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IV Domenica di Pasqua gv 10,11-18 - San Pier Giuliano Eymard

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15 maggio 20<strong>11</strong> n° 33<br />

<strong>IV</strong> DOMENICA DI PASQUA<br />

GV <strong>10</strong>,<strong>11</strong>-<strong>18</strong><br />

Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il<br />

mercenario - che non è pastore e al quale le pecore non appartengono -<br />

vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le<br />

<strong>di</strong>sperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il<br />

buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così<br />

come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore.<br />

E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle<br />

io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e <strong>di</strong>venteranno un solo gregge,<br />

un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita,<br />

per poi riprenderla <strong>di</strong> nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso.<br />

Ho il potere <strong>di</strong> darla e il potere <strong>di</strong> riprenderla <strong>di</strong> nuovo. Questo è il comando<br />

che ho ricevuto dal Padre mio".<br />

COMMENTO<br />

Per la maggior parte <strong>di</strong> noi, oggi, è desueta e poco gra<strong>di</strong>ta l'immagine<br />

dell'uomo-pecora, che segue un pastore, perché l'uomo si percepisce come<br />

essere libero. In realtà, però, gli spazi lasciati alla nostra libertà sono<br />

sempre più ridotti. Ci vengono imposti veri e propri modelli culturali e<br />

comportamentali, che limitano <strong>di</strong> fatto la libertà e che noi, con<strong>di</strong>zionati e<br />

totalmente plagiati, seguiamo, timorosi <strong>di</strong> perdere il passo. Gesù propone<br />

un modello decisamente alternativo. Ciò che dobbiamo imitare non sono i<br />

desideri degli altri, ma quelli del Padre, che non è rivale <strong>di</strong> nessuno. Proprio<br />

Gesù, che è il Figlio e conosce l'amore del Padre, si propone come il<br />

vero pastore, alla cui sequela <strong>di</strong>ventiamo ciò che siamo: figli del Padre e<br />

fratelli fra <strong>di</strong> noi. Ai falsi pastori che <strong>di</strong>ffondono la cultura dell'aggressione,<br />

della competizione, della rivalità e della violenza, Gesù oppone la sua<br />

persona <strong>di</strong> pastore che porta la cultura della fraternità e dell'amore e<br />

della vita donata. Gesù afferma: Io sono il buon pastore. Per farci capire<br />

cosa intende per «buono», per cinque volte ripete il verbo offrire. Ciò che<br />

il pastore offre è la vita, è questo il filo rosso dell’intera opera <strong>di</strong> Dio. Il<br />

grande lavoro <strong>di</strong> Dio, è offrire vita e ciò non significa per prima cosa morire,<br />

perché se il pastore muore le pecore sono abbandonate e il lupo rapisce,<br />

uccide, vince. Dare la vita qui è inteso nel senso primo, come hanno<br />

compreso gli apostoli: quello della vite che dà linfa al tralcio. Inoltre Gesù<br />

non esclude nessuno dal gregge, anzi pensa alle «altre pecore che non sono


<strong>di</strong> quest' ovile» e che lui deve condurre ad esso . Vuole salvare non solo gli<br />

ebrei, ma l'umanità intera. Con la conversione dei pagani al vangelo si rompono<br />

gli steccati tra i due recinti del mondo, per formare un unico popolo<br />

<strong>di</strong> Dio e questa unità è operata dalla morte <strong>di</strong> croce <strong>di</strong> Gesù. Il Vangelo si<br />

chiude con una frase solenne: questo è il comando che ho ricevuto dal Padre<br />

mio. Non un comando ma il comando: il comando <strong>di</strong> offrire, donare; o-<br />

gni uomo per stare bene deve dare, perché così fa Dio. La felicità <strong>di</strong> questa<br />

nostra vita ha a che fare con il dono. E con il <strong>di</strong>ventare pastori buoni<br />

<strong>di</strong> un piccolo, minimo gregge affidato alle nostre cure. Il Padre ama il Cristo<br />

perché egli dona la sua vita a favore del suo gregge ma la morte <strong>di</strong><br />

Gesù non trova la sua spiegazione ultima nella violenza e nell'o<strong>di</strong>o degli<br />

uomini, è piuttosto un evento salvifico del piano <strong>di</strong>vino, accettato liberamente<br />

da Cristo che depone la sua anima per poi riprenderla <strong>di</strong> nuovo, in<br />

conformità al comando del Padre. Qui Gesù allude chiaramente al suo potere<br />

<strong>di</strong>vino <strong>di</strong> risorgere dai morti e qui, la morte e la risurrezione rappresentano<br />

il culmine della volontà del Padre nei confronti del Figlio.

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