong> situazione, ritenevano opportuno un più deciso<br />
intervento attraverso l’indicazione di misure cautelari 12 , senza sfuggire d’altro<br />
canto alle critiche di quanti per converso, hanno giudicato quella stessa pronuncia<br />
inappropriata in quanto <strong>non</strong> supportata dall’esistenza <strong>della</strong> necessaria competenza<br />
giurisdizionale nel caso di specie 13 .<br />
Tra le decisioni di merito, emblematica <strong>della</strong> convinzione dell’organo di dover<br />
fornire il proprio contributo in materia di <strong>uso</strong> <strong>della</strong> <strong>forza</strong> ove possibile è la sentenza<br />
del 6 novembre 2003 relativa all’affare delle Piattaforme petrolifere (Iran c. Stati<br />
Uniti), <strong>nella</strong> quale la Corte, come è noto, constatando che “the self-defence issues<br />
presented in this case raise matters of the highest importance to all members of<br />
the international community” 14 , ha optato per un approccio analitico che ha dato<br />
priorità ad un aspetto del reclamo, concernente la liceità delle azioni attuate dagli<br />
Stati Uniti contro talune istallazioni petrolifere iraniane alla luce delle norme sulla<br />
<strong>legittima</strong> <strong>difesa</strong>, che poteva essere considerato accessorio rispetto all’oggetto <strong>della</strong><br />
controversia come configurato <strong>nella</strong> requête presentata dall’Iran, ovvero la presunta<br />
violazione, mediante quelle stesse azioni, <strong>della</strong> libertà di commercio sancita dall’art.<br />
X del Trattato bilaterale di amicizia, commercio e navigazione del 1955.<br />
Portogallo, in http://www.icj-cij.org/icjwww/idocket/iyfr/iyfrorders/iyfr_iorder_opinions_19990602/<br />
iyfr_iorder_19990602_Shi.htm; e del giudice Koroma, tuttavia meno critico <strong>nella</strong> sua dichiarazione<br />
annessa alle dieci ordinanze, in http://www.icj-cij.org/icjwww/idocket/iyfr/iyfrorders/iyfr_iorder_opi<br />
nions_19990602/iyfr_iorder_19990602_Koroma.htm.<br />
12 In tal senso si sono espressi il giudice Elaraby <strong>nella</strong> dichiarazione annessa all’ordinanza, in<br />
http://www.icj-cij.org/icjwww/idocket/icrw/icrworder/icrw_iorders_20020710_elaraby.PDF, e <strong>nella</strong><br />
sua opinione individuale il giudice Mavungu, il quale ha constatato che “L’indication de mesures<br />
conservatoires s’impose, en tout cas devrait s’imposer, lorsqu’il y a une situation de belligérance<br />
ou lorsqu’il y a des violations graves des droits de l’homme et du droit international humanitaire”,<br />
par. 79, p. 19 dell’opinione, in http://www.icj-cij.org/icjwww/idocket/icrw/icrworder/icrw_iorders_<br />
20020710_mavungu_french.PDF; il giudice Koroma <strong>nella</strong> sua dichiarazione annessa all’ordinanza<br />
ha invece elogiato la Corte per <strong>non</strong> aver mancato di pronunciarsi, attraverso obiter dicta, <strong>non</strong>ostante<br />
l’impossibilità di indicare misure provvisorie, in http://www.icj-cij.org/icjwww/idocket/icrw/icrwor<br />
der/icrw_iorders_20020710_koroma.PDF.<br />
13 Molto critico in tal senso il giudice Buerghental <strong>nella</strong> sua dichiarazione annessa all’ordinanza,<br />
in http://www.icj-cij.org/icjwww/idocket/icrw/icrworder/icrw_iorders_20020710_buergenthal.PDF.<br />
14 Sentenza del 6 novembre 2003 relativa all’affare delle Piattaforme petrolifere (Iran c. Stati<br />
Uniti), par. 38, in http://www.icj-cij.org/icjwww/idocket/iop/iopjudgment/iop_ijudgment_20031106.<br />
PDF.
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Anche in questo caso il contegno <strong>della</strong> Corte, poi ampiamente dibattuto in<br />
dottrina, è stato oggetto di valutazioni divergenti dei membri del collegio giudicante.<br />
Mentre cinque giudici 15 , nelle loro opinioni individuali, hanno contestato<br />
l’iter logico-analitico seguito <strong>nella</strong> sentenza, altri 16 hanno giustificato o apprezzato<br />
la scelta metodologica operata dalla Corte, taluni addirittura lamentando un’eccessiva<br />
prudenza e inappropriato self-restraint che l’organo avrebbe dimostrato<br />
nello statuire sui capisaldi del regime giuridico dell’<strong>uso</strong> <strong>della</strong> <strong>forza</strong> 17 .<br />
2. Il presente lavoro si propone di ricostruire la giurisprudenza <strong>della</strong> Corte in<br />
materia di <strong>uso</strong> <strong>della</strong> <strong>forza</strong>, limitatamente a talune questioni che risultano particolarmente<br />
attuali in relazione a dinamiche internazionali contemporanee caratterizzate<br />
da conflitti che, accanto agli Stati, vedono sempre più come protagonisti<br />
attori <strong>non</strong> <strong>statali</strong> (gruppi irregolari, movimenti ribelli, organizzazioni terroristiche),<br />
e sulle quali il massimo organo giurisdizionale delle Nazioni Unite ha fornito<br />
contributi recenti, sviluppando e aggiornando la sua giurisprudenza.<br />
L’esame ripercorrerà quindi le pronunce sulle forme di violazione indiretta del<br />
divieto di ricorso alla <strong>forza</strong>, per poi ricostruire l’orientamento <strong>della</strong> Corte e di singoli<br />
giudici sulla nozione di attacco armato indiretto e sull’esistenza e le condizioni<br />
del diritto alla <strong>legittima</strong> <strong>difesa</strong> in tali casi, ed affrontare infine la problematica<br />
ulteriore <strong>della</strong> violazione del divieto di <strong>uso</strong> <strong>della</strong> <strong>forza</strong> <strong>non</strong> imputabile ad alcuno<br />
Stato, e delle reazioni ad essa consentite.<br />
3. La questione <strong>della</strong> responsabilità di uno Stato per violazione del divieto<br />
di ricorso alla <strong>forza</strong> mediante l’assistenza fornita a movimenti ribelli o gruppi<br />
terroristici, è, dopo l’affare Nicaragua, al cuore <strong>della</strong> controversia tra Repubblica<br />
Democratica del Congo (RDC) e Uganda relativa alle Attività armate sul territorio<br />
del Congo (Congo c. Uganda), decisa dalla Corte con sentenza del 19 dicembre<br />
2005 18 . Il Congo, Stato attore, aveva chiesto alla Corte di accertare e dichiarare<br />
la responsabilità dell’Uganda, tra l’altro, per aver violato il principio del <strong>non</strong> <strong>uso</strong><br />
<strong>della</strong> <strong>forza</strong> nelle relazioni internazionali, incl<strong>uso</strong> il divieto di aggressione, sia<br />
15 Cfr. le opinioni individuali dei giudici Higgins, Parra-Aranguren, Kooijmans, Buergenthal,<br />
Owada, in http://www.icj-cij.org/icjwww/idocket/iop/iopframe.htm.<br />
16 Dichiarazione del giudice Koroma; opinione dissidente del giudice Al-Khasawneh; opinione<br />
dissidente del giudice Elaraby; opinione individuale del giudice Simma; opinione individuale del<br />
giudice Rigaux. I cinque giudici hanno tutti sottolineato il carattere imperativo o di jus cogens <strong>della</strong><br />
norma che vieta l’<strong>uso</strong> <strong>della</strong> <strong>forza</strong>, in http://www.icj-cij.org/icjwww/idocket/iop/iopframe.htm.<br />
17 In tal senso soprattutto il giudice Simma, in http://www.icj-cij.org/icjwww/idocket/iop/iopjud<br />
gment/iop_ijudgment_20031106_simma.PDF, parr. 6-8, pp. 1, 3 e 4 dell’opinione individuale.<br />
18 In http://www.icj-cij.org/icjwww/idocket/ico/icoframe.htm.
162 | In.Law | 4 (2006)<br />
occupando il proprio territorio 19 , sia “actively extending military, logistic, economic<br />
and financial support to irregular forces having operated there”, in particolare<br />
al Movimento di Liberazione del Congo (MLC) e al suo braccio armato,<br />
l’Armata di liberazione del Congo (ALC), <strong>non</strong>ché al Rassemblement Congolais<br />
pour la Démocratie (RCD). L’Uganda ammetteva di aver fornito addestramento<br />
e supporto militare ai ribelli congolesi, ma nel rispetto dei requisiti per l’esercizio<br />
<strong>della</strong> <strong>legittima</strong> <strong>difesa</strong>, in base alla quale giustificava complessivamente il proprio<br />
intervento 20 .<br />
Dopo aver rilevato che <strong>non</strong> vi fossero i presupposti per l’esercizio <strong>della</strong> <strong>legittima</strong><br />
<strong>difesa</strong> da parte dell’Uganda, la Corte ha accertato che il sostegno militare prestato<br />
da tale Stato <strong>non</strong> configurasse tuttavia il MLC come un organo dell’Uganda,<br />
né come un’entità che esercitasse per suo conto elementi di autorità governativa,<br />
né agente “su istruzioni o sotto la direzione o il controllo” dell’Uganda, ai sensi<br />
degli articoli 4, 5 e 8 del Progetto di articoli <strong>della</strong> Commissione di diritto internazionale<br />
del 2001 sulla responsabilità degli Stati per fatto illecito, e che quindi<br />
<strong>non</strong> si ponesse nel caso di specie il problema di verificare l’esistenza di un sufficiente<br />
grado di controllo da parte dello Stato sui gruppi paramilitari 21 . Citando la<br />
sentenza Nicaragua, la Corte ha tuttavia concl<strong>uso</strong> che, fornendo addestramento e<br />
supporto militare all’ALC, anche se “for reason of its perceived security needs” 22 ,<br />
l’Uganda avesse comunque violato gli obblighi derivanti dai princìpi che vietano<br />
l’<strong>uso</strong> <strong>della</strong> <strong>forza</strong> e il <strong>non</strong>-intervento negli affari interni, come sanciti dalla Dichiarazione<br />
sui princìpi di diritto internazionale relativi alle relazioni amichevoli e alla<br />
cooperazione fra Stati in conformità con la Carta delle Nazioni Unite annessa alla<br />
risoluzione dell’Assemblea Generale n. 2625 (XX) del 24 ottobre 1970, le cui disposizioni<br />
sono di nuovo qualificate come “declaratory of customary international<br />
law” 23 .<br />
19 Rispetto a tale reclamo, la Corte ha accertato che l’intervento militare condotto dall’esercito<br />
ugandese <strong>nella</strong> zona nord-orientale <strong>della</strong> Repubblica Democratica del Congo a partire dall’agosto<br />
1998, e a seguito del quale lo Stato convenuto ha conquistato numerose località, tanto da divenire,<br />
secondo la Corte, “Potenza Occupante” <strong>della</strong> provincia dell’Ituri, costituisse una “grave violazione<br />
del divieto di <strong>uso</strong> <strong>della</strong> <strong>forza</strong> espresso nell’articolo 2, par. 4, <strong>della</strong> Carta” (par. 153, p. 54, e par. 165, p.<br />
57). Pur <strong>non</strong> qualificando espressamente come “aggressione” gli attacchi dell’esercito ugandese, e per<br />
questo criticata <strong>nella</strong> sua opinione individuale del giudice Elaraby, la Corte ha tuttavia ritenuto che<br />
fossero tali da giustificare una reazione in <strong>legittima</strong> <strong>difesa</strong> da parte <strong>della</strong> RDC (par. 304, p. 92).<br />
20 Cfr. par. 41, p. 30.<br />
21 Cfr. par. 160, p. 56.<br />
22 Cfr. par. 163, p. 56.<br />
23 Cfr. par. 162, p. 56. Come è noto, <strong>nella</strong> sentenza Nicaragua del 1986 la Corte aveva affermato
In.Law | 4 (2006) | 163<br />
Inoltre, <strong>nella</strong> trattazione del primo contro-reclamo presentato dall’Uganda, in<br />
cui tale Stato aveva chiesto alla Corte di accertare la responsabilità <strong>della</strong> RDC<br />
per aver violato quanto meno il suo obbligo di vigilanza, tollerando la presenza di<br />
ribelli anti-ugandesi sul suo territorio, la Corte ha notato che “this is a different<br />
issue from the question of active support for the rebels”, sottolineando come la<br />
Dichiarazione sulle relazioni amichevoli del 1970 vieti agli Stati l’acquiescenza o<br />
la tolleranza di attività organizzate nel proprio territorio dirette alla commissione<br />
di atti di terrorismo o di lotta civile 24 , e quindi qualcosa di diverso dalla mera<br />
incapacità di un governo di porvi termine.<br />
Rispetto alle attività condotte dai ribelli anti-ugandesi nel periodo tra il 1994<br />
e il 1997, la Corte ha quindi rilevato di <strong>non</strong> essere in grado di concludere che l’assenza<br />
di azione contro quei gruppi da parte del governo dello Zaire (oggi RDC)<br />
nell’area di confine con l’Uganda fosse “tantamount to ‘tolerating’ or ‘acquiescing’<br />
in their activities”, risultando piuttosto che quella regione sfuggisse completamente<br />
al controllo del governo centrale 25 .<br />
Secondo la Corte, dunque, uno Stato <strong>non</strong> può essere ritenuto responsabile di<br />
una violazione del divieto di <strong>uso</strong> <strong>della</strong> <strong>forza</strong>, neppure indiretta e minoris generis,<br />
per azioni condotte da gruppi ribelli stanziati sul suo territorio, ma che sfuggono<br />
al suo potere d’imperio.<br />
In seno al collegio giudicante, tale posizione è stata contestata dai giudici<br />
Tomka e Kateka, rispettivamente <strong>nella</strong> dichiarazione e nell’opinione dissidente<br />
annesse alla sentenza. Tomka ha criticato la Corte, con un’argomentazione che<br />
appare condivisibile, per <strong>non</strong> aver valutato se l’incapacità di controllo del governo<br />
centrale nei confronti dei gruppi ribelli fosse o meno il risultato <strong>della</strong> mancan-<br />
la corrispondenza al diritto consuetudinario <strong>della</strong> Dichiarazione del 1970 considerandone le modalità<br />
di adozione come prova di un’opinio juris degli Stati circa il valore vincolante delle statuizioni in<br />
essa contenute, suscitando tuttavia la critica del giudice Ago, espressa <strong>nella</strong> sua opinione individuale<br />
annessa alla sentenza (in I.C.J. Reports, 1986, par. 7, p. 184).<br />
24 Per quanto noto, ci sembra utile ricordare come <strong>nella</strong> sentenza Nicaragua la Corte, facendo<br />
appunto riferimento alla Dichiarazione n. 2625 del 1970, abbia per la prima volta sottolineato la<br />
distinzione tra le forme più gravi di <strong>uso</strong> <strong>della</strong> <strong>forza</strong>, costitutive di un attacco armato, e altre forme<br />
meno gravi, tra cui “l’organizzazione o l’incoraggiamento dell’organizzazione di forze irregolari o<br />
bande armate, inclusi mercenari, per incursioni nei territori di un altro Stato”, e “l’organizzazione,<br />
istigazione, assistenza o partecipazione in atti di lotta civile o atti terroristici in un altro Stato, o l’acquiescenza<br />
o tolleranza nei confronti di attività organizzate all’interno del proprio territorio dirette<br />
alla commissione di tali atti, quando questi ultimi implicano l’<strong>uso</strong> <strong>della</strong> <strong>forza</strong>” (in I.C.J. Reports, 1986,<br />
par. 191, p. 101, corsivo nostro anche nel testo).<br />
25 Cfr. parr. 300-301 <strong>della</strong> sentenza Congo c. Uganda del 19 dicembre 2005, p. 91.
164 | In.Law | 4 (2006)<br />
za del dovuto grado di diligenza, ritenendo che in caso positivo il contegno del<br />
Congo sarebbe equivalso ad acquiescenza o tolleranza dei gruppi stessi. Secondo<br />
il giudice, l’assenza o incapacità di controllo da parte del governo centrale su<br />
talune porzioni di territorio statale <strong>non</strong> solleva dal dovere di vigilanza lo Stato<br />
territoriale, che, al contrario, è comunque tenuto ad adottare le misure necessarie<br />
per impedire che il suo territorio venga utilizzato da gruppi irregolari per attività<br />
sovversive o terroriste contro altri Stati. Nel caso di specie, secondo il giudice la<br />
RDC risultava responsabile per aver di fatto tollerato, a causa <strong>della</strong> sua inerzia e<br />
carenza di autorità, le attività dei ribelli anti-ugandesi al confine con l’Uganda 26 .<br />
Anche il giudice ad hoc Kateka ha sostenuto che l’incapacità del governo del<br />
Congo di controllare i ribelli anti-ugandesi lo rendesse quantomeno responsabile<br />
di un intervento illecito, in violazione del dovere di ogni Stato di astenersi dall’organizzare<br />
o incoraggiare l’organizzazione di forze irregolari e bande armate per<br />
compiere incursioni sul territorio di un altro Stato 27 , e quindi di una violazione<br />
indiretta, minoris generis, del divieto di ricorso alla <strong>forza</strong>.<br />
Nel complesso, la giurisprudenza <strong>della</strong> Corte relativa alla distinzione tra forme<br />
più e meno gravi di <strong>uso</strong> <strong>della</strong> <strong>forza</strong>, riconducibile essenzialmente alle citate<br />
sentenze Nicaragua e Congo c. Uganda, suggerisce che l’<strong>uso</strong> indiretto <strong>della</strong> <strong>forza</strong><br />
comporta necessariamente la qualificazione come “minoris generis” <strong>della</strong> violazione<br />
con esso perpetrata, nel senso che dalla <strong>non</strong> imputabilità ad uno Stato di azioni<br />
violente di gruppi ribelli o terroristi consegue che lo Stato implicato in quelle<br />
azioni, attraverso un’assistenza più o meno determinante, possa essere ritenuto<br />
responsabile solo di una forma meno grave di violazione del divieto di ricorso alla<br />
<strong>forza</strong>, ma <strong>non</strong> anche di un “attacco armato” ai fini del ricorso alla <strong>legittima</strong> <strong>difesa</strong>,<br />
a prescindere dall’entità e gravità delle azioni medesime. Il dato rilevante <strong>della</strong><br />
sentenza del 19 dicembre 2005 è che tale posizione, oggetto di critiche da parte<br />
<strong>della</strong> dottrina sin dal caso Nicaragua, è stata tuttavia confermata e ribadita dalla<br />
Corte 28 .<br />
4. Ed è appunto sulla nozione di attacco armato, specie in forma “indiretta”,<br />
che è opportuno soffermarsi ora.<br />
26 Dichiarazione del giudice Tomka, parr. 4-5, p. 2, in http://www.icj-cij.org/icjwww/idocket/ico/<br />
icoframe.htm.<br />
27 Opinione dissidente del giudice Kateka, par. 37, p. 9, in http://www.icj-cij.org/icjwww/idoc<br />
ket/ico/icoframe.htm.<br />
28 Cfr. le osservazioni critiche di SciSo e., Legittima <strong>difesa</strong> ed aggressione indiretta secondo la<br />
Corte Internazionale di Giustizia, in Rivista di diritto internazionale, 1987, pp. 627-640, specie pp.<br />
631-634.
In.Law | 4 (2006) | 165<br />
Partendo ancora dalla sentenza Nicaragua, ricordiamo che la Corte, dopo aver<br />
constatato in generale, con un’osservazione che sembra oggi poco attuale, l’esistenza<br />
di un consenso tra gli Stati circa la natura degli atti che possono essere<br />
considerati costitutivi di un attacco armato, ha dichiarato nello specifico di ritenere<br />
generalmente riconosciuto e accettato che un attacco possa essere attuato<br />
<strong>non</strong> solo mediante forze armate regolari che oltrepassino un confine internazionale,<br />
ma anche con l’invio, da o per conto di uno Stato, di bande armate, gruppi,<br />
irregolari o mercenari, che compiano atti di <strong>forza</strong> armata contro un altro Stato<br />
di tale gravità da equivalere ad un attacco armato condotto da forze regolari, o<br />
il suo sostanziale coinvolgimento in tali azioni, ai sensi dell’articolo 3, lett. g),<br />
<strong>della</strong> Definizione di aggressione del 1974 annessa alla risoluzione 3314 (XXIX)<br />
dell’Assemblea Generale, ritenuta anche questa corrispondente al diritto internazionale<br />
consuetudinario. Secondo la Corte <strong>non</strong> vi sarebbe alcun motivo per negare<br />
che, nel diritto internazionale consuetudinario, il divieto di attacchi armati possa<br />
applicarsi all’invio da parte di uno Stato di bande armate nel territorio di un altro<br />
Stato, se tale operazione, a causa <strong>della</strong> sua portata e dei suoi effetti, sarebbe stata<br />
qualificata come un attacco armato piuttosto che come un semplice incidente di<br />
frontiera qualora fosse stato condotto da forze armate regolari 29 .<br />
La Corte ha quindi individuato due condizioni che devono verificarsi perché<br />
uno Stato possa essere ritenuto responsabile di un attacco armato “indiretto” 30 : un<br />
“coinvolgimento sostanziale” dello Stato nelle azioni armate condotte da ribelli o<br />
irregolari, qualora questi <strong>non</strong> possano dirsi direttamente “inviati” dallo Stato medesimo;<br />
e una certa soglia di gravità di quelle azioni.<br />
La prima condizione richiede che siano precisati i criteri in base ai quali qualificare<br />
come “sostanziale” il coinvolgimento di uno Stato nelle azioni di gruppi irregolari<br />
o ribelli. Nella sentenza Nicaragua la Corte, come si ricorda, ha ritenuto che<br />
<strong>non</strong> raggiungesse la soglia di un coinvolgimento sostanziale, e <strong>non</strong> configurasse<br />
pertanto l’ipotesi dell’aggressione armata indiretta – potendosi considerare al più<br />
quale minaccia o <strong>uso</strong> <strong>della</strong> <strong>forza</strong> – un intervento realizzato attraverso la “fornitura<br />
di armi, o supporto logistico o di altro genere” 31 . Perché si dia un attacco armato<br />
29 Cfr. par. 195, p. 103.<br />
30 Pur essendo il punto controverso in dottrina (cfr. randelzhoFer a., Article 2 (4), in Simma<br />
B. (Ed.), The Charter of the United Nations. A Commentary, Oxford, 2002, p. 119), il termine<br />
viene inteso in tale sede nel senso di indicare un attacco armato di cui uno Stato può essere ritenuto<br />
responsabile ai fini di una reazione in <strong>legittima</strong> <strong>difesa</strong>, seppure <strong>non</strong> condotto mediante forze armate<br />
regolari.<br />
31 Cfr. par. 195, p. 104.
166 | In.Law | 4 (2006)<br />
indiretto parrebbe quindi necessario un coinvolgimento qualitativamente diverso,<br />
implicante la pianificazione e la direzione delle operazioni dei gruppi irregolari,<br />
ovvero una condizione in cui le bande risultano in pratica agenti su istruzioni o<br />
sotto il controllo dello Stato. In tal senso, il coinvolgimento sostanziale coincide<br />
con quella forma di “controllo diretto ed effettivo”, rilevato dalla Corte da parte<br />
degli Stati Uniti nei confronti degli UCLAs ma <strong>non</strong> dei Contras, e ritenuto necessario<br />
per imputare allo Stato le operazioni di gruppi irregolari 32 .<br />
Tale posizione è stata ribadita <strong>nella</strong> sentenza del 19 dicembre 2005 relativa<br />
all’affare delle Attività armate sul territorio del Congo, <strong>nella</strong> quale la Corte ha respinto<br />
l’argomento dell’Uganda volto a giustificare a titolo di <strong>legittima</strong> <strong>difesa</strong> le<br />
attività armate condotte a partire dall’agosto 1998 nel nord-est <strong>della</strong> Repubblica<br />
Democratica del Congo, rilevando, tra l’altro, che <strong>non</strong> vi fossero i presupposti<br />
per una reazione militare contro il Congo, in mancanza di prove sufficienti di un<br />
coinvolgimento diretto o indiretto del governo di quest’ultimo Stato negli attacchi<br />
transfrontalieri dei movimenti ribelli congolesi, in particolare dell’ADF. La Corte<br />
ha infatti osservato come “the attacks did not emanate from armed bands or irregulars<br />
sent by the DRC or on behalf of the DRC, within the sense of Article 3 (g)<br />
of General Assembly Resolution 3314 (XXIX) on the definition of aggression” 33 ,<br />
e che pertanto <strong>non</strong> fossero attribuibili al Congo.<br />
Come è noto, l’impostazione adottata dalla Corte <strong>non</strong> ha mancato di suscitare<br />
perplessità e critiche, sia da parte di taluni giudici, sia in dottrina 34 . Essa conduce<br />
infatti a far coincidere del tutto la condizione del coinvolgimento sostanziale con<br />
quella dell’“invio” di bande e irregolari da parte di uno Stato, privando così di<br />
significato la congiunzione “o” utilizzata nell’art. 3, lett. g), <strong>della</strong> Dichiarazione<br />
sulla definizione di aggressione, come rilevato dal giudice Schwebel <strong>nella</strong> sua<br />
opinione dissidente annessa alla sentenza Nicaragua. Il giudice, pronunciandosi<br />
su quella che egli stesso ha definito la “critical question of whether aid to irregulars<br />
may be tantamount to an armed attack” 35 , ha infatti sottolineato come<br />
l’ultima parte dell’art. 3, lett. g), <strong>della</strong> Dichiarazione dell’Assemblea Generale<br />
sulla definizione di aggressione, contenuta <strong>nella</strong> risoluzione 3314 (XXIX) del<br />
32 Cfr. par. 102, p. 60; e par. 115, p. 65.<br />
33 Cfr. par. 146, p. 53.<br />
34<br />
SciSo e., Legittima <strong>difesa</strong> ed aggressione indiretta secondo la Corte Internazionale di Giustizia,<br />
cit., pp. 627-640.<br />
35 Opinione dissidente del giudice Schwebel annessa alla sentenza del 27 giugno 1986 relativa<br />
all’affare Nicaragua, in I.C.J. Reports, 1986, pp. 259-527, par. 155 p. 332.
In.Law | 4 (2006) | 167<br />
1974, equipara all’aggressione <strong>non</strong> solo l’invio, da parte di uno Stato nel territorio<br />
di un altro, di bande armate, gruppi di irregolari o mercenari che compiano ivi<br />
atti di gravità e intensità tali da equivalere ad un attacco armato sferrato da forze<br />
regolari, ma anche “its substantial involvement therein”, ovvero il coinvolgimento<br />
sostanziale dello Stato in atti simili compiuti da bande irregolari, sebbene <strong>non</strong><br />
da quello “inviate” 36 , suggerendo quindi una distinzione tra le due ipotesi: quella<br />
dell’invio, che presupporrebbe un coinvolgimento diretto dello Stato, sotto forma<br />
di pianificazione e direzione delle azioni armate, e quella del coinvolgimento<br />
sostanziale, che parrebbe riferirsi ad una forma comunque decisiva, ma indiretta,<br />
di intervento, ovvero <strong>non</strong> implicante l’imputabilità 37 .<br />
Nella stessa ottica, ma, con un’argomentazione <strong>non</strong> sempre lineare, il giudice<br />
ad hoc Kateka, <strong>nella</strong> sua opinione dissidente annessa alla sentenza del 19 dicembre<br />
2005 Congo c. Uganda, ha contestato la conclusione secondo cui l’Uganda <strong>non</strong><br />
potesse ritenersi vittima di un attacco armato indiretto da parte del Congo, derivante<br />
dell’essersi la Corte attenuta alla limitata interpretazione dell’art. 3, lett. g),<br />
<strong>della</strong> Dichiarazione del 1974 sulla definizione di aggressione già adottata <strong>nella</strong><br />
sentenza relativa all’affare Nicaragua, e in base alla quale uno Stato è responsabile<br />
di un attacco armato indiretto solo se è provato il suo coinvolgimento sostanziale<br />
nelle attività armate di bande o gruppi di irregolari 38 .<br />
Non è poi privo di rilievo il fatto che, ancora nell’affare Congo c. Uganda, sia<br />
stato sottoposto alla Corte il problema <strong>della</strong> responsabilità di uno Stato per le<br />
azioni militari condotte da gruppi irregolari operanti sul proprio territorio anche<br />
in relazione alla sola incapacità dello Stato stesso di contrastare o impedire l’attività<br />
di quei gruppi. Implicitamente, la Corte ha risposto in senso negativo nel passo<br />
<strong>della</strong> sentenza in cui, respingendo l’argomento dell’Uganda volto a giustificare a<br />
titolo di <strong>legittima</strong> <strong>difesa</strong> le operazioni militari armate condotte nel nord-est <strong>della</strong><br />
RDC, ha osservato che gli attacchi transfrontalieri di movimenti ribelli presenti<br />
sul territorio del Congo, in particolare dell’ADF, <strong>non</strong> costituissero “a matter of<br />
Congolese policy, but rather a reflection of its inability to control events along<br />
its borders” 39 . Peraltro, si è già detto come la Corte, <strong>nella</strong> stessa pronuncia, abbia<br />
36 Ibidem, parr. 165-170, pp. 343-346.<br />
37 Meno drastica è la critica espressa <strong>nella</strong> sua opinione dissidente dal giudice Jennings, secondo<br />
il quale mentre la sola fornitura di armi <strong>non</strong> può considerarsi costitutiva di un attacco armato, potrebbe<br />
esserlo se associata a supporto logistico o di altro genere (in I.C.J. Reports, 1986, p. 349).<br />
38 Opinione dissidente del giudice Kateka annessa alla sentenza Congo c. Uganda del 19 dicem-<br />
bre 2005, par. 37, p. 9.<br />
39 Cfr. par. 135, p. 51.
168 | In.Law | 4 (2006)<br />
ritenuto che, a differenza <strong>della</strong> tolleranza o acquiescenza nei confronti di organizzazioni<br />
sovversive, l’incapacità di un Stato di contrastarle per mancanza di controllo<br />
su una parte del proprio territorio <strong>non</strong> realizzerebbe neppure una violazione<br />
minoris generis del divieto di <strong>uso</strong> <strong>della</strong> <strong>forza</strong>.<br />
Complessivamente, dunque, l’orientamento <strong>della</strong> Corte risulta consolidato nel<br />
senso di negare che uno Stato possa essere ritenuto responsabile, e come tale reso<br />
destinatario di un’azione in <strong>legittima</strong> <strong>difesa</strong>, di un attacco armato condotto da<br />
gruppi ribelli o movimenti terroristi da quello Stato addestrati, organizzati, finanziati<br />
ed equipaggiati, e a maggior ragione solo tollerati. In seno al collegio giudicante,<br />
come si è visto, tale posizione è stata contestata da poche voci dissidenti,<br />
peraltro provenienti per lo più da giudici <strong>della</strong> nazionalità degli Stati convenuti o<br />
da questi nominati.<br />
5. Meno scontato appare invece il dibattito intorno all’ipotesi dell’ammissibilità<br />
di una reazione armata short of self-defence, ovvero di un <strong>uso</strong> <strong>della</strong> <strong>forza</strong> con<br />
finalità difensiva in risposta ad un atto illecito implicante l’<strong>uso</strong> <strong>della</strong> <strong>forza</strong>, ma<br />
<strong>non</strong> tale da raggiungere la soglia di gravità necessaria per dare luogo ad un “attacco<br />
armato”, e quindi rispetto a tutte le forme di violazione del divieto, incl<strong>uso</strong><br />
eventualmente il coinvolgimento “<strong>non</strong> sostanziale” di uno Stato, sotto forma di<br />
sostegno e mera tolleranza, nelle operazioni paramilitari o terroriste di gruppi<br />
ribelli o irregolari nel territorio di un altro Stato. Ci limitiamo in tale sede a ricordare<br />
che tale questione è stata sfiorata, ma <strong>non</strong> risolta, dalla Corte, sia nell’ambito<br />
dell’affare Nicaragua, sia nel contesto dell’affare relativo alle Piattaforme petrolifere<br />
(Iran c. Stati Uniti).<br />
Nella sentenza Nicaragua, la Corte ha sollevato il problema, costatando di dover<br />
appurare se, una volta respinta la giustificazione dell’intervento statunitense<br />
fondata sull’argomento <strong>della</strong> <strong>legittima</strong> <strong>difesa</strong> collettiva, fosse possibile <strong>legittima</strong>re<br />
il medesimo in base ad un eventuale diritto di uno Stato, appunto da accertare,<br />
“to respond to intervention with intervention going so far as to justify a use of<br />
force in reaction to measures which do not constitute an armed attack but may<br />
nevertheless involve a use of force” 40 . La Corte, tuttavia, ha di fatto evitato la questione,<br />
limitandosi a rilevare l’inesistenza di un presunto diritto degli Stati Uniti<br />
di adottare contromisure “collettive” in aiuto di Salvador, Honduras e Costa Rica,<br />
in risposta alla condotta del Nicaragua nei tre Stati confinanti, affermando che il<br />
40 I.C.J. Reports, 1986, par. 210, p. 110.
In.Law | 4 (2006) | 169<br />
diritto di usare la <strong>forza</strong> da parte di uno Stato che <strong>non</strong> è vittima di un illecito “is not<br />
admitted when this wrongful act is not an armed attack” 41 .<br />
L’ammissibilità di una risposta armata short of Article 51 è stata invece esplicitamente<br />
affermata dal giudice Simma <strong>nella</strong> sua opinione individuale annessa alla<br />
citata sentenza del 6 novembre 2003 sull’affare delle Piattaforme petrolifere, in cui<br />
ha suggerito una distinzione “between full-scale self-defence within the meaning<br />
of Article 51 against an ‘armed attack’… on the one hand and, on the other, the<br />
case of hostile action, for instance against individual ships, below the level of Article<br />
51, justifying proportionate defensive measures on the part of the victim” 42 . Ed<br />
ha ritenuto che la Corte avrebbe dovuto valutare in base a tale parametro la liceità<br />
delle azioni armate condotte dallo Stato convenuto contro le istallazioni petrolifere<br />
iraniane.<br />
6. Un’altra questione di grande rilevanza attuale, che si pone qualora risulti<br />
impossibile individuare un soggetto statale responsabile di un “attacco armato”,<br />
è quella di capire se il diritto di <strong>legittima</strong> <strong>difesa</strong> includa una reazione dello Stato<br />
vittima contro attori <strong>non</strong> <strong>statali</strong>, quali, appunto, gli individui e gruppi privati autori<br />
dell’aggressione.<br />
Su tale aspetto, la Corte si è pronunciata una prima volta in modo piuttosto<br />
eclatante per quanto estremamente sintetico, nel parere del 9 luglio 2004 sulle<br />
Conseguenze giuridiche derivanti dalla costruzione del muro nei territori palestinesi<br />
occupati 43 , respingendo l’argomentazione israeliana secondo la quale l’edificazione<br />
del muro, al confine con la Green Line, rappresenterebbe una misura di <strong>legittima</strong><br />
<strong>difesa</strong> compatibile con l’articolo 51 <strong>della</strong> Carta delle Nazioni Unite, e conforme<br />
alle risoluzioni 1368 e 1373 del 2001, con le quali il Consiglio di Sicurezza, riconoscendo<br />
il diritto naturale alla <strong>legittima</strong> <strong>difesa</strong> in relazione agli attacchi dell’11<br />
settembre 2001, avrebbe “clearly recognized the right of States to use force in selfdefence<br />
against terrorist attacks”, per cui, a maggior ragione, sarebbe riconosciuto<br />
il diritto di ricorrere a misure <strong>non</strong> coercitive allo stesso fine 44 .<br />
In replica a tale argomento, la Corte ha affermato che l’articolo 51 riconosce<br />
l’esistenza di un “inherent right of self-defence” in caso di attacco armato da parte<br />
41 Ibidem, par. 211, p. 110.<br />
42 Cfr. par. 12, p. 6 dell’opinione individuale, in http://www.icj-cij.org/icjwww/idocket/iop/iopjudg<br />
ment/iop_ijudgment_20031106_simma.PDF.<br />
43 In http://www.icj-cij.org/icjwww/idocket/imwp/imwp_advisory_opinion/imwp_advisory_opi<br />
nion_20040709.htm..<br />
44 Cfr. par. 138 del parere.
170 | In.Law | 4 (2006)<br />
di uno Stato contro un altro Stato, mentre Israele <strong>non</strong> aveva ritenuto che gli attacchi<br />
nei suoi confronti fossero imputabili “to a foreign State” 45 .<br />
Tale affermazione ha suscitato scalpore, e in taluni casi opposizione, sia tra i<br />
membri del collegio giudicante che in dottrina. Se è unanime il riconoscimento<br />
che il testo dell’art. 51 <strong>non</strong> specifica da quale soggetto debba provenire un attacco<br />
armato perché si attivi il diritto di <strong>legittima</strong> <strong>difesa</strong> in esso sancito – e se è pure<br />
generalmente constatato che per decenni la disposizione in questione è stata interpretata<br />
nel senso di riconoscere un diritto di <strong>legittima</strong> <strong>difesa</strong> contro un attacco<br />
“convenzionale” sferrato da uno Stato – le posizioni divergono sia sulla possibilità<br />
stessa di concepire un diritto alla <strong>legittima</strong> <strong>difesa</strong> contro un attacco <strong>non</strong> statale, sia<br />
sullo stato del diritto internazionale al riguardo.<br />
Contrari alla posizione <strong>della</strong> Corte si sono detti i giudici Higgins e Kooijmans,<br />
nelle loro opinioni individuali, e Buergenthal <strong>nella</strong> sua dichiarazione dissidente.<br />
La Higgins ha espresso le sue riserve pur ammettendo che l’affermazione <strong>della</strong><br />
Corte sia da considerare “as a statement of the law as it stands” 46 : una lex lata che<br />
sarebbe il risultato del dictum <strong>nella</strong> sentenza Nicaragua del 1986 sulle condizioni<br />
alle quali un’azione condotta da irregolari può essere considerata un attacco armato,<br />
in particolare il raggiungimento di una soglia di intensità e gravità equiparabile<br />
a quella di un attacco convenzionale sferrato da forze armate regolari. Kooijmans<br />
ha contestato alla Corte di aver disconosciuto (“by-passed”) l’elemento di assoluta<br />
novità contenuto nelle risoluzioni 1368 e 1373, che avrebbero stabilito il diritto<br />
inerente alla <strong>legittima</strong> <strong>difesa</strong> rispetto ad atti di terrorismo internazionale senza far<br />
riferimento ad un attacco armato da parte di uno Stato, segnando in tal modo “a<br />
new approach to the concept of self-defence” 47 . Simile su tale aspetto è la posizione<br />
del giudice Buergenthal, il quale ha rilevato come la Carta delle Nazioni Unite<br />
<strong>non</strong> condizioni l’esercizio del diritto di <strong>legittima</strong> <strong>difesa</strong> ad un attacco armato “by<br />
another State”, né alcuna condizione in tal senso è desumibile dal testo delle risoluzioni<br />
1368 e 1373, che anzi condannano il terrorismo e invocano la <strong>legittima</strong><br />
<strong>difesa</strong> in risposta agli attacchi dell’11 settembre senza fare alcun riferimento ad<br />
uno Stato responsabile 48 .<br />
45 Cfr. par. 139 del parere.<br />
46 Opinione individuale del giudice Higgins annessa al parere del 9 luglio 2004, par. 33, in http://<br />
www.icj-cij.org/icjwww/idocket/imwp/imwpframe.htm.<br />
47 Opinione individuale del giudice Kooijmans annessa al parere del 9 luglio 2004, par. 35, in<br />
http://www.icj-cij.org/icjwww/idocket/imwp/imwpframe.htm.<br />
48 Dichiarazione del giudice Buergenthal annessa al parere del 9 luglio 2004, par. 6, in http://<br />
www.icj-cij.org/icjwww/idocket/imwp/imwpframe.htm.
In.Law | 4 (2006) | 171<br />
In dottrina, la conclusione <strong>della</strong> Corte, <strong>nella</strong> misura in cui sembra configurare<br />
la riconducibilità dell’attacco armato ad uno Stato quale requisito per l’esercizio<br />
<strong>della</strong> <strong>legittima</strong> <strong>difesa</strong>, è stata criticata, anche alla luce del caso Nicaragua, in quanto<br />
genera il paradosso per cui uno Stato, la cui reazione a titolo di <strong>legittima</strong> <strong>difesa</strong><br />
sarebbe considerata lecita in caso di attacchi terroristici imputabili ad un altro<br />
Stato, sarebbe invece da ritenersi inammissibile contro attacchi del medesimo tipo<br />
sferrati da gruppi terroristi o bande ribelli, cioè contro i campi di addestramento<br />
e le basi logistiche di questi ultimi, qualora le loro attività siano svolte con il solo<br />
finanziamento e supporto di uno Stato, o semplicemente a causa dell’incapacità<br />
dello Stato territoriale dal quale agiscono di contrastare e porre termine alle loro<br />
attività 49 .<br />
Forse anche sulla scia di tali considerazioni, e degli sviluppi <strong>della</strong> prassi statale,<br />
la Corte sembra aver adottato una posizione più sfumata <strong>nella</strong> sentenza del 19<br />
dicembre 2005 relativa all’affare delle Attività armate sul territorio del Congo (Congo<br />
c. Uganda), <strong>nella</strong> quale, dopo aver rilevato che <strong>non</strong> sussistessero le condizioni<br />
per l’esercizio di un diritto di <strong>legittima</strong> <strong>difesa</strong> da parte dell’Uganda contro la RDC,<br />
ha rilevato che <strong>non</strong> fosse necessario affrontare la questione, pur sollevata dalle<br />
Parti, dell’esistenza e delle condizioni, nel diritto internazionale contemporaneo,<br />
per l’esercizio del diritto di <strong>legittima</strong> <strong>difesa</strong> contro attacchi su larga scala da parte<br />
di forze irregolari 50 .<br />
Anche in questo caso, alcuni giudici, in particolare Kooijmans e Simma, hanno<br />
espresso il loro disappunto nei confronti <strong>della</strong> Corte, per aver quest’ultima evitato,<br />
e perso l’occasione, di pronunciarsi su un aspetto essenziale dell’istituto <strong>della</strong> <strong>legittima</strong><br />
<strong>difesa</strong> nel diritto internazionale attuale, appunto il diritto di uno Stato di<br />
difendersi contro attacchi armati provenienti anche da entità <strong>non</strong> <strong>statali</strong> 51 . I due<br />
giudici hanno rilevato come la Corte si trovasse di fronte al fenomeno, purtroppo<br />
familiare nelle relazioni attuali internazionali, <strong>della</strong> quasi completa assenza di<br />
autorità governativa in tutto o in una parte del territorio di uno Stato. Secondo<br />
Kooijmans, se da tale territorio provengono attacchi armati sferrati da bande ir-<br />
49 In tal senso murphy S., Self-Defence and the Israeli Wall Advisory Opinion: An Ipse Dixit from<br />
the ICJ?, in American Journal of International Law, 2005, pp. 62-76, p. 66.<br />
50 Cfr. par. 147, p. 53. V. cannizzaro e., La <strong>legittima</strong> <strong>difesa</strong> nei confronti di entità <strong>non</strong> <strong>statali</strong><br />
<strong>nella</strong> sentenza <strong>della</strong> Corte internazionale di giustizia nel caso Congo c. Uganda, in Rivista di diritto<br />
internazionale, 2006, pp. 120-122.<br />
51 Opinione individuale del giudice Kooijmans annessa alla sentenza del 19 dicembre 2005, parr.<br />
26-31, pp. 6-7; opinione individuale del giudice Simma, parr. 4-15, pp. 2-4, in http://www.icj-cij.<br />
org/icjwww/idocket/ico/icoframe.htm.
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regolari che <strong>non</strong> possono essere imputati allo Stato territoriale, lo Stato che ne<br />
è vittima ha <strong>non</strong>dimeno diritto di difendersi. Nel caso di specie, Koojimans ha<br />
ritenuto, con Simma, che l’Uganda fosse vittima di un attacco armato, per quanto<br />
<strong>non</strong> imputabile alla RDC, e che in quanto tale avesse diritto alla <strong>legittima</strong> <strong>difesa</strong>.<br />
Anche il giudice ad hoc Kateka ha condiviso l’opinione per cui l’incapacità di<br />
uno Stato di impedire la commissione di atti di terrorismo o guerriglia a partire<br />
dal suo territorio, per quanto <strong>non</strong> ad esso attribuibili, <strong>non</strong> impedisce allo Stato<br />
che ne è vittima di reagire militarmente, notando che in caso contrario lo Stato<br />
territoriale diverrebbe “a safe haven for terrorists” 52 .<br />
7. La critica risulta in sé logicamente fondata, talché parrebbe difficilmente<br />
sostenibile, almeno in una prospettiva de lege ferenda, negare ad uno Stato il diritto<br />
di difendersi da attacchi continui di tipo terroristico o atti di guerriglia di cui sia<br />
vittima, nel senso di reagire adottando misure volte a porvi fine. In tal senso, è<br />
indubbio che l’istituto <strong>della</strong> <strong>legittima</strong> <strong>difesa</strong> richieda una riflessione ed un aggiornamento<br />
che, facendone salve per quanto possibile la natura e la finalità originarie,<br />
ne consentano una più precisa applicazione a talune ipotesi di attacchi armati<br />
<strong>non</strong> convenzionali. Se infatti, <strong>nella</strong> concezione che appare più corretta, la <strong>legittima</strong><br />
<strong>difesa</strong> autorizza l’azione circoscritta e temporanea di uno Stato che si trovi<br />
<strong>nella</strong> necessità di respingere un attacco armato in corso, uno dei problemi che<br />
notoriamente si pongono rispetto all’applicazione dell’istituto così configurato ad<br />
un attacco terroristico o di guerriglia, che per sua natura si esaurisce in un atto<br />
“istantaneo”, è quello <strong>della</strong> misura in cui una reazione ad esso sia effettivamente<br />
finalizzata a scopi difensivi, o <strong>non</strong> piuttosto punitivi e preventivi 53 .<br />
In tale ottica, e considerando dapprima la questione <strong>della</strong> soglia di gravità<br />
degli atti ai fini dell’attivazione del diritto di <strong>legittima</strong> <strong>difesa</strong>, potrebbe essere<br />
utile, in relazione alla nozione di attacco armato, la teoria <strong>della</strong> cumulazione degli<br />
eventi, nei confronti <strong>della</strong> quale la Corte sembra aver dimostrato una certa<br />
apertura, in brevissimi passi, <strong>nella</strong> sentenza del 6 novembre 2003 relativa all’affare<br />
delle Piattaforme petrolifere, e <strong>nella</strong> sentenza del 19 dicembre 2005 concernente le<br />
52 Opinione dissidente del giudice Kateka, par. 37, p. 9, in cui cita Simma B. (Ed.), The Charter<br />
of the United Nations. A Commentary, Oxford, 2002, p. 802.<br />
53 Cfr. in dottrina caSSeSe a., Terrorism is Also Disrupting Some Crucial Legal Categories of<br />
International Law, in European Journal of International Law, 2001, pp. 993-1001, a pp. 997-998;<br />
corTen o., duBuiSSon F., Opération «Liberté immuable»: une extension abusive du concept de légitime<br />
défense, in Revue générale de droit international, 2002, pp. 51-77, a pp. 72-73; marchiSio S.,<br />
Le Nazioni Unite e la lotta al terrorismo, in I diritti dell’uomo. Cronache e battaglie, 2002, pp. 48-54, a<br />
p. 50.
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Attività armate sul territorio del Congo 54 – per operare in base ai relativi parametri<br />
l’accertamento del diritto alla <strong>legittima</strong> <strong>difesa</strong> dello Stato che subisce una serie di<br />
singoli attacchi <strong>non</strong> convenzionali.<br />
In secondo luogo, l’elemento o aspetto su cui sembrerebbe maggiormente possibile<br />
concentrarsi per una specificazione e graduazione delle diverse ipotesi di<br />
ricorso alla <strong>forza</strong> a fini difensivi è quello <strong>della</strong> proporzionalità <strong>della</strong> risposta.<br />
A tal proposito, occorrerebbe chiarire, sulla scia soprattutto dell’affare delle<br />
Piattaforme petrolifere (Iran c. Stati Uniti) 55 , se una reazione armata necessaria e<br />
proporzionata rispetto all’obiettivo di far cessare la violenza subìta 56 sia consentita<br />
in risposta ad una violazione dell’<strong>uso</strong> <strong>della</strong> <strong>forza</strong> la cui gravità <strong>non</strong> sia tale da<br />
raggiungere la soglia dell’attacco armato.<br />
Qualora si propendesse per una risposta affermativa, tuttavia, il relativo principio<br />
<strong>non</strong> parrebbe applicabile senza distinzioni rispetto alle ipotesi di violazione,<br />
da parte di uno Stato, del divieto di ricorso alla <strong>forza</strong> mediante talune forme più<br />
blande di assistenza a ribelli o gruppi privati, quali la mera tolleranza o acquiescenza<br />
nei loro confronti, che <strong>non</strong> sembrerebbero giustificare una risposta armata<br />
contro lo Stato. Nell’ottica <strong>della</strong> Corte, a nostro avviso condivisibile, la reazione resterebbe<br />
in tal caso configurabile come contromisura all’illecito, soggetta al divieto<br />
di <strong>uso</strong> <strong>della</strong> <strong>forza</strong>. Per converso, dall’esame dei casi sottoposti al massimo organo<br />
giurisdizionale, dai commenti <strong>della</strong> dottrina e dagli sviluppi <strong>della</strong> prassi sembrerebbe<br />
emergere l’opportunità di una riflessione sulla questione dell’ammissibilità,<br />
sinora negata dalla Corte, di una reazione in <strong>legittima</strong> <strong>difesa</strong>, o comunque armata<br />
a carattere difensivo, rispetto a forme “meno indirette” di assistenza ad attività armate<br />
di gruppi privati, quali la fornitura di armi, munizioni e supporto logistico.<br />
La liceità di una reazione implicante l’<strong>uso</strong> <strong>della</strong> <strong>forza</strong> potrebbe comunque ammettersi<br />
nei confronti degli attori <strong>non</strong> <strong>statali</strong> responsabili diretti degli attacchi, se<br />
chiaramente individuati e a patto che le misure attuate rivestano carattere strettamente<br />
difensivo, da valutare appunto sul piano <strong>della</strong> necessità e proporzionalità<br />
rispetto all’obiettivo di far cessare gli attacchi stessi, come potrebbero risultare<br />
54 Sentenza del 6 novembre 2003 nell’affare concernete le Piattaforme petrolifere (Iran c. Stati<br />
Uniti), par. 64, p. 31; sentenza del 19 dicembre 2005 nell’affare delle Attività armate sul territorio del<br />
Congo (Congo c. Uganda), par. 146, p. 53.<br />
55 Supra, par. 5, testo sub note 40-42.<br />
56 Sul dibattito e le opinioni circa i parametri in base ai quali andrebbe commisurata la proporzionalità<br />
dell’<strong>uso</strong> <strong>della</strong> <strong>forza</strong> in <strong>legittima</strong> <strong>difesa</strong> (rispetto alla minaccia esistente, o al danno subìto,<br />
o al raggiungimento dello scopo perseguito), v. Gardam J., Necessity, Proportionality and the Use of<br />
Force by States, Oxford, 2004, p. 12.
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azioni circoscritte volte a rendere inoffensive le basi logistiche da cui provengono.<br />
In tale contesto, risulta pertinente ricordare che una valutazione <strong>della</strong> proporzionalità<br />
e necessità <strong>della</strong> reazione armata, rispetto al fine di respingere gli attacchi<br />
dei gruppi ribelli anti-ugandesi, è stata accennata dalla Corte <strong>nella</strong> sentenza Congo<br />
c. Uganda, laddove si osserva che la presa di aeroporti e città da parte dell’esercito<br />
ugandese nel territorio <strong>della</strong> RDC a molti chilometri dal confine con l’Uganda<br />
“would not seem proportionate to the series of transborder attacks it claimed had<br />
given rise to the right of self-defence, nor to be necessary to that end” 57 .<br />
57 Cfr. par. 147 <strong>della</strong> sentenza, p. 53.<br />
amina maneGGia<br />
Ricercatore Università di Perugia