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Occasional BIAGI 26 maggio - Bologna Center

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The <strong>Bologna</strong> <strong>Center</strong> Publications Series<br />

Special Lecture Series<br />

European Studies Seminar Series<br />

International Relations Seminar Series<br />

Italian Studies Seminar Series<br />

International Economic Relations Seminar Series<br />

The Johns Hopkins University<br />

The <strong>Bologna</strong> <strong>Center</strong><br />

Via Belmeloro, 11<br />

401<strong>26</strong> <strong>Bologna</strong>, Italy<br />

Tel: (39) 051 291 7811<br />

Fax: (39) 051 228 505<br />

www.jhubc.it


The Johns Hopkins University<br />

School of Advanced International Studies • Washington, D.C. • <strong>Bologna</strong> • Nanjing<br />

Special Lectures Series<br />

Marco Biagi:<br />

L’Uomo e L’Opera<br />

A Round Table held in <strong>Bologna</strong><br />

20 February 2003<br />

n. 11 - May 2003 The <strong>Bologna</strong> <strong>Center</strong>


Marco Biagi<br />

Nato a <strong>Bologna</strong> il 24 novembre 1950, nel 1973 si laurea in Giurisprudenza presso l'Università degli<br />

Studi di <strong>Bologna</strong>, con Federico Mancini. Negli anni successivi è Professore presso le Università di<br />

Pisa, di Modena, della Calabria e di Ferrara. Nel 1984 vince il concorso alla cattedra di Diritto del<br />

Lavoro e di Diritto Sindacale italiano e Comparato presso l'Università di Modena. Dal 1981 fino al<br />

2002 è Adjunct Professor di Comparative Industrial and Labor Relations e Comparative Management<br />

of Human Resource alla Johns Hopkins University, <strong>Bologna</strong> <strong>Center</strong>.<br />

La sua attività di studioso si combina con quella di consulente in modo costruttivo e simbiotico.<br />

Consulente della Commissione Europea dal 1990, è anche consigliere del Presidente Romano Prodi.<br />

Tra i numerosi incarichi ricoperti, ha rappresentato l'Italia nel Comitato per l'occupazione e il mercato<br />

del lavoro dell'Unione Europea. E' stato consigliere dei Ministri Antonio Bassolino, Tiziano Treu,<br />

Romano Prodi e Roberto Maroni.<br />

La sua competenza è evidente in numerosi lavori pubblicati, sia in italiano che in inglese, nel ruolo<br />

di Managing Editor di The International Journal of Comparative Labour Law and Industrial Relations<br />

e di Direttore di Diritto delle Relazioni Industriali. Il suo insegnamento alla Johns Hopkins University<br />

ed al Dickinson College ha avuto un impatto profondo sui suoi studenti ed i suoi colleghi che lo ricordano<br />

come insigne studioso e uomo giusto.<br />

Uomo di profondo impegno politico, ha saputo nondimeno presentare argomenti in modo chiaro ed<br />

obiettivo, sia ai suoi studenti, che a studiosi di tutto il mondo, nonché ai suoi detrattori. Come esperto<br />

ha saputo offrire buon consiglio a partiti e uomini di convinzioni diverse. E' morto per la sua obiettività.<br />

Johns Hopkins University - <strong>Bologna</strong> <strong>Center</strong> Director: Robert H. Evans<br />

Paul H. Nitze School of Advanced International Studies Series Coordinator: Veronica Pye<br />

Via Belmeloro 11 - 401<strong>26</strong> <strong>Bologna</strong> - ITALY<br />

Tel. +39-051.29.17.811 - Fax +39-051.22.85.05


The Johns Hopkins University<br />

School of Advanced International Studies<br />

Washington, D.C. • <strong>Bologna</strong> • Nanjing<br />

Special Lectures Series<br />

Marco Biagi:<br />

L’Uomo e L’Opera<br />

A Round Table held in <strong>Bologna</strong><br />

20 February 2003<br />

n. 11 - May 2003<br />

The <strong>Bologna</strong> <strong>Center</strong>


Special Lectures Series<br />

Indice<br />

Robert H. Evans<br />

Direttore, The Johns Hopkins University SAIS <strong>Bologna</strong> <strong>Center</strong><br />

Saluto di benvenuto<br />

Antonio Fazio<br />

Governatore, Banca d'Italia<br />

Messaggio del Governatore della Banca d'Italia<br />

Omero Papi<br />

Presidente, Sindirettivo-CIDA della Banca d’Italia e dell’U.I.C.<br />

Borsa di Studio Marco Biagi, annuncio ufficiale<br />

Giancarlo Pellacani<br />

Rettore, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia<br />

Apertura dei lavori<br />

Tiziano Treu<br />

Senatore, Professore Ordinario di Diritto del Lavoro,<br />

Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano<br />

Uso della comparazione e diritto del lavoro<br />

5<br />

7<br />

11<br />

13<br />

19


Stefano Liebman<br />

Professore Ordinario di Diritto del Lavoro,<br />

IDC Istituto di Diritto Comparato "A. Sraffa", Università Bocconi, Milano<br />

Marco Biagi: Il collega e l’amico<br />

Giorgio Basevi<br />

Professore Ordinario di Economia Internazionale, Università degli Studi di <strong>Bologna</strong><br />

Ricerca, didattica, professione: un equilibrio difficile<br />

Michele Tiraboschi<br />

Professore Associato di Diritto del Lavoro,<br />

Direttore del Centro Studi Internazionali e Comparati “Marco Biagi”,<br />

Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia<br />

Marco Biagi: l’uomo e il maestro<br />

Stefano Zamagni<br />

Professore Ordinario di Economia, Università degli Studi di <strong>Bologna</strong>,<br />

Professore Associato di Economia Internazionale,<br />

The Johns Hopkins University SAIS <strong>Bologna</strong> <strong>Center</strong><br />

La flessibilità del mercato del lavoro nel pensiero di Marco Biagi<br />

27<br />

33<br />

47<br />

69


Special Lectures Series<br />

Saluto di benvenuto<br />

Robert H. Evans<br />

Direttore<br />

The Johns Hopkins University SAIS <strong>Bologna</strong> <strong>Center</strong><br />

Cari Amici e familiari di Marco, Colleghi, Studenti,<br />

Voglio ringraziarvi per essere venuti oggi a commemorare Marco Biagi, per lungo<br />

tempo membro della nostra Facoltà. Per oltre 20 anni è stato nostro amico, collega<br />

fidato della Facoltà della Johns Hopkins University, consulente del lavoro<br />

che riunì in se, con buonsenso e lungimiranza, scienza ed abilità di proiettarsi e<br />

guardare in avanti. Un uomo in cui la passione politica era forte ed onesta; un<br />

uomo che poteva servire il Principe, ma di cui non è mai stato servo.<br />

Siamo qui riuniti oggi per onorare l'uomo ed il suo operato, e lo facciamo in tre<br />

modi diversi:<br />

• evocando, tra alcuni minuti, con interventi di colleghi ed amici, il suo lavoro<br />

accademico e la profonda amicizia che li univa;<br />

• avendo inaugurato questa mattina l'Aula 301, The Marco Biagi Room, la<br />

prima classe del nostro edificio a ricordare un nostro insegnante; vi invito a<br />

visitarla;<br />

• annunciando ufficialmente, tra pochi minuti, la creazione della Borsa di<br />

Studio Marco Biagi, su iniziativa del Sindacato Dirigenti della Banca d'Italia,<br />

i cui impiegati, unitamente a quelli del <strong>Bologna</strong> <strong>Center</strong>, si sono tassati per raccogliere<br />

i $25.000 necessari ad istituire la borsa. Il Dott. Papi, venuto da<br />

Roma e che oggi è qui con noi, esporrà successivamente l'iniziativa.<br />

5


Marco Biagi: l’uomo e l’opera. A Round Table held in <strong>Bologna</strong> 18 February 2003<br />

Permettetemi di soffermarmi sull'Aula 301. Ogni lunedì pomeriggio, per più di<br />

20 anni, Marco ha riunito in quest'aula la sua classe di studenti. Marco veniva<br />

al <strong>Bologna</strong> <strong>Center</strong> non soltanto ad insegnare, ma, citando le sue parole, "perché<br />

ci si sentiva bene"; e questo fin dal 1981, quando si è unito alla Facoltà, coronando<br />

- mi è stato riferito - una delle sue più grandi ambizioni. Ma la fortuna è<br />

stata nostra, poiché ha scelto di venire proprio da noi.<br />

Quasi ogni settimana, durante l'intervallo o dopo la classe, si finiva sempre per<br />

chiacchierare – il mio ufficio è contiguo all’aula 301. Si parlava di cio' che aveva<br />

appena insegnato, o che stava facendo in quel periodo, o di pure e semplici questioni<br />

familiari, mentre man mano i nostri figli crescevano e la nostra amicizia si<br />

consolidava ogni giorno di più. Ma quando parlava della sua professione, il suo<br />

entusiasmo diveniva contagioso e la sua generosa visione di un futuro migliore e<br />

più giusto era evidente. Poteva consigliare la sinistra, il centro o la destra, ambiva<br />

sempre trovare risposte corrette ed adeguate, senza mai tirarsi indietro.<br />

Esprimeva sempre le proprie idee e la sua coscienza era limpida. Sapeva cosa<br />

fosse fattibile.<br />

I giudizi che gli studenti hanno dato di Marco Biagi, sono più che significativi:<br />

"He gives. He gives it good and well" – (Lui da; da bene e ancora di più), "Ti fa<br />

desiderare di apprendere ", "Non apprendi solamente problematiche del lavoro e<br />

dei sindacati, comprendi i pilastri filosofici del mondo moderno", "Pensavo che il<br />

corso di Risorse Umane sarebbe stato una noia. Marco Biagi invece mi ha fatto<br />

capire quanto sia importante e possa persino essere intellettualmente stimolante",<br />

"E' un professore, un ottimo professore, ma anche un amico".<br />

Per 21 anni, al <strong>Bologna</strong> <strong>Center</strong>, i suoi allievi lo rispettarono, l'apprezzarono, da<br />

lui appresero e impararono ad amarlo.<br />

Noi siamo come loro. Marco Biagi ha lasciato la sua impronta nella nostra scuola.<br />

Celebriamo oggi un uomo che era imparziale e giusto, uno studioso erudito e<br />

colto, e che ci manca.<br />

6


Special Lectures Series<br />

Messaggio del Governatore della Banca d’Italia<br />

Antonio Fazio<br />

Governatore, Banca d’Italia<br />

Desidero esprimere il mio più vivo apprezzamento per le encomiabili iniziative<br />

da Voi promosse al fine di onorare la memoria del Professor Marco Biagi;<br />

avrei partecipato volentieri al Vostro Convegno, ma, come a suo tempo ho fatto<br />

presente, impegni istituzionali già in agenda mi impediscono di essere presente.<br />

Sono particolarmente lieto che tra le iniziative assunte figuri anche l’istituzione<br />

della borsa di studio frutto della collaborazione tra dipendenti della Banca<br />

d’Italia che hanno aderito all’invito di una delle Organizzazioni Sindacali presenti<br />

nell’Istituto e nell’Ufficio Italiano dei Cambi, il Sindirettivo-Cida, e la Johns<br />

Hopkins University di <strong>Bologna</strong>.<br />

A questa Vostra Università mi lega il ricordo della splendida cerimonia del 29<br />

aprile 1995, nella quale mi è stata conferita la laurea honoris causa in Human<br />

Letters.<br />

Il contributo di Marco Biagi all’Italia va ben oltre la costruzione di un nuovo<br />

Statuto dei Lavori. Per il suo impegno di studioso e di docente, per il suo esempio<br />

di vita, per la sua passione civile, egli si colloca, insieme con Ezio Tarantelli<br />

e Massimo D’Antona, tra le figure alte di intellettuali di questo nostro tempo, che<br />

hanno posto il loro sapere al servizio del progresso del Paese e della dignità della<br />

persona.<br />

7


Marco Biagi: l’uomo e l’opera. A Round Table held in <strong>Bologna</strong> 18 February 2003<br />

Il suo barbaro assassinio è stato un tentativo, fermamente e unanimemente<br />

respinto dalle forze della cultura, della società civile e politica, di spegnere un fervore<br />

di idee, di progetti, di proposte per rispondere, innanzitutto, a quell’esigenza<br />

profonda avvertita da tutti i componenti della collettività di partecipare, attraverso<br />

il lavoro, all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese, garantendo<br />

così il pieno sviluppo della persona umana.<br />

Il lavoro è parte essenziale della vita dell’uomo. La nostra società si fonda sul contributo<br />

basilare del lavoro.<br />

La Carta fondamentale pone il lavoro alla base della Repubblica. Invero, molte<br />

Costituzioni della seconda metà del secolo scorso, successive alla guerra mondiale,<br />

presentano un mutamento nella concezione della libertà individuale e della<br />

persona; non più l’uomo isolato, ma l’uomo, essere sociale. In esse il lavoro è visto<br />

come il tramite necessario per la realizzazione della persona.<br />

La disoccupazione è fattore di disuguaglianza, di emarginazione. Incide sul diritto<br />

alla piena partecipazione di ognuno alla vita politica della Nazione. Non meno<br />

grave è l’alto tasso di lavoro irregolare. In questo secolo nel quale la questionelavoro<br />

si profila come centrale, dare lavoro produttivo a tutti deve essere obiettivo<br />

prioritario e condiviso; è condizione per un ordinato svolgimento della vita<br />

sociale, per lo sviluppo, in tutte le forme, del Paese.<br />

Ho ricordato in un’altra circostanza che il lavoro non è solo un diritto ma anche<br />

un dovere. Chiunque si inserisce nel circuito produttivo della società arreca un<br />

beneficio anche agli altri; con il suo reddito domanda più beni e servizi che altri<br />

producono, valorizzando la loro attività; nel contempo con il suo lavoro aumenta<br />

i beni e servizi a disposizione della società.<br />

Le forme di flessibilità introdotte negli anni passati e più di recente si sono positivamente<br />

riflesse sullo sviluppo dell’occupazione. Si tratta, insomma, di concepire<br />

la flessibilità come via per dare, in definitiva, <strong>maggio</strong>r lavoro. Ma perché di<br />

ciò si tratti e non si passi, a lungo andare, a forme di precarietà, è essenziale che<br />

di pari passo l’economia cresca.<br />

In sostanza, la principale garanzia per assicurare la crescita dell’occupazione<br />

resta la capacità di attivare un più forte sviluppo.<br />

8


Special Lectures Series<br />

Non è, in ogni caso, interesse di nessuno estendere le rigidità nei rapporti di lavoro.<br />

Le modifiche, necessarie, del diritto del lavoro devono essere orientate ad assicurare<br />

il diritto al lavoro.<br />

Nell’era della globalizzazione, l’azione pubblica e i rapporti con il lavoro dipendente<br />

possono e debbono agevolare un impiego avanzato delle nuove tecnologie<br />

che danno la spinta per una nuova organizzazione della produzione. Modelli flessibili<br />

di relazioni industriali rendono proficua la sperimentazione di schemi innovativi<br />

di organizzazione del lavoro.<br />

Ho sottolineato di recente che all’inveramento dell’obiettivo del <strong>maggio</strong>r lavoro<br />

produttivo, da tutti condiviso, concorrono la politica e l’economia. Sono sfere<br />

diverse, ambedue essenziali; la prima deve presiedere all’autonomo operare della<br />

seconda.<br />

Una democrazia compiuta, sostanziale non può prescindere né dall’una né dall’altra.<br />

Un ampliamento della gamma di modelli di prestazione del lavoro, che comprenda<br />

anche forme di compartecipazione, può offrire nuove opportunità anche attraverso<br />

una possibile convergenza strategica tra impresa e lavoro.<br />

Le trasformazioni intervenute rendono opportune forme di produzione che puntano<br />

sulla qualità dei prodotti, sull’adeguamento, tempestivo, alla domanda, sulla<br />

capacità di prevedere e far fronte alle oscillazioni cicliche.<br />

La massa salariale dovrebbe potersi adeguare alle necessità della produzione, ai<br />

ricavi. Si tratta di trarre ispirazione dalla cosiddetta share economy nella quale il<br />

lavoro partecipa, con la variazione dei compensi e dei costi, alle vicende dell’impresa.<br />

Essa può realizzare, pur nella distinzione dei ruoli, una collaborazione tra<br />

imprenditore e lavoratori, nel quadro di un disegno avanzato di democrazia economica.<br />

E’ materia che spetta, innanzitutto, alle forze sociali.<br />

E’ cruciale l’irrobustimento dell’innovazione nella Pubblica amministrazione,<br />

nelle relative strutture, nell’organizzazione del lavoro.<br />

9


Marco Biagi: l’uomo e l’opera. A Round Table held in <strong>Bologna</strong> 18 February 2003<br />

In questo scenario, le scuole, le università devono sempre più mostrare la loro<br />

essenza vera, quella cioè di essere nuclei di eccellenza capaci di promuovere<br />

un’alta ricerca teorica, ma anche di contribuire a guidare i processi di innovazione,<br />

di cogliere tempestivamente i mutamenti del contesto esterno e le opportunità<br />

offerte dalla evoluzione scientifica e tecnologica che stiamo vivendo. La formazione<br />

può essere sviluppata nel raccordo tra mondo dell’istruzione e mondo<br />

dell’impresa.<br />

Il capitale umano costituisce una risorsa fondamentale, in grado di raccogliere le<br />

sfide lanciate da una realtà in continua evoluzione. Una grande speranza è costituita<br />

dai nostri giovani. Le intelligenze giovanili, di cui l’Italia è ricca, dotate di<br />

creatività e volontà di progredire, costituiscono la base sulla quale investire per<br />

una nuova stagione di sviluppo.<br />

Il fine perseguito da Marco Biagi era quello di individuare e definire gli strumenti<br />

per dare concretezza al diritto al lavoro. In questa “missione” si incrociano le<br />

qualità dello studioso con il magistero dell’insegnamento, con lo spirito di servizio,<br />

con la solidarietà. Degli avanzamenti del diritto chiedeva di “discutere con<br />

serenità”, lui che avrebbe subito la brutale violenza del terrorismo, contro il quale<br />

dobbiamo tutti rimanere uniti. Bisogna ancora sperare, operare perché su questo<br />

atto di offesa alla nostra civiltà, al sapere, alla vita sia fatta piena luce.<br />

A tutti i presenti i miei più fervidi auguri per il successo della manifestazione. A<br />

chi risulterà vincitore della borsa di studio i più sentiti rallegramenti con l’auspicio<br />

di una gratificante affermazione nello studio e nella vita.<br />

10


Special Lectures Series<br />

Borsa di Studio Marco Biagi<br />

Annuncio ufficiale<br />

Omero Papi<br />

Presidente, Sindirettivo-CIDA della Banca d’Italia e dell’U.I.C.<br />

Dinnanzi a tutti voi ed ai familiari del Prof. Marco Biagi, a nome del personale<br />

della Banca d’Italia e dell’U.I.C., desidero ringraziare il Prof. Robert H.<br />

Evans, Direttore della Johns Hopkins University, per aver subito accolto – ed aver<br />

collaborato a realizzare – la nostra idea di istituire una borsa di studio intitolata<br />

al Prof. Marco Biagi, da finanziare con i contributi raccolti dal Sindirettivo-CIDA<br />

della Banca Centrale, l’organizzazione che rappresenta i dirigenti e i funzionari<br />

della Banca d’Italia e dell’U.I.C.<br />

Nel marzo del 2002, all’indomani del tragico evento che ha sottratto al Paese e<br />

alla sua famiglia l’intelligenza, l’onestà, la dedizione a servire il bene comune del<br />

Prof. Marco Biagi, in Banca d’Italia ci siamo guardati attorno e abbiamo ritenuto<br />

che il modo migliore di dissentire civilmente da chi era arrivato ad uccidere<br />

fosse quello di favorire l’approfondimento delle idee e la prosecuzione delle ricerche<br />

di un eroe del nostro tempo, che l’intolleranza e la violenza hanno tentato di<br />

fermare.<br />

Alla sottoscrizione da noi promossa per devolvere un’ora di lavoro in memoria del<br />

Prof. Biagi – un piccolo sacrificio al cospetto di chi ha sacrificato la vita – hanno<br />

risposto 607 colleghi della Banca d’Italia e dell’U.I.C., consentendo la raccolta di<br />

circa 17.000 euro, cui si sono aggiunti gli 8.000 messi a disposizione dalla Johns<br />

Hopkins University. Si è potuto dar luogo così all’istituzione di una borsa di studio<br />

del valore di 25.000 euro, intitolata alla memoria del Prof. Biagi, per la fre-<br />

11


Marco Biagi: l’uomo e l’opera. A Round Table held in <strong>Bologna</strong> 18 February 2003<br />

quenza, durante l’anno accademico 2003-2004, di un corso per il conseguimento<br />

del titolo di “Master in International Relations”, presso la sede di <strong>Bologna</strong> della<br />

Johns Hopkins University.<br />

Ritengo si tratti di un’iniziativa di valore etico e morale, di un atto a favore della<br />

vita democratica e civile, di un segnale contro il terrorismo e la barbarie.<br />

Ho ascoltato con attenzione le parole con cui, nell’introduzione di questa commemorazione,<br />

il Prof. Evans si è espresso nei confronti del collega ed amico Prof.<br />

Biagi. Ne sono stato commosso.<br />

La Johns Hopkins merita grande apprezzamento da parte di noi tutti, anche per<br />

lo stile sobrio e austero con cui ha organizzato questo evento.<br />

Sono grato a questa Università che ci dà oggi la possibilità di ascoltare i contributi<br />

di alcuni valenti professori, in memoria ed a celebrazione del loro collega ed<br />

amico, un uomo che noi tutti vogliamo ricordare in modo non retorico, con rigore<br />

scientifico ed argomenti razionali, in linea con le caratteristiche personali e l’alto<br />

profilo professionale del Prof. Marco Biagi.<br />

12


Special Lectures Series<br />

Apertura dei lavori<br />

Giancarlo Pellacani<br />

Rettore<br />

Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia<br />

Sono trascorsi esattamente 11 mesi dall’assassinio del prof. Marco Biagi.<br />

La sua morte, anche se il ricordo è ancora vivo grazie ai tanti amici che si sono<br />

prodigati in questi mesi per portarne avanti instancabilmente le idee ed i progetti,<br />

resta una ferita aperta per la comunità scientifica ed accademica, una ferita<br />

tanto profonda in quanto essa è stata colpita nel suo valore più autentico: la libertà<br />

di elaborare idee applicabili e di diffonderle.<br />

Marco Biagi si era posto lealmente al servizio delle Istituzioni e della società civile<br />

per un progetto di innovazione e modernizzazione dello Stato con sensibilità ed<br />

intuizioni, largamente anticipatorie del cambiamento in atto, tanto che oggi molte<br />

delle sue idee e dei suoi suggerimenti sono diventati – al di là del merito e del giudizio<br />

che ciascuno crede coscienziosamente di esprimere – patrimonio condiviso<br />

di una larga parte dello Stato: sono diventate leggi di modifica del mercato del<br />

lavoro.<br />

La sua concezione etica, naturale per un ricercatore, è riassunta nel suo imperativo<br />

di vita: adoperarsi con tutte le forze e le energie a migliorare le condizioni del<br />

mercato del lavoro in Italia ed in Europa ed affermare una stagione di riforme<br />

non rinviabili.<br />

13


Marco Biagi: l’uomo e l’opera. A Round Table held in <strong>Bologna</strong> 18 February 2003<br />

Era un innovatore, un modernizzatore degli strumenti che disciplinano l’attuale<br />

assetto normativo dei rapporti di lavoro. L’obiettivo della sua appassionata ricerca,<br />

ripercorrendo i contributi da lui recati alla stesura del “Libro bianco del<br />

Governo sul mercato del lavoro in Italia”, era di estendere la rete di tutele e<br />

garanzie anche a quanti soffrono di una condizione di lavoro precaria, saltuaria.<br />

In questo senso si era speso per un “diritto dei disoccupati”, un diritto volto<br />

all’inclusione sociale di quanti sono a rischio di marginalizzazione rispetto al<br />

mercato del lavoro e, dunque, rispetto alla società.<br />

Da consapevole docente, da autentico maestro e da padre responsabile, si è<br />

instancabilmente prodigato per offrire ai giovani un progetto di vita: un progetto<br />

di studio, innanzitutto, ma anche un progetto di lavoro, per la valorizzazione<br />

della propria vocazione al servizio della società.<br />

A Marco Biagi si deve il richiamo e l’insistenza ad un concetto europeo a lui molto<br />

caro: quello di occupabilità, inteso come dispiegamento di politiche ed azioni sul<br />

territorio capaci di concorrere a fornire da parte del sistema di istruzione e formazione,<br />

presenti in Italia (Istituti superiori, scuole professionali, Università),<br />

figure professionali realmente forti e spendibili sul mercato del lavoro, coerenti<br />

con una evoluzione che – ammoniva Biagi – si è andata caratterizzando “per il<br />

progressivo passaggio da un sistema economico e sociale di tipo industrialista, di<br />

dominio (quasi) esclusivo dell’apparato tecnico-produttivo di impresa, ad uno<br />

fondato sulle conoscenze e, in quanto tale, <strong>maggio</strong>rmente consono al ruolo storicamente<br />

assunto dalla Università nell’ambito delle società occidentali”.<br />

La coscienza e la fiducia che sapeva porre nel ruolo dell’Università e dei giovani<br />

lo hanno reso naturale candidato alla funzione di Delegato del Rettore per l’orientamento<br />

al lavoro, incarico affidatogli nel marzo 2000.<br />

Immediatamente – come sua consuetudine - si è immerso in questo compito con<br />

assoluta abnegazione ed impegno, consegnandoci, dopo appena pochi mesi di<br />

attività, preziose ed efficaci linee guida su come strutturare il servizio di orientamento<br />

ed assistenza agli studenti ed ai laureati dell’Ateneo.<br />

Lo ha costantemente sorretto in questo compito – come si era espresso nel corso<br />

di un convegno da lui organizzato a Modena intorno alla metà del settembre 2001<br />

14


Special Lectures Series<br />

- la convinzione che “le Università possono assumere un ruolo strategico, sia dal<br />

punto di vista del raccordo con l’innovazione dei processi produttivi e la ricerca<br />

scientifica, sia nella prospettiva del sostegno alle politiche attive del lavoro e di<br />

apprendimento lungo tutto l’arco della vita, rispetto all’obiettivo del miglioramento<br />

qualitativo dei livelli di occupabilità”.<br />

Sulla scorta di questa convinzione Marco si era prefisso l’obiettivo di fare crescere<br />

intorno all’Ateneo modenese e reggiano un’esperienza di eccellenza, esportabile<br />

e replicabile sull’intero territorio nazionale.<br />

In pochi mesi, questi radicati assunti culturali, frutto di una riflessione scientifica<br />

sempre al servizio di un progetto, che vanno a ridefinire – coerentemente con<br />

lo spirito della recente riforma sugli ordinamenti didattici – il ruolo delle università,<br />

hanno trovato attuazione nel perfezionamento di un protocollo d’intesa,<br />

denominato “Patto per la occupabilità per Modena e Reggio Emilia”, sottoscritto<br />

nella primavera dell’anno scorso da Istituzioni, Associazioni imprenditoriali,<br />

Organizzazioni professionali ed economiche, nonché dai Sindacati territoriali<br />

delle due province, coinvolte fin dalla sua nascita nel progetto.<br />

Come dimostra l’attività di monitoraggio, condotta nei mesi successivi alla sua<br />

scomparsa, questo “Patto per la occupabilità” contiene idee nuove, molto concrete,<br />

valide ed efficaci, per raccordare due realtà, due mondi, quello dell’università<br />

e quello delle imprese, che debbono dialogare e confrontarsi più intensamente<br />

per la crescita e lo sviluppo della nostra società.<br />

L’insegnamento ed i contributi che ci ha trasmesso sono talmente vasti e stimolanti<br />

che, già all’indomani del suo sacrificio, ci è sembrato doveroso pensare -<br />

(sulla scorta di un'altra esperienza che si lega all’attività accademica modenese<br />

del docente scomparso, il “Centro studi internazionali e comparati di diritto del<br />

lavoro”, oggi ridenominato “Centro studi internazionali e comparati Marco<br />

Biagi”) - ad una iniziativa istituzionale idonea a proseguire il percorso culturale<br />

e scientifico tracciato con lungimiranza dal professore scomparso.<br />

Alla famiglia ed all’Ateneo l’idea di una Fondazione universitaria a lui intitolata<br />

(costituita nel rispetto del dettato dell’art. 59 della Legge 23 dicembre 2000, n.<br />

388, e del regolamento approvato con Decreto del Presidente della Repubblica 24<br />

<strong>maggio</strong> 2001, n. 254) è subito risultata lo strumento operativo più appropriato e<br />

15


Marco Biagi: l’uomo e l’opera. A Round Table held in <strong>Bologna</strong> 18 February 2003<br />

consono per raccogliere quel testimone.<br />

Si tratta di un’iniziativa, pensiamo, che discende dall’applicazione di un preciso<br />

suggerimento di Marco Biagi. Marco ha sempre avuto netta la percezione che le<br />

idee ed i progetti non possono essere legati ad una sola persona fisica, ma a strutture<br />

e gruppi di ricerca in grado di alimentare un percorso culturale, formativo e<br />

di studio, proiettato nel tempo e caratterizzato dalla capacità di investire sui giovani,<br />

indirizzandoli verso un percorso professionale al servizio del “progetto”.<br />

Questa nostra idea di istituire un “Centro di eccellenza” per attuare e favorire<br />

studi e ricerche, sia nazionali che internazionali, nel campo del diritto del lavoro<br />

e delle relazioni industriali italiane, comunitarie e comparate, non avrebbe trovato<br />

così facile attuazione se da parte della comunità accademica modenese e reggiana<br />

non si fosse compresa l’importanza, l’attualità e l’utilità pratica di sostenere<br />

economicamente un disegno di questa portata, che contribuirà ad affermare il<br />

ruolo europeo del nostro Ateneo come centro di incontro e snodo per elaborazioni,<br />

discussioni, convegni ed attività di alta formazione, e se da parte del Governo<br />

non ci si fosse adoperati, accogliendo con prontezza e sensibilità il nostro invito,<br />

per individuare e dotare di una sede prestigiosa ed accogliente le attività della<br />

medesima Fondazione.<br />

A fine luglio 2002 gli Organi dell’Università degli studi di Modena e Reggio<br />

Emilia, Senato Accademico e Consiglio di Amministrazione, hanno approvato in<br />

via definitiva lo Statuto della “Fondazione Marco Biagi”.<br />

La Fondazione avrà sede a Modena, provvisoriamente in via Berengario, 51 presso<br />

la Facoltà di Economia dell’Ateneo, proprio in alcuni di quei locali animati in<br />

questi anni dal docente scomparso, e vedrà insieme, quali fondatori, la famiglia<br />

Biagi e l’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia.<br />

Ed in questi giorni, con le decisioni assunte dal Consiglio dei Ministri e dalla<br />

Regione, ha trovato conferma anche l’auspicio che avevamo espresso, cioè che<br />

alla Fondazione - come previsto dallo Statuto - partecipassero Enti ed<br />

Amministrazioni pubbliche, nonché persone fisiche e giuridiche, Associazioni, in<br />

qualità di “partecipanti istituzionali” o in qualità di semplici “partecipanti”, che<br />

vogliano contribuire con noi ad alimentare l’iniziativa.<br />

16


Special Lectures Series<br />

Finalità principale della Fondazione è quella di porre questo strumento operativo<br />

al servizio di un progetto coordinato, che consenta una reale evoluzione, meditata,<br />

responsabile e partecipata, delle problematiche che attengono allo studio ed<br />

all’individuazione di iniziative, idonee ed appropriate, per raccordare – come ci<br />

ha trasmesso nella sua lezione Marco Biagi - “l’innovazione dei processi produttivi<br />

e la ricerca scientifica nel sostegno alle politiche attive del lavoro e dell’apprendimento<br />

lungo tutto l’arco della vita, rispetto all’obiettivo del miglioramento<br />

qualitativo dei livelli di occupabilità”.<br />

Il 19 marzo 2003 l’Ateneo e la Fondazione sono altresì impegnati a presentare il<br />

primo volume della collana, che raccoglierà tutti gli scritti e gli studi del professore.<br />

La Fondazione, poi, si propone di istituire, col concorso del mondo delle imprese<br />

e delle associazioni, borse di studio ed assegni di ricerca a favore di giovani studiosi<br />

al fine di alimentare la ricerca applicata ed un proficuo scambio tra<br />

Università e mondo del lavoro.<br />

Ricordava, infatti, Biagi il 6 ottobre 2000, concludendo la sua prolusione all’inaugurazione<br />

dell’Anno Accademico 2001-2002, “l’importanza di istituire luoghi<br />

istituzionali di confronto e di collaborazione su percorsi formativi, didattici e di<br />

ricerca tra sistema universitario ed imprese sia a livello territoriale che nazionale,<br />

per favorire una collaborazione strategica tra università ed imprese con progetti<br />

a medio e lungo termine, coordinando le attività in modo da evitare la parcellizzazione<br />

degli interventi”.<br />

Come si può ben comprendere l’attività e la produzione scientifica del prof. Marco<br />

Biagi è stata speculare all’attenzione che egli ha sempre saputo prestare ai giovani.<br />

Pertanto, mi compiaccio con l’iniziativa adottata dalla Scuola, la Johns<br />

Hopkins University, che lo ebbe tra i suoi animatori e docenti, di istituire questa<br />

borsa di studio per incoraggiare in un giovane la passione per gli studi. Sono certo<br />

che Marco avrebbe apprezzato!<br />

17


Special Lectures Series<br />

Uso della comparazione e diritto del lavoro<br />

Tiziano Treu<br />

Senatore<br />

Professore Ordinario di Diritto del Lavoro<br />

Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano<br />

Ricordiamo Marco anche qui, in un luogo a lui caro, dove ha ricevuto e offerto<br />

conoscenze preziose sui temi del lavoro e delle Relazioni Industriali. Il<br />

tempo trascorso dalla scomparsa di Marco non indebolisce i ricordi e permette di<br />

riflettere con <strong>maggio</strong>re profondità su quello che ci ha lasciato.<br />

Io ho un ricordo molto vivo di Marco Biagi come persona; e il ricordo della sua<br />

persona si unisce a quello dello studioso, impegnato nell'azione civile e politica.<br />

Uno dei tratti della sua personalità di studioso, che ho più vivo nella memoria e<br />

che mi sembra più significativo, è la sua dedizione alla ricerca unita alla convinzione<br />

che essa dovesse servire alla progettualità e all’innovazione.<br />

Entrambe, ricerca e progettualità, sono particolarmente urgenti oggi in Italia. La<br />

consapevolezza di questa urgenza traspariva quotidianamente dal suo instancabile<br />

attivismo che, negli ultimi tempi, si era reso ancora più visibile. Era convinto<br />

che la nostra epoca fornisse una tale varietà di stimoli a tutti i ricercatori sociali<br />

ed anche ai giuristi, che gli sembrava colpevole attardarsi nei riti formali. Per<br />

questo atteggiamento era rimproverato dai giuristi puri. Le critiche a Biagi non<br />

sono mancate, non solo su questo piano; e si sono moltiplicate via via che la sua<br />

attività si faceva più visibile anche sul piano della politica del diritto.<br />

Nei primi anni della sua vita accademica, Marco aveva accumulato risorse di cul-<br />

19


Marco Biagi: l’uomo e l’opera. A Round Table held in <strong>Bologna</strong> 18 February 2003<br />

tura, non solo giuridica, nell’ambito della scuola bolognese di Federico Mancini.<br />

Il suo percorso di ricerca si era però presto diversificato assumendo tratti personali<br />

molto netti. Anche se le prime opere, come per tutti i giuristi ‘di scuola’,<br />

riguardano argomenti di stretto diritto nazionale, aveva subito privilegiato temi<br />

di confine, molto esposti all'innovazione sociale ed economica.<br />

La sua forte propensione all’innovazione lo ha portato a dedicare crescente impegno<br />

ai temi comparatistici e comunitari e ad arricchire le conoscenze interdisciplinari.<br />

I due versanti, comparatistici e interdisciplinare, sono stati coltivati da Marco con<br />

un'intensità che ha pochi riscontri nella nostra cultura giuridica e in quella di<br />

altri paesi. Marco li ha coltivati per trarne un patrimonio di conoscenze che riteneva<br />

giustamente essenziali per dare qualità e novità alle ricerche, e per affrontare<br />

il terreno della progettualità sociale.<br />

L’impegno nella comparazione ed il confronto con cultori di esperienze diverse,<br />

soprattutto economisti e sociologi del lavoro, che Marco ha praticato con continuità<br />

soprattutto nell’ambito dell’Associazione di relazioni industriali, lo hanno<br />

sostenuto nella ricerca e nella pratica applicativa.<br />

Il continuo esercizio di comparazione e di verifica interdisciplinare era congeniale<br />

a Marco, perché gli permetteva di esprimere la sua sensibilità nel cogliere i tratti<br />

essenziali delle questioni, i nessi tra segmenti e temi diversi del diritto del lavoro.<br />

Gli ha dato quella grande capacità di semplificazione a cui tutti dovremmo<br />

tendere. Per Marco, la ricerca su questi due versanti era un impegno di grande<br />

importanza personale ma anche una preziosa e piacevole occasione di lavoro di<br />

gruppo. Credeva nelle ricerche di gruppo, dando prova di un orientamento che<br />

dovrebbe essere comune a tutti giuristi e ricercatori sociali e che invece è ancora<br />

così raro in Italia.<br />

Le doti di Marco sono state unanimemente apprezzate nel contesto internazionale,<br />

dove il riconoscimento dei pari e delle istituzioni è spesso più arduo, ma anche<br />

più significativo, di quanto non si verifichi sulle scene nazionali così perturbate<br />

da interessi settoriali o comunque non scientifici.<br />

La capacità di guardare fuori dall’orto nazionale, per capire meglio i problemi<br />

20


Special Lectures Series<br />

italiani, Marco l’aveva acquisita negli studi comparati, ma si è affinata in seguito<br />

nel contatto con l’ordinamento europeo: una fonte che per lui, e per noi, alimenta<br />

la capacità analitica e di progettazione con le indicazioni di un ordinamento<br />

nuovo, non di una mera giustapposizione di sistemi tradizionali e diversi.<br />

L'importanza di questo uso comparato del diritto comunitario Marco l'aveva<br />

avvertita per sensibilità personale. Poi gli era diventata ancora più netta dopo il<br />

1995, quando cominciò a frequentare non solo i congressi internazionali delle<br />

nostre associazioni di diritto del lavoro e di relazioni industriali, ma anche i luoghi<br />

istituzionali della Comunità Europea: la commissione, il consiglio dei ministri,<br />

il comitato europeo per l'occupazione, di cui sarebbe dovuto diventare presidente.<br />

L'ordinamento europeo costituisce un orizzonte istituzionale, ma anche politico e<br />

culturale, di eccezionale novità sia per le procedure di formazione che per i contenuti.<br />

Appunto per questo Marco vi si dedicava così intensamente.<br />

Nel tempo Marco aveva acquisito una conoscenza profonda, sia delle regole europee<br />

sia delle procedure di formazione delle decisioni comunitarie, arrivando a<br />

dare contributi apprezzati alla loro elaborazione. In particolare, all’interno del<br />

Comitato per l’occupazione, egli aveva acquistato autorevolezza facendosi stimare<br />

per la sua capacità di riflessione e di mediazione, fino ad essere candidato per<br />

la presidenza dello stesso Comitato alla vigilia di essere rimosso dall’incarico.<br />

L’interesse per l’ordinamento comunitario aveva alla base motivi non solo scientifici<br />

ma anche di politica del diritto.<br />

Lo studio e la frequentazione delle norme europee in materia di lavoro lo avevano<br />

persuaso che esse costituiscono una leva essenziale per la modernizzazione del<br />

nostro diritto di lavoro, una leva in parte utilizzata in Italia, ma da valorizzare<br />

ulteriormente. Marco sottolineava e apprezzava, come scrive in appendice al libro<br />

Politiche del lavoro, “la lungimiranza con cui le istituzioni comunitarie hanno<br />

saputo adottare una strategia di modernizzazione complessiva dei mercati del<br />

lavoro, senza per questo sacrificare le caratteristiche solidaristiche del modello<br />

sociale europeo”.<br />

L’obiettivo primo dell’ordinamento europeo, in parte realizzato, in parte da per-<br />

21


Marco Biagi: l’uomo e l’opera. A Round Table held in <strong>Bologna</strong> 18 February 2003<br />

fezionare, è proprio quello di contemperare i valori dell’efficienza e dell’equità,<br />

della competitività e della coesione sociale. A questo obiettivo Marco si ispirava,<br />

cercando di valutarne la portata, non secondo schemi ideologici, ma nel concreto<br />

dei singoli problemi. Non a caso, tale ricerca ritorna in moltissimi dei suoi scritti<br />

e nei dibattiti nazionali e internazionali da lui organizzati; fu posta come tema<br />

centrale del congresso mondiale dell’associazione internazionale di Relazioni<br />

Industriali, organizzato da Marco, proprio qui a <strong>Bologna</strong>, nel settembre 1998.<br />

Marco aveva meditato a fondo sulle modalità con cui questo obiettivo poteva<br />

essere perseguito, considerati i deboli poteri della comunità, a fronte delle resistenze<br />

e dei diritti nazionali. Si era progressivamente convinto, come molti di noi,<br />

che la strada non poteva essere quella delle direttive vincolanti, ricercate nel corso<br />

degli anni 70, inutilmente dirette a forzare le diversità nazionali. Le tecniche e le<br />

politiche dovevano essere meno dirette e più complesse: da una parte la promozione<br />

del dialogo sociale che coinvolgesse le parti collettive nella difficile opera di<br />

coordinamento e convergenza fra gli ordinamenti, dall’altra la costruzione di guidelines,<br />

di indirizzi, di parametri utili al benchmarking, cioè degli strumenti indicati<br />

sotto il titolo di soft law.<br />

Marco ha compreso e studiato, fra i primi in Italia, l’importanza di questi strumenti,<br />

che si sono affermati come i principali veicoli di influenza dell’ordinamento<br />

europeo sui diritti nazionali o più latamente come componenti del metodo<br />

di open coordination per la formazione di orientamenti comuni.<br />

Si può dissentire circa la utilità e capacità di incidenza di questi strumenti di soft<br />

law. Non pochi colleghi, esigenti e forse un pò formalisti, hanno sollevato dubbi<br />

a riguardo e criticato Marco per la fiducia che vi riponeva. Ma sarebbe fare un<br />

torto a Marco se non si ricordasse quanto egli si sia adoperato per affinare i contenuti<br />

di questa strumentazione e le relative procedure di monitoraggio e di controllo,<br />

soprattutto all’interno del comitato europeo per l’occupazione che ne cura<br />

l’elaborazione. Proprio perché si rendeva conto che, dalla credibilità di tali procedure,<br />

dipendeva la possibilità che essi indicassero un tipo di regolazione meno<br />

normativa e più orientativa, ma non minimalista e rinunciataria.<br />

Marco, infatti, sapeva che la flessibilità degli strumenti di soft law doveva accompagnarsi<br />

con la precisione degli indicatori necessari per accertare i progressi dei<br />

vari paesi e attori verso gli obiettivi comuni, e che doveva essere sorretta dal rigo-<br />

22


Special Lectures Series<br />

re delle verifiche. Gli indicatori fin qui elaborati in sede comunitaria sono alquanto<br />

esigenti, anche se restano precari gli strumenti di enforcement: una debolezza<br />

questa propria soprattutto delle regole in materia sociale e che ne segnano la fragilità<br />

rispetto alle guidelines finanziarie.<br />

Anche se quello europeo non è (ancora) un ordinamento completo, esso si è andato<br />

arricchendo nel tempo, sia pure con queste tecniche soft, fino a toccare gran<br />

parte delle questioni centrali del diritto del lavoro (e ora dello stesso welfare).<br />

Marco ha seguito questo processo di arricchimento e ha collaborato convintamente<br />

per sostenerlo, con il suo solito entusiasmo, combattendo gli euroscettici<br />

espliciti e impliciti. Questa ampiezza di orizzonti si è manifestata nei suoi interessi<br />

di ricerca e nelle sue proposte di riforma relative all’ordinamento italiano. I<br />

suoi scritti più recenti, anche prima del “Libro Bianco”, sono dei veri manifesti<br />

programmatici per la rivisitazione del diritto del lavoro; emblematico è il titolo<br />

del testo “Competitività e risorse umane: la regolazione dei rapporti di lavoro”,<br />

(pubblicato in ‘Marco Biagi, un giurista progettuale’, scritti scelti, Giuffrè,<br />

2003).<br />

Marco dedicò un'attenzione particolare ai temi del mercato del lavoro perché era<br />

convinto che gli interventi sul mercato, più che quelli sui singoli rapporti di lavoro,<br />

costituissero la via principale sia per promozione dell’occupabilità, punto centrale<br />

delle politiche del lavoro, sia per l’adeguamento delle tutele ai nuovi bisogni<br />

dei lavoratori, vecchi e nuovi.<br />

Questo è uno degli insegnamenti principali di tutta la sua elaborazione dottrinale<br />

e propositiva in argomento, che troverà la sua espressione più matura nel progetto<br />

di "Statuto dei lavori", costruito fra il 1997 e 1998. Un tentativo fermatosi<br />

con la fine del Governo Prodi, ma destinato a ripetersi e a perfezionarsi fino ad<br />

oggi.<br />

Marco era consapevole che si trattava di un tentativo ambizioso e forse prematuro.<br />

Certo andava controcorrente rispetto alle proposte legislative allora in discussione<br />

in Italia. Anzi, si doveva rivelare avanzato anche rispetto al quadro europeo,<br />

dove le intenzioni in tal senso del rapporto Supiot non hanno avuto sviluppi<br />

organici. Marco esplicita subito il carattere più originale della proposta: di<br />

fronte alla diversificazione dei tipi di lavoro occorre superare, anzi appare inuti-<br />

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Marco Biagi: l’uomo e l’opera. A Round Table held in <strong>Bologna</strong> 18 February 2003<br />

le, la tradizionale ricerca di “meticolose definizioni concettuali delle fattispecie di<br />

lavoro”, con l’obiettivo di estendere sostanzialmente ad esse le tutele tipiche del<br />

lavoro subordinato; bisogna invece affrontare la questione “dalla parte delle tutele”,<br />

rinunciando a “ogni ulteriore intento definitorio di una realtà contrattuale in<br />

rapido e continuo mutamento, per predisporre invece un nucleo essenziale di<br />

norme e principi inderogabili, comuni a tutti i rapporti negoziali, che hanno per<br />

contenuto il lavoro, al di sopra dei quali prevedere poi norme e tutele differenziate”<br />

adatte alle concrete esigenze dei singoli tipi di lavoro, da quello subordinato<br />

classico, a quello parasubordinato, al lavoro del socio di cooperativa.<br />

Questo del socio lavoratore è un argomento affrontato da Marco fin dai suoi primi<br />

studi, con soluzioni per molti versi lungimiranti, che mettevano in luce la natura<br />

“bifronte” del rapporto del socio. E proprio su questo punto la scorsa legislatura<br />

doveva riservargli, come lui stesso scrive, “una piacevole sorpresa”: l’approvazione<br />

della legge 142 del 2000 che riprendeva alcune delle sue intuizioni, anticipando<br />

spunti dello statuto dei lavoratori ed ammettendo che la stessa prestazione<br />

di lavoro nella cooperativa possa svolgersi in forma “subordinata autonoma,<br />

parasubordinata o in qualsiasi altra forma”. Con questa dizione, commenta<br />

Marco “si supera finalmente il principio del numerus clausus delle tipologie contrattuali<br />

lavoristiche. Una ventata di common law nel nostro ordinamento”.<br />

Marco era consapevole che un mercato del lavoro utile alla creazione di buona<br />

occupazione richiede un mix complesso di normative di tutela e di interventi promozionali,<br />

di norme statuali e di competenze gestione delle autonomie locali. Non<br />

a caso egli aveva manifestato, fin da epoca non sospetta, una grande attenzione<br />

ai processi di decentramento, di nuova regolazione e non di mera deregolazione.<br />

“Non si tratta di rimuovere le tutele fondamentali che nel nostro ordinamento<br />

accompagnano le diverse tipologie di lavoro subordinato….” ma di “sperimentare<br />

dosi di flessibilità normata, utili a rimuovere alcuni ostacoli al funzionamento<br />

del lavoro regolare senza però destrutturare il mercato del lavoro stabile e a<br />

tempo pieno”. Si tratta di far funzionare adeguatamente i servizi all’impiego, e di<br />

incrementare gli “investimenti in educazione e informazioni per massimizzare la<br />

qualità dell’offerta di lavoro”.<br />

La complessità della riforma del mercato del lavoro gli aveva mostrato anche i<br />

limiti del contributo che ad essa poteva offrire il diritto del lavoro. Nel commen-<br />

24


Special Lectures Series<br />

to della legge 196/1997, redatto in collaborazione con un gruppo di dirigenti del<br />

Ministero del Lavoro, Marco scrive: “non esistono prove che una semplice modificazione<br />

delle regole di disciplina dei rapporti di lavoro, neppure una modificazione<br />

nel segno della più spinta deregolamentazione, sia di per sé idonea alla<br />

creazione di nuova occupazione non meramente necessariamente precaria e interstiziale;<br />

potrebbe rivelarsi una operazione inutile se non addirittura controproducente<br />

in assenza di interventi strutturali di politica economica”. Tuttavia era<br />

altrettanto convinto che, per essere incisiva, una politica economica di sostegno<br />

all’occupazione doveva “fondarsi anche su un’adeguata strumentazione giuridico<br />

istituzionale”: quella che aveva visto elaborare nelle varie sedi europee.<br />

La creazione quindi di un mercato regolato, capace di contemperare i valori dell’efficienza;<br />

e dell’efficienza Marco postulava un'innovazione anche delle pratiche<br />

sindacali e delle Relazioni Industriali.<br />

Il rapporto del gruppo di alto livello sulla qualità delle Relazioni Industriali, cui<br />

Marco dedicò grande impegno, è esemplare al riguardo. Il messaggio principale<br />

del rapporto, come Marco ripeteva con insistenza, è che i problemi dell’attuale<br />

mercato del lavoro non possono essere risolti con vecchie ricette, neppure con la<br />

sola affermazione dei diritti tradizionali. Affermare questi diritti non basta a soddisfare<br />

i bisogni diversificati dei nuovi lavoratori. Gli obiettivi del diritto del lavoro<br />

e delle Relazioni Industriali devono essere più ambiziosi di quelli tradizionali.<br />

Negli ultimi anni, il compito delle relazioni industriali e della concertazione è<br />

stato di contribuire alla stabilizzazione dell’economia con le politiche dei redditi.<br />

Ora devono contribuire alla competitività e alla diffusione del benessere. Per questo<br />

occorre “agevolare la transizione di una contrattazione collettiva distributiva”<br />

ad una concezione negoziale ispirata dalla competitività e dall’occupazione. Per<br />

società ricche e civili come la nostra, la competitività deve basarsi sull’innovazione<br />

e sulla qualità. E nella qualità sono comprese le condizioni di benessere individuale<br />

e collettivo, l’allargamento delle opportunità di lavoro di buona qualità<br />

per tutti.<br />

Le Relazioni Industriali devono coerentemente aprirsi ai temi della partecipazione<br />

dei lavoratori nell’impresa e dell’azionato dei lavoratori: due temi troppo trascurati<br />

nel nostro Paese e su cui Marco offrì contributi ancora una volta in linea<br />

con le migliori indicazioni europe, e purtroppo disattesi.<br />

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Marco Biagi: l’uomo e l’opera. A Round Table held in <strong>Bologna</strong> 18 February 2003<br />

Le riflessioni e le proposte di Marco hanno arricchito il nostro diritto del lavoro e<br />

hanno contribuito a farlo effettivamente progredire. Solo in parte perché, come<br />

tutti progetti ambiziosi di riforma, anche i suoi dovevano fare i conti con le resistenze<br />

della realtà.<br />

Marco è sempre stato fiducioso di poterle vincere, sostenuto com’era da un forte<br />

ottimismo razionale. Osservava con lo stesso ottimismo e con una punta di orgoglio<br />

che “non sono certo le idee e la progettualità a mancare per una riforma complessiva<br />

del diritto del lavoro italiano”. Se questi progetti non avanzavano, era<br />

per la persistenza di veti o pregiudiziali ideologici che rallentavano inutilmente,<br />

rispetto al processo di evoluzione in atto, le riforme necessarie ad evitare fenomeni<br />

di destrutturazione e di deregolazione strisciante del mercato del lavoro.<br />

Questo ottimismo lo ha accompagnato fino all’ultimo, anche quando la possibilità<br />

di procedere, con un vasto consenso, all’opera di riforma andava diventando<br />

più remota, e anche quando le critiche al suo lavoro si esprimevano in accuse<br />

ingiuste.<br />

Marco sapeva, e ce lo ricorda, che l’impegno per cambiare realtà così complesse,<br />

come quelle espresse nel mondo del lavoro, richiede, oltre che onestà intellettuale,<br />

costanza e passione. Ricordiamolo anche oggi.<br />

<strong>26</strong>


Special Lectures Series<br />

Marco Biagi:<br />

Il collega e l’amico<br />

Stefano Liebman<br />

Professore Ordinario di Diritto del Lavoro<br />

IDC Istituto di Diritto Comparato "A. Sraffa"<br />

Università Bocconi, Milano<br />

Marco è stato, per me, prima di tutto un amico e poi anche un collega: il<br />

nostro rapporto è nato a Cambridge, nel Regno Unito, più di venticinque<br />

anni fa, sulla base del comune interesse ad allargare la prospettiva dei nostri<br />

studi.<br />

Lui era da poco assistente di Luigi Montuschi, all’Università di Pisa, mentre io<br />

non ero ancora laureato, ma partecipavamo insieme ad un corso estivo di introduzione<br />

al sistema giuridico inglese.<br />

Dato il contesto, era facile fraternizzare ed in proposito desidero qui dedicare a<br />

Francesco e a Lorenzo il ricordo di un episodio particolare. A conclusione del<br />

nostro soggiorno si doveva svolgere, come di tradizione, una partita di calcio fra<br />

una squadra di studenti stranieri e quella degli studenti inglesi residenti: Marco,<br />

incurante delle mie proteste circa la mediocrità delle mie capacità calcistiche, mi<br />

trascinò nell’avventura inaugurando un modello di rapporti che poi si è protratto<br />

nel tempo. Per me fu solo una modesta, ancorché eccitante, tappa nella mia<br />

ancor più modesta carriera di calciatore, ma per Marco fu l’apoteosi: suo fu infatti<br />

il goal che ci assicurò la vittoria.<br />

Quell’esperienza ha comunque segnato il nostro legame e da allora abbiamo condiviso<br />

e coltivato l’interesse alla comparazione, cioè al confronto tra tecniche differenti<br />

per problemi simili, studiando la compatibilità delle soluzioni in diversi<br />

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Marco Biagi: l’uomo e l’opera. A Round Table held in <strong>Bologna</strong> 18 February 2003<br />

contesti e ordinamenti, analizzando la complessità delle varianti che distinguono,<br />

per tradizione e cultura, i sistemi giuridici.<br />

La personalità di Marco, d’altra parte, aveva connotati che hanno influito sul<br />

nostro legame probabilmente molto più della comune passione per l’impostazione<br />

comparatistica nello studio del diritto del lavoro: le sue caratteristiche di fondo<br />

che più ho avuto modo di apprezzare erano la disponibilità e la sostanziale mancanza<br />

di presunzione, pur nell’appassionata difesa delle proprie convinzioni,<br />

coniugate con un’innata capacità di non prendersi troppo sul serio, salvo che sul<br />

piano dell’impegno. Ed è essenzialmente grazie a queste qualità che è stato sempre<br />

facile mantenere vitale un rapporto tra individualità tanto diverse, come la<br />

sua e la mia, continuare, negli anni, a confrontarci e a collaborare, discutendo e<br />

prendendoci in giro per le rispettive ostinazioni: consapevoli di queste, potrei dire,<br />

come eravamo consapevoli delle difficoltà della comparazione fra sistemi diversi<br />

che andavano, prima, studiati e conosciuti nella loro interna complessità.<br />

Abitavamo in città diverse e abbiamo insegnato in università lontane, ma abbiamo<br />

continuato a incontrarci e a sentirci, molto spesso, per discutere e per collaborare.<br />

Insieme siamo stati a Parigi, nel 1980 (eravamo andati per seguire un<br />

corso di Comparative Industrial Relations Law, organizzato dall’Università di<br />

San Diego e con noi c’era anche Marina, da poco diventata sua moglie, con la<br />

quale, finito il corso, abbiamo poi fatto un bellissimo, breve giro della<br />

Normandia); altre volte ho avuto il privilegio di sostituirlo in importanti meetings<br />

internazionali (ricordo un viaggio in Giappone, nel 1992, dove, per insistenza di<br />

Marco, andai accompagnato da mia moglie, recando entrambi un ricordo molto<br />

bello di Tokio e di Kyoto) o in ristrette riunioni di esperti nell’ambito dell’ILO<br />

(1999) piuttosto che per conto della Commissione UE (2001).<br />

Una tappa a suo modo cruciale delle nostre comuni vicende di amici/colleghi - e<br />

molto importante nella vita di Marco - è stata quella che ha visto il passaggio<br />

sotto le sue cure scientifiche ed accademiche del giovane Tiraboschi, il quale<br />

aveva discusso la propria tesi di laurea con il Professor Spagnuolo Vigorita e con<br />

me, all’Università di Milano. Dico cruciale, perché cedere un giovane allievo, nella<br />

crisi delle vocazioni veramente serie che è da tempo il principale problema della<br />

leva accademica, è un atto di amicizia che, a suo tempo, fu meditato anche con<br />

sofferenza: Michele, infatti, con gli altri dell’Istituto milanese, è stato, a pieno<br />

titolo, compartecipe di un periodo molto fecondo di iniziative didattiche e cultu-<br />

28


Special Lectures Series<br />

rali nell’ambito di quello che, in un’intervista rilasciata a Pietro Ichino per la<br />

Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, Gino Giugni ha qualificato come un raro<br />

caso, in Italia, di “cenacolo di pensiero collettivo”.<br />

Tiraboschi allora non sapeva quasi nulla di Marco, né che cosa avrebbe dovuto<br />

aspettarsi da quel trasferimento che forse ha vissuto, dapprima, come un vero e<br />

proprio abbandono, non potendo immaginare che ne sarebbe ben presto diventato<br />

il primo e principale allievo, coltivato ed amato con la severa sollecitudine che<br />

si usa per i figli: fatti l’uno per l’altro, come gli eventi hanno poi ampiamente<br />

dimostrato, accomunati da una notevole capacità di lavoro e di sacrificio personale,<br />

dalla passione per l’impegno pratico e teorico nelle cose da fare, il rapporto<br />

tra il maestro e l’allievo ha dovuto scontare le complicazioni dei legami non soltanto<br />

professionali. Hanno avuto, all’inizio, una sorta di riserbo reciproco che<br />

impacciava la comunicazione, una diversità di temperamento emotivo che scatenava<br />

tensioni: ricordo in proposito le numerose telefonate fra Marco e me nei<br />

pomeriggi del sabato – per anni è stato un appuntamento quasi obbligato – che<br />

avevano ad oggetto il lavoro di Michele, il suo futuro professionale e scientifico,<br />

gli ostacoli da superare, le necessità spicciole da conciliare con i progetti a lungo<br />

termine.<br />

Sì, perché corrispondere all’attivismo di Marco, contribuendo a tradurre in pratica<br />

le sue capacità organizzative, era un impegno cui poteva provvedere, in una<br />

misura che corrispondesse alle attese, solo lo stakanovismo di Michele Tiraboschi:<br />

per anni Marco è stato, tra l’altro, l’animatore instancabile di una Scuola di relazioni<br />

industriali comparate – da lui creata a <strong>Bologna</strong>, nell’ambito della sua collaborazione<br />

con Sinnea International, Centro studi della Lega delle cooperative di<br />

cui è stato a lungo Direttore scientifico – intorno alla quale si è creato un gruppo<br />

di lavoro di cui hanno fatto parte alcuni dei principali esponenti delle diverse<br />

scuole giuslavoristiche di tutto il mondo.<br />

Manfred Weiss (Università di Francoforte), Alan Neal (Università di Warwick),<br />

Jacques Rojot (Università di Paris, Sorbonne), Roger Blanpain (Università Cattolica<br />

di Louvain), Tadashi Hanami e Yasuo Suwa (Università di Tokio), per concludere<br />

con Tiziano Treu, sono stati tra i gli assidui frequentatori di questa vera e propria<br />

fucina di cultura giuslavoristica transnazionale. Marco, infatti, può dirsi il continuatore,<br />

sotto quest’aspetto, di Gino Giugni, che nei primi anni ’80 e nell’ambito dell’attività<br />

istituzionale dell’Aidlass era stato l’animatore di un esperimento analogo.<br />

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Marco Biagi: l’uomo e l’opera. A Round Table held in <strong>Bologna</strong> 18 February 2003<br />

Del gruppo ho avuto la fortuna di far parte anch’io, per anni, per tenace volontà<br />

di Marco, che non ha mai rinunciato al tentativo di forzare la mia innata pigrizia<br />

– facendolo sempre amichevolmente, con l’atteggiamento del fratello <strong>maggio</strong>re<br />

che ha mantenuto negli anni, dal primo incontro di Cambridge.<br />

Anche e soprattutto di questo gli sono e gli sarò sempre grato, per avermi costretto<br />

a fare cose e a partecipare ad iniziative che si sono rivelate tra le più singolari<br />

ed interessanti esperienze della mia vita professionale ed accademica. E in questo<br />

senso, è stato naturale il mio impegno nel favorire, in una specifica contingenza<br />

temporale, la chiamata di Marco a dirigere, accanto al suo fondatore – e<br />

mio maestro - Luciano Spagnuolo Vigorita, la rivista Diritto delle relazioni industriali,<br />

nel tempo divenuta, grazie al suo lavoro e ai suoi collegamenti culturali,<br />

una palestra prestigiosa di confronto comparatistico fra studiosi di ogni parte del<br />

mondo.<br />

L’esperienza di quegli anni e di quella comunità scientifica è stata veramente speciale,<br />

anche – ma non solo - sul piano dei rapporti interpersonali: da una parte,<br />

infatti, c’era quella sua istintiva facilità di creare e coltivare legami di genuina<br />

amicizia con i colleghi stranieri, che hanno finito per trascendere la congiuntura<br />

professionale e culturale, salvo poi dimostrarsi preziosi nei successivi sviluppi dell’attività<br />

istituzionale di Marco; dall’altra, però, c’era la sua progressiva, indiscussa,<br />

padronanza dei vari sistemi nazionali di regolazione del mercato del lavoro<br />

ed una visione di insieme delle sfide indotte dalla globalizzazione di quello<br />

stesso mercato che ne hanno fatto l’interlocutore prezioso - quasi obbligato - del<br />

potere politico quando l’integrazione europea ha necessariamente condizionato le<br />

strategie dei vari governi del nostro paese.<br />

Da qui, l’entrata nello staff del Ministro del lavoro Treu, da lui sempre considerato,<br />

prima di tutto, un maestro ed un amico, e la prosecuzione dell’esperienza<br />

nei successivi governi dell’Ulivo, con i Ministri Bassolino e Piazza. Da qui, ancora<br />

una volta, - e cioè dalla dedizione all’ideale europeo coniugato con il congenito<br />

desiderio di tradurre la teoria in pratica - anche la scelta, certamente non facile,<br />

di continuare la collaborazione con il nuovo governo, pur nei mutati equilibri<br />

politici e parlamentari.<br />

Una scelta che Marco ha compiuto rivendicando sempre la propria indipendenza<br />

di intellettuale impegnato in politica, intendendo quest’ultima come ricerca<br />

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Special Lectures Series<br />

paziente delle soluzioni possibili in una situazione data: me lo ha ribadito, orgogliosamente,<br />

anche due giorni prima di morire, rispondendo ad un mio messaggio<br />

di perplessità circa una sua pubblica presa di posizione che mi era apparsa<br />

assai discutibile, nei toni come nella sostanza.<br />

Per onestà intellettuale, infatti, – ma anche per rispetto alla sua memoria, giacché<br />

non siamo qui riuniti per celebrare il ricordo di un’icona astratta e senza<br />

tempo, ma il ricordo di un intellettuale consapevolmente ed appassionatamente<br />

calato nella realtà politica e sociale nella quale operava, umanamente partecipe<br />

delle sue inevitabili contraddizioni – devo qui riconoscere di non avere condiviso,<br />

pur rispettandole, tutte le scelte da lui compiute, in particolare quella di collaborare<br />

con il nuovo Governo.<br />

Marco lo ha sempre saputo e, per certi aspetti, lo dava per scontato, come io avevo<br />

intimamente dato per probabile che il suo temperamento fattivo gli avrebbe creato<br />

il dilemma.<br />

Il nostro ultimo incontro – il 31 gennaio dello scorso anno - è avvenuto a casa<br />

mia, in un contesto molto familiare, trattandosi di una cena con mia moglie ed<br />

una collega amica di entrambi: ricordo con commozione il riserbo con cui ci ha<br />

parlato del suo lavoro per perfezionare il disegno riformatore del “Libro Bianco”,<br />

mantenendo il confronto sul piano delle questioni tecniche, senza mai scendere<br />

sul terreno delle scelte di campo, dove le posizioni reciproche erano note ai presenti.<br />

Un accenno accorato a questo tipo di alternative, invece, me lo fece, per la prima<br />

volta, in quella mail del 17 marzo di cui ho già detto: alla mia accusa di cedimento<br />

alla faziosità delle semplificazioni politiche egli rispose, duramente, rivendicando<br />

la coerenza di una scelta che non voleva essere astrattamente ideologica<br />

o di schieramento, ma intendeva esprimere il fermo proposito di proseguire il proprio<br />

impegno riformatore, di contro a quelle che, a ragione o a torto, gli apparivano<br />

colpevoli chiusure al nuovo.<br />

Anche questo piccolo episodio – da me dolorosamente vissuto, in ragione dei successivi<br />

avvenimenti – può probabilmente essere letto come prova della difficoltà<br />

di tenuta – forse della intrinseca debolezza – di una pretesa neutralità del “tecnico”<br />

rispetto alle contrapposizioni sottostanti ad ogni scelta politicamente signifi-<br />

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Marco Biagi: l’uomo e l’opera. A Round Table held in <strong>Bologna</strong> 18 February 2003<br />

cativa, soprattutto perché la coerenza di un qualunque disegno riformatore, nel<br />

quale le soluzioni concrete si collocano, implica inevitabilmente una visione di<br />

insieme basata su scelte e valori condivisi. La stessa vocazione europeista di<br />

Marco può, in realtà, essere diversamente declinata in ragione di idealità e riferimenti<br />

alternativi, tali da giustificare critiche, anche radicali, ai risultati complessivi<br />

del suo lavoro di consulenza del Ministro e a quello stesso “Libro Bianco” che<br />

è un po’ il suo testamento intellettuale.<br />

Tutto si può discutere, e certo Marco non si è mai sottratto alla discussione, al<br />

confronto con l’argomentazione pacata di un eventuale dissenso, laddove invece,<br />

proprio negli ultimi mesi della sua vita, è spesso venuta meno, certo non per sua<br />

colpa, la possibilità di un dialogo sereno.<br />

Ciò che soprattutto allora è mancato e che da amico - e da collega - ritengo gli<br />

fosse e gli sia dovuto è il pieno riconoscimento di una trasparenza assoluta, di<br />

scelte e di comportamenti, sempre apertamente e coerentemente perseguiti, pur<br />

nella consapevolezza drammatica dei rischi ai quali quest’epoca buia lo esponeva,<br />

inerme e solo.<br />

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Special Lectures Series<br />

Ricerca, didattica, professione:<br />

un equilibrio difficile<br />

Giorgio Basevi 1<br />

Professore Ordinario di Economia Internazionale<br />

Università degli Studi di <strong>Bologna</strong><br />

Il titolo di questo mio intervento—ricerca, didattica, professione: un equilibrio<br />

difficile—propone un tema ampio, che non può certo essere soddisfacentemente<br />

trattato nei limiti dei pochi minuti a mia disposizione. E tuttavia ho scelto tale<br />

tema perché mi sembra di poter in esso inquadrare il senso dell’amicizia che mi<br />

legava a Marco.<br />

Amicizia è una parola forte. Almeno nella mia esperienza, diventa sempre più difficile,<br />

con l’avanzare dell’età, stringere nuove amicizie. Se l’amicizia è un rapporto<br />

che informa di sé l’ampia gamma di relazioni che una persona intreccia con<br />

il mondo esterno, diventa forse impossibile farsi dei nuovi amici, dopo quelli della<br />

prima giovinezza. Con l’avanzare dell’età, le nuove amicizie sono “funzionali”,<br />

mentre quelle della giovinezza spesso avvizziscono.<br />

Non vorrei essere frainteso quando uso il termine “funzionale” per descrivere un<br />

rapporto che, come l’amicizia, coinvolge la “individualità relazionale” della persona<br />

e non il suo mero “individualismo”. 2 Voglio solo dire che, più si ampia e si<br />

approfondisce il campo delle esperienze di vita—il che è anche conseguenza dell’età<br />

e forse del nostro mestiere di intellettuali—, più difficilmente l’amicizia può<br />

sottendere tutta la gamma di tali esperienze. Noi economisti saremmo tentati di<br />

dire che, anche nell’amicizia, riducendosi con l’età le risorse a sua disposizione,<br />

l’uomo cerca l’efficienza, la specializzazione; il che suona stridente, quasi che tali<br />

termini economici offendano la natura essenziale del rapporto di amicizia.<br />

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Marco Biagi: l’uomo e l’opera. A Round Table held in <strong>Bologna</strong> 18 February 2003<br />

Marco era il mio amico di bicicletta. Detto così, temo che sospettiate un significato<br />

antipatico nel termine “amicizia funzionale”; ma vi sbagliate. Temo, cioè,<br />

che questo termine vi suggerisca, alla meglio, il significato del linguaggio abituale—cioè<br />

qual è l’ambito in cui un’amicizia nasce e si intrattiene; alla peggio, una<br />

valutazione “economicista” dell’amicizia. 3 Quasi che l’amicizia fosse funzionale,<br />

appunto, ad ottenere, a procurarsi, a fare qualcosa che da soli non si sarebbe in<br />

grado o non si avrebbe voglia di ottenere, procurarsi o fare, come andare in bicicletta<br />

per sport.<br />

Penso invece sia onesto ammettere che, con l’avanzare degli anni, le nuove amicizie<br />

sono inevitabilmente a carattere funzionale; carattere che però non è limitativo<br />

nel senso “economicistico”. Quanto a me, infatti, anche con altri andavo e<br />

vado in bicicletta, e alcuni sono miei amici, ma non sono miei amici di bicicletta.<br />

In che cosa consiste allora il carattere simpatico, non antipatico, di un’amicizia<br />

pur funzionalmente intesa? Credo consista nel fatto che, pur riconoscendo che,<br />

per limiti di tempo e di capacità affettive, l’età ci impone una specializzazione<br />

quasi economica delle nuove relazioni, queste diventano e restano relazioni di<br />

amicizia se sono aperte ad accogliere, nella nostra individualità, l’altro, l’amico,<br />

nella sua individualità, anche sulla base dei pochi momenti, degli scarsi indizi,<br />

delle limitate funzioni in cui tali relazioni si esplicano.<br />

Ho detto “indizi”, e non a caso; forse potrei anche parlare di intuizioni. Quando,<br />

con l’età, le nuove amicizie diventano funzionali, esse acquistano tuttavia il loro<br />

carattere essenziale se, attraverso indizi, se ne intuisce la potenzialità di svilupparsi<br />

in più direzioni, di approfondirsi a più livelli. È una potenzialità che forse<br />

resterà soltanto tale, che occorre accettare come limitata, ma, al tempo stesso,<br />

come speranza di un legame che continuerà a dare frutti, se solo la natura o una<br />

mano omicida non vengano a reciderlo.<br />

L’amicizia con Marco mi ha così fornito indizi, sui quali baserò in parte il tema<br />

del mio intervento. Che io possegga pochi indizi su cui ragionare è evidente, se<br />

solo si pensi come sia difficile parlarsi mentre si va in bicicletta: si rischia di finire<br />

sotto una macchina, in pianura, di soffocare, in salita, di sbattere contro un<br />

paracarro, in discesa. E infatti i miei indizi sono stati anche raccolti altrove,<br />

soprattutto negli incontri che periodicamente avevo con Marco qui alla Hopkins,<br />

o presso il Dickinson College.<br />

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Special Lectures Series<br />

Penserete che sia presuntuoso basare su indizi un discorso sull’approccio di Marco<br />

al problema dell’equilibrio fra ricerca, didattica e professione. Altri—e certamente<br />

i colleghi e amici di Marco che sono qui oggi—hanno vissuto esperienze e raccolto<br />

prove molto più dirette delle mie. Ma a volte, nelle relazioni umane, alcuni<br />

elementi possono anche sfuggire a chi è più vicino all’oggetto di osservazione. Vi<br />

esporrò quindi le mie considerazioni indiziarie, ben conscio del rischio di dire cose<br />

note, o, peggio, errate.<br />

Ricerca, didattica, professione, sono elementi costitutivi della vita di un professore<br />

universitario. 4 Anche se in modo diverso per le diverse discipline, si tratta di<br />

tre attività che, da un punto di vista economico, potrebbero essere considerate<br />

come fasi di un processo produttivo.<br />

Dico potrebbero, perché criticherò tale visione, e su due livelli. Anzitutto, però, è<br />

necessario chiarire i termini. Ricerca: implica necessariamente lo studio, ma<br />

ovviamente non si esaurisce nello studio, che è operazione relativamente passiva.<br />

Didattica: può essere svolta ai vari gradi di istruzione universitaria (triennio,<br />

biennio, dottorato; o, se preferite, studi undergraduate, graduate, post-graduate).<br />

Professione: è termine normalmente inteso come prestazione dei propri servizi<br />

a favore di terzi su base commerciale. Userò tale termine, invece, in senso “civile”<br />

e “politico”, come prestazione dei propri servizi intellettuali a favore della<br />

società e dei policy-makers, sia tale prestazione a titolo oneroso o gratuito, mediata<br />

o meno da consulenze, diffusa con l’uno o l’altro dei mezzi di comunicazione,<br />

selezionati o di massa.<br />

Ho detto che la visione delle tre attività come fasi di un processo produttivo non<br />

mi sembra adeguata; ciò per due motivi, uno più superficiale, l’altro più profondo.<br />

A livello superficiale, è ovvio che di fasi può trattarsi, in senso temporale: per<br />

poter fare ricerca prima devo studiare; per poter insegnare, anche devo prima studiare<br />

e forse fare ricerca; come pure per essere un buon “professionista” sociale,<br />

devo prima aver studiato e forse fatto ricerca, e non è neppure male che abbia<br />

insegnato, se non altro per facilitare la mia capacità di “presa” sull’opinione pubblica<br />

o sui politici. Ma non appena consideriamo meglio quanto appena detto,<br />

appare anzitutto che il processo produttivo potrebbe fermarsi al livello della<br />

didattica, o saltarlo, per passare dalla fase di studio a quella di ricerca, e da quel-<br />

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Marco Biagi: l’uomo e l’opera. A Round Table held in <strong>Bologna</strong> 18 February 2003<br />

la di ricerca direttamente alla professione. Inoltre, è anche possibile—direi opportuno—che<br />

l’esperienza professionale abbia delle ricadute sulla ricerca e sull’insegnamento.<br />

Il processo produttivo delle conoscenze e della loro diffusione ha quindi<br />

caratteristiche di circolarità e di simultaneità nel tempo, in particolare fra<br />

ricerca e insegnamento. D’altra parte, è anche vero che, di fatto, se non biologicamente,<br />

vi sono fasi della vita in cui gli intellettuali sono più produttivi nella<br />

ricerca, o nell’insegnamento, o nella professione; e spesso, anche se non sempre,<br />

queste fasi tendono a susseguirsi in tale ordine.<br />

A livello più fondamentale, inoltre, la visione delle tre fasi come proprie di un<br />

processo produttivo—in cui si immettono inputs per dar luogo ad un output tramite<br />

una funzione di produzione, come noi economisti diciamo—è limitativa,<br />

almeno per due ragioni.<br />

Vediamo la prima ragione. Anzitutto, ancora dal punto di vista “economicistico”,<br />

le tre fasi rivestono, oltre le caratteristiche di fasi produttive, anche quelle di attività<br />

di consumo. Infatti esse sono sì attività di lavoro, ma hanno anche le caratteristiche<br />

di beni che generano utilità per chi li produce, mentre li produce, cioè<br />

per il professore universitario. Inoltre, possono essere viste sia come beni di consumo,<br />

sia come beni di investimento. Infatti, si può provar “piacere” a studiare,<br />

a fare ricerca, ad insegnare, a fornire i propri servizi professionali alla società<br />

politica e civile. In tal senso, si tratta di beni di consumo; ma il piacere può anche<br />

essere differito nel tempo, quindi può trattarsi di beni di investimento. 5<br />

La seconda ragione, ancora più fondamentale, per la quale il processo non può<br />

essere visto solo in termini “economicisti”, deriva dal fatto che tutte e tre le fasi<br />

comportano rapporti interpersonali. Non è quindi soddisfacente considerare che<br />

esse vengano svolte solo o precipuamente cercando di ottimizzare una funzione di<br />

produzione o di massimizzare la soddisfazione che dal prodotto finale il professore<br />

universitario si attende. Anche in questo campo è necessario “sostituire alla<br />

nozione di individuo quella di persona e, in conseguenza di ciò, [..] passare dalla<br />

prospettiva individualista a quella relazionale”. 6<br />

Che tutte e tre le fasi comportino relazioni interpersonali è evidente.<br />

La stessa ricerca, che pure, soprattutto se intesa come studio, potrebbe essere<br />

svolta in isolamento individuale, normalmente si basa su rapporti fra persone, in<br />

36


Special Lectures Series<br />

particolare quando si tratta di livelli avanzati di studio e di ricerca. Tali rapporti<br />

si sviluppano, normalmente, fra persone che interagiscono fra di loro; ma al<br />

limite, anche se in forma ideale, tali rapporti possono anche stabilirsi attraverso<br />

una “simpatia” (nel senso etimologico del termine) intellettuale con coloro che<br />

hanno contribuito alla ricerca in passato, o ne sono oggetto nel presente, anche se<br />

in tal caso non si può evidentemente più parlare di relazione propriamente reciproca.<br />

7<br />

La didattica, poi, è essenzialmente basata su relazioni interpersonali, anche se<br />

essa rischia, con le tecnologie moderne, di impoverirsi proprio sul piano relazionale,<br />

pur arricchendosi su quello degli strumenti di comunicazione ed elaborazione<br />

delle informazioni. 8<br />

Didattica e ricerca, inoltre, se strettamente intrecciate fra di loro, dovrebbero rafforzare<br />

l’aspetto relazionale che esse postulano fra docenti, discenti, ricercatori.<br />

Pongo tale possibilità al condizionale, perché le opinioni degli accademici sono,<br />

in proposito, molto contrastanti. Per coloro che sostengono la complementarietà<br />

fra gli aspetti relazionali di insegnamento e ricerca, penso che difficilmente si<br />

potrebbe dire meglio e più sinteticamente di quanto scritto da Umberto Eco e<br />

Alfonso Traina. In un testo in latino, nel quale essi ripercorrono il sorgere delle<br />

università e la storia di quella di <strong>Bologna</strong>, Eco e Traina sostengono che si dà università<br />

quando, fra le altre condizioni, si osserva una “libera magistrorum discipulorumque<br />

consociatio ad aliquam disciplinam certis finibus circumscriptam<br />

pervestigandam, ubi magister, dum quaerit, docet.” (dove il docente, mentre<br />

ricerca, insegna). 9 A queste ultime parole pensavo leggendo l’intervento di<br />

Tiraboschi, quando egli descrive il laboratorio che Marco aveva aperto a Modena:<br />

la “bottega artigiana”. 10<br />

E infine, su relazioni interpersonali è essenzialmente basata anche la professione<br />

dell’universitario, che nel confronto e nel dialogo con le società civile e politica,<br />

può, se solo lo voglia, superare l’impostazione individualista o strettamente economicista<br />

della sua professione.<br />

Tale superamento non è facile, non tanto nell’interpretazione teorica delle attività<br />

di ricerca, didattica, professione, quanto nella loro attuazione pratica. Non<br />

sempre gli universitari, neppure i grandi fra di loro, vogliono o riescono a compiere<br />

tale superamento. A questo mi riferivo poc’anzi, ponendo al condizionale la<br />

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Marco Biagi: l’uomo e l’opera. A Round Table held in <strong>Bologna</strong> 18 February 2003<br />

relazione di complementarietà fra didattica e ricerca.<br />

Infatti è forse questa la relazione più difficile da mantenere in un rapporto di<br />

mutuo arricchimento, soprattutto quando essa non si svolge nell’ambito dell’ideale<br />

comunità—alla quale si riferisce la definizione di università proposta da<br />

Eco e Traina—, ma in quello di aule affollate da studenti, che la scuola non ha<br />

sufficientemente preparato. In tale ambiente nasce il detto comune secondo cui<br />

“le università sarebbero ottimi posti in cui lavorare, se solo non ci fossero gli studenti”.<br />

Detto cinico, ma diffuso fra gli universitari: già il matematico Gauss, in<br />

una lettera del 1802, scriveva: “Provo una vera avversione all’insegnamento […].<br />

Fra i pochi studenti che continuano [negli studi] la <strong>maggio</strong>r parte non fa che raccogliere<br />

informazioni e si istruisce solo parzialmente, mentre i rari studenti dotati<br />

non si accontentano di istruirsi con le lezioni, ma imparano da soli. Intanto,<br />

attraverso questo ingrato lavoro, il professore perde il suo tempo prezioso”. 11<br />

In realtà, il ricorrente conflitto fra didattica e ricerca, e lo stridente contrasto con<br />

l’ideale definizione di Eco e Traina, possono essere risolti, se per didattica si<br />

intende quella più avanzata, diciamo a livello graduate o, ancor meglio, post-graduate.<br />

La ricerca che si fa insegnamento è effettivamente il rapporto che si stabilisce<br />

all’interno dei seminari e laboratori, come quello fondato da Marco e al<br />

quale accennava Tiraboschi. 12<br />

Purtroppo, invece, la soluzione meno favorevole del difficile rapporto fra didattica<br />

e ricerca, quella “economicista”, è dominante. Essa già affiora nel fastidio che<br />

traspare dall’emblematica lettera di Gauss, ma diventa esplicito riconoscimento<br />

nella teoria e prassi delle più prestigiose università, in particolare americane, ma<br />

non solo. Come nota Kline, gli stessi annunci di posti di insegnamento vacante,<br />

presso di esse, non solo privilegiano la ricerca, ma sottolineano come fattore di<br />

attrazione per i migliori candidati il basso carico didattico e la disponibilità di<br />

assistenti e aiuti vari alla poca didattica richiesta. La valutazione dell’output universitario<br />

e le classifiche che dei dipartimenti universitari si pubblicano, sono<br />

basate quasi universalmente su elementi relativi alla ricerca che in essi si produce.<br />

Gli economisti hanno, su tali classifiche, elaborato calcoli econometrici volti<br />

ad individuare i fattori che le determinano, e la ricerca prodotta figura sistematicamente<br />

fra i primi elementi, in un ragionamento praticamente circolare. La<br />

soluzione dominante del contrasto fra ricerca e didattica—intesa almeno come<br />

didattica undergraduate—è quindi quella economicista: sia le università che gli<br />

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Special Lectures Series<br />

universitari vedono il ritorno economico—diretto e indiretto, presente o differito—<br />

della ricerca, come la fonte prevalente del proprio reddito; quello derivante dalla<br />

didattica appare quasi un costo, che va minimizzato, per massimizzare tale reddito<br />

e comunque la qualità della didattica raramente appare, nelle classifiche delle<br />

università, come elemento primario di valutazione del prodotto universitario. 13<br />

Tale interpretazione economicista è quindi più che giustificata dalla realtà; ma<br />

per fortuna, non sempre. Gli indizi da me raccolti, e le testimonianze ascoltate<br />

anche oggi, dimostrano che quello di Marco era uno dei casi in cui le motivazioni<br />

non sono soltanto o preminentemente “economiciste”. Le testimonianze, le<br />

avete ascoltate o di esse siete stati attori diretti. Gli indizi da me raccolti, nella<br />

frequentazione di Marco, mi sembrano rivelatori.<br />

Spesso parlavamo del suo insegnamento presso il Dickinson College. Per me risultava<br />

difficile comprendere perché Marco insegnasse a studenti di college, quando<br />

già aveva quelli più preparati dei primi anni di Modena, e quelli più maturi della<br />

Johns Hopkins. E parlavamo—ansimando in bicicletta—delle difficoltà di tenere<br />

lezione a chi già non avesse le cognizioni di base, difficoltà inerenti soprattutto a<br />

curricula didattici inter-disciplinari, come quello della Hopkins. Cosa che per me<br />

resta purtroppo molto difficile, anzi pesante; per Marco invece era un piacere.<br />

Evidentemente la sua motivazione non era economicista, utilitarista. Esprimeva,<br />

credo, il suo desiderio e la naturale capacità di porsi in relazione personale con<br />

l’individualità del giovane studente, senza tanti calcoli di vantaggio personale.<br />

La stessa difficoltà provavo a spiegarmi perché Marco avesse fondato, fra le tante,<br />

anche l’Associazione degli Amici del Dickinson. Egli si “spendeva”—un termine<br />

che non gli si addice, proprio perché egli era alieno dal nostro economicismo—in<br />

un’attività di scarso rilievo personale, per la pura gioia di incontrare altre persone<br />

e di favorire l’ambientazione a <strong>Bologna</strong> dei giovani studenti del Dickinson.<br />

Vorrei, da questo terreno, in cui ho accennato in particolare alle attività di didattica<br />

e ricerca, e sul quale si potrebbe dire moltissimo ancora, passare brevemente<br />

a quello della professione. È questo un campo sul quale personalmente non mi<br />

sono avventurato molto, ma ove ho seguito o seguo il cammino di tanti amici. Al<br />

di là delle opinioni politiche, dei diversi percorsi civili o intellettuali, ciò che accomuna<br />

questi amici è per me la loro capacità di fare della professione non tanto<br />

un’occasione per auto-affermarsi, quanto una base di rapporti interpersonali, sui<br />

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Marco Biagi: l’uomo e l’opera. A Round Table held in <strong>Bologna</strong> 18 February 2003<br />

quali innestare la propria passione civile, il proprio impegno politico.<br />

Il salto dalla professione intesa come “agere” a quella intesa come “facere”, 14 o<br />

dalla professione come progettazione a quella come attuazione delle istituzioni o<br />

delle politiche che la nostra ricerca suggerisce, implica per lo più, almeno in<br />

Italia, l’abbandono della ricerca e della didattica, se non dello studio; spesso è una<br />

strada senza ritorno. 15<br />

Eppure, a ben pensarci, come nella difficile dialettica fra didattica e ricerca, così<br />

in quella fra professione da un lato e didattica e ricerca dall’altro, un equilibrio<br />

può essere mantenuto quando la motivazione che ci spinge non è solo o eminentemente<br />

quella di auto-affermazione, ma soprattutto quella dell’individualismo<br />

“relazionale”. 16 Marco, anche fra professione, da un lato, e ricerca e didattica,<br />

dall’altro, ha saputo mantenere un sano equilibrio. La frequentazione della politica<br />

e la sua professione in essa, erano occasione sia per travasarvi generosamente<br />

le proprie competenze, sia per trarne stimoli personali e oggettivi per i propri<br />

studi, ricerche, insegnamento. Le sue osservazioni in proposito erano rivelatrici,<br />

come se solo il ritorno assiduo fra i suoi studenti e i suoi libri gli permettesse di<br />

ritrovare l’equilibrio d’animo e intellettuale per poi riprendere il dialogo, anche<br />

aspro, con la realtà sociale e politica. In ciò egli a volte assimilava l’attività sportiva<br />

del corpo, in bicicletta, con quella “sportiva” dell’intelletto, fra i suoi studenti<br />

e colleghi. Della prima mi diceva di aver bisogno, per ritrovare l’equilibrio della<br />

propria personalità mentre svolgeva la seconda.<br />

Ma c’è un altro elemento che, a mio parere, facilitava in Marco tale equilibrio: il<br />

senso del gioco. Purtroppo in italiano la parola “gioco” non esprime precisamente<br />

quanto intendo dire e quanto avevo colto nella personalità di Marco. In inglese<br />

sì, grazie alla differenza fra le parole “game” e “play”, entrambe tradotte dalla<br />

parola “gioco” in italiano. “Game” è il gioco per vincere, per superare, se stesso<br />

o gli altri; “play” è il gioco gratuito, per divertirsi e divertire. Per Marco il gioco<br />

era “play”, era gratuito, per divertire, per relazionarsi in modo amichevole e<br />

gioioso con se stesso e con gli altri. E il gioco come “play” è per lo più accompagnato<br />

al senso dell’ironia, dell’umorismo, che è poi coscienza benevola dei propri<br />

e degli altrui limiti. Il gioco come “game” difficilmente è compatibile con l’ironia,<br />

soprattutto con l’auto-ironia. 17<br />

Fra i tanti universitari che ho conosciuto, spesso ho notato che il tocco finale<br />

—non sufficiente, ma certo necessario—per renderli, almeno ai miei occhi, gran-<br />

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Special Lectures Series<br />

di come persone e non solo come scienziati, è uno spiccato senso del gioco, dell’ironia,<br />

dell’umorismo. Penso ad alcuni, che almeno gli economisti conoscono di<br />

fama e che ho avuto la fortuna di conoscere personalmente: Bob Solow negli Stati<br />

Uniti, Jacques Drèze in Belgio, Alan Kirman in Francia, e altri ancora.<br />

Credo che il superamento della visione individualista, economicista, della propria<br />

attività universitaria e il mantenimento del difficile equilibrio fra ricerca, didattica,<br />

professione, siano facilitati dalla capacità di “giocare”, di relazionarsi con sé<br />

e con gli altri anche in modo giocoso e con senso dell’ironia. Non solo, questa<br />

dimensione dell’uomo è essenziale per mantenere l’equilibrio più fondamentale,<br />

forse il più difficile, quello fra la propria vita professionale e la vita famigliare. È<br />

qui dove per me gli indizi su Marco sono più tenui, direi riservati, ma anche più<br />

significativi.<br />

Marco sapeva giocare con se stesso e con gli amici, ma soprattutto avevo capito<br />

che sapeva giocare in famiglia. Egli sempre mi parlava, quando uscivamo assieme<br />

in bicicletta, dei suoi impegni famigliari; ma non dovrei usare questa parola,<br />

“impegni”, perché essa denota il senso di dovere, mentre era il senso di piacere<br />

che Marco mi comunicava parlandone. Sempre con gioia: “oggi pomeriggio vado<br />

alla partita con i ragazzi, oppure da mio padre e—quando ancora c’era—da mia<br />

madre”; così mi diceva Marco prima che ci lasciassimo, verso la fine delle nostre<br />

uscite in bicicletta. Ed era un accenno breve, ma sempre pieno di gioia, di attesa,<br />

di disponibilità. Per Marco, credo,—e chiedo scusa a Marina, a Francesco, a<br />

Lorenzo, se entro così poco informato e non autorizzato nella loro sfera famigliare—il<br />

gioco, il “play”, era il suo modo di ritornare in famiglia, di darsi alla famiglia,<br />

di insegnare ai suoi figli ad essere uomini.<br />

Parafrasando la frase di Eco-Traina, direi che Marco aveva istintivamente capito<br />

che, come il professore universitario “dum quaerit, docet”, così il padre “dum<br />

ludit, docet”: mentre gioca, insegna.<br />

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Marco Biagi: l’uomo e l’opera. A Round Table held in <strong>Bologna</strong> 18 February 2003<br />

Bibliografia<br />

- Arendt, Hannah (1958), Vita Activa. La condizione umana, Bompiani, Milano, 1994.<br />

- Barlow Nora, ed. (1958), The Autobiography of Charles Darwin 1809-1882, (with original<br />

omissions restored, with appendix and notes by his grand-daughter Nora Barlow),<br />

W.W. Norton & Company, reissue edition, 1993.<br />

- Coupé Tom (2003), “Revealed performances. Worldwide Rankings of Economists and<br />

Economics Departments, 1969-2000”, Université Libre de Bruxelles; scaricabile dal sito<br />

dello stesso autore: http://homepages.ulb.ac.be/~tcoupe/ranking.html<br />

- Eco Umberto, Traina Alfonso, a cura di (1988), <strong>Bologna</strong> 1088-1988. Alma Mater<br />

Studiorum Saecularia Nona, Università di <strong>Bologna</strong>.<br />

- Gaeta Franco, a cura di (1961), Lettere di Niccolò Machiavelli, Milano, Feltrinelli.<br />

- Hardy Godfrey H. (1940), A mathematician's apology , Cambridge University Press,<br />

ristampa 1992.<br />

- Kline Morris (1977), Why the Professor Can't Teach, New York, St. Martin's Press.<br />

- Tiraboschi Michele (2002), “Marco Biagi: l’uomo e il Maestro”, <strong>Bologna</strong>, 14 aprile.<br />

- Zamagni Stefano (2002), “L’economia delle relazioni umane: verso il superamento dell’individualismo<br />

assiologico”, in Sacco P.L. e Zamagni S., a cura di, Complessità relazionale<br />

e comportamento economico, <strong>Bologna</strong>, Il Mulino.<br />

42


Special Lectures Series<br />

Note:<br />

1 Ringrazio Stefano Zamagni per i suoi generosi suggerimenti, sempre utili, in particolare<br />

nella preparazione di questo mio intervento. Ringrazio anche Michele Tiraboschi per avermi<br />

fatto leggere il testo che è servito di base al suo intervento di oggi. Last but not least,<br />

il mio grazie anche a Walter Mazzetti Gaito, mio amico di bicicletta insieme a Marco, per<br />

aver accettato di leggere una prima versione di questo scritto.<br />

2 Concetti, questi, che bene chiarisce Zamagni in un suo recente scritto (Zamagni, 2002).<br />

3 Oltre che di “economicismo”, Zamagni (ibidem) parla anche di “riduzionismo economico”<br />

e di “individualismo assiologico”. Si noti che, contrariamente all’espressione “amici di<br />

bicicletta”, nell’espressione “amici di scuola” tale carattere apparentemente limitativo non<br />

è presente, in quanto la specificazione “di scuola” denota l’ambito spazio-temporale in cui<br />

l’amicizia è nata, ma non limita l’ambito delle relazioni che essa abbraccia. Eppure, difficile<br />

è che la piena amicizia riesca a sopravvivere, con l’età, all’ambito spazio-temporale in<br />

cui nacque quella “di scuola”. Successivamente si comincerà a parlare di “amici di lavoro”<br />

ecc., iniziando inevitabilmente il passaggio verso le amicizie funzionali.<br />

4 Naturalmente essi sono anche elementi dell’organizzazione universitaria, della ricerca<br />

scientifica, delle professioni. Per ovvie ragioni di tempo, mi limiterò al primo punto di<br />

vista—quello della vita del professore universitario—e non tratterò, se non en passant, di<br />

come tali elementi sono o dovrebbero essere istituzionalmente regolati e organizzati.<br />

5 Posso non provare alcun piacere nello studio o nella ricerca o nell’insegnamento, ma<br />

posso considerarli come investimenti necessari per procurarmi un futuro bene di consumo,<br />

sotto forma della soddisfazione che le fasi successive mi potranno fornire. Non è molto rilevante<br />

qui l’origine di tale soddisfazione, sia essa di tipo estetico o etico. La caratteristica<br />

cui mi riferisco è che essa sia “individualistica”. Rivelatrice, in questo senso, è la frase di<br />

Darwin nella sua autobiografia: “What is far more important, my love of natural science<br />

has been steady and ardent. This pure love has, however, been much aided by the ambition<br />

to be esteemed by my fellow naturalists.” (Barlow, 1958).<br />

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Marco Biagi: l’uomo e l’opera. A Round Table held in <strong>Bologna</strong> 18 February 2003<br />

6 Zamagni (op.cit.) p. 68.<br />

7 Si pensi a quanto scrive Machiavelli nella lettera a Francesco Vettori il 10 dicembre<br />

1513: “Venuta la sera, mi ritorno in casa, et entro nel mio scrittoio; et in su l'uscio mi spoglio<br />

quella veste cotidiana, piena di fango et di loto, et mi metto panni reali et curiali; et<br />

rivestito condecentemente entro nelle antique corti degli antiqui huomini, dove, da loro<br />

ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo, che solum è mio, et che io nacqui per lui;<br />

dove io non mi vergogno parlare con loro, et domandarli della ragione delle loro actioni;<br />

et quelli per loro humanità mi rispondono; et non sento per quattro hore di tempo alcuna<br />

noia, sdimenticho ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottiscie la morte: tucto<br />

mi transferisco in loro.” (p. 304 nell’edizione delle Lettere a cura di Gaeta, 1961).<br />

8 Quasi en passant, Tiraboschi osserva nel suo intervento: “Marco non governava pienamente<br />

la tecnologia e la rete, ma ne aveva ben presto intuito le enormi potenzialità”<br />

(Tiraboschi, 2002, p. 12). Ricordo anch’io una telefonata di rimprovero che ricevetti una<br />

volta da Marco, perché gli avevo scritto una e-mail invece di chiamarlo al telefono; mi disse<br />

che non gli piaceva, della posta elettronica, l’aspetto riduttivo dei rapporti personali..<br />

9 Eco, Traina e AAVV (1988).<br />

10 Un’espressione, quella del laboratorio artigiano, che usava anche Andreatta per definire<br />

il primo gruppo di noi economisti “bolognesi”, che attorno a lui ci eravamo riuniti alla<br />

fine degli anni sessanta.<br />

11 La lettera di Gauss (Johann Carl Friedrich Gauss, 1777-1855) è a Wilhelm Olbers e la<br />

citazione è riportata dal matematico Kline (1977) e da me tradotta dall’inglese. Lo stesso<br />

Kline cita anche una frase altrettanto caustica del filosofo inglese Leslie Stephen (1832-<br />

1904): “What a blessed place this would be if there were no undergraduates! … No waste<br />

of good brains in cramming bad ones”. Più recentemente, un matematico meno famoso di<br />

Gauss, ma non meno sincero, Godfrey Hardy, scriveva: “I hate ‘teaching’ and have had to<br />

do very little, such teaching as I have done having been almost entirely supervision of<br />

research; I love ‘lecturing’ and have lectured a great deal to extremely able classes; and I<br />

have always had plenty of leisure for the researches which have been the one great permanent<br />

happiness of my life.” (Hardy, 1940; citato da Kline, 1977).<br />

12 È a questo livello di insegnamento che, evidentemente, si riferisce Hardy nella sua<br />

“confessione” riportata alla nota precedente.<br />

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Special Lectures Series<br />

13 Si veda in proposito Coupé (2003). Fra le molte classifiche disponibili, ve ne sono<br />

anche alcune più orientate all’utente, cioè gli studenti. Si veda ad esempio il sito:<br />

http://www.usnews.com/usnews/edu/grad/rankings/about/03biz_meth.htm<br />

come pure il sito: http://www.wiwi.hu-berlin.de/wpol/info.html#sources<br />

14 Tali termini sono qui intesi nel senso che ad essi dà la Arendt (1958).<br />

15 In Italia è raro il caso di universitari che, datisi alla politica attiva o anche soltanto alla<br />

gestione delle istituzioni che governano l’università e la ricerca, riescano poi a tornare alla<br />

ricerca e alla didattica. Più frequente è il caso negli Stati Uniti. Quanto questa differenza<br />

sia attribuibile al sistema politico “delle spoglie”—a mio parere criticabile nell’ambito del<br />

nostro sistema politico e amministrativo—è questione che credo valga la pena studiare,<br />

anche per la professione di consulente politico.<br />

16 Zamagni (2002), p. 121.<br />

17 Basti pensare l’uso suggestivo della parola “game” per indicare i giochi di guerra (“war<br />

games”) e, ancor più, lo scivolamento semantico da “game” come gioco, a “game” come<br />

oggetto della caccia, “cacciagione”. Il comune amico di bicicletta, Walter Mazzetti Gaito,<br />

mi ha suggerito un altro senso in cui la parola “gioco” può bene caratterizzare come Marco<br />

si poneva nella sua professione sociale e politica: Marco non aveva timore di “mettersi in<br />

gioco”.<br />

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Special Lectures Series<br />

Marco Biagi:<br />

l’uomo e il maestro<br />

Michele Tiraboschi<br />

Professore Associato di Diritto del Lavoro<br />

Direttore del Centro Studi Internazionali e Comparati “Marco Biagi”<br />

Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia<br />

Nei giorni immediatamente successivi alla tragica sera del 19 marzo ho più<br />

volte respinto l’idea di scrivere un ricordo di Marco. Non si trattava certo di<br />

rinunciare – semplicemente – a una vera e propria commemorazione, che peraltro<br />

Marco, al pari del Suo Maestro 1 , non avrebbe probabilmente gradito. E neppure,<br />

almeno così credo, di uno sterile tentativo di arginare, per quanto possibile,<br />

le penose emozioni e i turbamenti di chi avrebbe voluto si fosse trattato di un<br />

bruttissimo incubo, e che, ancora oggi, ogni volta che squilla il telefono pensa che<br />

sia lui …, pensa a lui …<br />

Si è trattato, piuttosto, di un sentimento di pudore verso un dolore intimo e privato,<br />

e che tale voleva restare, quasi come se parlare di Marco significasse non<br />

solo recidere definitivamente quel cordone che ci ha fortemente legati per più di<br />

un decennio, gioendo l’uno per i successi dell’altro, ma anche svendere parte dei<br />

ricordi, dei sentimenti più profondi e dei sacrifici che, giorno dopo giorno, hanno<br />

dato corpo a un sodalizio, umano prima ancora che professionale, per me unico<br />

e certo irripetibile. Marco Biagi ha segnato profondamente la mia vita, così come<br />

credo di avere anche io segnato parte della sua.<br />

L’impulso a scrivere non è neppure venuto da quelle che, in circostanze normali,<br />

sarebbero per me state delle vere e proprie sollecitazioni. Strumentalizzazioni<br />

politiche, commemorazioni retoriche, girandole di parole in libertà non mi hanno<br />

minimamente toccato: la rabbia del momento si è subito tramutata in dolore e,<br />

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Marco Biagi: l’uomo e l’opera. A Round Table held in <strong>Bologna</strong> 18 February 2003<br />

ora, in un sentimento di profonda malinconia e solitudine. Solo con i fatti, rimettendo<br />

cioè faticosamente e silenziosamente in moto il Centro Studi Internazionali<br />

e Comparati modenese da lui fondato e diretto a partire dal lontano 1991, io e<br />

gli altri ragazzi di Marco (Riccardo Salomone, Alberto Russo, Olga Rymkevitch e<br />

Carlotta Serra) avremmo potuto replicare a tante ingiustizie e forzature; solo<br />

così Marco avrebbe continuato a vivere e a far parlare di sé e di quel piccolo<br />

miracolo creato in pochi anni dal nulla—“la Mecca del comparatista e dello studioso<br />

di diritto del lavoro e relazioni industriali”, come scrive ora Roger Blanpain<br />

sul n. 2/2002 dell’International Journal of Comparative Labour Law and<br />

Industrial Relations.<br />

Credevo, da ragazzino, di aver già pagato un caro prezzo alla morte, ma mi sbagliavo.<br />

Con la maturità di oggi mi resta non solo il vuoto di allora, ma questa<br />

volta anche un rimpianto: quello di un discorso rimasto a metà, quello di un ultimo<br />

saluto alla stazione dei treni di <strong>Bologna</strong> non certo dei più belli, quello di un<br />

sogno e di tanti progetti spezzati in un colpo solo e senza alcuna giustificazione,<br />

quello di una consapevolezza di ciò che è successo che da ragazzino non ho certo<br />

avuto. E mi resta anche una vita nuova, quella di una bambina che sta per<br />

nascere: una bambina che mi insegna che comunque, anche questa volta, occorre<br />

guardare avanti e dare un nuovo senso alla esistenza per riempire quel vuoto<br />

del periodo adolescenziale che proprio Marco mi aveva aiutato a colmare e che<br />

ora, inesorabilmente, ha iniziato a riemergere<br />

Spero, e anzi sono certo, che, accanto ai sentimenti di rabbia, malinconia e solitudine,<br />

presto anche Marina, Francesco e Lorenzo impareranno a coltivare un<br />

nuovo, straordinario amore: quell’amore che si alimenta e feconda nel ricordo di<br />

Marco e di tutti quei piccoli episodi quotidiani che ci sembrano tanto banali e<br />

scontati, ma che in realtà fanno giorno per giorno la nostra vita.<br />

No. Non è vero che ora niente ha più senso, e questo lo dico a me stesso ma anche<br />

– e soprattutto – a Lorenzo. Se noi non fossimo mai esistiti sarebbe stato peggio,<br />

perché mai avremmo avuto la fortuna di incontrare e conoscere Marco; mai<br />

avremmo avuto il privilegio di ridere, scherzare, gioire e anche di litigare con lui.<br />

E questo, sono certo, lo capiremo tutti meglio solo con il passare degli anni.<br />

Pur nella profonda diversità di carattere e di personalità, mi accomunava a<br />

Marco una profonda, istintiva fede in Dio. La spiegazione di quello che è acca-<br />

48


Special Lectures Series<br />

duto resta certo un mistero, come un mistero è la nostra vita, la grandezza e le<br />

miserie della nostra quotidianità, la precarietà dell’esistenza, tanti sacrifici che<br />

ora sembrano inutili e senza senso. Sono altrettanto certo però che ci rivedremo<br />

ancora e che nel frattempo, anche se da lontano e chissà con che razza di bicicletta<br />

(perché di una bicicletta ti sarai sicuramente già dotato!) 2 , accompagnerai<br />

tutti noi: la tua famiglia, i tuoi ragazzi del Centro Studi modenese e tutti quelli<br />

che ti hanno voluto veramente bene.<br />

Due sono stati, credo, i passaggi che, per così dire, mi hanno sbloccato e indotto<br />

ad affidare alla penna un ricordo di Marco come uomo e come Maestro.<br />

Il primo è rappresentato dalla lettura di un intenso editoriale di Gianpaolo<br />

Pansa su L’Espresso. Un pugno nello stomaco, già a partire dal titolo: “Biagi, chi<br />

era costui?” 3 . Pansa scrive una verità amara quando dice: “Taliercio, Rossa,<br />

Casalegno, Tobagi: nomi e storie che non hanno più eco. Presto accadrà lo stesso<br />

con il prof. Marco Biagi e si dirà: Biagi, chi era costui?”. La vicenda di<br />

Massimo D’Antona – compressa tra l’indelebile ricordo che di lui hanno i familiari,<br />

gli amici più intimi e gli straordinari allievi, da un lato, e la sostanziale<br />

indifferenza non dico del grande pubblico ma anche di molti lavoristi, non necessariamente<br />

tra i più giovani, dall’altro lato – ne è una chiara dimostrazione 4. .<br />

Ancora più decisiva è stata poi la lettura, nelle diverse stesure che mi sono state<br />

via via sottoposte, della bellissima commemorazione scritta da Marcello<br />

Pedrazzoli per la Rivista Italiana di Diritto del Lavoro 5 . Non tanto perché<br />

Pedrazzoli mi ha dolcemente (e paternamente) invitato, al di là di ogni “questione”<br />

o “lettura” accademica, ad assumermi le mie responsabilità, di allievo e<br />

amico di Marco, ma prima di tutto perché era stata finalmente assolta da un<br />

osservatore certo a lui vicino, ma comunque pur sempre “esterno”, l’opera di<br />

ricordo e commemorazione del Prof. Marco Biagi, che certo a me non compete.<br />

A questo punto, credo, non solo posso, ma anche devo affidare a un testo scritto il<br />

ricordo “dall’interno” di Marco Biagi, come uomo e come Maestro, completando<br />

quanto Marcello Pedrazzoli ha così bene scritto e quanto altri ancora (e altrettanto<br />

bene) sicuramente scriveranno, contribuendo opportunamente a estendere i<br />

punti di osservazione attraverso cui valutare e apprezzare l’opera scientifica e la<br />

personalità di Marco. Mi sono persuaso che anche questo è uno dei modi per dare<br />

eco a un nome e a una storia che, per chi come me gli stava vicino (gomito a gomito,<br />

come mi ha detto Gigi Montuschi facendomi commuovere e sanando con un<br />

tocco miracoloso una ferita da troppo tempo aperta), vanno ben oltre i numero-<br />

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Marco Biagi: l’uomo e l’opera. A Round Table held in <strong>Bologna</strong> 18 February 2003<br />

sissimi e sbalorditivi successi accademici e professionali; ed è questo, credo, pure<br />

un imprescindibile punto di partenza per dare un nuovo senso alla vita di Marco<br />

come anche a quella delle persone che, “dall’interno”, con lui hanno vissuto e quotidianamente<br />

condiviso quelle gioie e quei sacrifici su cui si fondava uno straordinario<br />

metodo di lavoro o, il che è lo stesso 6 , l’ostinazione del progetto.<br />

I. Marco Biagi e Federico Mancini: giuristi “progettuali”<br />

“2 aprile ’86<br />

A Marco,<br />

l’allievo che più da vicino ha seguito le mie orme,<br />

un libro in cui il liberal trova spiegate le ragioni del suo liberalism: cioè del suo rispetto<br />

per le società<br />

che ambiscono solo ad essere decenti.<br />

Il capostipite”<br />

In questa dedica del Capostipite, impressa sulla prima pagina di Una teoria della<br />

giustizia di John Rawls 7 , c’è molto di Marco. Il suo legame con il Maestro, innanzitutto.<br />

Ma anche il pragmatismo riformatore proprio di chi, armato solo di tenacia,<br />

ostinazione e di tanta pazienza, ambisce a incidere concretamente sulle istituzioni e<br />

sui meccanismi regolatori di una società complessa a tradizione democratica e pluralista.<br />

Come Federico Mancini, anche Marco Biagi era un giurista “progettuale” e<br />

il suo percorso umano e in senso lato “professionale” può giustamente essere letto,<br />

da questo punto di vista, come il completamento del Capostipite della scuola di<br />

Diritto del lavoro di <strong>Bologna</strong>.<br />

Ogni componente della Scuola bolognese rappresenta indubbiamente, secondo le<br />

diverse inclinazioni e metodologie, l’ideale prosecuzione del lavoro iniziato da<br />

Federico Mancini. Rispetto agli altri allievi, Marco lo aveva seguito non solo nella<br />

scelta del metodo – quello della comparazione giuridica – ma soprattutto nella passione<br />

politica (forte quanto la comune passione per il <strong>Bologna</strong> calcio) e, più recentemente,<br />

grazie al fondamentale apporto di Tiziano Treu, proprio sul piano della<br />

progettualità. Anche Marco – come lui stesso amava definirsi negli ultimi tempi –<br />

era un giurista “a progetto”.<br />

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Special Lectures Series<br />

Di Marco Biagi e delle riforme possibili ha già brillantemente scritto Marcello<br />

Pedrazzoli e qualcosa aggiungerò anche io in seguito. Quello che, invece, mi preme<br />

subito evidenziare è il parallelo tra Federico Mancini e Marco Biagi. Non solo perché<br />

Marco mi parlava sempre del suo Maestro e di quello che egli avrebbe presumibilmente<br />

fatto al suo posto in circostanze analoghe. E’ sufficiente leggere Federico<br />

Mancini: un giurista “progettuale” 8 per capire come Marco si sentisse – pur nella<br />

chiarissima percezione della sua spiccata individualità e di quella che lui definiva<br />

“l’inavvicinabilità” del Maestro – una proiezione vivente di Federico Mancini.<br />

In questo ricordo di Mancini Marco vedeva, come è naturale che fosse, anche se stesso<br />

e il suo itinerario umano e accademico in particolare: il comparatista, in primo<br />

luogo, ma anche il Maestro (di una nascente scuola modenese), e poi via via l’innovatore,<br />

il moderno, il protagonista 9 .<br />

Come Federico Mancini anche Marco Biagi era tutte queste espressioni che fanno di<br />

un giurista il “giurista progettuale”.<br />

Ed è così che, anche io, lo voglio ricordare.<br />

II. Marco Biagi comparatista<br />

Non sta a me dire se Marco sia stato un grande comparatista. La mia risposta sarebbe<br />

non solo scontata ma anche di parte, e ancora fresche sono nella mia memoria le<br />

polemiche, recentissime e sempre meno velate, sull’uso che Marco faceva del metodo<br />

comparato. Mi limito a dire, a questo proposito, che Marco non solo ben conosceva<br />

il classico studio di Otto Kahn-Freund su L’uso e l’abuso del diritto comparato<br />

ma aveva anche umilmente recepito, cosa credo unica nel panorama giuslavoristico<br />

italiano, la fondamentale indicazione di metodo in esso contenuta: fare del proprio<br />

sistema nazionale semplicemente uno dei vari ordinamenti posti a confronto, in<br />

modo da analizzarlo unicamente in rapporto alle sue intrinseche caratteristiche 10 .<br />

Era diventato naturale, per Marco, prescindere dalla centralità del nostro sistema<br />

giuridico nazionale: non certo per protervia intellettuale ma, molto più semplicemente,<br />

per una innata capacità – che gli era riconosciuta dallo stesso Federico<br />

Mancini – di guardare lontano e di prevedere con larghissimo anticipo avvenimenti<br />

e scenari futuri. E questo, se può avere contribuito ad alimentare in talune circostanze<br />

qualche incomprensione con chi fatica, più o meno consapevolmente, ad<br />

abbandonare la limitata prospettiva di osservazione offerta dal diritto del lavoro<br />

nazionale, rappresenta a ben vedere la grande eredità di Marco Biagi comparatista.<br />

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Marco Biagi: l’uomo e l’opera. A Round Table held in <strong>Bologna</strong> 18 February 2003<br />

La sempre più preponderante dimensione europea e comunitaria del diritto del<br />

lavoro, l’internazionalizzazione dei mercati e i complessi processi che hanno<br />

recentemente condotto alla sostanziale perdita di sovranità statale sulle regole che<br />

governano i meccanismi di produzione e di trasferimento della ricchezza non<br />

potevano certo spiazzare chi, come Marco, aveva già da tempo abbandonato gli<br />

stretti abiti del giurista nazionale. Anzi, proprio questa sua equidistanza dai<br />

diversi sistemi nazionali rendeva particolarmente agevole l’esercizio di benchmarking,<br />

che tanto ha caratterizzato l’evoluzione del pensiero e della abilità progettuale<br />

di Marco.<br />

Marco non era interessato – semplicemente – alla circolazione dei modelli. La<br />

comparazione, almeno a partire dall’ultimo decennio, era per lui l’unico modo<br />

possibile per verificare in anticipo l’esito applicativo delle tecniche regolatorie in<br />

via di progettazione 11 , contribuendo al tempo stesso a dissolvere falsi problemi e<br />

resistenze ideologiche rispetto al progetto di modernizzazione del mercato del<br />

lavoro italiano. L’ultimo lavoro collettaneo da lui curato, dedicato alla nuova<br />

disciplina del lavoro a termine 12 , rappresenta un chiaro esempio di come la comparazione<br />

avrebbe per lui dovuto servire a condurre alla conoscenza e alla risoluzione<br />

pragmatica dei problemi del lavoro. La comparazione – ha scritto Rodolfo<br />

Sacco in un libro a noi particolarmente caro – è storia, “e questa storia, che<br />

distrugge i falsi concetti, conduce alla conoscenza” 13 .<br />

Ancora fondamentale, in questa prospettiva, è stato l’apporto di Tiziano Treu. Se<br />

Gigi Montuschi, il suo secondo Maestro, lo aveva fortemente sostenuto e assecondato<br />

nella scelta del metodo comparato, Tiziano Treu ha in seguito rappresentato,<br />

a partire da un memorabile convegno di Kyoto del 1983, la guida ideale sotto<br />

il profilo della applicazione concreta e pragmatica del metodo stesso 14 . Credo che<br />

Marco mi abbia descritto almeno una decina di volte l’intensa emozione che ebbe,<br />

durante quel convegno, nell’aiutare Tiziano Treu a elaborare un suo intervento:<br />

una emozione certo non inferiore a quella che, quindici anni dopo, in qualità di<br />

Presidente dell’AISRI, lo accompagnò nella organizzazione, ancora una volta a<br />

fianco dello stesso Tiziano Treu, dell’XI congresso mondiale della Associazione<br />

Internazionale di Relazioni Industriali 15 .<br />

E sempre a Kyoto avviene l’incontro con Roger Blanpain: un giurista e un uomo<br />

per molti aspetti assai diverso da Marco, ma che inequivocabilmente è stato per<br />

lunghi anni il depositario di un modello organizzativo alquanto sofisticato e che<br />

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Special Lectures Series<br />

molto ha inciso sul nostro metodo di lavoro nel Centro Studi modenese. Da questo<br />

punto di vista Marco si considerava un allievo anche di Roger Blanpain e sicuramente<br />

avrebbe realizzato, nei prossimi anni, qualcosa di comparabile alla<br />

monumentale International Encyclopaedia for Labour Law and Industrial<br />

Relations curata dallo stesso Blanpain per i tipi di Kluwer Law International.<br />

Certo, nell’insieme il quadro che ho appena tratteggiato può forse apparire meno<br />

emblematico e significativo del leggendario viaggio di Federico Mancini e Gino<br />

Giugni sulla nave che li portava negli Stati Uniti a studiare il modello nordamericano<br />

e da lì, nell’arco di pochi anni, a cambiare profondamente lo sviluppo del<br />

nostro diritto del lavoro. Ma a ben vedere quello di Marco è stato un itinerario<br />

culturale non meno affascinante e straordinario, proprio del comparatista di<br />

razza, e cioè di colui che non si limita a uno studio a tavolino dell’esperienza di<br />

altri ordinamenti, ma che, anzi, umilmente riconosce come la realizzazione di un<br />

vero studio comparato non possa mai rappresentare una attività individuale. Per<br />

la ricerca comparata, scriveva Marco, “è quasi scontato che una gran parte del<br />

lavoro (la raccolta di informazioni bibliografiche ma soprattutto la conoscenza<br />

del funzionamento effettivo di un sistema) sia realizzata grazie alla collaborazione<br />

di altri colleghi” 16 .<br />

Basta scorrere velocemente il programma scientifico di uno dei tradizionali convegni<br />

modenesi, o anche solo una delle immancabili prefazioni ai numerosi contributi<br />

comparati 17 , per accorgersi della straordinaria abilità di Marco nel mettere<br />

in rete, grazie alla sua proverbiale affidabilità e serietà, un gruppo variegato di<br />

insigni giuslavoristi, tra cui devo senz’altro ricordare oltre al “fratello” Yasuo<br />

Suwa, almeno Lammy Betten e Alan Neal, da cui aveva recentemente ereditato la<br />

gestione dell’International Journal of Labour Law and Industrial Relations, edito<br />

per i tipi di Kluwer Law International.<br />

Altra figura importante è stata infine quella di Manfred Weiss, un altro grande<br />

Maestro, particolarmente affine a Marco per rigore di metodo e per affidabilità,<br />

con cui era da poco stato lanciato uno dei tanti progetti internazionali: la realizzazione,<br />

con l’aiuto di una straordinaria rete di corrispondenti nazionali, di una<br />

pubblicazione periodica intitolata Employee Involvement in Europe. Sotto la<br />

Presidenza di Manfred Weiss della Associazione Internazionale di Relazioni<br />

Industriali Marco ha avuto appena il tempo di assaporare l’onore e l’immensa<br />

soddisfazione di essere indicato tra i cinque General Rapporteurs per il prossimo<br />

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Marco Biagi: l’uomo e l’opera. A Round Table held in <strong>Bologna</strong> 18 February 2003<br />

congresso mondiale della Associazione (Berlino, settembre 2003). Un convegno<br />

che sarebbe stato forse diverso dagli altri visto che, per la prima volta, era prevista<br />

la presenza non solo di Marina, refrattaria agli aerei, ma anche di tutta la sua<br />

squadra modenese al completo.<br />

Ma farei un torto a Marco se non ricordassi un’altra sua grandissima dote, propria<br />

del vero comparatista. Come la comparazione non ha paura delle differenze<br />

tra sistemi e modelli, per quanto grandi esse siano 18 , così neppure Marco poneva<br />

(e si poneva) limiti o barriere di status accademico e di provenienza geografica e<br />

culturale. Le sue Summer Schools, le lezioni agli studenti della Hopkins e del<br />

Dickinson, i frequenti convegni internazionali, organizzati prima presso il Sinnea<br />

International e poi, a partire dal 1994, presso la nuova sede del Centro Studi<br />

modenese, erano un formidabile laboratorio umano, prima ancora che scientifico.<br />

Era lì che neo-laureati e studenti di ogni provenienza potevano facilmente<br />

avvicinare, in un clima di stupefacente informalità che mai ho respirato in altri<br />

ambienti accademici italiani, lo studioso di fama internazionale, il Ministro, il<br />

Commissario europeo, ecc. facendo quella che Marco, ancora recentemente, ha<br />

definito “comparazione dal vivo” 19 .<br />

Ancora impressa nella mia memoria è una calda sera del luglio del 1997, quando<br />

nella cerimonia di consegna degli attestati di frequenza della Summer School in<br />

Labour Law and Industrial Relations, accanto alla immancabile figura di Tiziano<br />

Treu si materializzò improvvisamente – e inaspettatamente – quella dell’allora<br />

Presidente del Consiglio Romano Prodi, che non esitò un secondo ad andare incontro<br />

ai nostri studenti e ai giovani ospiti stranieri, ancor prima di aver salutato le<br />

autorità presenti. Una fotografia di Marco, circondato da Tiziano Treu, Romano<br />

Prodi, un giovane ricercatore giapponese, la nostra prima allieva modenese Giulia<br />

Moretti e la collega canadese Véronique Marleau, spicca ancora oggi nell’ingresso<br />

del suo studio di via Valdonica, vicino a quel letto che, per lungo tempo, ha ospitato<br />

il “fratello” Yasuo Suwa e di seguito, per quasi un anno e mezzo, anche il sottoscritto,<br />

ancora intento in quella fase a trovare una sistemazione definitiva nella<br />

città di <strong>Bologna</strong>. La chitarra e la voce di Enrico Traversa, che avevano reso magica<br />

quella serata, riempiono di suoni e suggestioni la malinconia di questi giorni.<br />

54


Special Lectures Series<br />

III. Marco Biagi “Maestro”<br />

Se l’estrema informalità dei rapporti accomunava Marco a Federico Mancini, lo<br />

stesso non si può certo dire con riferimento al ruolo di “Maestro”. Marco Biagi<br />

non ha mai avuto una sua Scuola, e forse solo ora si stavano verificando a<br />

Modena alcune particolari condizioni che avrebbero potuto consentire di dare<br />

corpo, di qui a qualche anno, a un progetto tanto ambizioso quanto gravido di<br />

responsabilità. E’ infatti solo tra il 2000 e il 2001 che inizia a stabilizzarsi un<br />

gruppo di giovani studiosi, tra cui spiccano i nomi di Riccardo Salomone, Alberto<br />

Russo, Olga Rymkevitch e Carlotta Serra.<br />

Sino ad allora la dimensione di Marco era sempre stata quella della “bottega artigiana”.<br />

Questa espressione gli piaceva moltissimo, e la ripeteva in continuazione,<br />

orgoglioso del fatto che, affiancato da un inesperto e grezzo apprendista bergamasco,<br />

avesse ugualmente potuto realizzare una serie impressionante di lavori, di<br />

rilevanza nazionale e internazionale, tanto da dare effettivamente l’impressione<br />

di potersi avvalere già da lungo tempo di una fiorente scuola modenese. Non era<br />

così. Ad affiancarci erano unicamente i nostri studenti del quarto anno di economia<br />

politica e di economia aziendale attratti dalle qualità umane e dal fascino di<br />

Marco.<br />

Presto il nostro ufficio divenne famoso in tutta la Facoltà. Diversi fattori – tra cui<br />

l’informalità dei rapporti, l’estrema accessibilità del docente, la cura nel seguire<br />

le tesi di laurea, la disponibilità di qualche computer e di un validissimo tecnico<br />

informatico, Vincenzo Salerno, sempre pronto a dare una mano, l’abilità di Marco<br />

nel tessere i rapporti con le aziende, sperimentando in forme pionieristiche l’istituto<br />

del tirocinio aziendale, un primo ponte verso l’inserimento nel mercato del<br />

lavoro di tanti ragazzi – ci consentirono di aggregare un gruppo straordinario di<br />

persone, pronte a dedicare gratuitamente tempo e preziose energie a sostegno del<br />

nostro progetto. Ricordo, in particolare, Serena Vaccari, Giulia Moretti e Ylenia<br />

Franciosi, e poi anche Giorgia Verri, Silvia Spattini, Elisa Pau, Federica Gambini,<br />

Alessandra Lopez, Federico Bacchiega, Cinzia De Luca, Barbara Maiani,<br />

Gianluca Nieddu, Anna Simonini, Francesca Crotali, Paolo Fontana, Federica<br />

Rossi, Lucia Mangiarelli, Luana Ferraro, Sabrina Guerzoni, Giuseppe Bertoni e<br />

Massimo Morselli.<br />

Sei mesi, un anno, a volte anche di più, per quegli studenti che, al termine del<br />

55


Marco Biagi: l’uomo e l’opera. A Round Table held in <strong>Bologna</strong> 18 February 2003<br />

corso, iniziavano subito a frequentare i nostri uffici. Tanto duravano le collaborazioni.<br />

Ma i rapporti che si sono instaurati sono spesso andati ben oltre la collaborazione<br />

informale, e alcuni di essi ancora oggi continuano nella dimensione più<br />

genuina e gratuita della amicizia. In questo Marco fu un vero Maestro: non un<br />

“caposcuola” nel senso proprio del termine, ma sicuramente una guida che ha<br />

sempre voluto attorno a sé un gruppo di persone giovani legate da un grande<br />

senso di stima collettiva e di partecipazione a un progetto. Una grande qualità di<br />

Marco era certo, da questo punto di vista, la sua naturale capacità di gioire, nel<br />

profondo del cuore, dei primi successi di questi ragazzi e del suo gruppo in generale.<br />

Farei un torto a Marco e alle persone che hanno di volta in volta lavorato con noi<br />

se nascondessi il fatto che tale forma di aggregazione sia potuta talvolta degenerare,<br />

alimentando delusioni e tensioni, e anche qualche leggenda. Forse, in talune<br />

circostanze, l’ostinazione del progetto è diventata insensibilità verso gli innegabili<br />

meriti acquisiti da alcuni dei nostri ragazzi. Ma qui mi assumo io, in prima<br />

persona, tutte le responsabilità, perché ero sempre io a cedere alla tentazione di<br />

fare di ogni nostro studente un piccolo ricercatore, alimentando inconsapevolmente<br />

aspettative accademiche che, vuoi per la particolare collocazione di Marco<br />

nella Scuola bolognese vuoi per la fragile preparazione giuridica di chi si forma<br />

in una Facoltà di Economia, non potevano forse essere assecondate. E’ da questa<br />

consapevolezza che sono nate le prime collaborazioni più stabili con giovani giuristi,<br />

in una prima fase con Nicola Benedetto e Giuseppe Martinucci, e poi a seguire<br />

con alcuni dei miei ultimissimi studenti milanesi, primi tra tutti Giuseppe<br />

Mautone e Marina Mobilia. Ed è da qui che, subito dopo, è nata l’idea di gruppo,<br />

una volta ottenuta una collocazione per Riccardo Salomone, come ricercatore, e<br />

per Alberto Russo, come assegnista di ricerca. Ad Olga Rymkevitch, arrivata a noi<br />

da San Pietroburgo nel febbraio 2001, grazie una borsa del Ministero degli Esteri<br />

italiano, carica di speranze e di entusiasmo, e a Carlotta Serra, aggregata al gruppo<br />

nel luglio del 2001 e subito divenuta la cocca del Maestro per la sua spiccata<br />

personalità, si era nel frattempo da poco aggiunta anche Flavia Pasquini. Facile<br />

prevedere che, di lì a poco, sarebbe finalmente potuta germogliare una vera e propria<br />

Scuola modenese. Era solo questione di tempo.<br />

Sicuramente Marco è stato un Maestro nel vero senso della parola almeno per me.<br />

A lui devo molto, e non solo in campo accademico. E’ stato lui a credere in me e<br />

a portarmi nell’ormai lontano 1992, su indicazione di Stefano Liebman e<br />

56


Special Lectures Series<br />

Luciano Spagnuolo Vigorita, dalla Statale di Milano a Modena, dopo un soggiorno<br />

di un anno presso l’Istituto di Diritto del lavoro dell’Università Cattolica di<br />

Leuven sotto la guida di Roger Blanpain. E’ stato lui a insegnarmi il mestiere<br />

presso la sua bottega di artigiano e a gratificarmi giorno per giorno, grazie anche<br />

al progressivo affidamento di incarichi via via più delicati e stimolanti. La collaborazione<br />

si è poi presto trasformata in un legame intensissimo, in un rapporto<br />

di virtuosa simbiosi, che non prevedeva soste e tentennamenti. Credo ci completassimo<br />

perfettamente, e così almeno pensavamo. Ci sentivamo amici, ma sapevo<br />

bene che questo legame, al pari di tutti i rapporti fondamentali della vita, non<br />

poteva essere semplicemente definito in questi termini.<br />

Come Maestro mi stupiva non tanto per lo scrupolo che poneva nella lettura dei<br />

miei lavori, ma soprattutto per l’estrema lucidità con cui mi assegnava un percorso<br />

di studio, prevedendo con largo anticipo temi che, solo qualche anno più<br />

tardi, sarebbero diventati di estrema centralità nel dibattito italiano. Il lavoro<br />

intermittente tramite agenzia già nel corso del 1991, quando tale tipologia contrattuale<br />

non solo era vietata nel nostro Paese, ma ancor più era praticamente<br />

sconosciuta anche agli addetti ai lavori 20 . Lo stesso nel 1998 quando, prima<br />

ancora di aver terminato la prima vera monografia, mi indicò il tema degli incentivi<br />

alla occupazione e del diritto comunitario della concorrenza. Un lavoro che,<br />

dopo le ultime revisioni, ho terminato solo un paio di mesi fa e che, dopo l’attenta<br />

lettura di Tiziano Treu e di Mario Rusciano, ho consegnato in tipografia il giorno<br />

18 marzo. Il giorno precedente, domenica 17, con la consueta e-mail del postpartita,<br />

che anticipava l’altrettanto consueta telefonata domenicale con cui veniva<br />

commentato il risultato del <strong>Bologna</strong> e impostato il lavoro della settimana a<br />

seguire, Marco mi aveva appena inviato la prefazione che fa da apertura a questo<br />

lavoro.<br />

In uno dei dettagliatissimi e meticolosi “memo” giornalieri, che caratterizzavano<br />

il nostro metodo di lavoro ad integrazione del programma domenicale della settimana<br />

lavorativa, faxatomi da Marco il 19 marzo alle ore 10.50, qualche ora<br />

prima di uscire di casa per raggiungerci a Modena, alla mia segnalazione dell’invio<br />

in tipografia della monografia, mi ha risposto: “Ottimo!”. Questo è l’ultimo<br />

ricordo che ho di Marco come Maestro. Ho però anche una eredità. Come al solito,<br />

mi aveva già da tempo indicato la terza monografia: lo “Statuto dei lavori”,<br />

su cui mi ero impegnato con lui dal 1997, nell’ambito della nostra collaborazione<br />

con Tiziano Treu 21 e che, in forma del tutto empirica, stavamo già iniziando<br />

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Marco Biagi: l’uomo e l’opera. A Round Table held in <strong>Bologna</strong> 18 February 2003<br />

a sperimentare a <strong>Bologna</strong>, grazie al generoso sostegno della Fondazione del Monte<br />

di <strong>Bologna</strong> e Ravenna, con cui avevamo messo a punto un pionieristico meccanismo<br />

volto alla cosiddetta certificazione dei rapporti di lavoro nell’ambito delle<br />

prestazioni di assistenza domiciliare agli anziani. Questo sarà il mio impegno<br />

principale nei prossimi mesi.<br />

IV. Marco Biagi innovatore<br />

Se Federico Mancini è stato uno dei primissimi giuslavoristi moderni, Marco Biagi<br />

ne rappresenta l’ideale prosecuzione in un contesto socio-economico e istituzionale<br />

profondamente diverso. Anch’egli era infatti profondamente determinato a<br />

voltare pagina nella evoluzione della nostra materia, dando un contributo fondamentale,<br />

in particolare, al processo di comunitarizzazione del diritto del lavoro.<br />

La sfida rappresentata dalla recente riforma del Titolo V della Costituzione<br />

avrebbe sicuramente costituito un ulteriore e decisivo punto di svolta nella sua<br />

opera di rivisitazione e modernizzazione del diritto del lavoro, come dimostra uno<br />

scritto inedito – e non ancora terminato – che apparirà su uno dei prossimi numeri<br />

della sua rivista Diritto delle Relazioni Industriali 22 . Uno scritto che si segnala<br />

non tanto per lo sforzo di rettificare alcune inevitabili forzature contenute nel<br />

Libro Bianco sul mercato del lavoro dell’ottobre 2001, di cui Marco è stato il<br />

principale artefice ed estensore, quanto piuttosto per la testimonianza di europeista<br />

e federalista convinto. Come Mancini, anche Marco era convinto che società<br />

più giuste – o almeno “decenti” – non avrebbero potuto realizzarsi se non in<br />

un contesto più ampio, quale appunto quello europeo, e in una prospettiva giuridico-istituzionale<br />

di tipo federalista. E il tempo, come al solito, gli renderà ragione<br />

anche per questo profilo.<br />

Da questo punto di vista, l’impegno di Marco è consistito nel dimostrare, soprattutto<br />

negli ultimi anni, che, contrariamente a quanto si è soliti pensare, per dare<br />

corpo a una riforma complessiva del diritto del lavoro non sono certo le idee e la<br />

progettualità a mancare. “Ciò che invece ancora non è avvenuto” – scriveva<br />

recentemente 23 – “è il superamento di veti e di pregiudiziali ideologiche che rallentano<br />

inutilmente, rispetto al processo di evoluzione in atto, le riforme necessarie<br />

a evitare fenomeni di destrutturazione e deregolamentazione strisciante del<br />

mercato del lavoro: fenomeni che, a loro volta, rappresentano al tempo stesso<br />

58


Special Lectures Series<br />

causa ed effetto di una fiorente economia sommersa di dimensioni addirittura due<br />

o tre volte superiori a quella presente negli altri paesi”.<br />

E’ proprio per il desiderio di dimostrare che non mancano idee semplici ed efficaci<br />

per promuovere le necessarie riforme del diritto del lavoro che Marco aveva<br />

accettato, nel pieno del suo coinvolgimento con il Governo di centro-destra, di<br />

collaborare ancora una volta a fianco di Tiziano Treu, raccogliendo e ordinando<br />

i principali progetti di modernizzazione del mercato del lavoro che avevano caratterizzato,<br />

nell’arco degli ultimi sette anni, una intensa stagione progettuale che li<br />

ha resi, pur nella diversità dei ruoli e delle attitudini, autentici protagonisti delle<br />

politiche del lavoro del nostro Paese. “Una esperienza davvero affascinante e irripetibile”<br />

– scrive ancora Marco 24 – “connotata da importanti successi (come nel<br />

caso della Legge 24 giugno 1997, n. 196, sulla incentivazione della occupazione)”<br />

25 , “ma anche da inevitabili compromessi (come nel caso della disciplina del<br />

lavoro del socio di cooperativa) e talvolta persino da amare delusioni (come nel<br />

caso della vicenda della proposta di legge sulle 35 ore, che ha condotto alla prematura<br />

conclusione della esperienza di governo della coalizione guidata da<br />

Romano Prodi)”.<br />

Di Marco innovatore e riformista molto è stato detto e scritto, e non sempre a proposito.<br />

Qui sono i suoi numerosi lavori a parlare per lui <strong>26</strong> , e ogni parola in più<br />

sarebbe davvero ridondante. Non appena il clamore e la retorica di questi primi<br />

mesi cesseranno, sono convinto che verrà fatta piena giustizia al suo pensiero e<br />

alla sua progettazione. Le resistenze al cambiamento e alla modernizzazione –<br />

così come il falso problema della revisione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori<br />

– non potranno impedire l’emersione di quanto di buono e illuminato c’era<br />

nelle proposte di Marco.<br />

Da osservatore interno vorrei contribuire piuttosto a mettere in luce un aspetto<br />

del carattere innovatore di Marco: l’estrema facilità di dialogo, che lo portava a<br />

entrare subito in sintonia con le persone più disparate, a partire dal Principe di<br />

turno sino al più giovane dei nostri studenti modenesi. Marco era innovatore a<br />

partire dallo stile: elegante, certo, ma anche semplice, diretto, immediato, senza<br />

barriere e preclusioni mentali o culturali. Lo ricordo ancora nelle pause delle sue<br />

lezioni durante le cicliche Summer Schools del Sinnea International, seduto su un<br />

muretto o su un tavolo, mangiare un panino con attorno i suoi studenti. Questa<br />

sì che per me è stata una vera innovazione. Il terreno ideale per creare un soda-<br />

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Marco Biagi: l’uomo e l’opera. A Round Table held in <strong>Bologna</strong> 18 February 2003<br />

lizio umano, prima ancora che professionale, e poi un gruppo nel vero senso del<br />

termine, al di là di e ancor prima di ogni logica accademica o di Scuola.<br />

Con il tempo ho anche imparato ad apprezzare la semplicità di linguaggio e la sua<br />

naturale capacità di sintesi. Due doti fondamentali per governare i processi di<br />

innovazione delle tecniche regolatorie per i mercati del lavoro del XXI secolo e<br />

che pur tuttavia, nelle prime fasi della nostra collaborazione, avevo largamente<br />

sottovalutato. Pensavo fermamente infatti – come una certa sovrabbondanza di<br />

argomentazione ancora oggi lascia trasparire dai miei scritti – che al giurista si<br />

addicesse necessariamente uno stile complesso e particolareggiato, tale in ogni<br />

caso da mostrare al lettore nel dettaglio, anche mediante un abbondante utilizzo<br />

di note bibliografiche, i molteplici percorsi di lettura e le faticose riflessioni retrostanti<br />

a ogni singola frase, ad ogni singola idea. Mi sbagliavo. Lo stile essenziale<br />

e limpido di Marco era espressione di una concezione illuminata dell’intellettuale,<br />

quale tecnico al servizio della società. Marco era vero innovatore perché andava<br />

dritto verso la soluzione dei problemi. L’apparato giuridico-concettuale non<br />

era per lui un freno, un ostacolo al dialogo, ma solo un punto di partenza obbligato<br />

nella sua opera di giurista impegnato “a progetto”.<br />

Come innovatore Marco è stato innanzitutto, prima ancora che un riformista progettuale,<br />

un grande comunicatore e un grande mediatore. La sua facilità di dialogo<br />

con i protagonisti politici e delle relazioni industriali nasceva proprio dalla<br />

immediatezza e semplicità di linguaggio, dalla umiltà con cui, pur da giurista e<br />

consulente navigato, ancora oggi si accostava all’interlocutore di turno o al lettore,<br />

vuoi si trattasse di scrivere un Editoriale ovvero un saggio di dottrina vuoi si<br />

trattasse di pervenire alla stesura di una bozza di legge o di accordo collettivo.<br />

Complessi progetti di riforma e sofisticate proposte legislative venivano mirabilmente<br />

rese comprensibili anche ai non addetti ai lavori. Per questo Marco divenne,<br />

in poco tempo, una delle colonne de Il Sole 24 Ore. Alla proverbiale affidabilità<br />

e capacità di prevedere gli argomenti che di lì a poco sarebbero stati al centro<br />

del dibattito politico e sindacale, Marco sapeva anche unire uno stile sobrio e<br />

diretto, che aiutava a comprendere i problemi e a dialogare. Artificiose disquisizioni<br />

concettuali e analitiche ricostruzioni storico-giuridiche non facevano per lui<br />

e per il suo modo di agire pragmatico ed essenziale.<br />

E’ per questo che nel 1999 Marco venne chiamato a Milano per lanciare un coraggioso<br />

esperimento riformatore, poi confluito nel noto Patto “Milano Lavoro”. Era<br />

60


Special Lectures Series<br />

stato chiamato perché si faceva capire e non si tirava mai indietro, sempre pronto<br />

a sperimentare e innovare. E’ anche per questo che Marco è stato uno dei pochi<br />

giuslavoristi italiani a comunicare agevolmente non solo con i colleghi stranieri<br />

ma anche con le più prestigiose istituzioni europee e internazionali:<br />

dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro alla Commissione Europea, dalla<br />

Fondazione Europea di Dublino all’Aspen Institute.<br />

Innovatore era anche nella gestione delle sue Riviste (Diritto delle Relazioni<br />

Industriali e, più recentemente The International Journal of Comparative Labour<br />

Law and Industrial Relations), e delle sue Associazioni (dal 1994 l’Associazione<br />

Italiana di Studio delle Relazioni Industriali e, dal 2000, anche ADAPT, una associazione<br />

nata dal nulla e che in poco tempo vide la adesione di numerose imprese<br />

e di tutte le principali associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori, con la<br />

sola eccezione della CGIL). Ma prima ancora nella gestione del gruppo: nella sua<br />

straordinaria capacità di dare un obiettivo preciso a tutti e di far sentire importanti<br />

ragazzi giovanissimi che altro non chiedono se non un sogno e un ideale per<br />

cui vivere. Marco non era solo un mentore, ma da eccezionale maieuta tirava fuori<br />

il meglio di ognuno di noi.<br />

Nonostante alcune impressioni che vengono dall’esterno 27 , e che pure in parte<br />

possono essere giustificate, Marco non era certo l’artefice di un progetto di rivisitazione<br />

del diritto del lavoro italiano da realizzare “nel chiuso di un Ministero,<br />

senza aprire un dibattito che coinvolga gli addetti ai lavori”. Lavorando gomito<br />

a gomito con lui posso testimoniare una energia inesauribile, frutto di una vera e<br />

propria passione o vocazione, che, dalla sua <strong>Bologna</strong>, lo portava instancabilmente<br />

a viaggiare, lungo la direttrice Roma-Modena-Milano-Bruxelles, per tessere con<br />

certosina pazienza una rete di consensi attorno al progetto di modernizzazione del<br />

diritto del lavoro, e questo senza mai dimenticare un appuntamento accademico<br />

e l’impegno didattico. Oltre a essere presente nella vita di Facoltà, Marco era uno<br />

di quei giuristi che non esita a girare per convegni e che non ha mai mancato a<br />

un appuntamento nazionale o internazionale di rilievo. Il suo progetto riformatore<br />

nasceva dunque da un intenso – anche se non sempre fecondo – dialogo con<br />

tutti gli addetti ai lavori. La composizione dell’AISRI e di ADAPT sono una chiara<br />

dimostrazione di tutto ciò.<br />

Nessun consenso tacito, dunque, tra “consigliere del principe” e “principe”, volto<br />

a tenere alto il tono se non l’obiettivo delle riforme, fosse solo per il gusto della<br />

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Marco Biagi: l’uomo e l’opera. A Round Table held in <strong>Bologna</strong> 18 February 2003<br />

provocazione intellettuale, per l’ebbrezza del potere o anche per l’innegabile<br />

ritorno di immagine, come pure molti hanno detto e pensato. Perché Marco, come<br />

scriveva di Federico Mancini pensando anche a se stesso, non era il “giurista del<br />

principe”, ma, come detto, “un giurista di progetto” 28 . E’ sufficiente confrontare<br />

il Libro Bianco con l’immensa progettazione elaborata nell’arco della collaborazione<br />

con il Governo Prodi 29 per rendersi conto della estrema coerenza di Marco.<br />

Come Federico Mancini, anche Marco Biagi ha messo la sua spada al servizio di<br />

progetti in cui credeva, giusti o sbagliati che fossero, e non tanto di una persona<br />

e tantomeno di un partito politico o di un Governo.<br />

Anche Marco ha dunque sempre lavorato “a progetto” – facilitato in questo dalla<br />

estrema fragilità degli interlocutori istituzionali e politici che di volta in volta si<br />

rivolgevano a lui – senza mai cedere alla tentazione di compiacere il potente di<br />

turno. Mai, nell’opera di elaborazione progettuale, abbiamo subito un condizionamento.<br />

E se un elaborato non funzionava se ne preparava subito un altro, con<br />

la solita pazienza, animati da una passione e da un gioioso divertimento che non<br />

ho trovato in nessun altro ambiente di lavoro.<br />

Anche in Università Marco aveva una predilezione particolare per le cose concrete<br />

e innovative: la responsabilità del servizio dell’Orientamento al lavoro di<br />

Ateneo è stata la sua collocazione naturale. L’8 aprile scorso l’Università di<br />

Modena e Reggio Emilia e tutte le parti sociali locali hanno formalmente sottoscritto<br />

un accordo sulla piena occupabilità, che Marco aveva messo a punto con<br />

il Direttore Amministrativo e il Rettore proprio nel pomeriggio del 19 marzo, poco<br />

prima di fare ritorno in Facoltà, per una delle periodiche riunioni organizzative<br />

in cui venivano discussi i programmi della settimana, e di lì recarci tutti insieme<br />

alla stazione dei treni per fare ritorno alle nostre case di <strong>Bologna</strong>.<br />

V. Marco Biagi moderno<br />

Progettare per modernizzare, questo era l’obiettivo di Marco 30 . Pur senza abdicare<br />

al rigore scientifico, Marco non è mai stato ossessionato dalla ricerca della<br />

perfezione espositiva. Ciò che invece lo ossessionava, in forme per certi versi<br />

maniacali, era l’anelito verso la tempestività, la cura del dettaglio, la bontà del<br />

progetto complessivo. La sua modernità sta tutta nella sua essenzialità e concretezza.<br />

Marco non amava l’avvitamento su se stessi, né tantomeno si compiaceva<br />

62


Special Lectures Series<br />

di ciò che era stato sino ad allora realizzato, che pure era tanto. Mai una pausa,<br />

mai un festa, mai un meritato riposo. La sua perenne insoddisfazione a volte ci<br />

irritava. Ma era questo il suo modo di essere moderno: aveva cioè accolto fino in<br />

fondo la sfida che ci lancia ogni giorno la freneticità e irrazionalità dei tempi<br />

moderni.<br />

Marco non governava pienamente la tecnologia e la rete, ma ne aveva ben presto<br />

intuito le enormi potenzialità. Era lui a indicarci l’utilizzo più efficace e a guidare<br />

il ritmo di lavoro mio e del gruppo. L’inteso rapporto con i giovani, il quotidiano<br />

confronto con gli studenti americani del Dickinson, l’amore per i due figli,<br />

lo rendevano uomo particolarmente attento ai cambiamenti sociali e magistrale<br />

interprete degli sviluppi regolatori dei processi socio-economici in atto. La sua<br />

predilezione per le soft-laws e il suo entusiasmo per l’Europa e il federalismo sono<br />

chiara indicazione di una rinnovata concezione del diritto quale tecnica di regolazione<br />

sociale e di gestione del conflitto in società post-moderne e complesse.<br />

Come Mancini anche Marco era precursore della attuali tendenze giuslavoristiche<br />

e cercava con una umiltà straordinaria di mettere la sua visione del futuro al servizio<br />

di un progetto. Sia chiaro: Marco, come tutti noi, era un concentrato di passioni<br />

e di impulsi buoni e cattivi, e forse era anche ambizioso, ma è certo che<br />

applicasse con vera umiltà il metodo che aveva elaborato e che ci aveva trasmesso.<br />

La meticolosità con cui ancora oggi accumulava il materiale di studio, e progettava<br />

ogni progetto, anche il più piccolo e insignificante, dimostrano ai miei<br />

occhi un atteggiamento tipico del giovane studioso che avverte pienamente i limiti<br />

del proprio impegno scientifico e cerca di porvi rimedio. Non so dire se fosse<br />

vero, ma spesso mi confidava l’intenzione di isolarsi nella sua Pianoro e di tornare<br />

come ai vecchi tempi a fare lo studioso a tempo pieno.<br />

E’ ancora una volta la sua modernità a spiegare la difficoltà di dialogo con parte<br />

della dottrina e, soprattutto, con la CGIL. Marco si rammaricava della sostanza,<br />

più che dei toni, spesso violentemente ingiustificati, come dimostra la scelta della<br />

CGIL di non partecipare più ad alcuna iniziativa convegnistica da lui organizzata<br />

e, ancor prima, l’uscita improvvisa della stessa CGIL da una sede di dibattito<br />

scientifico come l’Associazione Italiana di Studio delle Relazioni Industriali. Non<br />

sta a me dire chi tra Marco e i suoi oppositori avesse ragione; e apprezzo anche<br />

molte delle ragioni storiche e delle argomentazioni politiche che pongono la CGIL<br />

ad opporsi al cambiamento. (Anche se ciò non era vero, Marco spesso mi defini-<br />

63


Marco Biagi: l’uomo e l’opera. A Round Table held in <strong>Bologna</strong> 18 February 2003<br />

va il suo “collaboratore di sinistra”). So però che il rifiuto del confronto, l’antagonismo<br />

a prescindere, la mancanza di rispetto per l’avversario sono l’antitesi non<br />

solo della modernità, ma anche di quei valori “naturali” che fondano una società<br />

democratica e pluralista e che ci aiutano a rendere un poco più che “decenti”<br />

le diverse forme possibili di convivenza tra gli uomini.<br />

Le attuali frontiere della modernità erano per lui lo “Statuto dei lavori”, la riforma<br />

in senso federale dello Stato, le tecniche di fidelizzazione dei lavoratori.<br />

Rispettivamente a me, a Riccardo Salomone e ad Alberto Russo passa ora il testimone<br />

di quelli che, da tempo, ci aveva indicati come i nostri prossimi impegni di<br />

riflessione scientifica al servizio del progetto. A Carlotta Serra erano invece stati<br />

affidati, al momento, alcuni studi preliminari sulla nuova disciplina del collocamento,<br />

soprattutto con riferimento al lavoro agricolo, mentre a Olga Rymkevitch,<br />

accanto a un tentativo di ricostruzione della recentissima codificazione russa in<br />

materia di lavoro, era stato affidato lo studio delle politiche di immigrazione in<br />

Europa, altro tema di particolare rilievo per lo sviluppo di una società oramai<br />

multietnica.<br />

VI. Marco Biagi protagonista<br />

Anche Marco è stato dunque un protagonista dei nostri tempi, non certo uno spettatore.<br />

In un arco di tempo relativamente breve ha compiuto opere di impressionante<br />

valore e importanza. Lo capiremo meglio nei prossimi anni, quando la sua<br />

progettazione sarà adeguatamente valorizzata, anche se già molti, in taluni casi<br />

con vistose retromarce, hanno puntualmente sottolineato il suo intenso e fecondo<br />

dialogo con le istituzioni e le autorità politiche a ogni livello: comunitario, nazionale<br />

e locale.<br />

Quello che a me preme sottolineare è che Marco Biagi è stato protagonista della<br />

nostra vita. L’incontro con lui ci ha profondamente cambiati e ha lasciato un seme<br />

che presto germoglierà. Sicuramente continuare in questa opera di “protagonisti”,<br />

ognuno con le proprie inclinazioni e specificità di impegno, è la risposta che dobbiamo<br />

dare alla sua scomparsa, e questo a <strong>maggio</strong>r ragione per la brutalità e assurdità<br />

con cui una vita ancora giovane è stata strappata all’affetto dei suoi cari e dei<br />

suoi allievi. Come ebbe a scrivere nel ricordo di Federico Mancini 31 , “certo è questo<br />

che il Maestro si sarebbe aspettato da tutti noi”.<br />

64


Special Lectures Series<br />

Non solo. Credo che la “cometa” Marco Biagi debba aiutarci a capire anche altro,<br />

ben oltre il diritto e la modernizzazione del diritto del lavoro in particolare. Spero<br />

davvero che il suo sacrificio non sia stato inutile per noi, come persone, come<br />

uomini, troppo spesso condizionati da miserie ed egoismi che non ci aiutano ad<br />

apprezzare fino in fondo la bellezza delle vita e delle persone che ci circondano e<br />

che ci vogliono bene. Vorrei davvero che la malinconia che oggi colora tutte le<br />

nostre espressioni del volto si rigenerasse e trasformasse in un impegno concreto,<br />

umile, a rendere ancora una volta un poco più decente la nostra vita e quella di<br />

quanti ci accompagnano in questo misterioso, troppo spesso crudele, percorso.<br />

65


Marco Biagi: l’uomo e l’opera. A Round Table held in <strong>Bologna</strong> 18 February 2003<br />

Note:<br />

1 Ebbi in proposito a scambiare con lo stesso Marco alcune battute – che allora mi apparvero<br />

scherzose – in occasione della preparazione del suo scritto in ricordo di Federico<br />

Mancini, presentato nel marzo 2001 presso la Hopkins (cfr. M. Biagi, Federico Mancini: un<br />

giurista ‘progettuale’, The Johns Hopkins University <strong>Bologna</strong> <strong>Center</strong>, n. 8/2001, qui p. 3).<br />

A suo dire, peraltro, ogni forma di commemorazione mi sarebbe stata preclusa per limiti di<br />

età stante la sua ferma intenzione - come allora mi disse, e come più volte mi ribadì in<br />

seguito - di occuparsi in prima persona del nostro Centro Studi modenese ancora per i<br />

prossimi vent’anni e se possibile anche più.<br />

2 La bicicletta: un altro rimpianto. E’ stata quella della bicicletta una passione che avevamo<br />

in comune, ma mai abbiamo pedalato assieme.<br />

3 Apparso sul n. 14/2002 de L’Espresso.<br />

4 Proprio a Massimo D’Antona è peraltro legato uno dei più bei ricordi che ho di Marco.<br />

Ancora impressa nella mia memoria è la semplicità e discrezione con cui Marco – durante<br />

una delle sessioni del VI congresso europeo della Associazione internazionale di Diritto del<br />

lavoro e della Sicurezza sociale (Varsavia, 13-17 settembre 1999), al di fuori di ogni protocollo<br />

e commemorazione ufficiale (che non era stata prevista in quella circostanza) – seduto<br />

al centro del tavolo dei relatori, con a fianco Paul Davies a sinistra e Alain Supiot a<br />

destra, chiese improvvisamente ai partecipanti un minuto di raccoglimento per ricordare<br />

Massimo D’Antona. Un gesto spontaneo e del tutto gratuito, davanti a una platea composta<br />

di soli stranieri (con la sola eccezione di Matteo Dell’Olio e di un suo giovane collaboratore)<br />

per i quali si era già spenta l’eco del nome e della storia di D’Antona.<br />

5 M. Pedrazzoli, Marco Biagi e le riforme possibili: l’ostinazione del progetto, in Riv. It.<br />

Dir. Lav., n. 2/2002.<br />

6 Come ha perfettamente intuito Marcello Pedrazzoli, op. cit.<br />

7 J. Rawls, Una teoria della giustizia, Feltrinelli, 1984.<br />

66


Special Lectures Series<br />

8 M. Biagi, Federico Mancini: un giurista ‘progettuale’, cit.<br />

9 E’ questa la scansione dei paragrafi attorno a cui era stato costruito il ricordo di Mancini.<br />

Cfr. ancora M. Biagi, Federico Mancini: un giurista ‘progettuale’, cit.<br />

10 Cfr., in particolare, M. Biagi, Rappresentanza e democrazia in azienda. Profili di diritto<br />

sindacale comparato, Maggioli, 1990, qui p. 3.<br />

11 M. Biagi, Federico Mancini: un giurista ‘progettuale’, cit., 5.<br />

12 M. Biagi, Il nuovo lavoro a termine. Commentario al D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368,<br />

Giuffrè, 2002.<br />

13 R. Sacco, Introduzione al metodo comparato, Giappichelli, 1990, 18<br />

14 Cfr., in proposito, T. Treu, L’internazionalizzazione dei mercati: problemi di diritto del<br />

lavoro e metodo comparato, in Studi in onore di R. Sacco, Giuffrè, 1994, vol. I, p. 1117,<br />

che ha rappresentato una sorta di manifesto culturale per quanti sono stati impegnati nelle<br />

attività del Centro Studi modenese di Marco.<br />

15 Sviluppare la competitività e la giustizia sociale: le relazioni fra istituzioni e parti<br />

sociali, Atti dell’XI Congresso Mondiale dell’Associazione Internazionale di Relazioni<br />

Industriali, <strong>Bologna</strong> 22-<strong>26</strong> settembre 1998 (Sinnea, <strong>Bologna</strong>, 1998).<br />

16 Cfr. la Prefazione a M. Biagi, Rappresentanza e democrazia in azienda ecc., cit.<br />

17 Un elenco si trova al sito internet del Centro Studi modenese:<br />

http://www.economia.unimo.it/Centro_Studi_Intern/home.html<br />

18 Così, giustamente, R. Sacco, Introduzione al metodo comparato, cit., 23.<br />

19 M. Biagi, Federico Mancini: un giurista ‘progettuale’, cit., 4.<br />

20 Non lo aveva invece affascinato il mio primo studio monografico, quello su Problemi e<br />

prospettive in tema di risoluzione e recesso nel contratto collettivo di lavoro (pubblicato<br />

sulla Collana del Dipartimento di Economia Aziendale dell’Università degli Studi di<br />

Modena, n. 22/1992) iniziato a cavallo tra il 1990 e il 1991 sotto la guida di Giorgio De<br />

Nova. Un tema a me particolarnmente caro, ma da Marco considerato troppo tradizionale<br />

e circoscritto per una prima vera monografia.<br />

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Marco Biagi: l’uomo e l’opera. A Round Table held in <strong>Bologna</strong> 18 February 2003<br />

21 Cfr. M. Biagi, Progettare per modernizzare, in T. Treu, Politiche del lavoro.<br />

Insegnamenti di un decennio, il Mulino, 2001, <strong>26</strong>9-280 e anche M. Biagi, M. Tiraboschi,<br />

Le proposte legislative in materia di lavoro parasubordinato: tipizzazione di un tertium<br />

genus o codificazione di uno Statuto dei lavori?, in Lav. Dir., 1999, n. 4.<br />

22 M. Biagi, Il lavoro nella riforma costituzionale, in corso di pubblicazione sul n. 2/2002<br />

di Diritto delle Relazioni Industriali.<br />

23 Cfr., per una sintesi, M. Biagi, Progettare per modernizzare, cit., 270.<br />

24 Cfr., per una sintesi, M. Biagi, Progettare per modernizzare, cit., 271.<br />

25 Ampia testimonianza di questo “successo” si trova nel “commentario dall’interno” della<br />

Legge n. 196/1997 dal titolo Mercati e rapporti di lavoro, curato da M. Biagi per i tipi di<br />

Giuffrè (Milano, 1997). Anche questa una vera e propria innovazione di metodo nel panorama<br />

scientifico italiano e non solo, visto che – come si legge nella prefazione firmata dallo<br />

stesso Marco Biagi – “per la prima volta una legge viene valutata e discussa da autori che<br />

appartengono all’Amministrazione che ha provveduto anche al lavoro preparatorio della<br />

stessa. Non solo, ma gli autori sono al tempo stesso gli operatori del Ministero del Lavoro e<br />

della Previdenza Sociale impegnati nell’atytuazione e nella gestione della legge medesima”.<br />

<strong>26</strong> Nel momento in cui sto scrivendo questo ricordo, l’idea su stiamo lavorando con la<br />

famiglia e il generoso sostegno del “suo” editore, Gaetano Giuffrè, è quella di affidare a<br />

una istituenda Fondazione “Marco Biagi” il compito di raccogliere, con il sostegno di<br />

AISRI, AIDLASS, Istituto Cicu di <strong>Bologna</strong> e Centro Studi Internazionali e Comparati<br />

“Marco Biagi” dell’Università di Modena e Reggio Emilia, la raccolta di tutti gli scritti di<br />

Marco, dimodo che siano essi a parlare per lui.<br />

27 Cfr., per esempio. F. Carinci, Dal Libro Bianco alla Legge delega, in Dir. Prat. Lav., n.<br />

11/2002, 732.<br />

28 M. Biagi, Federico Mancini: un giurista “progettuale”, cit., 9.<br />

29 Vedila in T. Treu, Politiche del lavoro. Insegnamenti di un decennio, cit., <strong>26</strong>9-395.<br />

30 Ancora M. Biagi, Progettare per modernizzare, cit.<br />

31 M. Biagi, Federico Mancini: un giurista “progettuale”, cit., 11.


Special Lectures Series<br />

La flessibilità del mercato del lavoro<br />

nel pensiero di Marco Biagi<br />

Stefano Zamagni<br />

Professore Ordinario di Economia<br />

Università degli Studi di <strong>Bologna</strong><br />

Professore Associato di Economia Internazionale<br />

The Johns Hopkins University SAIS <strong>Bologna</strong> <strong>Center</strong><br />

Molto è stato detto e scritto – non sempre, in verità, in maniera accurata e non<br />

sempre in modo non strumentale – sul sacrificio di Marco Biagi, uomo mite<br />

e giusto, studioso raffinato e creativo, padre e marito generoso e affabile.<br />

Preferisco allora utilizzare queste poche pagine per avanzare una sorta di interpretazione<br />

della vicenda umana di Marco e del suo drammatico epilogo. Mi<br />

preme, infatti, cercare di estrarre da quanto è accaduto come un messaggio e un<br />

ammonimento. Forse è questo il modo più conveniente di riempire il vuoto che<br />

lascia la scomparsa di un amico fedele e di uno stimato collega.<br />

Prima, però, un brevissimo ricordo personale. Incontrai per la prima volta Marco<br />

esattamente venti anni fa alla Johns Hopkins University, l’Università americana<br />

che ha sede a <strong>Bologna</strong>, dove io insegnavo già da qualche anno e dove Marco continuò<br />

ad insegnare con regolarità fino al corrente anno accademico il suo corso di<br />

“Relazioni industriali in prospettiva europea”. Da allora frequenti e via via crescenti<br />

nel tempo sono stati i contatti personali, a livello non solo scientifico ma<br />

anche familiare. L’immagine più forte che ho di Marco è la passione con cui portava<br />

avanti i suoi progetti, il suo sentimento profondo di questo nostro tempo e<br />

delle sue valenze. Il suo insegnamento universitario non si limitava a trasmettere<br />

nozioni e strumentazioni tecniche, ma riusciva a veicolare valori etici forti, quelli<br />

che coinvolgono la persona nella sua interezza. Un habitus questo che gli derivava<br />

dagli anni trascorsi in Africa, nel periodo della giovinezza, in qualità di<br />

volontario durante i periodi estivi.<br />

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Marco Biagi: l’uomo e l’opera. A Round Table held in <strong>Bologna</strong> 18 February 2003<br />

Un ultimo ricordo, importante – credo – per fare luce sulle interpretazioni e sui<br />

commenti di questi mesi. In una di quelle conversazioni che si fanno quando due<br />

amici si incontrano sul treno, la settimana precedente il barbaro assassinio, Marco<br />

mi diceva che era stato un errore aver inserito nel disegno di legge delega sulla<br />

riforma del mercato del lavoro la cancellazione dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori.<br />

Altre questioni di prioritaria importanza – mi illustrava – avrebbero dovuto<br />

trovare una soluzione prima di arrivare a discutere della revisione dell’art.18.<br />

Si tratta della riforma del collocamento, della partecipazione dei lavoratori alla<br />

vita delle imprese, della flessibilità in entrata nel mercato del lavoro, della regolazione<br />

delle collaborazioni. Una posizione questa che Marco espresse in modo<br />

assai fermo in uno dei suoi ultimi scritti dove si legge: “Queste e altre sono le priorità<br />

[quelle sopra indicate]. Un governo che dichiara di operare nell’arco di una<br />

legislatura non dovrebbe temere di affrontare i problemi uno alla volta”.<br />

Quali i messaggi che la vicenda umana e scientifica di Biagi ci invia con forza?<br />

Due, in particolare, meritano la nostra speciale attenzione. Il primo è che il<br />

nostro è un paese nel quale stenta ancora ad affermarsi e ad acquisire un suo<br />

proprio ruolo la figura dell’intellettuale della società civile, come a me piace<br />

chiamarlo. E’ come se fossimo costretti a scegliere tra la figura dell’intellettuale-idéologue<br />

– un soggetto che pone la propria capacità al servizio di una qualche<br />

ortodossia; in buona sostanza, la figura dell’intellettuale organico in senso<br />

gramsciano – e quella dell’intellettuale–esperto che studia con competenza tecnica<br />

la società di cui è parte, ma da essa se ne tiene a debita distanza, proprio<br />

come l’astronomo osserva e analizza il firmamento. L’intellettuale della società<br />

civile, invece, è un soggetto che, pur non facendo vita politica attiva e pur non<br />

facendo vita di partito, si adopera fattivamente perché qualcosa di rilevante<br />

abbia a mutare nell’assetto istituzionale del proprio paese nella direzione del<br />

bene comune. Marco apparteneva a questa pattuglia di intellettuali ed è stato<br />

eliminato, come parecchi altri prima di lui, dal terrorismo cosiddetto rivoluzionario.<br />

Perché? Contrariamente a quanto molti sono inclini a pensare, il terrorista<br />

non è un folle, né una scheggia impazzita. Al contrario, è un soggetto freddamente<br />

razionale – anche se di razionalità inumana si tratta – che ha bene compreso<br />

come l’intellettuale della società civile sia indispensabile per la formazione<br />

di un’opinione pubblica libera ed esigente e come quest’ultima sia necessaria<br />

perché una democrazia autentica possa espandersi ed irrobustirsi. Ecco perché<br />

si colpiscono proprio questi tipi di persone: si pensi a Vittorio Bachelet, Roberto<br />

Ruffilli e a quelli che ricorderò tra breve. Il fatto è che chi dispregia la demo-<br />

70


Special Lectures Series<br />

crazia ed i suoi presupposti di valore non può che odiare l'intellettuale della<br />

società civile.<br />

L’altro messaggio ci viene dalla seguente considerazione. Cosa hanno in comune<br />

Ezio Tarantelli, Gino Giugni – grazie a Dio, solamente ferito – Massimo D’Antona<br />

e ora Marco Biagi? Che tutti e quattro si erano occupati, in modi e tempi diversi,<br />

di riforme del mercato del lavoro. Si tratta di qualcosa di casuale? Non lo credo<br />

proprio. La verità è che, ancora troppo radicata in certi segmenti della società italiana,<br />

è l’idea, di ascendenza vetero-marxiana, secondo cui il rapporto di lavoro<br />

capitalistico non può essere riformato ma solo radicalmente superato. Non solo,<br />

ma ogni tentativo di rendere questo rapporto più umano, cioè meno esposto a<br />

forme di sfruttamento e di alienazione, va contrastato con ogni mezzo perché ciò<br />

ritarderebbe l’avvento della “nuova società”, quella della palingenesi definitiva.<br />

Non è dunque per caso che il nuovo terrorismo colpisca chi si occupa di avanzare<br />

proposte, più o meno risolutive, di intervento sul rapporto di lavoro e non<br />

anche su altri pezzi importanti del welfare, come la sanità, la scuola, l’assistenza<br />

e così via. E' su questo punto che intendo, ora, soffermare l'attenzione.<br />

Pur non costituendo un fenomeno nuovo nella storia del mondo occidentale, la<br />

disoccupazione ha assunto oggi cause e caratteri che non sono ascrivibili a quelli<br />

precedenti. La dimensione quantitativa del problema, così come la sua persistenza<br />

nel tempo fanno piuttosto pensare a fattori di natura strutturale, legati alle<br />

caratteristiche del passaggio dalla società fordista a quella post-fordista. Un<br />

punto va fissato prima di ogni altro. L’estromissione dall’attività lavorativa per<br />

lunghi periodi di tempo costituisce non solo l’evidenza di una perdita di produzione,<br />

ma un vero e proprio razionamento della libertà. Il disoccupato di lungo<br />

periodo, infatti, soffre, sotto il profilo psicologico, una sofferenza che nulla ha a<br />

che vedere col minor reddito, ma con la stima di sé, con l’autonomia personale.<br />

Ecco perché non possiamo porre sullo stesso piano la disponibilità di un reddito<br />

da lavoro e quella di un reddito da trasferimenti, sia pur di eguale ammontare: è<br />

la dignità della persona che fa la differenza. Ma v’è dell’altro.<br />

La disoccupazione tende a generare una perdita grave di abilità cognitive nella<br />

persona, dal momento che, se è vero che “si impara facendo”, è ancora più vero<br />

che “si disimpara non facendo”. In un’epoca come l’attuale, caratterizzata dalla<br />

centralità della conoscenza come forza motrice dello sviluppo, la relazione tra<br />

71


Marco Biagi: l’uomo e l’opera. A Round Table held in <strong>Bologna</strong> 18 February 2003<br />

capacità tecnologiche e attività lavorativa è di tipo biunivoco: nel processo di<br />

lavoro non solo si applicano le capacità tecnologiche già acquisite, ma si realizza<br />

una creazione di ulteriori capacità. E’ per questo che tenere a lungo fuori dell’attività<br />

lavorativa una persona significa negarle—come si esprime A. Sen—la sua<br />

fecondità. Se è vero—come Marco Biagi sempre sosteneva—che è attraverso il<br />

lavoro, inteso come opera, che l’essere umano impara a conoscere se stesso e dunque<br />

a realizzarsi, allora la “buona società” in cui vivere è quella che non umilia i<br />

suoi cittadini distribuendo loro assegni o provvidenze varie e restringendo, al<br />

tempo stesso, l’occupabilità ed, in ultima istanza, i loro spazi di libertà. E’ questo<br />

l’asse portante dell’intera riflessione di Marco Biagi sul tema della flessibilità<br />

del lavoro: si tratta di rendere conveniente, operando sui fronti sia dell’intervento<br />

normativo sia delle politiche attive del lavoro, l’occupazione rispetto all’assistenza<br />

(make work pay), e di facilitare la transizione dalla disoccupazione assistita<br />

all’occupazione (welfare to work). Detto in altro modo, l’obiettivo da perseguire<br />

è di massimizzare l’occupazione, anziché assistere, magari generosamente,<br />

coloro che vengono allontanati dal circuito produttivo a causa di un assetto istituzionale<br />

tutto centrato sulla difesa del posto fisso di lavoro.<br />

Invero, il dibattito, oggi acceso più che mai, è reso sterile dallo scontro tra due<br />

visioni contrapposte. Per un verso, quella di chi reclama la flessibilità totale e<br />

generale del mercato del lavoro al fine di assicurare la piena occupazione; per l’altro,<br />

quella di chi insiste sul mantenimento delle garanzie lavoristiche esistenti per<br />

scongiurare il rischio della precarizzazione. Entrambe le visioni contengono, ciascuna,<br />

una mezza verità. Infatti, è bensì vero che con una flessibilizzazione selvaggia<br />

si riuscirebbe ad eliminare la disoccupazione – c’è sempre una produttività<br />

marginale del lavoro tale da comandare un saggio di salario positivo, non<br />

importa quanto basso – ma a quale prezzo? Quello di rendere il lavoro un’attività<br />

“indecente” nel senso di A. Margalit. D’altro canto, il mantenimento delle<br />

garanzie attuali, in un contesto che è profondamente diverso da quello nel quale<br />

quelle garanzie vennero introdotte, scongiurerebbe sicuramente il rischio dell’indecenza,<br />

ma al costo di lasciare ai margini della società percentuali intollerabilmente<br />

alte di persone che non trovano il modo di inserirsi nel mondo del lavoro<br />

con un’occupazione retribuita, la quale è la vera espressione di una reale cittadinanza.<br />

Marco Biagi ha sempre creduto, e la sua vasta produzione scientifica ne è prova<br />

eloquente, che la somma di due mezze verità non fa una verità intera. Per questo<br />

72


Special Lectures Series<br />

si è coraggiosamente battuto, all’interno sia della comunità scientifica sia della<br />

società civile, per un allargamento dell’orizzonte di discorso sul tema delle relazioni<br />

industriali. L’obiettivo perseguito è sempre stato quello di individuare il<br />

bilanciamento necessario tra le esigenze organizzative dell’impresa e la tutela del<br />

lavoro, quest’ultima intesa non solamente come prerequisito per la coesione<br />

sociale, ma anche e soprattutto come tutela dell’uomo che lavora in quanto persona.<br />

(Mi piace qui ricordare che tale posizione si trova già chiaramente esposta<br />

in uno dei primissimi articoli scientifici di Marco Biagi: “Il rapporto di lavoro<br />

nelle cooperative di produzione e lavoro”, in G. Bucci e A. Cerrai (a cura di), La<br />

riforma della legislazione sulle cooperative, Milano, Giuffrè, 1979). Il frutto della<br />

sua lunga riflessione è ora contenuto e condensato nel Libro Bianco sul Lavoro,<br />

approvato con legge delega del 5 febbraio 2003, circa un anno dopo il suo assassinio.<br />

Non poche e neppure generose sono state le critiche avanzate nei confronti di questo<br />

Libro curato da Marco Biagi. Considererò, in breve, quelle che a me paiono le<br />

più rilevanti. Una prima di esse sostiene che l’individualizzazione dei rapporti di<br />

lavoro, conseguente all’entrata in vigore della legge, finirebbe con l’esercitare<br />

effetti negativi sulla produttività e quindi sulla competitività delle imprese. Come<br />

scrive L. Gallino (La Repubblica, 8.2.2003), ciò avverrebbe perché il centro di<br />

controllo dell’impresa non riuscirebbe più a controllare segmenti essenziali del<br />

processo produttivo. In tal senso, la deregolazione del mercato del lavoro, internalizzata<br />

nell’impresa, porterebbe alla regolazione dell’intera organizzazione. Ciò<br />

può essere vero, e in taluni casi lo è senz’altro, ma ha ben poco a che vedere con<br />

le proposte di riforma del mercato del lavoro contenute nel Libro Bianco. In<br />

primo luogo, perché il fenomeno indicato ha cominciato a manifestarsi già da<br />

parecchi anni, da quando la globalizzazione ha reso conveniente la destrutturazione<br />

dei processi produttivi, imponendo, di fatto, l’organizzazione reticolare del<br />

lavoro d’impresa. Secondariamente, perché le proposte di Biagi non vanno affatto<br />

nella direzione di una deregolazione. Al contrario, la riforma intende intervenire<br />

su un mercato del lavoro già assai articolato (e caotico) per disciplinarlo,<br />

regolamentarlo, regolarizzarlo; in sostanza, per porre ordine in una molteplicità<br />

di lavori diversi da quello tipico, una molteplicità già in essere da tempo. Si può<br />

certamente pensare che i modi di regolazione proposti non siano quelli più efficaci<br />

e dunque criticarli. Quello che non si può dire è che la riforma persegua l’obiettivo<br />

della deregulation. Purtroppo, la verità è un'altra. Ed è che mentre<br />

l'Italia occupa i primi posti nelle graduatorie OCSE relative al grado di rigidità<br />

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Marco Biagi: l’uomo e l’opera. A Round Table held in <strong>Bologna</strong> 18 February 2003<br />

del mercato del lavoro e dell'assetto normativo, essa recupera flessibilità - si fa<br />

dire - in quanto si posiziona ai primi posti per importanza del lavoro nero e dell'economia<br />

sommersa.<br />

Una seconda critica è quella di chi ritiene che la pluralità delle figure contrattuali<br />

e soprattutto la riforma del collocamento attentano al potere contrattuale del<br />

sindacato. Anche tale osservazione contiene elementi di verità. E’ infatti vero che<br />

il sindacato va perdendo fette di potere a favore di altre agenzie e di altri soggetti,<br />

ma ciò ha ben poco a che vedere con la flessibilità contrattata che Biagi ha proposto.<br />

Piuttosto, essa è la conseguenza del fatto che il sindacato è ancora rimasto<br />

nel suo insieme, salvo rare ma importanti eccezioni, un sindacato fordista. E il<br />

fordismo è morto. Il fatto è che l’introduzione delle nuove tecnologie infotelematiche<br />

e la rapidità dei processi di innovazione con il conseguente innalzamento del<br />

tasso di obsolescenza delle conoscenze portano con sé l’esigenza imprescindibile<br />

di un uso flessibile delle forze lavoro e di una marcata adattabilità del lavoro agli<br />

incalzanti processi di ristrutturazione delle imprese. Come ha scritto Bruno<br />

Trentin (“Un nuovo contratto sociale”, in Gli Argomenti Umani, 9, 2002), questa<br />

adattabilità può realizzarsi o con una riqualificazione incessante del lavoro o con<br />

una mobilità sostenuta e favorita da precise politiche del lavoro, oppure con un<br />

ricambio sempre più frequente della mano d’opera occupata (o di quella parte di<br />

essa che non è in grado di conseguire livelli medi di produttività). Marco Biagi si<br />

è sempre battuto a favore della prima alternativa, anche se è la seconda quella<br />

favorita dai sostenitori – e sono tanti – della flessibilità del lavoro come ideologia.<br />

Infine, di una terza critica conviene fare breve cenno. Si sostiene che la riforma<br />

del lavoro, una volta implementata, andrebbe a facilitare l’emergenza di un<br />

secondo mercato del lavoro, quello dei working poors: soggetti che, pur avendo<br />

un’occupazione, non riescono ad ottenere un salario che consenta loro di oltrepassare<br />

la soglia della povertà. Ancora una volta, è certamente vero che la percentuale<br />

dei “poveri che lavorano” è in tragico aumento nei nostri sistemi economici;<br />

ma ciò ha a che vedere con l’avvento della cosiddetta knowledge economy e<br />

non con la riforma del mercato del lavoro avanzata da Marco Biagi. Vediamo di<br />

chiarire. La sostituzione del lavoro con il capitale è fenomeno antico che ha iniziato<br />

a manifestarsi a partire almeno dalla rivoluzione industriale. Oggi, però,<br />

esso assume una connotazione diversa per due ragioni. Primo, tale processo investe<br />

anche le attività immateriali dove lavorano i “colletti bianchi”. Secondo, il<br />

capitale che sostituisce il lavoro non è rappresentato da macchine qualsiasi, ma<br />

74


Special Lectures Series<br />

da quelle che costituiscono le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione<br />

(TIC). Ad esempio, negli USA le TIC pesano, già oggi, per il 41% del<br />

totale degli investimenti in capitale fisso. Ebbene, l’introduzione delle TIC produce<br />

effetti di segno opposto sull’occupazione. Si consideri il caso degli ospedali,<br />

dove sono stati fatti grandi investimenti in TIC, in anni recenti: queste aziende<br />

non hanno tagliato affatto gli organici. Anzi, per far funzionare le nuove apparecchiature<br />

complesse è stato necessario ampliare gli organici di personale. E così<br />

via con tanti altri esempi. La verità è che generano working poors tutte quelle<br />

attività lavorative passivamente basate su procedure standardizzate e rigide. Per<br />

esse, e solo per esse, le TIC sono “job-killer”.<br />

Se dunque si vuole combattere – come ritengo si debba – questa nuova piaga<br />

sociale è necessario che le politiche attive del lavoro assumano carattere strutturale<br />

e non meramente residuale o congiunturale, come è accaduto durante la<br />

lunga stagione del fordismo. Concretamente, ciò significa che occorre resistere<br />

alla tentazione dei sussidi generalizzati, che servono unicamente ad incentivare<br />

nuovo lavoro sommerso, e favorire invece la sperimentazione di tipologie nuove<br />

di attività lavorative a metà strada tra lavoro autonomo e lavoro dipendente.<br />

Proprio come ha recentemente scritto Bruno Trentin: “Non è ozioso quindi pensare<br />

ad un nuovo tipo di contratto di lavoro che possa coinvolgere… tutte le forme<br />

di lavoro subordinato o eterodiretto e tutta la giungla di contratti che prospera<br />

con la deregolamentazione selvaggia del mercato del lavoro. Si può pensare ad<br />

esempio – di fronte al venir meno della stabilità del posto di lavoro e alla fine del<br />

contratto a tempo indeterminato – a uno scambio fra un salario correlato ad una<br />

occupazione flessibile (sia all’interno di un’impresa sia all’esterno, nel mercato<br />

del lavoro) e l’acquisizione da parte della persona del lavoratore di una impiegabilità…capace<br />

di garantire in luogo del posto fisso, …una nuova sicurezza che<br />

accompagni il lavoratore (ib., p.13, corsivo aggiunto).<br />

In definitiva, fino a quando il fordismo era l’unico orizzonte della modernità, il<br />

lavoro dipendente salariato poteva a ragione proporsi come il prototipo del lavoro<br />

tout-court. Era inevitabile, allora, che il lavoro autonomo, parasubordinato,<br />

coordinato, associato (si pensi, a quest’ultimo riguardo, alla figura del socio-lavoratore<br />

di un’impresa cooperativa) venissero considerati un’anomalia. Si rammenti<br />

che ancora un secolo fa il lavoro tradizionale occupava il 95% dei lavoratori.<br />

Oggi, nella stagione della “seconda modernità”, come la chiama A. Giddens, è<br />

vero esattamente il contrario: meno del 20% della popolazione attiva è occupata<br />

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Marco Biagi: l’uomo e l’opera. A Round Table held in <strong>Bologna</strong> 18 February 2003<br />

in lavori tradizionali. E’ a partire da questa presa d’atto che Marco Biagi ha<br />

costruito la sua strategia argomentativa con la quale ha cercato il consenso per il<br />

suo progetto riformatore. E per il quale è caduto.<br />

Non è possibile chiudere una riflessione, sia pur fugace, sulla inquietante vicenda<br />

di Marco Biagi senza un cenno almeno al tema del male. Come sappiamo, la<br />

modernità ha sviato l’interrogativo sul male portando l’attenzione sull’indagine<br />

intorno ai mali, visti come mere disfunzioni e patologie che progresso scientifico<br />

ed evoluzione sociale sarebbero capaci, prima o poi, di estirpare. E’ questo sviamento<br />

che ha contribuito non poco a rafforzare quelle ideologie totaliste che nel<br />

passato recente avevano pensato e ancora pensano ad instaurare, non importa<br />

con quale mezzo, il “bene assoluto”. Per chi si riconosce in una prospettiva del<br />

genere, il male è, basicamente, un momento del processo storico che si sdipana<br />

nel tempo. Con il che, l’azione umana in quanto ha di negativo – come è il caso<br />

con l’omicidio – viene assolta nella giustificazione dei condizionamenti economici<br />

e sociali; anzi viene giustificata alla luce di ciò che l’ha preceduta e delle conseguenze<br />

che da essa ci si attende. Nulla, come si può intendere, che rinvii al ruolo<br />

della persona libera e responsabile delle sue scelte.<br />

Ebbene, il tragico fallimento di tali ideologie – e non v’è chi non veda che si tratta<br />

di ideologie ormai al tramonto – non ha impedito che si attuasse quella che<br />

Hannah Arendt ha chiamato la “banalità del male”, esempio terribile di “sonno<br />

della ragione” che genera – per dirla con Vaclav Havel (Il potere dei senza poteri)<br />

– quel conformismo morale che fa piccole, ma progressive, concessioni agli<br />

strappi alla regola. In questo modo, il male ottiene il coinvolgimento di ciascuno<br />

in una sorta di colpa condivisa, il che fa sì che ci si conformi per nascondere il<br />

fiasco della propria nullità. Marco non ha voluto sottomettersi al ricatto di questi<br />

portatori di morte: per questo ha pagato con la sua vita. A lui, dunque, bene possono<br />

riferirsi le parole incomparabili di Shakespeare: “He was a man, take him<br />

for all in all; we shall not look upon his like, again”.<br />

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The Johns Hopkins University<br />

The <strong>Bologna</strong> <strong>Center</strong><br />

SEMINAR SERIES OCCASIONAL PAPERS<br />

Papers in this series often constitute work-in- progress, and are intended for comment and discussion.<br />

Inclusion in the <strong>Occasional</strong> Paper series does not preclude publication elsewhere.<br />

SPECIAL LECTURES SERIES<br />

1. Susanna Agnelli<br />

The Mediterranean and the Future of Europe, November 1995<br />

2. Richard von Weizsäcker<br />

Ostpolitik in Cold War Europe, November 1996<br />

3. Dieter Oberndörfer<br />

Germany’s Liberal Democracy in the Making-The Challenge of Identity, November 1996<br />

4. Jacques Santer<br />

The European Union’s External Relations in the 21st Century:<br />

Political Dwarf or World Actor?, April 1998<br />

5. Marjorie Mowlam<br />

The Stepping Stones to Peace: the Peace Process in Ireland, November 1998<br />

6. Richard Holbrooke<br />

Challenges to Diplomatic Leadership in the Third Millennium, May 2000<br />

7. Franz Vranitzky<br />

European Politics on the Threshold of the New Millennium, October 2000<br />

8. Robert Leonardi, Gianfranco Pasquino, Marco Biagi<br />

Ricordo del Prof. Giuseppe Federico Mancini, March 2001<br />

9. Miguel Nadal Segalà<br />

Spanish Foreign Policy on the Threshold of Globalization, October 2001


10. Matti Vuoria<br />

The Challenges of the EU: Is There a Balance Between Declarations and Delivery?,<br />

April 2003<br />

11. Antonio Fazio, Omero Papi, Giancarlo Pellacani, Tiziano Treu, Stefano Liebman,<br />

Giorgio Basevi, Michele Tiraboschi, Stefano Zamagni<br />

Marco Biagi: L'uomo e L'opera. A Round Table held in <strong>Bologna</strong>, 20 February 2003<br />

May 2003<br />

EUROPEAN STUDIES SEMINAR SERIES<br />

1. Patrick McCarthy<br />

Between Europe and Exclusion: The French Presidential Elections of 1995, January 1996<br />

2. Erik Jones and Kathleen McNamara<br />

Germany’s Monetary Role in Europe, April 1996<br />

3. D.W. Ellwood<br />

Anti-Americanism in Western Europe: a Comparative Perspective, April 1999<br />

4. Patrick McCarthy<br />

The Changing Political Language of Northern Ireland, November 1999<br />

INTERNATIONAL RELATIONS SEMINAR SERIES<br />

1. R. Craig Nation<br />

Power Politics in the Modern Age: The European State System, 1648-1789, May 1996<br />

2. Mary Ellen O’Connell<br />

The Application of International Law to the Contemporary Security Agenda, October 1997<br />

INTERNATIONAL ECONOMIC RELATIONS SEMINAR SERIES<br />

1. Stefano Zamagni<br />

Economics and Philosophy: A Plea for an Expansion of Economic Discourse, February 1996<br />

2. Giorgio Basevi<br />

Keeping Anchored to the European Monetary Union:<br />

A Radical Option for A Laggard Country, April 1996<br />

ITALIAN STUDIES SEMINAR SERIES<br />

1. Gianfranco Pasquino<br />

The Impact of Europe on Italian Institutions, June 2000

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