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Registrazione al Tribunale di <strong>Velletri</strong> n. 9/2004 del 23.04.2004 - Redazione: C.so della Repubblica 343 - 00049 VELLETRI RM - 06.9630051 - fax 0696100596 - curia@diocesi.velletri-segni.it Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli atti della Curia e pastorale per la vita della <strong>Diocesi</strong> di <strong>Velletri</strong> -<strong>Segni</strong> Anno 10, n. 6 (98) - Giugno 20<strong>13</strong>
Giugno<br />
2<br />
20<strong>13</strong><br />
- Una fede che attraversa la storia,<br />
+ Vincenzo Apicella p. 3<br />
- La Parola di Papa francesco: “Dio risponde<br />
alla nostra debolezza con la sua pazienza”,<br />
Stanislao Fioramonti p. 4<br />
- Il Papa a S. Maria Maggiore: Siate miti ed umili,<br />
Sara Gilotta p. 5<br />
- Se lo Stato mostrasse una “preferenza” per la vita,<br />
Pier Giorgio Liverani p. 6<br />
- La Visita Pastorale alla Parr. S. M. Maggiore<br />
in Valmontone, piccola cronaca.<br />
Intervista a S.E. mons. Apicella,<br />
Stanislao Fioramonti p. 21<br />
- La Visita Pastorale nella Parr. S. M. Maggiore<br />
di Valmontone è racchiusa in alcune immagini<br />
significative, e non tutte pubbliche,<br />
mons. Luigi Vari p. 24<br />
- Florete flores. Religiosità e fiori ad Artena,<br />
Sara Calì p. 25<br />
- Nel pensiero di S. Bruno: Sulla pazienza/ 2,<br />
don Daniele Valenzi p. 26<br />
- Giulio Andreotti: un caro ricordo da <strong>Segni</strong>,<br />
dott. Luigi Vari p. 27<br />
- “Giocate alla vita per grandi ideali, giovani!”,<br />
Catechiste S. M. Assunta in <strong>Segni</strong> p. 28<br />
Ecclesia in cammino<br />
Bollettino Ufficiale per gli atti di Curia<br />
Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli atti<br />
della Curia e pastorale per la vita della<br />
<strong>Diocesi</strong> di <strong>Velletri</strong>-<strong>Segni</strong><br />
Direttore Responsabile<br />
Mons. Angelo Mancini<br />
Collaboratori<br />
Stanislao Fioramonti<br />
Tonino Parmeggiani<br />
Mihaela Lupu<br />
Proprietà<br />
<strong>Diocesi</strong> di <strong>Velletri</strong>-<strong>Segni</strong><br />
Registrazione del Tribunale di <strong>Velletri</strong><br />
n. 9/2004 del 23.04.2004<br />
- La penitenza / 2: sviluppo storico del sacramento,<br />
don Antonio Galati p. 7<br />
- Il lebbroso e la Misericordia,<br />
Claudio Capretti p. 8<br />
- Vi presentiamo Chiucky e Ronny!,<br />
Katiuscia Ciprì p. 10<br />
- Bibbia e religioni, Gaetano Sabetta p. 11<br />
- La Caritas non è “Robba da vecchi”. Progetto<br />
Giovani e Volontariato, Elisa Simonetti,<br />
Stefano Dal Bianco e Laura Russo p. 12<br />
- Il Canto di comunione: Canta e cammina,<br />
mons. Franco Fagiolo p. 29<br />
- I The Sun: spiriti del Sole, a cura delle<br />
Suore Apostoline di <strong>Velletri</strong> p. 30<br />
- Famiglia e Parrocchia di fronte alla Porta<br />
della Fede, p. Vincenzo Molinaro p. 32<br />
- Acero in Festa: 1° Maggio 20<strong>13</strong> p. 33<br />
- L’avventura della Comunità Nuovi Orizzonti,<br />
collab. Nuovi Orizzonti p. 34<br />
- Ammissione all’Ordine sacro del Diaconato<br />
permanente di Gaetano Di Laura e Luciano<br />
Taddei, n.d.r. p. 35<br />
Stampa: Tipolitografia Graphicplate Sr.l.<br />
Redazione<br />
Corso della Repubblica 343<br />
00049 VELLETRI RM<br />
06.9630051 fax 96100596<br />
curia@diocesi.velletri-segni.it<br />
A questo numero hanno collaborato inoltre:<br />
S.E. mons. Vincenzo Apicella, mons. Luigi Vari, mons.<br />
Franco Risi, don Dario Vitali, mons. Franco Fagiolo, don<br />
Antonio Galati, Suore Apostoline <strong>Velletri</strong>, don Marco Nemesi,<br />
don Daniele Valenzi, p. Vincenzo Molinaro, don Ettore Capra,<br />
don Gaetano Zaralli, Claudio Capretti, Pier Giorgio Liverani,<br />
Antonio Venditti, Sara Gilotta, Katiuscia Ciprì, Gaetano<br />
Sabetta,Elisa Simonetti, Stefano Dal Bianco, Laura Russo,<br />
Sara Calì, équipe Catechiste - educatori di <strong>Segni</strong>, Giovanni<br />
Marrazzo, i Volontari del Museo diocesano di <strong>Velletri</strong>, collab.<br />
Comunità Nuovi Orizzonti, Fabio Pontecorvi.<br />
Consultabile online in formato pdf sul sito:<br />
www.diocesi.velletri-segni.it<br />
DISTRIBUZIONE GRATUITA<br />
- Credo in Gesù Cristo, Nostro Signore / 3,<br />
don Dario Vitali p. 14<br />
- I Santi dell’Anno della Fede / 6,<br />
Stanislao Fioramonti p. 15<br />
- Testimoni della Fede del Terzo Millennio,<br />
Stanislao Fioramonti p. 16<br />
- I discepoli di Emmaus riconobbero Gesù<br />
nello spezzare il pane, mons. Franco Risi p. 17<br />
- Lauda Sion, don Ettore Capra p. 18<br />
- Presenti nel presente,<br />
don Gaetano Zaralli p. 20<br />
- La scuola oggi: riformata o delusa?<br />
Antonio Venditti p. 36<br />
- La Notte dei Musei a <strong>Velletri</strong>,<br />
i volontari Museo del diocesano p. 37<br />
- Corso di iconografia: il Volto di Cristo<br />
Fabio Pontecorvi p. 38<br />
- Artemisia Gentileschi, Giuditta che decapita<br />
Oloferne, 1620 ca., Firenze<br />
don M. Nemesi p. 39<br />
Il contenuto di articoli, servizi foto e loghi nonché quello voluto da chi vi compare rispecchia esclusivamente il pensiero degli<br />
artefici e non vincola mai in nessun modo Ecclesìa in Cammino, la direzione e la redazione.<br />
Queste, insieme alla proprietà, si riservano inoltre il pieno ed esclusivo diritto di pubblicazione, modifica e stampa a propria<br />
insindacabile discrezione senza alcun preavviso o autorizzazioni. Articoli, fotografie ed altro materiale, anche se non pubblicati,<br />
non si restituiscono. E’ vietata ogni tipo di riproduzione di testi, fotografie, disegni, marchi, ecc. senza esplicita autorizzazione<br />
del direttore.<br />
In copertina:<br />
Papa Francesco e S.E. mons. Vincenzo Apicella<br />
Basilica di San Pietro in Vaticano<br />
23 maggio 20<strong>13</strong><br />
Foto: Fotografia Felici.
Giugno<br />
20<strong>13</strong><br />
3<br />
Vincenzo Apicella, vescovo<br />
Il 3 <strong>giugno</strong> di 50 anni fa piazza San Pietro viveva un momento<br />
indimenticabile della sua storia, almeno per quelli che lo<br />
hanno vissuto personalmente. Per alcuni giorni una piccola<br />
folla silenziosa era sparpagliata nella grande piazza, gente di ogni<br />
età e condizione si dava silenziosamente il cambio, col volto triste,<br />
spesso rigato di lacrime, ma sempre raccolta in una preghiera<br />
intensa e accorata. Era il popolo di Roma, che sentiva, con dolore<br />
lacerante, l’avvicinarsi del distacco dal suo pastore, dal suo amatissimo<br />
vescovo, quell’Angelo Giuseppe Roncalli, che cinque anni<br />
prima aveva preso il nome di Giovanni XXIII.<br />
E’ doveroso, dopo aver ricordato nell’ottobre scorso il 50° anniversario<br />
dell’apertura del Concilio Vaticano II, fare memoria, oggi,<br />
di chi quel Concilio l’aveva voluto e iniziato e ne aveva accompagnato<br />
i primi passi, permettendogli<br />
di prendere il largo.<br />
Da parte sua fu uno straordinario atto<br />
di fede, un abbandono senza riserve<br />
ad una ispirazione incontenibile:<br />
“Fu un tocco inatteso, uno sprazzo di<br />
superna luce; una grande soavità negli<br />
occhi e nel cuore” (dal discorso di apertura<br />
del Concilio).<br />
Da allora il mondo è molto cambiato,<br />
ma anche la Chiesa è cambiata, non<br />
nella sostanza immutabile voluta dal<br />
suo Fondatore e Signore, ma nella consapevolezza<br />
della sua natura e della<br />
sua missione, nell’atteggiamento e nel<br />
volto con cui si presenta al mondo.<br />
Papa Giovanni l’aveva definita, nella<br />
sua prima enciclica, Madre e Maestra,<br />
perché “innalzando la fiaccola della<br />
verità religiosa, vuol mostrarsi madre<br />
amorevole di tutti, benigna, paziente,<br />
piena di misericordia e di bontà,<br />
anche verso i figli da lei separati”, in<br />
quanto “ora la sposa di Cristo preferisce<br />
usare la medicina della misericordia<br />
piuttosto che della severità. Essa<br />
ritiene di venire incontro ai bisogni<br />
di oggi mostrando la validità della sua<br />
dottrina, piuttosto che rinnovando condanne” (dal discorso di apertura<br />
del Concilio).<br />
In questi cinquant’anni moltissime altre volte piazza San Pietro<br />
è tornata a riempirsi di folle sempre più numerose e la Chiesa sembra<br />
rinnovare continuamente e misteriosamente la sua giovinezza,<br />
poiché, nonostante l’avvicendarsi dei suoi Vicari terreni, ognuno<br />
col suo carisma inconfondibile e provvidenziale, è sempre lo<br />
stesso Cristo a sospingerla col soffio del suo Spirito.<br />
Il miracolo si sta rinnovando sotto i nostri occhi con questo inizio<br />
di pontificato di Papa Francesco, con cui si avverte in modo<br />
più deciso e visibile l’adempimento di quel programma enunciato<br />
dai Padri del Concilio nel loro primo messaggio rivolto al mondo<br />
intero: “Rivolgiamo continuamente il nostro animo verso tutte<br />
le angosce che affliggono oggi gli uomini; perciò anzitutto le<br />
nostre premure si volgono verso i più umili, i più poveri, i più<br />
deboli, sull’esempio di Cristo…” (dal Messaggio del 20 ottobre<br />
1962). Parole simili i vescovi italiani hanno ascoltato in San Pietro<br />
la sera del 23 maggio scorso, nel rinnovare la professione di fede<br />
sulla tomba dell’Apostolo, quando il Papa ha chiesto, nella sua<br />
preghiera a Maria, di poter “sperimentare la gioia di una Chiesa<br />
umile, povera e al servizio di tutti”.<br />
Anche la nostra diocesi sente l’esigenza di proseguire il cammino,<br />
di aumentare il passo per varcare la Porta della Fede, come<br />
ci è stato chiesto da Benedetto XVI, per il quale restano immutati<br />
il nostro affetto e il nostro ricordo nella preghiera.<br />
In questo Anno, egli scriveva, “Dovrà intensificarsi la riflessione<br />
sulla fede per aiutare tutti i credenti in Cristo a rendere più consapevole<br />
ed a rinvigorire la loro adesione al Vangelo, soprattutto<br />
in un momento di profondo cambiamento<br />
come quello che l’umanità<br />
sta vivendo.<br />
Avremo l’opportunità di confessare<br />
la fede nel Signore Risorto nelle nostre<br />
Cattedrali e nelle chiese di tutto il mondo,<br />
nelle nostre case e presso le nostre<br />
famiglie, perché ognuno senta forte<br />
l’esigenza di conoscere meglio e di<br />
trasmettere alle generazioni future la<br />
fede di sempre…<br />
Nel contempo auspichiamo che la testimonianza<br />
di vita dei credenti cresca<br />
nella sua credibilità. Riscoprire i contenuti<br />
della fede professata, celebrata,<br />
vissuta e pregata e riflettere sullo<br />
stesso atto con cui si crede è un impegno<br />
che ogni credente deve fare proprio,<br />
soprattutto in questo Anno” (Porta<br />
Fidei, n.8-9).<br />
Come gesto comune, con cui la nostra<br />
Chiesa di <strong>Velletri</strong>-<strong>Segni</strong> vuole accogliere<br />
e rispondere all’invito di Papa<br />
Benedetto, mercoledì 19 <strong>giugno</strong> ci recheremo<br />
insieme in pellegrinaggio alla<br />
Tomba degli Apostoli per rinnovare<br />
la nostra professione di fede, partecipando<br />
all’Udienza Generale di<br />
Papa Francesco in piazza San Pietro e celebrando l’Eucarestia,<br />
nel pomeriggio, presso la Basilica di San Paolo. Sono i due luoghi,<br />
che non conservano solo i resti mortali di Pietro e Paolo, ma<br />
rappresentano la memoria vivente di una testimonianza imperitura<br />
e il punto di partenza di un cammino che continua nella storia,<br />
fino a quando non si compirà per tutti nella Patria celeste, per<br />
renderci partecipi della stessa Gloria.<br />
Per fede Giovanni XXIII aprì il Concilio; per fede Paolo VI soffrendo<br />
lo portò a compimento; per fede Giovanni Paolo II lo rese<br />
presente con forza in ogni angolo della terra; per fede Benedetto<br />
XVI, maestro umile e sapiente, si è consacrato alla preghiera; per<br />
fede viviamo anche noi, perché Cristo Risorto regni nei nostri cuori<br />
e la sua luce risplenda sul nostro volto e perché l’annuncio della<br />
salvezza raggiunga tutti i poveri e gli umili della terra.
Giugno<br />
4<br />
20<strong>13</strong><br />
Sintesi a cura<br />
di Stanislao Fioramonti<br />
“Con gioia celebro per la prima volta l’Eucaristia<br />
in questa Basilica Lateranense, Cattedrale del<br />
Vescovo di Roma. Vi saluto tutti con grande affetto.<br />
Celebriamo oggi la Seconda Domenica di Pasqua,<br />
denominata anche «della Divina Misericordia».<br />
Com’è bella questa realtà della fede per la nostra<br />
vita: la misericordia di Dio! Un amore così grande,<br />
così profondo quello di Dio verso di noi, un<br />
amore che non viene meno, sempre afferra la<br />
nostra mano e ci sorregge, ci rialza, ci guida.<br />
Nel Vangelo di oggi, l’apostolo Tommaso fa esperienza<br />
proprio della misericordia di Dio, che ha<br />
un volto concreto, quello di Gesù, di Gesù Risorto.<br />
Vuole vedere, vuole mettere la sua mano nel<br />
segno dei chiodi e nel costato. E qual è la reazione<br />
di Gesù?<br />
La pazienza.<br />
Ricordiamo anche Pietro: per tre volte rinnega<br />
Gesù proprio quando doveva essergli più vicino;<br />
e quando tocca il fondo incontra lo sguardo<br />
di Gesù che, con pazienza, senza parole gli<br />
dice: «Pietro, non avere paura della tua debolezza,<br />
confida in me»; e Pietro comprende, sente<br />
lo sguardo d’amore di Gesù e piange. Che<br />
bello è questo sguardo di Gesù – quanta tenerezza!<br />
Fratelli e sorelle, non perdiamo mai la fiducia<br />
nella misericordia paziente di Dio!<br />
Pensiamo ai due discepoli di Emmaus: il volto<br />
triste, un camminare vuoto, senza speranza. Ma<br />
Gesù non li abbandona: percorre insieme la strada,<br />
e non solo!<br />
Con pazienza spiega le Scritture che si riferivano<br />
a Lui e si ferma a condividere con loro il<br />
pasto. Questo è lo stile di Dio: non è impaziente<br />
come noi, che spesso vogliamo tutto e subito,<br />
anche con le persone. Dio è paziente con noi<br />
perché ci ama, e chi ama comprende, spera,<br />
dà fiducia, non abbandona, non taglia i ponti,<br />
sa perdonare. Ricordiamolo nella nostra vita di<br />
cristiani: Dio ci aspetta sempre, anche quando<br />
ci siamo allontanati! Lui non è mai lontano, e<br />
se torniamo a Lui, è pronto ad abbracciarci. (...)<br />
Gesù ci mostra questa pazienza misericordiosa<br />
di Dio perché ritroviamo fiducia, speranza,<br />
sempre! Un grande teologo tedesco, Romano<br />
Guardini, diceva che Dio risponde alla nostra<br />
debolezza con la sua pazienza e questo è il motivo<br />
della nostra fiducia, della nostra speranza.<br />
Vorrei sottolineare un altro elemento: la pazienza<br />
di Dio deve trovare in noi il coraggio di ritornare<br />
a Lui, qualunque errore, qualunque peccato<br />
ci sia nella nostra vita. (...)<br />
Forse qualcuno di noi può pensare: il mio peccato<br />
è così grande, la mia lontananza da Dio<br />
è come quella del figlio minore della parabola,<br />
la mia incredulità è come quella di Tommaso;<br />
non ho il coraggio di tornare, di pensare che Dio<br />
possa accogliermi e che stia aspettando proprio<br />
me. Ma Dio aspetta proprio te, ti chiede solo<br />
il coraggio di andare a Lui.<br />
Quante volte nel mio ministero pastorale mi sono<br />
sentito ripetere: «Padre, ho molti peccati»; e l’invito<br />
che ho sempre fatto è: «Non temere, va’<br />
da Lui, ti sta aspettando, Lui farà tutto».<br />
Quante proposte mondane sentiamo attorno a<br />
noi, ma lasciamoci afferrare dalla proposta di<br />
Dio, la sua è una carezza di amore.<br />
Per Dio noi non siamo numeri, siamo importanti,<br />
anzi siamo quanto di più importante Egli abbia;<br />
anche se peccatori, siamo ciò che gli sta più a<br />
cuore.<br />
Nella mia vita personale ho visto tante volte il<br />
volto misericordioso di Dio, la sua pazienza; ho<br />
visto anche in tante persone il coraggio di entrare<br />
nelle piaghe di Gesù dicendogli: Signore sono<br />
qui, accetta la mia povertà, nascondi nelle tue<br />
piaghe il mio peccato, lavalo col tuo sangue.<br />
E ho sempre visto che Dio l’ha fatto, ha accolto,<br />
consolato, lavato, amato.<br />
Cari fratelli e sorelle,<br />
lasciamoci avvolgere dalla misericordia di Dio;<br />
confidiamo nella sua pazienza che sempre ci<br />
dà tempo; abbiamo il coraggio di tornare nella<br />
sua casa, di dimorare nelle ferite del suo amore,<br />
lasciandoci amare da Lui, di incontrare la sua<br />
misericordia nei Sacramenti. Sentiremo la sua<br />
tenerezza, tanto bella, sentiremo il suo abbraccio<br />
e saremo anche noi più capaci di misericordia,<br />
di pazienza, di perdono, di amore”.
Giugno<br />
20<strong>13</strong><br />
5<br />
Sara Gilotta<br />
Papa Francesco, visitando per<br />
la seconda volta dopo la sua<br />
ascesa al soglio pontificio, la<br />
basilica di Santa Maria Maggiore, mater<br />
populi romani (ed io aggiungerei populorum<br />
omnium) vi ha recitato il Rosario<br />
ed ha poi parlato ai presenti , cui ha<br />
ricordato che i cristiani devono essere<br />
miti ed umili come le pecorelle, capaci<br />
di ascoltare la voce del pastore che<br />
le salva.<br />
Parole molto semplici pronunciate con<br />
quella dolcezza, cui il nuovo pontefice<br />
ci ha già abituato. Eppure le parole<br />
del papa proprio perché apparentemente<br />
semplici devono indurre a riflettere<br />
per trarne una lezione di fede e<br />
di vita. Tanto più che il nostro tempo<br />
non sembra incline alla mitezza<br />
e alla umiltà, anzi, direi, che non conosciamo<br />
nemmeno più il significato autentico<br />
delle due parole, immersi come<br />
siamo in un clima sociale e familiare,<br />
dove conta solo primeggiare, affermando<br />
se stessi con tutti i mezzi.<br />
Perché essere miti vuol dire, non solo<br />
vivere nella moderazione e nella clemenza<br />
verso gli altri, ma soprattutto<br />
vivere privi di sentimenti di rancore<br />
e di violenza, che, purtroppo, sembrano<br />
essere segni distintivi quotidiani.<br />
E nel Vangelo la mitezza viene<br />
ricordata innanzitutto nel discorso<br />
della montagna, in cui Gesù, tra<br />
l’altro, dice ”Beati i poveri poiché vostro<br />
è il regno dei cieli”dove il termine “povero”<br />
non indica davvero uno stato economico, ma, appunto, la mitezza<br />
del cuore, che conduce ad una vita in cui si sceglie di non abbandonarsi<br />
all’ira, di essere tolleranti, pazienti e totalmente alieni da ogni forma di<br />
violenza, come ha mostrato Gesù in tutta la sua vita terrena. Ma il Pontefice<br />
ha citato anche la parabola del buon samaritano, in cui il concetto di<br />
prossimo e quello di misericordia appaiono evidenti, giacché tra tanti è<br />
solo il samaritano che si ferma a curare l’uomo rapinato e ferito dai ladroni,<br />
preoccupandosi di lasciare<br />
due denari all’albergatore,<br />
affinché, lui partito, non lo abbandonasse.<br />
Il Samaritano, dunque, è<br />
mite e misericordioso e<br />
comprende il vero significato<br />
del termine “prossimo”.<br />
Significato che noi oggi abbiamo<br />
in gran parte perso,perché<br />
siamo chiusi in uno smisurato<br />
egoismo, che nega la<br />
mitezza, ma ancora di più rende<br />
gli animi fiacchi, incapaci<br />
di sentimenti profondi e veri.<br />
Così la mitezza è diventata per<br />
molti sinonimo di debolezza<br />
e arrendevolezza paurosa, come<br />
dimostrano gli atteggiamenti,<br />
le parole, le scelte di tanti<br />
giovani, che adeguano la<br />
loro vita ai costumi peggiori,<br />
seguendo l’esempio di chi, a sua volta,<br />
debole e confuso, non può che<br />
nascondere la propria fragilità dietro<br />
il turpiloquio, la violenza delle parole<br />
e dei comportamenti.<br />
Ai giovani, infatti, si è , altresì, rivolto<br />
il Papa, per ammonirli sulla<br />
necessità di essere diversi, di non seguire,<br />
cioè, gli esempi negativi, per cercare<br />
se stessi nell’amore per il prossimo<br />
e forse prima ancora per se stessi,<br />
perché è certo che si riesce ad<br />
amare gli altri, se si è equilibrati personalmente<br />
e se si considera la moderazione<br />
non effetto di remissività e<br />
di arrendevolezza fine a se stessa,<br />
ma un modo di essere consapevole<br />
di quel che si è e di quel che si<br />
vuole essere nella vita.<br />
D’ altra parte è anche vero che la mitezza,<br />
prima ancora che nel vero e proprio<br />
esercizio del potere, si è persa<br />
nel vocabolario stesso di chi detiene<br />
il potere , qualunque esso sia.<br />
Si è finita per perdere così la misura<br />
stessa delle parole e poi dei gesti<br />
che ci rapportano agli altri, facendo<br />
in modo che forse inconsapevolmente<br />
si sia finito per dimenticare tutti gli<br />
atteggiamenti miti, umili e comprensivi.E<br />
citare Palazzeschi a questo<br />
proposito può essere illuminante<br />
. Egli dice: ”Meglio, cento volte meglio<br />
aveste dato ascolto al vostro mite istinto<br />
e non vi foste lasciato lusingare<br />
e intimidire , né tampoco spinger avanti<br />
e indietro da chicchesia….”.<br />
Sembrano parole scritte oggi per descrivere<br />
la condizione di molti che vivono trascinati verso il male da cattivi<br />
esempi , che, talora, cancellano persino il loro carattere fondamentalmente<br />
buono. Lo stesso Dante ne Purgatorio dice: “Che farem noi a<br />
chi mal desira, se quei che ci ama è per noi condannato?”<br />
Il signore è Pisistrato che alla moglie con volto sereno chiede che cosa<br />
si può volere e fare a chi ci vuole male, se si riesce a condannare anche<br />
chi ci ama.
Giugno<br />
6<br />
20<strong>13</strong><br />
Pier Giorgio Liverani<br />
Con l’assurdo sostegno legale dello Stato e con le spese a totale<br />
carico delle Asl, il dramma, anzi la tragedia dell’aborto si svolge<br />
e coinvolge soprattutto la famiglia. Secondo i dati e l’esperienza<br />
del Movimento per la Vita, infatti, la maggioranza delle donne che<br />
si rivolgono ai suoi Centri e dei Servizi di Aiuto alla Vita (CAV e SAV) per<br />
capire ciò che esse stesse realmente vogliono e per essere aiutate dinanzi<br />
alla possibilità, al desiderio o alla paura di un aborto, hanno più di 25<br />
anni (il 54 per cento) e sono casalinghe (39%) e coniugate (61%). C’è<br />
anche un 4 per cento di studentesse e un 2 per cento di minorenni, che<br />
in genere, aiutate dal giudice minorile, vogliono sfuggire al controllo del<br />
genitori. La causa che più le spinge verso l’aborto è costituita (nel 47%<br />
dei casi) da difficoltà economiche familiari: le disoccupate sono il 32 per<br />
cento, molte più delle occupate (25%). La maggioranza (il 60 per cento)<br />
si presenta al Cav con una gravidanza ormai avanzata oltre i 90 giorni.<br />
Come arrivano tutte queste donne (60mila, nel 2012, ma non tutte per<br />
l’aborto) ai Centri di aiuto alla vita? Il 29 per cento si presenta spontaneamente,<br />
27 donne su cento vi sono indirizzate da amici, il 10 per cento<br />
da parrocchie o associazioni cattoliche, il 6% da altre donne contente<br />
dell’aiuto avuto dai Centri a tenersi il bambino.<br />
Un dato piccolo, ma importante: il 7 per cento vi sono inviate dai Consultori<br />
pubblici e ciò dimostra che, con un po’ di buona volontà dei Consultori,<br />
sarebbe possibile realizzare un’effettiva collaborazione che avesse carattere<br />
di normalità. È proprio la stessa e ignobile Legge 194 che, nell’art.<br />
2, spinge i Consultori a «contribuire a far superare le cause le cause che<br />
potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza» e, a questo<br />
fine, stabilisce che i Consultori «possono avvalersi della collaborazione<br />
volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato».<br />
Sembra che la Legge voglia indicare proprio il Movimento e i suoi<br />
Centri di Aiuto alla Vita. Nel rifiuto pressoché generale delle forze politiche<br />
di riesaminare la Legge 194 per abolirla o almeno migliorarla, nulla<br />
vieta – anzi tutto suggerisce – che lo Stato, anche senza vietare<br />
l’aborto, dimostri almeno una esplicita “preferenza<br />
per la vita”, concreta e non solo scritta<br />
al solo scopo di uno sgravio<br />
di coscienza:<br />
voglio<br />
dire<br />
con<br />
chiare affermazioni di principio e con<br />
conseguenti soluzioni tecniche e<br />
politiche di sostegno delle madri disposte<br />
a non abortire se messe nella<br />
condizione di poterlo fare con facilità.<br />
Quanti più bambini potrebbero essere salvati, con sensibile<br />
contrasto della crisi demografica?<br />
Ma i padri di questi bambini nati o abortiti che cosa pensano?<br />
In base a ciò che le donne (e talvolta anche i padri<br />
stessi) riferiscono agli operatori dei CAV, si può affermare che il 10 per<br />
cento di loro istiga la partner all’aborto, il 9% è soltanto consenziente, il<br />
10 è indifferente, il 35 è contrario e subisce l’aborto del figlio senza avere,<br />
sempre per l’ignobile Legge 194 (art. 5), la possibilità di interferire in<br />
qualche modo nella decisione della donna. Del rimanente 36 non si hanno<br />
notizie, ma il forte numero dei padri che vogliono salvare il figlio è consolante<br />
ed è da tenere in considerazione soprattutto nell’ipotesi di una<br />
ipotetica conversione statale al favore per la vita.<br />
La rete nazionale dei CAV è in crescita: dal 2011 al 2012 sono passati<br />
da 331 a 328 sparsi in tutta l’Italia, maggiormente al Nord. Ciascuno è<br />
articolato con un numeroso gruppo di operatori volontari (in media 12, in<br />
prevalenza donne) che hanno seguito appositi corsi di formazione, e con<br />
un’area di numerosi (220)sostenitori: consulenti in medicina, diritto, lavoro,<br />
finanziatori o aiutanti in vario modo: offerta di ospitalità, forniture di<br />
vestiario, alimenti, strumenti medicali, medicinali). In totale circa 4000 operatori<br />
stabili ed esperti e 73.000 sostenitori. Ed ecco il grado di efficacia<br />
del lavoro dei Centri, riferito al 2012. Delle donne incerte o intenzionate<br />
ad abortire che hanno chiesto l’aiuto del Movimento per la Vita, l’81 per<br />
cento ha portato a termine la gravidanza che all’inizio voleva interrompere.<br />
Di queste il 7 per cento aveva già il certificato per presentarsi in ospedale<br />
ad abortire, avendo già sbrigato tutti i richiesti passaggi formali.<br />
Nessuna si è pentita di non esserci andata. Un considerevole numero di<br />
quelle che, invece hanno abortito (indipendentemente da un contatto con<br />
il CAV) oggi è una propagandista contro l’aborto: vuole che nessuna donna<br />
sperimenti più il tormento che esse hanno <strong>prova</strong>to e sofferto dopo aver<br />
volontariamente perduto il figlio. Ecco i “numeri” del lavoro dei Cav calcolati<br />
sulla base del dei 204 Centri su 328 che hanno inviato tempestivamente<br />
al loro centro di coordinamento di Padova, una completa relazione<br />
annuale (in alcuni Cav l’impegno è tale che manca il tempo per dedicarsi<br />
alla statistica). La stima resa nota dal MpV è attendibile e dice che<br />
i bambini salvati nel 2012 sono stati circa 16.200.<br />
Questo porta il totale dei salvataggi<br />
compiuti negli ultimi<br />
37 anni (dalla nascita del primo<br />
Cav nel 1975, a<br />
Firenze) a un numero compreso<br />
tra 150 e 160mila.<br />
Quest’anno la media<br />
dei bambini nati<br />
per ciascun Cav<br />
è di 48, il numero<br />
medio delle<br />
donne
Giugno<br />
20<strong>13</strong><br />
7<br />
don Antonio Galati<br />
La Chiesa ha sempre conosciuto il<br />
sacramento della penitenza, anche se<br />
nel corso della storia questo ha conosciuto<br />
diverse forme di celebrazione. Ripercorrere<br />
brevemente lo sviluppo storico di questo sacramento<br />
permette di individuare quell’elemento che<br />
si è mantenuto costante nel corso dello sviluppo<br />
e che, quindi, permette di individuare il nucleo<br />
centrale di questo sacramento.<br />
La celebrazione penitenziale<br />
fino al VI secolo<br />
La forma della penitenza nella Chiesa antica era<br />
pubblica e irripetibile. Pubblica nel senso che<br />
il rito sacramentale avveniva davanti l’assemblea<br />
liturgica, con riti più o meno prestabiliti nel<br />
corso della storia: l’ingresso nel gruppo dei penitenti<br />
e l’imposizione della penitenza, stabiliti dal<br />
vescovo dopo un colloquio privato con il peccatore<br />
attraverso il quale confessava i propri peccati.<br />
L’ingresso nell’ordine dei penitenti era, di<br />
norma, un atto liturgico in cui il peccatore veniva<br />
messo fuori dalla comunità affinché si manifestasse<br />
a lui lo stato in cui si trovava già spiritualmente<br />
e perché la comunità pregasse per<br />
la sua conversione.<br />
Insieme con l’ingresso nell’ordine dei penitenti,<br />
il vescovo dava al penitente una penitenza<br />
che doveva soddisfare durante questo periodo<br />
che, in genere, consisteva in digiuni e pratiche<br />
di carità, comunque molto esigenti; la riconciliazione,<br />
che sancisce la fine del periodo penitenziale,<br />
in cui il vescovo impone le mani al penitente<br />
donandogli l’assoluzione e la riammissione<br />
piena all’interno della comunità.<br />
Da questo momento il riconciliato poteva partecipare,<br />
di nuovo, pienamente alla celebrazione<br />
eucaristica. Inoltre essa era irripetibile, cioè si<br />
poteva celebrare una sola volta nella vita.<br />
La celebrazione del sacramento<br />
della penitenza dopo il VI secolo<br />
Probabilmente in Gran Bretagna si inizia a sviluppare,<br />
a partire dal VI secolo, una nuova forma<br />
rituale del sacramento della penitenza, che<br />
diventa privata, reiterabile e tariffata.<br />
Riguardo alla sua celebrazione, tutto si svolgeva<br />
in privato:<br />
- il penitente si rivolgeva al confessore, che ordinariamente<br />
era un presbitero, e non più solo il<br />
vescovo, e si accusava dei suoi peccati, oppure<br />
rispondeva alle domande fatte dal confessore;<br />
- il confessore, ascoltata la penitenza, dava al<br />
penitente la penitenza (normalmente periodi di<br />
digiuno e pellegrinaggi) secondo delle tariffe prestabilite;<br />
- dopo che il penitente aveva assolto i suoi obblighi<br />
penitenziali ritornava dal sacerdote per ricevere<br />
l’assoluzione dai peccati.<br />
Rispetto alla penitenza antica, questa nuova forma<br />
mantiene, di quella antica, la durezza delle<br />
penitenze, per cui la somma delle penitenze<br />
per i peccati, spesso, superava l’aspettativa<br />
di vita del penitente.<br />
Per questo motivo si ammise la possibilità di<br />
commutare i lunghi periodi di penitenza “accumulati”<br />
con periodi più brevi, ma più intensi. Accanto<br />
a questo sorse anche la possibilità di sostituire<br />
le penitenze con il far celebrare un determinato<br />
numero di messe. Inoltre si affiancò la possibilità<br />
di far scontare le proprie penitenze a un<br />
numero di sostituti dividendo su di loro il periodo<br />
di tempo di penitenza del singolo penitente.<br />
Queste due ultime possibilità di assolvere<br />
il periodo penitenziale avvenivano sempre sotto<br />
compenso economico, il che fece sorgere degli<br />
abusi che videro la Chiesa obbligata a ritirare<br />
la forma della penitenza tariffata.<br />
Dal IX secolo circa convivevano, quindi, la forma<br />
della penitenza pubblica e quella privata che,<br />
dalla Gran Bretagna, si estese per tutta<br />
l’Europa. Inoltre, il forte impulso dell’espansione<br />
della forma privata e reiterabile della confessione<br />
portò presto, tutta la Chiesa, ad ammettere<br />
la reiterabilità del sacramento della penitenza.<br />
Infine, nel XII secolo, tutte le forme della<br />
penitenza si ridussero alla penitenza privata<br />
che assunse la struttura rituale che è in vigore<br />
ancora oggi, per cui il penitente si accusa<br />
dei suoi peccati e riceve la penitenza e, insieme<br />
con questa, l’assoluzione del sacerdote.<br />
La prassi della penitenza privata e auricolare<br />
(cioè di dire al sacerdote i propri peccati) non<br />
fu esente essa stessa da abusi, questa volta<br />
dovuti al forte peso dato dalla Chiesa al momento<br />
della confessione dei peccati. In alcuni periodi<br />
del medioevo, infatti, si sottolineò molto questo<br />
momento del sacramento della penitenza,<br />
che si pensava che fosse l’unico elemento necessario<br />
per ricevere il perdono. Ciò portò i penitenti,<br />
specie se in fin di vita, a confessare i propri<br />
peccati a chiunque, anche se non erano sacerdoti<br />
e, delle volte, anche a cose o ad animali,<br />
perché l’importante non era ricevere l’assoluzione,<br />
ma dire i peccati. Comunque, escludendo<br />
queste esagerazioni, che comunque rivelano la<br />
necessità per il cristiano di voler morire sapendo<br />
di essere stato riconciliato con Dio, a partire<br />
dal XII secolo l’attenzione della Chiesa non<br />
si pone più sul rito del sacramento, ormai stabilito<br />
e accettato, ma sulla sua teologia e sulle<br />
implicazioni dottrinali e pastorali.<br />
In conclusione<br />
Anche se molto velocemente, si è tentato di descrivere<br />
le due forme principali con cui questo sacramento<br />
veniva celebrato nella storia. Ciò che emerge<br />
è, sostanzialmente, l’importanza del ruolo del<br />
presbitero nell’ascoltare la confessione dei peccati<br />
e nel dare l’assoluzione, e nel compito del<br />
penitente di confessare a voce i propri peccati,<br />
elemento maggiormente sottolineato, e nel<br />
soddisfare la penitenza data dal sacerdote.<br />
Nell’immagine:<br />
La confessione, di Giuseppe Molteni<br />
segue da pag. 6<br />
gestanti assistite 72 e quello delle non gestanti 104 (in totale 60.000 assistite).<br />
Oltre il 3 per cento delle gravide ha potuto usufruire anche dell’ospitalità<br />
e dell’assistenza nelle Case-Famiglia del MpV. Tutti questi dati<br />
sono stati ricavati dalla relazione annua comparsa sul numero di maggio<br />
di “Sì alla Vita”, la bella rivista mensile del Movimento per la Vita, unica<br />
pubblicazione in Italia (e forse in Europa) che tratta con ampiezza, compiutezza<br />
di materiali e con specifica competenza la materia della difesa<br />
e della promozione della vita soprattutto al suo inizio e alla sua fine, sotto<br />
i vari profili: la cronaca, le scienze, il diritto, la politica, l’etica, la cultura,<br />
a livello nazionale, europeo e mondiale.<br />
La redazione di “Sì alla vita” è a Roma, presso la sede del<br />
Movimento per la Vita, in Lungotevere dei Vallati 2, cap 00186.<br />
Telefono 06.6831.1121, fax 06.686.5725;<br />
e-mail: siallavita@mpv.org.<br />
Abbonamento annuale € 18,00; sostenitore € 50,00.
Giugno<br />
8<br />
20<strong>13</strong><br />
Claudio Capretti<br />
“Immondo, immondo”, con la voce<br />
strozzata poco distante dalle<br />
mura della città, inizio ad urlare<br />
ciò che sono.<br />
Costretto a farlo per avvisare che<br />
un futuro cadavere o un simbolo<br />
ambulante del male, sta per varcare<br />
le porte della loro città, che<br />
calpesterà le loro strade, che passerà<br />
accanto alle loro case per<br />
elemosinare qualcosa.<br />
“Immondo, immondo”, ripeto nel<br />
mio avanzare, <strong>prova</strong>to nella peggiore<br />
delle sofferenze, la lebbra.<br />
Con il capo scoperto, le vesti strappate<br />
e la barba coperta come impone<br />
la Legge, avanzo per i vicoli<br />
della città. Intravedo la gente che<br />
si allontana da me che prendono in braccio i loro figli e scappano.<br />
Il rumore delle imposte e delle porte che si chiudono ancor<br />
prima ch’io mi accosti ad esse, precede il mio passaggio.<br />
Solo questo mi è concesso dalla gente di questo villaggio, non<br />
tutti giorni e solo per il tempo necessario per elemosinare qualcosa.<br />
Ho imparato a comprendere la paura e l’indifferenza di questa<br />
gente. Paura di essere contagiate oppure sfiorate divenendo<br />
a loro volta impure come me. Ma in altri momenti sono così<br />
prostrato dal mio dolore, dalla mia solitudine che vorrei dire ad<br />
ognuno di loro, in modo particolare a chi mi deride:<br />
” La mia lebbra è quella che vedi, ma tu sei mondo? Di quale<br />
lebbra è avvolto il tuo cuore? Io non difendo la mia lebbra, ma<br />
tu perché difendi e nascondi la tua puntando il tuo dito su di me?”.<br />
Ma qualora riuscissi a dirlo, mi ascolterebbero? E se facessero<br />
servirebbe a qualcosa?.<br />
Riprendo il mio avanzare ripetendo sempre: “Immondo, immondo”,<br />
tenendo stretto il mio bastone con una mano e una ciotola<br />
nell’altra per mendicare cibo.<br />
Perché Signore hai permesso questo nella mia vita? Dove eri<br />
quando il male mi ha preso con se?<br />
Dove sei in questo preciso istante? Non sono anch’io una tua<br />
creatura? Di quale colpa si è macchiata la mia anima per meritare<br />
tutto questo? La mia carne non è forse intrisa di anima e<br />
umida di Te come quella di ogni<br />
altro tuo essere umano?<br />
Ti parlo e non rispondi, grido<br />
di notte e non c’è rifugio per<br />
me; può un silenzio essere più<br />
assordante di questo?<br />
Con l’imbrunire torno in mezzo a<br />
coloro che sono come me, anche<br />
loro esclusi dalla comunità.<br />
Seduto a terra guardo il male che<br />
instancabilmente scava la mia pelle,<br />
impadronendosi oggi più di ieri<br />
del mio corpo.<br />
Gli occhi si inumidiscono di<br />
dolore, li alzo verso il cielo<br />
come a voler richiamare la tua attenzione<br />
su di me. Chino sul mio giaciglio<br />
prima che il sonno sopraggiunga<br />
il pensiero va a Te, Gesù<br />
di Nazaret.<br />
Da qualche tempo la tua fama ti precede di villaggio in villaggio,<br />
le belle notizie che si dicono di Te sono giunte persino in mezzo<br />
a noi reietti. Dicono che con il dito di Dio Tu scacci i demoni,<br />
che restituisci la vista a chi l’ha perduta, che i zoppi riprendono<br />
a camminare e addirittura che i morti al tuo comando tornano<br />
a vivere. Ma la cosa più bella che mi piace ricordare è che<br />
non disdegni la vicinanza degli gli impuri. Sarà vero quello che<br />
si dice di Te?<br />
Non riesco ad immaginare le tue fattezze ma di certo una persona<br />
che compie così tanto bene, deve essere bella nel volto<br />
perché bella nell’anima. So che domani Tu passerai per questa<br />
città che sicuramente compirai altri prodigi, come quelli che hai<br />
compiuto in altri luoghi dove sei passato.<br />
Se Tu riesci a compiere tutto ciò è segno che nulla ti è impossibile,<br />
che riuscirai anche a guarirmi, se lo vorrai, dalla lebbra<br />
che mi sta uccidendo. Entro di buon mattino in città, come un<br />
ladro mi nascondo in attesa che Tu passi per questa strada.<br />
Guardo la mia carne assediata da questo immondo male e sembra<br />
dirmi che non c’è speranza per me, eppure voglio credere il<br />
contrario e continuare a sperare.<br />
Riaffiora nel mio cuore le parole di un salmo che mai mi hanno<br />
abbandonato in questi anni e che mi ha preservato dalla disperazione.<br />
Infinite volte ho parlato a Te con le tue Parole dicencontinua<br />
nella pag. accanto
Giugno<br />
20<strong>13</strong><br />
9<br />
doti: “Ho sperato , ho sperato nel Signore ed egli su di me<br />
si è chinato”.<br />
Come vorrei che questa Parola divenisse carne nella mia vita,<br />
che questo mio confidare in Te non sia stato vano.<br />
Oggi Signore te ne prego, chinati anche su di me. Eccoti Signore,<br />
ti guardo accerchiato dalla folla, ognuno di loro ha qualcosa da<br />
dirti, ognuno di loro ha un dolore da consegnarti e Tu sembri mostrare<br />
attenzione per ognuno di loro. Ti rivolgi a loro come creature<br />
uniche, preziose ai tuoi occhi.<br />
Anch’io Signore sono tua creatura e avanzo verso di Te come<br />
un assetato che trova in Te la sorgente di acqua viva, che corre<br />
ad essa per dissetarsi.<br />
Non faccio caso alle bende che venendoti incontro cadono dal<br />
mio corpo, rendendo ancor più manifesto il mio essere immondo.<br />
Avanzo verso di Te, fissando lo sguardo solo in Te.<br />
Io impuro che oso costringere il Puro a posare il suo sguardo<br />
su di me. Ti mostro le piaghe che porto impresse nella mia carne,<br />
a Te rimetto ogni mia angoscia, mi prostro ai tuoi piedi e<br />
non esito a dirti:”Signore se tu vuoi, puoi purificarmi”.<br />
Come un corridore che dopo aver ultimato la sua corsa varca<br />
ansimante il suo traguardo, così è la sensazione che ora mi possiede.<br />
Sono a dinnanzi a Te Signore sul mio corpo è impressa<br />
la mia schiavitù e solo Tu, Gesù di Nazaret, se lo vuoi, puoi restituirmi<br />
la libertà. Mi guardi, forse un fremito di sdegno attraversa<br />
il tuo Spirito, sdegno nei confronti di un male che invade la<br />
vita di una delle tue creature, sdegno che si trasforma in compassione<br />
per la mia vita. Ti chini, non temi di avvicinarti, di toccare<br />
la mia carne malata.<br />
Mio Signore, da quanto tempo una creatura non mi tocca per<br />
paura di essere resa immonda e Tu invece non ti limiti a guardarmi<br />
o parlarli da lontano, ti fai mio prossimo, attraversi ogni<br />
barriera e vai oltre ogni precetto.<br />
Questa mia impurità non è per Te luogo di separazione, ma vuoto<br />
da riempire con la tua presenza. Già questo benefica il mio<br />
cuore, già questo tuo compatire<br />
con me spezza ogni<br />
mia solitudine. Si, da ora non<br />
sarò più solo. Tra lo stupore<br />
generale è ora è la tua voce<br />
a librarsi nell’aria: “Lo<br />
voglio, sii purificato”.<br />
Al tuo comando la lebbra<br />
abbandona il mio corpo, i solchi<br />
delle ferite si richiudono,<br />
guardo le mie mani tornare<br />
ad essere come erano<br />
un tempo. E solo ora comprendo<br />
che ogni cosa nella<br />
vita ha il suo tempo.<br />
C’è stato il tempo del dolore,<br />
ora è giunto il tempo della guarigione, e solo Tu divino taumaturgo,<br />
potevi compiere questa guarigione.<br />
C’è stato il tempo del silenzio della vergogna ora è giunto il tempo<br />
infrangere sia l’una che l’altra e Tu Signore, poni sulle mie<br />
labbra un nuovo canto.<br />
Sono venuto a Te piangendo portando il peso della mia impurità<br />
e del mio essere un escluso, un emarginato, ed ora invece<br />
torno cantando.<br />
Gli occhi si posano senza sosta tra me e Te, che sei venuto a<br />
liberarmi, che hai bruciato e consumato ogni mio male per forgiare<br />
una vita nuova. Come non renderti grazie Anima della mia<br />
anima, come non gridare al mondo che sei Tu il Messia così tanto<br />
atteso da Israele.<br />
Sei Tu il mio Signore che rivestito di umiltà vieni a noi e con la<br />
potenza del tuo sguardo, del tuo tocco e della tua Parola ci liberi<br />
da ogni male.<br />
Chi è grande come Te o Signore, al cui comando indietreggia<br />
ogni nostro nemico, ogni nostra sofferenza, che cinto di grazia<br />
vieni in mezzo a noi per riversare il tuo olio profumato del tuo<br />
amore, prendendo su di Te la puzza del mio male.<br />
Mi guardi e mi dici di non parlarne con nessuno ma non ne capisco<br />
il perché.<br />
Come farò a tenere nascosta una simile gioia, perdonami Signore,<br />
non potrò non gridare al mondo ciò che oggi hai operato nella<br />
mia vita. I pensieri si fermano, toccandomi ancora una volta mi<br />
fissi, sento che stai leggendo nel mio cuore la mia gratitudine,<br />
e amandomi mi comandi: “Va invece a mostrarti al sacerdote<br />
e fa l’offerta per la tua purificazione, come Mosè ha prescritto,<br />
a testimonianza per loro”.<br />
Nell’immagine del titolo: Il Lebbroso di Cafarnao,<br />
dalla Vita di Gesù, di James Tissot,<br />
1886-94 New York
Giugno<br />
10 20<strong>13</strong><br />
Katiuscia Cipri*<br />
In Africa si gira con le Toyota 4x 4…ovviamente<br />
chi se lo può permettere. Sono macchine<br />
robuste, con grandi ruote per passare<br />
sulle strade sterrate e ammortizzatori per<br />
sopportare le frequenti buche. All’aeroporto di<br />
Addis Abbeba, ci aspetta anche la “nostra” Toyota<br />
bianca, pronta a portarci ad Awassa. Cinque ore<br />
di viaggio tra villaggi, zone desertiche, piccole<br />
meraviglie naturalistiche, con gente sconosciuta<br />
affaccendata nei quotidiani impegni, che si ferma,<br />
ti saluta e sorride, augurandoti buon viaggio.<br />
Quando ti avvicini ad Awassa le strade diventano<br />
più popolate, gente che corre in ogni direzione,<br />
giovani intenti ad entrare a scuola o all’università,<br />
donne con piccoli in braccio e l’acqua<br />
sulla testa, uomini sopra carretti artigianali spinti<br />
da asini o cavalli.<br />
Un’immagine è rimasta impressa nella nostra<br />
mente. Proprio all’ingresso di Awassa, un<br />
cavallo bianco, molto magro, con evidenti ferite<br />
sul manto, sosta al centro della strada principale<br />
trasversalmente alle macchine. Carrozze<br />
e macchine lo schivano pericolosamente, ma<br />
lui non si muove, rimane in quella posizione in<br />
attesa del nulla. Gli occhi tristi fissano distanze<br />
lontane, ma lo sguardo è fermo, deciso. Chiedo<br />
a Saba, la responsabile del Centro Blein, perché<br />
il cavallo non si spostasse. Mi risponde che<br />
probabilmente stava aspettando la morte. Ma<br />
non ha padroni? Chiesi. È scappato? Mi rispose<br />
che sono i padroni che lo riducono così per<br />
poi abbandonarlo. Ho cercato di dominare la stretta<br />
al cuore, cercando di convincermi che non<br />
tutto potesse essere salvato e che fosse<br />
necessario capire la loro cultura. Ci avviciniamo<br />
al centro passando per l’università di Awassa.<br />
Conto almeno 5 carcasse di cavallo o asino lasciate<br />
a vista sul prato dei giardini che delimitano<br />
l’istituto. Le persone vi passano vicino senza preoccupazioni.<br />
Prima di giungere al centro troviamo<br />
almeno altri 3 cavalli disposti come il primo in<br />
attesa che tutto si compisse.<br />
La sorte degli asini non è differente. Usati per<br />
trasportare persone, o per trainare carretti vengono<br />
continuamente frustati, soprattutto sulle ferite<br />
aperte, derisi, fatti arrabbiare con bastoni e<br />
pietre. Perché questo? Indipendentemente da<br />
una cultura animalista spesso difficilmente trasferibile<br />
in paesi con enorme povertà, asini e<br />
cavalli danno lavoro ai loro proprietari, sostentamento<br />
per le loro famiglie, per i figli, gli consentono<br />
di muoversi. Invece di prendersene cura<br />
perché possano “rendere” di più, li sfiniscono<br />
fino alla morte per poi andare al mercato del bestiame<br />
e comprarne altri. Questa cultura di sopraffazione<br />
viene trasmessa anche ai bambini, soprattutto<br />
ai maschi che emulando i padri, frustano,<br />
picchiano e percuotono le bestie.<br />
I giorni passano al Centro e cerchiamo di<br />
capire il perché di molte contraddizioni, anche<br />
confrontandoci con Saba.<br />
Una delle cose che ti meraviglia è spesso<br />
l’incapacità di pensare al futuro: lavorare risparmiando<br />
soldi per i tempi peggiori, per costruire<br />
una famiglia, anche solo per non avere<br />
problemi il mese successivo. Trattare bene<br />
le cose che ci permettono di vivere.<br />
Essere proiettati al domani, per non farci<br />
trovare impreparati.<br />
Ai miei occhi, asini e cavalli possono essere<br />
il loro domani: per coltivare la terra e<br />
trasportare il raccolto, per portare i materiali<br />
di muratura, per accompagnare i figli<br />
a scuola o le mogli al centro. Perché non<br />
allevarli, non garantirgli cibo e acqua perché<br />
possano lavorare meglio? Saba ci raccontava<br />
che in un progetto sugli orti urbani uno dei problemi<br />
non era tanto quello della cura dell’orto<br />
e della raccolta, ma il convincere le donne, sicuramente<br />
più razionali e responsabili degli uomini,<br />
che occorreva seccare semente per avere<br />
l’orto anche l’anno successivo. Le donne si ritrovavano<br />
senza semi, senza orto e senza cibo,<br />
nella continua richiesta di aiuto.<br />
Può sembrare un discorso non opportuno, ma<br />
nel dare cibo e medicine per le urgenze, occorre<br />
insegnare come procurarsi il cibo, come curarsi,<br />
come pensare al domani.<br />
Qualcuno lo aveva già detto…<br />
L’asino è diventato quindi il simbolo di questo<br />
domani. Trattare bene l’asino o il cavallo significa<br />
comprendere il grosso aiuto che possono<br />
dare alla sostenibilità della famiglia e serbare<br />
il futuro trattando bene il presente. Un insegnamento<br />
da trasmettere anche e soprattutto ai piccoli, uomi-
Giugno<br />
20<strong>13</strong><br />
11<br />
Gaetano Sabetta<br />
“Il rumore di fondo della Bibbia incontra le culture, non va contro di<br />
esse, la Bibbia è dunque luogo di accoglienza dell’altro”.<br />
Con queste parole don Luigi Vari ha accolto, presso la sua parrocchia<br />
di Valmontone, i partecipanti al primo Corso di<br />
Formazione Missionaria organizzato dall’UMD, in vista della partenza<br />
per l’Etiopia del prossimo agosto. Universalità e particolarità nella<br />
grammatica biblica non sono “scelta esclusiva”.<br />
Diversamente, cogliere il respiro profondo del testo sacro significa tenere<br />
insieme i due movimenti, quasi come l’armonico alternarsi delle sistole<br />
e delle diastole nel battito cardiaco.<br />
Tutte le culture vengono colte ed accolte dalla Bibbia, pur nel dovuto discernimento.<br />
Essa si forma in un continuo dialogo creativo con l’alterità culturale<br />
e religiosa che incontra lungo il suo cammino. È così nel caso della<br />
religione dei patriarchi, dove il Dio El (plurale Elohim) evidenzia una<br />
continuità, pur nella novità,<br />
tra l’esperienza religiosa<br />
cananea e la rivelazione<br />
biblica. È la stessa atmosfera<br />
che si respira nel ciclo<br />
iniziale del testo biblico (Gn<br />
1-11), dove creazionedistruzione-nuova<br />
creazione<br />
sono riferiti all’intero<br />
cosmo e non certo ad<br />
una singola religione.Il<br />
Dio liberatore, quello dell’alleanza<br />
(berith), che ha<br />
creato l’identità d’Israele<br />
come popolo viene qui colto,<br />
in maniera retrospettiva,<br />
come il Dio creatore,<br />
il cui disegno d’amore si<br />
estende a tutto il creato e<br />
a tutta l’umanità, considerata come una sola famiglia. L’alleanza speciale<br />
d’Israele viene dunque calata nella più ampia alleanza noaica, quella cosmica,<br />
che è universale; questo colloca la storia d’Israele nel mezzo della<br />
storia di salvezza che Dio ha già esteso a tutta l’umanità.<br />
Alleanza, quella noaica, mai revocata, come ci ricorda Ireneo nel suo Adversus<br />
Haereses, richiamando le alleanze di Adamo, di Noè, di Abramo-Mosè<br />
e di Gesù-Cristo. È lo stesso filo rosso che spinge la tradizione profetica<br />
a spostare l’asse dal Dio, tribale, degli israeliti al Dio delle nazioni, e<br />
che fa scrivere ad Isaia: “Benedetto sia l’Egiziano mio popolo, l’Assiro<br />
opera delle mie mani e Israele mia eredità” (Is 19-19-23).<br />
Che dire poi dei libri sapienziali (Sapienza, Giobbe, Qoelet). Essi segnano<br />
in maniera indelebile l’incontro tra la religiosità israelitica e le tradizioni<br />
sapienziali del Vicino Oriente Antico.<br />
La Sapienza, frutto di quest’incontro, si presenta come persona che chiama<br />
gli uomini ad ascoltare ed imparare, che è fonte di giustizia e di equità,<br />
che è presente nella totalità della creazione, perché è accanto a Dio,<br />
come sicurezza, in principio (Pr 8). Essa è il “Verbo di Dio” e il “libro dell’alleanza<br />
del Dio altissimo” (Sir 24,1-32) e, infine il disegno (boulè) di<br />
Dio che media la sua conoscenza, poiché dove sta la Sapienza sta lo<br />
Spirito (Sap 9).<br />
Nel Nuovo Testamento, il Regno di Dio, ovvero la centralità di Dio nella<br />
missione di Gesù è l’orizzonte a partire dal quale egli si rivolge ai membri<br />
del popolo dell’alleanza ma anche agli stranieri, poiché “Dio non usa<br />
parzialità” (Dt 10,17), non “fa preferenze di persone” (Rm 2,12). Tutti i<br />
miracoli operati da Gesù a favore degli stranieri gli consentono di allargare<br />
la visione della salvezza, poiché mostrano che la fede che salva è<br />
operativa anche fuori dal recinto ebraico (Lc 7,9).<br />
La conferma definitiva che il Regno di Dio travalica ogni muro religioso<br />
è senza dubbio l’episodio nel quale i discepoli vogliono impedire a chi<br />
non appartenga al circolo di Gesù di scacciare demoni “nel suo nome”<br />
(Mc 9,38-39). La risposta di Gesù è chiara: “chi non è contro di noi è per<br />
noi”. Gesù-Cristo, dunque, oltrepassa le barriere di razza, cultura e religione<br />
nel corso della sua<br />
vita e a maggior ragione<br />
nella resurrezione (GS22)<br />
proiettando tutti noi nella<br />
“vera adorazione spirituale”<br />
(Gv 4,23).<br />
In tale luogo, l’ipocrisia,<br />
l’autorefenzialità, la vuota<br />
appartenenza religiosa,<br />
le cerimonie esteriori<br />
sono bandite a vantaggio<br />
della profondità spirituale,<br />
dell’interiorizzazione della<br />
legge così che possa<br />
diventare forza spirituale<br />
centrata nell’amore, come<br />
le Beatitudini chiaramente<br />
indicano.<br />
La tentazione di ritornare<br />
indietro sulla strada inaugurata dal Maestro è forte nell’esperienza delle<br />
prime comunità cristiane. Ci vorrà una vera e propria conversione di<br />
Pietro (At 10,1-48), che ancora riteneva di avere in bocca il punto di vista<br />
di Dio, per fargli scoprire, attraverso “la fede prima della fede” (Congar)<br />
del centurione romano, che “Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo<br />
teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto”<br />
(At 10, 34-35).<br />
Proprio quest’esperienza dello spirito porterà Pietro, nel Concilio di Gerusalemme,<br />
ad affermare che Dio: “non ha fatto nessuna discriminazione tra noi o<br />
loro [pagani], purificandone i cuori con la fede (At 15, 9); con ciò non solo<br />
affermando la non necessità di passare dall’ebraismo, attraverso la circoncisione,<br />
per diventare poi cristiano, ma soprattutto dichiarando che<br />
la fede non è esclusivo patrimonio degli ebrei e dei cristiani, ma è presente<br />
sempre laddove la giustizia di Dio si incarna nelle vite di ogni uomo<br />
e donna a qualsiasi cultura o religione egli o ella appartenga.<br />
segue da pag. 10<br />
ni e donne del domani. Così dopo esserci confrontate<br />
con Saba abbiamo deciso di portare al<br />
centro Blein due asini, un maschio ed una femmina.<br />
Presto al mattino ci siamo recate al mercato<br />
degli animali, abbiamo dato indicazioni al<br />
custode del centro che è partito alla ricerca.<br />
Chuky e Ronny sono entrati al centro con la meraviglia<br />
di adulti e bambini. I custodi del centro pensavano<br />
all’ennesima pazzia di Saba.<br />
Cosa fare con due asini? I bambini, stupiti e divertiti,<br />
hanno però iniziato a trattarli come era stato<br />
loro insegnato. Iniziava il nostro progetto: mostrare<br />
loro che occorreva prendersi cura dei due nuovi<br />
ospiti del centro, curarli, pulire il terreno, perché<br />
avrebbero collaborato nei numerosi lavori<br />
del centro! Abbiamo iniziato costruendo la stalla…non<br />
potevano rimanere sotto le intemperie!<br />
Abbiamo fatto uno schizzo, consegnato il progetto<br />
ai custodi e comprato il materiale.<br />
Diciamo che tra il progetto e la realizzazione ci<br />
passa un treno, ma la stalla è stata costruita in<br />
4 giorni! Ed ora attaccato alla parete c’è un cartello<br />
che ringrazia la nostra diocesi.<br />
Saba ci scrive di Chuky e Ronny stanno bene,<br />
tranne qualche normale acciacco. E iniziano a<br />
lavorare per il centro trasportando materiale, caricando<br />
mobili e portando in giro i bimbi.<br />
Certo, occorre ricordare che devono essere puliti,<br />
condotti in differenti zone del centro perché<br />
trovino erba fresca (sono diventati i tagliaerba<br />
ufficiali), legati con corde lunghe che non gli feriscano<br />
le zampe, ma a piccoli passi sta passando<br />
l’idea che il futuro si costruisce curando il presente!<br />
PS: Il Progetto Asini è stato finanziato dalla <strong>Diocesi</strong><br />
con 380 €: costo asini 180€, costo stalla 200€.<br />
*Dir. Ufficio Missionario Diocesano
Giugno<br />
12 20<strong>13</strong><br />
Elisa Simonetti<br />
Abbiamo bisogno<br />
Del cielo e della terra<br />
Del fiore e della luna<br />
Degli amici e degli alberi<br />
Abbiamo bisogno dei sogni<br />
Abbiamo bisogno di segni<br />
<strong>Segni</strong> eloquenti, <strong>Segni</strong> silenziosi<br />
<strong>Segni</strong> evidenti e solari<br />
<strong>Segni</strong> che non parlano<br />
<strong>Segni</strong> che ci raggiungono<br />
All’improvviso<br />
Quando nulla è programmato<br />
Abbiamo bisogno<br />
Della grazia di un incontro<br />
Che ci dischiuda<br />
Alla Grazia, all’ Eterno<br />
All’ Amore, alla vita che non muore<br />
Abbiamo bisogno di una luce<br />
Di un volto, di un faro<br />
Nelle tempeste quotidiane.<br />
Nicola Maroscia<br />
Due anni di servizio in Caritas (a Roma<br />
e nella nostra diocesi) mi hanno cambiato<br />
la vita, hanno rivoluzionato il mio<br />
modo di pensare, di approcciarmi all’altro e di<br />
comprenderlo. Ho scoperto i miei limiti, le mie<br />
insicurezze, le mie paure, inoltre ho compreso<br />
che ognuno è diverso, che ognuno ha la sua<br />
storia e che non va giudicato per essa. Ho capito<br />
che una semplice attenzione, un guardare negli<br />
occhi, un ascolto sono molto importanti per chi<br />
non ha niente e nessuno e per chi spera nell’incontro<br />
con l’altro.<br />
L’autore di questa poesia è un ospite della mensa<br />
romana “Giovanni Paolo II”, è un uomo che,<br />
come tanti, si è ritrovato a fare i conti con la vita,<br />
un uomo che spera e nello stesso tempo esprime<br />
la sua necessità.<br />
Quanti volti, quante storie simili a quella di Nicola<br />
si intrecciano in una struttura come la mensa!<br />
Basta poco per entrare in contatto con loro: un<br />
giorno di servizio e già ti chiedono quando tornerai<br />
la prossima volta, perché hanno piacere<br />
di incontrarti e di raccontarsi. A me è stata data<br />
l’opportunità di far conoscere questo mondo ai<br />
ragazzi delle scuole superiori e di far diventare<br />
questa, un’esperienza condivisa anche da giovani<br />
e docenti.<br />
Il progetto Giovani e Volontariato, Quando<br />
l’Impegno Si Fa Solidarietà nasce dall’esigenza<br />
della nostra Caritas Diocesana di allargare i propri<br />
confini, di entrare nelle scuole per far conoscere<br />
il mondo del Volontariato ai giovani. E’ un<br />
progetto estrapolato dal modello della Caritas<br />
di Roma, e realizzato grazie al supporto tecnico<br />
e morale di Gianni Pizzuti, responsabile del<br />
Settore Volontariato. Con questo progetto i ragazzi<br />
delle scuole superiori sono chiamati a prendere<br />
coscienza delle situazioni di disagio e di<br />
emarginazione, a comprenderne le cause, a ragionare<br />
sulla complessità della nostra società, scoprendo<br />
quali sono i valori e le spinte di cambiamento<br />
verso la solidarietà.<br />
Alla base vi è la fiducia nei giovani e negli adolescenti:<br />
essi possono diventare protagonisti del<br />
loro itinerario educativo sviluppando una maggiore<br />
conoscenza di se stessi e del mondo circostante.<br />
I ragazzi sono invitati a rendersi conto<br />
con i loro occhi di quanti e quali sono gli utenti<br />
che si rivolgono alla Caritas e presto si accorgono<br />
che le persone che vivono in una situazione<br />
di disagio sono molto vicine a loro, ma spesso<br />
la collettività li rende invisibili. Il percorso è<br />
strutturato in 4 incontri teorici in classe e<br />
due di servizio; infatti il progetto non prevede<br />
solo uno sguardo attento alla realtà<br />
ma anche un’azione concreta, lo<br />
“sporcarsi le mani” presso due strutture:<br />
la mensa della Caritas Roma (diurna o serale)<br />
e la nostra Casa Nazareth.<br />
Nei primi due incontri teorici si affronta il<br />
panorama della Caritas di Roma e i servizi<br />
che mette a disposizione, inoltre si ascoltano<br />
le testimonianze di una volontaria e<br />
di un ospite della mensa che si raccontano<br />
ai ragazzi. Negli altri due incontri in<br />
classe si mettono in evidenza le strutture<br />
e i servizi di cui dispone la nostra Caritas<br />
diocesana attraverso la visione di un video,<br />
soffermandoci in particolare sulla struttura<br />
di casa Nazareth.<br />
Le scuole che hanno aderito al progetto<br />
sono tre, il Liceo Scientifico “A. Landi” di<br />
<strong>Velletri</strong>, il Liceo “Mancinelli-Falconi” di <strong>Velletri</strong><br />
e l’ Istituto “P. L. Nervi” di Valmontone; sono<br />
state coinvolte 21 classi in tutto (circa 450<br />
ragazzi). Ad ogni classe è stato consegnato<br />
un “Diario di bordo”, un semplice<br />
quadernino dove appuntare dubbi, curiosità,<br />
ma anche sensazioni e emozioni vissute<br />
durante le ore di servizio.<br />
Dagli incontri compiuti emerge nei ragazzi<br />
un’idea sbagliata di Caritas, un’idea settoriale<br />
che la fa vedere agli occhi di molti come un’associazione<br />
che distribuisce pacchi viveri o vestiti,<br />
senza contare che la maggior parte dei giovani<br />
non sapevano, prima dei nostri incontri, dell’esistenza<br />
della Caritas nella nostra diocesi, né<br />
tanto meno delle strutture e dei servizi presenti.<br />
Per cui siamo fieri come Equipe di aver lanciato<br />
questo semino nel cuore di questi ragazzi,<br />
un semino che ha fatto toccare “il senso del<br />
vero e dell’umano”, che ha smantellato il pregiudizio,<br />
che ha suscitato meraviglia e ha fatto<br />
sì che questi ragazzi potessero diventare per<br />
alcune ore la famiglia dei nostri poveri.<br />
Vorrei concludere quest’articolo con le parole<br />
dei giovani che hanno aderito al progetto. Diamo<br />
voce ai nostri giovani, hanno bisogno di essere<br />
ascoltati e incoraggiati.<br />
Anche Papa Francesco spesso si rivolge a loro:<br />
«Cari giovani, non sotterrate i talenti, i doni che<br />
Dio vi ha dato! Non abbiate paura di sognare<br />
cose grandi! {…} Dio ci dà il coraggio di andare<br />
controcorrente. Non ci sono difficoltà tribolazioni,<br />
incomprensioni che ci devono far paura».<br />
Impegniamoci tutti a dare voce, spazio e<br />
continua a pag.<strong>13</strong>
Giugno<br />
20<strong>13</strong><br />
<strong>13</strong><br />
segue da pag. 12<br />
tempo ai nostri ragazzi, educhiamoli ad avere<br />
occhi vigili, orecchio allenato e mani pronte ad<br />
aiutare. Aiutiamo a far comprendere che il volontariato<br />
e la Caritas non è robba da vecchi!<br />
Per spiegare certe cose,<br />
c’è bisogno di un gesto.<br />
Stefano Dal Bianco<br />
“Ho posato una ciotola di sassi tra me e voi, sul<br />
pavimento. Vorrei parlare di questi sassi, ma non<br />
della loro forma o del loro colore, e nemmeno<br />
della loro sostanza o del loro peso. Vorrei parlare<br />
di questi sassi, ma prima vorrei essere sicuro<br />
di non essere frainteso.<br />
Per esempio, nemmeno del mio gesto mi posso<br />
fidare: forse è sembrato un gesto teatrale,<br />
magari fatto male, senza stile, ma pur sempre<br />
con dentro qualcosa di simbolico. Invece io non<br />
voglio questo. Io vorrei che tutta l’attenzione si<br />
concentrasse proprio sui sassi che stanno lì e<br />
al tempo stesso che questa fosse più simile a<br />
una poesia che a un monologo. E un’altra cosa<br />
non vorrei: che questa dei sassi fosse considerata<br />
una ‘trovata’; perché sarebbe vero solo in parte:<br />
io sono veramente preoccupato che noi non<br />
parliamo la stessa lingua, ed è così che ho scritto<br />
una poesia dimostrativa.<br />
Ma io sono preoccupato soprattutto in questo<br />
momento, ed è un momento, un attimo, in cui<br />
non voglio dimostrare niente, voglio solo andarmene<br />
contento, nella sicurezza di aver parlato<br />
con qualcuno, e che qualcosa sia successo.<br />
Non mi interessa se ciò che sto facendo<br />
sia vecchio o nuovo, bello o brutto, ma mi<br />
dispiacerebbe se fosse inteso come falso, e sto<br />
rischiando. Allora, vorrei che ci si concentrasse<br />
su quei sassi. Non perché siano importanti<br />
di per sé, e non perché siano un simbolo di qualcosa,<br />
ma proprio perché sono una cosa come<br />
un’altra: sassi. Hanno però delle qualità: sono<br />
visibili e toccabili, sono tanti e sono separati. Noi<br />
dobbiamo stare con i sassi. Sono una cosa del<br />
mondo. E dobbiamo cercare di capirli. È per questo<br />
che ho scritto una poesia che ha bisogno<br />
di un gesto e di un pensiero.<br />
Adesso io starei qualche secondo in silenzio,<br />
pensando ai sassi.”<br />
Racconto di una serata alla mensa<br />
Laura Russo<br />
14 Gennaio 20<strong>13</strong>, Caritas di Roma.<br />
C’era solo lo specchio di una mensa della Caritas<br />
e le voci pesanti di chi ti parla parole spazientite<br />
e rassegnate. Tutto intorno una corsa continua.<br />
Mani attente a dosare non solo il cibo e<br />
il contatto. In quel formicaio di persone, che è<br />
vita e famiglia, c’era il sorriso di Iuliano e le canzoni<br />
di Mario.<br />
«Conosco Claudio Villa ma posso cantarti anche<br />
qualcosa di più recente, non so, Lucio Battisti<br />
lo conosci?».<br />
Mario si presentò<br />
così, con un colpo di<br />
tosse a schiarire la<br />
voce, cantando a<br />
tutto cuore.<br />
Non appena finito continuò:<br />
«A casa ho una<br />
radio, la accendo<br />
ogni mattina perché<br />
mi fa compagnia.<br />
Amo la musica, anche<br />
quella moderna, quella<br />
che sentite voi giovani.<br />
Da quando mi<br />
è calata la vista non<br />
riesco più a leggere<br />
e la televisione mi mette<br />
tanta tristezza;<br />
così accendo la radio e ricordo. Mi vuoi chiedere<br />
come sto? Non chiedermelo, vedo tanti volontari<br />
ogni giorno e mentre sorridi, adesso, mi sento<br />
bene. Sì, sto bene. Lo sai quanti anni ho?<br />
Ne faccio 80 a <strong>giugno</strong> e sono di puro sangue<br />
romano, ho otto fratelli, saremmo dovuti essere<br />
dodici ma quattro sono morti alla nascita, ho<br />
cinque figli e dieci nipoti, il maggiore ha trent’anni<br />
e mi ha fatto diventare bis-nonno.<br />
Quasi non riesco a crederci: Bis nonno, mi sento<br />
così vecchio. Il più piccolo della famiglia si<br />
chiama Gabriele, ha 10 mesi».<br />
Davanti al suo petto, poggiato sul tavolo freddo<br />
forchetta e coltello nel piatto di plastica, una<br />
brocca d’acqua quasi vuota e le mani di Mario.<br />
«Lo sai? La mia famiglia mi<br />
ha promesso una grande festa<br />
per quando compirò ottant’anni.<br />
Rivedrò i miei figli e<br />
tutti i nipoti, ci pensi? Una<br />
festa. Per me».<br />
Mario è strepitoso, una<br />
memoria d’acciaio, tanta forza<br />
nelle gambe e nel cuore.<br />
Tutti i giorni, con metro<br />
e autobus, arriva alla mensa<br />
della Caritas di Ponte<br />
Casilino, dalla parte opposta<br />
di Rebibbia dove vive solo,<br />
solo come sarà il giorno del<br />
suo ottantesimo compleanno.<br />
L’ironia fa parte di Mario e<br />
dopo aver raccontato barzellette<br />
ed indovinelli inizia<br />
il suo racconto sulla guerra,<br />
una guerra che ha vissuto<br />
dai cinque ai dodici anni.<br />
La racconta con tono di eroe,<br />
intonazione perfetta di un<br />
anziano che ha toccato<br />
con mano quella parte di vita<br />
strappata dal nulla nei giorni<br />
vuoti della sua infanzia.<br />
C’era solo il sorriso di<br />
Iuliano e le canzoni di<br />
Mario in quel formicaio di vita,<br />
Era come vivere in un altro<br />
tempo con la consapevolezza<br />
che sarebbero serviti altri giorni<br />
per sentire quel freddo che ci salutava, imparare<br />
un’altra lingua, bussare a una porta socchiusa,<br />
entrare.<br />
E’ questo: è un semplice gesto con la mano, la<br />
si solleva fino al volto per poi stenderla verso<br />
chi la aspetta da sempre, in quel momento si<br />
fa il nostro dovere di uomini liberi, accendiamo<br />
delle luci nel buio per poi contarle, si cerca il<br />
bene nascosto al di là di un muro che solo rinunciando<br />
a tutti i muri brilla.<br />
Mattone su mattone si costruisce una casa, mattoni<br />
che esistono, spaccati con il sudore; mattoni<br />
che contano più delle parole e che come<br />
le parole si poggiano l’uno sull’altro in un bellissimo<br />
quadro di comunicazione.
Giugno<br />
14 20<strong>13</strong><br />
don Dario Vitali*<br />
Il punto di arrivo della fede cristologica sono<br />
le affermazioni dei grandi concili ecumenici<br />
del IV-V secolo – Nicea (325), Costantinopoli<br />
(381), Efeso (431), Calcedonia (451) –, durante<br />
i quali la Chiesa ha precisato e fissato i contenuti<br />
della fede cristiana.<br />
Qualcuno potrebbe obiettare: ma perché aspettare<br />
il IV secolo per definire queste dottrine? Non<br />
c’è il rischio di sovrapporre alla Parola di Dio la<br />
parola della Chiesa, esponendo la dottrina cristiana<br />
a una manipolazione di uomini? E perché<br />
dovrebbe essere la Chiesa a stabilire questa fede,<br />
se non lo hanno fatto gli Apostoli che hanno predicato<br />
la Buona Novella, e, più in radice, Cristo<br />
stesso, che è il Verbo eterno di Dio fatto carne,<br />
la Parola definitiva detta agli uomini, la Rivelazione<br />
e il Rivelatore a un tempo?<br />
Non deve la Chiesa rimanere alla Scrittura e alle<br />
sue affermazioni?<br />
È interessante che anche la Riforma protestante,<br />
che si fonda sul principio della sola Scriptura,<br />
giudicando la Tradizione come invenzione di uomini,<br />
ammetta i primi cinque – alcuni<br />
anche sette – concili (quelli<br />
elencati sono i primi quattro),<br />
parlando di consensus quinquesaecularis.<br />
Quei concili esprimono la<br />
coscienza profonda della<br />
Chiesa di custodire proprio la<br />
verità del Cristo annunciata nella<br />
predicazione apostolica e attestata<br />
dalle Scritture cristiane.<br />
Ma perché è possibile che la<br />
fede si chiarisca dopo così tanto<br />
tempo?<br />
In realtà, non si tratta di<br />
un’aggiunta, ma di una comprensione<br />
di ciò che è già contenuto<br />
implicitamente nelle<br />
Scritture, e che è stato necessario<br />
esplicitare di fronte a quanti<br />
mettevano a rischio la salvezza<br />
cristiana con interpretazioni<br />
distorte della figura e della missione<br />
di Gesù di Nazareth.<br />
A ben vedere, questo processo<br />
è già presente nella vita stessa<br />
di Gesù. Egli appare a quanti<br />
lo incontrano come un uomo:<br />
sicuramente un grande uomo,<br />
ma un uomo; sicuramente un<br />
profeta inviato da Dio, ma un<br />
uomo; forse il Messia, ma comunque<br />
un uomo.<br />
Pensare altrimenti sarebbe stata una bestemmia,<br />
perché nella fede di Israele Dio era il totalmente<br />
Altro e anche il totalmente Oltre, inaccessibile,<br />
trascendente: solo molto tardi, nel confronto<br />
con la filosofia greca, emergerà la questione delle<br />
mediazioni tra Dio e l’uomo, e si arriverà a parlare<br />
della Sapienza e della Parola come realtà<br />
divine che permettono l’incontro con Dio; diversamente,<br />
in antico, l’incontro tra Dio e Israele era<br />
garantito da uomini che Dio stesso costituiva come<br />
suoi mediatori: Mosè, Giosuè, Samuele, i re, i profeti,<br />
il sommo sacerdote. Soprattutto con Davide,<br />
sarà il re a ripresentare Israele presso Dio e Dio<br />
presso il popolo: nei salmi (cfr Sal 2. 109), il re<br />
è cantato come figlio adottivo di Dio, innalzato<br />
alla destra di Dio, come colui che ne esercita visibilmente<br />
il potere su Israele; ma è sempre chiaro<br />
che si tratta di un uomo che è innalzato a tale<br />
onore in ragione della funzione che svolge.<br />
La vicenda di Davide e dell’onore che gli è tributato<br />
è tanto più significativa, perché l’idea del<br />
Messia si forma a partire proprio dal discendente<br />
davidico, che avrebbe dovuto instaurare il<br />
Regno di Dio e realizzare la vittoria finale di Israele<br />
su tutti i popoli. Dunque l’attesa messianica, con<br />
tutte le sue diverse figure che Israele immaginerà<br />
durante la storia – il Messia davidico, il Profeta,<br />
il Sommo Sacerdote, il Servo di Jahweh, sono<br />
tutte figure di uomini innalzati alla sfera di Dio,<br />
investiti di un ruolo che li qualifica come uomini<br />
di Dio. La sola eccezione è quella della figura misteriosa<br />
delle visioni del profeta Daniele (cfr Dn 7),<br />
il quale presenta «sulle nubi del cielo, uno simile<br />
a un figlio di uomo; giunse fino al vegliardo e<br />
fu presentato a lui, che gli diede potere, gloria e<br />
regno; il suo potere è un potere eterno, che non<br />
tramonta mai, e il suo regno è tale che non sarà<br />
mai distrutto» (Dn 7, <strong>13</strong>-14). Ma anche qui, lo scandalo<br />
che provoca durante il processo il richiamo<br />
di Gesù a questa figura riguarda soprattutto il fatto<br />
che egli dichiari adempiuta in sé quella profezia,<br />
senza per questo determinare che egli sia<br />
il Figlio che viene da Dio, in quanto quella figura<br />
che appare nelle visioni notturne non viene da<br />
Dio, ma va verso Dio.<br />
In altre parole, nonostante che i capi lo processino<br />
e lo vogliano eliminare come un impostore e un<br />
bestemmiatore, Gesù afferma che Dio compirà<br />
il suo disegno sulla storia e instaurerà attraverso<br />
quel «figlio dell’uomo» umiliato e deriso la profezia<br />
del «Figlio dell’uomo» che sta alla presenza<br />
di Dio e riceve da lui potere, gloria e il regno, che<br />
non sarà mai distrutto.<br />
Durante la vita di Gesù,<br />
questo interrogativo emerge<br />
nelle due domande che<br />
riguardano la sua persona e<br />
la sua missione, la prima sulle<br />
labbra degli altri: «chi è mai<br />
costui?» (Mc 4,41); la seconda<br />
posta da Gesù stesso ai<br />
suoi discepoli: «voi, chi dite<br />
che io sia?» (Mc 8,29).<br />
La professione di fede di Pietro<br />
chiarisce che Gesù è considerato<br />
il Messia. Ancora<br />
dopo la resurrezione, essi<br />
domandano se «è questo il<br />
tempo in cui instaurerai il regno<br />
d’Israele» (At 1,6).<br />
Solo dopo l’evento di Pentecoste<br />
– quindi, solo per la luce dello<br />
Spirito – essi possono comprendere<br />
che «quel Gesù» che<br />
i capi hanno condannato e ucciso,<br />
Dio non lo ha lasciato «nelle<br />
angosce della morte»,<br />
ma lo ha risuscitato e lo ha<br />
costituito «Signore e Cristo»<br />
(At 2,35).<br />
Si capisce in questa prospettiva<br />
perché san Paolo dica che<br />
«nessuno può dire: “Gesù è<br />
il Signore” se non sotto l’azione<br />
dello Spirito» (1Cor 12,3).<br />
Cristo davanti a Caifa,1617 ca., Gherardo delle Notti, Londra, National Gallery.
Giugno<br />
20<strong>13</strong><br />
15<br />
I SANTI DELL’ANNO DELLA FEDE / 6<br />
Stanislao Fioramonti<br />
MARIA DEL CARMEN SALLES<br />
Y BARANGUERAS<br />
Èuna santa catalana, nata<br />
a Vic (Barcellona) il 9<br />
agosto 1848.<br />
Studiò a Manresa nel Collegio delle<br />
suore della Compagnia di Maria,<br />
vivendo in pieno l’epoca e il clima<br />
spirituale della proclamazione<br />
del dogma dell’Immacolata<br />
Concezione.<br />
Sognava un istituto di educatrici<br />
che facessero vita monastica,<br />
e provò alcuni istituti – in particolare<br />
le Terziarie Domenicane<br />
dell’Annunziata, con le quali<br />
restò per un ventennio - senza giungere alla professione definitiva,<br />
finché nel 1892 fondò la Congregazione delle Religiose Concezioniste<br />
di S. Domenico, nella città di Burgos e con l’appoggio del vescovo<br />
locale.Le sue suore si chiamarono in seguito Religiose Concezioniste<br />
Missionarie dell’Insegnamento, per la formazione integrale della donna,<br />
e le sue scuole e istituti si diffusero prima in Spagna e poi anche<br />
in Italia, Estremo Oriente, Africa e Americhe.<br />
Suor Maria del Carmen morì a Madrid il 25 luglio 1911; fu beatificata<br />
nel 1998 da Giovanni Paolo II, che la descrisse in questo modo:<br />
“Consacrata all’educazione femminile, superò molte difficoltà, considerandosi<br />
‘uno strumento inutile nelle mani di Maria Immacolata’;<br />
si impegnò in progetti audaci maturati nella preghiera e nel consiglio<br />
di persone ben formate, ripetendo con ferma fiducia: ’Avanti, sempre<br />
avanti, Dio provvederà’. Donna piena di valore, la madre Carmen<br />
fondò la sua vita e la sua opera su una spiritualità cristocentrica e<br />
mariana alimentata da una pietà solida e discreta. Il suo carisma<br />
concezionista, segno dell’amore del Signore per il suo popolo, continua<br />
ad essere vivo oggi nella testimonianza delle sue figlie che,<br />
come missionarie nelle scuole e nei collegi, lavorano con impegno<br />
evangelizzando a partire dall’insegnamento”. Fu proclamata santa<br />
da Benedetto XVI nel 2012, che il giorno della canonizzazione<br />
in Piazza S. Pietro (21 ottobre) l’ha ricordata con queste<br />
parole:“Donaci, Signore, il tuo amore: in te speriamo”. Con queste<br />
parole, la liturgia ci invita a fare nostro questo inno a Dio creatore<br />
e provvidente, accettando il suo progetto nella nostra vita. Così fece<br />
santa Maria del Carmelo Sallés y Barangueras, religiosa nata a Vic,<br />
in Spagna, nel 1848. Ella, vedendo realizzata la sua speranza, dopo<br />
molte vicissitudini, contemplando lo sviluppo della Congregazione<br />
delle Religiose Concezioniste Missionarie dell’Insegnamento, che<br />
aveva fondato nel 1892, poté cantare insieme con la Madre di Dio:<br />
“Di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli<br />
che lo temono”.<br />
La sua opera educativa, affidata alla Vergine Immacolata, continua<br />
a portare frutti abbondanti in mezzo alla gioventù mediante l’impegno<br />
generoso delle sue figlie, che come lei si pongono nelle mani<br />
del Dio che tutto può”.<br />
Il 25 maggio 20<strong>13</strong> a Palermo è stato<br />
proclamato beato DON PINO PUGLISI,<br />
parroco del popolare quartiere Brancaccio<br />
del capoluogo siciliano, assassinato a<br />
colpi d’arma da fuoco dalla mafia, davanti<br />
alla sua casa, il 15 settembre 1993,<br />
giorno del suo 56° compleanno.<br />
Elementi decisivi per accelerare il<br />
processo canonico sono stati i verbali<br />
del processo penale agli assassini del<br />
sacerdote palermitano, utilizzati dal postulatore mons. Vincenzo Bertolone,<br />
arcivescovo di Catanzaro, come <strong>prova</strong> della sua uccisione in odio<br />
alla fede. Un metodo che servirà anche per la causa di mons. Oscar<br />
Arnulfo Romero, l’arcivescovo di San Salvador colpito sull’altare<br />
mentre celebrava la messa il 24 marzo 1980.<br />
Papa Francesco ha deciso infatti di accelerare la conclusione del<br />
suo processo di beatificazione comunicando tale decisione al postulatore<br />
mons. Vincenzo <strong>Pag</strong>lia, presidente del Pontificio Consiglio<br />
per la Famiglia. Tre grandissime figure di sacerdoti stanno dunque<br />
per ricevere il riconoscimento ufficiale delle loro virtù cristiane; ai<br />
primi due infatti, che hanno testimoniato la fede con il martirio, si<br />
deve aggiungere mons. Tonino Bello, vescovo di Molfetta, che in<br />
questi giorni è stato ricordato un pò ovunque nel ventennale della<br />
sua scomparsa.<br />
segue da pag. 14<br />
Se da una parte si esprime la convinzione che<br />
è lo Spirito a guidare i discepoli «alla verità tutta<br />
intera» (Gv 16,<strong>13</strong>), dall’altra si proclama la prima<br />
e più elementare professione di fede – un soggetto<br />
e un predicato – che tuttavia contiene in<br />
nuce tutta la verità su Cristo. “Signore” – Kyrios<br />
in greco – è termine che i LXX (i traduttori della<br />
Bibbia in greco) riservavano rigorosamente a Dio.<br />
Questo significa che Gesù di Nazareth riceve, con<br />
la sua resurrezione, un titolo che nella tradizione<br />
ebraica apparteneva rigorosamente a Dio; il<br />
fatto poi che al linguaggio sulla resurrezione si<br />
accosti quello sull’ascensione, tipico delle liturgie<br />
di intronizzazione del nuovo re, associato al<br />
padre nell’esercizio del potere, aiuta a capire che<br />
Gesù il Cristo è colui che, per la sua obbedienza<br />
filiale, è glorificato dal Padre e ne compartecipa<br />
il potere.<br />
Il prologo della Lettera ai Romani comprende questo<br />
come adempimento delle promesse relative<br />
«al Figlio suo [di Dio], nato dalla stirpe di Davide<br />
secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza<br />
secondo lo Spirito di santificazione mediante<br />
la resurrezione dai morti, Gesù Cristo nostro<br />
Signore» (Rm 1,3-4).<br />
Questo non significa che Gesù sia un uomo adottato<br />
come Figlio di Dio, ma che è il Figlio che,<br />
avendo assunto la condizione di uomo, oltretutto<br />
umiliato «fino alla morte, e alla morte di croce»<br />
(cfr Fil 2,6-8), non è rimasto in quella condizione,<br />
ma è stato esaltato alla destra del Padre<br />
e «ha ricevuto un Nome – quello di “Signore”,<br />
appunto – che è al di sopra di ogni altro nome»<br />
(Fil 2,9-11). Questo Nome implica anche l’esercizio<br />
dello stesso potere del Padre. In che cosa<br />
consiste tale potere?<br />
Naturalmente, se il potere del Padre è su tutto,<br />
anche quello del Figlio sarà su tutto; ma, più direttamente,<br />
il Nuovo Testamento si riferisce al potere<br />
di donare lo Spirito, che fa nuove tutte le cose.<br />
Tutto il Nuovo Testamento mostra quella che, con<br />
formula felice, possiamo chiamare «dilatazione<br />
cristologica»: dal mistero pasquale di morte<br />
e resurrezione, si afferma anzitutto che egli<br />
è «il giudice dei vivi e dei morti» che viene a<br />
mettere fine a questo ordine di cose e a instaurare<br />
definitivamente il Regno; che è il nuovo<br />
Adamo, il primogenito tra molti fratelli, l’inizio<br />
di una nuova umanità nell’ordine dello Spirto<br />
e non della carne; che è il Verbo eterno del Padre,<br />
che era con lui dall’eternità, Dio lui stesso, che<br />
nella pienezza del tempo si è fatto carne per<br />
la nostra salvezza. Tutte queste affermazioni<br />
sono altrettante tappe di una comprensione sempre<br />
più profonda della persona e della missione<br />
di Gesù di Nazareth.<br />
Non si tratta di addizioni alla verità iniziale, ma<br />
– come ho detto – di una comprensione a un<br />
livello sempre più profondo dell’evento-Cristo,<br />
tesa a salvaguardare i due termini irrinunciabili<br />
della sua identità: il suo essere veramente<br />
Dio e il suo essere veramente uomo; se uno<br />
dei due termini è negato, risulta compromessa<br />
la salvezza dell’uomo. Sarà questo il criterio<br />
che guiderà la Chiesa si fronte alle eresie,<br />
quando dovrà stabilire la regola della fede.<br />
*Teologo, Ordinario alla P.U.G. di Roma
Giugno<br />
16 20<strong>13</strong><br />
a cura di Stanislao Fioramonti<br />
ANNO 2005<br />
I martiri: 25, 1 vescovo (Luigi Locati in Kenya),<br />
17 sacerdoti, 2 religiosi, 3 religiose (tra cui<br />
suor Dorothy M. Stang), 1 laico.<br />
I luoghi del martirio: Africa 9, America 11,<br />
Asia 2, Europa 2.<br />
Suor Dorothy Mae Stang, 73 anni, nata negli<br />
USA e naturalizzata brasiliana, della Congregazione<br />
di Notre Dame, è stata brutalmente uccisa la mattina<br />
del 12 febbraio con tre colpi di pistola alla<br />
testa in una località a 40 km dal comune di Anapu,<br />
nella zona occidentale dello stato amazzonico<br />
del Para in Brasile.<br />
Lo stato del Parà, grande quattro volte l’Italia e<br />
con poco più di 6 milioni di abitanti, è un punto<br />
nevralgico della sfida di trafficanti di legname,<br />
latifondisti e altri speculatori contro le misure<br />
protettive del governo brasiliano.<br />
Da più di 20 anni suor Dorothy era impegnata<br />
nella Commissione per la Pastorale della Terra<br />
(CPT), accompagnando con fermezza e passione<br />
la vita dei campesinos, specie quelli del<br />
Parà. Per aver più volte denunciato l’azione<br />
violenta dei fazendeiros<br />
e dei grileiros, fin dal 1999<br />
aveva ricevuto minacce<br />
di morte.<br />
Anche il 9 febbraio,<br />
una settimana prima di<br />
essere uccisa, aveva presentato<br />
una denuncia<br />
pubblica per le minacce<br />
di morte ricevute.<br />
Come riconoscimento del<br />
suo lavoro in favore dei<br />
più poveri, nel 2004 ricevette<br />
il titolo di “Cittadina<br />
di Parà” e per il suo impegno<br />
in difesa dei diritti<br />
umani le era stato assegnato<br />
il premio “Josè<br />
Carlos Castro” dell’Ordine<br />
degli Avvocati del Brasile,.<br />
L’assassinio della missionaria<br />
è stato l’11° compiuto in 12 mesi nello<br />
stato del Parà, dove gli “speculatori<br />
dell’Amazzonia”, giunti anche da lontano come<br />
dal sud del Brasile, tentano di sostituirsi con la<br />
violenza e il terrore alle istituzioni. Ma il sacrificio<br />
di suor Dorothy non è stato vano.<br />
Le autorità si sono impegnate per realizzare la<br />
riforma agraria di quelle terre, contro gli interessi<br />
delle grandi multinazionali e dei latifondisti.<br />
Il 16 agosto a Taizé in Francia è ucciso a coltellate<br />
da uno squilibrato fratel Roger Schutz,<br />
90 anni, protestante svizzero, fondatore e priore<br />
di quella comunità ecumenica.<br />
Quattro i testimoni italiani<br />
24 marzo, Luanda,<br />
Angola:<br />
MARIA BONINO,<br />
52 anni, medico<br />
pediatra, volontaria<br />
laica del<br />
CUAMM di<br />
Padova (Biella,<br />
9 dicembre 1953).<br />
Vedi Ecclesìa, aprile<br />
2009, p. 4.<br />
14 luglio, Isiolo, Kenia:<br />
mons. LUIGI LOCATI, 76 anni, vescovo titolare<br />
di Zica e Vicario Apostolico di Isiolo, nel nord<br />
del Kenia (Vinzaglio, Vercelli 1928). E’ stato ucciso<br />
davanti ad un Centro pastorale del Vicariato,<br />
vittima di un agguato mentre rientrava nella sua<br />
abitazione dopo una visita pastorale. Da 40 anni<br />
prestava servizio in Kenya, dove si era recato<br />
come prete fidei donum della diocesi di Vercelli,<br />
e stava per lasciare il suo incarico per raggiunti<br />
limiti d’età. Viveva in un ambiente molto povero<br />
e semplice, e anche quando divenne<br />
Vescovo conservò sempre il suo stile di vita.<br />
Mons. Locati da tempo aveva ricevuto minacce<br />
alla sua vita, per questo la sera si muoveva<br />
con due guardiani. Poco prima della morte ebbe<br />
a dire: “Sono un semplice missionario che ha<br />
scelto di evangelizzare promuovendo l’educazione<br />
tra i giovani di Isiolo”.<br />
La sua morte è il pegno per il fecondo cammino<br />
di tutta la Chiesa che è in Kenia. Il suo brutale<br />
assassinio ha suscitato profonda tristezza,<br />
ma anche gratitudine per la sua generosa testimonianza<br />
evangelica.<br />
Padre Eugenio Ferrari, direttore nazionale delle<br />
Pontificie Opere Missionarie del Kenya, ha affermato:<br />
“Mons. Locati è stato un grande pioniere<br />
nella sua diocesi. Io lo conobbi quando arrivai<br />
per la prima volta in Kenya e m’impressionò<br />
la semplicità della sua abitazione e come conosceva<br />
la sua gente. Era una persona retta e onesta<br />
che ha sempre difeso la giustizia”.<br />
2 settembre, Blumenau, Brasile:<br />
don GIUSEPPE BESSONE, 62 anni, fidei donum<br />
della diocesi di Pinerolo (Bricherasio, TO 1943).<br />
E’ stato ucciso nella notte, nella sua casa parrocchiale<br />
di S. Antonio, da un ragazzo di 16 anni,<br />
arrestato dalla polizia, che dopo essere stato accolto<br />
in casa dal sacerdote, lo avrebbe poi colpito<br />
con un coltello, rimanendo anch’egli ferito, probabilmente<br />
nel tentativo di rapinarlo.<br />
Don Giuseppe era stato ordinato sacerdote il 25<br />
<strong>giugno</strong> 1967. Dopo aver esercitato per alcuni anni<br />
il suo ministero nella diocesi di Pinerolo, nel 1975<br />
era partito per il Brasile, assumendo l’incarico<br />
di viceparroco nella parrocchia di Nostra<br />
Signora della Gloria in Blumenau.<br />
continua nella pag. accanto
Giugno<br />
20<strong>13</strong><br />
17<br />
mons. Franco Risi<br />
L’evangelista Luca, con la vicenda dei<br />
discepoli di Emmaus (Lc 24, <strong>13</strong>-35), vuole<br />
insegnarci che Gesù è risorto, è vivo,<br />
è presente nel mondo; e vuole soprattutto educare<br />
la nostra fede alla centralità della frazione<br />
del pane. In questo gesto, che Gesù compie durante<br />
l’ultima cena, ma anche di fronte ai discepoli<br />
di Emmaus, è racchiuso il senso stesso della<br />
nostra fede: la frazione del pane è infatti il sacrificio<br />
supremo di Cristo che ogni domenica si ripete<br />
ancora per la salvezza del mondo.<br />
Come afferma Anselm Grün, «nello spezzare il<br />
pane si evidenzia il fatto che Gesù non ha vissuto<br />
solo per se stesso, ma che egli si è spezzato<br />
per noi durante tutta la sua vita per trasmetterci<br />
se stesso e il suo amore [...]. Nello spezzare il<br />
pane, noi diamo espressione al nostro desiderio<br />
profondo che ci sia qualcuno che esiste solo<br />
per noi, ed esista per noi in maniera tale da prendere<br />
le nostre difese al punto da amarci fino a<br />
morire» (A. Grün, L’eucaristia – Trasformarsi e<br />
diventare una cosa sola).<br />
Allo stesso modo, anche noi oggi, alla luce di quanto<br />
affermato, siamo chiamati a spezzarci per condividere<br />
quanto di bello abbiamo con il prossimo<br />
e così imitare Gesù.<br />
Anche noi purtroppo, nel corso della nostra vita,<br />
come i discepoli di Emmaus, siamo distratti da<br />
preoccupazioni e problemi effimeri che ci allontanano<br />
da Cristo, i nostri occhi spesso sono impediti<br />
a riconoscerlo (cfr. Lc 24, 16); Egli, però, cammina<br />
al nostro fianco sta a noi impegnarci a riconoscerlo<br />
ogni giorno soprattutto nella frazione del<br />
pane domenicale. Ciò che è celebrato in chiesa<br />
sull’altare viene concretizzato nella fedeltà con<br />
cui adempiamo ai nostri doveri quotidiani: in famiglia,<br />
sul lavoro o nella comunità dove viene continuato,<br />
con l’aiuto dello Spirito Santo, il sacrificio<br />
dell’altare e il quale si prolunga così nella vita<br />
di tutti i giorni. Come ha fatto ad Emmaus, Gesù<br />
accompagna anche noi oggi nel nostro cammino<br />
e, soprattutto, rimane con noi nella sera della<br />
nostra vita. Solo attorno a quello spezzare il<br />
pane che Gesù ci ha donato riusciremo a trovare<br />
l’unità dei veri figli di Dio. Egli continua ancora<br />
oggi a camminare al fianco dell’umanità intera,<br />
si fa presente per aiutarci a superare la sfiducia<br />
e la delusione, come fece con i due discepoli:<br />
«Che cosa sono questi discorsi che state facendo<br />
tra voi lungo il<br />
cammino?»(Lc<br />
24, 17). Gesù li<br />
rimprovera per la loro durezza di<br />
cuore, e, per mezzo delle Scritture,<br />
spiega loro il senso della sua sofferenza,<br />
una sofferenza gloriosa e<br />
fonte di salvezza: «Stolti e lenti di<br />
cuore a credere in tutto ciò che hanno<br />
detto i profeti! Non bisognava<br />
che il Cristo patisse queste sofferenze<br />
per entrare nella sua gloria?»(Lc<br />
24, 26).<br />
Dobbiamo dunque ammirare il<br />
comportamento buono di Gesù, che<br />
si fa compagno di viaggio dei due<br />
discepoli senza fiducia e senza speranza.<br />
Essi infatti, afflitti commentano:<br />
«Noi speravamo che egli fosse<br />
colui che avrebbe liberato<br />
Israele; con tutto ciò, sono passati<br />
tre giorni da quando queste cose<br />
sono accadute»(Lc 24, 21).<br />
A questo punto lo sconosciuto fa<br />
come se dovesse andare oltre, ma<br />
i due insistono per trattenerlo,<br />
perché il loro cuore arde all’ascolto<br />
delle sue parole. Da ciò capiamo<br />
che le Scritture conducono a Cristo<br />
e Lui le illumina, perché ne è l’interprete<br />
definitivo. Gesù riesce a ricapitolare<br />
in sé tutte le cose proprio<br />
grazie al sacrificio della croce che<br />
poi ha donato al mondo per mezzo<br />
di un elemento semplicissimo:<br />
un pezzo di pane. Ecco allora la rivelazione<br />
presente nel Vangelo: appena i discepoli<br />
arrivarono alla loro casa, durante la cena, Gesù<br />
spezzò il pane e lo diede loro. In quel momento<br />
«si aprirono i loro occhi e lo riconobbero. Ma<br />
egli sparì dalla loro vista» (Lc 24, 30).<br />
Dalla lettura di questo Vangelo, possiamo dunque<br />
certamente essere confortati dal dato storico<br />
della risurrezione di Gesù; ma è solamente<br />
con l’amore e la fede che Lo possiamo incontrare<br />
e riconoscerlo come vero Figlio di Dio.<br />
Quindi non potrà mai bastare solo la ragione a<br />
farci credere alla sua risurrezione: l’unica interpretazione<br />
della risurrezione è la fede, solo in essa<br />
l’uomo può comprendere la straordinarietà di questo<br />
evento. Grazie alla fede scopriamo che la risurrezione<br />
ha elevato Gesù verso il Padre, e anche<br />
noi, tramite Gesù, siamo elevati e ricondotti al<br />
Padre grazie alla promessa della vita eterna.<br />
Questo amore noi lo possiamo rafforzare con<br />
l’ascolto della Parola di Dio e con la partecipazione<br />
amorevole allo spezzare del pane in ogni<br />
assemblea domenicale. Come i discepoli di Emmaus<br />
che dall’incontro personale con Gesù uscirono<br />
rinnovati interiormente, così anche noi dobbiamo<br />
imitare il loro cammino e attingere dal pane<br />
spezzato la forza di amare tutti coloro che incontriamo<br />
sulla nostra strada.<br />
Questa straordinaria pagina evangelica ci rivela<br />
che la Parola contenuta nelle Scritture,<br />
l’Eucaristia e la comunità parrocchiale sono i luoghi<br />
privilegiati della presenza del Risorto.<br />
L’immagine salvifica di Cristo che spezza il pane<br />
di fronte ai discepoli di Emmaus, è dunque per<br />
noi, cristiani di oggi, invito alla condivisione, all’unione<br />
e alla fraternità.<br />
La società odierna forse soffre di uno spietato<br />
individualismo proprio perché non sa più spezzarsi<br />
per il bene del prossimo, non sa donare né<br />
condividere e ne perdonare. Resta con noi, Signore,<br />
nelle difficoltà della nostra vita, perché possiamo<br />
riconoscerti nello spezzare il pane e testimoniarti<br />
ai fratelli.<br />
segue da pag. 16<br />
Divenne successivamente parroco di Nostra Signora di<br />
Fatima in Joinville, di S. Ines in Indasal e infine di S. Antonio<br />
in Blumenau. Era da poco tornato da un periodo di riposo<br />
trascorso in Italia.<br />
12 settembre, Owando, Congo Brazzaville:<br />
p. ANGELO REDAELLI OFM (nella foto a sinistra) , 40<br />
anni, (Turate, VA 1965), della Provincia dei Frati Minori<br />
della Lombardia, è stato ucciso dalla folla il 12 settembre<br />
2005, dopo aver involontariamente investito e ucciso<br />
una bambina in un villaggio a una trentina di chilometri<br />
da Owando, nel settore centrosettentrionale del Congo<br />
Brazzaville. P. Angelo era da due anni in missione in Congo<br />
e si era subito ben inserito nella comunità locale.<br />
Negli ultimi mesi operava soprattutto nella parrocchia di<br />
Mekua, che si trova a nord di Owando e non lontano dalla<br />
zona dove sono avvenuti i tragici fatti. Egli operava soprattutto<br />
a favore dei bambini di strada, nel campo della sanità<br />
e della catechesi. È stato ucciso proprio quando si stava<br />
recando in una scuola per catechisti.
Giugno<br />
18 20<strong>13</strong><br />
don Ettore Capra<br />
La natura, in <strong>giugno</strong>, intona l’estivo suo canto<br />
nelle messi piene di forza vitale, evocate<br />
dal testo (siriaco?) della Didaché, riprodotto,<br />
nel rinnovato rito della Messa, in luogo<br />
dell’antico offertorio, che, incuranti dell’imminente<br />
mietitura paiono, con l’ondeggiare sereno,<br />
voler insegnare che solo nel sacrificio generoso<br />
potranno mutarsi nel pane che nutre chi<br />
percorre la terra e nell’azzimo che placa chi abita<br />
i Cieli.<br />
In questa danza di messi rivedo le processioni<br />
del Corpus Domini nelle campagne, espressioni<br />
di fede dei nostri avi e della loro speranza,<br />
che il Signore, passato un giorno a spigolare<br />
con gli apostoli nei campi, ed ora ugualmente<br />
presente nei veli del Sacramento, si degnasse<br />
di benedire la terra.<br />
Cesare Angelini, sacerdotale cometa di delicata<br />
profondità spirituale per molti letterati del<br />
“secolo breve”, di <strong>giugno</strong> scrive nel suo<br />
“Zodiaco” 1 :<br />
“Se il fico intenerisce il ramo, dite<br />
che l’estate è vicina...” e <strong>giugno</strong> arriva.<br />
Densi colombi ombrano la riva<br />
del Lambro, ebbri del fiore della vite.<br />
Se biade bionde ondeggiano granite<br />
tal che ogni campo oro circoscriva,<br />
cresce il bene del vivere, s’avviva<br />
la fiducia alla Sua presenza mite.<br />
Giugno, mese virile, età perfetta<br />
dell’anno, che recessi ombrosi accampi<br />
tra l’entusiasmo dei tuoi luoghi soli;<br />
plaudono balenando i primi lampi<br />
e la nitida nuova cicaletta<br />
lima il silenzio ai piedi dei quercioli.<br />
Ma è il suo commento alla sequenza della Messa<br />
del Corpus Domini che mi permetto di proporre<br />
di seguito per questo mese eucaristico:<br />
…L’inno si apre con impeto, quasi torrente in<br />
piena:<br />
Lauda Sion Salvatorem<br />
Lauda ducem et Pastorem<br />
In imnis et canticis.<br />
Notare che San Tommaso, qui e negli altri inni<br />
eucaristici (l’ufficiatura del Sacramento è sua)<br />
abbandona la metrica quantitativa ed inaugura<br />
l’accentuativa o ritmica, con la prima comparsa<br />
della rima.<br />
Nel Lauda Sion 2 è già presente l’ottonario italiano;<br />
e in questo rinnovamento metrico, come<br />
nella evoluzione o trasformazione della lingua,<br />
la Chiesa è all’avanguardia.<br />
L’inno continua con slancio, con perizia entusiastica:<br />
Quantum potes, tantum audes<br />
Quia maior omni laude<br />
Nec laudare sufficis<br />
Anche in funzione di poeta, San Tommaso non<br />
può dimenticare se stesso teologo e<br />
loico;<br />
e la prima parte dell’inno è un trattatello che riassume<br />
la dottrina intorno alla presenza reale, e<br />
le figure antiche che l’hanno simboleggiata, e<br />
i miracoli che realizza, e le condizioni per riceverla,<br />
e gli effetti che peroduce.<br />
Par di vederlo, il professore della Sorbona, mentre<br />
muove le tre dita della destra, come nei ritratti,<br />
quasi continuando le Quaestiones della Summa<br />
col famoso respondeo quod…:<br />
Dogma datur Christianis<br />
Quod in carnem transit panis<br />
Et vinum in sanguinem.<br />
Quod non capis, quod non vides,<br />
animosa firmat fides,<br />
praeter rerum ordinem.<br />
Caro cibus, sanguis potus,<br />
manet tamen Christus totus<br />
sub utraque specie.<br />
Poesia dogmatica in tono espositivo; quasi formule<br />
di disquisizione. Ma la schiettezza del sentimento<br />
e la fede animosa e la popolare precisione<br />
del linguaggio sollevano le parole in una<br />
vibrazione lirica autentica mettendo lo spirito in<br />
contatto col Mistero.<br />
Il dogma diventa fede, canto, luce. Certo, molte<br />
cose sono esteriori, più del ritmo e della rima,<br />
come in talune strofe rotonde e un po’ rumorose.<br />
Ma ci sono momenti di fresca grazia poetica;<br />
è difficile cantare l’ineffabile con più umana<br />
commozione:<br />
Ecce panis angelorum<br />
Factus cibus viatorum,<br />
vere panis filiorum<br />
non mittendus canibus.<br />
Anche la strofa si è allungata da tre a quattro<br />
versi, sotto l’ispirazione più piena; e le rime si<br />
fanno più fitte e festose intorno alla vericontinua<br />
a pag.19
Giugno<br />
20<strong>13</strong><br />
19<br />
segue da pag.18<br />
tà: quasi chiari campanelli che accompagnano<br />
la danza nell’odorosa festa d’estate illuminata<br />
di frumenti e di fieni. Sul finire, ogni sonorità si<br />
vela; diventa intima e ardente preghiera; la strofa<br />
si allunga anche di più, e la rima incalzante<br />
ha una sua funzione di suggestione:<br />
Bone pastor, panis vere,<br />
Iesu nostri miserere:<br />
tu nos pasce, nos tuere,<br />
tu nos bona fac videre<br />
in terra viventium.<br />
L’inno non è tutto un’esaltazione del divino banchetto<br />
che il maestro ci ha imbandito quaggiu?<br />
Ed è giusto che si chiuda con l’augurio che tutti<br />
i fedeli si ritrovino un girno raccolti intorno al<br />
banchetto celeste:<br />
Tu qui cuncta scis et vales.<br />
Qui nos pascis hic mortales,<br />
tuos ibi commensales<br />
coeredes et sodales<br />
fac sanctorum cicium.<br />
La sequenza mi ricorda un quadro, ci sia o non<br />
ci sia il pittore, l’abbia io visto o l’abbia appena<br />
sognato. La sua musica esiste in me. Dice<br />
dell’uomo Elia, l’Ulisside dei profeti, che è in giro<br />
per la terra alla maniera sua, senza pane e con<br />
una sete aridissima.. dorme in non so qual parte<br />
del continente atlantide, che è la bibbia. Dorme<br />
e sogna. Gli vien giù, prima vicino poi lontano,<br />
una gran musica d’acque. Lo risveglia con fragorosi<br />
salti:<br />
Sit laus plena sit sonora,<br />
sit iucunda, sit decora<br />
mentis iubilatio.<br />
Il profeta si guarda attorno e, d’un tratto, lampeggia<br />
un sorriso crdile. Trova sotto il suo capo<br />
il pane del pellegrino:<br />
Ecce Panis angelorum<br />
factus cibus viatorum…<br />
ne gusta, ne pregusta:<br />
vere panis filiorum…<br />
e ha un movimento di collera stupenda:<br />
non mittendus canibus!<br />
L’acqua ancora balza e precipita fra sassi:<br />
In figuris presignatur,<br />
cum Isaac immolatur,<br />
Agnus Paschae deputatur<br />
Datur manna patribus…<br />
Così, per un pezzo. Fin che il cuore è tutto in<br />
gioia, e la gran sete è spenta. Poi, su una distesa<br />
di acque crespoline, un velo perlato, un tremito<br />
di flauto:<br />
tu qui cunta scis et vales,<br />
qui nos pasces hic mortales…<br />
Rinfrancato dal viatico, il profeta cammina verso<br />
il deserto, verso il Cielo.<br />
Amen. Alleluia.<br />
1 C. Angelini, Il piacere della memoria, Milano,1977.<br />
2<br />
C. Angelini, I doni del Signore, Milano,1970.
Giugno<br />
20 20<strong>13</strong><br />
don Gaetano Zaralli<br />
Mentre le chiese si svuotano, vengono<br />
cercate nuove forme di spiritualità alla<br />
periferia del cristianesimo. Buddismo<br />
e induismo, per esempio, offrono alle giovani<br />
generazioni, da tempo ormai, materiale e tecniche<br />
che aiutano a venir fuori dalla confusione<br />
e dall’agitazione, restituendo alle proprie esperienze<br />
qualcosa che va oltre il limite di una coscienza<br />
finita. E’ doloroso constatare che pochissimi<br />
sacerdoti sono in grado di presentare la ricca<br />
tradizione mistica del cristianesimo come sorgente<br />
di rinascita.<br />
Quando nel passato vi è tanto poco a cui aggrapparsi<br />
e pel futuro tanto poco da aspettarsi, ciò<br />
che può dare significato alla vita deve essere<br />
sperimentato al presente. Aveva ragione Papa<br />
Benedetto XVI quando parlava di “atrofia spirituale<br />
dell’uomo moderno”. A modo suo richiamava<br />
le coscienze ad un cammino che sapesse<br />
riportare nel proprio cuore lo spessore del<br />
trascendente. Ma nulla accadrà di nuovo, se<br />
le persone addette ai lavori, pur avendo una<br />
preparazione accurata, non sono abbastanza<br />
libere di aprire un varco entro i confini restrittivi<br />
della normale disciplina, di quella che nel<br />
tempo può diventare, anzi, è diventata stantia.<br />
Quando Papa Francesco, rivolgendosi ai giovani,<br />
li invita con forza ad andare controcorrente,<br />
provo dentro di me un sussulto.<br />
Quante volte nella vita di un qualsiasi cristiano<br />
s’è creata l’esigenza di rompere con tradizioni<br />
vecchie che, pesanti come zavorra,<br />
impedivano e impediscono ancora cammini diversi<br />
dalle solite devozioni che assecondano, purtroppo,<br />
più le voglie di un paradiso certo che<br />
non il rischio di confondersi con lo scandalo di<br />
chi “andando controcorrente”, appunto, propone<br />
soluzioni “altre” per una chiesa “altra”.<br />
Ho <strong>prova</strong>to dentro di me un sussulto speranzoso<br />
alle parole di Papa Francesco, come se<br />
da queste mi venisse la certezza di un probabile<br />
cambiamento all’interno della<br />
stessa Chiesa, di quella Chiesa non<br />
più avvezza a misurarsi con una<br />
umanità che mostra ormai una faccia<br />
diversa. E’ bello invogliare i giovani<br />
a misurarsi con esperienze<br />
che rompono gli schemi abituali,<br />
però, portare queste giovani forze<br />
a contrastare le acque scroscianti<br />
del torrente, significa anche invitarli<br />
a “cantare fuori del coro”…<br />
e chi si esibisce negli “assoli”, in<br />
genere, rischia di diventare eroe<br />
e gli eroi subiscono inevitabilmente<br />
il sacrificio estremo. E’ facile rivolgersi<br />
ai giovani, ricordando loro che<br />
alle mode dell’effimero va sostituito<br />
l’interesse per ciò che è essenziale…<br />
Meno facile è chiedere loro,<br />
sempre nello spirito dell’andare controcorrente,<br />
la gestione delle<br />
cose sacre in modo più vicino a<br />
chi spera in Dio; è meno facile pretendere da<br />
loro un atteggiamento critico e costruttivo che<br />
incida più profondamente sulle scelte che le gerarchie<br />
sfornano di tanto in tanto nella solitudine<br />
di chi deve esercitare un potere. La Chiesa con<br />
Papa Francesco non è più l’isola felice, dove<br />
il credente si addormenta tranquillo, sognando<br />
verità annunciate e sottoscritte, senza il condimento<br />
di riflessioni che ne maturino l’accettazione.<br />
Con Papa Francesco l’autoritarismo si sbriciola<br />
e diventa servizio; l’indottrinamento cieco e irresponsabile<br />
diventa presa di coscienza e voglia<br />
di esserci; la severità delle leggi cede il passo<br />
all’accoglienza sincera e alla misericordia che<br />
in Dio non trova limiti.<br />
Un tempo si inneggiava alla Verità e nella sua<br />
assolutezza si tracciavano i confini dell’appartenenza,<br />
si decideva, financo nei dubbi, chi fosse<br />
il reprobo da condannare e chi al contrario<br />
il prediletto da salvare… Ed era solenne l’”anatema<br />
sit” che si scagliava senza indugio contro<br />
chi nelle idee e nei comportamenti si manifestava<br />
non ubbidiente… Al presente, temo, non<br />
sia cambiato un gran che attorno alla superbia<br />
di essere possessori della unica verità, anche<br />
se nei risvolti delle argomentazioni si cerca di<br />
offrire più spazio all’esercizio di una certa libertà<br />
interiore… Già, la libertà… La libertà è nella<br />
verità, si diceva; e anche l’amore deve essere<br />
nella verità si aggiungeva, quando nel groviglio<br />
di soluzioni che rasentavano il tanto deprecato<br />
relativismo si cercava di raggiungere un<br />
pacato giudizio morale. E, se la libertà e l’amore<br />
sono nell’esperienza umana frutto di un cammino<br />
guidato dalla Grazia, è giusto che la stessa<br />
verità si trovi sbriciolata lungo le strade di<br />
quell’amore. Libertà e amore non sono ancelle<br />
della verità, ma insieme sono il<br />
Padre, il Figlio e<br />
lo Spirito<br />
Santo. E così, come Dio che è dentro di noi sbaracca<br />
la misura della nostra recettività, anche<br />
l’Amore, la Libertà e la Verità, se accolte da una<br />
coscienza generosa, rompono i limiti della razionalità<br />
e si librano con vigore in un atto di fede.<br />
E’ difficile, però, compiere atti di fede in solitudine,<br />
si fa necessaria, se non indispensabile,<br />
perciò, la presenza viva di altri con cui confrontarsi,<br />
di altri con cui fare COMUNITA’.<br />
Si assapora il gusto dello stare insieme come<br />
avvenimento straordinario, solo quando si percepisce<br />
che qualcosa è là ad aspettarci…<br />
E le voci si intrecciano allora e diventano le une<br />
eco delle altre… nel celebrare il mistero delle<br />
cose vere. Celebrare seriamente significa vivere<br />
l’attimo e riconoscere che c’è qualcosa che<br />
deve essere “visibile” nelle persone che partecipano,<br />
e “concreto” nei problemi che le stesse<br />
portano con sé. Ciò significa essere presenti<br />
nel presente… significa essere in grado di intercettare…<br />
intercettare… Torno or ora da una breve<br />
passeggiata e il cuore mi batte per l’emozione.<br />
Una ragazza mi si è fatta in contro col<br />
sorriso che sa di confidenziale:<br />
- Sono la biondina che qualche tempo fa ti offrì<br />
un caffè sulla strada…<br />
- Come sulla strada!…<br />
- Sì, sulla strada, non ricordi? Venivo dal Bar<br />
e sul cabaret portavo delle tazzine di caffè per<br />
le mie colleghe. Ti vidi triste e mi venne spontaneo<br />
offrirtene una…<br />
L’ho abbracciata e baciandola le ho sussurrato<br />
il mio “Grazie!”. Non sapevo come concludere<br />
questo pezzo, ora so: la trasparenza della<br />
ragazza che quel giorno intercettò la mia tristezza<br />
col sapore amaro d’un caffè, oggi ha celebrato<br />
in semplicità l’antica amicizia.<br />
Nell’immagine: particolare di un’opera di Boyko Kolev
Giugno<br />
20<strong>13</strong><br />
21<br />
Stanislao Fioramonti<br />
Camillo Ruini lo ha consacrato nella Basilica<br />
Lateranense. Il 28 gennaio 2006 fu chiamato<br />
a succedere a<br />
mons. Andrea M.<br />
Erba nella sede<br />
suburbicaria di<br />
<strong>Velletri</strong>-<strong>Segni</strong>.<br />
Nell’ambito della<br />
Conferenza<br />
Episcopale Italiana<br />
mons. Apicella è<br />
membro della<br />
Commissione per<br />
i problemi sociali,<br />
il lavoro, la<br />
giustizia e la pace.<br />
Anche in questa<br />
veste la sera di<br />
sabato 27 aprile<br />
ha presieduto nella<br />
Collegiata di Valmontone la veglia di preghiera<br />
del mondo del Lavoro, organizzata dalla<br />
Commissione diocesana per la pastorale<br />
Nato a Napoli il 22 gennaio 1947 da<br />
famiglia di Maiori (Costiera Amalfitana),<br />
Vincenzo Apicella si trasferì a<br />
Roma a 5 anni, nel 1952, e dopo avervi frequentato<br />
le scuole fino al liceo classico, è entrato<br />
in seminario nell’Almo Collegio Capranica<br />
(1965-72). Decisiva per la sua formazione spirituale<br />
e la sua vocazione sacerdotale è stata<br />
la figura di don Nino Miraldi, prima parroco<br />
a Roma e poi missionario fidei donum in<br />
Brasile, morto a Nova Iguazu nel 1990 a soli<br />
60 anni.<br />
Licenziato in Filosofia e Teologia alla<br />
Gregoriana, don Vincenzo fu ordinato sacerdote<br />
il 25 marzo 1972 e per i successivi 24<br />
anni ha lavorato nelle parrocchie romane, prima<br />
come viceparroco nei quartieri Appio-Latino<br />
e Pineta Sacchetti, poi come parroco alla<br />
Garbatella (1986-96).<br />
Il 19 luglio 1996 papa Giovanni Paolo II lo<br />
ha eletto vescovo ausiliare di Roma e il 14<br />
settembre successivo il cardinal Vicario<br />
sociale e il lavoro, Giustizia e Pace, Custodia<br />
del Creato. Nello stesso giorno ha concluso<br />
con una celebrazione serale la sua settimana<br />
di visita pastorale nella parrocchia valmontonese<br />
di S. Maria Maggiore, dopo che nelle settimane<br />
precedenti l’aveva svolta<br />
nelle altre due parrocchie<br />
del paese.<br />
Indetta con suo decreto<br />
del 4 aprile 2012, la<br />
prima visita pastorale di<br />
mons. Apicella alla diocesi<br />
di <strong>Velletri</strong>-<strong>Segni</strong> è<br />
iniziata il 27 gennaio a<br />
Montelanico. Nei mesi<br />
successivi ha visitato<br />
Gavignano, le due parrocchie<br />
di <strong>Segni</strong>, le tre<br />
di Artena e, nel mese di aprile,<br />
le tre di Valmontone. In maggio<br />
sarà a Lariano, poi dopo l’estate sarà la<br />
volta di Colleferro e infine di <strong>Velletri</strong>.<br />
La conclusione della Visita è prevista per febbraio<br />
2014.<br />
Una visita pastorale diocesana serve a<br />
conoscere in maniera più dettagliata e<br />
approfondita tutte le situazioni umane e sociali<br />
di una parrocchia, di una comunità, di un<br />
continua a pag. 22
Giugno<br />
22 20<strong>13</strong><br />
centro abitato, per<br />
adeguare l’azione pastorale<br />
a queste situazioni<br />
e cercare di assistere,<br />
se non risolvere, quelle<br />
più difficili.<br />
La visita pastorale<br />
insomma è un atto d’amore<br />
del pastore, il<br />
Vescovo, verso il suo gregge, la<br />
sua gente. Così ad esempio nella<br />
sua ultima settimana a Valmontone<br />
il vescovo, accolto in piazza<br />
Giusto de’ Conti dal Commissario,<br />
dalla popolazione e dalla banda<br />
comunale, ha incontrato i ragazzi<br />
di tutte le scuole, del catechismo, dell’ACR,<br />
quelli che quest’anno faranno la Cresima, i<br />
giovani e giovanissimi, i catechisti e gli animatori,<br />
i malati, gli anziani, gli operatori della<br />
Caritas parrocchiale e del Volontariato<br />
Vincenziano, i religiosi (Figlie della Carità, suore<br />
dell’Immacolata, Frati Minori), il gruppo “Figli<br />
in cielo”, il Terz’Ordine Francescano, i<br />
Neocatecumenali, i volontari della Croce Rossa,<br />
i politici e chiunque avesse richieste o proposte<br />
da fargli, persino i due cori parrocchiali<br />
(quello giovanile e quella degli adulti), che hanno<br />
cantato<br />
per lui nelle<br />
messe di<br />
apertura e di<br />
chiusura della<br />
Visita.<br />
Tutte le realtà<br />
parrocchiali<br />
si sono presentate<br />
a lui,<br />
con i loro<br />
pregi e difetti<br />
e con tanta<br />
voglia di<br />
migliorare; e<br />
il vescovo,<br />
alla fine della<br />
settimana,<br />
nella riunione con il Consiglio Pastorale<br />
Parrocchiale ha potuto dichiarare che questa<br />
visita gli ha permesso finora di conoscere<br />
soprattutto gli aspetti positivi delle parrocchie<br />
(quelli negativi già li conosceva), in particolare<br />
un laicato ovunque numeroso e convinto<br />
e una popolazione generosa che lo ha sempre<br />
accolto splendidamente (l’aggettivo è il<br />
suo).<br />
Oggi che questo importante evento è giunto<br />
a metà strada, e<br />
dopo la conoscenza di<br />
quasi tutta l’ex diocesi di<br />
<strong>Segni</strong>, con questa intervista<br />
che il vescovo ci ha<br />
concesso prima di lasciare<br />
Valmontone proviamo<br />
a tentare un primo bilancio,<br />
a verificare i primi risultati.<br />
E. Come prima cosa,<br />
don Vincenzo, le chiediamo<br />
un’impressione<br />
generale della Visita<br />
dopo circa metà impresa;<br />
in particolare, quale elemento<br />
considera più incoraggiante, e<br />
quale più preoccupante di quanto<br />
ha conosciuto?<br />
V. Mi considero, senza esagerazione,<br />
il Vescovo più fortunato del<br />
Lazio, per avere una diocesi che<br />
è ancora molto uniforme.<br />
Il suo territorio è tutto facilmente<br />
e velocemente praticabile; le parrocchie<br />
sono relativamente poche<br />
(appena 27) ma in gran parte piuttosto<br />
consistenti; e il clero è<br />
almeno culturalmente omogeneo,<br />
essendo composto da elementi tutti<br />
italiani, mentre nelle diocesi anche vicine<br />
gli stranieri (africani, latinoamericani e anche<br />
asiatici) cominciano ad essere sempre di più.<br />
E’ un clero che appare impegnato e coinvolto<br />
nell’opera pastorale e che non sembra<br />
mostrare aspetti legati alla sua “solitudine”,<br />
perché, mi sembra molto sostenuto soprattutto<br />
dal laicato.<br />
Detto questo, posso dire che l’aspetto più preoccupante<br />
per me è la presenza limitata dei giovani<br />
nelle parrocchie.<br />
Nonostante gli sforzi di parroci e collaboratori,<br />
dopo una certa età è difficile attrarre i<br />
ragazzi più o meno “grandi” in chiesa, e questo<br />
è un compito che tutti dovremo affrontare.<br />
L’aspetto più incoraggiante invece, in ogni<br />
parrocchia, è quello dato dalla presenza di<br />
un bel gruppo di laici disponibili all’impegno<br />
pastorale e sociale, laici che al momento mi<br />
sembrano ancora “sottoutilizzati”, nel senso<br />
che appaiono pronti fin d’ora ad assumersi<br />
responsabilità più grandi.<br />
E. Restringendo l’analisi alle tre parrocchie<br />
di Valmontone, che cosa le piace di<br />
più e che cosa di meno della vita ecclesiale<br />
cittadina?<br />
V. A Valmontone la problematica maggiore è<br />
la mancanza di collaborazione tra le parrocchie.<br />
Nonostante un laicato preparato, come ho detcontinua<br />
nella pag. accanto
Giugno<br />
20<strong>13</strong><br />
23<br />
to, non si riescono a trovare modi<br />
per percorsi comuni.<br />
I motivi possono essere vari: disabitudine<br />
al lavoro d’équipe; scarsa<br />
“mobilità” dei parroci, presenti<br />
da tantissimi anni, e possibile<br />
“congelamento” delle situazioni;<br />
incapacità di incanalare le grosse<br />
potenzialità presenti nel paese, e<br />
altro.<br />
E’ chiaro che si può superare l’ostacolo<br />
solo allargando la visuale<br />
della singola parrocchia, mediante<br />
scelte meno localistiche, aperte<br />
alla società e al mondo.<br />
E. Oggi lei conclude la visita alla<br />
parrocchia di S. Maria Maggiore;<br />
che impressione ne riporta?E che<br />
vorrebbe suggerirci?<br />
V. La parrocchia è molto viva ed<br />
è stata in grado nel corso degli anni<br />
di fare non soltanto la pastorale sacramentale,<br />
con la “dottrina” in preparazione<br />
alla Prima Comunione,<br />
alla Cresima e al Matrimonio, ma<br />
anche pastorale più avanzata,<br />
realizzata tramite i gruppi di catechesi,<br />
la importantissima realtà del<br />
campeggio estivo, l’oratorio, i<br />
gruppi famiglie ecc.<br />
Ovvio che S. Maria Maggiore è l’erede<br />
storica dell’opera di tanti sacerdoti<br />
ed educatori che nei secoli hanno<br />
operato a Valmontone, anche<br />
se attualmente – per lo spopolamento<br />
del Centro storico – è<br />
diventata la più piccola delle tre parrocchie<br />
del paese.<br />
Il mio invito a tutti i suoi operatori<br />
è di aprirsi a una maggiore corresponsabilità.<br />
Io dico sempre<br />
che le parrocchie (e le diocesi) non<br />
sono i preti (e i vescovi) che le reggono,<br />
ma sono i laici che ci vivono;<br />
preti e vescovi infatti prima o<br />
poi passano, i laici invece vi<br />
restano sempre, o quasi.<br />
Insomma, occorre superare il clerico-centrismo<br />
ancora prevalente.<br />
E inoltre,<br />
non disperdiamo<br />
energie<br />
nelle varie diramazioni<br />
della<br />
attività pastorale.<br />
Non c’è<br />
una pastorale giovanile, una familiare,<br />
una missionaria eccetera.<br />
La pastorale è una, e mira<br />
a educare tutta la società, anche<br />
se da vari punti di vista.<br />
E. Quale messaggio vorrebbe<br />
lanciare alla diocesi, a metà<br />
della sua visita?<br />
Qual’è il suo obiettivo episcopale?<br />
Sente che lo sta realizzando?<br />
V. Il messaggio: intensificare<br />
i rapporti interparrocchiali;<br />
creare nuovi spazi per i laici;<br />
entrare maggiormente nelle problematiche<br />
culturali e sociali<br />
del mondo; approfondire i<br />
contatti con le altre religioni,<br />
in particolare quelle (ortodossa<br />
e musulmana) professate<br />
dai nuovi immigrati nel nostro<br />
Paese.<br />
Quanto al mio scopo di vescovo,<br />
mi sono proposto di lavorare<br />
affinché in ogni parrocchia<br />
si crei una opportunità di<br />
incontro personale con la<br />
Parola di Dio, preferibilmente<br />
come viene proclamata dalla<br />
Chiesa durante l’anno liturgico.<br />
In altri termini, dovremmo<br />
fare riferimento al Vangelo domenicale<br />
ed enfatizzarlo in tutti<br />
i gruppi, oltre che nelle messe.<br />
Sono convinto però che nel<br />
confronto con la Parola non saremo<br />
poi noi a spiegarla, ma è<br />
Essa che si spiega a noi, che<br />
ci indicherà cosa fare.
Giugno<br />
24 20<strong>13</strong><br />
Mons. Luigi Vari*<br />
Piena di festa è stata l’accoglienza<br />
di tante famiglie,<br />
giovani e ragazzi,<br />
la mattina della Domenica 21 aprile;<br />
un’accoglienza di famiglia, senza nessuna<br />
ufficialità, visto che la città è commissariata,<br />
non per la prima volta, e mai<br />
la tristezza di questa condizione, si è toccata<br />
con mano come questa volta.<br />
La mancanza di possibilità di incontri istituzionali,<br />
ha comunque favorito da<br />
subito il carattere della familiarità. L’incontro<br />
con le scuole, materna, sia quella del<br />
Melograno che della scuola pubblica: elementare<br />
e media per la cordiale collaborazione<br />
dei dirigenti, degli insegnanti<br />
e di tutto il personale, si è rivelato da<br />
subito come un momento prezioso della<br />
visita, soprattutto se si ricorda come<br />
quest’incontro fosse stato negato a mons.<br />
Erba nell’ultima visita pastorale. In fondo,<br />
veder rimossi incomprensibili steccati,<br />
è un elemento di speranza, un bel<br />
messaggio di unità, che gli adulti hanno<br />
offerto ai più piccoli.<br />
Si è instaurato un dialogo fra i ragazzi<br />
e il vescovo, che ha mostrato una comunità<br />
viva, preparata e, soprattutto internazionale,<br />
interconfessionale e interreligiosa.<br />
Un esempio meraviglioso di apertura<br />
mentale, di disponibilità al dialogo,<br />
che questi ospiti del nostro paese ci danno<br />
, impegnati con tutti gli altri, grazie<br />
all’impegno dei loro bravissimi insegnanti,<br />
in tutte le attività della scuola, prima fra<br />
tutte quella musicale.<br />
Vorrei dire a tante famiglie che vedono<br />
questa diversità di culture come un problema,<br />
che è, invece una straordinaria<br />
opportunità e di non scegliere di privare<br />
i bambini della scuola vera, magari,<br />
per inseguire esperienze artificiali.<br />
L’immagine, che meglio descrive questo<br />
incontro è quello di tre bambini musulmani,<br />
che, dal balcone di casa loro, qualche<br />
giorno dopo la visita, hanno visto il vescovo<br />
passare, lo hanno riconosciuto e salutato come<br />
vecchi amici. Intensa e piena di amicizia è stata<br />
la visita alla Chiesa dei santi Andrea e Stefano,<br />
che la diocesi ha ceduto alla chiesa ortodossa romena;<br />
siamo stati accolti come fratelli e il sacerdote<br />
ortodosso, padre Josif Ciontu, ha voluto accompagnare<br />
il vescovo alla successiva visita al centro<br />
anziani, dove si è respirata tanta cortesia<br />
e cordialità.<br />
Altre immagini sono legate agli incontri i con<br />
i giovani , i giovanissimi, gli educatori e gli<br />
animatori; incontri intensi perché non solo<br />
occasione di presentazioni, ma anche di condivisione<br />
e di preghiera.<br />
Non è possibile riportare le istantanee di tutti<br />
gli incontri e i momenti, nemmeno elencare<br />
quanti avrebbero avuto piacere di un<br />
incontro, ma non si è trovato lo spazio per<br />
realizzarlo; ma certo la visita ai malati e agli<br />
anziani nelle loro case, è stata certamente<br />
quella che meglio ha espresso il senso della<br />
visita del vescovo, che è chiamato a confermare,<br />
incoraggiare e sostenere i cristiani<br />
della sua Chiesa.<br />
Ho apprezzato molto il modo di stare del vescovo<br />
con tutte queste persone, è vero che è<br />
nella sofferenza che ci si dimostra amici.<br />
Di quelle persone mi preme ricordarne una,<br />
Silvana, che ha fatto tanto per la Parrocchia,<br />
soprattutto per la Chiesa di Santo Stefano;<br />
da molto tempo ammalata, si era aggravata<br />
già all’inizio di Marzo, l’ultima benedizione<br />
qualche ora prima di morire, l’ha ricevuta<br />
Vescovo.<br />
Nello spazio di una settimana si alternano<br />
tante cose, così è stato in questa visita, che<br />
ha incrociato la vita normale della Parrocchia<br />
e delle persone che ne fanno parte, proprio<br />
come quando una persona amica ti viene<br />
a trovare e tu, comprendendo che in ogni<br />
ospite, ma soprattutto nel Vescovo, c’è il Signore<br />
sei contento e cerchi di far comprendere che<br />
la visita è gradita.<br />
Spero insieme a tutti, alle persone che si sono<br />
impegnate e che ringrazio, che il Vescovo<br />
si sia sentito ospite gradito.<br />
*parroco S. M. Maggiore<br />
in Valmontone<br />
Le foto qui pubblicate, riguardanti la Visita Pastorale nella Collegiata di S. Maria Maggiore in Valmontone<br />
sono state fatte e gentilmente concesse da PANTAPHOTO Valmontone, di Bruno Pantalon.
Giugno<br />
20<strong>13</strong><br />
25<br />
Sara Calì<br />
Forse è la particolare conformazione del territorio che come<br />
un’eco fa rimbalzare suoni e profumi dal paese alla valle sottostante,<br />
ma da maggio in poi da qualunque strada si arrivi,<br />
Artena è identificata dall’aria profumata. Sono i profumi della primavera.<br />
Non vi è orto o giardino, anche il più piccolo, che non ospiti rose,<br />
gelsomini, “ali d’Angelo”, gigli, garofani, contornati dalle acacie, che abbondano<br />
in tutto il territorio e creano un “sottofondo” costante, come ad avvertire<br />
e introdurre le feste dell’estate. Tradizione e spiritualità si intrecciano<br />
saldamente al territorio e ai suoi doni.<br />
A maggio i “Cristi infiorati” con tutti i colori dei fiori di campo, impregnano<br />
di un odore caratteristico le chiesa che li ospita; in occasione della processione<br />
in onore della Madonna delle Grazie le stradine sono coperte<br />
di petali di rose e gelsomini, raccolti in anticipo e conservati<br />
in grotte e cantine.<br />
Con l’avvicinarsi dell’estate si affollano tante<br />
ricorrenze religiose e si intensificano i<br />
pellegrinaggi, resi più agevoli dalla buona<br />
stagione, si pensi alla festa della Santissima<br />
Trinità, anch’essa molto sentita dagli artenesi,<br />
per la quale si organizzano ancora<br />
oggi visite al Santuario, posto sulla montagna<br />
che sovrasta Vallepietra.<br />
Un tempo le<br />
compagnie di fedeli<br />
arrivavano numerosissime a piedi, cantando<br />
ininterrottamente da Artena e risalendo la montagna<br />
di notte, per uno stretto sentiero rischiarato dalle torce.<br />
Durante la processione del Corpus Domini, che tocca le Chiese principali,<br />
si infiorano le strade con petali bianchi e, sempre a <strong>giugno</strong>, fioriscono<br />
i gigli bianchi, detti “di Sant’Antonio”, perché la loro fioritura avviene<br />
proprio intorno alla metà di <strong>giugno</strong>, quando si celebra la festa del<br />
Santo rappresentato con il saio, il libro, il Bambino Gesù e, appunto, il<br />
giglio. Ad Artena la devozione è molto forte e lo dimostra la sempre massiccia<br />
partecipazione alla processione, durante la<br />
quale i numerosi “Evviva Sant’Antonio” testimoniano<br />
il fervore sentito e spontaneo per il Santo<br />
Taumaturgo.<br />
La sua confraternita è stata istituita nei primi anni<br />
del Novecento e i suoi colori sono il bianco e il viola.<br />
Poco dopo, il 24 <strong>giugno</strong>, i garofani rosa, anch’essi<br />
molto profumati, sono il simbolo di San<br />
Giovanni Battista, la cui festa si svolge, con particolare<br />
fervore, a Colubro (una frazione di Artena), dove vi è la Chiesa<br />
a lui intitolata. Forse perché la festa coincide con il solstizio d’estate,<br />
molte reminiscenze precristiane si sono fuse con il culto cristiano e sono<br />
rimaste nella nostra tradizione.<br />
La notte del 23, ad esempio, si usa accendere, per poi saltare tra le<br />
fiamme, il cosiddetto peléo, forma dialettale che indica il falò (altrove<br />
sono famosi i fuochi di San Giovanni), costituito da un fascio di erbe<br />
aromatiche, raccolte il 24 mattina dell’anno precedente, che vengono<br />
fatte bruciare, forse in ricordo del valore purificatore del fuoco, simbolo<br />
anche del sole.<br />
Un’ altra usanza è quella di scambiarsi, in quel giorno, un garofano per<br />
acquisire una comare e o un compare, portandosi rispetto per sempre,<br />
perché “...San Giovanni non vuole inganni ..”, il gesto potrebbe ricordare<br />
il primo vincolo di cognazione spirituale tra San Giovanni e Gesù<br />
in occasione del suo Battesimo. Ci sono<br />
molte persone, ora adulte, che ancora<br />
si chiamano comare e compare per questo<br />
vecchio “patto” stipulato da bambini.<br />
Infine, sempre per concludere con questa<br />
affascinante e misteriosa tradizione,<br />
se ci si alza prima dell’alba del 24,<br />
si dice che si vedrà “ballare il sole”, forse<br />
in ricordo dei salti che fece la testa<br />
del Santo non appena<br />
fu decapitato.<br />
Altre simpatiche credenze consigliano di rotolarsi<br />
nella rugiada nei campi o di conoscere il futuro attraverso<br />
l’albume dell’uovo messo in una bottiglia d’acqua, pratica legata, forse,<br />
alla facoltà di preveggenza attribuita al Santo. È una tradizione antica<br />
che viene conservata in alcune famiglie, ultimo retaggio di un’Italia<br />
legata ancora alla terra e alle usanze contadine, troppo duramente colpite<br />
nell’epoca della globalizzazione che tenta di cancellarle imponendoci<br />
usi e costumi che non ci appartengono e nei quali non riusciamo<br />
ancora ad identificarci pienamente.
Giugno<br />
26 20<strong>13</strong><br />
don Daniele Valenzi<br />
“Bisogna essere pazienti e perseveranti per<br />
giungere alla verità. Il nostro essere cristiani<br />
è questione di fede e di speranza, ma perché<br />
fede e speranza possano conseguire il<br />
loro frutto è necessaria la pazienza. Non perseguiamo<br />
una gloria per l’immediato ma una<br />
gloria futura: attesa e perseveranza sono dunque<br />
necessarie per portare a compimento ciò<br />
che abbiamo cominciato ad essere e per entrare<br />
in possesso di ciò che speriamo e crediamo<br />
per divina garanzia”.<br />
Con queste parole san Cipriano, vescovo<br />
di Cartagine, elogiava il bene grane<br />
e sconfinato della pazienza. Un bene<br />
che ci porta al d-i là del tempo che viviamo e<br />
ci proietta verso quei beni futuri che crediamo<br />
e speriamo possano essere il nostro tutto nel<br />
giorno in cui il Signore verrà. Anche se non meritiamo<br />
tali doni con il il vescovo di <strong>Segni</strong> anche<br />
noi diciamo “volesse il cielo che un giorno meritassimo<br />
di essere tra quelli di cui il Signore ha<br />
detto: “nella vostra pazienza possederete le vostre<br />
anime”.”. desideriamo dunque ardentemente crescere<br />
nella virtù della pazienza con la quale potremo<br />
conseguire questo mirabile risultato. La pazienza<br />
è attenzione al tempo dell’ altro, nella piena<br />
coscienza che il tempo lo si vive al plurale, con<br />
gli altri, facendone un evento di relazione, di incontro,<br />
di amore, ma, così scrive Bruno di <strong>Segni</strong>,<br />
lo è essenzialmente perché è il tempo in cui ognuno<br />
diventa in grado di comprendere se stesso.<br />
Ascoltiamlo dalla sua stessa voce.<br />
Ma ora non parliamo degli apostoli. E veniamo<br />
ai martiri: guarda Lorenzo disteso sulla graticola<br />
che mentre soffriva per sua volontà, diceva a<br />
Cesare: “O infelice, ho sempre desiderato questo<br />
convito”; e chiedi che cosa ha fatto, in casa<br />
ha peccato, per meritare di essere arrostito? Che<br />
cos’altro sarà in grado di rispondere, se non che<br />
ha predicato la giustizia, e che ha chiamato gli<br />
idoli vani e falsi, che non possono proteggere<br />
né se stesso né agli altri?<br />
Questa stessa cosa abbiamo da dire di tutti gli<br />
altri. Chiedi a ciascuno di essi, e niente altro ti<br />
sarà risposto. Beati, dunque, costoro e beati<br />
anche tutti gli altri che per la giustizia soffrono<br />
la persecuzione. Non gli disse di precipitarsi nelle<br />
persecuzioni per la giustizia, perché la conclusione<br />
non facesse la felicità. Non chi le fugge,<br />
ma colui che le sopporta sarà beato, anche<br />
se talora può essere lecito fuggire. Ma alcune<br />
cose sono per chi fugge a causa della felicità,<br />
altre per chi soffre.<br />
Una cosa è sottrarsi al nemico combattendo, e<br />
un’altra fuggendo, e tuttavia entrambe le cose<br />
hanno come scopo la salvezza. È meglio combattere<br />
che fuggire, è meglio fuggire, piuttosto<br />
che rinnegare. Ma “ogni uomo ha il proprio dono<br />
da Dio” (1 Cor. 7, 7). Entrambe le cose il Signore<br />
comanda, e di scappare e di combattere. “Se<br />
voi, dice, sarete perseguitati in una città, fuggite<br />
in un’altra” (Mt 10, 23). D’altra parte, però:<br />
“Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo<br />
ma non possono uccidere l’anima: temete<br />
piuttosto colui che è in grado di far perire e il<br />
corpo e l’anima nella Geenna” (Mt 10,28).<br />
Il buon medico in un modo risponde al malato,<br />
in un altro modo al sano. Un buon capo in un<br />
modo ordina ai cavalieri e in un altro modo ai<br />
fanti. “Beati voi, quando gli uomini vi odieranno,<br />
e vi perseguiteranno e diranno ogni sorta<br />
di male contro di voi per causa mia: rallegratevi<br />
in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la<br />
vostra ricompensa è grande nei cieli” (Lc 6, 23).<br />
Così infatti hanno perseguitato i profeti che furono<br />
prima di voi: “nella vostra pazienza possederete<br />
le vostre anime” (Lc 21, 19).<br />
Per questo anche l’Apostolo dice:<br />
“Tutte le cose che sono scritte, sono<br />
scritte per nostro ammaestramento,<br />
che con pazienza e consolazione<br />
possiamo ottenere la speranza<br />
delle Scritture” (Rm 15, 4).<br />
Quando sentiamo che i patriarchi<br />
ed i profeti hanno subito molte persecuzioni;<br />
quando leggiamo che i<br />
santi Padri, per la molta pazienza<br />
che ebbero, furono graditi a Dio,<br />
e furono liberati da molti pericoli e<br />
molte volte , questa lezione ci deve<br />
istruire e insegnare, invitare alla pazienza,<br />
e consegnare una grande<br />
speranza e consolazione nelle tribolazioni. Tali<br />
furono Giobbe e Tobia, tali Isaia e Geremia, tali<br />
Aggeo e Zaccaria, tali Daniele ed i tre giovani,<br />
tale il profeta Ezechiele, tali Neemia e<br />
Zorobabele.<br />
Cerca nei libri dei Maccabei, e troverai Eleazaro<br />
un uomo religioso e maturo, le cui lodi è difficile<br />
narrare, che duri tormenti patì, perché non<br />
volle mangiare carne di maiale. Ma perché dico<br />
che non volle mangiare, quando neppure potè<br />
essere costretto a fingere?<br />
Inoltre, i sette fratelli insieme con la madre, che<br />
con orribili torture furono uccisi perché non vollero<br />
mangiare cibi illeciti e proibiti dalla legge.<br />
Di tali persone così dice il Signore: “Beati quelli<br />
che soffrono persecuzione per la giustizia, perché<br />
di essi è il regno dei cieli” (Mt 5, 10). Per<br />
altri poterono bastare dimore preziose che lì non<br />
ebbero, riguardo a questi il Signore ha detto: “nella<br />
casa del Padre il mio ci sono molte dimore”<br />
(Gv 14, 2). Noi, infatti, infelici, cosa facciamo,<br />
se non siamo in grado di tollerare non solo tali<br />
tormenti, ma neppure le mosche e le pulci?<br />
Per cui a cuasa di una facile offesa, a volte per<br />
una parola proferita incautamente, spesso per<br />
il riso di un fratello ed un lieve scherno ci arrabbiamo<br />
tanto che, a volte, quasi non possiamo<br />
essere placati. Nel mangiare e anche nel bere,<br />
siamo così spesso impazienti che non siamo in<br />
grado di custudire né il tempo né la misura, e<br />
se non ne abbiamo ogni giorno, non secondo<br />
la necessità, ma secondo la volontà e il superfluo,<br />
lo togliamo ai maesti e sovrintendenti nostri<br />
che avrebbero dovuto preparare per noi.<br />
La natura (dice un tale [Seneca]), di poco, anzi<br />
di pochissimo, si accontenta, al cotrario al piacere,<br />
nulla è sufficiente. Anche per i vestiti non<br />
abbiamo pazienza, perché molte volte andiamo<br />
alla ricerca dei più e dei più preziosi di quanti<br />
siano necessari, e neppure manca l’ invidia, nel<br />
caso che vediamo un fratello che possiede. Se<br />
invece tocca in sorte la debolezza, lì non c’è pazienza.<br />
Allora è senz’altro più necessaria, quando<br />
si teme che la morte sia prossima. Non possiamo<br />
elencare tutte le cose che noi impazienti pecchiamo<br />
contro il bene della pazienza. Non siamo<br />
tra quelli (poiché dobbiamo temere e dolerci),<br />
ma volesse il cielo che un giorno meritassimo<br />
di essere tra quelli di cui il Signore ha detto:<br />
“nella vostra pazienza possederete le vostre<br />
anime“. E come, mi chiedo, avrà il possesso,<br />
colui che non avrà e non posserà né se stesso<br />
e né la propria anima? E giustamente necessaria<br />
all’uomo pazienza, senza la quale perde<br />
l’essenza stessa di ciò che è.<br />
L’Apostolo loda alcuni che hanno accolto con<br />
gioia il furto dei loro beni. Proprio il Signore parla<br />
nel Vangelo dicendo: “Se qualcuno ti percuote<br />
sulla guancia, porgigli anche l’altra, e a chi ti toglie<br />
la tunica, offri a lui anche il mantello. E se qualcuno<br />
ti costringe a fare un miglio, tu fanne con<br />
lui due altri” (Mt 5, 39).<br />
Tutte queste cose sembrano essere dette alla<br />
lettera, non in generale per tutti, ma in particolare<br />
per quelli che in questo modo sono morti<br />
al mondo, e che desiderano in tutta umiltà e pazienza<br />
piacere a Dio solo.
Giugno<br />
20<strong>13</strong><br />
27<br />
dott. Luigi Vari<br />
Andreotti forse non ha mai amato<br />
di essere visto da vicino, di essere<br />
raccontato, anche se molti, tra<br />
giornalisti e scrittori, si sono cimentati, e<br />
non sempre con successo, nel tratteggiare<br />
il suo vero profilo, la sua indole, il suo carattere,<br />
la sua immagine:dai ricordi dei segnini<br />
più anziani emerge che Giulio, sin da<br />
giovanissimo, non è stata una persona estroversa<br />
neppure con i suoi cari e lo conferma<br />
il fatto noto, più volte raccontato da lui stesso<br />
che fin da bambino, orfano di padre,<br />
ebbe a dire di non aver mai dato un bacio<br />
a mamma Rosa (Rosa Falasca), tanto era<br />
il suo pudore, la sua intimità impenetrabile,<br />
la sua naturale tendenza a “schivare”<br />
comportamenti e coinvolgimenti sentimentali<br />
intimi, considerando tutto ciò quasi<br />
un’intrusione.<br />
L’infanzia modesta, insieme al fratello<br />
Francesco (il più grande) e la sorella Elena,<br />
morta prematuramente all’età di diciotto<br />
anni, colpita da una polmonite fulminante,<br />
fu trascorsa a <strong>Segni</strong>, il paese di origine<br />
suo e della sua famiglia, dove frequentò la<br />
scuola materna presso le Suore di Santa<br />
Giovanna Antida nell’Istituto S. Gioacchino<br />
(scuola fondata all’inizio del secolo XIX dal Papa<br />
Gioacchino Pecci – Leone XIII, il Papa della “Rerum<br />
Novarum” - ). Mamma Rosa, rimasta presto vedova,<br />
(il marito morì quando Andreotti aveva appena<br />
tre anni) cercava, non senza difficoltà, di tirare<br />
avanti la nutrita figliolanza educandola alla religiosità,<br />
alla frequentazione del mondo ecclesiale<br />
cattolico locale e dei preti, allora assai numerosi<br />
a <strong>Segni</strong>, sede vescovile.<br />
Giulio era indubbiamente un ragazzo molto particolare:<br />
con Vincenzo Fagiolo ed Angelo Felici<br />
(diventeranno entrambi Cardinali della Santa Romana<br />
Chiesa) trascorreva le calde giornate estive con<br />
escursioni al Campo (a ridosso di Monte Lupone),<br />
alternate da frequentazioni alla scuola di catechismo<br />
presso la Concattedrale “S. Maria<br />
Assunta”, in qualità di chierichetto “specializzato<br />
ed affidabile”. Aveva imparato presto soprattutto<br />
ad ascoltare ed a parlare poco, quando strettamente<br />
necessario , a controllare i suoi impulsi<br />
diffidando del linguaggio “difficile” dell’interlocutore.<br />
L’impronta della madre, essenziale e asciutta<br />
nei modi, rappresenta, insieme all’allora<br />
Vescovo De Sanctis, il modello di vita cristiana<br />
del giovane Giulio; a tale riguardo, infatti, si racconta<br />
che quest’ultimo, trasferito nella <strong>Diocesi</strong> di<br />
Todi, in occasione del Congresso Eucaristico di<br />
Assisi parlò dell’amore e del rispetto che il popolo<br />
segnino nutriva verso il giovane Andreotti, scorgendone<br />
una carriera futura ecclesiastica.<br />
L’idea del celibato in verità non lo ha mai entusiasmato.<br />
E’ stato per tutta la vita religiosissimo,<br />
e coerentemente con il suo carattere , di una religiosità<br />
profonda e riservata, non avvezzo a manifestazioni<br />
esteriori. Dopo la scuola materna la famiglia<br />
si trasferì a Roma concedendosi il ritorno a<br />
<strong>Segni</strong> nel periodo delle vacanze scolastiche, luogo<br />
delle sue radici, della sua infanzia; e qui ritrovava<br />
i suoi amici seminaristi, destinati alla porpora<br />
cardinalizia. Gli anziani di <strong>Segni</strong> inoltre ricordano<br />
che impartiva lezioni di latino e di analisi<br />
logica a Bruno Navarra, futuro monsignore e rettore<br />
del Seminario Minore ed a Emanuele<br />
Lorenzi, rimbrottandoli talvolta quando venivano<br />
meno agli impegni quotidiani di servizio ai preti<br />
nella celebrazione delle numerose Messe (una<br />
ventina a l giorno).<br />
<strong>Segni</strong> è stato,dunque, il contesto ove il giovane<br />
Giulio ha mosso i primi passi: un ambiente sobrio,<br />
essenziale, soprattutto religioso, dove le feste sacre<br />
di San Bruno, il Patrono della città, dell’Assunta,<br />
di San Gaetano, di San Vincenzo, di Sant’Antonio<br />
costituivano tappe obbligate di impegno e di rinnovata<br />
fede dell’intera popolazione segnina.<br />
Lo stesso Andreotti, ormai adulto e impegnatissimo<br />
negli incarichi di governo, non ha mai smesso<br />
di ritornare a <strong>Segni</strong>, la cittadina delle radici della<br />
sua famiglia, in particolare in occasione della<br />
festa “dell’Addolorata” cui era particolarmente devoto.<br />
Chi non ricorda, tra gli anziani, all’inizio degli<br />
anni ’60, quando Andreotti ministro della Difesa,<br />
portò a <strong>Segni</strong> l’allora Presidente della Repubblica<br />
Antonio <strong>Segni</strong>? “<strong>Segni</strong> a <strong>Segni</strong>”, ricordo, furono<br />
le testate giornalistiche<br />
nazionali<br />
che titolavano<br />
allora l’evento,<br />
oppure, accompagnando<br />
i<br />
Cardinali Fagiolo<br />
Vincenzo, Pericle<br />
ed Angelo Felici<br />
in occasione della<br />
visita di Sua<br />
Santità Paolo VI<br />
o ancora la venuta<br />
a <strong>Segni</strong> di<br />
Madre Teresa di<br />
Calcutta? Il suo<br />
ruolo politico nazionale<br />
ed internazionale<br />
non hanno mai “pesato”<br />
sui segnini ;allorchè giungeva nella<br />
cittadina laziale sovente i suoi<br />
discorsi pubblici o privati che fossero,<br />
erano conditi da ricordi dell’infanzia<br />
in puro dialetto segnino.<br />
Ciò che preme evidenziare oggi,<br />
nella dipartita da questo mondo,<br />
è il suo profilo essenzialmente cattolico,<br />
il suo attaccamento morboso<br />
alla Chiesa; ciò con un approccio<br />
umile, silenzioso, sobrio<br />
appunto così come ebbero analogamente<br />
i suoi coetanei, i<br />
Cardinali Angelo Felici, Vincenzo<br />
Fagiolo, Pericle Felici, anche<br />
quest’ultimo futuro Cardinale,<br />
nominato Segretario Generale del<br />
Concilio Vaticano II da Giovanni<br />
XXIII e più grande di otto anni,<br />
il quale volentieri si ritrovava con<br />
i più giovani amici prelati in<br />
occasione della festa di San<br />
Bruno.<br />
Valori religiosi dunque che hanno<br />
forgiato il suo carattere, la sua<br />
indole mite, la sua generosità verso il prossimo;<br />
in definitiva un uomo semplice, taciturno, un po’<br />
introverso che tuttavia e facilmente riusciva ad<br />
immergersi tra il popolo locale. Ha trascorso l’intera<br />
vita dedito al lavoro ed alla famiglia con una<br />
fede profonda in una società sempre più consumistica<br />
e secolarizzata: le uniche passioni erano<br />
per i cavalli, per la collezione dei francobolli<br />
e dei campanelli.<br />
E’ stato sempre un personaggio fuori dal coro!<br />
Come un semplice cittadino era solito trascorrere<br />
le poche vacanze estive con la sua famiglia<br />
presso le Suore Orsoline nel Trentino Alto Adige,<br />
senza clamore ed in perfetta privacy.<br />
Oltre i cardinali citati non vi era prete locale di<br />
parrocchia o di campagna della provincia di Roma<br />
e non solo che non si fosse recato a Roma al Centro<br />
Studi Lazio di P.zza Monte Citorio od a San Lorenzo<br />
in Lucina a chiedergli aiuto per sistemare la canonica<br />
oppure per il piccolo restauro di chiesa oppure<br />
infine per comprare i banchi dell’Oratorio e via<br />
dicendo. Il Padre Eterno gli renda merito per la<br />
sua disponibilità offerta al servizio di questo mondo<br />
terreno che non sempre gli è stato riconoscente.
28<br />
Giugno<br />
20<strong>13</strong><br />
Le catechiste e gli educatori<br />
Domenica 28 aprile, il Santo Padre ha presieduto una concelebrazione<br />
eucaristica nella quale ha amministrato il sacramento<br />
della Confermazione ungendo col sacro crisma un nutrito<br />
gruppo di giovani. Tra i numerosissimi partecipanti che stipavano la piazza<br />
San Pietro, facendo quasi “scoppiare” il colonnato del Bernini, c’era<br />
anche una vivace rappresentanza della nostra parrocchia: una settantina<br />
di bambini e ragazzi partiti da <strong>Segni</strong> di buon mattino per non mancare<br />
a questo appuntamento privilegiato attorno al papa. Sono i membri<br />
della comunità parrocchiale di S. Maria Assunta che si preparano a<br />
ricevere i sacramenti della Riconciliazione, dell’Eucaristia e della Cresima,<br />
accompagnati dal parroco mons. Franco Fagiolo e dall’équipe delle catechiste.<br />
Tutti, in particolare i cresimandi, sono stati ben felici di poter assistere<br />
alla liturgia presieduta dal papa Francesco, e per la maggior parte<br />
di loro è stata in assoluto la prima volta che hanno potuto veder conferire<br />
questo sacramento direttamente dal vescovo di Roma, in gioiosa<br />
attesa di poter anche loro ricevere il sigillo dello Spirito dalle mani del<br />
proprio vescovo, nel prossimo settembre.<br />
Il papa, con il suo stile coinvolgente e il suo linguaggio pieno d’amore<br />
e benevolenza, ha tenuto nell’occasione una calorosa omelia, esortando<br />
con semplicità ma anche con ferma decisione a scoprire la bellezza<br />
della novità che lo Spirito porta nella nostra vita, dicendo: «Apriamo la<br />
porta allo Spirito, facciamoci guidare da Lui, lasciamo che l’azione continua<br />
di Dio ci renda uomini e donne nuovi, animati dall’amore di Dio,<br />
che lo Spirito Santo ci dona! Che bello se ognuno di voi, alla sera potesse<br />
dire: oggi a scuola, a casa, al lavoro, guidato da Dio, ho compiuto<br />
un gesto di amore verso un mio compagno, i miei genitori, un anziano!<br />
Che bello!». L’invito del papa a compiere con generosità gesti<br />
di carità concreta per dare un senso pieno e bello alle nostre<br />
giornate è stato un messaggio prezioso e incoraggiante, per<br />
essere tutti, dai più piccoli ai più grandi, costruttori di un mondo<br />
davvero pervaso da quell’amore col quale lo Spirito Santo<br />
non cessa d’infuocare la vita dei cristiani d’ogni tempo.<br />
Il papa ha poi aggiunto: «le difficoltà, le tribolazioni, fanno<br />
parte della strada per giungere alla gloria di Dio, come per<br />
Gesù, che è stato glorificato sulla Croce; le incontreremo sempre<br />
nella vita! Non scoraggiarsi! Abbiamo la forza dello Spirito<br />
Santo per vincere queste tribolazioni».<br />
E, infine, un invito speciale tutto dedicato in particolare ai<br />
cresimandi, a saper andare controcorrente, senza paura e<br />
con coraggio: «Rimanete saldi nel cammino della fede con<br />
la ferma speranza nel Signore. Qui sta il segreto del nostro<br />
cammino! Lui ci dà il coraggio di andare controcorrente. Sentite<br />
bene, giovani: andare controcorrente; questo fa bene al cuore,<br />
ma ci vuole il coraggio per andare controcorrente e Lui ci dà questo<br />
coraggio! Non ci sono difficoltà, tribolazioni, incomprensioni che ci devono<br />
far paura se rimaniamo uniti a Dio come i tralci sono uniti alla vite,<br />
se non perdiamo l’amicizia con Lui, se gli facciamo sempre più spazio<br />
nella nostra vita. Questo anche e soprattutto se ci sentiamo poveri, deboli,<br />
peccatori, perché Dio dona forza alla nostra debolezza, ricchezza alla<br />
nostra povertà, conversione e perdono al nostro peccato. E’ tanto misericordioso<br />
il Signore: sempre, se andiamo da Lui, ci perdona. Abbiamo<br />
fiducia nell’azione di Dio! Con Lui possiamo fare cose grandi; ci farà sentire<br />
la gioia di essere suoi discepoli, suoi testimoni. Scommettete sui grandi<br />
ideali, sulle cose grandi. Noi cristiani non siamo scelti dal Signore per<br />
cosine piccole, andate sempre al di là, verso le cose grandi. Giocate la<br />
vita per grandi ideali, giovani!».<br />
Una nuova ed entusiasmante coniugazione del verbo “giocare”, tanto<br />
familiare e caro ai bambini e ai ragazzi! Al termine della celebrazione,<br />
il papa è passato in automobile a salutare e benedire tutti i presenti in<br />
piazza San Pietro, e anche il gruppo segnino, sventolando con grande<br />
carica fazzoletti azzurri e gridando gioiose espressioni di affetto, ha potuto<br />
incontrare da vicino lo sguardo paterno e il contagioso sorriso del Santo<br />
Padre. La giornata è continuata facendo festa tutti insieme, giocando e<br />
condividendo il pranzo a sacco sotto il colonnato, e poi compiendo una<br />
lunga passeggiata per le strade del centro storico dell’Urbe, ammirando<br />
la bellezza dei suoi edifici sacri e monumentali, fino a raggiungere il<br />
“Time Elevator” per un momento divertente di sana ricreazione, con la<br />
visione tridimensionale di un istruttivo filmato sulla storia di Roma.<br />
Nonostante la stanchezza della giornata, è stata una bella esperienza<br />
che resterà nel cuore di ognuno di noi.<br />
A <strong>Segni</strong> la fantasia<br />
è dolce<br />
In un trionfo di colori, forme e sapori sabato<br />
27 aprile u.s. la sala Pio XI della Cattedrale<br />
di <strong>Segni</strong> ha ospitato il concorso “Dolce<br />
fantasia”. I partecipanti, ben sessantadue, si sono<br />
cimentati con l’arte pasticcera mettendo a frutto<br />
quanto appreso nel corso di pasticceria tenuto<br />
presso il centro pastorale “Il Sicomoro”<br />
Nella corso della gremitissima manifestazione<br />
una giuria competente e scrupolosa ha assaggiato<br />
i dolci ed ha attribuito i punteggi.<br />
Un lavoro non facile in quanto la qualità dei dolci<br />
presentati era veramente eccellente distinguendosi<br />
per capacità nell’arte pasticcera, grande<br />
creatività ed originalità.<br />
Per tutti i partecipanti un attestato, per i primi<br />
undici anche dei piccoli premi; naturalmente complimenti<br />
grandissimi sono andati ai primi classificati:<br />
III Manuela Marozza, II Rossella Sinibaldi,<br />
I Cristina Petrelli.<br />
Al termine, momento forse più atteso, è stato<br />
possibile assaggiare i dolci: una cuccagna per<br />
grandi e piccini, nessuno si è tirato indietro ma<br />
tutti hanno avuto modo di deliziare vista e palato.<br />
Un pomeriggio particolarmente piacevole,<br />
occasione di incontro e di scambio.<br />
Un ringraziamento doveroso va a Pino Marucci,<br />
maestro pasticcere, che ha tenuto il corso di<br />
pasticceria ed ha ideato la manifestazione “Dolce<br />
Fantasia”<br />
Il parroco, don Franco Fagiolo, ha sottolineato<br />
come momenti come quelli del Concorso nascono<br />
da un impegno continuo e duraturo presso<br />
continua a pag. 29
Giugno<br />
20<strong>13</strong><br />
29<br />
Mons. Franco Fagiolo<br />
Il canto durante la comunione è uno dei canti rituali<br />
di una celebrazione eucaristica, dato che la sua<br />
funzione è di accompagnare il rito della processione<br />
dei fedeli che avanzano verso l’altare per ricevere<br />
il pane consacrato. Sant’Agostino, in un bellissimo<br />
testo riportato nella Liturgia delle Ore nell’ultimo sabato<br />
dell’anno liturgico, ci aiuta a comprendere meglio, e<br />
quindi anche a celebrare meglio, la dimensione escatologica<br />
della processione alla comunione e del canto<br />
che l’accompagna.<br />
“I nostri canti di lode a Dio risuonano anche ora qui. Qui<br />
però nell’ansia, mentre lassù nella tranquillità. Qui cantiamo<br />
da morituri, lassù da immortali. Qui nella speranza,<br />
lassù nella realtà. Qui da esuli e pellegrini, lassù nella<br />
patria … Cantiamo da viandanti. Canta, ma cammina.<br />
Canta per alleviare le asprezze della marcia, ma cantando<br />
non indulgere alla pigrizia. Canta e cammina”.<br />
Infatti, accostandoci alla mensa eucaristica processionalmente<br />
e cantando, noi vogliamo esprimere e alimentare<br />
questo grande mistero, e l’Eucarestia non è forse il pegno più sicuro e<br />
il segno più esplicito dei nuovi cieli e della nuova terra? Di fatto, il canto<br />
di comunione è il più antico, cioè cronologicamente precede il canto<br />
d’ingresso e il canto d’offertorio. Già Cirillo Gerusalemme (+386) parla<br />
di questo canto: “Voi sentite il cantore che vi invita con una melodia divina<br />
alla comunione dei santi misteri: Gustate e vedete quanto è buono<br />
il Signore(Sal 33). Non affidate il giudizio al gusto del vostro palato, ma<br />
alla fede infallibile”.<br />
Da qui si capisce che il canto per accompagnare la comunione normalmente<br />
era un salmo cantato in modo responsoriale, con il popolo che ripete<br />
sempre lo stesso ritornello. È questo il modo più semplice e più efficace<br />
per rendere partecipe tutta l’assemblea. È anche il modo più pratico<br />
perché i fedeli che si accostano alla mensa eucaristica non possono tenere<br />
in mano libretti o fogli con le parole dei canti; è necessario conoscere<br />
a memoria ciò che si deve cantare!<br />
Infatti la partecipazione dell’assemblea a questo canto di comunione è<br />
fondamentale: “Mentre il sacerdote assume il sacramento si inizia il canto<br />
di comunione: con esso si esprime, mediante l’accordo delle voci, l’unione<br />
spirituale di coloro che si comunicano, si manifesta<br />
la gioia del cuore …..” (Ordinamento Generale del<br />
Messale Romano, 86). Quanto suggerito dal Messale,<br />
faceva parte della regola di Sant’Aureliano di Arles (+541)<br />
“tutti facciano la comunione cantando”.<br />
È esagerato, oggi, aiutare tutta l’assemblea a cantare<br />
mentre si svolge la processione di comunione?<br />
Naturalmente, bisogna sempre adattarsi alla situazione<br />
pratica e reale; infatti, il Messale, continua dicendo<br />
che il canto di comunione può essere eseguito dalla<br />
sola schola o dalla schola con l’assemblea o dal cantore<br />
insieme col popolo. Quindi non è escluso che la<br />
comunione sia accompagnata da un canto del coro: qualche<br />
volta è la soluzione migliore specialmente se, terminata la comunione<br />
è previsto che tutta l’assemblea canti “un salmo, un altro cantico<br />
di lode o un inno” (OGMR 88). E questo capita quando, specialmente<br />
nelle piccole assemblee, c’è sempre qualcuno che trascina gli altri e si<br />
fa fatica a portare a termine la frase della strofa di un canto perché arriva<br />
il momento che chi trascina sta facendo la comunione e a quel punto,<br />
all’improvviso, si smette di cantare. E non è neppure bello che intervenga<br />
il sacerdote per sostenere il canto con la sua voce, perché il sacerdote,<br />
in quel momento, presentando l’ostia consacrata ai fedeli, dice il<br />
corpo di Cristo e i fedeli rispondono Amen.<br />
È questa una delle più antiche professioni di fede, è una autentica professione<br />
di fede, è una presa di coscienza del significato della comunione<br />
che non si riduce (o non dovrebbe mai ridursi!!!) ad un semplice<br />
fatto devozionale e privato, personale, ma fa della comunione l’espressione<br />
più significativa della fede perché ricevendo il Corpo di Cristo noi<br />
formiamo il Corpo di Cristo che è la Chiesa.<br />
(continua)<br />
*Resp. Diocesano del Canto per la Liturgia<br />
segue da pag. 28<br />
il centro pastorale “Il Sicomoro” che grazie all’impegno<br />
e alla creatività di volontari si configura sempre<br />
più come un luogo di incontro, di scambio, di arricchimento,<br />
un luogo in cui ci si sente accolti, si sta bene<br />
insieme, si impara a conoscere il Signore non tanto<br />
attraverso lezioni ed omelie ma perché si viene a contatto<br />
con una comunità viva, operante, accogliente,<br />
che si confronta con i problemi quotidiani e che ad<br />
essi cerca risposte sagge e concrete, si fa esperienza<br />
diretta di cosa vuol dire essere famiglia e comunità<br />
che si riunisce attorno al Signore.
Giugno<br />
30 20<strong>13</strong><br />
L<br />
e vie per incontrare il Signore sono davvero<br />
infinite e a volte Lui si fa sentire proprio<br />
nei momenti più difficili della nostra vita.<br />
Il Signore spesso non ci fa abbandonare ciò che<br />
siamo o facciamo, ma proprio attraverso la nostra<br />
storia, fatta di fatiche e successi, ci trasforma,<br />
ci fa esprimere ed essere il meglio di noi stessi!<br />
Vi proponiamo in questo numero la storia di<br />
un gruppo musicale: i The Sun.<br />
La vocazione si intreccia con la passione della<br />
musica: l’incontro con Dio, vera Luce, illumina<br />
e trasforma la vita di 4 giovani ragazzi.<br />
Oggi questa band è sempre in viaggio, col cuore<br />
e con l’anima, per trasmettere l’amore di Dio,<br />
il Senso vero di ogni vita. Seguiamo l’intervista<br />
fatta a Francesco Lorenzi, cantante e autore dei<br />
testi delle canzoni e lasciamoci prendere dal ritmo<br />
giusto, dal suono dell’amore, quello che ci<br />
porta a Dio! (www.thesun.it o seguili su face book)<br />
I THE SUN: Spiriti del Sole<br />
Francesco, Riccardo, Matteo e Gianluca: 4<br />
ragazzi di Thiene, un unico gruppo rock dall’ interessante<br />
percorso personale e artistico: «Abbiamo<br />
iniziato nel ’97, rock, alternativi, in inglese. Ci sentivamo<br />
rockstar e vivevamo di eccessi. Ma dopo<br />
un tour di 300 date in 10 Paesi ci siamo accorti<br />
che quel tipo di vita era una prigione: i nostri rapporti<br />
erano distrutti da alcol e droga». Poi il cantante-autore<br />
Francesco Lorenzi aggiunge: «Una<br />
sera, durante quei momenti di crisi, mia madre<br />
mi ha proposto un incontro in parrocchia, lascio<br />
immaginare il mio commento. Però sono<br />
andato, e ho trovato lì quello di cui il mondo<br />
del rock si riempie la bocca: sincerità,<br />
entusiasmo, condivisione. Ho ricominciato<br />
a scrivere canzoni: ma in italiano,<br />
dentro una nuova scelta di vita».<br />
E Riccardo aggiunge: «Io ero divenuto<br />
addirittura un alcolista. Però vedevo lui<br />
felice e gli ho chiesto come faceva. Così<br />
una sera anch’io, anziché andare al bar,<br />
ho <strong>prova</strong>to: aveva ragione». Ovviamente<br />
così facendo i The Sun hanno perso contatti<br />
e contratti di dieci anni: «Ma si sono<br />
aperte altre porte, fino alla Sony che ha<br />
pubblicato Spiriti del sole nel 2010<br />
ed ora Luce. Sono tantissime le persone<br />
che si fanno domande sul Senso».<br />
Carlotta Ciarrapica, della nostra<br />
redazione, ha raggiunto telefonicamente<br />
Francesco:<br />
Francesco, chi sei e come ti descriveresti?<br />
Sono un’anima in viaggio,<br />
e sono un sognatore instancabile,<br />
però con i piedi ben piantati per terra<br />
e gli occhi verso il cielo.<br />
Cos’è per te vocazione? È innanzitutto<br />
trovare lo spartito che Dio ha<br />
scritto con noi prima che noi “venissimo<br />
qui”, trovarlo dentro di noi e iniziare a suonare<br />
quelle note! Perché veramente ognuno di noi<br />
ha dentro una vocazione che è stata messa lì come<br />
un miracolo, come la realizzazione del nostro cammino<br />
più intimo, e allo stesso tempo sociale, nel<br />
senso che ogni persona nel realizzare la propria<br />
vocazione poi compie un disegno che è il disegno<br />
di Dio.<br />
Il tuo rapporto con Gesù, cioè qualcosa di molto<br />
personale, in rapporto all’annuncio che<br />
fai tu e che fate come gruppo attraverso la musica,<br />
che è un annuncio pubblico… quindi, privato-intimo<br />
e pubblico-condiviso…<br />
Mi piace molto questa domanda: considera che<br />
l’intimità del rapporto con Gesù è veramente più<br />
che quotidiana, nel senso che in diversi momenti<br />
della giornata vivo il pensiero, il confronto, l’ascolto,<br />
mi metto di fronte al Signore. Ed è veramente<br />
il primo pensiero della giornata e l’ultimo…<br />
io mi ad-dormento chiacchierando con<br />
Lui. E nel tempo è diventato un rapporto più confidenziale,<br />
nel senso che all’inizio, come dire, ero<br />
un po’ intimorito perché è talmente grande<br />
Gesù!… Poi è diventato piano piano più confidenziale,<br />
e in questo mi ha aiutato molto l’adorazione eucaristica,<br />
che faccio da 5 anni ogni martedì notte.<br />
...di notte? Sì, la notte! E mi ha aiutato tantissimo,<br />
perché stare con il Signore, da solo, in silenzio,<br />
in una cappellina, è stato davvero un grande<br />
percorso. E quindi il rapporto più costante che<br />
c’è nella mia vita è proprio con Lui.<br />
È un confronto sui tanti dubbi, incertezze, è un<br />
continuo ri-mando a Lui: io ho una vita “pubblica”<br />
molto intensa e tante volte veramente mi chiedo<br />
se sto facendo, dicendo, agendo nel modo giusto,<br />
quindi l’unica certezza è che è necessario affidarsi<br />
a Lui per realizzare qualcosa di buono. Ed<br />
è inevitabile che poi, nel mio lavoro, io cerchi di<br />
portare questa salvezza che sento e che provo<br />
ogni giorno nella fede grazie a Gesù; e allo stesso<br />
tempo nel mio intimo vado al cospetto del Signore<br />
e gli dico: «Signore, ma lo sto facendo come vuoi<br />
tu?», perché alla fine è questa la grande domanda.<br />
Facciamo la sua volontà ed è sempre uno scontrarsi<br />
con i propri individualismi, egoismi e le proprie<br />
fragilità, difetti…<br />
È veramente un cammino meraviglioso, ed è una<br />
grandissima fortuna il fatto che io possa portare<br />
anche nel lavoro questo incontro con Gesù, perché<br />
approfondisce ancora di più il mio rapporto<br />
con Lui.<br />
E come gruppo? È una declinazione di quello<br />
che ho detto ora, nel senso che il percorso di ognuno<br />
di noi è stato ed è differente perché siamo persone<br />
molto diverse, però poi siamo accomunate<br />
dal fatto che camminiamo nella stessa direzione.<br />
Il confronto con Gesù è bellissimo quando avviene<br />
in gruppo, quando preghiamo insieme, quando<br />
ci affidiamo allo Spirito, sono i momenti di aggregazione<br />
più belli. Anche questa settimana siamo<br />
stati in tour, fuori casa parecchio e sono sempre<br />
belli i momenti in cui si prega insieme, in cui ognuno<br />
fa la sua condivisione e si crea quell’intimità<br />
che c’è solo nel Signore.<br />
Come cristiano, come vivi e come vivete il fatto<br />
di stare dentro un ambiente che vive altre<br />
logiche, chiede compromessi… Come riuscite<br />
a mantenere il valore e la fede che annunciate?<br />
Non c’è un manuale di istruzioni e devo<br />
dire che, in questo senso, sento la mancanza di<br />
riferimenti, anche storici, cioè di altri che hanno<br />
seguito questa strada. Nel nostro ambiente, in questo<br />
Paese siamo degli apri-pista spero per altri,<br />
però è profonda la distanza tra un mondo e un<br />
altro e noi siamo qui appunto per cercare di gettare<br />
un ponte, perché il mondo della musica e dell’intrattenimento<br />
dovrebbe avere più a che fare con<br />
l’animo umano; e in tante situazioni ci troviamo<br />
davvero a dover mettere insieme il diavolo e l’acqua<br />
santa!!<br />
E però è una bella esperienza e una sfida per noi:<br />
non ti so dire se riusciamo a farlo bene, però almeno<br />
tentiamo!<br />
Le opportunità e i limiti? L’opportunità è<br />
immensa ed è ciò che stiamo sperimentando in<br />
questi mesi: cioè da laici poter coniugare<br />
e avvicinare dei mondi che sono tendenzialmente<br />
lontani è stupendo, non c’è<br />
altro da dire! Perché quando vedi persone<br />
che fino a poco prima non si erano poste<br />
domande, non avevano fatto un cammino,<br />
e poi iniziano a farlo perché hanno intercettato<br />
una canzone, un testo o una semplice<br />
testimonianza è straordinario! O anche<br />
con l’esempio: cioè tante volte anche con<br />
persone dell’ambiente musicale (quando<br />
per esempio d’estate facciamo il festival<br />
delle radio dove ci sono artisti che sono<br />
maestri da classifica) e ci interfacciamo<br />
continua a pag. 31
Giugno<br />
20<strong>13</strong><br />
31<br />
Giovanni Marrazzo<br />
Si torna a casa dopo aver lasciato quella che ormai è l’altra<br />
nostra Casa, Pellegrini della Fede, nell’anno della Fede.<br />
I giorni di Lourdes sono trascorsi ma gli sguardi, i volti<br />
ed i sorrisi di coloro che hanno condiviso con noi questo affascinante<br />
ed intenso cammino, ti restano dentro. E ti restano dentro<br />
i momenti di preghiera, attraversati dal mistero del dolore,<br />
del disagio e della sofferenza ma sempre illuminati dalla Speranza,<br />
dalla Grazia e dalla Fede, di chi ha imparato o di chi sa di poter<br />
accettare sempre con profonda gratitudine, il grande dono della<br />
Vita, talvolta poco generosa da sembrare avara.<br />
In questo clima di toccante solidarietà e di fraternità autentica,<br />
si è svolto dal cinque all’undici di aprile il Pellegrinaggio a<br />
Lourdes, organizzato dalla UNITALSI Romana-Laziale, a cui<br />
ha partecipato anche la Sottosezione UNITALSI della nostra<br />
<strong>Diocesi</strong>. Insieme con il Presidente Vito Capozi, malati, pellegrini<br />
e volontari, si sono stretti in un reciproco abbraccio di fronte<br />
alla Grotta delle<br />
Apparizioni, pregando<br />
Maria in una<br />
sola Voce ma soprattutto<br />
in un unico e palpitante<br />
Cuore.<br />
Avvolti in queste<br />
intime e dolci emozioni<br />
di profonda<br />
Spiritualità, si ritorna<br />
a casa.<br />
In stazione le lacrime,<br />
le strette di<br />
mano e gli abbracci,<br />
sono veri e sinceri, sono gesti di affetto e di amore che da soli ed in<br />
silenzio ti fanno intendere senza ombra di dubbio, che il nostro Pellegrinaggio<br />
non termina qui, anzi è soltanto all’inizio.<br />
Il Viaggio continua, ogni giorno lungo le rotaie della Vita, diretti verso la<br />
nostra desiderata Destinazione, protetti da Maria, avvolti dallo Spirito Santo<br />
e guidati dalla Fede nel Padre e nel Cristo sofferente, che incontriamo ed<br />
incontreremo giorno dopo giorno, stazione dopo stazione.<br />
Questo è il nostro Pellegrinaggio quotidiano, riconoscere il Cristo sofferente<br />
in quelle persone che altro non chiedono che un sorriso, una mano<br />
tesa, un abbraccio, una sola parola e talvolta nemmeno quella, ma soltanto<br />
di essere ascoltate e considerate.<br />
Un immenso e sentito grazie a tutti coloro che con la loro presenza e con<br />
la loro preghiera, ci hanno aiutato a vivere con intensa gioia e spirito di<br />
servizio, questi indimenticabili giorni di Lourdes.<br />
segue da pag. 30<br />
anche con quel mondo, spesso i vari addetti ai<br />
lavori, le persone che lavorano dietro le quinte rimangono<br />
colpite da come ci vogliamo bene; e vengono<br />
poi a testimoniarci come questa cosa li colpisca<br />
e quanto sia rara nel mondo della musica,<br />
e quindi penso sia stupendo, una bella opportunità<br />
anche per noi.<br />
Dall’altra parte, il limite, me lo domando spesso…<br />
forse è che non siamo consacrati, e ad un certo<br />
punto un laico ha un limite; finché vivi nel mondo<br />
come professionista non puoi dimenticarti che<br />
ci sono delle regole e che comunque questo è il<br />
lavoro con cui noi dobbiamo vivere. E quindi giustamente<br />
ci sono dei confini… e ogni tanto mi stanno<br />
stretti.<br />
Lo chiami lavoro… ma è anche la tua vocazione?<br />
Sì! Io in questo momento mi sento pienamente<br />
realizzato, il che non vuol dire non avere<br />
dubbi, domande, anzi! Però mi sento pienamente<br />
realizzato perché è il mio lavoro, dove posso esprimere<br />
la mia capacità, e così veramente alimento<br />
e realizzo quella che è la mia vocazione. Chiamarlo<br />
lavoro è veramente riduttivo, io sogno un mondo<br />
in cui tutte le persone possano vivere questo, cioè<br />
lavorare facendo veramente ciò che sentono, ciò<br />
per cui sono chiamate ad esistere.<br />
Pensando al futuro… C’è un sacco di bene da<br />
fare, e quindi bisogna sorpassare i confini! Mi piacerebbe<br />
entrare in contatto con giovani che non<br />
sono solo italiani, palestinesi o israeliani, tornare<br />
a suonare anche all’estero; dopo un evento fatto<br />
a Roma è stato incredibile perché in un paio<br />
di giorni ci hanno scritto dal Cile, Perù, Messico,<br />
Uruguay; dal Porto-gallo; Spagna... A noi piacerebbe<br />
molto tornare ad avere un contatto anche<br />
con quelle realtà…<br />
Parli di “tornare” perché all’inizio della vostra<br />
carriera suonavate all’estero, vero?!<br />
Si moltissimo, …ecco, quando mi chiedono<br />
cosa mi manca della mia vita di prima, io rispondo<br />
sempre che mi manca suonare all’estero; sarà<br />
perché ho sempre viaggiato molto e l’incontro con<br />
la diversità, con la cultura differente mi ha sempre<br />
dato tantissimo…<br />
Sì, adesso questa esperienza la stiamo coltivando<br />
qui, ed è giusto perché questo ci permette di crescere;<br />
dall’altra parte però penso sia giusto che<br />
porti frutto, se Dio vuole, anche fuori dall’Italia!<br />
Come nascono le canzoni?<br />
Ogni volta che mi fanno questa domanda mi viene<br />
fuori una risata spontanea, è difficile rispondere.<br />
Sarà perché io posso parlare solo per me,<br />
per la mia esperienza. Ti dico che alle spalle, in<br />
particolare del disco LUCE, c’è una dose massiccia<br />
di preghiera, ma tanta tanta tanta. Dio solo<br />
sa quanto ho pregato, quanto ho pianto, quanto<br />
c’è stato dietro a tutto quello che è scritto in quel<br />
disco. Ogni canzone è qualcosa che nasce non<br />
so neanche io esattamente da dove. C’è un’esperienza,<br />
un’idea, un ricordo, un’immagine, una sensazione,<br />
un valore che assume già di per sé nel pensiero<br />
una connotazione musicale. Cioè, io già so<br />
che se penserò ad una determinata storia, quel<br />
tipo di storia mi evoca un certo tipo di armonia e<br />
di ritmica e quindi è come dire è già definito nel<br />
pensiero. Io poi semplicemente lo scrivo nella musica,<br />
nel testo: la musica è una cosa sola. Non avrei<br />
mai potuto scrivere Indelebile sopra la musica di<br />
Spiriti del Sole. È molto chiaro, crescono di pari<br />
passo musica e testo, e in questo senso mi accorgo<br />
che per me è naturalissimo.<br />
Diciamo che ogni testo ha il suo spartito, la<br />
sua “vocazione” di testo in quanto tale...<br />
…esatto, proprio questo!!!<br />
Cosa diresti ai giovani che leggeranno questa<br />
intervista??<br />
Chi cerca trova!!! Ma veramente!! E bisogna che<br />
lo sottolineiamo costantemente: non bisogna stancarsi<br />
di cercare!!!<br />
Prima di andare all’Assemblea Plenaria a Roma,<br />
alla LUMSA, avevamo lanciato un’iniziativa interessante:<br />
dal mio blog avevo fatto 3 domande ai<br />
lettori dove chiedevo di indicare qual è il loro rapporto<br />
con la Chiesa.<br />
Ed è emersa in modo costante la necessità di trovare<br />
delle risposte esaurienti alle loro domande:<br />
molti hanno detto che, dopo aver fatto determinate<br />
domande per esempio a dei preti senza aver<br />
trovato risposta, hanno smesso di farsi quelle domande,<br />
hanno cambiato strada. Ma c’è questa voglia<br />
di cercare e non è vero che i ragazzi non cercano,<br />
i ragazzi non cercano se non sono stimolati<br />
a cercare e se non trovano delle buone risposte.<br />
Per quanto riguarda la mia semplice esperienza,<br />
ho sperimentato la ricchezza delle persone che<br />
ho vicino e quanto è vero che quando uno cerca,<br />
trova. O viene trovato.<br />
(da SE VUOI 2/20<strong>13</strong>)
Giugno<br />
32 20<strong>13</strong><br />
P. Vincenzo Molinaro<br />
“Porta Fidei: Parrocchia e famiglia che iniziano alla fede”.<br />
Questo è il titolo del convegno che due uffici della CEI, quello catechistico<br />
e quello di pastorale della famiglia, organizzano per il<br />
prossimo mese di <strong>giugno</strong> (Assisi, 19-22 <strong>giugno</strong> 20<strong>13</strong>).<br />
E’ indubbiamente un invitante proposta. Sarebbe molto utile che dalle<br />
nostre parrocchie, oltre che dagli uffici diocesani, partecipassero tutti coloro<br />
che si dedicano alla iniziazione alla fede, tenendo presente che sarà<br />
La famiglia chiede il battesimo<br />
Mettiamoci di fronte alla famiglia di oggi che avendo dato la vita a un<br />
figlio si chiede quando e come darà il battesimo. La maggior parte coltiva<br />
gli stessi sentimenti che emergono alla Prima Comunione, ossia un<br />
desiderio di riconoscimento sociale, di essere considerati dai parenti buoni<br />
genitori, di formalizzare l’arrivo del figlio<br />
con una festa che significhi l’accoglienza<br />
del piccolo dentro la comunità familiare.<br />
Scomparsa ormai la credenza del<br />
battesimo-liberazione delle anime del<br />
Purgatorio, superata la paura della<br />
morte del bambino con le cure mediche<br />
più efficaci, viene programmato il battesimo<br />
in una data quando presumibilmente<br />
farà bel tempo, ci sarà una lunga<br />
giornata da stare con parenti e amici,<br />
si potrà sfoggiare un guardaroba adeguato.<br />
E’ raro che l’interesse dei genitori<br />
attraversi le nuvole delle apparenze<br />
e si addentri in quell’ambito misterioso<br />
che è il rapporto con un Dio Padre.<br />
Lascio da parte le problematiche moderne,<br />
quelle della convivenza e dei figli nati<br />
in essa, accolti con amore, senza che<br />
si avverta la necessità di un sacramento<br />
che produca calore umano e spirituale<br />
per la crescita del bambino.<br />
Qui spesso le incongruenze sono all’ordine<br />
del giorno. I genitori chiedono il battesimo per i figli senza lasciarsi<br />
coinvolgere dalla stessa fede che desiderano trasmettere al figlio. Oggi,<br />
poi, con la crisi economica che morde anche su sicure attività lavorative,<br />
la scusante della mancanza dei soldi per festeggiare il matrimonio,<br />
è ancora più frequente.<br />
Se questa è la condizione delle famiglie, domandiamoci quale è l’atteggiamento<br />
delle parrocchie nel momento in cui una coppia chiede il battesimo. L’approccio<br />
è certamente un passaggio delicato, tante coppie vengono in chiesa per<br />
la prima volta e magari si aspettano e si meritano una maggiore attenzione<br />
di quella che si può dare loro. E’ vero che ci sono casi lodevoli di<br />
Il prof. Alessandro Ricci dell'Università Salesiana<br />
messa a tema proprio la sensibilizzazione verso i genitori che chiedono<br />
il battesimo per i figli. Su questo aspetto, almeno per quanto concerne<br />
la pastorale familiare, in diocesi ancora non facciamo passi significativi.<br />
Come spesso accade, tutto è lasciato alla iniziativa meritevole<br />
dei singoli. Più in là non si va e nemmeno se ne parla. Ecco il perché<br />
di queste riflessioni, come sempre senza nessuna ambizione se non quella<br />
di stimolare la ricerca, o farsi domande ad alta voce che possano suscitare<br />
nuovi interessi.<br />
presenza del Gruppo famiglia che segue gli sposini nel corso degli anni,<br />
li accompagna nella dolce attesa e visita nelle loro case i nuovi nati. Quando<br />
diventerà prassi pastorale e non un impegno di alcune coppie?<br />
La parrocchia prepara la celebrazione<br />
La parrocchia in genere dedica alcuni minuti alla famiglia, chiede le informazioni<br />
rituali, fissa la data del sacramento e degli incontri di preparazione.<br />
Quasi sempre i coniugi aderiscono a questi preliminari. Unico intoppo,<br />
a volta grave, i nomi dei padrini, i quali secondo la media nazionale<br />
spesse volte sono separati divorziati e risposati al comune, oppure<br />
conviventi. Più raro oggi che vi siano implicazioni di tipo politico o ideologiche.<br />
Qui si richiede un discorso persuasivo e non frettoloso nel quale<br />
evidenziare le esigenze di un sacramento e un accompagnamento<br />
futuro che vada oltre l’amicizia e la vicinanza. Si tratta di trovare un amico<br />
che da padrino sia anche educatore alla fede.<br />
continua a pag. 33
Giugno<br />
20<strong>13</strong><br />
33<br />
Centro S. Maria dell’Acero<br />
– La festa del 1°<br />
maggio all’Acero è<br />
ormai per molte persone della<br />
nostra diocesi un appuntamento<br />
fisso. È l’occasione<br />
per trascorrere insieme una<br />
bella giornata e per incontrare<br />
nuovi amici; e anche quest’anno<br />
abbiamo vissuto davvero<br />
un bel momento di comunione<br />
e di fraternità! Un gruppo di<br />
amici e volontari ci ha aiutato<br />
a organizzare le diverse<br />
attività e alla preparazione degli<br />
ambienti.<br />
Nella prima parte della mattinata<br />
l’ACR ha curato l’animazione<br />
dei bambini e ragazzi; c’è chi ha pensato<br />
alla pesca, chi ha preparato i pasti per il pranzo,<br />
chi ha servito al bar, chi ha gestito il parcheggio<br />
e tutti insieme abbiamo curato l’accoglienza.<br />
Da due anni questa festa è dedicata alle famiglie,<br />
quindi nella tarda mattinata c’è stato un incontro<br />
dal titolo “La famiglia custode dell’esperienza<br />
della fede”, tenuto da una coppia di sposi che<br />
collabora nella pastorale famigliare di Roma. Nel<br />
pomeriggio: musica e balli; quindi il coro dei giovani,<br />
provenienti da diverse parrocchie della nostra<br />
diocesi, ci ha intrattenuto con un bel concerto e<br />
ha animato anche i canti della<br />
messa.<br />
Nella celebrazione eucaristica,<br />
presieduta dal nostro<br />
vescovo Vincenzo, c’è stata<br />
l’ammissione tra i candidati all’ordine<br />
del diaconato permanente<br />
di Gaetano Di Laura e Luciano<br />
Taddei.<br />
Al termine della festa c’è stata<br />
la consueta estrazione dei<br />
premi della lotteria.<br />
In estrema sintesi è questa<br />
la cronaca di una giornata “speciale”<br />
e sono tanti i motivi per<br />
ringraziare il Signore e tutti coloro<br />
che hanno reso possibile<br />
questa festa! È bello che sempre<br />
più persone prendano a cuore l’Acero e lo<br />
sentano “casa di tutti” e ci auguriamo che questo<br />
appuntamento annuale sia un momento in<br />
cui la comunità ecclesiale si ritrova per riscoprirsi<br />
“famiglia di famiglie”.<br />
Vi aspettiamo all’ “Acero in festa 2014”!<br />
segue da pag. 32<br />
E veniamo così alle catechesi. Al fervore degli inizi pian piano è subentrata<br />
una calma abitudine. Si era cominciato con la visita del sacerdote<br />
nelle famiglie, una serata passata nelle case, spesso con la cena<br />
consumata insieme. Poi anche la novità che poteva risultare di una potenza<br />
straordinaria, è caduta nella burocrazia. Questa la troviamo pronta<br />
dopo ogni tentativo serio a mandare all’aria anche le intuizioni più brillanti.<br />
Comunque se qualcuno potesse davvero dedicarci del tempo, magari<br />
preparare una persona ad hoc, potrebbe rivelarsi in senso positivo il<br />
rientro nelle famiglie.<br />
Oggi, penso che se il parroco proponesse di andare di persona a casa<br />
a fare la catechesi, non troverebbe molti ostacoli, adattandosi ovviamente<br />
agli orari dei genitori. Se si proponesse l’invio di una terza persona sarebbe<br />
più difficile accettarla, e quindi ci vorrebbe una riserva plausibile. Ma<br />
poi sono convinto che verrebbe accolta. Ecco dunque la proposta che<br />
si potrebbe fare in diocesi.<br />
Ogni parrocchia prepara due coppie per la catechesi battesimale. Ci vogliono<br />
persone disponibili, forse già in pensione, dato che è raro trovare lavoratori,<br />
o liberi professionisti che dispongano di tempo sufficiente per adeguarsi<br />
alle richieste della gente. Naturalmente tutto dipende dal numero<br />
degli abitanti e dei battesimi. Una media di 50 battesimi significherebbe<br />
un impegno settimanale. Non è poco, ma è gestibile.<br />
Se i catechisti sono credibili<br />
potrebbe essere<br />
un rilancio della fede<br />
di notevole portata e<br />
fatto senza grandi proclami. I temi delle catechesi non voglio trattarli qui,<br />
primo perché credo sia giusto attendere lo svolgimento del convegno di<br />
Assisi, e poi perché ognuno ha elaborato una sequenza che dovrebbe<br />
essere incisiva.<br />
Se no, bisogna farsi le domande opportune. Ma vogliamo porcele queste<br />
domande? Forse la capacità di verifica è un po’ spenta.<br />
Credo anche che le cose che i preti fanno siano davvero troppe per avere<br />
spazi per farne bene qualcuna. Ci vuole coraggio per lasciare morire<br />
le cose inutili o quelle fatte male. Anche riguardo alla celebrazione<br />
stessa del battesimo, preferisco non parlarne o magari tornarci dopo.<br />
Solo una osservazione sul divario di tempo dedicato a preparare un matrimonio<br />
e quello dedicato a un battesimo. E la solennità? E la comunità?<br />
Mi capitava, tempo fa, di avvertire il malumore delle donne che non potevano<br />
pregare il Rosario, prima della messa, perché c’era il battesimo.<br />
Naturale che non fossero minimamente interessate a questo sacramento.<br />
Esso, si pensa, riguarda solo gli invitati…<br />
Quando comincerà il rinnovamento?
Giugno<br />
34 20<strong>13</strong><br />
Èproprio un’avventura quella di Nuovi Orizzonti!<br />
La Comunità infatti compie 20 anni di vita<br />
e si sta espandendo con una prepotenza<br />
che ha il sapore tipico dei disegni di<br />
Dio. Quale il suo inizio? Un semplice<br />
SÌ a Dio di una ragazza, Chiara<br />
Amirante. Un SÌ che ha messo in moto<br />
un’avventura straordinaria. Il carisma<br />
di fondazione: portare la gioia del<br />
Risorto negli inferi dell’umanità. Lei<br />
stessa si racconta…Ho sempre cercato<br />
qualcosa capace di dare un senso<br />
grande alla mia vita. Mi dicevo: “Ho<br />
una sola vita. Voglio spenderla per qualcosa<br />
di grande” e cercavo la gioia, la<br />
pace, la verità, la libertà.<br />
Una frase del Vangelo mi ha raggiunto<br />
proprio come una folgorazione:<br />
“Rimanete nel mio amore.<br />
Se osserverete i miei comandamenti<br />
rimarrete nel mio amore (…). Vi dico<br />
queste cose perché la mia gioia sia<br />
in voi e la vostra gioia sia piena. Amatevi<br />
come io vi ho amato. Nessuno ha un amore più<br />
grande di questo: dare la vita per i propri amici”.<br />
Ecco! E meditando questa frase mi sono detta:<br />
“Accipicchia! Il Signore della creazione è venuto<br />
ad abitare in mezzo a noi per darci il segreto<br />
della pienezza della gioia”. Ed è vero! Vivendo<br />
questa parola ho iniziato a sperimentare una gioia<br />
nuova, una gioia piena. E mi sono resa conto<br />
che questa gioia resisteva anche alle prove più<br />
terribili della vita.<br />
In particolare, in seguito ad un esperienza di malattia<br />
molto dura, molto dolorosa, ho sentito proprio<br />
che questa gioia continuava a restare nel<br />
mio cuore nonostante la terribile sofferenza ed<br />
è stato proprio lì che ho sentito questo desiderio:<br />
“Ma io voglio condividere questa scoperta<br />
con coloro che sono più disperati!”.<br />
Ed è nata questa idea un po’ matta di andare<br />
in strada di notte a cercare quei giovani che abitano<br />
la strada: il popolo della notte. Dinanzi a<br />
questo grido, dinanzi a questo popolo della notte<br />
mi sono chiesta che cosa potessi fare io nel<br />
mio piccolo. Ogni giorno cercavo, così, in punta<br />
di piedi, di entrare nelle storie di questi giovani<br />
e tanti di loro mi chiedevano, un po’ sorpresi<br />
dalla presenza di una ragazza giovane in<br />
luoghi così pericolosi, mi chiedevano: “Ma a te<br />
chi te lo fa fare di essere qui a rischiare la tua<br />
vita per noi che neanche ci conosci?” e quando<br />
parlavo un po’ di come questa scoperta dell’amore<br />
di Dio aveva colorato di cielo la mia vita,<br />
di come in Gesù avevo trovato la Via per la pienezza<br />
della gioia, tanti mi dicevano:<br />
“Ma anche noi vogliamo incontrare questo Gesù<br />
di cui tu ci parli. Nessuno mai ci aveva detto che<br />
Lui è venuto a darci il segreto per la pienezza<br />
della gioia”. E così è nata l’idea di aprire una<br />
comunità dove appunto fare un percorso di guarigione<br />
del cuore, di conoscenza di sè basato<br />
sul Vangelo. Avevo sperimentato che la Parola<br />
di Dio vissuta ci dischiude nuovi e meravigliosi<br />
orizzonti. E così abbiamo cercato questa casa<br />
dove iniziare un po’ questa avventura; nel ’94<br />
è nata la prima comunità di accoglienza Nuovi<br />
Orizzonti a Roma e devo dire che veramente<br />
la risposta di tutti i giovani accolti è stata davvero<br />
sorprendente.<br />
Ho visto migliaia di giovani passare dalla disperazione<br />
a questa gioia di vivere che fiorisce nel<br />
momento che apriamo il cuore all’amore di Dio.<br />
E proprio loro stessi, che prima percorrevano<br />
la strada di notte, imprigionati nella tristezza, nella<br />
solitudine, nella disperazione, hanno sentito<br />
il desiderio di tornare in quelle stesse strade per<br />
testimoniare questa gioia: la gioia della resurrezione,<br />
per testimoniare il passaggio dalla morte<br />
alla vita grazie all’amore di Dio.<br />
Ecco, in questi anni abbiamo così visto il fiorire,<br />
il moltiplicarsi di tanti centri, di tante iniziative,<br />
proprio per cantare al mondo questa gioia<br />
della resurrezione. Ma per quanto si sono moltiplicati<br />
i centri abbiamo visto che non sono mai<br />
sufficienti e così è nata un’altra idea: l’idea di<br />
Cittadella Cielo.<br />
Nelle Cittadelle Cielo appunto si vuole imparare<br />
a vivere la legge del Cielo, l’amore che Gesù<br />
è venuto a insegnarci. Vogliono essere dei piccoli<br />
villaggi di accoglienza e di formazione per<br />
tutti quei giovani che vogliono impegnarsi nella<br />
prevenzione, nell’accoglienza, nel disagio.<br />
Alcuni dati della Comunità<br />
Nuovi Orizzonti<br />
A. CENTRI DI<br />
ACCOGLIENZA,<br />
FORMAZIONE,<br />
ORIENTAMENTO = 185<br />
35 - Centri di Accoglienza residenziale<br />
per persone in<br />
situazioni di grave disagio<br />
53 - Centri di formazione al<br />
volontariato internazionale<br />
28 - Centri di ascolto e telefoni<br />
in aiuto, grazie ai quali<br />
sono sostenute annualmente<br />
più di 100.000 persone<br />
69 - Famiglie aperte all’accoglienza.<br />
B. EQUIPE DI<br />
SERVIZIO = 412<br />
1. Prevenzione e Sensibilizzazione:<br />
sono circa due milioni le persone che si raggiungono<br />
annualmente nei luoghi di aggregazione<br />
giovanile: scuole, strade, piazze, spiagge,<br />
attraverso spettacoli, animazione, convegni,<br />
tavole rotonde, meeting. Quattro o cinque volte<br />
l’anno si organizzano le missioni di strada e<br />
tantissime altre micro-missioni. Numerosi Centri<br />
di formazione alla nuova evangelizzazione sono<br />
operativi in Italia e all’estero.<br />
2. Comunicazione e Mass-Media:<br />
è sempre più frequente e intensa la collaborazione<br />
con i mezzi di comunicazione di massa:<br />
format televisivi interamente scritti e realizzati<br />
da Nuovi Orizzonti, partecipazioni a trasmissioni<br />
televisive e radiofoniche nazionali e locali (più<br />
di 1200 le trasmissioni televisive realizzate, di<br />
cui 402 tra Rai e Mediaset, e circa 1400 alla radio).<br />
Un centro audio-visivo coordina le diverse attività<br />
di produzione, service e nel campo dei newmedia<br />
(il sito nuoviorizzonti.org, il social network<br />
e piattaforma multi-blog cavalieridellaluce.net con<br />
33 blog, il sito cittadellacielo.com, il sito orizcontinua<br />
nella pag. accanto
Giugno<br />
20<strong>13</strong><br />
35<br />
Nella cornice della Festa diocesana<br />
della Famiglia (1<br />
Maggio c.a.) si sono vissuti<br />
molti momenti significativi e formativi,<br />
di incontro e di dialogo ma il<br />
momento che maggiormente è stato<br />
significativo come evento di grazia<br />
per la nostra Chiesa diocesana<br />
è stato il poter celebrare l’Eucarestia,<br />
nella quale è stato inserito il rito di<br />
Ammissione all’ordine sacro del<br />
Diaconato dei nostri fratelli Gaetano<br />
Di Laura e Luciano Taddei che vivono<br />
rispettivamente uno nella città di<br />
Colleferro e l’altro nella città di<br />
<strong>Velletri</strong>.<br />
Il momento ha visto la partecipazione<br />
del Vescovo Vincenzo che ha presieduto<br />
la celebrazione, ma anche di<br />
diversi sacerdoti e del collegio dei diaconi<br />
oltre che alle loro famiglie e a<br />
tutti i convenuti per la festa diocesana<br />
della famiglia.<br />
L’ammissione agli ordini sacri è il primo<br />
passo verso una scelta definitiva<br />
che si attuerà mediante l’imposizione<br />
delle mani e la preghiera consacratoria<br />
del Vescovo che al termine<br />
del loro cammino di discernimento<br />
ordinerà diaconi permanente di<br />
Gaetano e Luciano.<br />
Questa loro risposta alla chiamata del<br />
Signore è il primo Sì ad una consacrazione<br />
totale, un prendere con sempre<br />
maggiore impegno la formazione<br />
spirituale, umana, culturale e pastorale<br />
che deve essere essenziale per<br />
un diacono.<br />
Questi nostri due fratelli iniziano una<br />
fase più impegnativa di questo cammino<br />
che ha reso pubblico il loro impegno<br />
di formazione per l’ordinazione<br />
diaconale e il reciproco impegno della<br />
Chiesa diocesana di <strong>Velletri</strong>-<strong>Segni</strong><br />
che nel medesimo momento attraverso<br />
il suo pastore, li ha scelti come<br />
candidati per questo servizio, un domani,<br />
della diaconia all’altare del<br />
Signore.<br />
Lo sguardo è rivolto verso il Signore<br />
che ammaestra, pasce e santifica<br />
il suo popolo. Questo percorso sarà<br />
appunto sancito dal conferimento dei<br />
ministeri di Lettorato e Accolitato. Poi<br />
nell’ordinazione diaconale.<br />
n.d.r.<br />
segue da pag. 34<br />
zontidiluce.com).<br />
La pagina pubblica di Chiara Amirante in facebook<br />
con l’iniziativa “Parole di Luce” ha raggiunto<br />
più di un milione di contatti a settimana.<br />
Altre pagine pubbliche sono in continua espansione<br />
sia in facebook sia in twitter.<br />
3. Spettacolo e Animazione<br />
numerosissimi eventi di animazione nelle scuole,<br />
nelle piazze, concerti di prevenzione e sensibilizzazione,<br />
creazione di una folta rete di artisti,<br />
musicisti, collaboratori impegnati a promuovere<br />
l’evangelizzazione attraverso talenti artistici. Si<br />
organizzano work shop di formazione<br />
al teatro, animazione,<br />
dizione, canto e musica.<br />
Continua è la produzione di CD<br />
musicali grazie ad uno Studio di<br />
registrazione attivo nel cuore di<br />
Roma.<br />
4. Formazione, Promozione della<br />
Cultura, Editoria:<br />
incontri, convegni, pacchetti formativi<br />
rivolti soprattutto ai giovani<br />
che si preparano al volontariato,<br />
agli operatori sociali, agli adolescenti<br />
e agli adulti. Sono già<br />
stati pubblicati un numero considerevole<br />
di libri. È stata fondata<br />
la casa editrice dell’Associazione,<br />
Orizzonti di Luce, che vuole essere un’interlocutrice<br />
attiva nel lanciare messaggi positivi al<br />
mondo di oggi.<br />
È stata inoltre realizzata la rivista Orizzonti News.<br />
5. Servizi sociali e Cooperazione internazionale:<br />
sviluppo della cultura della solidarietà; attività<br />
di segretariato sociale; promozione del volontariato<br />
nei luoghi di maggior marginalità sociale<br />
(carceri, luoghi di povertà e degrado, ospedali).<br />
Realizzazione di progetti in Italia e nei Paesi<br />
in via di sviluppo.<br />
6. Economia e Lavoro:<br />
promozione e valorizzazione della dimensione<br />
formativa del lavoro; pianificazione di attività lavorative<br />
che liberino creatività personali; gestione<br />
di centri di reinserimento lavorativo e cooperative<br />
sociali.<br />
7. Espressioni artistiche:<br />
espressione e valorizzazione dell’arte attraverso<br />
creazioni artistiche quali pitture, icone, sculture,<br />
artigianato, design.<br />
8. Spiritualità e preghiera:sono oltre 600attualmente<br />
i Cenacoli di preghiera che sostengono<br />
le iniziative dell’Associazione e numerosi i gruppi<br />
di formazione alla spiritualità.<br />
C. CITTADELLE CIELO<br />
NEL MONDO<br />
Sono 5 le Cittadelle di accoglienza<br />
e formazione in via di realizzazione<br />
nel mondo: 2 in Brasile,<br />
1 in Bosnia-Erzegovina e 2 in<br />
Italia. La comunità Nuovi Orizzonti<br />
può contare sulla collaborazione<br />
di più di 30.000 persone e<br />
su migliaia di simpatizzanti in Italia<br />
e all’estero.<br />
I Cavalieri della Luce, che prendono<br />
l’impegno di testimoniare<br />
la Gioia di Cristo Risorto e di portare<br />
la rivoluzione del Vangelo<br />
nel mondo, sono più di 250.000.
Giugno<br />
36 20<strong>13</strong><br />
Antonio Venditti<br />
Non è facile rispondere a tale<br />
domanda, come a tutte quelle che<br />
si pone il nostro Paese, sfiduciato<br />
e deluso, nelle morse ancora di un’impressionante<br />
crisi economica, che qualcuno<br />
definisce, non solo più grave di tutte quelle<br />
precedenti, ma addirittura della grande crisi<br />
mondiale del 1929. Il problema della scuola<br />
è sociale e politico, nel senso che non si<br />
può prescindere dai responsabili delle scelte<br />
sociali e politiche, cioè fatte da coloro che<br />
guidano le sorti del nostro Paese.<br />
Il rapporto con il Governo e con il Ministro<br />
in carica dell’istruzione è quindi fondamentale<br />
ed imprescindibile, ogni volta che si parla<br />
della grande realtà della formazione, la quale<br />
coinvolge, sotto vari aspetti, tutti i cittadini,<br />
nel presente e soprattutto per il futuro.<br />
A scanso di equivoci, dopo aver tanto scritto<br />
sulla Riforma, ora non si può né si vuole<br />
certo negare che c’è stata, ridando prospettive<br />
al rinnovamento ed al buon funzionamento<br />
della scuola e dell’università. Con<br />
eguale sincerità si deve richiamare la necessità<br />
che essa venga davvero applicata, con<br />
gli indispensabili ed efficaci provvedimenti attuativi.<br />
Su questo punto gli ultimi Ministri, ad onor<br />
del vero, non sono stati convincenti, perché,<br />
con l’alibi della crisi e della mancanza di risorse<br />
finanziarie, si sono chiusi in un inquietante<br />
immobilismo e, quando hanno operato, hanno<br />
anche contraddetto le esigenze riformatrici,<br />
pure conclamate.<br />
Il Governo dei Professori, che aveva creato<br />
aspettative, non solo di risanamento generale<br />
della disastrata economia del Paese, ma<br />
anche di conseguente riequilibrio e di sviluppo<br />
di tutti i settori vitali, di cui la scuola non è<br />
certo uno dei secondari, a causa della sua<br />
“strana maggioranza”, per le lotte ed i veti<br />
incrociati delle forze politiche che malvolentieri<br />
ne erano “sostenitrici”, ha ancor più appesantito<br />
la difficile situazione.<br />
Ora, dopo la travagliata vicenda dell’elezione<br />
del Capo dello Stato, fortunatamente<br />
conclusa con la plebiscitaria conferma – per<br />
la prima volta nella storia repubblicana – del<br />
Presidente Giorgio Napolitano, che dovrebbe<br />
permettere la fine dell’instabilità politica<br />
e l’ormai improcrastinabile riforma condivisa<br />
delle Istituzioni, si può sperare in una nuova<br />
Repubblica (la terza), la quale abbia al<br />
centro dell’attenzione la questione giovanile<br />
che, nella scuola riformata, trova la sua<br />
piattaforma di rinnovamento e di sviluppo, per<br />
quanto concerne l’efficace preparazione, mirata<br />
all’inserimento attivo nella nuova società,<br />
fondata sui principi della giustizia e dell’equità,<br />
che dia lavoro e sostegno a tutti, senza egoismi<br />
e favoritismi.<br />
E’ questo lo “scopo” dell’Esecutivo che, dopo<br />
due mesi dall’esito non risolutivo delle elezioni<br />
anticipate di febbraio, per iniziativa del<br />
Presidente, si è potuto formare, al di là delle<br />
contrapposizioni delle componenti politiche,<br />
le quali, per la maggior parte hanno aderito<br />
finalmente – e speriamo sinceramente<br />
– al forte “richiamo” alla responsabilità, per<br />
porre fine ad un inquietante periodo di incertezze,<br />
carico di pericoli per la stessa tenuta<br />
della democrazia nel nostro Paese.<br />
Il “Governo delle larghe intese”, definito dal<br />
Presidente del Consiglio Enrico Letta<br />
“Governo di servizio”, si presenta fortemente<br />
rinnovato nella struttura, con Ministri per<br />
la maggior parte “giovani” e qualificati come<br />
lui, e con tanti buoni propositi di ardua attuazione:<br />
ciò è, comunque, di buon auspicio per<br />
l’integrale moralizzazione della politica, la<br />
riforma indifferibile delle Istituzioni e per l’assunzione<br />
tempestiva di alcuni provvedimenti<br />
indispensabili a tamponare una situazione<br />
economica gravissima, che colpisce soprattutto<br />
i giovani senza lavoro, insieme a tanti<br />
capifamiglia, ridotti alla “povertà”, come gli<br />
anziani e le schiere di altre categorie deboli.<br />
E per la scuola, in tale terribile situazione,<br />
che cosa si potrà fare?<br />
Che senso ha parlare ancora di riforma, quando<br />
sono venute a mancare, in parte notevole,<br />
continua a pag.37
Giugno<br />
20<strong>13</strong><br />
37<br />
Antonio Giglio<br />
Il 1° maggio 20<strong>13</strong>, per me è una data particolarmente importante,<br />
in quanto il 1° maggio del 1988 venivo ordinato nella<br />
Cattedrale di Albano dal Vescovo Mons. Dante Bernini “Diacono<br />
Permanente“. Nozze d’argento con il mio servizio diaconale, che<br />
ha avuto molteplici espressioni in alcune parrocchie di Roma e di<br />
Tivoli, dopo un triennio di servizio liturgico in Cattedrale di Albano,<br />
quale catechista nei corsi di preparazione dei fidanzati al matrimonio,<br />
quale membro del Consiglio di Amministrazione dell’Istituto per il<br />
Sostentamento del Clero della <strong>Diocesi</strong> di Albano, un triennio di attività<br />
di catechesi nella <strong>Diocesi</strong> di Frascati ed infine il servizio quale<br />
catechista con l’Associazione “Volare“ nella Casa Circondariale<br />
di <strong>Velletri</strong>, tuttora in corso.<br />
Contemporaneamente sono ancora impegnato da circa dieci anni<br />
con un piccolo gruppo nella preghiera e studio settimanale della<br />
liturgia domenicale. Mi piace ricordare che Papa Francesco, nei<br />
primi giorni del suo Pontificato, ha pronunciato frasi “veramente rivoluzionarie”,<br />
affermando che il vero potere è il servizio, che non bisogna<br />
avere paura della tenerezza, che bisogna accogliere con affetto<br />
l’intera umanità e specialmente i più deboli, che è importante<br />
lavare i piedi ai ragazzi nelle carceri, ai malati di Aids, agli ex tossicodipendenti.<br />
Se la missione di Papa Francesco è enorme e tutta in salita, per<br />
far tornare la gente a credere; se risponde al vero l’affermazione<br />
di Jacques Sutter del Centro nazionale di ricerche sociali di Parigi<br />
che “ siamo alla deriva delle religioni ed anche chi non nega il cristianesimo<br />
lo accetta come un’eredità senza il testamento“; se è<br />
fondata l’inchiesta del sociologo Marco Marzano secondo cui “i giovani<br />
rinunciano volentieri a giudicarsi a vicenda e che invocano piuttosto<br />
la tolleranza ed esigono il rispetto delle proprie idee e di quelle<br />
altrui e che fanno fatica ad assegnare a qualunque sistema di<br />
norme un primato definitivo“, per me è veramente importante continuare<br />
la mia attività di servizio, specialmente in carcere, facendo<br />
ogni sforzo per fare in modo che i detenuti non si sentano senza<br />
futuro, considerazione e giusto rispetto.<br />
Venticinque anni di diaconato permanente non sono certo pochi,<br />
ma forse nemmeno tanti; non so quale sarà la mia futura possibilità<br />
di incontri e di servizio; sono comunque convinto che con il sostegno<br />
di Maria, Auxilium Christianorum e nello spirito salesiano (sono<br />
cooperatore da oltre trentacinque anni) vorrò perseverare, con umiltà<br />
e fede, a servire coloro che il buon Dio si degnerà di porre sulla<br />
mia strada.<br />
segue da pag. 36<br />
le risorse per la stessa sopravvivenza?<br />
Il nuovo Ministro del M.I.U.R., Maria Chiara<br />
Carrozza, se vuole dar senso alla sua funzione,<br />
dovrà riaprire una prospettiva di speranza.<br />
Non c’è dubbio che è una donna competente,<br />
con un curriculum notevole, sia dal<br />
punto di vista scientifico (per importanti studi<br />
e realizzazioni di robotica) sia come esperta<br />
della gestione, in qualità di Rettore della<br />
prestigiosa Scuola Superiore Sant’Anna di<br />
Pisa.<br />
Dovrà ora dirigere un Ministero che in Italia<br />
è stato sempre “difficile” e lo è ancor più ora,<br />
in una fase di grandi cambiamenti, che si dovranno<br />
concretizzare nella Scuola con la piena<br />
e coerente applicazione della Riforma, avente<br />
senso solo se creerà per le nuove generazioni<br />
prospettive concrete di inserimento<br />
attivo nella vita produttiva.<br />
E ciò in un momento in cui il lavoro diminuisce<br />
per tutti ma soprattutto per i giovani, sfiduciati<br />
e delusi, che, al termine della formazione<br />
scolastica ed anche universitaria, non trovano<br />
occupazioni in Italia e sempre più – anche<br />
i più dotati e preparati – pensano di lasciare<br />
il nostro Paese, per andare a cercare “fortuna”<br />
all’estero, privando l’Italia di preziose<br />
risorse. Cosa potrà fare il nuovo Ministro, per<br />
porre un freno a tale deprimente situazione<br />
e preparare il rilancio?<br />
Innanzitutto dovrà restituire fiducia agli operatori<br />
scolastici, soprattutto a quelli che vivono<br />
da troppo tempo nella precarietà ed hanno<br />
diritto ad una sistemazione stabile, sia nell’ambito<br />
dell’istruzione primaria e secondaria,<br />
sia nell’ambito dell’università, dove la ricerca<br />
merita di essere potenziata e valorizzata.<br />
Senza queste indispensabili misure, la<br />
Riforma è destinata a restare inefficace, cioè<br />
incapace di incidere in profondità.<br />
Le indispensabili risorse finanziarie potranno<br />
essere reperite, non soltanto dall’ulteriore<br />
eliminazione di irrazionalità e disfunzioni<br />
interne, ma soprattutto dalla generale riorganizzazione<br />
della Pubblica Amministrazione,<br />
che nel suo insieme è pletorica ed inefficiente,<br />
e non immune da forme degenerative gravi<br />
e dispendiose, eliminando le quali, si troverebbero<br />
risorse anche per dare lavoro a diplomati<br />
e laureati. In tal modo, visibilmente e<br />
concretamente, verrebbe affermato il primato<br />
della formazione, sicura garanzia di un avvenire<br />
migliore per le giovani generazioni.
Giugno<br />
38 20<strong>13</strong><br />
Volontari del museo<br />
La notte del 18 Maggio, dalle ore 21,<br />
presso il Museo Diocesano di <strong>Velletri</strong>,<br />
si è svolto un incontro pubblico sul<br />
tema del Francescanesimo e della sua evoluzione<br />
nei primi secoli del Medioevo, tenuto<br />
da Fabrizio Conti, giovane studioso di<br />
Genzano, organizzato e curato dalle<br />
dott.sse Sara Bruno e Mihaela Lupu.<br />
Numerosi gli spunti emersi e dibattuti nel<br />
corso della conferenza.<br />
L’esperienza di Francesco d’Assisi (+ 1226) rappresenta<br />
certamente quanto di più esemplificativo<br />
e peculiare si possa immaginare in termini di testimonianza<br />
dei valori del messaggio cristiano.<br />
L’ immagine di Francesco come alter Christus<br />
- “altro Cristo” - si è espansa a tal punto da diventare<br />
un punto fermo nella considerazione<br />
popolare così come in tanta parte della storiografia<br />
francescana.<br />
Dopo la pubblicazione nel 1893 della prima opera<br />
sulla vita di Francesco d’Assisi da parte di<br />
Paul Sabatier, iniziatore della moderna storiografia<br />
francescana, la cosiddetta “Questione francescana”<br />
appare ancora di estrema attualità.<br />
La ricostruzione dell’immagine storica del<br />
Poverello di Assisi, al di là di ogni elaborazione<br />
agiografica o mitografica, e rintracciabile negli<br />
scritti stessi del Santo, è il fulcro della “questione”.<br />
L’incontro tenuto al Museo Diocesano ha sottolineato<br />
l’importanza di considerare il contesto<br />
“politico” della creazione dell’immagine odierna<br />
del Santo di Assisi, originata in particolar modo<br />
dalla Legenda maior di Bonaventura da<br />
Bagnorea, commissionata dall’Ordine stesso e<br />
ap<strong>prova</strong>ta nel 1263 come biografia ufficiale di<br />
Francesco, a scapito delle precedenti legendae<br />
e vitae. La conferenza ha quindi trattato dell’immagine<br />
di Francesco nei suoi eredi: nelle caratteristiche<br />
e nei tratti di quell’ordine francescano nato parzialmente<br />
al di fuori delle stesse intenzioni del<br />
Santo, nel momento in cui il gruppo dei pochi<br />
intimi adepti della iniziale fraternitas si trasforma<br />
via via nella religio, nell’ordine religioso, appunto,<br />
che diventerà nel corso di poco tempo, nonostante<br />
tutto, forte colonna portante della<br />
Chiesa, con i suoi teologi, i suoi predicatori, le<br />
scuole e le università.<br />
Le molteplici vicissitudini dell’Ordine, prima di<br />
tutte quelle degli “Spirituali” nella disputa sulla<br />
povertà, e l’emergere poi all’interno dell’ordine<br />
stesso di un movimento dell’Osservanza che produrrà<br />
alcuni tra i più famosi predicatori italiani<br />
di tutti i tempi, come Bernardino da Siena, Giacomo<br />
della Marca o Giovanni da Capestrano, impegnati<br />
su molteplici versanti - dalla lotta al lusso,<br />
a quella all’usura con la fondazione dei primi<br />
Monti bancari, a quella all’eresia, e ai Turchi<br />
penetrati in Europa - consentono allora di valutare<br />
la figura di Francesco e i temi da lui trattati<br />
alla luce di sviluppi successivi e necessari<br />
al mantenimento stesso dell’esperienza francescana.<br />
Il primo e basilare passo in tal senso è senza<br />
dubbio rappresentato da quello che lo storico<br />
Grado Giovanni Merlo ha definito come una evoluzione<br />
del movimento<br />
francescano “dal<br />
deserto alla folla”: il<br />
momento in cui l’esperienza<br />
eccezionale<br />
e forse non ripetibile del<br />
Santo di Assisi - assieme<br />
alla primitiva comunità<br />
eremitica dei primi<br />
anni - diventa in poco<br />
tempo il fenomeno<br />
urbano, sociale, artistico<br />
che tutti conosciamo,<br />
ormai patrimonio fondamentale<br />
della nostra<br />
identità italiana ed<br />
europea.<br />
Fabrizio Conti<br />
(<strong>Velletri</strong>, 1976), ha ottenuto il PhD in Medieval<br />
Studies presso la Central European University<br />
di Budapest nel 2011, discutendo una tesi sull’originale<br />
approccio dei predicatori e confessori<br />
francescani osservanti milanesi di fine ‘400 in<br />
tema di superstizione e stregoneria. Fabrizio è<br />
membro della Società Storica Lombarda, parte<br />
del sistema delle Deputazioni di Storia Patria;<br />
collabora con il Museo di <strong>Velletri</strong> a diversi progetti,<br />
studi e ricerche.<br />
A partire dalle ore 20, il museo ha riaperto le<br />
porte al pubblico in occasione della Festa dei<br />
Musei. I volontari in servizio, Michela Giansanti<br />
e Simone Valeriani (nelle foto sotto), sono stati<br />
a disposizione dei numerosi visitatori - delle<br />
famiglie veliterne! , accompagnando grandi e piccoli<br />
per tutta la serata e raccontando la storia<br />
della collezione diocesana.
Giugno<br />
20<strong>13</strong><br />
39<br />
1° CORSO DI ICONOGRAFIA:<br />
il Volto di Cristo<br />
Si è conclusa con la benedizione delle icone durante<br />
la santa messa nella cattedrale San Clemente,il primo<br />
corso di iconografia del 20<strong>13</strong>, un cammino di due<br />
mesi per gli allievi guidati dal maestro d’arte Fabio Pontecorvi.<br />
Otto incontri dove i corsisti hanno conosciuto ed imparato con<br />
entusiasmo la tecnica della tempera all’uovo e dell’applicazione<br />
della foglia in oro, una tecnica antichissima utilizzata<br />
dagli antichi maestri iconografi.<br />
Lo scopo del corso è stato quello di dipingere su una tavola<br />
in legno ingessata (Levkas) portando a termine un icona del<br />
volto di Cristo. Importante è stato anche la preparazione alla<br />
preghiera che durante le lezioni hanno accompagnato il lavoro<br />
degli allievi. L’icona possiamo definirla una finestra verso<br />
il divino, uno strumento che aiuta a contemplare il mistero di Dio e la<br />
vita dei santi.<br />
Ogni tappa ha visto la curiosità degli allievi che con capacità artistiche<br />
hanno condiviso il loro lavoro in una ambiente favorevole come quello<br />
del laboratorio del museo diocesano. Il lavoro si è svolto partendo<br />
dal disegno per arrivare alla preparazione dei colori attraverso i pigmenti<br />
colorati, con terre e ossidi e minerali.<br />
“Importante nell’iconografia sacra è il colore che non può essere considerato<br />
solo un semplice mezzo di decorazione, ma fa parte di un linguaggio<br />
che tende ad esprimere il mondo trascendentale,verso l’alto.<br />
Come per i simboli il colore è legato ad un significato” www.artesacraveliter.it<br />
La preghiera quindi accompagnata alla tecnica ha dato quel valore spirituale<br />
ad ogni tavola(Icona) che sarà uno strumento di preghiera per<br />
gli allievi che hanno partecipato al corso.<br />
Segue la preghiera dell’iconografo:<br />
O Divino Maestro,<br />
fervido artefice di tutto il creato,<br />
illumina lo sguardo del Tuo servitore,<br />
custodisci il suo cuore,<br />
reggi e governa la sua mano,<br />
affinché degnamente e con perfezione<br />
possa presentare<br />
la Tua immagine per la gloria, la gioia e la bellezza<br />
della Tua Santa Chiesa.<br />
Artemisia Gentileschi,<br />
Giuditta che decapita Oloferne,<br />
1620 circa, Galleria degli Uffizi di Firenze.<br />
don Marco Nemesi*<br />
L’emergere in campo artistico delle donne<br />
coincide con la nozione moderna di ”artista”,<br />
che vede il concetto intellettuale del<br />
“fare arte” in opposizione alla manualità artigianale.<br />
Eppure, oggi, si è spesso sorpresi all’idea che<br />
nel 1600 la pittura fosse praticata anche dalle<br />
donne. In realtà numerose artiste, tra la fine del<br />
‘500 e l’inizio del ‘600, si sono “consacrate” alla<br />
pittura e hanno conosciuto una discreta fortuna<br />
in vita. Certo, all’epoca era impensabile per<br />
una donna far carriera in ambito pittorico senza<br />
l’appoggio, la tutela o la protezione di un uomo.<br />
Eppure le pittrici esistevano ed erano anche apprezzate,<br />
nonostante che per ben tre secoli il giudizio<br />
sulla pittura “femminile” abbia risentito di quella<br />
classificazione per categorie stabilita già da<br />
Vasari nelle Vite, proprio nel momento in cui la<br />
storia dell’arte si faceva strada in quanto disciplina.<br />
Quelle stesse categorie che si sono poi<br />
trasformate in “pregiudizio” lungo tutto l’800. Il<br />
talento delle artiste, sebbene riconosciuto,<br />
restava nel limbo, in una categoria a parte di<br />
“interesse minore”.<br />
Artemisia Gentileschi ne è l’esempio più evidente.<br />
Riguardo ai meriti artistici di Artemisia, l’elogio<br />
di Roberto Longhi la dice lunga: “l’unica donna<br />
in Italia che abbia mai saputo che cosa sia pittura...”<br />
e sebbene altre pittrici avessero intrapreso<br />
quella via, sia nell’arte che nella biografia di<br />
Artemisia Gentileschi, c’è qualcosa che la rende<br />
particolarmente affascinante e che spiega l’interesse<br />
di scrittori e registi nei suoi confronti.<br />
Contemplando “Giuditta che decapita Oloferne”,<br />
sempre Longhi scriveva:<br />
“Chi penserebbe infatti che sopra un lenzuolo<br />
studiato di candori e ombre diacce degne d’un<br />
Vermeer a grandezza naturale, dovesse avvenire<br />
un macello così brutale ed efferato […]<br />
Ma - vien voglia di dire - ma questa è la donna<br />
terribile! Una donna ha dipinto tutto questo?” e<br />
ancora: “... che qui non v’è nulla di sadico, che<br />
anzi ciò che sorprende è l’impassibilità ferina di<br />
chi ha dipinto tutto questo ed è persino riescita<br />
a riscontrare che il sangue sprizzando con<br />
violenza può ornare di due bordi di gocciole a<br />
volo lo zampillo centrale! Incredibile vi dico! Eppoi<br />
date per carità alla Signora Schiattesi - questo<br />
è il nome coniugale di Artemisia - il tempo di scegliere<br />
l’elsa dello spadone che deve servire alla bisogna!<br />
Infine non vi pare che l’unico moto di Giuditta<br />
sia quello di scostarsi al possibile perché il sangue<br />
non le brutti il completo novissimo di seta gialla?<br />
Pensiamo ad ogni modo che si tratta di un<br />
abito di casa Gentileschi, il più fine guardaroba<br />
di sete del ‘600 europeo, dopo Van Dyck”.<br />
L’analisi dell’opera rileva la particolare maestria<br />
pittorica e l’estrema abilità nel servirsi dell’impasto<br />
e della variegata tavolozza: i colori squillanti,<br />
il luminoso panneggio e quel suo giallo inconfondibile,<br />
il perfezionismo nel tradurre la realtà,<br />
la minuzia orafa dei gioielli e delle armi.<br />
Indubbia l’assimilazione del genio di Caravaggio<br />
di cui risaltano evidenti i richiami e le influenze.<br />
I due destini, d’altronde, sono accomunati<br />
da una vita tormentata e segnata da dolorosi<br />
eventi, lo stupro subito dall’una e il fatidico omicidio<br />
in duello di Ranuccio Tomassoni per l’alcontinua<br />
a pag. 40
segue da pag. 39<br />
tro. Tuttavia la finezza emotiva e il virtuosismo<br />
tecnico di Artemisia sono mossi anche da un talento<br />
originale e fuori dal comune, quasi il pennello<br />
fosse un’arma impugnata e maneggiata<br />
per una reinterpretazione personale dei modelli,<br />
certo caravaggeschi, ma con specifiche qualità<br />
narrative e gestuali, espresse con una sensibilità<br />
femminile tutta sua.<br />
Giuditta e Oloferne, colpisce per l’elevata dose<br />
di violenza che la contraddistingue, per l’immediatezza<br />
dei soggetti raffigurati, per il gusto teatrale tipicamente<br />
barocco e per la sapienza con la quale<br />
sono impiegati i colori. La freddezza e l’impassibilità<br />
di Giuditta, il suo sforzo nel tenere<br />
ferma la testa di Oloferne, il generale che a sua<br />
volta tenta di respingere la serva<br />
che aiuta la protagonista<br />
a decapitare il nemico: il<br />
tema era già stato affrontato,<br />
con la stessa violenza, da<br />
Caravaggio, ma la tela proposta<br />
da Artemisia Gentileschi assume<br />
anche una connotazione<br />
autobiografica.<br />
L’iconografia è tratta dal repertorio<br />
biblico: Giuditta, più volte<br />
raffigurata nel corso della<br />
storia dell’arte (ma mai in modo<br />
così brutale), era un’eroina giudea<br />
che fece innamorare il generale<br />
assiro Oloferne, i cui soldati<br />
stavano assediando la città<br />
di Betulia.<br />
Dopo aver fatto ubriacare il condottiero,<br />
Giuditta lo decapitò<br />
privando così gli assiri del loro<br />
più valoroso condottiero: fu quindi<br />
facile per gli assediati mettere<br />
in fuga i nemici.<br />
L’episodio è narrato nel libro<br />
di Giuditta. Diversamente da<br />
quanto vorrebbe la tradizione,<br />
Artemisia (ricalcando l’esempio<br />
di Caravaggio) dipinge<br />
l’ancella di Giuditta assieme<br />
alla sua padrona nel<br />
momento in cui viene compiuta<br />
la decapitazione: nel racconto<br />
biblico invece si dice che<br />
la serva si sia limitata a<br />
nascondere la testa di Oloferne<br />
in una bisaccia. Così recita il libro di Giuditta:<br />
“Avvicinatasi alla colonna del letto che era dalla<br />
parte del capo di Oloferne, ne staccò la scimitarra<br />
di lui; poi, accostatasi al letto, afferrò la<br />
testa di lui per la chioma e disse: “Dammi forza,<br />
Signore Dio d’Israele, in questo giorno”. E<br />
con tutta la forza di cui era capace lo colpì due<br />
volte al collo e gli staccò la testa. Indi ne fece<br />
rotolare il corpo giù dal giaciglio e strappò via<br />
le cortine dai sostegni. Poco dopo uscì e consegnò<br />
la testa di Oloferne alla sua ancella, la<br />
quale la mise nella bisaccia dei viveri e uscirono<br />
tutt’e due, secondo il loro uso, per la preghiera;<br />
attraversarono il campo, fecero un giro nella valle,<br />
poi salirono sul monte verso Betulia e giunsero<br />
alle porte della città” (Gdt. <strong>13</strong>, 6-10).<br />
Per avvalorare l’ipotesi secondo la quale il dipinto<br />
sarebbe dettato da una voglia di rivincita della<br />
pittrice nei confronti dell’ex amico di famiglia,<br />
si potrebbe osservare come le fattezze della Giuditta<br />
siano molto simili a quelle di Artemisia Gentileschi<br />
e tutta la formosità dell’eroina dipinta nel quadro<br />
ricordi molto da vicino quella dell’artista. Inoltre,<br />
la folta chioma scura di Oloferne richiamerebbe<br />
la capigliatura di Agostino Tassi: e se a ciò<br />
si aggiunge il fatto che il libro sacro lascia trapelare<br />
l’idea secondo la quale Oloferne voleva<br />
abusare di Giuditta, ecco che il parallelo tra i<br />
soggetti raffigurati nell’opera e i due protagonisti<br />
dello stupro risulta più che soddisfacente. Dice<br />
infatti il libro di Giuditta: “Il cuore di Oloferne rimase<br />
estasiato e si agitò il suo spirito, aumentando<br />
molto nel suo cuore la passione per lei; già<br />
da quando l’aveva vista, cercava l’occasione di<br />
sedurla” (Gdt. 12, 16).<br />
Il grande pregio di questa tela non è da ricercarsi<br />
soltanto nella sua capacità di rievocare la<br />
violenza subita dalla pittrice: si tratta, infatti, di<br />
uno dei capolavori più famosi di Artemisia Gentileschi<br />
oltre che di un quadro dal quale si evince tutto<br />
il grande talento dell’artista.<br />
L’azione è concitata e feroce allo stesso tempo:<br />
Artemisia fa in modo che l’attenzione dell’osservatore<br />
non si concentri solo su un singolo<br />
particolare, ma sia portata a soffermarsi su tutti<br />
i dettagli della scena, il cui centro è da trovare<br />
nelle mani di Giuditta che recidono il capo di Oloferne.<br />
La pittrice non fa niente per attenuare il particolare<br />
più cruento della composizione, anzi: cerca<br />
di aumentare la tensione dipingendo sul volto<br />
di Oloferne una smorfia di dolore e disperazione<br />
e macchiando il lenzuolo su cui posa il<br />
condottiero con rivoli di sangue che sgorgano<br />
dalla ferita.<br />
Giuditta, trasposizione sulla tela della pittrice stessa,<br />
non pare in alcun modo turbata, ma rimane<br />
ferma nella sua impassibilità, scostandosi leggermente<br />
e tenendo le braccia tese forse perché<br />
inorridita, o forse per far<br />
sì che il sangue che erompe<br />
dalla testa di Oloferne non<br />
le macchi il vestito riccamente<br />
decorato.<br />
Gli squarci di luce che<br />
mettono in rilievo le figure<br />
dei tre protagonisti della scena<br />
derivano dalla lezione di<br />
Caravaggio, che Artemisia<br />
conosceva bene in quanto<br />
amico del padre, e da quella<br />
di Orazio stesso, che tra<br />
gli “allievi” del lombardo fu<br />
forse il più attento e allo stesso<br />
tempo il più originale.<br />
Le tonalità cupe, sono tipiche<br />
del barocco e contribuiscono<br />
a conferire un tocco<br />
di teatralità alla scena.<br />
I gesti e gli sguardi delle due<br />
donne sono studiati nei<br />
minimi dettagli, così come<br />
il disperato tentativo del guerriero<br />
che oppone, seppur invano,<br />
tutta la sua forza per impedire<br />
che l’eroina possa<br />
tagliargli la testa.<br />
Non è di secondaria importanza<br />
il fatto che l’opera sia<br />
dipinta da una donna, per<br />
di più in giovane età.<br />
La cura e l’attenzione per i<br />
colori, per le vesti e per le<br />
forme delle protagoniste si<br />
avvertono in modo tangibile:<br />
basta dare una semplice occhiata alle stoffe<br />
e ai ricami per rendersi conto della mano e<br />
del tocco femminile che stanno dietro a quest’opera<br />
di elevatissimo pregio pittorico. La mano di una<br />
donna violata che vuole riconquistare il suo onore<br />
attraverso la pittura: e a distanza di quasi quattrocento<br />
anni si può dire senza dubbio che Artemisia<br />
è riuscita nella sua personale riconquista, raggiungendo<br />
la gloria artistica e ottenendo un posto<br />
di privilegio nella storia dell’arte.<br />
*Direttore Ufficio Diocesano Beni culturali