Gli ingredienti segreti dell'amore Nicolas Barreau - Euroclub
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<strong>Nicolas</strong> <strong>Barreau</strong><br />
<strong>Gli</strong> <strong>ingredienti</strong><br />
<strong>segreti</strong> dell’amore<br />
romanzo
Parigi e la sua magia.<br />
una chef affascinante e<br />
il suo piccolo ristorante.<br />
un libro e il suo<br />
autore misterioso.<br />
“Questa storia inizia con un sorriso<br />
tra gli scaffali di una libreria e finisce<br />
in un ristorante a Saint-Germain-des-Prés,<br />
là dove pulsa il cuore di Parigi.”<br />
iNclude il<br />
MeNu d’Amour<br />
coN tutte le ricette<br />
di Aurélie<br />
<strong>Nicolas</strong> <strong>Barreau</strong><br />
814780
Le coincidenze non esistono. Aurélie<br />
Bredin ne è sicura. Giovane e attraente<br />
chef, Aurélie gestisce da qualche anno il<br />
ristorante di famiglia, Le Temps des cerises.<br />
È in quel piccolo locale con le tovaglie<br />
a quadri bianchi e rossi in rue Princesse,<br />
a due passi da boulevard Saint-Germain,<br />
che il padre della ragazza ha conquistato<br />
il cuore della futura moglie grazie al suo<br />
famoso Menu d’amour. Ed è sempre lì,<br />
circondata dal profumo di cioccolato e<br />
cannella, che Aurélie è cresciuta e ha trovato<br />
conforto nei momenti difficili. Ora<br />
però, dopo una brutta scottatura d’amore,<br />
neanche il suo inguaribile ottimismo<br />
e l’accogliente tepore della cucina<br />
dell’infanzia riescono più a consolarla.<br />
Un pomeriggio, più triste che mai,<br />
Aurélie si rifugia in una libreria, dove si<br />
imbatte in un romanzo intitolato Il sorriso<br />
delle donne. Incuriosita, inizia a leggerlo<br />
e scopre un passaggio del libro in<br />
cui viene citato proprio il suo ristorante.<br />
Grata di quel regalo inatteso, decide di<br />
contattare l’autore per ringraziarlo. Ma<br />
l’impresa è tutt’altro che facile. Ogni<br />
tentativo di conoscere lo scrittore – un<br />
misterioso ed elusivo inglese – viene<br />
bloccato da André, l’editor della casa<br />
editrice francese che ha pubblicato il romanzo.<br />
Aurélie non si lascia scoraggiare<br />
e, quando finalmente riuscirà nel suo intento,<br />
l’incontro sarà molto diverso da<br />
ciò che si era aspettata. Più romantico, e<br />
nient’affatto casuale.<br />
Con mano fresca, leggera e piena di passione,<br />
<strong>Nicolas</strong> <strong>Barreau</strong> mescola amore,<br />
un pizzico di mistero, lo charme di Parigi<br />
e la sensualità della cucina per regalarci<br />
una storia tenera e gustosa, che nutre e<br />
scalda il cuore.
<strong>Nicolas</strong> <strong>Barreau</strong> è nato a Parigi nel 1980<br />
da madre tedesca e padre francese, motivo<br />
per cui è perfettamente bilingue. Ha<br />
studiato Lingue e letterature romanze<br />
alla Sorbonne, ha lavorato in una piccola<br />
libreria sulla Rive Gauche e infine ha<br />
deciso di dedicarsi alla scrittura. Ha una<br />
passione per i ristoranti e la cucina, crede<br />
nel destino, è molto timido e riservato e<br />
non ama mostrarsi in pubblico, proprio<br />
come il misterioso scrittore descritto in<br />
queste pagine.<br />
I suoi tre romanzi, tutti pubblicati da<br />
un piccolo editore tedesco che non ha<br />
potuto permettersi di lanciarli con una<br />
massiccia campagna promozionale, hanno<br />
ottenuto un ottimo successo che,<br />
anno dopo anno, è cresciuto grazie al<br />
passaparola dei lettori.<br />
Il più recente, <strong>Gli</strong> <strong>ingredienti</strong> <strong>segreti</strong><br />
dell’amore, è un vero e proprio caso<br />
editoriale: in Germania ha già avuto 5<br />
ristampe a soli 6 mesi dalla pubblicazione,<br />
è rimasto a lungo nella classifica<br />
dei bestseller di “Der Spiegel” e a breve<br />
diventerà un film.<br />
In copertina:<br />
© Getty Images
1.<br />
L’anno scorso, a novembre, un libro mi ha salvato la vita.<br />
Una cosa alquanto improbabile, lo so. Alcuni potrebbero considerarla<br />
un’affermazione esagerata, perfino melodrammatica.<br />
Eppure è la verità.<br />
Non che mi abbiano sparato al cuore e la pallottola si sia<br />
miracolosamente conficcata in un grosso tomo di poesie di<br />
Baudelaire rilegato in pelle, come accade nei film. Io non ho<br />
una vita così avventurosa.<br />
No, il mio stupido cuore era già ferito. Lo avevano spezzato<br />
un giorno che sembrava uguale a tutti gli altri.<br />
Lo ricordo ancora perfettamente. Come sempre gli ultimi<br />
clienti del ristorante – un chiassoso gruppo di americani, una<br />
discreta coppia di giapponesi e alcuni francesi che discutevano<br />
animatamente – erano rimasti a lungo seduti ai tavoli, e<br />
dopo il gâteau au chocolat gli americani si erano leccati i baffi<br />
con una serie di “Aaah” e “Oooh”.<br />
Come sempre Suzette, una volta servito il dessert, aveva<br />
chiesto se avessi ancora bisogno di lei, poi era scappata via di<br />
corsa, felice. E come sempre Jacquie era di cattivo umore.<br />
Quella sera aveva avuto da ridire sulle abitudini alimentari<br />
dei turisti, alzando gli occhi al cielo mentre sbatteva i piatti<br />
nella lavastoviglie.<br />
“Ah, les Américains! Non capiscono nulla di cucina fran-<br />
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cese! Rien du tout! Ogni volta mangiano anche le decorazioni.<br />
Ma perché devo cucinare per un branco di trogloditi?<br />
Ho una gran voglia di mollare tutto, non le sopporto queste<br />
cose!”<br />
Si era tolto il grembiule e aveva bofonchiato un bonne nuit,<br />
prima di inforcare la sua vecchia bicicletta e dileguarsi nella<br />
notte fredda. Jacquie è un cuoco fantastico e gli voglio un gran<br />
bene, anche se ostenta il suo malumore come fosse una zuppiera<br />
di bouillabaisse. Lavora a Le Temps des cerises da quando<br />
il piccolo ristorante con le tovaglie a quadri bianchi e rossi<br />
in rue Princesse, lontano dalla folla di boulevard Saint-Germain,<br />
apparteneva a mio padre. Mio padre amava Il tempo<br />
delle ciliegie, che è così bello e dura così poco, una canzone<br />
ottimista e insieme malinconica sugli innamorati che si trovano<br />
e si perdono di nuovo. E anche se in seguito la vecchia<br />
chanson è stata scelta come inno non ufficiale dalla sinistra<br />
francese, credo che il vero motivo per cui papà ha deciso di<br />
dare questo nome al ristorante sia da attribuire non tanto a<br />
una qualche motivazione politica quanto a ricordi personali.<br />
È qui che sono cresciuta, e quando, dopo la scuola, sedevo<br />
in cucina con i miei quaderni, in mezzo al tramestio di tegami<br />
e padelle e a mille profumi stuzzicanti, sapevo che Jacquie<br />
aveva sempre in serbo qualcosa di buono per me.<br />
Jacquie, che in realtà si chiama Jacques Auguste Berton, è<br />
originario della Normandia, dove lo sguardo spazia libero fino<br />
all’orizzonte, l’aria sa di sale e il mare, su cui vento e nuvole si<br />
rincorrono senza posa, si estende a perdita d’occhio. Non passa<br />
giorno senza che mi ripeta quanto ami guardare lontano, lontano!<br />
Ogni tanto Parigi gli sembra troppo angusta e troppo rumorosa,<br />
e in quei momenti ha nostalgia della costa.<br />
“Se hai sentito anche solo una volta il profumo della Côte<br />
Fleurie, come fai ad abituarti ai gas di scarico di Parigi, eh?<br />
Dimmelo tu!”<br />
Brandisce in aria il coltello da carne fissandomi con un’e-<br />
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spressione di rimprovero nei grandi occhi castani e con un<br />
gesto impaziente si allontana dalla fronte i capelli scuri, ormai<br />
sempre più striati di grigio, mi accorgo con un moto di<br />
commozione.<br />
E pensare che sono passati solo pochi anni da quando<br />
quest’uomo robusto e con le mani grandi ha insegnato a una<br />
quattordicenne dalle lunghe trecce bionde a preparare la vera<br />
crème brûlée. È stato il piatto con cui ho fatto colpo sulle<br />
mie amiche.<br />
Ovviamente Jacquie non è un cuoco qualsiasi. Da ragazzo<br />
ha lavorato al Ferme Saint-Siméon, il celebre albergo a<br />
Honfleur, la cittadina sull’Atlantico rinomata per la sua luce<br />
speciale, punto di fuga di pittori e artisti. “Tutto un altro stile,<br />
mia cara Aurélie.”<br />
Ma per quanto Jacquie si lagni, io non replico e sorrido,<br />
perché so che non mi pianterebbe mai in asso. E così è stato<br />
anche lo scorso novembre, quando il cielo sopra Parigi era<br />
bianco come il latte e la gente camminava in fretta per le strade,<br />
imbacuccata in grosse sciarpe di lana. Un novembre molto<br />
più freddo del solito. O era solo una mia impressione?<br />
Mio padre era morto poche settimane prima. Un giorno<br />
il suo cuore aveva deciso di fermarsi. Così, senza preavviso.<br />
Lo trovò Jacquie, un pomeriggio, aprendo il ristorante. Papà<br />
era disteso sul pavimento, sereno, in mezzo alle verdure, le<br />
capesante, le erbe aromatiche e i cosciotti d’agnello comprati<br />
la mattina al mercato.<br />
Mi ha lasciato il ristorante, la ricetta del suo famoso Menu<br />
d’amour – con cui, sosteneva, parecchi anni prima aveva conquistato<br />
l’amore di mia madre (è morta quando ero ancora<br />
molto piccola, perciò non saprò mai la verità) – e una serie di<br />
saggi aforismi sulla vita. Aveva sessantotto anni: è morto troppo<br />
presto. D’altronde non è forse vero che le persone che<br />
amiamo se ne vanno sempre troppo presto? A prescindere<br />
dalla loro età.<br />
9
“<strong>Gli</strong> anni non contano. Conta solo come li viviamo,” disse<br />
mio padre una volta, mentre deponeva un mazzo di rose<br />
sulla tomba della mamma.<br />
E quando in autunno, affranta ma determinata, decisi di<br />
seguire le sue orme, la consapevolezza che ormai ero quasi<br />
sola al mondo mi colpì in pieno.<br />
Ringraziando il cielo c’era Claude. Lavorava come scenografo<br />
per il teatro e la sua enorme scrivania, collocata sotto la<br />
finestra del piccolo attico nel quartiere Bastille, era perennemente<br />
ingombra di schizzi e modellini di cartone. Quando<br />
aveva una grossa commissione poteva sparire per interi giorni.<br />
“La prossima settimana non esisto per nessuno,” diceva.<br />
E mi ero dovuta abituare al fatto che non rispondesse al telefono<br />
e non aprisse la porta, nonostante mi attaccassi al campanello.<br />
Poi ricompariva, come se nulla fosse. Come un arcobaleno<br />
nel cielo, bellissimo e inafferrabile, mi baciava con<br />
impeto, mi chiamava “piccola mia” e il sole giocava a nascondino<br />
tra i suoi ricci dorati.<br />
Mi prendeva per mano e mi trascinava con sé per mostrarmi<br />
i suoi bozzetti, con gli occhi che brillavano.<br />
Però non era permesso fare commenti.<br />
Una volta, conoscevo Claude da pochi mesi, commisi l’errore<br />
di esprimere la mia opinione e suggerirgli alcune modifiche.<br />
Lui mi fissò sbigottito, sembrava che i suoi occhi azzurro<br />
chiaro stessero per schizzargli fuori dalle orbite. Poi, in<br />
un accesso d’ira, con un solo gesto spazzò via tutto ciò che si<br />
trovava sulla scrivania. Colori, matite, fogli, barattoli con l’acqua,<br />
pennelli e piccole sagome di cartone volarono in aria come<br />
coriandoli, e il modello di scena per il Sogno di una notte<br />
di mezza estate di Shakespeare, una filigrana ottenuta con un<br />
lavoro certosino, si frantumò in mille pezzi. Da allora mi sono<br />
sempre astenuta dal pronunciare giudizi.<br />
10
Claude era molto impulsivo, molto volubile, molto affettuoso<br />
e molto particolare. Ogni cosa in lui era estrema, non<br />
conosceva vie di mezzo.<br />
In quel novembre stavamo insieme da un paio d’anni, e<br />
mai mi ero sognata di mettere in discussione il mio rapporto<br />
con quell’uomo così complicato e testardo. In fondo ognuno<br />
di noi ha le proprie complessità, le proprie idiosincrasie e fissazioni.<br />
Ci sono cose che facciamo e cose che non faremmo<br />
mai, o soltanto in determinate circostanze. Cose di cui gli altri<br />
ridono, o disapprovano, o se ne meravigliano. Cose stravaganti,<br />
che sono solo nostre.<br />
Io, per esempio, colleziono pensieri. Una delle pareti di<br />
camera mia è tappezzata di foglietti colorati pieni di pensieri<br />
fugaci, che ho fissato proprio perché non andassero perduti.<br />
Pensieri su conversazioni captate per caso al ristorante, su rituali<br />
e sui motivi per cui sono tanto importanti, pensieri su<br />
baci scambiati al parco di notte, sul cuore e sulle stanze d’albergo,<br />
sulle mani, le sedie da giardino, le fotografie, sui <strong>segreti</strong><br />
e su quando vengono svelati, sulla luce tra le foglie degli<br />
alberi e sul tempo quando si ferma.<br />
Le mie brevi annotazioni sono appuntate alla carta da parati<br />
come farfalle tropicali, attimi catturati, che non hanno altro<br />
scopo se non quello di starmi vicino, e quando apro la portafinestra<br />
e un soffio d’aria entra nella stanza fremono leggermente,<br />
quasi potessero volare via.<br />
“E questo cos’è?” La prima volta che aveva visto la mia<br />
collezione di farfalle Claude aveva inarcato le sopracciglia con<br />
aria scettica. Si era fermato di fronte alla parete e aveva letto<br />
con interesse alcune note. “Stai scrivendo un libro?”<br />
Io ero arrossita e avevo scosso la testa.<br />
“Santo cielo, no! Lo faccio...” avevo riflettuto, ma non trovai<br />
una spiegazione convincente. “Non c’è una ragione. Lo<br />
faccio così, come altri scattano fotografie.”<br />
“Non sarà che sei un po’ pazza, ma petite?” aveva do-<br />
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mandato, poi aveva fatto scivolare una mano sotto la mia gonna.<br />
“Ma non importa, anch’io sono pazzo...” e aveva iniziato<br />
a sfiorarmi il collo con le labbra, “di te.”<br />
Pochi minuti dopo eravamo sul letto, i miei capelli piacevolmente<br />
scarmigliati e il sole che filtrava dalle tende tirate a<br />
metà disegnando piccoli cerchi tremolanti sul parquet. Alla<br />
fine avrei potuto attaccare alla parete un altro foglietto: Sull’amore<br />
nel pomeriggio. Non lo feci.<br />
Quando gli preparai le omelette, lui disse che a una ragazza<br />
capace di cucinare omelette del genere erano concesse<br />
tutte le manie che voleva. A proposito di manie: quando sono<br />
triste o inquieta compro dei fiori. Naturalmente i fiori mi<br />
piacciono anche quando sono felice, ma nelle giornate in cui<br />
va tutto storto i fiori segnano l’inizio di un nuovo ordine, un<br />
ordine che resta perfetto qualunque cosa accada.<br />
Metto qualche campanula in un vaso e sto meglio. Pianto<br />
fiori sul mio vecchio balcone di pietra che dà sul cortile e<br />
ho subito la gratificante sensazione di fare la cosa giusta. Con<br />
grande cura tolgo le piante dai fogli di giornale, le tiro fuori<br />
con delicatezza dai contenitori di plastica e le sistemo nei vasi.<br />
Quando affondo le mani nella terra umida e la sento tra le<br />
dita, tutto diventa più semplice: stempero le preoccupazioni<br />
con cascate di rose, ortensie e glicini.<br />
Non mi piacciono i cambiamenti. Per andare al lavoro faccio<br />
sempre lo stesso tragitto, e alle Tuileries mi siedo sempre<br />
sulla stessa panchina, che dentro di me considero la mia panchina.<br />
E non mi volterei mai mentre sono sulle scale al buio,<br />
per il vago timore che ci sia qualcosa in agguato alle mie spalle,<br />
pronto a balzarmi addosso non appena guardo indietro.<br />
Questa cosa delle scale non l’ho mai raccontata a nessuno,<br />
neppure a Claude. Ma credo che anche lui non mi abbia<br />
raccontato tutto.<br />
Di giorno andavamo ognuno per la propria strada. E non<br />
sempre sapevo cosa facesse la sera, mentre io lavoravo al ri-<br />
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storante. Forse non volevo nemmeno saperlo. La notte, però,<br />
quando la solitudine calava su Parigi, gli ultimi locali chiudevano<br />
e per le vie restava solo qualche nottambulo intirizzito,<br />
mi rannicchiavo tra le sue braccia e mi sentivo al sicuro.<br />
Quella sera, quando spensi le luci del ristorante e mi avviai<br />
verso casa con una scatola di macarons à la framboise, non<br />
immaginavo che il mio appartamento sarebbe stato deserto<br />
quanto il Temps des cerises. Come ho detto, era un giorno<br />
uguale a tutti gli altri. Solo che con tre righe Claude era uscito<br />
dalla mia vita.<br />
La mattina dopo, quando mi svegliai, mi resi conto che<br />
c’era qualcosa che non andava. Purtroppo non sono una di<br />
quelle persone che non appena aprono gli occhi sono energiche<br />
e attive, quindi all’inizio provai un lieve malessere imprecisato,<br />
la consapevolezza vera e propria sarebbe arrivata<br />
per gradi. Rimasi a letto, la testa affondata nei cuscini profumati<br />
di lavanda. Dall’esterno arrivavano i rumori attutiti del<br />
cortile: i singhiozzi di un bambino in lacrime, la voce della<br />
madre intenta a calmarlo, passi pesanti che lentamente si allontanavano,<br />
il cancello che cigolava per poi chiudersi di scatto.<br />
Strizzai gli occhi e mi voltai su un fianco. Ancora mezzo<br />
addormentata, allungai la mano, cercando qualcuno che non<br />
c’era più.<br />
“Claude?” mormorai.<br />
E poi, la consapevolezza. Claude mi aveva lasciata!<br />
Quello che la sera precedente era sembrato un fatto irreale<br />
che dopo svariati bicchieri di vino era diventato impossibile,<br />
al limite solo un brutto sogno, con lo spuntare di<br />
quella grigia mattina di novembre mi apparve in tutta la sua<br />
brutale verità. Restai in ascolto, immobile. L’appartamento<br />
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era immerso nel silenzio. Dalla cucina non arrivava alcun rumore.<br />
Nessuno che sbattesse le grosse tazze blu e imprecasse<br />
sottovoce perché il latte era traboccato. Nessun profumo<br />
di caffè a scacciare il sonno. Nessun ronzio di rasoio elettrico.<br />
Niente.<br />
Guardai la portafinestra, le sottili tende bianche non erano<br />
chiuse e un freddo mattino premeva contro i vetri. Mi avvolsi<br />
nella coperta e ripensai a come la sera prima ero entrata<br />
nell’appartamento buio e deserto con i miei macarons, senza<br />
sospettare nulla.<br />
Era accesa solo la luce della cucina, e per un attimo avevo<br />
fissato senza capire la solitaria natura morta che troneggiava<br />
al centro del tavolo, illuminata dal lampadario di metallo<br />
nero.<br />
Una lettera scritta a mano, infilata sotto il barattolo di marmellata<br />
di albicocche che, a colazione, Claude aveva spalmato<br />
sul suo croissant. Un piatto con della frutta. Una candela<br />
consumata per metà. Due tovaglioli piegati alla meglio e infilati<br />
nei portatovaglioli d’argento.<br />
Claude non mi scriveva mai, nemmeno un biglietto. Aveva<br />
un rapporto maniacale con il cellulare e, quando cambiava<br />
programma, telefonava o lasciava un messaggio in segreteria.<br />
“Claude?” avevo chiamato, sperando ancora di ricevere<br />
una risposta, ma la morsa fredda della paura si era già stretta<br />
intorno a me. Avevo lasciato cadere le braccia lungo i fianchi,<br />
e i macarons erano scivolati dalla scatola, rovesciandosi al rallentatore<br />
sul pavimento. Mi girava la testa. Mi ero seduta su<br />
una delle quattro sedie di legno e avevo avvicinato il foglio<br />
con estrema cautela, come se quel gesto avesse potuto cambiare<br />
qualcosa.<br />
Avevo letto e riletto le poche parole che Claude aveva messo<br />
nero su bianco con la sua calligrafia a caratteri grossi e verticali,<br />
e alla fine mi era sembrato di sentire la sua voce roca, vicinissima<br />
al mio orecchio, come un sussurro nella notte:<br />
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Aurélie,<br />
ho incontrato la donna della mia vita. Mi dispiace sia capitato<br />
proprio adesso, ma tanto prima o poi sarebbe successo.<br />
Abbi cura di te,<br />
Claude<br />
Ero rimasta immobile. Solo il cuore batteva all’impazzata.<br />
Allora è questo che si prova quando all’improvviso ti<br />
manca la terra sotto i piedi! Quella mattina Claude mi aveva<br />
salutata in corridoio con un bacio che mi era sembrato<br />
particolarmente dolce. Non sapevo che con quel bacio mi<br />
stava tradendo. Aveva finto! Che meschino a sparire in quel<br />
modo!<br />
In un accesso d’ira impotente avevo appallottolato il foglio<br />
gettandolo in un angolo. Un attimo dopo ero inginocchiata<br />
sul pavimento, scossa dai singhiozzi, e lisciavo la carta<br />
con le mani. Avevo bevuto un bicchiere di vino rosso, poi<br />
un altro. Avevo tirato fuori il cellulare dalla tasca e chiamato<br />
Claude, ancora e ancora, lasciandogli messaggi in cui lo<br />
imploravo disperatamente o lo insultavo violentemente. Camminavo<br />
su e giù per l’appartamento, bevendo un sorso di vino<br />
per farmi coraggio e intanto gli urlavo che doveva richiamarmi<br />
subito. Credo di avergli telefonato quasi una trentina<br />
di volte prima di giungere alla conclusione, con l’annebbiata<br />
lucidità che talora l’alcol dispensa, che i miei tentativi erano<br />
inutili. Claude ormai era lontano anni luce, e le mie parole<br />
non potevano più raggiungerlo.<br />
Avevo mal di testa. Mi alzai e brancolai per casa come una<br />
sonnambula nella mia camicia da notte oversize, che in realtà<br />
era il sopra del pigiama a righe bianche e azzurre di Claude<br />
che, chissà come, mi ero infilata la sera prima.<br />
La porta del bagno era aperta. Lasciai vagare lo sguardo,<br />
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