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Accastampato n. 1 in pdf

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<strong>Accastampato</strong> non è un periodico, pertanto non è registrato<br />

e non ha un direttore responsabile, è solo un esperimento<br />

– per ora occasionale – realizzato dagli studenti di Fisica<br />

dell’Università degli Studi di Roma “Sapienza”<br />

Gli articoli contenuti <strong>in</strong> questo numero sono protetti con<br />

marca digitale grazie a patamu.com<br />

I QR Code <strong>in</strong> calce ad alcuni articoli codificano il loro URL di<br />

pubblicazione on-l<strong>in</strong>e e sono generati mediante <strong>in</strong>vx.com<br />

La rivista è prodotta dal motore di composizione tipografica<br />

LATEX. I sorgenti sono disponibili richiedendoli alla<br />

Redazione.<br />

Quest’opera è rilasciata sotto la licenza Creative Commons<br />

Attribuzione-Non commerciale-Condividi allo stesso modo<br />

3.0 Unported. Se non specificato altrimenti, tutti gli articoli<br />

<strong>in</strong> essa contenuti sono rilasciati dai rispettivi autori<br />

sotto la medesima licenza. Per leggere una copia della<br />

licenza visita il sito web http://creativecommons.<br />

org/licenses/by-nc-sa/3.0/ o spedisci una lettera<br />

a Creative Commons, 171 Second Street, Suite 300, San<br />

Francisco, California, 94105, USA.


EDITORIALE<br />

accastampato<br />

Rivista degli Studenti di Fisica<br />

dell’Università Sapienza di Roma<br />

www.accatagliato.org<br />

REDAZIONE<br />

La divulgazione della Scienza a partire da chi la fa<br />

La ricerca scientifica a Roma: <strong>in</strong>formare, orientare, <strong>in</strong>curiosire<br />

In pochi sanno che a Roma e d<strong>in</strong>torni si fa ricerca di livello <strong>in</strong>ternazionale. Una delle motivazioni<br />

di questa diffusa ignoranza è sicuramente il fatto che le riviste e i programmi di divulgazione<br />

di qualità sono quasi sempre tradotti dall’<strong>in</strong>glese e si contrappongono a prodotti di scarso livello<br />

che, nel tentativo di essere commercialmente accattivanti, danno un’idea della scienza<br />

completamente sbagliata, tale da renderli addirittura dannosi e fuorvianti. Al contrario, una delle differenze<br />

fra la scienza e, per esempio, l’alchimia è stata storicamente proprio la divulgazione. Solo<br />

avendo delle conoscenze di base si può capire un dibattito serio sui temi di attualità che pressano, o<br />

almeno dovrebbero, l’agenda politica nazionale e <strong>in</strong>ternazionale: esempi eclatanti sono la produzione<br />

di energia, gli organismi geneticamente modificati, gli effetti dei campi elettromagnetici sulla salute.<br />

Troppe volte si sentono dire cose che non sono neanche lontanamente verosimili e questo significa<br />

che manca nel nostro paese una cultura m<strong>in</strong>ima <strong>in</strong> questo settore, non solo sugli argomenti di ricerca,<br />

ma anche su cosa sia Scienza, su cosa la dist<strong>in</strong>gua dalla religione o, appunto, dall’alchimia. Per questi<br />

motivi abbiamo deciso di <strong>in</strong>traprendere un progetto ambizioso e difficile: realizzare una rivista di<br />

divulgazione scientifica e diffonderla gratuitamente nelle scuole superiori con tutti i mezzi cui abbiamo<br />

accesso, una rivista redatta dagli studenti di Scienze della Sapienza dedicata pr<strong>in</strong>cipalmente agli<br />

studenti dei licei di Roma. Non pensiamo di poter risolvere i problemi descritti prima, ovviamente.<br />

Speriamo solo di poter generare curiosità <strong>in</strong> qualcuno dei nostri lettori.<br />

Non è semplice scrivere e parlare della ricerca di frontiera a non specialisti: non bisogna dare nulla<br />

per scontato e, nel mettersi nei panni del proprio <strong>in</strong>terlocutore, è necessario usare un l<strong>in</strong>guaggio comprensibile<br />

senza r<strong>in</strong>unciare a spiegare quali siano le cose fondamentali. Per questo ci poniamo due<br />

obiettivi: <strong>in</strong>curiosire coloro che non studiano fisica e confrontarci con l’arte difficile del raccontare<br />

cosa studiamo con parole accessibili. Nel mondo accademico italiano si è data sempre troppo poca<br />

importanza alla divulgazione e questo progetto vuole configurarsi come un vero e proprio laboratorio<br />

di comunicazione scientifica: per questo motivo <strong>in</strong>vitiamo tutti i nostri lettori a <strong>in</strong>viarci commenti, critiche<br />

e giudizi di qualunque genere, <strong>in</strong> modo da poter correggere e migliorare sia la nostra competenza<br />

specifica, sia la rivista stessa. Questo progetto è stato pensato e realizzato da studenti, ma si avvale<br />

dell’importante collaborazione di ricercatori e docenti del Dipartimento di Fisica della Sapienza. Sono<br />

loro che formano la nostra autorevole commissione scientifica che garantisce al lettore la qualità di ciò<br />

che sta leggendo.<br />

Ricerca, qu<strong>in</strong>di, ma non solo: crediamo che una delle cose più <strong>in</strong>teressanti sia sottol<strong>in</strong>eare le ricadute<br />

della ricerca di base nella vita di tutti i giorni, sia nel medio che lungo periodo. Siamo conv<strong>in</strong>ti che<br />

il senso della ricerca non sia solo nelle applicazioni tecnologiche che ne possono derivare e <strong>in</strong> questo<br />

concordiamo con l’affermazione di Feynman: “Non si lavora per le applicazioni pratiche, ma per<br />

l’emozione della scoperta. . . l’emozione, che è la vera molla dell’impresa scientifica. Se non capite<br />

questo, non avete capito niente”. Pensiamo però che spiegare come funzion<strong>in</strong>o cose con cui si ha a che<br />

fare nella vita quotidiana sia un modo efficace di spiegare la Scienza. È poi della politica il compito di<br />

tradurre <strong>in</strong> atti concreti la possibilità di uscire dalla crisi grazie a <strong>in</strong>vestimenti <strong>in</strong> ricerca e conoscenza<br />

e alle loro ricadute <strong>in</strong>novative. Purtroppo le politiche adottate dai governi che si sono succeduti <strong>in</strong><br />

questi ultimi anni sono state miopi da questo punto di vista: l’istruzione e la ricerca sono state oggetto<br />

di tagli <strong>in</strong>discrim<strong>in</strong>ati, fatti <strong>in</strong> nome della razionalizzazione e dell’efficientismo, ma spesso al di fuori<br />

di un quadro strategico di largo respiro. Per questo una rubrica sarà dedicata all’analisi degli effetti,<br />

anche nel breve periodo, di tali politiche.<br />

Alla luce di tutto ciò riteniamo che una buona divulgazione scientifica non possa esimersi dal cercare<br />

di far prendere coscienza di cosa sia la Scienza e del perché noi scienziati e comunicatori riteniamo<br />

sia così importante per la vita della nostra società.<br />

redazione@accatagliato.org<br />

Alessio Cimarelli<br />

jenk<strong>in</strong>@accatagliato.org<br />

Carlo Manc<strong>in</strong>i<br />

carlo@accatagliato.org<br />

Silvia Mariani<br />

shyka@accatagliato.org<br />

Leonardo Barcaroli<br />

leov@accatagliato.org<br />

Erica Chiaver<strong>in</strong>i<br />

erica@accatagliato.org<br />

Niccolò Loret<br />

niccolo@accatagliato.org<br />

Isabella Malacari<br />

isabella@accatagliato.org<br />

Massimo Margotti<br />

massimomargotti@gmail.com<br />

Kristian Gervasi Vidal<br />

krisgerv@accatagliato.org<br />

COMMISSIONE SCIENTIFICA<br />

Giorgio Parisi<br />

giorgio.parisi@roma1.<strong>in</strong>fn.it<br />

Giovanni Battimelli<br />

giovanni.battimelli@uniroma1.it<br />

Fabio Bell<strong>in</strong>i<br />

fabio.bell<strong>in</strong>i@roma1.<strong>in</strong>fn.it<br />

Lara Benfatto<br />

lara.benfatto@roma1.<strong>in</strong>fn.it<br />

Riccardo Facc<strong>in</strong>i<br />

riccardo.facc<strong>in</strong>i@roma1.<strong>in</strong>fn.it<br />

Francesco Piacent<strong>in</strong>i<br />

francesco.piacent<strong>in</strong>i@roma1.<strong>in</strong>fn.it<br />

Antonio Polimeni<br />

antonio.polimeni@roma1.<strong>in</strong>fn.it<br />

Antonello Polosa<br />

antonio.polosa@roma1.<strong>in</strong>fn.it<br />

HANNO CONTRIBUITO<br />

L. Benfatto, A. Bonforti, A. Cimarelli,<br />

C. Cosmelli, U. Ferrari, M. Margotti,<br />

M. Mitrano, L. Orlando, la<br />

Redazione, T. Scopigno.<br />

SI RINGRAZIANO ANCHE<br />

Donald E. Knuth, Leslie Lamport,<br />

la Comunità del TEX Users Group<br />

(TUG: www.tug.org) e Gianluca<br />

Pignalberi<br />

Con il patroc<strong>in</strong>io del<br />

accastampato num. 1, Giugno 2010


Indice num. 1, Giugno 2010<br />

La ricerca scientifica a Roma: <strong>in</strong>formare, orientare, <strong>in</strong>curiosire<br />

EDITORIALE<br />

La divulgazione della Scienza a partire<br />

da chi la fa 3<br />

Un progetto ambizioso e difficile, una rivista realizzata<br />

<strong>in</strong>teramente da studenti<br />

accastampato, Creative Commons e<br />

Patamu 9<br />

di A. Bonforti<br />

Tutti i contenuti di accastampato sono rilasciati sotto<br />

licenza Creative Commons BY–NC–SA e la loro paternità<br />

protetta da marca digitale grazie a patamu.com: vediamo<br />

cosa significa. . .<br />

RECENSIONI<br />

Storia del laser 6<br />

di M. Mitrano<br />

Breve storia di un’<strong>in</strong>venzione che ha cambiato il mondo<br />

ESPERIMENTI<br />

Un pallonc<strong>in</strong>o sul phon 7<br />

di C. Cosmelli<br />

Come il getto d’aria del phon tiene il pallonc<strong>in</strong>o sospeso<br />

sopra di sé<br />

ONDA LUNGA<br />

¯hσω τσ. . . 8<br />

di la Redazione<br />

Breve descrizione di come è strutturata accastampato<br />

IL RESTO DEL NEUTRINO<br />

I segreti del c<strong>in</strong>ema 3D 11<br />

di A. Cimarelli<br />

Gli enormi passi avanti fatti dalle tecnologie stereoscopiche<br />

aprono f<strong>in</strong>almente le porte a una forte espansione dell’<strong>in</strong>trattenimento<br />

c<strong>in</strong>ematografico tridimensionale<br />

Il comportamento<br />

collettivo animale 16<br />

di A. Cimarelli<br />

Cosa hanno <strong>in</strong> comune gli stormi di uccelli con i banchi<br />

di pesci o gli alveari di api? Un comportamento collettivo<br />

emergente sorprendentemente simile nonostante le differenze<br />

tra le specie<br />

4 accastampato num. 1, Giugno 2010


ONDA LUNGA<br />

La riforma dell’Università italiana 22<br />

di L. Benfatto<br />

L’idea stessa di creare una vera competizione tra le varie<br />

università, allo scopo di attrarre gli studenti migliori,<br />

fallisce miseramente a fronte di un’obiettiva immobilità<br />

sociale del sistema italiano<br />

IL RICERCATORE ROMANO<br />

La transizione<br />

vetrosa 26<br />

di T. Scopigno<br />

Nonostante un utilizzo molto diffuso dei materiali vetrosi,<br />

alcuni aspetti della transizione a questa particolarissima<br />

fase della materia non sono ancora pienamente compresi<br />

SCIENZARTE<br />

La pittura silenziosa 30<br />

di M. Margotti<br />

Il lavoro di Piero della Francesca è emblematico del passaggio<br />

che nella sua epoca stava avvenendo <strong>in</strong> Italia a livello<br />

<strong>in</strong>tellettuale e sociale: l’<strong>in</strong>contro tra arte e matematica,<br />

riconosciuta come unica risorsa per una descrizione della<br />

realtà<br />

NANOS GIGANTUM<br />

La prima lezione di<br />

Ettore Majorana 32<br />

di A. Cimarelli<br />

La Prolusione di Ettore Majorana del 13 gennaio 1938<br />

per il suo corso di Fisica Teorica all’Università Federico<br />

II di Napoli permette di comprendere le grandi capacità<br />

didattiche dello scienziato, scomparso misteriosamente nel<br />

marzo dello stesso anno<br />

EVENTI<br />

Copenhagen 36<br />

di L. Orlando<br />

“Copenhagen” di Michael Frayn, da dieci anni nei teatri di<br />

tutto il mondo


RECENSIONI<br />

Storia del laser<br />

Breve storia di un’<strong>in</strong>venzione che ha cambiato il mondo<br />

di Matteo Mitrano<br />

(studente di Fisica)<br />

Per completezza e per la sua chiarezza mi permetto di citare la quarta di copert<strong>in</strong>a, pubblicata anche<br />

sul sito della casa editrice.<br />

Il term<strong>in</strong>e laser è ormai conosciuto al grande pubblico e molte delle applicazioni della luce che esso<br />

emette sono sotto gli occhi di tutti. Si parla di operazioni chirurgiche e di cure mediche eseguite<br />

mediante raggi laser; si sa che le discoteche usano questi raggi per creare particolari effetti di luce e<br />

che, per esempio, brevi impulsi di luce, sempre emessi da laser, viaggiando entro fibre di vetro e sostituendosi<br />

agli impulsi elettrici, permettono di realizzare collegamenti telefonici. Il laser è l’elemento<br />

essenziale delle stampanti dei quotidiani, di quelle dei computer e di alcuni radar e, <strong>in</strong>oltre, con i suoi<br />

raggi si può tagliare e forare ogni sorta di materiale, leggere CD, registrare, e riprodurre fotografie<br />

tridimensionali (ologrammi) e fare <strong>in</strong>numerevoli altre cose. Ma che cosa <strong>in</strong> effetti sia un laser e come<br />

esso funzioni sono <strong>in</strong> pochi a saperlo, oltre agli addetti ai lavori. Questo libro cerca di spiegarlo <strong>in</strong><br />

modo comprensibile, pur senza presc<strong>in</strong>dere da un certo numero di considerazioni strettamente tecniche,<br />

raccontando come si sia arrivati a costruirlo, <strong>in</strong>sieme al maser, che è il suo gemello nel dom<strong>in</strong>io<br />

delle microonde. La caratteristica dei laser di emettere fasci collimati e colorati deriva dal diverso<br />

modo <strong>in</strong> cui <strong>in</strong> essi è emessa la luce rispetto alle altre sorgenti. Nel libro si approfondisce cos’è la<br />

luce e come viene emessa, e a tale scopo si esam<strong>in</strong>a come si comportano gli atomi, utilizzando alcuni<br />

concetti della meccanica quantistica adatti a descriverli... Nel cercare di capire i vari fenomeni seguendo<br />

un filo storico l’autore ricostruisce, <strong>in</strong> un certo senso, parte della storia della luce e i primi<br />

passi della meccanica quantistica, sia pure a un livello elementare.<br />

Detto questo il libro che sto descrivendo è un bel libro divulgativo che si muove <strong>in</strong> un segmento<br />

editoriale sempre più trascurato ovvero quello del lettore con preparazione scientifica di base medioalta<br />

che desidera approfondire un s<strong>in</strong>golo tema o settore a lui poco noto. Ovviamente è un libro di<br />

lettura con un formalismo matematico veramente ridotto all’osso e presente solo quà e là nel testo<br />

ove necessario. A mio avviso, specialmente all’<strong>in</strong>izio, l’autore la prende troppo alla larga partendo da<br />

Galileo e il metodo scientifico e talvolta si perde <strong>in</strong> parentesi troppo dettagliate (ad es. il cap. 6 su<br />

E<strong>in</strong>ste<strong>in</strong>). Naturalmente questo è il parere di uno studente del I anno di specialistica e necessariamente<br />

sarà diverso da quello del lettore non addetto ai lavori. Tuttavia gli ultimi capitoli riscattano tutto il<br />

testo fornendo molti retroscena storici e veramente molte <strong>in</strong>formazioni sulla grande varietà di lasers<br />

oggi esistenti. Complessivamente i soldi <strong>in</strong>vestiti sono pienamente ripagati da questo saggio veramente<br />

completo e molto scorrevole nella lettura.<br />

Matteo Mitrano<br />

COPERTINA<br />

INDICE<br />

1. Introduzione<br />

2. Le teorie ondulatoria e corpuscolare<br />

della luce<br />

3. La spettroscopia<br />

4. La teoria del corpo nero<br />

5. L’atomo di Rutherford e di Bohr<br />

6. E<strong>in</strong>ste<strong>in</strong><br />

7. E<strong>in</strong>ste<strong>in</strong> e la luce, l’effetto fotoelettrico<br />

e l’emissione stimolata<br />

8. Microonde<br />

9. Spettroscopia: atto secondo<br />

10. La risonanza magnetica<br />

11. Il maser<br />

12. La proposta per un maser ottico<br />

13. Le disavventure di Gordon Gould<br />

14. E f<strong>in</strong>almente fu il laser!<br />

15. A che cosa serve il laser?<br />

IN BREVE<br />

Titolo Storia del Laser<br />

Autore Mario Bertolotti<br />

Editore Bollati Bor<strong>in</strong>ghieri<br />

Anno 1999<br />

Pag<strong>in</strong>e 390<br />

Prezzo 35.00 e<br />

6 accastampato num. 1, Giugno 2010


ESPERIMENTI<br />

Un pallonc<strong>in</strong>o sul phon<br />

Come il getto d’aria del phon tiene il pallonc<strong>in</strong>o sospeso sopra di sé<br />

SCHEMA<br />

di Carlo Cosmelli<br />

(Professore di Fisica alla Sapienza)<br />

A<br />

ccendere<br />

il phon a mezza forza e tenerlo fermo con il getto d’aria rivolto verso l’alto.<br />

Prendere il pallonc<strong>in</strong>o e poggiarlo delicatamente nel mezzo del flusso di aria sopra il<br />

phon. Si vedrà che il pallonc<strong>in</strong>o si metterà <strong>in</strong> una posizione di equilibrio, più <strong>in</strong> alto o<br />

più <strong>in</strong> basso del punto <strong>in</strong> cui l’avevate lasciato, e ci rimarrà stabilmente.<br />

Suggerimenti e astuzie<br />

Se il pallonc<strong>in</strong>o fosse troppo leggero, cioè se vola via, vuol dire che il getto d’aria è troppo forte. In<br />

tal caso ridurre il getto d’aria. Se non fosse possibile, provare ad aumentare la massa del pallonc<strong>in</strong>o<br />

<strong>in</strong>serendo un po’ d’acqua (circa mezzo cucchia<strong>in</strong>o) dentro di esso prima di gonfiarlo.<br />

Approfondimento<br />

Il pallonc<strong>in</strong>o rimane <strong>in</strong> equilibrio per due ragioni: la prima è semplicemente la forza generata dal<br />

flusso d’aria diretto verso l’alto. Il flusso d’aria è più forte all’uscita del phon e dim<strong>in</strong>uisce di <strong>in</strong>tensità<br />

man mano che ci si allontana dalla bocca del phon. Ci sarà un punto <strong>in</strong> cui la forza esercitata dal flusso<br />

d’aria è uguale alla forza di gravità che si esercita sul pallonc<strong>in</strong>o. In questa posizione il pallonc<strong>in</strong>o<br />

potrà stare <strong>in</strong> equilibrio.<br />

Tuttavia questo potrebbe essere un punto di equilibrio <strong>in</strong>stabile, per spostamenti laterali. Invece si può<br />

vedere che se diamo delle piccole botte al pallonc<strong>in</strong>o, questo si sposta dalla posizione di equilibrio,<br />

ma tende poi a ritornare verso il centro del getto d’aria, rimanendo sempre <strong>in</strong> equilibrio.<br />

Questo vuol dire che c’è un secondo effetto che mantiene il pallonc<strong>in</strong>o <strong>in</strong> posizione: si tratta dell’effetto<br />

comb<strong>in</strong>ato del pr<strong>in</strong>cipio di Bernouilli e dell’effetto Coandă. Quello che succede è che l’aria che<br />

esce dal phon crea una specie di guscio <strong>in</strong>torno al pallonc<strong>in</strong>o, dandogli un ulteriore supporto. Possiamo<br />

accorgerci di questo effetto anche spostando il getto di aria del phon dalla posizione verticale,<br />

<strong>in</strong>cl<strong>in</strong>andolo lateralmente. Si può vedere come, per angoli non troppo grandi, il pallonc<strong>in</strong>o cont<strong>in</strong>ua<br />

a restare sospeso nel mezzo del getto di aria, anche se ora si trova fuori dalla verticale <strong>in</strong>nalzata dalla<br />

bocca del phon.<br />

Il pallonc<strong>in</strong>o può essere anche sostituito da una pall<strong>in</strong>a da p<strong>in</strong>g-pong, dipende dalla potenza del phon.<br />

Pr<strong>in</strong>cipio di Bernoulli ed effetto Coandă<br />

MATERIALE<br />

• 1 pallonc<strong>in</strong>o gonfiato poco (10 ÷<br />

15cm)<br />

• 1 phon elettrico<br />

ARGOMENTO<br />

• Equilibrio di un corpo <strong>in</strong> un fluido<br />

• Fluidi reali<br />

di Isabella Malacari<br />

Esempio dell’effetto<br />

Coandă, da it.<br />

wikipedia.org<br />

Un problema con cui ci siamo confrontati tutti? Riuscire a bere da una fontanella senza bagnarsi completamente<br />

volto e maglietta! Perché l’acqua che ci bagna il viso, anziché gocciolare giù dal mento, scorre lungo il collo?<br />

L’adesione di un fluido (un liquido o un gas) lungo superfici ricurve prende il nome di effetto Coandă: lo strato del<br />

fluido prossimo alla superficie su cui scorre, rallentando per attrito, v<strong>in</strong>cola il movimento degli strati esterni a causa<br />

della reciproca attrazione; l’effetto mette <strong>in</strong> rotazione gli strati esterni verso l’<strong>in</strong>terno, facendo aderire il fluido<br />

alla superficie stessa. Ma questo non è certo l’unico fenomeno visibile nella d<strong>in</strong>amica dei fluidi. Prendiamo ad<br />

esempio tra le dita gli angoli del lato corto di un foglietto di carta (uno scontr<strong>in</strong>o per esempio) e avvic<strong>in</strong>iamoli alla<br />

bocca. Soffiando delicatamente appena sopra il foglio, questo si alzerà, restando sospeso a mezz’aria; aumentando<br />

la forza del soffio, il foglio <strong>in</strong>izierà a sbattere freneticamente. Il fluire dell’aria sul lato superiore del foglio causa,<br />

<strong>in</strong>fatti, una dim<strong>in</strong>uzione della pressione rispetto al lato <strong>in</strong>feriore che, pertanto, è sp<strong>in</strong>to verso l’alto. In questo caso<br />

è il pr<strong>in</strong>cipio di Bernoulli che garantisce <strong>in</strong>fatti che ad ogni aumento della velocità di un fluido corrisponde una<br />

dim<strong>in</strong>uzione della sua pressione e viceversa.<br />

Effetto Coandă e pr<strong>in</strong>cipio di Bernoulli non sono <strong>in</strong>dipendenti, ma possono essere descritti come casi particolari di<br />

una teoria generale dei fluidi, fondata sui lavori degli scienziati Claude-Louis Navier e George Stokes.<br />

accastampato num. 1, Giugno 2010


¯hσω τσ. . .<br />

Breve guida per evitare di perdersi fra queste pag<strong>in</strong>e<br />

la Redazione<br />

Cara lettrice e caro lettore, queste poche righe sono<br />

per spiegarti come è nata questa rivista e come provare<br />

a <strong>in</strong>terpretarla. <strong>Accastampato</strong> è nata dall’impegno<br />

di un gruppo di studenti di Fisica della Sapienza,<br />

certamente non specialisti nella difficile arte della divulgazione<br />

scientifica, ma senza dubbio appassionati di ciò che<br />

hanno scelto di studiare. L’<strong>in</strong>tento esplicito è quello di raccontare<br />

non solo la fisica già data per assodata, ma soprattutto gli<br />

esperimenti e la ricerca di frontiera, cercando di evidenziare quali<br />

siano i problemi ancora aperti delle teorie oggi comunemente<br />

accettate o ancora dibattute nella comunità scientifica. Non<br />

pensiamo di poter riuscire a pieno <strong>in</strong> questo progetto ambizioso,<br />

ma speriamo di poterti almeno <strong>in</strong>curiosire. Ti <strong>in</strong>vitiamo a non<br />

scoraggiarti nel caso <strong>in</strong> cui alcune cose ti siano poco chiare e<br />

ti esortiamo ad approfondire i concetti più difficili. Per aiutarti<br />

ogni articolo è accompagnato da una bibliografia dettagliata<br />

e da un <strong>in</strong>dice di difficoltà (da 1 a 3 atom<strong>in</strong>i) con cui stimiamo<br />

l’impegno richiesto per una buona comprensione. Non esitare<br />

a mandarci commenti, critiche o richieste di qualunque tipo<br />

a redazione@accatagliato.org.<br />

Ecco qui si seguito una breve panoramica della rivista, divisa <strong>in</strong><br />

diverse sezioni e varie rubriche.<br />

La sezione Il Ricercatore Romano racconterà il lavoro dei ricercatori<br />

del Dipartimento di Fisica della Sapienza. Abbiamo scelto<br />

di non limitare troppo la lunghezza dei s<strong>in</strong>goli articoli, pur sapendo<br />

di violare una delle prime regole dell’editoria contemporanea:<br />

preferiamo rischiare e dilungarci un po’ più del dovuto che r<strong>in</strong>unciare<br />

a spiegare almeno nei punti essenziali quale sia il senso di<br />

una ricerca che spesso richiede anni per essere portata a term<strong>in</strong>e.<br />

Per facilitare la lettura abbiamo cercato di illustrare gli aspetti<br />

fondamentali nelle prime pag<strong>in</strong>e, lasciando alla seconda parte un<br />

approfondimento successivo.<br />

Una sezione speciale, Il Resto del Neutr<strong>in</strong>o, sarà dedicata alla<br />

spiegazione scientifica di tecnologie e fenomeni comuni, troppo<br />

spesso sconosciuti e a volte percepiti come apparentemente misteriosi.<br />

Con questi articoli vogliamo sottol<strong>in</strong>eare come la Scienza<br />

e il metodo scientifico perme<strong>in</strong>o ormai profondamente quasi ogni<br />

aspetto della vita, con l’esplicito scopo di combattere il sempre<br />

più diffuso utilizzo <strong>in</strong>consapevole della tecnologia moderna.<br />

La sezione Nanos Gigantum ripercorrerà alcune delle tappe fondamentali<br />

del pensiero scientifico, aff<strong>in</strong>ché le meraviglie naturali<br />

a cui rivolge la sua attenzione possano essere comprese non solo<br />

sul corretto piano logico o applicativo, ma anche nel loro <strong>in</strong>quadramento<br />

storico. Sarà qu<strong>in</strong>di un’opportunità preziosa per recuperare<br />

il gusto del camm<strong>in</strong>o verso la conoscenza, a fianco allo<br />

stupore mai sopito per i contenuti della conoscenza stessa.<br />

Completano la rivista le rubriche dedicate agli Eventi rilevanti nel<br />

panorama scientifico italiano e <strong>in</strong>ternazionale, alle Recensioni di<br />

libri e non solo, che possano fungere da spunto per un approfondimento<br />

o da guida per esplorare nuovi orizzonti, agli Esperimenti<br />

da fare anche <strong>in</strong> casa per toccare con mano alcuni pr<strong>in</strong>cipi delle<br />

leggi naturali, alle problematiche sociali, politiche ed economiche<br />

connesse alla pratica scientifica di Onda Lunga e <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e ai<br />

rapporti più o meno ovvi tra Arte e Scienza <strong>in</strong> ScienzArte.<br />

In conclusione ti ricordiamo che <strong>Accastampato</strong> è protetta con licenza<br />

Creative Commons, il che significa che sei libero di scaricarla,<br />

copiarla, stamparla e diffonderla. Le uniche limitazioni<br />

sono l’obbligo di citare la fonte, di coprire con la stessa licenza<br />

le eventuali opere derivate e il divieto di usarle <strong>in</strong> opere<br />

commerciali.<br />

Buona lettura!<br />

Cos’è Accatagliato<br />

Simbolo di ¯h, costante<br />

di Planck.<br />

Accatagliato è un’associazione di studenti di Fisica della Sapienza, esiste di fatto dalla f<strong>in</strong>e<br />

del 2005, ma da Dicembre 2009 è riconosciuta dalla Regione Lazio. Il sito è raggiungibile<br />

all’<strong>in</strong>dirizzo www.accatagliato.org e le varie attività possono essere seguite onl<strong>in</strong>e<br />

mediante la pag<strong>in</strong>a Facebook (www.facebook.com/accatagliato), il canale Twitter<br />

(twitter.com/accatagliato) e il canale di Youtube (www.youtube.com/user/<br />

accafilmato). Il nome un po’ bizzarro e difficilmente comprensibile per chiunque non abbia<br />

studiato la Meccanica Quantistica deriva da una costante ben nota a tutti coloro che studiano Fisica:<br />

si tratta della costante di Dirac, proporzionale alla più nota costante di Planck h, che def<strong>in</strong>isce<br />

la scala a cui è necessario usare la Meccanica Quantistica al posto della Fisica Classica.<br />

8 accastampato num. 1, Giugno 2010


accastampato, Creative<br />

Commons e Patamu<br />

Una questione di licenze. . .<br />

Adriano Bonforti<br />

(Studente di Fisica, Terza Università degli Studi di Roma)<br />

La rivista accastampato ha scelto di liberare s<strong>in</strong> dal<br />

suo primo numero il proprio contenuto con licenze<br />

Creative Commons (CC), attraverso la consulenza e<br />

la collaborazione del sito patamu.com, che ha contestualmente<br />

fornito un servizio di tutela dal plagio. Per una rivista<br />

di carattere scientifico divulgativo la scelta non poteva essere<br />

migliore, poiché la Scienza e il Sapere <strong>in</strong> generale sono o<br />

dovrebbero essere per def<strong>in</strong>izione libere da v<strong>in</strong>coli di diffusione<br />

ed elaborazione. D’altra parte la storia della scienza è un’ottima<br />

e conv<strong>in</strong>cente dimostrazione di quanto virtuose possano essere la<br />

condivisione e la libera fruizione del sapere per il progresso scientifico.<br />

In questo articolo proponiamo una breve panoramica sulle<br />

licenze CC e sul servizio offerto da Patamu.<br />

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accastampato ha scelto di liberare s<strong>in</strong> da<br />

questo primo numero il proprio<br />

contenuto con licenza Creative<br />

Commons<br />

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Per questo ci si riferisce spesso alle licenze di Creative Commons<br />

come licenze copyleft. Per favorire il più possibile la libera circolazione<br />

di questa rivista e dei suoi contenuti, abbiamo scelto<br />

di liberarla attraverso la licenza CC di tipo BY-NC-SA (attribution,<br />

non commercial, share alike): significa che tutti i suoi contenuti<br />

possono essere riprodotti e diffusi, a condizione che ciò<br />

non avvenga per scopi commerciali e che venga sempre <strong>in</strong>dicato<br />

l’autore. Le opere possono <strong>in</strong>oltre essere modificate a condizione<br />

che sussista l’assenza di lucro e che l’autore e l’opera orig<strong>in</strong>aria<br />

vengano sempre <strong>in</strong>dicati e <strong>in</strong>formati ove possibile; <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e, l’opera<br />

derivata deve essere a sua volta liberata con le stesse condizioni.<br />

Figura 1 Logo di patamu.com<br />

Creative Commons Public Licenses<br />

Le Creative Commons Public Licenses (CCPL) sono delle particolari<br />

licenze che permettono di distribuire un’opera d’arte o di<br />

<strong>in</strong>gegno sv<strong>in</strong>colandola parzialmente dalle rigide imposizioni del<br />

diritto d’autore tradizionale (copyright). La loro nascita si ispira<br />

al pr<strong>in</strong>cipio di natura legislativa <strong>in</strong> base al quale chi crea un’opera<br />

di <strong>in</strong>gegno, una volta dimostratane la paternità, può disporre<br />

di essa come meglio crede, riservandosene i diritti <strong>in</strong> toto o solo<br />

<strong>in</strong> parte. Le licenze CCPL si basano qu<strong>in</strong>di sul pr<strong>in</strong>cipio “alcuni<br />

diritti riservati” anziché “tutti i diritti riservati”: attraverso di<br />

esse l’autore sv<strong>in</strong>cola la propria opera secondo determ<strong>in</strong>ate modalità,<br />

concedendone ad esempio la diffusione gratuita e libera <strong>in</strong><br />

assenza di scopo di lucro. In altre parole, per mezzo delle CCPL<br />

l’autore dà esplicitamente il consenso aff<strong>in</strong>ché la sua opera possa<br />

circolare ed essere diffusa più o meno liberamente, disponendo<br />

come vuole dei propri diritti. Ciò <strong>in</strong> contrapposizione al caso del<br />

copyright tradizionale, nel quale ciò non è possibile.<br />

Figura 2 Locand<strong>in</strong>a Creative Commons (da OilProject)<br />

accastampato num. 1, Giugno 2010 9


ONDA LUNGA<br />

Patamu<br />

Spendiamo <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e qualche parola per presentare il sito Patamu,<br />

attualmente <strong>in</strong> versione beta, che oltre ad offrire consulenza per<br />

quanto riguarda le tematiche CC e la cultura libera <strong>in</strong> generale,<br />

permette di <strong>in</strong>tegrare le licenze CC apponendo ad ogni opera <strong>in</strong>viata<br />

una sorta di timbro temporale <strong>in</strong>formatico con validità legale<br />

riconosciuta dallo Stato Italiano.<br />

Il servizio al livello base è gratuito e permette di tutelare dal plagio<br />

e di rilasciare contestualmente <strong>in</strong> Creative Commons qualsiasi<br />

opera artistica o di <strong>in</strong>gegno: opere musicali, foto, ma anche<br />

libri, articoli di giornale o di blog, articoli scientifici e quant’altro.<br />

Per case editrici, etichette, associazioni, società, o per chiunque<br />

volesse accedere a servizi più specifici e mirati, sarà possibile<br />

abbonarsi con una piccola somma a vari servizi avanzati.<br />

Pur essendo possibile su Patamu la semplice tutela dell’opera, abbiamo<br />

scelto di offrire il servizio gratuitamente per chiunque sia<br />

disposto a liberare contestualmente l’opera <strong>in</strong> CC. Questa scelta è<br />

stata certamente fatta per <strong>in</strong>coraggiare e favorire la diffusione della<br />

cultura cosiddetta open source, ma c’è anche un altro motivo:<br />

capita spesso <strong>in</strong>fatti che le persone rimangano diffidenti di fronte<br />

alla dicitura “alcuni diritti riservati” e ritengano che il modo più<br />

pratico e sicuro di tutelare la propria opera sia quello di rimanere<br />

detentore di tutti i diritti. Paradossalmente, però, <strong>in</strong> questo modo<br />

sono essi stessi a frenare la diffusione della propria opera, <strong>in</strong><br />

quanto il copyright tradizionale ne rende più difficoltosa la diffusione<br />

– ad esempio via <strong>in</strong>ternet, o via radio – anche <strong>in</strong> assenza di<br />

lucro.<br />

Il copyleft è qu<strong>in</strong>di, a nostro avviso, anche il modo più pratico e<br />

moderno per permettere di promuovere e far conoscere ad un numero<br />

più ampio possibile di persone il proprio prodotto artistico.<br />

In questo contesto la tutela dal plagio fornita dal sito non diventa<br />

più un’azione di tutela dell’autore f<strong>in</strong>e a se stessa, ma si trasforma<br />

<strong>in</strong> un mezzo per diffondere le proprie opere senza il timore<br />

di essere plagiati, favorendo la libera circolazione della creatività<br />

e della cultura sotto qualsiasi forma e contribuendo a <strong>in</strong>nescare<br />

un circolo virtuoso da cui possono trarre vantaggio autori e utenti<br />

dell’opera allo stesso tempo.<br />

Per richiedere qualsiasi <strong>in</strong>formazione sulle tematiche CC o sui<br />

servizi del sito, o per partecipare alla fase di test della versione<br />

beta, siete i benvenuti su patamu.com.<br />

Bibliografia<br />

(1) Creative Commons: www.creativecommons.it<br />

(2) Copyleft: www.copyleft-italia.it<br />

(3) Patamu.com: www.patamu.com<br />

Sull’autore<br />

Adriano Bonforti (adribonf@hotmail.it) è esperto<br />

<strong>in</strong> licenze di copyleft ed è amm<strong>in</strong>istratore del sito www.<br />

patamu.com


I segreti del c<strong>in</strong>ema 3D<br />

Teoria e tecniche alla base della nuova era<br />

dell’<strong>in</strong>trattenimento digitale<br />

Alessio Cimarelli<br />

(Laboratorio Interdiscipl<strong>in</strong>are per le Scienze Naturali e Umanistiche – Sissa)<br />

La visione tridimensionale o, <strong>in</strong> altre parole, la percezione<br />

della distanza a partire da una proiezione bidimensionale<br />

della luce <strong>in</strong> <strong>in</strong>gresso è basata sulle leggi<br />

della stereometria. Il supporto può essere la ret<strong>in</strong>a,<br />

una pellicola fotografica o una CCD, non c’è differenza: la stessa<br />

scena fotografata contemporaneamente da due posizioni leggermente<br />

diverse, ad esempio meno di una dec<strong>in</strong>a di centimetri<br />

nel caso degli occhi, produce due immag<strong>in</strong>i <strong>in</strong> cui gli oggetti<br />

più vic<strong>in</strong>i presentano una traslazione laterale relativa all’<strong>in</strong>terno<br />

del campo visivo maggiore rispetto agli oggetti piu lontani (vedi<br />

Figura 1).<br />

Figura 2 Alcuni esempi di videocamere dedicate al c<strong>in</strong>ema 3D (quelle<br />

con doppio obiettivo) o adattate per lo scopo <strong>in</strong> alcuni recenti film 3D.<br />

In fase di riproduzione si vuole far giungere all’occhio destro dello<br />

spettatore il film girato dalla macch<strong>in</strong>a destra e viceversa, <strong>in</strong><br />

modo che il cervello possa comb<strong>in</strong>are naturalmente le due immag<strong>in</strong>i<br />

e ricostruire la scena tridimensionale. Ci sono molti modi<br />

per ottenere questo effetto: mediante filtri colorati (anaglifia),<br />

filtri polarizzati circolarmente o l<strong>in</strong>earmente oppure filtri shutter<br />

LCD, la cui trasparenza varia alternativamente <strong>in</strong> s<strong>in</strong>cronia con le<br />

immag<strong>in</strong>i.<br />

Anaglifia<br />

Figura 1 Sovrapposizione di due fotogrammi scattati da due posizioni<br />

differenti, <strong>in</strong> cui il borotalco è centrato e a fuoco.<br />

Attraverso questo shift relativo è possibile ricavare con una certa<br />

precisione la distanza dell’oggetto <strong>in</strong> questione: nel caso di macch<strong>in</strong>e<br />

fotografiche, conoscendo solo la distanza tra gli obiettivi,<br />

le loro <strong>in</strong>cl<strong>in</strong>azioni relative e applicando semplici equazioni. Il<br />

cervello umano riesce a risolvere naturalmente queste equazioni<br />

a partire dal secondo, terzo anno di età. Nel c<strong>in</strong>ema 3D vero, cioè<br />

né d’animazione, né adattato <strong>in</strong> post-produzione, il film viene girato<br />

contemporaneamente da due videocamere ad alta risoluzione<br />

e velocità, montate l’una accanto all’altra con una certa distanza<br />

tra gli obiettivi. Macch<strong>in</strong>e di questo tipo molto diffuse sono per<br />

esempio la Red One e la Silicon Imag<strong>in</strong>g SI-2K Digital C<strong>in</strong>ema<br />

Camera (vedi Figura 2).<br />

Si tratta del 3D tradizionale e più conosciuto, che ha però il grosso<br />

limite di non poter rendere scene colorate, <strong>in</strong> quanto i filtri<br />

utilizzati lavorano proprio <strong>in</strong> frequenza su due soli colori (vedi<br />

Figura 3). La luce <strong>in</strong>fatti non è altro che un’oscillazione del campo<br />

elettromagnetico e per questo è detta onda elettromagnetica:<br />

i campi elettrico e magnetico oscillano <strong>in</strong> direzioni perpendicolari,<br />

tra loro e rispetto alla direzione di propagazione dell’onda.<br />

La frequenza di quest’ultima è semplicemente il numero di oscillazioni<br />

che compie nell’unità di tempo. L’unità di misura delle<br />

oscillazioni è l’Hz, un’oscillazione al secondo. In questo ambito<br />

si usa molto il terahertz (THz), che corrisponde a 10 9 Hz e ad<br />

una lunghezza d’onda di 3×10 5 nm (nanometri, 10 −9 m). Le due<br />

grandezze sono legate tra loro dalla semplice relazione λ = c ν , con<br />

λ lunghezza d’onda, c velocità della luce e ν frequenza. L’<strong>in</strong>sieme<br />

dei valori della frequenza della luce viene detto spettro e la f<strong>in</strong>estra<br />

del visibile (ovvero le frequenze della luce a cui i nostri occhi<br />

sono <strong>in</strong> media sensibili) va dai 400 ai 790 THz o, se si preferisce,<br />

dai 750 ai 380 nm. Il cervello percepisce le diverse frequenze<br />

sotto forma di colori, dal rosso (basse frequenze, grandi lunghezze<br />

d’onda) al violetto (alte frequenze, piccole lunghezze d’onda),<br />

come evidenziato nella Figura 4.<br />

accastampato num. 1, Giugno 2010 11


IL RESTO DEL NEUTRINO<br />

Figura 4 Spettro della luce, <strong>in</strong> cui è evidenziato l’<strong>in</strong>tervallo a cui l’occhio<br />

umano è <strong>in</strong> media sensibile. Qui sono riportati i valori della lunghezza<br />

d’onda <strong>in</strong> nm (nanometri, 10 −9 m) <strong>in</strong>vece delle frequenze.<br />

Figura 3 Esempio di anaglifo stampato su carta.<br />

zione di raggi lum<strong>in</strong>osi i cui campi sono diretti casualmente l’uno<br />

rispetto all’altro. Una luce si dice <strong>in</strong>vece polarizzata se la direzione<br />

di oscillazione del campo elettrico è costante nel tempo (tra le<br />

due situazioni ce ne sono <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ite <strong>in</strong>termedie, dette di luce parzialmente<br />

polarizzata). Dato che campo magnetico ed elettrico sono<br />

perpendicolari, qualsiasi direzione sul piano che <strong>in</strong>dividuano può<br />

essere scomposta <strong>in</strong> due contributi lungo due assi perpendicolari<br />

a scelta. Mediante speciali filtri è possibile selezionare una particolare<br />

direzione di polarizzazione e scartare l’altra: è il caso delle<br />

ben note lenti Polaroid (vedi Figura 6).<br />

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La stereoscopia permette di ricavare la<br />

distanza di un oggetto da una coppia di<br />

immag<strong>in</strong>i prese da due posizioni diverse<br />

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Le due immag<strong>in</strong>i stereoscopiche prendono il nome di stereogrammi<br />

e vengono stampate sulla stessa foto, ma mediante due colori<br />

complementari, tipicamente rosso e verde. I filtri sono costituiti<br />

da una coppia di lenti colorate montate su di un paio di occhiali<br />

(vedi Figura 5). Questi filtri sono costituti da sostanze che assorbono<br />

o riflettono tutto lo spettro tranne la piccola porzione relativa<br />

al proprio colore, che viene trasmessa e/o <strong>in</strong> parte riflessa.<br />

Essendo verde e rosso complementari, qu<strong>in</strong>di lontani <strong>in</strong> frequenza,<br />

un filtro rosso assorbe tutta la luce verde e viceversa. Così ad<br />

ogni occhio giunge solo la sequenza di immag<strong>in</strong>i che gli spetta e<br />

il cervello <strong>in</strong>terpreta la differenza tra i due flussi come distanza<br />

degli oggetti. Il sistema è estremamente economico, ma ormai<br />

superato.<br />

Luce polarizzata e la soluzione RealD<br />

La resa dei colori è <strong>in</strong>vece ottima mediante filtri che lavorano <strong>in</strong><br />

polarizzazione, nome con cui si <strong>in</strong>dica la direzione di oscillazione<br />

del campo elettrico. Normalmente la luce a cui siamo abituati<br />

non è polarizzata, nel senso che è composta da una sovrapposi-<br />

Figura 5 Schema di funzionamento del tradizionale c<strong>in</strong>ema 3D.<br />

Nel caso del c<strong>in</strong>ema 3D, qu<strong>in</strong>di, i due filmati, uno per l’occhio<br />

destro e l’altro per quello s<strong>in</strong>istro, vengono proiettati contemporaneamente<br />

sullo schermo da due proiettori s<strong>in</strong>cronizzati: di fronte<br />

a ognuno di essi è posto un polarizzatore, l<strong>in</strong>eare o circolare.<br />

Nel primo caso i campi elettrico e magnetico oscillano <strong>in</strong> fase,<br />

cioè raggiungono il loro valore massimo <strong>in</strong>sieme, mentre nel secondo<br />

<strong>in</strong> controfase: quando uno è massimo, l’altro è m<strong>in</strong>imo e<br />

viceversa.<br />

In questo modo agli occhi dello spettatore la luce dei due filmati<br />

giunge con due polarizzazioni <strong>in</strong>dipendenti e le lenti montate op-<br />

12 accastampato num. 1, Giugno 2010


IL RESTO DEL NEUTRINO<br />

(vedi Figura 8).<br />

Sono qu<strong>in</strong>di necessari schermi speciali, detti silverscreen perché<br />

trattati con particelle d’argento che, essendo un metallo, riflette<br />

quasi tutta la luce, lasciandone così <strong>in</strong>tatta la polarizzazione.<br />

Schermi costosi e che soprattutto non sono adatti alle classiche<br />

proiezioni 2D, perché troppo lum<strong>in</strong>osi: necessitano qu<strong>in</strong>di di sale<br />

dedicate alle sole proiezioni 3D.<br />

Figura 6 Schema <strong>in</strong>tuitivo del funzionamento di un filtro Polaroid.<br />

portunamente sugli occhiali selezionano quella corretta per ogni<br />

occhio. In altre parole, di fronte ad ogni proiettore c’è lo stesso filtro<br />

Polaroid montato davanti all’occhio a esso associato. La scelta<br />

dei due tipi di polarizzazione, l<strong>in</strong>eare o circolare, non è equivalente:<br />

nel primo caso i filtri del proiettore e dell’occhio associato<br />

sono uguali, cioè lasciano passare esattamente le stesse immag<strong>in</strong>i,<br />

solo se la testa dello spettatore è perfettamente verticale e qu<strong>in</strong>di<br />

all<strong>in</strong>eata con il filtro del proiettore. In questo caso piegare la testa<br />

di lato significa per ogni occhio vedere parte del filmato dest<strong>in</strong>ato<br />

all’altro perché i due filtri <strong>in</strong>cl<strong>in</strong>ati tra loro mescolano le due<br />

polarizzazioni, f<strong>in</strong>o a che l’effetto 3D non svanisce completamente.<br />

Nel caso della polarizzazione circolare questo problema non<br />

esiste, ma <strong>in</strong> compenso i filtri relativi sono più costosi e un po’<br />

meno efficienti: è il caso comunque della tecnologia più diffusa<br />

al momento, RealD (vedi Figura 7), che tra l’altro utilizza un solo<br />

proiettore a doppia velocità (48 fps, frames al secondo, con fotogrammi<br />

destro e s<strong>in</strong>istro alternati) e un filtro Polaroid oscillante,<br />

che polarizza <strong>in</strong> maniera opposta i fotogrammi alternati. Ciò dim<strong>in</strong>uisce<br />

sicuramente i costi, ma riduce anche sensibilmente la<br />

lum<strong>in</strong>osità delle immag<strong>in</strong>i, anche del 50%, a causa del lavoro dei<br />

filtri.<br />

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I filtri Polaroid permettono a ogni occhio<br />

di vedere solo il filmato a esso dedicato<br />

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Un elemento importante per i sistemi basati sulla polarizzazione<br />

della luce è lo schermo, <strong>in</strong> quanto la luce proiettata, prima di giungere<br />

agli occhi degli spettatori, deve essere da esso riflessa. Una<br />

superficie qualsiasi, però, come quella degli schermi classici, fa<br />

perdere irrimediabilmente polarizzazione alla luce <strong>in</strong>cidente: la<br />

rugosità della superficie <strong>in</strong> un certo senso mescola le carte, <strong>in</strong><br />

quanto ogni microsuperficie piana riflette la luce polarizzandola<br />

<strong>in</strong> parte lungo la direzione parallela a sé, che è diversa dalla direzione<br />

di polarizzazione <strong>in</strong>cidente e soprattutto casualmente diretta<br />

Figura 7 Occhiali polarizzatori del sistema RealD.<br />

Luce colorata e la soluzione Dolby3D<br />

La tecnologia concorrente alla RealD più accreditata al momento<br />

è quella della Dolby, Dolby3D (vedi Figura 9), basata <strong>in</strong>vece su un<br />

avanzato sistema di filtri <strong>in</strong> frequenza e il cui proiettore produce<br />

ben 144 fps, 72 per ogni occhio: ogni frame viene ripetuto tre<br />

volte consecutivamente.<br />

Figura 8 Una luce <strong>in</strong>cidente all’angolo di Brewster (specifico per ogni<br />

materiale e dipendente anche dalla frequenza) viene riflessa e assorbita<br />

<strong>in</strong> proporzioni diverse a seconda della polarizzazione.<br />

accastampato num. 1, Giugno 2010 13


IL RESTO DEL NEUTRINO<br />

Figura 9 Occhiali con filtri dicroici del sistema Dolby3D.<br />

Come nel caso RealD, il proiettore non è dedicato, purché assicuri<br />

velocità e risoluzioni richieste. Tra la lampada e l’ottica viene<br />

posto un filtro cromatico rotante (un disco diviso <strong>in</strong> sei settori colorati)<br />

che per ogni frame filtra un colore diverso. Tre settori sono<br />

rosso, verde e blu, gli altri hanno gli stessi colori, ma di una tonalità<br />

leggermente più chiara. Su uno schermo bianco normale arrivano<br />

<strong>in</strong> un 24-esimo di secondo le sei immag<strong>in</strong>i, riflesse verso gli<br />

spettatori. Le lenti degli occhiali sono filtri dicroici composti da<br />

qualche dec<strong>in</strong>a o cent<strong>in</strong>aia di strati atomici depositati sotto vuoto<br />

su un substrato di vetro. Hanno una f<strong>in</strong>estra di trasmissione <strong>in</strong><br />

frequenza molto stretta proprio attorno ai colori del filtro rotante,<br />

controllata con molta precisione variando lo spessore degli strati<br />

depositati. Il resto della luce viene riflesso e ciò, come nel caso<br />

di RealD, causa una dim<strong>in</strong>uzione notevole della lum<strong>in</strong>osità. In<br />

questo modo, comunque, a ogni occhio giungono solo i rispettivi<br />

tre fotogrammi colorati, che il cervello comb<strong>in</strong>a <strong>in</strong> un’immag<strong>in</strong>e<br />

tridimensionale a colori reali (vedi Figura 10).<br />

I vantaggi di questa soluzione rispetto alle concorrenti sono molti:<br />

occhiali passivi, qu<strong>in</strong>di economici quasi quanto quelli della<br />

RealD, costi contenuti, ma soprattutto la possibilità di adattare <strong>in</strong><br />

poco tempo qualsiasi sala c<strong>in</strong>ematografica 2D, purché dotata di<br />

un proiettore digitale moderno, <strong>in</strong> maniera non permanente grazie<br />

all’uso dello schermo standard e alla rimovibilità del filtro rotante<br />

colorato. Un punto a favore molto importante per la rapida<br />

estensione di questa tecnologia.<br />

Schermi LCD<br />

Un’ulteriore tecnologia 3D, messa <strong>in</strong> campo per prima dalla nVidia<br />

per il settore videoludico, si basa su particolari occhiali attivi<br />

le cui lenti, dette shutters, possono oscurarsi alternativamente,<br />

passando da uno stato di trasmissione totale della luce a uno di<br />

riflessione <strong>in</strong> pochi centesimi di secondo. Le lenti sono costituite<br />

da uno strato di cristalli liquidi che si orientano opportunamente<br />

quando sono sottoposti a una differenza di potenziale, esattamente<br />

come i ben conosciuti schermi LCD (Liquid Crystal Display).<br />

Nel caso <strong>in</strong> esame rendono semplicemente la lente trasparente o<br />

opaca. Un proiettore a doppia velocità (48 fps) alterna i fotogram-<br />

Figura 10 Schema di funzionamento del sistema Dolby3D. 1) Colori<br />

primari nei proiettori del c<strong>in</strong>ema 2D standard. 2) Nel Dolby3D ogni<br />

colore primario è separato <strong>in</strong> due tonalità, una per l’occhio s<strong>in</strong>istro e<br />

l’altra per il destro. 3) Dato che per ogni occhio sono usati tutti e tre i<br />

colori primari, la resa cromatica f<strong>in</strong>ale è realistica.<br />

mi dest<strong>in</strong>ati ai due occhi e gli occhiali sono a esso s<strong>in</strong>cronizzati<br />

mediante un sistema wireless, <strong>in</strong> modo da selezionare il giusto<br />

fotogramma per ogni occhio (vedi Figura 11).<br />

Le lenti sono basate sulle peculiari proprietà ottiche dei cristalli<br />

liquidi, che rispondono a campi elettrici esterni orientandosi parallelamente<br />

a essi. Tale liquido è <strong>in</strong>trappolato fra due superfici<br />

vetrose provviste di contatti elettrici, ognuno dei quali comanda<br />

una piccola porzione del pannello identificabile come un pixel.<br />

Sulle facce esterne dei pannelli vetrosi sono poi posti due filtri<br />

polarizzatori disposti su assi perpendicolari tra loro. I cristalli<br />

liquidi, quando sono orientati casualmente, sono <strong>in</strong> grado di ruotare<br />

di 90 ◦ la polarizzazione della luce che arriva da uno dei polarizzatori,<br />

permettendole di passare attraverso l’altro. Quando il<br />

campo elettrico viene attivato, <strong>in</strong>vece, le molecole del liquido si<br />

all<strong>in</strong>eano parallelamente a esso, limitando la rotazione della luce<br />

<strong>in</strong> <strong>in</strong>gresso. A un all<strong>in</strong>eamento completo dei cristalli, corrisponde<br />

una luce polarizzata perpendicolarmente al secondo polarizzatore,<br />

che qu<strong>in</strong>di la blocca del tutto (pixel opaco). Controllando la<br />

torsione dei cristalli liquidi <strong>in</strong> ogni pixel, proporzionale al campo<br />

elettrico applicato, si può dunque regolare quanta luce far passare.<br />

Questa tecnologia, che non fa uso di filtri né <strong>in</strong> frequenza né <strong>in</strong><br />

14 accastampato num. 1, Giugno 2010


IL RESTO DEL NEUTRINO<br />

Figura 11 Alcuni esempi di occhiali LCD Shutters.<br />

polarizzazione, risolve alla radice alcuni problemi, come la non<br />

perfetta resa cromatica del primo caso, ma riduce sensibilmente<br />

la lum<strong>in</strong>osità e ha il costo più alto <strong>in</strong> assoluto (ogni occhiale può<br />

raggiungere i 100$). È però la più accreditata, come dimostra<br />

l’offerta dedicata all’Home Enterte<strong>in</strong>ment di nVidia, per il prossimo<br />

futuro dell’Home C<strong>in</strong>ema 3D, soprattutto alla luce dei moderni<br />

schermi LCD o al plasma con frequenze di aggiornamento<br />

di 200 Hz o più.<br />

A marg<strong>in</strong>e segnalo che la Creative offre una soluzione ulteriore e<br />

radicale con il suo nuovo sistema MyVu, <strong>in</strong> cui all’<strong>in</strong>terno degli<br />

occhiali sono montati veri e propri schermi LCD opportunamente<br />

messi a fuoco da lenti ottiche: semplicemente <strong>in</strong>filandosi gli occhiali,<br />

si può vedere il filmato scelto come <strong>in</strong> un sistema head-up<br />

(schermo virtuale sovrapposto alla realtà esterna) con una risoluzione<br />

di 640x480 a 24 bit di profondità di colore e una frequenza<br />

di aggiornamento di 60Hz, vale a dire una qualità equivalente al<br />

dvd, ma non ancora all’alta def<strong>in</strong>izione del blu-ray.<br />

Per ora non si parla di funzionalità 3D, ma è evidente che un<br />

semplice sistema di <strong>in</strong>put a doppio canale video, uno per ogni<br />

schermo, lo permetterebbe. Soluzione sicuramente <strong>in</strong>teressante<br />

per l’<strong>in</strong>trattenimento privato, a differenza evidentemente di quello<br />

c<strong>in</strong>ematografico.<br />

Commenti<br />

A mio avviso nelle tecnologie appena elencate c’è un problema<br />

di fondo che non è legato alla particolare implementazione usata,<br />

ma proprio alle caratteristiche <strong>in</strong>tr<strong>in</strong>seche della fotografia e della<br />

stereoscopia. Il sistema visivo umano è tale che la messa a fuoco<br />

è automatica e segue il processo attentivo: il punto della scena<br />

su cui poniamo attenzione è sempre messo a fuoco (nei soggetti<br />

sani o portatori di occhiali correttivi, naturalmente), a meno che<br />

non cerchiamo consapevolmente di vedere zone sfocate dell’immag<strong>in</strong>e<br />

(il classico caso delle gocce su una f<strong>in</strong>estra). Nella fotografia<br />

(sia da stampa che c<strong>in</strong>ematografica), <strong>in</strong>vece, l’estensione<br />

della zona di messa a fuoco (profondità di campo) è limitata, soprattutto<br />

per scene miste con oggetti sia <strong>in</strong> primo piano che sullo<br />

sfondo. Guardando una foto o un film bidimensionale noi vediamo<br />

le zone sfocate e non possiamo ovviamente metterle a fuoco<br />

ulteriormente. Usiamo però quest’<strong>in</strong>formazione per ricostruire<br />

idealmente le distanze relative tra i vari oggetti, partendo dal presupposto<br />

che gli oggetti più lontani siano più sfocati rispetto all’oggetto<br />

<strong>in</strong> primo piano, a fuoco. Nel caso del c<strong>in</strong>ema 3D, però,<br />

noi già vediamo una scena tridimensionale e l’<strong>in</strong>formazione data<br />

dalle zone fuori fuoco non serve. Porre qu<strong>in</strong>di l’attenzione su queste<br />

zone dà fastidio, soprattutto se ci sono oggetti <strong>in</strong> movimento,<br />

che evidenziano l’omonimo effetto (motion blur, <strong>in</strong> <strong>in</strong>glese).<br />

Curiosamente questo permette al<br />

regista, che decide dove mettere<br />

a fuoco la scena, di catturare<br />

molto di più l’attenzione dello<br />

spettatore sui particolari che gli<br />

<strong>in</strong>teressa sottol<strong>in</strong>eare, quasi costr<strong>in</strong>gendolo<br />

a guardare ciò che<br />

vuole.<br />

Bibliografia<br />

(1) Anaglifia: http://en.wikipedia.org/wiki/<br />

Anaglyph_image<br />

(2) Semplice tutorial per realizzare stereogrammi:<br />

http://dicillo.blogspot.com/2007/07/<br />

tutorial-stereografia-come-realizzare.html<br />

(3) Silicon Imag<strong>in</strong>g SI-2K Digital Camera:<br />

www.siliconimag<strong>in</strong>g.com/DigitalC<strong>in</strong>ema/SI_2K_<br />

key_features.html<br />

(4) 3DStereo.it: www.3Dstereo.it<br />

(5) Bob’s trip <strong>in</strong>to Dolby3D Technology:<br />

www.moviestripe.com/dolby3D/<br />

(6) The Dolby solution to Digital 3D:<br />

http://www.edcf.net/edcf_docs/dolby-3D.<strong>pdf</strong><br />

(7) Dolby3D: http://www.dolby.com/consumer/<br />

technology/dolby-3D.html<br />

(8) Filtri dicroici: http://en.wikipedia.org/wiki/<br />

Dichroic_filter<br />

(9) LCD: http://it.wikipedia.org/wiki/LCD<br />

(10) Creative MyVu: www.tecnologiecreative.it/<br />

schede/MyVu_Edge_301/<strong>in</strong>dex.html<br />

Sull’autore<br />

Alessio Cimarelli (jenk<strong>in</strong>@accatagliato.org)<br />

si è laureato <strong>in</strong> Fisica nel settembre 2009 alla Sapienza<br />

di Roma, con una tesi sul comportamento collettivo<br />

degli stormi di uccelli <strong>in</strong> volo (progetto Starflag).<br />

È tra gli ispiratori e gli amm<strong>in</strong>istratori del portale<br />

accatagliato.org. Al momento frequenta<br />

il Master <strong>in</strong> Comunicazione Scientifica alla Sissa<br />

di Trieste, collaborando attivamente con il portale<br />

accatagliato.org e la rivista accastampato.<br />

accastampato num. 1, Giugno 2010 15


Il comportamento<br />

collettivo animale<br />

Una grande varietà di specie animali mostrano spesso comportamenti di gruppo simili<br />

Alessio Cimarelli<br />

(Gruppo STARFLAG, CNR/INFM)<br />

Con il term<strong>in</strong>e comportamento collettivo si <strong>in</strong>tende<br />

l’emergenza di proprietà di un gruppo irriducibili a<br />

quelle dei s<strong>in</strong>goli <strong>in</strong>dividui che lo compongono, caratteristiche<br />

per lo più dipendenti dalle mutue <strong>in</strong>terazioni<br />

tra di essi. Condizione fondamentale per un comportamento<br />

emergente è che ogni <strong>in</strong>dividuo <strong>in</strong>teragisca con gli altri alla pari,<br />

con le stesse modalità, che non ci siano cioè elementi primari<br />

(ad es. leader) che dett<strong>in</strong>o il comportamento ad altri elementi<br />

secondari, né elementi esterni che <strong>in</strong>fluiscano globalmente sul sistema,<br />

<strong>in</strong>dividuo per <strong>in</strong>dividuo <strong>in</strong>dipendentemente. Le <strong>in</strong>terazioni<br />

hanno normalmente natura locale, vale a dire che ogni <strong>in</strong>dividuo<br />

<strong>in</strong>teragisce con un numero limitato di altri suoi simili, rimanendo<br />

sostanzialmente all’oscuro del comportamento globale del gruppo<br />

a cui appartiene, molto più vasto della sua sfera di <strong>in</strong>terazione.<br />

Spesso l’<strong>in</strong>terazione con un ambiente esterno d<strong>in</strong>amico è centrale,<br />

specialmente nei sistemi biologici. Il pr<strong>in</strong>cipale <strong>in</strong>dizio della<br />

presenza di un comportamento collettivo è l’apparire di patterns<br />

macroscopici ord<strong>in</strong>ati, di configurazioni particolari e persistenti<br />

del sistema su scala maggiore dell’estensione dei s<strong>in</strong>goli <strong>in</strong>dividui.<br />

Questa è una condizione necessaria, ma non sufficiente, <strong>in</strong><br />

quanto ci sono casi <strong>in</strong> cui è sufficiente il teorema del Limite Centrale<br />

(box a pag. 20) dei processi aleatori per spiegare fenomeni<br />

ord<strong>in</strong>ati e apparentemente coord<strong>in</strong>ati (2).<br />

I pr<strong>in</strong>cipi base dell’auto-organizzazione, condizione primaria del<br />

comportamento collettivo emergente, possono essere <strong>in</strong>dividuati<br />

<strong>in</strong> feedback positivi e negativi, <strong>in</strong> meccanismi di amplificazione<br />

di fluttuazioni casuali, di <strong>in</strong>ibizione, catalizzazione, risposta a soglia,<br />

ridondanza e s<strong>in</strong>cronizzazione (2). Tutta la ricerca che <strong>in</strong><br />

questi decenni è andata sotto il nome di complessità ha <strong>in</strong>segnato<br />

che meccanismi di questo genere possono prodursi a partire da<br />

elementi legati tra loro da semplici regole, per lo più di natura<br />

non l<strong>in</strong>eare. Ha <strong>in</strong>segnato come normalmente ci sia un parametro<br />

critico, <strong>in</strong>terno o esterno al sistema, il cui valore permette la<br />

presenza o meno di uno stato ord<strong>in</strong>ato, l’emersione qu<strong>in</strong>di di un<br />

comportamento collettivo: la teoria delle transizioni di fase e dei<br />

fenomeni critici è una delle maggiori conquiste della Fisica moderna<br />

e sta dimostrando di essere applicabile con successo a tutti<br />

i fenomeni che mostr<strong>in</strong>o auto-organizzazione.<br />

Nel caso di sistemi biologici, però, non si può presc<strong>in</strong>dere dall’evoluzione<br />

e dalla selezione naturale dovute all’<strong>in</strong>terazione cont<strong>in</strong>ua<br />

e profonda con l’ambiente, per cui devono essere considerati<br />

anche meccanismi di massimizzazione della sopravvivenza e<br />

m<strong>in</strong>imizzazione dei rischi, sia per gli <strong>in</strong>dividui, sia per l’<strong>in</strong>tero<br />

gruppo. In un’ottica evolutiva l’aggregazione nel mondo biologico<br />

porta all’emersione di nuove funzioni che il gruppo riesce<br />

a espletare molto meglio del s<strong>in</strong>golo <strong>in</strong>dividuo o che sono addirittura<br />

fuori dalla portata di quest’ultimo. Esempi sono l’abilità<br />

di costruire un formicaio, di regolare termicamente un alveare,<br />

di procacciarsi il cibo, di difendersi dai predatori, di aumentare<br />

l’efficacia delle scelte <strong>in</strong> un processo decisionale complesso (2).<br />

Figura 1 A s<strong>in</strong>istra, Lunepithema humile; a destra, code di turisti.<br />

Tutto ciò può far pensare che la selezione naturale abbia <strong>in</strong>dividuato<br />

nel comportamento collettivo un efficace mezzo per sopravvivere<br />

meglio all’ambiente, ma spesso questa connessione non è<br />

affatto immediata. Ad esempio l’aggregarsi <strong>in</strong> certi casi aiuta a<br />

difendersi dai predatori, ma <strong>in</strong> altri li attira: si pensi ai banchi di<br />

pesci, un <strong>in</strong>cubo per gli squali, ma una benedizione per i pescatori.<br />

Inoltre i s<strong>in</strong>goli animali sono molto più complessi di qualsiasi molecola<br />

e nel comportamento collettivo le d<strong>in</strong>amiche sociali devono<br />

sempre confrontarsi con quelle <strong>in</strong>dividuali: ad esempio la ricerca<br />

di cibo all’<strong>in</strong>terno di una mandria è più efficiente, ma <strong>in</strong> caso<br />

di risorse scarse richiede la suddivisione tra tutti i suoi membri.<br />

Questo che potremmo def<strong>in</strong>ire dilemma dell’<strong>in</strong>dividualità si può<br />

tradurre nella domanda: su che scala agisce la selezione? Quali<br />

variabili determ<strong>in</strong>ano il punto oltre il quale il comportamento collettivo<br />

si esplica <strong>in</strong> configurazioni realmente adattative e con quali<br />

modalità? Queste domande appaiono ancora più importanti alla<br />

luce degli studi che hanno mostrato come l’auto-organizzazione<br />

sia un <strong>in</strong>grediente centrale anche a livello genetico e di sviluppo<br />

dell’embrione.<br />

Nel seguito, senza alcuna pretesa di essere esaustivo o esauriente,<br />

presenterò e descriverò una parte degli studi sulla grande varietà<br />

di fenomeni biologici che a buon titolo rientrano nella categoria<br />

comportamento collettivo, sia dal punto di vista biologico e spe-<br />

16 accastampato num. 1, Giugno 2010


IL RESTO DEL NEUTRINO<br />

Figura 2 A s<strong>in</strong>istra, alveare di api; a destra, traffico a Los Angeles.<br />

rimentale, che da quello matematico e computazionale. Il tutto<br />

corredato da suggestive immag<strong>in</strong>i che appartengono alla nostra<br />

esperienza quotidiana, ma che celano fenomeni naturali ancora<br />

non del tutto compresi.<br />

Colonie di formiche<br />

Una delle prime evidenze della presenza di meccanismi di autoorganizzazione<br />

nel mondo biologico si è avuta studiando le formiche<br />

(famiglia delle Formicidae, a cui appartengono più di 12000<br />

specie, componenti il 10% dell’<strong>in</strong>tera biomassa animale e il 50%<br />

di quella degli <strong>in</strong>setti) e il loro sistema di comunicazione e coord<strong>in</strong>amento<br />

basato su tracce chimiche di feromone. In molte specie<br />

le formiche operaie (foragers) rilasciano durante il loro camm<strong>in</strong>o<br />

una sostanza volatile rilevabile dalle altre, con cui riescono a tracciare<br />

una pista <strong>in</strong>visibile dal formicaio alle risorse di cibo. Essendo<br />

volatile, la persistenza della pista dipende dalla frequenza del<br />

suo utilizzo da parte delle formiche, che la rafforzano seguendola.<br />

Questo è un tipico esempio di feedback positivo, unitamente<br />

a un meccanismo di <strong>in</strong>ibizione (la volatilità del feromone). La<br />

possibilità che si <strong>in</strong>stauri un procacciamento stabile di cibo basato<br />

sulle tracce di feromone dipende fortemente dal numero di<br />

operaie impegnate <strong>in</strong> questo compito, o <strong>in</strong> altre parole dalla dimensione<br />

del formicaio: vari esperimenti hanno dimostrato che il<br />

passaggio da una ricerca <strong>in</strong>dividuale e casuale a una basata sulle<br />

tracce chimiche ha le stesse caratteristiche delle transizioni di<br />

fase del primo ord<strong>in</strong>e, confermate anche da simulazioni apposite<br />

(vedi box a pag<strong>in</strong>a 29).<br />

Storicamente lo studio delle società di <strong>in</strong>setti è considerato alla<br />

base del paradigma dell’auto-organizzazione, perché <strong>in</strong>izialmente<br />

le <strong>in</strong>credibili capacità del formicaio o dell’alveare nel risolvere<br />

problemi molto al di là delle capacità della s<strong>in</strong>gola formica<br />

o ape apparivano <strong>in</strong>comprensibili senza appellarsi a improbabili<br />

capacità percettive e comunicative della reg<strong>in</strong>a. Poi, attraverso<br />

osservazioni, modelli e soprattutto un cambio di paradigma <strong>in</strong>terpretativo,<br />

è stata <strong>in</strong>dividuata tutta una serie di abilità e comportamenti<br />

con alla base meccanismi auto-organizzativi. Ad esempio<br />

la presenza di fenomeni di biforcazione e di rottura spontanea di<br />

una simmetria: <strong>in</strong> un classico esperimento si costruiscono due vie<br />

identiche ma alternative tra il formicaio e una risorsa di cibo e si<br />

scopre che, superato un certo numero di operaie, l’utilizzo prima<br />

simmetrico di esse viene a mancare <strong>in</strong> favore di un solo camm<strong>in</strong>o<br />

(cfr. Figura 3). In questo caso le leggere differenze <strong>in</strong>iziali nel<br />

numero di formiche che si dirigono da una parte o dall’altra divengono<br />

determ<strong>in</strong>anti per la scelta f<strong>in</strong>ale del percorso. Da notare<br />

che se le due vie sono diverse, per esempio una più lunga dell’altra,<br />

la deposizione del feromone fa sì che sia più concentrato<br />

lungo la via più breve e che qu<strong>in</strong>di a regime sia sempre questa la<br />

più usata dalle operaie.<br />

È <strong>in</strong>teressante anche un altro esperimento che dimostra come sia<br />

importante nei sistemi biologici un buon bilanciamento tra comportamento<br />

sociale e <strong>in</strong>dividuale, quest’ultimo modellizzabile <strong>in</strong><br />

qualche caso come rumore statistico. Tale concetto è chiarito da<br />

un semplice esempio. Introducendo una risorsa di cibo nei pressi<br />

di un formicaio, dopo qualche tempo una formica scout la <strong>in</strong>dividuerà<br />

e, nel caso ci siano abbastanza operaie, si formerà una traccia<br />

persistente e un flusso stabile di cibo. Introducendo ora una<br />

nuova risorsa più energetica, la possibilità che il formicaio la scopra<br />

e la sfrutti dipende dall’accuratezza delle formiche nel seguire<br />

la vecchia traccia. Se fossero tutte <strong>in</strong>fallibili, <strong>in</strong>fatti, non abbandonerebbero<br />

mai un percorso già fissato. Solo se le caratteristiche<br />

comportamentali <strong>in</strong>dividuali sono abbastanza forti le operaie sono<br />

<strong>in</strong>vece <strong>in</strong> grado di stabilire una nuova traccia verso la nuova<br />

risorsa, abbandonando la vecchia (3).<br />

Da quando il meccanismo delle tracce chimiche è stato scoperto,<br />

si è dimostrato che è alla base di numerose abilità delle formiche:<br />

raccolta di cibo, ottimizzazione dei percorsi anche sulla scala dei<br />

chilometri (4), strategie di combattimento, costruzione di formi-<br />

Figura 3 Esempi di configurazioni auto-organizzate nelle colonie di formiche<br />

(3). A s<strong>in</strong>istra, selezione spontanea di un percorso verso il cibo<br />

attraverso un ponte a diamante da parte di Lasius niger; a destra, gocce<br />

di Lunepithema humile cadono non appena raggiungono una taglia<br />

critica.<br />

accastampato num. 1, Giugno 2010 17


IL RESTO DEL NEUTRINO<br />

Figura 4 A s<strong>in</strong>istra, stormo di pipistrelli; a destra, sciame di locuste.<br />

cai sotterranei. Appare ora chiaro del perché quello degli <strong>in</strong>setti<br />

sia un esempio paradigmatico: a fronte di <strong>in</strong>terazioni non l<strong>in</strong>eari<br />

locali dirette (contatto e sfregamento) e <strong>in</strong>dirette (deposito di feromone),<br />

grazie a meccanismi di feedback positivo (rafforzamento<br />

della traccia) e negativo (volatilità del feromone), si produce un<br />

qualche tipo di transizione di fase dipendente dalle dimensioni<br />

del formicaio, da cui emergono abilità collettive che amplificano<br />

enormemente le capacità dei s<strong>in</strong>goli <strong>in</strong>setti.<br />

scale differenti. La fase ord<strong>in</strong>ata è <strong>in</strong>dividuata dal grado di all<strong>in</strong>eamento<br />

dei pesci e anche <strong>in</strong> questo caso sono stati forniti <strong>in</strong>dizi<br />

della presenza di una transizione dal disord<strong>in</strong>e all’ord<strong>in</strong>e al<br />

variare della densità.<br />

I primi tentativi di analisi quantitativa risalgono a metà degli anni<br />

’70, con un lavoro di Graves <strong>in</strong> cui si presenta un sett<strong>in</strong>g sperimentale<br />

orig<strong>in</strong>ale per fotografare banchi di pesci nel loro ambiente<br />

naturale e stimarne densità e distanza media di primo vic<strong>in</strong>o.<br />

Dal 1983 si <strong>in</strong>izia a utilizzare la tecnica stereoscopica per ricostruire<br />

le posizioni <strong>in</strong>dividuali dei pesci all’<strong>in</strong>terno del banco, ottenendone<br />

una stima della densità, delle distanze reciproche, della<br />

distanza media di primo vic<strong>in</strong>o, della forma e delle proporzioni.<br />

Vengono utilizzate tecniche di videofotografia stereo e un algoritmo<br />

di track<strong>in</strong>g per ricostruire le velocità dei pesci e <strong>in</strong>dividuare<br />

così l’emergenza di una fase con forte all<strong>in</strong>eamento a partire dalle<br />

<strong>in</strong>terazioni di primo vic<strong>in</strong>o <strong>in</strong> tre dimensioni, ma limitandosi a<br />

soli 8 pesci.<br />

Sciami di locuste<br />

Le locuste sono <strong>in</strong>setti molto particolari il cui comportamento collettivo<br />

è purtroppo tristemente famoso: per lunghi periodi della<br />

propria vita sono <strong>in</strong>setti solitari, che tendono a mantenere territori<br />

separati l’uno dall’altro, ma <strong>in</strong> vari momenti attraversano fasi<br />

di aggregazione, formando sciami di miliardi di <strong>in</strong>dividui capaci<br />

di devastare completamente qualsiasi terreno attravers<strong>in</strong>o, <strong>in</strong>clusi<br />

naturalmente quelli coltivati dall’uomo (5). Per avere un’idea<br />

dell’imponenza di questi sciami, le loro dimensioni possono raggiungere<br />

i 1000km 2 con una densità media di ben 50 milioni di<br />

locuste per km 2 , viaggianti a 10–15 km/h per migliaia di km: tenendo<br />

conto che ogni <strong>in</strong>setto mangia l’equivalente del proprio peso<br />

al giorno, si sta parlando di un consumo dello sciame pari a 200<br />

milioni di kg al giorno! Le d<strong>in</strong>amiche <strong>in</strong>terne di questi sciami<br />

sembrano simili a quelle dei fluidi e sono trattabili matematicamente<br />

<strong>in</strong> modo analogo, cioè mediante modelli cont<strong>in</strong>ui, grazie<br />

alle loro dimensioni e densità. Il pr<strong>in</strong>cipale problema è capire come<br />

possa mantenersi la coesione dello sciame su dimensioni così<br />

grandi rispetto a quelle del s<strong>in</strong>golo <strong>in</strong>setto e i meccanismi che<br />

sono alla base della transizione alla fase di aggregazione.<br />

Banchi di pesci<br />

Tra le <strong>in</strong>numerevoli specie di pesci molte presentano comportamenti<br />

di aggregazione, che orig<strong>in</strong>ano da <strong>in</strong>terazioni diverse da<br />

quelle viste per le formiche.<br />

Non si tratta ora di utilizzare l’ambiente come deposito del proprio<br />

segnale perché l’<strong>in</strong>terazione è diretta, riassumibile nella terna<br />

di regole repulsione-all<strong>in</strong>eamento-attrazione, ognuna agente a<br />

Figura 5 Qualche esempio suggestivo di banchi di pesci nella loro fase<br />

di aggregazione.<br />

Sono poi videoregistrati gruppi di Nile Pilatias (Oreochromis niloticus<br />

L.) di un cent<strong>in</strong>aio di elementi, costretti però a muoversi <strong>in</strong><br />

due dimensioni all’<strong>in</strong>terno di una vasca opportunamente progettata.<br />

Su tempi di dec<strong>in</strong>e di secondi Becco et al. hanno tracciato le<br />

traiettorie dei s<strong>in</strong>goli pesci e sono stati <strong>in</strong> grado di portare a term<strong>in</strong>e<br />

analisi sulla struttura e sulla d<strong>in</strong>amica del banco <strong>in</strong> funzione<br />

della sua densità: distribuzione delle distanze di primo vic<strong>in</strong>o e<br />

grado di all<strong>in</strong>eamento hanno mostrato <strong>in</strong>dizi di una transizione di<br />

fase disord<strong>in</strong>e-ord<strong>in</strong>e a una densità critica di circa 500 pesci/m 2 .<br />

Purtroppo f<strong>in</strong>o a ora conclusioni sperimentali quantitative sono<br />

praticamente assenti, a causa di grandi problemi metodologici<br />

non ancora del tutto risolti: estrema ristrettezza della base statistica<br />

dovuta allo studio di non più di un cent<strong>in</strong>aio di pesci, forti<br />

bias <strong>in</strong>trodotti dalle dimensioni e forme delle vasche, limitazioni<br />

dovute alle tecniche di tracciamento dei pesci e da una non<br />

sempre corretta gestione degli effetti di taglia f<strong>in</strong>ita.<br />

Da un punto di vista etologico e biologico molto lavoro è stato fatto<br />

per comprendere la funzione adattativa delle varie caratteristiche<br />

della fase ord<strong>in</strong>ata, tra cui la forma del banco, i profili <strong>in</strong>terni<br />

18 accastampato num. 1, Giugno 2010


IL RESTO DEL NEUTRINO<br />

Figura 6 A s<strong>in</strong>istra, mandria di bufali; a destra, formiche Matabele.<br />

di densità, le posizioni dei pesci collegate alla loro grandezza o al<br />

grado di familiarità, ecc. Le due funzioni primarie sono senz’altro<br />

la protezione dai predatori e la ricerca di cibo, mentre i meccanismi<br />

di base <strong>in</strong>dividuati vanno nel primo caso dalla diluizione<br />

del rischio all’effetto di confusione, dalla capacità di <strong>in</strong>dividuare<br />

prima il predatore al coord<strong>in</strong>amento di manovre di evasione,<br />

mentre nel secondo caso consistono <strong>in</strong> una maggiore velocità di<br />

trasferimento dell’<strong>in</strong>formazione sulla distribuzione delle risorse<br />

di cibo (per un’ampia lista di referenze, cfr. (1)).<br />

I banchi di pesci sono anche alla base di moltissimi modelli, poi<br />

efficacemente adattati anche ad altre specie animali come gli uccelli:<br />

le <strong>in</strong>terazioni dirette a corto raggio descritte prima sono facilmente<br />

implementabili <strong>in</strong> algoritmi bottom-up che hanno dimostrato<br />

di poter riprodurre non solo la transizione alla fase ord<strong>in</strong>ata,<br />

ma anche parte delle caratteristiche di quest’ultima riscontrate <strong>in</strong><br />

vari esperimenti.<br />

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -<br />

È possibile ricavare il comportamento<br />

collettivo simulando semplici modelli al<br />

computer<br />

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -<br />

Stormi di uccelli<br />

Nel caso degli uccelli, l’approccio sperimentale è ancora più problematico<br />

rispetto al caso dei pesci, dato che non è possibile ricorrere<br />

a una situazione controllata <strong>in</strong> laboratorio ed è obbligatorio<br />

considerare tutte e tre le dimensioni spaziali (6). A parte<br />

lavori pionieristici degli anni ’60, nel ’78 vi è la prima ricostruzione<br />

delle posizioni degli uccelli, limitata a 70 <strong>in</strong>dividui <strong>in</strong> volo<br />

dalle campagne ai dormitori, seguita da quella delle traiettorie<br />

complete di poco più di 16 <strong>in</strong>dividui.<br />

È evidente come qualsiasi analisi su una base di dati così ristretta<br />

non possa che portare a risultati solo qualitativi, con il rischio di<br />

<strong>in</strong>trodurre bias non controllabili (si pensi al problema del bordo:<br />

<strong>in</strong> tre dimensioni trattare piccoli gruppi significa considerare per<br />

lo più <strong>in</strong>dividui sul bordo e qu<strong>in</strong>di ottenere risultati pesantemente<br />

affetti da problemi di taglia f<strong>in</strong>ita). Il problema primario di questa<br />

mancanza di dati sperimentali nello studio degli uccelli sta prevalentemente<br />

nelle tecniche di ricostruzione delle posizioni che non<br />

possono essere chiaramente <strong>in</strong>vasive e devono essere implementate<br />

sul campo. Per questi motivi sono tecniche per lo più di tipo<br />

ottico (stereoscopia, metodo ortogonale) che prevedono l’utilizzo<br />

di immag<strong>in</strong>i s<strong>in</strong>crone del gruppo e che richiedono di risolvere<br />

esplicitamente il problema del match<strong>in</strong>g, cioè il riconoscimento<br />

dello stesso <strong>in</strong>dividuo <strong>in</strong> ogni immag<strong>in</strong>e (6). Queste difficoltà<br />

hanno reso per decenni impossibile una comparazione adeguata<br />

tra modelli teorici, numerici e dati sperimentali, perché il comportamento<br />

collettivo emerge all’aumentare del numero di <strong>in</strong>dividui<br />

e limitarsi a piccoli gruppi spesso non permette di studiarne<br />

efficacemente le caratteristiche globali.<br />

Figura 7 Esempi degli stormi più suggestivi visibili a Roma nel periodo<br />

<strong>in</strong>vernale (foto dell’autore e della squadra STARFLAG).<br />

D<strong>in</strong>amiche di folla<br />

A volte si dice che l’<strong>in</strong>telligenza di una folla di persone è <strong>in</strong>versamente<br />

proporzionale al numero di cervelli che la compongono.<br />

Questa massima deriva dall’osservazione che spesso le d<strong>in</strong>amiche<br />

<strong>in</strong>terne di una folla appaiono irrazionali se viste dall’esterno,<br />

tanto da produrre veri e propri disastri nelle situazioni di pericolo,<br />

vero o presunto, che scatenano il panico. Si pensi a <strong>in</strong>cendi <strong>in</strong> edifici<br />

chiusi, ma anche a concerti di star famose o all’apertura della<br />

stagione dei saldi <strong>in</strong> alcuni grandi magazz<strong>in</strong>i. Questi fenomeni<br />

sono <strong>in</strong> aumento con il crescere delle dimensioni di eventi che attirano<br />

grandi masse, ma è solo da poco più di un decennio che si<br />

stanno studiando e sviluppando teorie quantitative e modelli delle<br />

d<strong>in</strong>amiche di folla (7).<br />

Simulazioni di questo tipo hanno permesso di migliorare la comprensione<br />

di questi fenomeni e <strong>in</strong>dividuare tutti quegli elementi,<br />

architettonici e psicologici, che contribuiscono a rallentare o a<br />

rendere più pericolosa la fuga <strong>in</strong> situazioni di panico: ad esempio<br />

uscite strette o allargamenti prima delle uscite ostacolano il<br />

deflusso, che <strong>in</strong>vece è facilitato dalla presenza di colonne poste<br />

asimmetricamente di fronte alla uscite che spezzano gli <strong>in</strong>gorghi.<br />

Inoltre sono risultati utili nello studio anche di altre formazioni,<br />

come il traffico automobilistico o le ola negli stadi.<br />

accastampato num. 1, Giugno 2010 19


IL RESTO DEL NEUTRINO<br />

chiaramente dallo studio dei modelli, sia analitici che numerici,<br />

che mostrerò nel dettaglio <strong>in</strong> un prossimo articolo dedicato<br />

al comportamento collettivo animale.<br />

Bibliografia<br />

Figura 8 A s<strong>in</strong>istra, folla a Longchamp, Parigi; a destra, sciame di batteri<br />

M. Xanthus.<br />

Conclusioni<br />

Da questa breve panoramica delle specie animali che mostrano<br />

peculiari comportamenti collettivi emerge una delle caratteristiche<br />

fondamentali e più <strong>in</strong>teressanti di questi sistemi: d<strong>in</strong>amiche<br />

macroscopiche simili a fronte di elementi microscopici estremamente<br />

diversi tra loro. Si tratta di un qualche tipo di universalità<br />

del comportamento collettivo, che apparirà ancora più<br />

Il Teorema del Limite Centrale<br />

(1) Cimarelli A., Funzioni di struttura e correlazioni di velocità <strong>in</strong> stormi di uccelli<br />

<strong>in</strong> volo: un’analisi empirica nell’ambito del progetto Starflag, Tesi magistrale<br />

(Settembre 2009)<br />

(2) Sumpter D.J.T., The pr<strong>in</strong>ciples of collective animal behaviour, <strong>in</strong> Phil. Trans.<br />

R. Soc. B, vol. 361:5–22 (2006)<br />

(3) Detra<strong>in</strong> C. e Deneubourg J.L., Self-organized structures <strong>in</strong> a superorganism:<br />

do ants behave like molecules?, <strong>in</strong> Physics of Life Rev., vol. 3:162–187 (2006)<br />

(4) Hölldobler B. e Wilson E.O., The ants, Harvard University Press (1990)<br />

(5) FAO Locust watch: www.fao.org/ag/locusts/en/<strong>in</strong>fo/<strong>in</strong>fo/<br />

(6) Giard<strong>in</strong>a I., Collective behavior <strong>in</strong><br />

animal groups: theoretical models and<br />

empirical studies, <strong>in</strong> HFSP J., vol.<br />

2(4):205–219 (2008)<br />

(7) Helb<strong>in</strong>g D., Farkas I. e Vicsek T.,<br />

Simulat<strong>in</strong>g dynamical features of escape<br />

panic, <strong>in</strong> Nature, vol. 407:487–490<br />

(2000)<br />

di Ulisse Ferrari<br />

Curiosando tra risultati statistici d’ogni sorta, come la distribuzione<br />

delle altezze <strong>in</strong> un paese o quella dei risultati degli<br />

esami di maturità di un particolare anno, non si può non notare<br />

la presenza ricorrente di una particolare curva, detta Gaussiana,<br />

dalla forma a campana, con un picco al centro e code<br />

laterali sottili.<br />

Quella che può apparire come una semplice curiosità è <strong>in</strong>vece<br />

la realizzazione di un importante teorema della teoria della<br />

probabilità, il ramo della matematica che studia e descrive il<br />

comportamento delle variabili casuali (dette aleatorie), ossia<br />

delle quantità che possono assumere diversi valori, ciascuno<br />

con una certa probabilità. Il Teorema del Limite Centrale<br />

(nella versione generalizzata dal fisico-matematico russo<br />

Aleksandr Lyapunov), sotto alcune ipotesi, asserisce che: -<br />

la somma di n variabili casuali <strong>in</strong>dipendenti ha una distribuzione<br />

di probabilità che tende a una curva Gaussiana al crescere<br />

di n all’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito. In altre parole, un fenomeno aleatorio,<br />

Funzione di densità della variabile casuale normale (o di Gauss).<br />

µ <strong>in</strong>dica il valor medio (posizione del picco), σ 2 la varianza<br />

(legata alla larghezza della campana). Da wikipedia.org<br />

risultato della cooperazione di molti piccoli fattori casuali <strong>in</strong>dipendenti, avrà una distribuzione di probabilità Gaussiana.<br />

Il voto che uno studente prenderà alla maturità, per esempio, dipenderà da molti fattori, quali la sua preparazione, le<br />

abilità acquisite, la capacità di concentrazione, ecc. . . Nonostante la distribuzione di probabilità di questi fattori non sia<br />

necessariamente Gaussiana, il voto, che è la somma di questi fattori, si distribuirà secondo tale curva.<br />

20 accastampato num. 1, Giugno 2010


La riforma dell’Università<br />

italiana<br />

Dove siamo e dove stiamo andando. . .<br />

Lara Benfatto<br />

(Dipartimento di Fisica della Sapienza di Roma)<br />

D<br />

a circa 6 mesi è stata presentata una bozza del Disegno<br />

di Legge Gelm<strong>in</strong>i riguardante la riforma dell’Università<br />

(1). Ora tale DDL è <strong>in</strong> discussione al<br />

Senato a meno di un anno dall’imponente mobilitazione<br />

di tutto il settore dell’Istruzione seguito al decreto legge<br />

133 dell’agosto 2009, con il quale si pianificavano pesantissimi<br />

tagli a scuola ed università, <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i sia di f<strong>in</strong>anziamento che<br />

di reclutamento, riguardanti il periodo 2009–2013. Il successivo<br />

decreto legge 180 del dicembre 2009 ha parzialmente corretto il<br />

tiro sul fronte del blocco delle assunzioni e dei tagli all’università,<br />

lasciando tuttavia <strong>in</strong> essere un taglio di 946 milioni di euro<br />

<strong>in</strong> 5 anni, pari al 2,7% del Fondo di F<strong>in</strong>anziamento Ord<strong>in</strong>ario<br />

(FFO) del comparto università (2). A prima vista tale riduzione<br />

può sembrare non particolarmente significativa: tuttavia, occorre<br />

ricordare che le università utilizzano già circa il 90% del FFO per<br />

pagare gli stipendi. Ma per fare didattica e ricerca servono anche<br />

(<strong>in</strong>genti) fondi per la gestione di strutture didattiche e laboratori,<br />

per le collaborazioni scientifiche, partecipazione a convegni, personale<br />

a tempo determ<strong>in</strong>ato, ecc. Qu<strong>in</strong>di un taglio del 2,7% del<br />

FFO azzera <strong>in</strong> pratica ogni possibile marg<strong>in</strong>e operativo <strong>in</strong> ricerca<br />

e sviluppo del nostro sistema universitario, che non può essere<br />

compensato da alcun progetto di riorganizzazione amm<strong>in</strong>istrativa<br />

del medesimo.<br />

Figura 1 Uno striscione degli studenti del Dipartimento di Fisica durante<br />

una manifestazione contro il DDL Gelm<strong>in</strong>i e il Decreto Legge 133 dello<br />

scorso autunno.<br />

Prima di entrare nel merito del DDL Gelm<strong>in</strong>i vale la pena di fare<br />

uno sforzo analitico di lettura dei contenuti reali e di quelli<br />

virtuali del DDL. È <strong>in</strong>fatti <strong>in</strong>teressante notare come gran parte<br />

degli editoriali apparsi negli ultimi mesi su autorevoli quotidiani<br />

nazionali si siano focalizzati sui punti più vaghi della prospettata<br />

riforma, quelli cioè la cui def<strong>in</strong>izione viene affidata a decreti leggi<br />

successivi all’approvazione del DDL, e qu<strong>in</strong>di dai contenuti assolutamente<br />

<strong>in</strong>certi e al momento imprevedibili. Tentiamo qu<strong>in</strong>di di<br />

riassumere a grandi l<strong>in</strong>ee i contenuti del DDL, dist<strong>in</strong>guendo tra i<br />

provvedimenti di immediata attuazione e quelli da def<strong>in</strong>irsi.<br />

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -<br />

. . . un taglio del 2,7% del Fondo di<br />

F<strong>in</strong>anziamento Ord<strong>in</strong>ario azzera <strong>in</strong><br />

pratica ogni possibile marg<strong>in</strong>e operativo<br />

<strong>in</strong> ricerca e sviluppo del nostro sistema<br />

universitario. . .<br />

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -<br />

Provvedimenti immediati<br />

• Riorganizzazione della struttura amm<strong>in</strong>istrativa (Art.<br />

2). Questa si articola <strong>in</strong> vari punti: <strong>in</strong> particolare, si prevede<br />

che al senato accademico venga affiancato un consiglio di<br />

amm<strong>in</strong>istrazione <strong>in</strong> cui il 40% dei membri sono esterni all’ateneo<br />

e con competenze gestionali-amm<strong>in</strong>istrative. Tale<br />

CdA ha anche potere decisionale che spazia dalla def<strong>in</strong>izione<br />

delle “funzioni di <strong>in</strong>dirizzo strategico” alla soppressione/istituzione<br />

di corsi di studio e sedi. Si prevede <strong>in</strong>oltre<br />

l’accorpamento dei dipartimenti (aventi un numero m<strong>in</strong>imo<br />

di docenti di 35 o 45) <strong>in</strong> massimo 12 facoltà o ’scuole’. Si<br />

parla poi di un codice etico che le università sono tenute ad<br />

adottare entro centottanta giorni dall’entrata <strong>in</strong> vigore della<br />

legge, ma non si dà <strong>in</strong>dicazione alcuna rispetto ai contenuti<br />

<strong>in</strong> questione.<br />

• Fondo per il merito degli studenti (Art. 4). Si tratta di<br />

borse di studio e prestiti di onore, da attribuirsi con criteri<br />

unicamente meritocratici (non di reddito) e previa selezione<br />

nazionale. Si occupa della gestione del tutto una società, la<br />

Consap S.p.A., che andrà pagata con i soldi stessi dest<strong>in</strong>ati<br />

al fondo. Il fondo è istituito presso il M<strong>in</strong>istero dell’Economia,<br />

a cui il M<strong>in</strong>istero dell’Istruzione fa comunque riferimento<br />

per coord<strong>in</strong>arne la gestione. Il fondo viene f<strong>in</strong>anziato<br />

con “trasferimenti pubblici e con versamenti effettuati a ti-<br />

22 accastampato num. 1, Giugno 2010


ONDA LUNGA<br />

tolo spontaneo e solidale effettuati da privati, società, enti<br />

e fondazioni, anche v<strong>in</strong>colati, nel rispetto delle f<strong>in</strong>alità del<br />

fondo, a specifici usi”.<br />

• Riord<strong>in</strong>o del reclutamento (Art. 7-10). I punti salienti<br />

sono:<br />

Art. 8 Si istituisce l’abilitazione nazionale per associato e<br />

ord<strong>in</strong>ario, basata sui soli titoli. La valutazione viene<br />

fatta da una commissione di durata biennale, con<br />

4 membri sorteggiati da una lista di ord<strong>in</strong>ari (a cui si<br />

aggiungono anche gli associati solo se gli ord<strong>in</strong>ari di<br />

quel settore sono meno di 50) che fanno richiesta di<br />

esserci e il cui curriculum è pubblico, più un membro<br />

straniero. Le selezioni hanno cadenza annuale, ma nel<br />

caso <strong>in</strong> cui il candidato non ne superi una deve aspettare<br />

2 anni per riprovarci, e 3 per riprovare il livello<br />

successivo. Da notare che una volta ottenuta l’abilitazione<br />

bisogna comunque sostenere il concorso presso<br />

le s<strong>in</strong>gole sedi universitarie qualora queste bandiscano<br />

dei posti. Le università possono anche <strong>in</strong>dire procedure<br />

riservate per personale già <strong>in</strong> servizio nell’ateneo,<br />

ma dest<strong>in</strong>andovi non più del 30% dei posti disponibili<br />

nei primi 5 anni successivi all’attuazione della riforma.<br />

Dopo questo periodo si richiede che siano obbligatoriamente<br />

esterni 1/5 dei posti da ord<strong>in</strong>ari e 1/3 di<br />

quelli da associati.<br />

Art. 10 Gli assegni di ricerca hanno durata da 1 a 3 anni, r<strong>in</strong>novabili,<br />

ma non devono superare complessivamente<br />

i 10 anni. Oltre ai bandi locali di ateneo (che possono<br />

basarsi su fondi di ateneo o fondi esterni su progetti<br />

specifici) vengono istituiti anche dei bandi per selezioni<br />

nazionali, nelle quali il ricercatore presenta un<br />

progetto che, <strong>in</strong> caso di vittoria, verrà svolto presso<br />

una sede universitaria scelta dal candidato.<br />

Art. 11 Per i contratti di <strong>in</strong>segnamento ci sono due casi: contratti<br />

a titolo gratuito o oneroso da dare a studiosi<br />

esterni per potersi avvalere delle loro prestazioni. Poi<br />

i veri contratti di docenza da attribuirsi previo espletamento<br />

di procedure discipl<strong>in</strong>ate con propri regolamenti,<br />

che assicur<strong>in</strong>o la valutazione comparativa dei<br />

candidati e la pubblicità degli atti. Lo stipendio viene<br />

deciso a livello m<strong>in</strong>isteriale, ma non si sa <strong>in</strong> che modo.<br />

Art. 12 Scompare la figura del ricercatore a tempo <strong>in</strong>determ<strong>in</strong>ato,<br />

per divenire a tempo determ<strong>in</strong>ato. Lo stipendio<br />

<strong>in</strong>crementa del 20% rispetto ai livelli attuali<br />

(arrivando a circa 2200 euro mensili), ma diventano<br />

obbligatorie 350 ore di didattica annuali. Vengono<br />

assunti previa selezione nazionale simile a quella<br />

prevista per gli assegni (cioè si presenta un progetto<br />

e si richiede una sede <strong>in</strong> cui svolgerlo). Una quota<br />

del FFO deve essere devoluta solo a queste posizioni,<br />

che durano 3 anni e possono essere r<strong>in</strong>novate per altri<br />

3. Se nel secondo triennio il titolare prende l’abilitazione<br />

ad associato può essere chiamato direttamente<br />

dall’ateneo.<br />

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -<br />

Quello che colpisce è tuttavia una sorta<br />

di scollamento tra la realtà italiana quale<br />

essa è e gli obiettivi della riforma. . .<br />

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -<br />

Provvedimenti differiti<br />

• Miglioramento dell’efficienza del sistema universitario<br />

(Art. 5). Il Governo si impegna a promulgare entro 12 mesi<br />

dall’entrata <strong>in</strong> vigore della presente legge dei decreti che<br />

vertano sui seguenti punti:<br />

– <strong>in</strong>trodurre dei sistemi di valutazione periodica della<br />

ricerca svolta dai docenti, basati sui criteri<br />

dell’ANVUR (6);<br />

– <strong>in</strong>trodurre degli strumenti di controllo della situazione<br />

patrimoniale delle università;<br />

– discipl<strong>in</strong>are l’attività dei docenti, per esempio stabilendo<br />

un impegno dovuto di 1500 ore annue di cui 350<br />

di docenza. Vanno <strong>in</strong>dividuati i casi di <strong>in</strong>compatibilità<br />

tra la posizione di professore e ricercatore universitario<br />

e l’esercizio di altre attività o <strong>in</strong>carichi. Gli scatti<br />

diventano triennali (ma complessivamente della stessa<br />

entità) e previa valutazione dell’attività didattica e<br />

di ricerca del docente. Una quota del FFO dest<strong>in</strong>ata a<br />

una certa università verrà assegnata <strong>in</strong> base a criteri di<br />

valutazione scientifica dei docenti stessi;<br />

– riformare il diritto allo studio: si parla di una generica<br />

def<strong>in</strong>izione di requisiti m<strong>in</strong>imi per garantire il diritto<br />

allo studio, ma non vi è alcuna proposta concreta.<br />

Nella sua impostazione generale il DDL prevede un mutamento<br />

decisamente radicale dell’università italiana. Quello che colpisce<br />

è tuttavia una sorta di scollamento tra la realtà italiana quale<br />

essa è e gli obiettivi della riforma. Ad esempio, la presenza <strong>in</strong><br />

un CdA dotato di forti poteri decisionali di personalità esterne al<br />

mondo accademico è prassi comune nel sistema americano, nel<br />

quale però la s<strong>in</strong>ergia tra mondo accademico e privati è di gran<br />

lunga più avanzato che da noi, giustificando la presenza di un forte<br />

<strong>in</strong>terscambio tra le due realtà. Meno chiaro è come <strong>in</strong> Italia<br />

tale s<strong>in</strong>ergia possa essere imposta per legge: il rischio è che nel<br />

tentativo di destrutturare l’attuale sistema di potere delle baronie<br />

universitarie (che f<strong>in</strong>ora non è stato <strong>in</strong> grado di sanare da solo un<br />

accastampato num. 1, Giugno 2010 23


ONDA LUNGA<br />

Figura 2 M<strong>in</strong>istri dell’Università e della Pubblica Istruzione dell’ultimo<br />

decennio. Dall’alto a s<strong>in</strong>istra: Luigi Berl<strong>in</strong>guer, Tullio De Mauro, Letizia<br />

Moratti, Giuseppe Fioroni, Fabio Mussi, Mariastella Gelm<strong>in</strong>i<br />

sistema malato) ci si affidi a cure esterne sulle cui competenze ci<br />

sono ancora più dubbi e <strong>in</strong>certezze.<br />

Anche l’idea stessa di creare una vera competizione tra le varie<br />

università, allo scopo di attrarre gli studenti migliori, fallisce miseramente<br />

a fronte di un’obiettiva immobilità sociale del sistema<br />

italiano: se uno studente non può permettersi di andare all’università<br />

migliore perché è lontana da casa, la competizione non esiste.<br />

In questa prospettiva gli stanziamenti (pubblici, perché quelli privati<br />

si concentrerebbero solo su alcuni settori) per il Fondo per il<br />

merito dovrebbero essere veramente <strong>in</strong>genti, ma non vi è traccia<br />

nella legge di alcun impegno <strong>in</strong> tal senso.<br />

Riguardo ai criteri di riord<strong>in</strong>o del reclutamento si apprezzano segnali<br />

positivi: la regolarità delle procedure di valutazione, l’idea<br />

di bandire assegni di ricerca nazionali <strong>in</strong> cui il ricercatore ha l’autonomia<br />

di proporre il suo progetto, l’obbligatorietà (almeno sul<br />

medio periodo) di reclutare personale esterno all’ateneo, un tentativo<br />

di regolamentazione dei contratti di <strong>in</strong>segnamento, di cui<br />

al momento si abusa largamente. Tuttavia mentre è chiaro che<br />

a regime queste norme possono produrre effetti positivi, non si<br />

prevede un periodo di transizione <strong>in</strong>termedio che tenga conto dell’attuale<br />

realtà italiana. Prendiamo il caso della norma che fa diventare<br />

quella del ricercatore una posizione a tempo determ<strong>in</strong>ato:<br />

un analogo della tenure track che è largamente diffusa all’estero,<br />

<strong>in</strong> cui il ruolo di docenza viene preceduto da un periodo di prova<br />

<strong>in</strong> cui il ricercatore mostra le sue capacità. In pr<strong>in</strong>cipio una<br />

buona norma, che all’estero viene usata per avere modo di valutare<br />

un ricercatore prima dell’assunzione a tempo <strong>in</strong>determ<strong>in</strong>ato.<br />

Nel nostro caso, tuttavia, passati i 6 anni di tenure, l’assunzione<br />

del ricercatore non è v<strong>in</strong>colata solo alle sue capacità: anche<br />

se il ricercatore acquisisce l’abilitazione nazionale a professore<br />

associato la sua immissione <strong>in</strong> ruolo è automatica solo presso la<br />

sede <strong>in</strong> cui lavora, qu<strong>in</strong>di è v<strong>in</strong>colata sia alla situazione f<strong>in</strong>anziaria<br />

della stessa sia al gradimento del ricercatore stesso da parte<br />

delle baronie locali. Questo è un baco <strong>in</strong> generale del perverso<br />

meccanismo di abilitazione nazionale e concorso locale: è <strong>in</strong>utile<br />

fare una programmazione sulle procedure valutative nazionali<br />

(fatto comunque positivo) se poi i posti veri vengono comunque<br />

banditi localmente, e come tali assoggettati ai noti meccanismi di<br />

baronia locale e ai problemi di deficit f<strong>in</strong>anziario delle varie sedi.<br />

Un secondo aspetto che la riforma ignora è che a oggi si diventa<br />

ricercatore universitario <strong>in</strong> media a 36 anni (3): non è qu<strong>in</strong>di auspicabile<br />

che la nuova figura del ricercatore a tempo determ<strong>in</strong>ato<br />

<strong>in</strong>teressi questa categoria di scienziati, che hanno alle spalle già<br />

10 anni di precariato nella ricerca. Queste figure andrebbero qu<strong>in</strong>di<br />

gradualmente <strong>in</strong>serite <strong>in</strong> ruoli di docenza (ovviamente, previa<br />

selezione dei soli meritevoli), il che è reso impossibile dai blocchi<br />

attualmente <strong>in</strong> essere e da un sistema che vede accedere ai ruoli di<br />

associato ricercatori <strong>in</strong> media di 44 anni, qu<strong>in</strong>di con ulteriori 10<br />

anni di esperienza. Questo significa anche che <strong>in</strong> un’abilitazione<br />

nazionale gli standard fissati per accedere ai ruoli di associato riguarderanno<br />

scienziati con circa 20 anni di esperienza, rendendo<br />

impossibile anche per i migliori giovani ricercatori del nostro paese<br />

aspirare direttamente alla docenza universitaria di ruolo. Non<br />

si vede qu<strong>in</strong>di, a dispetto delle numerose esternazioni <strong>in</strong> tal senso<br />

da parte di molti commentatori ignari della reale situazione universitaria,<br />

come queste norme possano risolvere l’enorme problema<br />

del precariato universitario. A voler fare una stima al ribasso<br />

dell’entità del problema, si consideri che lo stesso M<strong>in</strong>istero dell’Istruzione<br />

ci <strong>in</strong>forma che al momento ci sono 18.000 persone<br />

tra assegnisti e borsisti impegnati <strong>in</strong> attività di ricerca nell’università<br />

italiana (4): un numero enorme, se si pensa che nei prossimi<br />

anni (2009-2012) vi sarà al massimo un turn-over di 10.000 unità<br />

(5), che però stante le norme sul blocco del turn-over e sui tagli<br />

al FFO, produrranno nella migliore delle ipotesi 5000 nuovi posti.<br />

A questi ricercatori, spesso impegnati <strong>in</strong> programmi di ricerca<br />

di altissima qualità, si propone qu<strong>in</strong>di di prolungare la precarietà<br />

con altri 6 anni di posto da ricercatore a tempo determ<strong>in</strong>ato. Inoltre,<br />

si rende obbligatorio per il ricercatore a tempo determ<strong>in</strong>ato<br />

un carico didattico pari a quello del docente di ruolo. Tale novità<br />

ha connotati estremamente negativi: attualmente i ricercatori non<br />

sono tenuti a fare attività didattica (anche se spesso si trovano a<br />

farla su base più o meno volontaria).<br />

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -<br />

Questo sistema delega l’<strong>in</strong>segnamento a<br />

figure precarie, a discapito della qualità<br />

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -<br />

L’idea è che un giovane debba fare pr<strong>in</strong>cipalmente ricerca, acquisire<br />

i titoli per diventare professore universitario, e dedicarsi<br />

a quel punto alla didattica con tutto l’impegno che questa richiede.<br />

Questo sistema <strong>in</strong>vece delega ufficialmente l’<strong>in</strong>segnamento a<br />

24 accastampato num. 1, Giugno 2010


ONDA LUNGA<br />

figure precarie, a discapito della qualità stessa dell’<strong>in</strong>segnamento.<br />

Inf<strong>in</strong>e si arriva alla parte più <strong>in</strong>teressante della riforma, ossia l’adozione<br />

di procedure di valutazione del personale docente, da parte<br />

di un agenzia, l’ANVUR (6), la cui utilità viene curiosamente<br />

riconosciuta dopo un anno e mezzo di stasi completa delle procedure<br />

per la sua messa <strong>in</strong> funzione. Vorrei osservare che <strong>in</strong> questo<br />

stesso periodo la parte sana dell’università italiana ha sempre<br />

chiesto a gran voce una riforma del sistema <strong>in</strong> senso meritocratico,<br />

perché è questa l’unica strada percorribile per migliorare veramente<br />

la qualità del mondo accademico. È <strong>in</strong>utile cambiare le<br />

procedure dei concorsi, bloccare il turn-over, <strong>in</strong>vocare codici etici,<br />

se la gestione rimane nelle mani dei soliti noti (o, ancor peggio,<br />

nelle mani di un CdA del tutto dis<strong>in</strong>teressato al mondo della ricerca).<br />

Solo un meccanismo che fa pagare a posteriori a ogni s<strong>in</strong>golo<br />

dipartimento i costi di scelte scientifiche sbagliate può sconfiggere<br />

il malcostume. Questo è il punto di partenza, non quello di<br />

arrivo: ma richiede un coraggio - quello di scard<strong>in</strong>are veramente<br />

poteri consolidati - e una comprensione dei meccanismi reali<br />

del mondo universitario che sono al momento assenti nel nostro<br />

panorama politico.<br />

Bibliografia<br />

(1) Il documento è disponibile su www.accatagliato.org<br />

(2) Il rapporto presentato dal professor P. Rossi al Convegno<br />

Analisi a crocette, primi effetti dei tagli?<br />

C.U.N. del 18 giugno 2008 (http://www.df.unipi.it/<br />

˜rossi/documenti.html) mostra chiaramente che l’<strong>in</strong>cremento<br />

nom<strong>in</strong>ale del 17% del FFO dal 1998 al 2008 è servito solo<br />

a far fronte all’aumento degli stipendi stabiliti <strong>in</strong> base all’<strong>in</strong>dice<br />

di <strong>in</strong>flazione ISTAT. Questo significa che non vi è stato alcun aumento<br />

netto <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i di <strong>in</strong>vestimenti <strong>in</strong> ricerca e sviluppo.<br />

(3) Dati forniti dal CNVSU (Comitato Nazionale di valutazione<br />

del Sistema Universitario): http://www.cnvsu.it/<br />

publidoc/datistat/default.asp<br />

(4) Dati rilevabili dal sito del Miur: http://statistica.<br />

miur.it/Data/uic2007/Le_Risorse.<strong>pdf</strong><br />

(5) Una stima esatta del numero dei pensionamenti previsti per<br />

i prossimi anni è difficile: tuttavia i dati del CNVSU (www.<br />

cnvsu.it) li stimano tra i 5000 ed i 10.000.<br />

(6) L’ANVUR (www.anvur.it) è l’Agenzia Nazionale per la<br />

Valutazione del Sistema Universitario: la sua istituzione era stata<br />

avviata dal precedente m<strong>in</strong>istro Mussi, ma le procedure sono state<br />

bloccate al momento dell’<strong>in</strong>sediamento del presente governo.<br />

Sull’autore<br />

Lara Benfatto (lara.benfatto@roma1.<strong>in</strong>fn.it) è<br />

ricercatrice presso il CNR/INFM di Roma.<br />

di Carlo Manc<strong>in</strong>i<br />

Quest’anno gli studenti di Analisi del corso di laurea <strong>in</strong> Fisica hanno<br />

dovuto affrontare un test a crocette <strong>in</strong>vece del solito esercizio da<br />

svolgere. Ecco la voce del professor Lamberto Lamberti che quest’anno<br />

ha tenuto il corso: è un esperimento rivolto al futuro: da qui<br />

ai prossimi c<strong>in</strong>que anni molti dei professori di Matematica andranno<br />

<strong>in</strong> pensione, e probabilmente non sarà più possibile dividere gli<br />

studenti del primo anno del corso di laurea <strong>in</strong> Fisica <strong>in</strong> quattro canali<br />

diversi, com’è ora, e qu<strong>in</strong>di bisogna provare nuovi tipi di verifica,<br />

che consentano di correggere molti più compiti di quelli che ora deve<br />

correggere un s<strong>in</strong>golo professore. [. . . ] F<strong>in</strong>o a pochi anni fa era possibile<br />

creare molti canali diversi per i corsi di base; <strong>in</strong>oltre l’offerta<br />

Piazzale della M<strong>in</strong>erva, Università Sapienza di Roma didattica era arricchita con corsi molto specializzati, per esempio il<br />

professor Doplicher - famoso <strong>in</strong> tutto il mondo - ha sempre tenuto un<br />

corso di Meccanica Quantistica e di Algebre di Operatori, magari con pochi studenti iscritti, ma questo è normale per<br />

un corso facoltativo degli ultimi anni, ma comunque una ricchezza per l’offerta didattica fornita agli studenti; ebbene,<br />

dall’anno prossimo il professor Doplicher andrà <strong>in</strong> pensione e molto probabilmente i due corsi non esisteranno più. Il<br />

caso dei corsi di Meccanica Quantistica e di Algebre di Operatori non è isolato: già oggi l’offerta didattica si è molto<br />

impoverita rispetto al passato e fra c<strong>in</strong>que anni, non assumendo più nuovi ricercatori <strong>in</strong> sostituzione dei professori che<br />

andranno <strong>in</strong> pensione, non sarà neanche possibile dividere <strong>in</strong> così tanti canali gli studenti dei primi anni, a Matematica<br />

come a Fisica. Confortante. . .<br />

accastampato num. 1, Giugno 2010 25


La transizione<br />

vetrosa<br />

Il vetro è tra i materiali più familiari, ma non smette di affasc<strong>in</strong>are gli scienziati<br />

Tullio Scopigno<br />

(Gruppo GLAS, Dip. di Fisica della Sapienza di Roma)<br />

Quanto a me, perdonatemi per quello che sto per dire,<br />

ma preferisco il vetro, che almeno non manda odore.<br />

E se non fosse così fragile,<br />

lo preferirei all’oro.<br />

(Petronio, Satyricon, I secolo d.C.)<br />

N<br />

egli ultimi venti anni enormi progressi sono stati<br />

fatti verso la comprensione dei meccanismi di formazione<br />

del vetro, la cosiddetta transizione vetrosa,<br />

ma nonostante ciò resta ancora valida l’affermazione<br />

di P.W. Anderson, premio Nobel per la fisica nel 1977, che <strong>in</strong>dividua<br />

<strong>in</strong> questo problema uno degli aspetti ancora irrisolti nella<br />

fisica della materia.<br />

Il vetro, nell’accezione comune del term<strong>in</strong>e, è una sostanza che<br />

trova largo impiego nell’uso quotidiano. Dal punto di vista fisico,<br />

però, può essere <strong>in</strong>quadrata <strong>in</strong> un contesto ben più generale, <strong>in</strong><br />

quanto rappresenta una forma di aggregazione della materia che<br />

può acquisire alcune caratteristiche (per esempio la rigidità meccanica)<br />

del solido e altre (come la struttura microscopica) del liquido.<br />

Allo stato solido, <strong>in</strong> effetti, i materiali possono presentarsi<br />

<strong>in</strong> forma cristall<strong>in</strong>a o amorfa: nel primo caso gli atomi (o le molecole)<br />

che lo compongono sono disposte <strong>in</strong> modo da formare un<br />

reticolo ord<strong>in</strong>ato (cristallo), mentre nel secondo caso, proprio come<br />

accade <strong>in</strong> un liquido, vi è totale assenza di periodicità spaziale,<br />

e si parla appunto di sostanze vetrose. In base a questa def<strong>in</strong>izione<br />

rientrano nella categoria dei vetri le ceramiche, le plastiche, le<br />

res<strong>in</strong>e epossidiche e i materiali polimerici, e dunque nelle comuni<br />

applicazioni si ha a che fare con sostanze vetrose molto più spesso<br />

di quanto non suggerisca il senso comune. A dispetto di questa<br />

larga diffusione, il meccanismo di formazione del vetro, la transizione<br />

vetrosa appunto, risulta essere il problema più <strong>in</strong>teressante<br />

e profondo non ancora risolto nella fisica della materia, per citare<br />

le parole di P. W. Anderson, premio Nobel per la fisica nel 1977.<br />

La temperatura della transizione<br />

La fenomenologia della transizione vetrosa può essere analizzata<br />

osservando il comportamento termod<strong>in</strong>amico di alcuni parametri<br />

macroscopici. Supponiamo, ad esempio, di raffreddare un liquido<br />

sottraendogli calore (ponendolo <strong>in</strong> contatto con un ambiente<br />

a temperatura più bassa). Se si misura il calore ceduto durante<br />

il raffreddamento al variare della temperatura (cfr. Figura 1)<br />

possono essere identificate diverse regioni termod<strong>in</strong>amiche.<br />

Figura 1 Calore scambiato da un fuso <strong>in</strong> fase di raffreddamento. Rosso:<br />

fase liquida. Nero: fase cristall<strong>in</strong>a, che si genera alla temperatura di<br />

fusione T m . Arancio: il fluido, <strong>in</strong> particolari condizioni (per es. raffreddamento<br />

veloce) può mantenersi <strong>in</strong> una fase liquida metastabile, detta di<br />

liquido sottoraffreddato. Blu: diverse fasi vetrose, che si generano alle<br />

temperature di transizione vetrosa T g , dipendenti dalla velocità di raffreddamento.<br />

Si osservi la diversa dipendenza del calore dalla temperatura<br />

(capacita termica) nella fase liquida e nelle fasi solide.<br />

Al di sopra della temperatura di fusione il liquido rilascia calore<br />

con cont<strong>in</strong>uità. Alla temperatura di fusione il sistema solitamente<br />

cristallizza, ma <strong>in</strong> particolari condizioni può seguire un diverso<br />

comportamento, mantenendosi <strong>in</strong> uno stato metastabile, detto di<br />

liquido sottoraffreddato. Nel primo caso il calore rilasciato subisce<br />

una brusca variazione (calore latente) per poi cont<strong>in</strong>uare a<br />

dim<strong>in</strong>uire, ma con m<strong>in</strong>or rapidità rispetto alla fase liquida. Usando<br />

il l<strong>in</strong>guaggio della termod<strong>in</strong>amica si dice che, alla temperatura<br />

di fusione, il sistema compie una transizione di fase del primo<br />

ord<strong>in</strong>e (vedi Box a f<strong>in</strong>e articolo). Nel secondo caso il rilascio di<br />

26 accastampato num. 1, Giugno 2010


IL RICERCATORE ROMANO<br />

calore cont<strong>in</strong>ua come <strong>in</strong> fase liquida (si parla pertanto di liquido<br />

sottoraffreddato) f<strong>in</strong>ché, alla temperatura di transizione vetrosa, il<br />

calore cont<strong>in</strong>ua a essere rilasciato <strong>in</strong> modo cont<strong>in</strong>uo ma con una<br />

rapidità m<strong>in</strong>ore, simile a quella del cristallo. Mentre la cristallizzazione<br />

è un processo ben def<strong>in</strong>ito, nel senso che la temperatura<br />

di fusione è un parametro che caratterizza univocamente ogni liquido,<br />

le modalità secondo le quali avviene la transizione vetrosa<br />

dipendono da diversi fattori, come per esempio la storia termica<br />

del materiale, ovvero la velocità di raffreddamento. La temperatura<br />

di transizione vetrosa, pertanto, viene solitamente def<strong>in</strong>ita<br />

sulla base della velocità di raffreddamento che si riesce a ottenere<br />

sperimentalmente, che è dell’ord<strong>in</strong>e di qualche dec<strong>in</strong>a di gradi al<br />

secondo.<br />

Figura 2 Struttura e d<strong>in</strong>amica nelle varie fasi termod<strong>in</strong>amiche. A) Liquido<br />

e liquido sottoraffreddato. Gli atomi compiono un moto di tipo<br />

diffusivo, la loro posizione media varia nel tempo. B) Fase vetrosa: gli<br />

atomi sono congelati <strong>in</strong> posizioni di equilibrio disord<strong>in</strong>ate, attorno alle<br />

quali compiono un moto vibrazionale. C) Gli atomi sono congelati <strong>in</strong><br />

posizioni di equilibrio disposte su un reticolo ord<strong>in</strong>ato, attorno alle quali<br />

compiono un moto vibrazionale.<br />

In corrispondenza dei diversi stati termod<strong>in</strong>amici sopra menzionati<br />

anche le proprietà d<strong>in</strong>amiche degli atomi e/o molecole subiscono<br />

importanti variazioni. Allo stato liquido gli atomi e/o le<br />

molecole si muovono <strong>in</strong> maniera disord<strong>in</strong>ata e la loro posizione<br />

media cambia cont<strong>in</strong>uamente. Quando un liquido viene raffreddato,<br />

normalmente la perdita di energia termica degli atomi<br />

<strong>in</strong>duce un progressivo ord<strong>in</strong>amento spaziale. Se la sostanza cristallizza,<br />

gli atomi cont<strong>in</strong>uano a muoversi, ma <strong>in</strong> modo diverso da<br />

quanto accadeva nel liquido: il moto di diffusione si arresta e gli<br />

atomi vibrano <strong>in</strong>torno a delle posizioni di equilibrio che rispettano<br />

ben def<strong>in</strong>ite periodicità spaziali (strutture cristall<strong>in</strong>e), come farebbe,<br />

ad esempio, un sistema di pall<strong>in</strong>e (gli atomi) disposte su un<br />

reticolo cubico collegate tra loro da molle (i legami chimici). Se<br />

la sostanza non cristallizza, superato il punto di fusione, la d<strong>in</strong>amica<br />

rallenta ulteriormente f<strong>in</strong>ché, una volta raggiunta la temperatura<br />

di transizione vetrosa, T g , il moto diffusivo è praticamente<br />

congelato e sopravvivono solo le vibrazioni, che avvengono ora<br />

<strong>in</strong>torno a posizioni di equilibrio che non hanno alcuna periodicità<br />

spaziale. In realtà, la transizione vetrosa marca un conf<strong>in</strong>e<br />

più labile tra liquido-solido di quanto non avvenga nella cristallizzazione.<br />

Come vedremo, <strong>in</strong>fatti, la temperatura di transizione<br />

vetrosa identifica uno stato <strong>in</strong> cui la capacita di fluire del liquido<br />

scende al di sotto di un certo valore convenzionalmente scelto.<br />

Dunque, anche nel vetro, si ha un moto di tipo diffusivo, seppure<br />

estremamente lento, ovvero su scale temporali molto più lunghe<br />

dei tipici tempi di osservazione. Se potessimo dunque fotografare<br />

la struttura atomica di un vetro otterremmo un’immag<strong>in</strong>e simile a<br />

quelle riportata <strong>in</strong> Figura 2.<br />

Le cattedrali gotiche e la viscosità<br />

A questo proposito, è significativo ricordare il mito delle cattedrali<br />

gotiche, la cui orig<strong>in</strong>e viene fatta risalire a una lezione di chimica<br />

tenuta nel 1946 nella West Side High School <strong>in</strong> Newark, New<br />

Jersey. Il vetro è <strong>in</strong> realtà un liquido - pare abbia detto il professor<br />

Clarence Hoke <strong>in</strong> questa occasione - Lo si può dire guardando<br />

alle vetrate delle antiche cattedrali europee. Il vetro è più spesso<br />

nella parte bassa che <strong>in</strong> quella alta. Il motivo di questa differenza<br />

di spessore sarebbe dovuto al flusso del vetro sotto il proprio peso.<br />

Pare che la conv<strong>in</strong>zione del professor Hoke abbia fatto proseliti<br />

negli anni successivi, raccogliendo un significativo numero di citazioni.<br />

Del resto bisogna ammettere che questo mito presenta un<br />

certo appeal: vetro e liquido sono spesso presentati come stati di<br />

aggregazione molto simili, caratterizzati dalla mancanza di ord<strong>in</strong>e<br />

nella disposizione atomica. Poiché questo è certamente vero dal<br />

punto di vista qualitativo, si può comprendere una certa tentazione<br />

nello sp<strong>in</strong>gersi troppo oltre nell’analogia, ignorando gli aspetti<br />

quantitativi della similitud<strong>in</strong>e. In realtà molti scienziati, ma anche<br />

semplici appassionati, si sono cimentati nella verifica quantitativa,<br />

e dunque sperimentale, dell’affermazione del professor Hoke,<br />

con risultati <strong>in</strong>controvertibili che <strong>in</strong>dicano come il mito sia totalmente<br />

(o quasi) <strong>in</strong>fondato. Pare che effettivamente si riscontr<strong>in</strong>o<br />

disomogeneità nello spessore di vetrate antecedenti il XIX secolo,<br />

ma allo stesso tempo il lato con lo spessore maggiore è montato <strong>in</strong><br />

alto, <strong>in</strong> basso o lateralmente con frequenze statisticamente simili.<br />

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -<br />

...il problema più <strong>in</strong>teressante e profondo<br />

non ancora risolto nella fisica della<br />

materia...<br />

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -<br />

Dunque questa leggenda popolare si spiegherebbe <strong>in</strong> modo molto<br />

semplice: prima del XIX secolo le lastre di vetro venivano prodotte<br />

partendo da una sfera e riducendola a disco mediante percussione.<br />

In questo processo <strong>in</strong>evitabilmente si ottenevano disomogeneità<br />

negli spessori ed è possibile che gli artigiani del tempo<br />

preferissero montare il lato più spesso <strong>in</strong> basso per sopportare<br />

meglio il carico strutturale. Al giorno d’oggi le moderne f<strong>in</strong>estre<br />

vengono formate facendo adagiare per galleggiamento il fuso vetroso<br />

su un substrato di stagno fuso, processo che rende la lastra<br />

accastampato num. 1, Giugno 2010 27


IL RICERCATORE ROMANO<br />

altamente uniforme. D’altra parte, se è vero che anche al di sotto<br />

della transizione vetrosa il materiale mantiene una certa capacità<br />

di fluire, questa è talmente bassa che a temperatura ambiente occorrerebbe<br />

l’età dell’universo per creare un aumento di spessore<br />

di soli 10 Angstrom (l’Angstrom è la dimensione caratteristica di<br />

un atomo, pari a 10 −10 metri) <strong>in</strong> una lastra verticale alta un metro.<br />

Per contro, per osservare sensibili aumenti di spessore su tempi<br />

ragionevolmente brevi (per esempio la vita di media di un essere<br />

umano), occorrerebbe applicare alla lastra sforzi talmente grandi<br />

che questa si romperebbe prima di poter fluire. Questo tipo di<br />

calcolo ci porta al concetto di viscosità, ovvero la quantificazione<br />

della capacità di fluire di un materiale, che si misura usualmente<br />

<strong>in</strong> unità chiamate poise. Per farci un’idea, l’acqua ha una viscosità<br />

di 0,01 poise, la marmellata di 500 poise. Il formaggio Brie è<br />

molto più viscoso, 500.000 poise, e alla f<strong>in</strong>e di una cena potremmo<br />

forse osservare un certo rammollimento di una fetta sotto il<br />

proprio peso. Ma un vetro a temperatura ambiente possiede una<br />

viscosità di 100.000.000.000.000.000.000 poise (sì, proprio 1 seguito<br />

da 20 zeri!), ovvero mille milioni di volte più del piombo.<br />

Ora il piombo viene proprio utilizzato per le rilegature artistiche<br />

delle stesse vetrate <strong>in</strong>crim<strong>in</strong>ate e nessuno ha mai osservato tali<br />

rilegature fluire neanche sotto i grandi carichi strutturali ai quali<br />

queste sono soggette. E ancora, se a temperatura ambiente le vetrate<br />

gotiche potessero davvero essersi deformate sotto il proprio<br />

peso, perché non dovrebbe aver fatto altrettanto anche il vasellame<br />

ritrovato qualche migliaio di anni prima nelle tombe egizie o<br />

negli scavi greci e romani?<br />

Figura 3 Andamento della viscosità al variare della temperatura. La fragilità<br />

di un liquido è data dalla pendenza <strong>in</strong> prossimità della temperatura<br />

di transizione vetrosa (T g /T = 1). Questo importante parametro è dunque<br />

legato alla variazione di temperatura nell’<strong>in</strong>tervallo di viscosità <strong>in</strong><br />

cui il vetro può essere lavorato. Intervalli di temperatura più o meno ampi,<br />

a loro volta, determ<strong>in</strong>ano i tempi di lavorazione, più o meno lunghi,<br />

per esempio durante la soffiatura. La silice è il prototipo di vetro duro<br />

(adatto per applicazioni con tempi di lavorazione lunghi), il glicerolo<br />

è un liquido <strong>in</strong>termedio, mentre i materiali polimerici sono solitamente<br />

molto fragili (necessitano di tempi di lavorazione relativamente brevi).<br />

La viscosità e la fragilità<br />

Al livello macroscopico dunque, il parametro fisico che controlla<br />

la vetrificazione, ovvero il rallentamento delle variabili d<strong>in</strong>amiche<br />

microscopiche, è la viscosità. In particolare, il comportamento<br />

della viscosità al dim<strong>in</strong>uire della temperatura <strong>in</strong> prossimità della<br />

T g permette di classificare i materiali vetrosi secondo uno schema<br />

universale, reso celebre dallo scienziato americano C. A. Angell.<br />

Secondo questo schema, i vetri (o meglio i liquidi <strong>in</strong> grado di<br />

vetrificare) si dividono <strong>in</strong> duri e fragili (strong e fragile), a seconda<br />

della rapidità con la quale la viscosità cambia al variare della<br />

temperatura <strong>in</strong> prossimità di T g . In generale, nel processo di vetrificazione,<br />

la viscosità aumenta di molti ord<strong>in</strong>i di grandezza, passando<br />

da circa 10 −4 poise, valore caratteristico dello stato liquido<br />

alle alte temperature, a circa 10 13 poise nel vetro, valore convenzionalmente<br />

scelto come caratteristico dello stato vetroso (un<br />

aumento di 10 17 volte, dunque). Per rappresentare graficamente<br />

questo enorme aumento si usa riportare il logaritmo della viscosità<br />

<strong>in</strong> funzione dell’<strong>in</strong>verso della temperatura, scalato per la T g .<br />

In questo modo, con riferimento alla Figura 3, seguendo il verso<br />

dei valori crescenti lungo l’asse delle ascisse, si può quantificare<br />

l’aumento della viscosità al dim<strong>in</strong>uire della temperatura, f<strong>in</strong>o<br />

all’approssimarsi del valore 10 13 alla transizione vetrosa, ovvero<br />

quando ogni sistema raggiunge la sua temperatura di transizione<br />

vetrosa (T = T g , valore unitario dell’ascissa).<br />

Osservando gli andamenti schematicamente riportati <strong>in</strong> Figura 3,<br />

è possibile evidenziare alcuni aspetti generali: 1) alcuni liquidi,<br />

detti forti, mostrano un andamento l<strong>in</strong>eare della viscosità, altri,<br />

detti fragili, mostrano un andamento concavo: la rapidità con cui<br />

aumenta la viscosità al dim<strong>in</strong>uire della temperatura verso T g aumenta<br />

con la dim<strong>in</strong>uzione stessa della temperatura; 2) Le curve<br />

caratteristiche di ciascun materiale non si <strong>in</strong>crociano mai. Dunque,<br />

<strong>in</strong>torno a T g , nelle sostanze forti la viscosità cresce più lentamente,<br />

mentre <strong>in</strong> quelle fragili più rapidamente. Volendo andare<br />

oltre questa dist<strong>in</strong>zione qualitativa, è possibile quantificare il concetto<br />

di fragilità, m, misurando la pendenza delle curve <strong>in</strong> prossimità<br />

della transizione vetrosa (valore unitario dell’ascissa). In<br />

questo modo si va dal valore di m = 20, che caratterizza il prototipo<br />

di vetro duro - la silice pura - verso valori via via crescenti che,<br />

per le sostanze polimeriche possono arrivare a m > 200. Mentre<br />

esiste un limite <strong>in</strong>feriore di fragilità (nessun materiale mostra un<br />

andamento convesso, ovvero con pendenza m<strong>in</strong>ore di 17 <strong>in</strong> vic<strong>in</strong>anza<br />

di T g ), non esiste a priori nessun limite superiore. Ecco<br />

dunque perché, essendo la fragilità una caratteristica def<strong>in</strong>ita nel-<br />

28 accastampato num. 1, Giugno 2010


IL RICERCATORE ROMANO<br />

lo stato liquido (sottoraffreddato) e non vetroso, sarebbe più corretto<br />

parlare di fragilità dei liquidi piuttosto che dei vetri. Lungi<br />

dall’essere un mero esercizio matematico, il concetto e la quantificazione<br />

della fragilità racchiude <strong>in</strong> sé alcuni aspetti essenziali<br />

della transizione vetrosa, primo fra tutti quello dell’universalità:<br />

sistemi diversi si comportano qualitativamente <strong>in</strong> maniera simile,<br />

differendo solo nell’aspetto quantitativo. Il concetto di fragilità,<br />

<strong>in</strong>oltre, ha implicazioni fondamentali anche negli aspetti pratici<br />

legati alla lavorazione del vetro. Tali implicazioni erano probabilmente<br />

note, <strong>in</strong> forma qualitativa, dai tempi dei pionieri della<br />

lavorazione del vetro (Fenici ed Egiziani), e certamente sono ben<br />

note ai soffiatori che da lungo tempo identificano i vetri duri <strong>in</strong><br />

lunghi e quelli fragili <strong>in</strong> corti. La ragione di questa diversa nomenclatura<br />

è proprio legata alle implicazioni pratiche del concetto<br />

di fragilità.<br />

Solitamente, <strong>in</strong>fatti, l’<strong>in</strong>tervallo di lavorazione del vetro per la soffiatura<br />

è compreso tra 10 4 e 10 8 poise. In tale <strong>in</strong>tervallo di viscosità<br />

un liquido molto fragile tenderà a raffreddarsi <strong>in</strong> un <strong>in</strong>tervallo<br />

di temperatura relativamente piccolo, al contrario di un vetro duro,<br />

che si raffredderà <strong>in</strong> un <strong>in</strong>tervallo di temperatura relativamente<br />

più ampio. In modo corrispondente, i liquidi fragili vetrificano<br />

<strong>in</strong> tempi relativamente corti, mentre quelli duri <strong>in</strong> tempi più lunghi.<br />

I vetri corti si preferiscono solitamente nelle applicazioni di<br />

tipo <strong>in</strong>dustriale, <strong>in</strong> cui il fattore decisivo è la velocità di produzione,<br />

mentre nelle applicazioni artistiche, quali la soffiatura, sono<br />

i vetri lunghi (duri) a essere preferiti, poiché permettono, appunto,<br />

tempi di lavorazione più lunghi. La fragilità di un composto<br />

può essere modulata a partire dalla silice pura mediante l’aggiunta<br />

di elementi alcal<strong>in</strong>i o terre rare quali sodio, potassio di calcio o<br />

lantanio.<br />

Concludendo, sebbene negli ultimi venti anni enormi progressi<br />

siano stati fatti verso la comprensione<br />

dei meccanismi che regolano<br />

la transizione vetrosa, l’affermazione<br />

di Anderson che <strong>in</strong>dividua<br />

<strong>in</strong> questo problema uno degli<br />

aspetti ancora irrisolti nella fisica<br />

della materia sembra essere<br />

ancora decisamente attuale.<br />

Sull’autore<br />

Tullio Scopigno (tullio.scopigno@roma1.<br />

<strong>in</strong>fn.it) è ricercatore presso il Dipartimento di<br />

Fisica della Sapienza di Roma. Ha recentemente<br />

v<strong>in</strong>to il premio europeo Idea con il quale ha fondato<br />

Femtoscopy, una nuova l<strong>in</strong>ea di ricerca di spettroscopia<br />

Raman ultra-veloce.<br />

Transizioni di fase del primo ord<strong>in</strong>e<br />

di Ulisse Ferrari<br />

Le transizioni di fase di prima specie (o del primo ord<strong>in</strong>e) sono il<br />

più comune tra i cambiamenti di stato <strong>in</strong> cui <strong>in</strong>corrono i sistemi fisici.<br />

Esempi, <strong>in</strong>fatti, ne sono il congelamento dell’acqua o la sua<br />

evaporazione, quando la temperatura del liquido attraversa un valore<br />

specifico. Sebbene l’essere di prima specie sia formalmente<br />

identificato dalla presenza di calore latente, ossia dalla necessità<br />

di cedere o assorbire calore (senza variare la temperatura) perché<br />

possa avvenire il passaggio di stato, l’effetto tipico che contraddist<strong>in</strong>gue<br />

queste transizioni è la coesistenza delle due fasi all’<strong>in</strong>terno<br />

di un <strong>in</strong>tervallo di temperature: riscaldando l’acqua <strong>in</strong> una pentola<br />

con il coperchio, parte del liquido evaporerà creando un sistema <strong>in</strong><br />

cui l’acqua e il suo vapore convivono alla stessa temperatura. In altre<br />

parole c’è un <strong>in</strong>tervallo di temperature <strong>in</strong> cui è possibile trovare<br />

l’acqua sia nella fase liquida che <strong>in</strong> quella gassosa.<br />

Un’ulteriore caratteristica delle transizioni di prima specie è la presenza<br />

di un salto, durante il passaggio di stato, di quantità misurabili<br />

come il volume: mentre una sostanza sta evaporando, per esempio,<br />

il suo volume aumenta sensibilmente anche per <strong>in</strong>f<strong>in</strong>itesime<br />

variazioni della temperatura.<br />

Diagramma di fase dell’acqua. In ascissa la temperatura<br />

T, <strong>in</strong> ord<strong>in</strong>ata la pressione P. Ogni punto del piano rappresenta<br />

una fase della sostanza, eccetto che per quelli che si<br />

trovano sulle l<strong>in</strong>ee che vengono dette l<strong>in</strong>ee di transizione.<br />

Su di esse avviene il passaggio da una fase all’altra della<br />

sostanza. Da it.wikipedia.org<br />

accastampato num. 1, Giugno 2010 29


La pittura silenziosa<br />

Piero della Francesca<br />

(1416 – 1492)<br />

Massimo Margotti<br />

(Studente di Fisica, Università Sapienza di Roma)<br />

Figura 1 Piero della Francesca: Madonna di Senigallia, 1474 circa, olio<br />

su tavola, 67cm × 53,5cm (Urb<strong>in</strong>o, Galleria Nazionale delle Marche)<br />

V<br />

orrei trattare <strong>in</strong> questo primo scritto di un artista che<br />

si situa nel primo R<strong>in</strong>ascimento. Non è un caso<br />

che nel capolavoro dell’Alberti, il Tempio Malatestiano<br />

di Rim<strong>in</strong>i, sia presente un affresco di Piero<br />

della Francesca. Il ruolo artistico di Piero venne rivalutato solo<br />

nel ’900, quando f<strong>in</strong>almente fu possibile riassumere le rivoluzioni<br />

pittoriche come fossero un percorso l<strong>in</strong>eare; l<strong>in</strong>earità che fa parte<br />

solo della visione dei posteri. Benché mantenga una totale autonomia<br />

stilistica, il lavoro di Piero della Francesca è emblematico<br />

del passaggio che a quell’epoca stava avvenendo <strong>in</strong> Italia a livello<br />

<strong>in</strong>tellettuale e sociale e <strong>in</strong>dividua un momento <strong>in</strong> cui l’arte assorbiva<br />

gli estremi dell’<strong>in</strong>telletto umano. Tra questi l’<strong>in</strong>contro tra<br />

arte e matematica, riconosciuta come unica risorsa per una descrizione<br />

della realtà. Così come <strong>in</strong> una mitologia greca, da tale<br />

<strong>in</strong>contro nasce la prospettiva capace, attraverso l’<strong>in</strong>ganno della<br />

mente, di donare una nuova visione del mondo. Dip<strong>in</strong>gere secondo<br />

le regole prospettiche non era solo una moda, ma la necessità<br />

di rappresentare ciò che il nuovo pretendeva come centrale. È il<br />

momento <strong>in</strong> cui una classe commerciale annaspa di desiderio per<br />

la regalità dei titoli nobiliari, ma <strong>in</strong> questo desiderare è evidente<br />

la volontà di superamento. Ecco che nella Madonna di Senigallia<br />

(Figura 1) l’abito borghese, privato e quotidiano, diviene degno<br />

dei Santi che camm<strong>in</strong>ano su una terra arata e mansueta o <strong>in</strong> città<br />

già razionali. Fu con Piero che l’arte italiana rispose alle titubanze<br />

fiamm<strong>in</strong>ghe (risolte con allegorie ov<strong>in</strong>e) sulla rappresentabilità di<br />

Dio; sulle orme del primo libro del Pentateuco il problema della<br />

rappresentazione di Dio poteva essere ricondotto alla mera rappresentazione<br />

dell’uomo e di ciò che lo circondava. Da questa<br />

affermazione ne seguiva, come <strong>in</strong> una impostazione teorematica<br />

non distante dalla forma mentis degli artisti dell’epoca, che la terra<br />

e le architetture fossero un attributo <strong>in</strong>dispensabile di questa<br />

rappresentazione. È a questo scopo che la pittura si trasforma <strong>in</strong><br />

uno specchio che riflette una Natura domata e disponibile a essere<br />

percorsa nella sua profondità, non come nei Coniugi Arnolf<strong>in</strong>i<br />

di Jan van Eyck dove la realtà è distorta, o successivamente ne<br />

Las Men<strong>in</strong>as di Velasquez dove lo specchio mostra la realtà trascendente<br />

dei rapporti di forza mostrando possibili sentieri dell’<strong>in</strong>conscio.<br />

È <strong>in</strong> fondali di campi squadrati, coltivati e produttivi,<br />

<strong>in</strong> città dalle architetture geometricamente def<strong>in</strong>ite, che Piero colloca<br />

i suoi personaggi scultorei che, immutabili come la scultura,<br />

danno Ragione dell’affermarsi dell’Uomo. Nella pittura di Piero<br />

è escluso qualsiasi pr<strong>in</strong>cipio d<strong>in</strong>amico, non ci sono movimenti, il<br />

dip<strong>in</strong>to non è una fotografia poiché ogni forma umana presentata<br />

diviene forma div<strong>in</strong>a; prevale dunque una statica di sapore masaccesco<br />

quale metafora del motore immobile platonico. Figure<br />

geometriche e solidi platonici sono il recupero della forma del<br />

pensiero classico e s’<strong>in</strong>nestano nei racconti pittorici come teoremi<br />

la cui verità dimostrabile ha la durezza e la trasparenza del<br />

cristallo. È su questi solidi cristall<strong>in</strong>i che s’<strong>in</strong>frange la luce di un<br />

sole a mezzogiorno, le ombre soggiacciono completamente alle<br />

strutture che le determ<strong>in</strong>ano (dato non secondario <strong>in</strong> un maestro<br />

della prospettiva), quasi come se le figure divenissero meridiana<br />

di un tempo di passaggio, la f<strong>in</strong>e dell’età di mezzo e la piena<br />

coscienza di appartenere ai pittori della trasformazione.<br />

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -<br />

. . . l’<strong>in</strong>contro tra arte e matematica,<br />

riconosciuta come unica risorsa per una<br />

descrizione della realtà . . .<br />

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -<br />

30 accastampato num. 1, Giugno 2010


SCIENZARTE<br />

Bibliografia<br />

Figura 2 A s<strong>in</strong>istra, Piero della Francesca: La leggenda della Vera Croce.<br />

A destra, Pablo Picasso: Il serbatoio Horta.<br />

Siamo lontani dagli ori di Beato Angelico di sapore bizant<strong>in</strong>o; <strong>in</strong><br />

Piero le immag<strong>in</strong>i bruciano come riscoperte alla luce delle nuove<br />

architetture e i volti, concepiti nell’oscurità, prendono fuoco<br />

al chiarore della nuova arte, diventando più veri e credibili come<br />

se <strong>in</strong> tale chiarezza ogni <strong>in</strong>ganno pittorico fosse dissimulato e<br />

annichilito, anziché magnificato. In Piero anche la polvere acquista<br />

spessore, dona densità all’aria suggerendo profondità e misura<br />

(Madonna di Senigallia). Nulla è lasciato al caso e, se gioca col<br />

colore per <strong>in</strong>gannare l’occhio sulle reali distanze delle architetture<br />

(come nella pala di Brera o nel ciclo della vera Croce), lo fa<br />

alla ricerca di un osservatore attento che, scorgendo l’<strong>in</strong>ganno, si<br />

avvic<strong>in</strong>i e si immerga <strong>in</strong> una pittura istruita a misura d’uomo e che<br />

con l’uomo e la sua realtà vuole misurarsi. La costruzione pittorica<br />

richiede dunque un movimento all’osservatore, quello di vivere<br />

lo spazio architettonico che comprende l’opera stessa, richiede di<br />

muoversi nello spazio. La statica suggerisce la d<strong>in</strong>amica. Questa<br />

esigenza fu forse maturata da due necessità umane: la prima quella<br />

di confrontarsi con i pittori di Firenze che dip<strong>in</strong>gevano nell’architettura<br />

r<strong>in</strong>ascimentale, la seconda di <strong>in</strong>trodurre l’osservatore a<br />

quelle perfette simmetrie matematiche che tanto bene conosceva<br />

e che fanno dei suoi dip<strong>in</strong>ti un’universalizzazione della tranquillità<br />

borghigiana dei biturgensi. L’opera matematica di Piero (Il<br />

Piero matematico dei De Pictura P<strong>in</strong>gendi, De qu<strong>in</strong>que corporibus<br />

regularibus e Trattato D’Abaco sarà riconosciuto dall’allievo<br />

Luca Pacioli) non s’identifica nella pittura, ma si risolve <strong>in</strong> essa.<br />

(1) Bernard Berenson, Piero della Francesca o dell’arte non eloquente,<br />

a cura di Luisa Vertova, Milano, Abscondita<br />

(2) Roberto Longhi, Piero della Francesca, Firenze, Sansoni<br />

(3) Carlo G<strong>in</strong>zburg, Indag<strong>in</strong>i su Piero, E<strong>in</strong>audi<br />

(4) John Pope-Hennessy, Sulle tracce di Piero della Francesca,<br />

Umberto Allemandi & Co.<br />

(5) E. H. Gombrich, La storia dell’arte raccontata da<br />

E.H.Gombrich, E<strong>in</strong>audi<br />

(6) Henri Focillon, Piero della Francesca, Abscondita<br />

(7) Ernst H. Gombrich, Riflessioni sulla storia dell’arte, E<strong>in</strong>audi<br />

(8) Ernst H. Gombrich, Sentieri verso l’arte, Leonardo Arte<br />

(9) Carlo Bertelli, Giuliano Briganti, Antonio Giuliano, Storia<br />

dell’arte italiana, Electa, Bruno Mondadori<br />

(10) Carlo Bertelli, Piero della Francesca, Silvana Editoriale<br />

(11) Alessandro Parronchi, Ricostruzioni: Piero della Francesca<br />

– L’altare di Gand, Medusa<br />

(12) Anna Maria Maetzke e Carlo Bertelli, Piero della Francesca:<br />

La Leggenda della Vera Croce <strong>in</strong> San Francesco ad Arezzo,<br />

Skira<br />

(13) Oreste Del Bono, Pierluigi De Vecchi, L’opera completa di<br />

Piero della Francesca, Milano, Rizzoli<br />

(14) Charles Bouleau, La geometria segreta dei pittori, Electa,<br />

Bruno Mondadori<br />

(15) H.Damisch et al., Piero Teorico dell’Arte, a cura di Omar<br />

Calabresi, Gangemi Editore<br />

(16) Una scuola per Piero, a cura di Luciano Bellosi, Marsilio<br />

Sull’autore<br />

Figura 3 A s<strong>in</strong>istra, Piero della Francesca: particolare del Battesimo. A<br />

destra, V<strong>in</strong>cent van Gogh: particolare di Ladies of Arles.<br />

Massimo Margotti (massimomargotti@gmail.<br />

com), laureato <strong>in</strong> Biotecnologie Industriali, accanto all’attività<br />

di studio e di ricerca ha lavorato come operatore<br />

didattico presso il Museo del Patrimonio <strong>in</strong>dustriale<br />

di Bologna e partecipato a varie <strong>in</strong>iziative di Arte e<br />

Scienza, tra le quali Fist fuck<strong>in</strong>g dra<strong>in</strong> del dipartimento<br />

di Ingegneria di Bologna e Radical Relations di Robert<br />

V<strong>in</strong>cent.<br />

accastampato num. 1, Giugno 2010 31


La prima lezione di<br />

Ettore Majorana<br />

13 gennaio 1938: una lezione speciale che mostra<br />

le capacità didattiche dello scienziato<br />

Alessio Cimarelli (su materiali di Bruno Prezioni, Erasmo Recami, Salvatore Esposito)<br />

(Laboratorio Interdiscipl<strong>in</strong>are per le Scienze Naturali e Umanistiche – Sissa)<br />

Al mondo ci sono varie categorie di scienziati; gente di secondo<br />

e terzo rango, che fanno del loro meglio ma non vanno lontano.<br />

C’è anche gente di primo rango, che arriva a scoperte di grande<br />

importanza, fondamentale per lo sviluppo della scienza. Ma poi<br />

ci sono i geni come Galileo e Newton. Ebbene Ettore era uno di<br />

quelli. Majorana aveva quel che nessun altro al mondo ha.<br />

Sfortunatamente gli mancava quel che è <strong>in</strong>vece comune trovare<br />

negli altri uom<strong>in</strong>i: il semplice buon senso.<br />

(Enrico Fermi)<br />

Ettore Majorana nacque a Catania il 6 agosto 1906 e<br />

scomparve misteriosamente nel marzo 1938 mentre<br />

era di ritorno da Palermo. Il 13 gennaio 1938 aveva<br />

tenuto la lezione <strong>in</strong>augurale del suo corso di Fisica<br />

Teorica presso l’università Federico II di Napoli, ove era stato nom<strong>in</strong>ato<br />

professore ord<strong>in</strong>ario per meriti eccezionali. Questi appunti<br />

che di seguito pubblichiamo mostrano l’<strong>in</strong>teresse dello scienziato<br />

non solo per le questioni generali e di fondo che animano la<br />

ricerca scientifica, ma anche per il migliore metodo didattico da<br />

seguire per trasmettere il sapere agli allievi, per i quali ha sempre<br />

nutrito un profondo <strong>in</strong>teresse.<br />

ne ha traccia <strong>in</strong>diretta nell’assenza di una tale notizia sui giornali<br />

cittad<strong>in</strong>i (come, ad esempio, Il Matt<strong>in</strong>o), contrariamente a<br />

quanto avveniva per altri corsi, certamente più affollati. Secondo<br />

la testimonianza di Gilda Senatore, alla lezione <strong>in</strong>augurale non<br />

parteciparono gli studenti del corso medesimo. Questo però non<br />

deve stupire. L’ipotesi, <strong>in</strong>fatti, secondo la quale la non partecipazione<br />

degli studenti fosse espressamente voluta (da Carrelli o<br />

da altri) troverebbe una valida spiegazione <strong>in</strong> un’antica consuetud<strong>in</strong>e<br />

dell’Università di Napoli, dove ogni nuovo docente doveva<br />

dimostrare agli altri professori di essere meritevole del posto che<br />

sarebbe andato a occupare.<br />

Il concorso per la cattedra di Fisica Teorica di<br />

Napoli<br />

Nel 1937 l’Università di Palermo, per <strong>in</strong>teressamento di Emilio<br />

Segré, richiese un nuovo concorso per la cattedra di Fisica Teorica.<br />

I concorrenti, oltre Majorana (<strong>in</strong>vitato <strong>in</strong>sistentemente a partecipare<br />

al concorso da Fermi e dagli amici), erano Leo P<strong>in</strong>cherle,<br />

Giulio Racah, Gleb Watagh<strong>in</strong>, Gian Carlo Wick e Giovanni Gentile<br />

(figlio dell’omonimo filosofo, già m<strong>in</strong>istro). La commissione<br />

giudicatrice, riunitasi a Roma, era presieduta da Fermi ed era costituita<br />

da Antonio Carrelli (segretario), Orazio Lazzar<strong>in</strong>o, Enrico<br />

Persico e Giovanni Polvani. I documenti ufficiali testimoniano<br />

che la commissione prospettò al M<strong>in</strong>istro Bottai (il quale accoglierà<br />

la proposta) l’opportunità di nom<strong>in</strong>are il Majorana professore<br />

di Fisica teorica per alta e meritata fama <strong>in</strong> una Università<br />

del Regno, <strong>in</strong>dipendentemente dal concorso. La cattedra fu attribuita<br />

fuori concorso a Majorana e la nom<strong>in</strong>a a professore ord<strong>in</strong>ario,<br />

partecipata dal M<strong>in</strong>istro Bottai il 2 novembre 1937, decorse<br />

dal 16 novembre dello stesso anno.<br />

Majorana annuncia l’<strong>in</strong>izio del suo corso per il giovedì 13 gennaio<br />

1938 alle 9:00, ma concorda con il preside della Facoltà di<br />

evitare ogni carattere ufficiale all’apertura del corso. Di ciò se<br />

Lo stile del docente<br />

Figura 1 Ettore Majorana<br />

Majorana, vestito di blu, aveva sempre un aspetto triste e perplesso<br />

e ciò, unito alla non facile comprensione degli argomenti avanzati<br />

che egli trattava a lezione, certamente <strong>in</strong>fondeva una certa<br />

soggezione nei giovani uditori del corso di Fisica Teorica. D’altro<br />

canto, il soprannome di Grande Inquisitore gli era stato attribuito<br />

già molti anni prima dagli amici di sempre del gruppo di Fermi a<br />

Roma. E anche al di fuori del contesto ufficiale delle lezioni, Majorana<br />

confermava questo comportamento: salutava e rispondeva<br />

gentilmente al saluto e, magari, timidamente sorrideva; si <strong>in</strong>tuiva<br />

che doveva essere profondamente buono e sensibilissimo, ma non<br />

fu mai estroverso o <strong>in</strong>vitante, anzi fu sempre estremamente schivo.<br />

E ancora: <strong>in</strong> quel lungo corridoio buio al piano terra... camm<strong>in</strong>ava<br />

sempre rasente al muro, silenziosamente e solo, muovendosi<br />

come un’ombra. Quando arrivò a Napoli, certamente il direttore<br />

Carrelli dovette parlare degli studenti e delle loro ricerche a Majo-<br />

32 accastampato num. 1, Giugno 2010


NANOS GIGANTUM<br />

rana, il quale si dovette rendere subito conto del s<strong>in</strong>golare compito<br />

che si era apprestato ad accettare con un così esiguo numero di<br />

studenti. Tuttavia egli era fermamente deciso a portare a term<strong>in</strong>e<br />

<strong>in</strong> maniera responsabile il compito assunto. A lezione era chiarissimo<br />

nella trattazione dell’argomento che proponeva di volta <strong>in</strong><br />

volta all’<strong>in</strong>izio della lezione e che svolgeva con dovizia di particolari,<br />

dando sempre la prevalenza alla parte fisica più che a quella<br />

matematica; ma quando si volgeva alla lavagna e com<strong>in</strong>ciava a<br />

scrivere, faceva calcoli che sul momento non sempre si riusciva<br />

a seguire. Il carattere di Majorana, poi, certamente non <strong>in</strong>vitava<br />

i timidi studenti a <strong>in</strong>terromperlo per chiedergli spiegazioni. Talvolta<br />

a lezione, quando Majorana si accorgeva (<strong>in</strong>terrompendosi<br />

e voltandosi <strong>in</strong>dietro) che gli studenti stentavano a capire ciò che<br />

lui stava esponendo, si fermava e rispiegava lo stesso argomento.<br />

Proprio durante qualcuna di quelle lezioni più aride e più pesanti<br />

<strong>in</strong> quanto l’argomento trattato era afferente essenzialmente a metodi<br />

matematici da applicarsi allo studio di fenomeni fisici, Majorana<br />

dimenticava forse di essere quel grandissimo scienziato che<br />

era, perché mentre era alla lavagna e scriveva, improvvisamente<br />

si fermava, poi si volgeva, ci guardava un attimo, sorrideva e riproponeva<br />

la spiegazione facendo aderire il concetto già esposto<br />

alle formule che riempivano la lavagna.<br />

Figura 2 La famiglia di Ettore Majorana (a destra) a passeggio.<br />

Appunti per la Lezione Inaugurale<br />

Università di Napoli, 13 gennaio 1938<br />

In questa prima lezione di carattere <strong>in</strong>troduttivo illustreremo brevemente<br />

gli scopi della fisica moderna e il significato dei suoi<br />

metodi, soprattutto <strong>in</strong> quanto essi hanno di più <strong>in</strong>aspettato e orig<strong>in</strong>ale<br />

rispetto alla fisica classica. La fisica atomica, di cui dovremo<br />

pr<strong>in</strong>cipalmente occuparci, nonostante le sue numerose e importanti<br />

applicazioni pratiche - e quelle di portata più vasta e forse<br />

rivoluzionaria che l’avvenire potrà riservarci -, rimane anzitutto<br />

una scienza di enorme <strong>in</strong>teresse speculativo, per la profondità<br />

della sua <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e che va veramente f<strong>in</strong>o all’ultima radice dei fatti<br />

naturali. Mi sia perciò consentito di accennare <strong>in</strong> primo luogo,<br />

Figura 3 Logo dell’università Federico II di Napoli.<br />

senza alcun riferimento a speciali categorie di fatti sperimentali<br />

e senza l’aiuto del formalismo matematico, ai caratteri generali<br />

della concezione della natura che è accettata nella nuova fisica.<br />

La fisica classica di Galileo e Newton all’<strong>in</strong>izio del nostro secolo<br />

è <strong>in</strong>teramente legata, come si sa, a quella concezione meccanicistica<br />

della natura che dalla fisica è dilagata non solo nelle scienze<br />

aff<strong>in</strong>i, ma anche nella biologia e perf<strong>in</strong>o nelle scienze sociali, <strong>in</strong>formando<br />

di sé quasi tutto il pensiero scientifico e buona parte<br />

di quello filosofico <strong>in</strong> tempi a noi abbastanza vic<strong>in</strong>i; benché, a<br />

dire il vero, l’utilità del metodo matematico che ne costituiva la<br />

sola valida giustificazione sia rimasta sempre circoscritta esclusivamente<br />

alla fisica. Questa concezione della natura poggiava sostanzialmente<br />

su due pilastri: l’esistenza oggettiva e <strong>in</strong>dipendente<br />

della materia, e il determ<strong>in</strong>ismo fisico. In entrambi i casi si tratta,<br />

come vedremo, di nozioni derivate dall’esperienza comune e poi<br />

generalizzate e rese universali e <strong>in</strong>fallibili soprattutto per il fasc<strong>in</strong>o<br />

irresistibile che anche sugli spiriti più profondi hanno <strong>in</strong> ogni<br />

tempo esercitato le leggi esatte della fisica, considerate veramente<br />

come il segno di un assoluto e la rivelazione dell’essenza dell’universo:<br />

i cui segreti, come già affermava Galileo, sono scritti <strong>in</strong><br />

caratteri matematici. L’oggettività della materia è, come dicevo,<br />

una nozione dell’esperienza comune, poiché questa <strong>in</strong>segna che<br />

gli oggetti materiali hanno un’esistenza a sé, <strong>in</strong>dipendente dal fatto<br />

che essi cadano o meno sotto la nostra osservazione. La fisica<br />

matematica classica ha aggiunto a questa constatazione elementare<br />

la precisazione o la pretesa che di questo mondo oggettivo è<br />

possibile una rappresentazione mentale completamente adeguata<br />

alla sua realtà, e che questa rappresentazione mentale può consistere<br />

nella conoscenza di una serie di grandezze numeriche sufficienti<br />

a determ<strong>in</strong>are <strong>in</strong> ogni punto dello spazio e <strong>in</strong> ogni istante lo<br />

stato dell’universo fisico. Il determ<strong>in</strong>ismo è <strong>in</strong>vece solo <strong>in</strong> parte<br />

una nozione dell’esperienza comune. Questa dà <strong>in</strong>fatti al riguardo<br />

delle <strong>in</strong>dicazioni contraddittorie. Accanto a fatti che si succedono<br />

fatalmente, come la caduta di una pietra abbandonata nel vuoto,<br />

ve ne sono altri - e non solo nel mondo biologico - <strong>in</strong> cui la successione<br />

fatale è per lo meno poco evidente. II determ<strong>in</strong>ismo <strong>in</strong><br />

accastampato num. 1, Giugno 2010 33


NANOS GIGANTUM<br />

quanto pr<strong>in</strong>cipio universale della scienza ha potuto perciò essere<br />

formulato solo come generalizzazione delle leggi che reggono la<br />

meccanica celeste. È ben noto che un sistema di punti - quali, <strong>in</strong><br />

rapporto alle loro enormi distanze, si possono considerare i corpi<br />

del nostro sistema planetario - si muove e si modifica obbedendo<br />

alla legge di Newton. Questa afferma che l’accelerazione di uno<br />

di questi punti si ottiene come somma di tanti vettori quanti sono<br />

gli altri punti:<br />

⃗P<br />

¨<br />

r ∝ ∑<br />

s<br />

m s<br />

R 2 rs<br />

⃗e rs ,<br />

essendo m s la massa di un punto generico e ⃗e rs il vettore unitario<br />

diretto da ⃗P r a ⃗P s . Se <strong>in</strong> tutto sono presenti n punti, occorreranno<br />

3n coord<strong>in</strong>ate per fissarne la posizione e la legge di Newton<br />

stabilisce fra queste grandezze altrettante equazioni differenziali<br />

del secondo ord<strong>in</strong>e il cui <strong>in</strong>tegrale generale contiene 6n costanti<br />

arbitrarie. Queste si possono fissare assegnando la posizione e le<br />

componenti della velocità di ciascuno dei punti all’istante <strong>in</strong>iziale.<br />

Ne segue che la configurazione futura del sistema può essere<br />

prevista con il calcolo purché se ne conosca lo stato <strong>in</strong>iziale, cioè<br />

l’<strong>in</strong>sieme delle posizioni e velocità dei punti che lo compongono.<br />

Tutti sanno con quale estremo rigore le osservazioni astronomiche<br />

abbiano confermato l’esattezza della legge di Newton; e come gli<br />

astronomi siano effettivamente <strong>in</strong> grado di prevedere con il suo<br />

solo aiuto, e anche a grandi distanze di tempo, il m<strong>in</strong>uto preciso<br />

<strong>in</strong> cui avrà luogo un’eclisse, o una congiunzione di pianeti o altri<br />

avvenimenti celesti.<br />

Per esporre la meccanica quantistica nel suo stato attuale esistono<br />

due metodi pressoché opposti. L’uno è il cosiddetto metodo<br />

storico: ed esso spiega <strong>in</strong> qual modo, per <strong>in</strong>dicazioni precise e<br />

quasi immediate dell’esperienza, sia sorta la prima idea del nuovo<br />

formalismo; e come questo si sia successivamente sviluppato<br />

<strong>in</strong> una maniera obbligata assai più dalla necessità <strong>in</strong>terna che non<br />

dal tenere conto di nuovi decisivi fatti sperimentali. L’altro metodo<br />

è quello matematico, secondo il quale il formalismo quantistico<br />

viene presentato f<strong>in</strong> dall’<strong>in</strong>izio nella sua più generale e perciò<br />

più chiara impostazione, e solo successivamente se ne illustrano<br />

i criteri applicativi. Ciascuno di questi due metodi, se usato <strong>in</strong><br />

maniera esclusiva, presenta <strong>in</strong>convenienti molto gravi. È un fatto<br />

che, quando sorse la meccanica quantistica, essa <strong>in</strong>contrò per<br />

qualche tempo presso molti fisici sorpresa, scetticismo e perf<strong>in</strong>o<br />

<strong>in</strong>comprensione assoluta, e ciò soprattutto perché la sua consistenza<br />

logica, coerenza e sufficienza appariva, più che dubbia,<br />

<strong>in</strong>afferrabile. Ciò venne anche, benché del tutto erroneamente,<br />

attribuito a una particolare oscurità di esposizione dei primi creatori<br />

della nuova meccanica, ma la verità è che essi erano dei fisici,<br />

e non dei matematici, e che per essi l’evidenza e giustificazione<br />

della teoria consisteva soprattutto nell’immediata applicabilità ai<br />

fatti sperimentali che l’avevano suggerita. La formulazione generale,<br />

chiara e rigorosa, è venuta dopo, e <strong>in</strong> parte per opera di<br />

cervelli matematici. Se dunque noi rifacessimo semplicemente<br />

l’esposizione della teoria secondo il modo della sua apparizione<br />

storica, creeremmo dapprima <strong>in</strong>utilmente uno stato di disagio o di<br />

diffidenza, che ha avuto la sua ragione d’essere ma che oggi non<br />

è più giustificato e può essere risparmiato. Non solo, ma i fisici<br />

- che sono giunti, non senza qualche pena, alla chiarificazione<br />

dei metodi quantistici attraverso le esperienze mentali imposte dal<br />

loro sviluppo storico - hanno quasi sempre sentito a un certo momento<br />

il bisogno di una maggiore coord<strong>in</strong>azione logica, di una<br />

più perfetta formulazione dei pr<strong>in</strong>cipi e non hanno disdegnato per<br />

questo compito l’aiuto dei matematici. Il secondo metodo, quello<br />

puramente matematico, presenta <strong>in</strong>convenienti ancora maggiori.<br />

Esso non lascia <strong>in</strong> alcun modo <strong>in</strong>tendere la genesi del formalismo<br />

e <strong>in</strong> conseguenza il posto che la meccanica quantistica ha nella<br />

storia della scienza. Ma soprattutto esso delude nella maniera<br />

più completa il desiderio di <strong>in</strong>tuirne <strong>in</strong> qualche modo il significato<br />

fisico, spesso così facilmente soddisfatto dalle teorie classiche.<br />

Le applicazioni, poi, benché <strong>in</strong>numerevoli, appaiono rare,<br />

staccate, perf<strong>in</strong>o modeste di fronte alla sua soverchia e <strong>in</strong>comprensibile<br />

generalità. Il solo mezzo di rendere meno disagevole<br />

il camm<strong>in</strong>o a chi <strong>in</strong>traprende oggi lo studio della fisica atomica,<br />

senza nulla sacrificare della genesi storica delle idee e dello stesso<br />

l<strong>in</strong>guaggio che dom<strong>in</strong>ano attualmente, è quello di premettere<br />

un’esposizione il più possibile ampia e chiara degli strumenti matematici<br />

essenziali della meccanica quantistica, <strong>in</strong> modo che essi<br />

siano già pienamente familiari quando verrà il momento di usarli<br />

e non spavent<strong>in</strong>o allora o sorprendano per la loro novità: e si<br />

possa così procedere speditamente nella derivazione della teoria<br />

dai dati dell’esperienza. Questi strumenti matematici <strong>in</strong> gran parte<br />

preesistevano al sorgere della nuova meccanica (come opera<br />

dis<strong>in</strong>teressata di matematici che non prevedevano un così eccezionale<br />

campo di applicazione), ma la meccanica quantistica li ha<br />

sforzati e ampliati per soddisfare alle necessità pratiche; così essi<br />

non verranno da noi esposti con criteri da matematici, ma da fisici.<br />

Cioè senza preoccupazioni di un eccessivo rigore formale, che<br />

non è sempre facile a raggiungersi e spesso del tutto impossibile.<br />

La nostra sola ambizione sarà<br />

di esporre con tutta la chiarezza<br />

possibile l’uso effettivo che di tali<br />

strumenti fanno i fisici da oltre<br />

un decennio, nel quale uso -<br />

che non ha mai condotto a difficoltà<br />

o ambiguità - sta la fonte<br />

sostanziale della loro certezza.<br />

Bibliografia<br />

(1) B. Preziosi, E. Recami, La Lezione Inaugurale di Ettore Majorana<br />

al suo corso di Fisica Teorica, 6 settembre 2007<br />

(2) S. Esposito, Il corso di fisica teorica di Ettore Majorana: il<br />

ritrovamento del documento Moreno, 22 novembre 2004<br />

34 accastampato num. 1, Giugno 2010


Copenhagen<br />

Il dialogo perduto tra Bohr e Heisenberg<br />

Lucia Orlando<br />

(Gruppo di Storia della Fisica, Dip. di Fisica)<br />

Margrethe - È veramente ridicolo. Voi due avete penetrato con<br />

stupefacente raff<strong>in</strong>atezza e precisione il mondo <strong>in</strong>f<strong>in</strong>itamente<br />

piccolo dell’atomo. Adesso viene fuori che tutto dipende dai pesi<br />

<strong>in</strong>f<strong>in</strong>itamente grandi che ci portiamo sulle spalle. E quello che<br />

succede lì dentro è. . .<br />

Heisenberg - Els<strong>in</strong>ore.<br />

Margrethe - Els<strong>in</strong>ore, sì.<br />

(Michael Frayn, Copenhagen, 1998)<br />

utilizzata per costruire ordigni bellici (solo l’anno dopo Fermi a<br />

Chicago mostrò la fondatezza dell’ipotesi), un grande commediografo<br />

come Michael Frayn costruisce una pièce replicata con successo<br />

dal 1998. Cosa si dicono <strong>in</strong> quell’<strong>in</strong>contro Bohr e Heisenberg?<br />

Quest’ultimo, <strong>in</strong> quel momento, lavora per il Reich, mentre<br />

il primo sta per riparare <strong>in</strong> Gran Bretagna, per poi recarsi oltreoceano<br />

e partecipare al Progetto Manhattan. La Germania nazista<br />

ha già avviato due programmi per studiare le effettive possibilità<br />

di applicare la fissione a f<strong>in</strong>i bellici. Uno dei programmi è proprio<br />

guidato da Heisenberg. E anche negli Stati Uniti si procede<br />

con ricerche prelim<strong>in</strong>ari. Heisenberg vuole davvero conv<strong>in</strong>cere il<br />

vecchio e autorevolissimo amico e maestro a sostenere un accordo<br />

<strong>in</strong>ternazionale fra scienziati per il controllo preventivo dello<br />

sfruttamento della fissione nucleare? Oppure vuole sapere a che<br />

punto è arrivata l’altra parte e, nella migliore delle ipotesi, vuole<br />

conv<strong>in</strong>cere Bohr a collaborare coi nazisti? È proprio su questa<br />

ambiguità irrisolta che Frayn costruisce uno dei più bei testi mai<br />

scritti sul rapporto tra scienza ed etica. Per l’autore, Heisenberg<br />

diventa <strong>in</strong>carnazione stessa del pr<strong>in</strong>cipio di complementarità: Sono<br />

il tuo nemico e il tuo amico. Un pericolo per l’umanità e un<br />

tuo ospite. Sono una particella e un’onda. E chiama <strong>in</strong> causa il<br />

pr<strong>in</strong>cipio di <strong>in</strong>determ<strong>in</strong>azione (vedi Box a pag. 37), per stabilire<br />

l’impossibilità di determ<strong>in</strong>are <strong>in</strong> modo certo se Heisenberg volesse<br />

davvero realizzare l’atomica tedesca o, come egli stesso si è<br />

sempre difeso, abbia ostacolato il raggiungimento dell’obiettivo.<br />

Figura 1 Scena da Copenhagen di Michael Frayn. Foto di Marco Caselli<br />

da www.loschiaffio.org<br />

N<br />

el 1941, mentre i nazisti occupano Copenhagen,<br />

Werner Heisenberg va a trovare Niels Bohr nella<br />

città danese. Per quale motivo due dei pr<strong>in</strong>cipali artefici<br />

della meccanica quantistica si <strong>in</strong>contrano nell’Europa<br />

messa a ferro e fuoco da Hitler? L’<strong>in</strong>contro è tuttora<br />

immerso nelle nebbie del dubbio, di sicuro i due parlarono di fissione<br />

e della possibilità di costruire una bomba nucleare, ma non<br />

c’è alcuna certezza su come andarono le cose. Senz’altro c’è la<br />

f<strong>in</strong>e di un’amicizia nata negli anni Venti, quando Bohr e Heisenberg<br />

gettavano le fondamenta della teoria quantistica. Su quell’<strong>in</strong>contro<br />

tra due giganti del pensiero, avvenuto <strong>in</strong> un momento<br />

critico per stabilire se la fissione nucleare potesse essere davvero<br />

Gerard Holton’s What Michael Frayn’s<br />

Copenhagen Tries to Tell Us<br />

Nel dramma di Frayn ci sono solo tre attori <strong>in</strong> scena: Bohr, sua<br />

moglie Margrethe e Heisenberg. I tre sono divenuti fantasmi che<br />

raccontano le straord<strong>in</strong>arie scoperte <strong>in</strong> meccanica quantistica di<br />

cui sono stati testimoni e protagonisti, spesso sono ignari della<br />

presenza l’uno dell’altro aggiungendo un che di s<strong>in</strong>istro alle loro<br />

<strong>in</strong>terazioni. Lo spettacolo mischia tre differenti mondi: la scienza,<br />

la storia e il teatro, ma non bisogna confondere i personaggi <strong>in</strong><br />

scena con i personaggi storici realmente esistiti. Lo spettacolo,<br />

<strong>in</strong>fatti, si fonda su ciò che su queste persone è stato detto e scritto.<br />

Heisenberg<br />

La versione di Heisenberg nell’<strong>in</strong>terpretazione di Frayn è stata<br />

formulata a partire fondamentalmente dagli scritti di due storici<br />

della fisica: Jungk e Powers. Jungk nel suo Brighter than a<br />

36 accastampato num. 1, Giugno 2010


EVENTI<br />

thousand sun (Gli apprendisti stregoni nell’<strong>in</strong>trovabile versione<br />

italiana) presenta un Heisenberg molto <strong>in</strong>genuo, basandosi sulle<br />

dichiarazioni del fisico stesso: sapevamo che fondamentalmente<br />

era possibile produrre una bomba atomica, ma avevamo sovrastimato<br />

gli sforzi che effettivamente si sono rivelati necessari per<br />

svilupparla. Heisenberg dichiarò di non aver mai <strong>in</strong>teso conv<strong>in</strong>cere<br />

Bohr di unirsi allo sviluppo del progetto atomico nazista, ma<br />

che la sua fosse una domanda sull’opportunità degli scienziati di<br />

dedicarsi a un simile progetto, domanda che Bohr avrebbe fra<strong>in</strong>teso<br />

<strong>in</strong>terpretandola come un’esortazione a unirsi a lui. Jungk<br />

conclude qu<strong>in</strong>di che Heisenberg avrebbe imposto un impedimento<br />

morale allo sviluppo della bomba, impedimento che si sarebbe<br />

manifestato come una sorta di ostruzionismo passivo che il club<br />

degli scienziati nucleari tedeschi avrebbe opposto agli ord<strong>in</strong>i dei<br />

militari, come una sorta di loggia massonica di scienziati pacifisti.<br />

È da segnalare che Heisenberg non dichiarò una simile cosa<br />

nei suoi carteggi con Jungk, ma che questi ebbe quest’<strong>in</strong>tuizione<br />

<strong>in</strong>tervistando molti degli <strong>in</strong>teressati. Sembra, <strong>in</strong>oltre, che quest’idea<br />

trovi conferma nelle dichiarazioni di Von Weizsacker a<br />

Heisenberg e agli altri scienziati tedeschi detenuti <strong>in</strong> Inghilterra<br />

nella tenuta di Farm Hall quando questi vennero a sapere della<br />

distruzione di Hiroshima. La storia registrerà che lo sviluppo pacifico<br />

dei motori a uranio è stata fatta dai tedeschi sotto il regime<br />

di Hitler, mentre gli americani e gli <strong>in</strong>glesi sviluppavano questa<br />

agghiacciante arma di guerra. Va però detto che <strong>in</strong> seguito nelle<br />

proprie memorie Von Weizsacker lasciò scritto che <strong>in</strong> effetti<br />

anche gli scienziati tedeschi speravano di costruire la bomba. In<br />

qualche modo, però, stando alle dichiarazioni di Von Laue, fisico<br />

tedesco che non collaborò mai alle ricerche sullo sviluppo di armi<br />

per il regime, gli scienziati tedeschi furono affetti da una strana<br />

mancanza di zelo che li portò a mal <strong>in</strong>terpretare i risultati di molte<br />

fondamentali misure. Il che, <strong>in</strong>direttamente, confermerebbe le<br />

tesi di Jungk. Powers portò alle estreme conseguenze quest’idea,<br />

arrivando a sostenere che quello di Heisenberg sarebbe stato un<br />

atto di consapevole sabotaggio. Questa versione è quella che fondamentalmente<br />

lo spettatore vede <strong>in</strong> scena assistendo all’opera di<br />

Frayn: lo svolgersi degli eventi abilmente prepara il pubblico al<br />

climax prima della f<strong>in</strong>e, <strong>in</strong> cui Heisenberg accusa Bohr di essere<br />

andato a Los Alamos come lo stesso Bohr ammette: per giocare<br />

la mia piccola ma utile parte nella morte di cent<strong>in</strong>aia di migliaia<br />

di persone, mentre Heisenberg esulta: ci dovrebbe essere un<br />

posto <strong>in</strong> paradiso per me.<br />

Bohr<br />

La versione dell’<strong>in</strong>contro del 1941 fornita da Heisenberg e Jungk<br />

non presenta che una parte della storia. Frayn, <strong>in</strong>fatti, si schiera<br />

evidentemente dalla parte di Heisenberg, come le battute f<strong>in</strong>ali<br />

sottol<strong>in</strong>eano. Il testo teatrale, però, scritto nel 1998, non potè basarsi<br />

su una lettera di risposta a Heisenberg che Bohr scrisse e mai<br />

spedì, pubblicata nel 2002. In questa lettera Bohr, <strong>in</strong> contrapposizione<br />

ai toni fumosi di quella di Heisenberg a Jungk, afferma<br />

di ricordare perfettamente ogni sillaba del dialogo tra loro due.<br />

Mentre il fisico tedesco lo descriveva come un vecchio arrabbiato,<br />

egli risponde che fu lo shock dovuto alla paura a fargli <strong>in</strong>terrompere<br />

bruscamente il dialogo, decidendo poi di scappare. Heisenberg<br />

<strong>in</strong>fatti gli avrebbe confidato di aver lavorato per i due anni<br />

precedenti al progetto della bomba e di avere buone probabilità di<br />

ultimarla con il suo aiuto.<br />

L’<strong>in</strong>terpretazione di Copenhagen della meccanica quantistica<br />

di Leonardo Barcaroli<br />

Werner Karl Heisenberg.<br />

Dal The<br />

MacTutor History<br />

of Mathematics<br />

archive<br />

Quando i fisici, verso l’<strong>in</strong>izio del secolo scorso, si trovarono a dover riscrivere una parte delle leggi fisiche<br />

fondamentali per spiegare molti fenomeni che avvenivano alle scale di grandezza atomiche e subatomiche<br />

non capirono subito quale <strong>in</strong>terpretazione dare alla nuova fisica. Ad esempio corpi che erano ritenuti f<strong>in</strong>o ad<br />

allora particelle, ovvero <strong>in</strong>dividuate nello spazio da una posizione ben precisa, <strong>in</strong> meccanica quantistica si<br />

comportavano come onde, ovvero esistevano <strong>in</strong> ogni tempo e <strong>in</strong> ogni luogo, come se fossero spalmate sullo<br />

spazio-tempo. Inizialmente c’era molta confusione, ma negli anni ’30 Bohr e Heisenberg, che lavoravano<br />

<strong>in</strong>sieme a Copenhagen, formalizzarono un’idea orig<strong>in</strong>aria di Born: l’onda che descrive una particella <strong>in</strong> ogni<br />

punto dello spazio a ogni tempo è associata alla probabilità di trovarla <strong>in</strong> quel punto a quell’istante, una volta<br />

che si effettua una misura su di essa. Tale <strong>in</strong>terpretazione, di carattere probabilistico, è quella comunemente<br />

accettata attualmente, benché non sia l’unica. Il pr<strong>in</strong>cipio di <strong>in</strong>determ<strong>in</strong>azione, <strong>in</strong>vece, fu frutto del lavoro del<br />

solo W. Heisenberg, mente geniale e misteriosa esattamente come il suo cosiddetto pr<strong>in</strong>cipio, erroneamente<br />

chiamato così dato che <strong>in</strong> realtà è un teorema dimostrabile. Esso stabilisce che non è possibile misurare con<br />

precisione arbitraria la posizione e la velocità di una particella nello stesso istante. Questo non significa che semplicemente la<br />

misura di una di queste due grandezze disturba l’altra, ma che proprio è impossibile def<strong>in</strong>irne contemporaneamente posizione e<br />

velocità. Il concetto sembra vago, ma <strong>in</strong> realtà descrive una caratteristica profonda della fisica su scale microscopiche: c’è un velo<br />

di impossibilità nel cogliere quello che è il moto di un corpo su scale molto piccole. Questo pr<strong>in</strong>cipio vale anche per altre coppie di<br />

grandezze come, ad esempio, il tempo e l’energia. È su questa <strong>in</strong>determ<strong>in</strong>atezza sfuggente della realtà che giocano i protagonisti<br />

dello spettacolo di Frayn, personaggi e particelle elementari allo stesso tempo.<br />

accastampato num. 1, Giugno 2010 37


Bohr sottol<strong>in</strong>ea, <strong>in</strong>oltre, che Heisenberg e Von Weizsacker si <strong>in</strong>trattennero<br />

molto sia con lui che con altri scienziati della sua<br />

équipe, sostenendo che sarebbe stato deleterio per la Danimarca<br />

e per gli scienziati danesi non collaborare con il Reich. Nella sua<br />

lettera, mai spedita probabilmente per via dei suoi toni forti, Bohr<br />

risponde punto per punto a tutte le affermazioni di Heisenberg,<br />

dip<strong>in</strong>gendo un quadro molto più fosco dello scienziato a capo del<br />

progetto nazista. Il pubblico, qu<strong>in</strong>di, dovrebbe tenere ben a mente<br />

che Frayn si è basato su documenti parziali, quelli di Jungk e<br />

di Powers, e non sugli altri che avrebbero potuto fornire ben altri<br />

scenari, come le <strong>in</strong>tercettazioni di Farm Hall o l’appena citata<br />

lettera di Bohr. Nel momento <strong>in</strong> cui lo spettatore, qu<strong>in</strong>di, si troverà<br />

ad ascoltare frasi dell’Heisenberg attore quali: Avevo capito<br />

molto chiaramente, semplicemente non l’ho detto agli altri o Non<br />

stavo tentando di costruire una bomba, dovrà tenere ben a mente<br />

che quella che sta ammirando è l’<strong>in</strong>terpretazione di un autore<br />

di teatro e non la pedissequa riproduzione di una cronaca storica,<br />

prendendo con il beneficio del dubbio qualunque giudizio morale<br />

venga propugnato dagli attori <strong>in</strong> scena.<br />

(da (6), traduzione di Niccolò Loret)<br />

Bibliografia<br />

(1) Michael Frayn, Copenhagen, Sironi Editore (2003)<br />

(2) Cassidy David, Un’estrema solitud<strong>in</strong>e. La vita e l’opera di<br />

Werner Heisenberg, Bollati Bor<strong>in</strong>ghieri (1996)<br />

(3) Jeremy Bernste<strong>in</strong>, Il club dell’uranio di Hitler. I fisici tedeschi<br />

nelle registrazioni segrete di Farm Hall, Sironi Editore (2005)<br />

(4) Pais Abraham, Il danese tranquillo. Niels Bohr: un fisico e il<br />

suo tempo (1885-1962), Bollati Bor<strong>in</strong>ghieri (1993)<br />

(5) Samuel Abraham Goudsmit, Alsos, American Institute of Physics<br />

(1996)<br />

(6) Gerard J. Holton, What Michael Frayn’s Copenhagen Tries<br />

to Tell Us, <strong>in</strong> Victory and vexation <strong>in</strong> science: E<strong>in</strong>ste<strong>in</strong>, Bohr,<br />

Heisenberg, and others, Harvard University Press (2005)<br />

Sull’autore<br />

Storica della Fisica, Lucia Orlando (Lucia.<br />

Orlando@romascuola.net) collabora con il<br />

gruppo di Storia della fisica presso il Dipartimento<br />

di Fisica dell’Università di Roma La Sapienza, per<br />

il quale ha riord<strong>in</strong>ato l’Archivio Amaldi. I suoi più<br />

recenti ambiti di <strong>in</strong>teresse riguardano la storia della<br />

Fisica italiana negli anni Trenta e dei programmi<br />

spaziali italiani. Si occupa anche di comunicazione<br />

scientifica collaborando con la RAI e vari periodici<br />

nazionali.<br />

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L’immag<strong>in</strong>e di copert<strong>in</strong>a è di Silvian25g (la si può trovare all’<strong>in</strong>dirizzo<br />

http://silvian25g.deviantart.com/<br />

art/fractal-231-82135968) e rappresenta un frattale.<br />

Un frattale è una forma geometrica che può essere divisa<br />

<strong>in</strong> più parti, ognuna delle quali è una copia ridotta della forma<br />

di partenza. Queste sorprendenti immag<strong>in</strong>i si rifanno a equazioni<br />

matematiche, più o meno complicate, che determ<strong>in</strong>ano<br />

il grado di complessità del frattale stesso. Tra i più famosi<br />

ricordiamo la curva di Von Koch e il frattale di Mandelbrot.<br />

Date un’occhiata: il mondo dei frattali è pieno di sorprese, ne<br />

scoprirete tanti anche <strong>in</strong>torno a voi!

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