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Registrazione al Tribunale di <strong>Velletri</strong> n. 9/2004 del 23.04.2004 - Redazione: C.so della Repubblica 343 - 00049 VELLETRI RM - 06.9630051 - fax 0696100596 - curia@diocesi.velletri-segni.it Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli atti della Curia e pastorale per la vita della <strong>Diocesi</strong> di <strong>Velletri</strong> -<strong>Segni</strong> Anno 10, n. 6 (98) - Giugno 20<strong>13</strong>


Giugno<br />

2<br />

20<strong>13</strong><br />

- Una fede che attraversa la storia,<br />

+ Vincenzo Apicella p. 3<br />

- La Parola di Papa francesco: “Dio risponde<br />

alla nostra debolezza con la sua pazienza”,<br />

Stanislao Fioramonti p. 4<br />

- Il Papa a S. Maria Maggiore: Siate miti ed umili,<br />

Sara Gilotta p. 5<br />

- Se lo Stato mostrasse una “preferenza” per la vita,<br />

Pier Giorgio Liverani p. 6<br />

- La Visita Pastorale alla Parr. S. M. Maggiore<br />

in Valmontone, piccola cronaca.<br />

Intervista a S.E. mons. Apicella,<br />

Stanislao Fioramonti p. 21<br />

- La Visita Pastorale nella Parr. S. M. Maggiore<br />

di Valmontone è racchiusa in alcune immagini<br />

significative, e non tutte pubbliche,<br />

mons. Luigi Vari p. 24<br />

- Florete flores. Religiosità e fiori ad Artena,<br />

Sara Calì p. 25<br />

- Nel pensiero di S. Bruno: Sulla pazienza/ 2,<br />

don Daniele Valenzi p. 26<br />

- Giulio Andreotti: un caro ricordo da <strong>Segni</strong>,<br />

dott. Luigi Vari p. 27<br />

- “Giocate alla vita per grandi ideali, giovani!”,<br />

Catechiste S. M. Assunta in <strong>Segni</strong> p. 28<br />

Ecclesia in cammino<br />

Bollettino Ufficiale per gli atti di Curia<br />

Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli atti<br />

della Curia e pastorale per la vita della<br />

<strong>Diocesi</strong> di <strong>Velletri</strong>-<strong>Segni</strong><br />

Direttore Responsabile<br />

Mons. Angelo Mancini<br />

Collaboratori<br />

Stanislao Fioramonti<br />

Tonino Parmeggiani<br />

Mihaela Lupu<br />

Proprietà<br />

<strong>Diocesi</strong> di <strong>Velletri</strong>-<strong>Segni</strong><br />

Registrazione del Tribunale di <strong>Velletri</strong><br />

n. 9/2004 del 23.04.2004<br />

- La penitenza / 2: sviluppo storico del sacramento,<br />

don Antonio Galati p. 7<br />

- Il lebbroso e la Misericordia,<br />

Claudio Capretti p. 8<br />

- Vi presentiamo Chiucky e Ronny!,<br />

Katiuscia Ciprì p. 10<br />

- Bibbia e religioni, Gaetano Sabetta p. 11<br />

- La Caritas non è “Robba da vecchi”. Progetto<br />

Giovani e Volontariato, Elisa Simonetti,<br />

Stefano Dal Bianco e Laura Russo p. 12<br />

- Il Canto di comunione: Canta e cammina,<br />

mons. Franco Fagiolo p. 29<br />

- I The Sun: spiriti del Sole, a cura delle<br />

Suore Apostoline di <strong>Velletri</strong> p. 30<br />

- Famiglia e Parrocchia di fronte alla Porta<br />

della Fede, p. Vincenzo Molinaro p. 32<br />

- Acero in Festa: 1° Maggio 20<strong>13</strong> p. 33<br />

- L’avventura della Comunità Nuovi Orizzonti,<br />

collab. Nuovi Orizzonti p. 34<br />

- Ammissione all’Ordine sacro del Diaconato<br />

permanente di Gaetano Di Laura e Luciano<br />

Taddei, n.d.r. p. 35<br />

Stampa: Tipolitografia Graphicplate Sr.l.<br />

Redazione<br />

Corso della Repubblica 343<br />

00049 VELLETRI RM<br />

06.9630051 fax 96100596<br />

curia@diocesi.velletri-segni.it<br />

A questo numero hanno collaborato inoltre:<br />

S.E. mons. Vincenzo Apicella, mons. Luigi Vari, mons.<br />

Franco Risi, don Dario Vitali, mons. Franco Fagiolo, don<br />

Antonio Galati, Suore Apostoline <strong>Velletri</strong>, don Marco Nemesi,<br />

don Daniele Valenzi, p. Vincenzo Molinaro, don Ettore Capra,<br />

don Gaetano Zaralli, Claudio Capretti, Pier Giorgio Liverani,<br />

Antonio Venditti, Sara Gilotta, Katiuscia Ciprì, Gaetano<br />

Sabetta,Elisa Simonetti, Stefano Dal Bianco, Laura Russo,<br />

Sara Calì, équipe Catechiste - educatori di <strong>Segni</strong>, Giovanni<br />

Marrazzo, i Volontari del Museo diocesano di <strong>Velletri</strong>, collab.<br />

Comunità Nuovi Orizzonti, Fabio Pontecorvi.<br />

Consultabile online in formato pdf sul sito:<br />

www.diocesi.velletri-segni.it<br />

DISTRIBUZIONE GRATUITA<br />

- Credo in Gesù Cristo, Nostro Signore / 3,<br />

don Dario Vitali p. 14<br />

- I Santi dell’Anno della Fede / 6,<br />

Stanislao Fioramonti p. 15<br />

- Testimoni della Fede del Terzo Millennio,<br />

Stanislao Fioramonti p. 16<br />

- I discepoli di Emmaus riconobbero Gesù<br />

nello spezzare il pane, mons. Franco Risi p. 17<br />

- Lauda Sion, don Ettore Capra p. 18<br />

- Presenti nel presente,<br />

don Gaetano Zaralli p. 20<br />

- La scuola oggi: riformata o delusa?<br />

Antonio Venditti p. 36<br />

- La Notte dei Musei a <strong>Velletri</strong>,<br />

i volontari Museo del diocesano p. 37<br />

- Corso di iconografia: il Volto di Cristo<br />

Fabio Pontecorvi p. 38<br />

- Artemisia Gentileschi, Giuditta che decapita<br />

Oloferne, 1620 ca., Firenze<br />

don M. Nemesi p. 39<br />

Il contenuto di articoli, servizi foto e loghi nonché quello voluto da chi vi compare rispecchia esclusivamente il pensiero degli<br />

artefici e non vincola mai in nessun modo Ecclesìa in Cammino, la direzione e la redazione.<br />

Queste, insieme alla proprietà, si riservano inoltre il pieno ed esclusivo diritto di pubblicazione, modifica e stampa a propria<br />

insindacabile discrezione senza alcun preavviso o autorizzazioni. Articoli, fotografie ed altro materiale, anche se non pubblicati,<br />

non si restituiscono. E’ vietata ogni tipo di riproduzione di testi, fotografie, disegni, marchi, ecc. senza esplicita autorizzazione<br />

del direttore.<br />

In copertina:<br />

Papa Francesco e S.E. mons. Vincenzo Apicella<br />

Basilica di San Pietro in Vaticano<br />

23 maggio 20<strong>13</strong><br />

Foto: Fotografia Felici.


Giugno<br />

20<strong>13</strong><br />

3<br />

Vincenzo Apicella, vescovo<br />

Il 3 <strong>giugno</strong> di 50 anni fa piazza San Pietro viveva un momento<br />

indimenticabile della sua storia, almeno per quelli che lo<br />

hanno vissuto personalmente. Per alcuni giorni una piccola<br />

folla silenziosa era sparpagliata nella grande piazza, gente di ogni<br />

età e condizione si dava silenziosamente il cambio, col volto triste,<br />

spesso rigato di lacrime, ma sempre raccolta in una preghiera<br />

intensa e accorata. Era il popolo di Roma, che sentiva, con dolore<br />

lacerante, l’avvicinarsi del distacco dal suo pastore, dal suo amatissimo<br />

vescovo, quell’Angelo Giuseppe Roncalli, che cinque anni<br />

prima aveva preso il nome di Giovanni XXIII.<br />

E’ doveroso, dopo aver ricordato nell’ottobre scorso il 50° anniversario<br />

dell’apertura del Concilio Vaticano II, fare memoria, oggi,<br />

di chi quel Concilio l’aveva voluto e iniziato e ne aveva accompagnato<br />

i primi passi, permettendogli<br />

di prendere il largo.<br />

Da parte sua fu uno straordinario atto<br />

di fede, un abbandono senza riserve<br />

ad una ispirazione incontenibile:<br />

“Fu un tocco inatteso, uno sprazzo di<br />

superna luce; una grande soavità negli<br />

occhi e nel cuore” (dal discorso di apertura<br />

del Concilio).<br />

Da allora il mondo è molto cambiato,<br />

ma anche la Chiesa è cambiata, non<br />

nella sostanza immutabile voluta dal<br />

suo Fondatore e Signore, ma nella consapevolezza<br />

della sua natura e della<br />

sua missione, nell’atteggiamento e nel<br />

volto con cui si presenta al mondo.<br />

Papa Giovanni l’aveva definita, nella<br />

sua prima enciclica, Madre e Maestra,<br />

perché “innalzando la fiaccola della<br />

verità religiosa, vuol mostrarsi madre<br />

amorevole di tutti, benigna, paziente,<br />

piena di misericordia e di bontà,<br />

anche verso i figli da lei separati”, in<br />

quanto “ora la sposa di Cristo preferisce<br />

usare la medicina della misericordia<br />

piuttosto che della severità. Essa<br />

ritiene di venire incontro ai bisogni<br />

di oggi mostrando la validità della sua<br />

dottrina, piuttosto che rinnovando condanne” (dal discorso di apertura<br />

del Concilio).<br />

In questi cinquant’anni moltissime altre volte piazza San Pietro<br />

è tornata a riempirsi di folle sempre più numerose e la Chiesa sembra<br />

rinnovare continuamente e misteriosamente la sua giovinezza,<br />

poiché, nonostante l’avvicendarsi dei suoi Vicari terreni, ognuno<br />

col suo carisma inconfondibile e provvidenziale, è sempre lo<br />

stesso Cristo a sospingerla col soffio del suo Spirito.<br />

Il miracolo si sta rinnovando sotto i nostri occhi con questo inizio<br />

di pontificato di Papa Francesco, con cui si avverte in modo<br />

più deciso e visibile l’adempimento di quel programma enunciato<br />

dai Padri del Concilio nel loro primo messaggio rivolto al mondo<br />

intero: “Rivolgiamo continuamente il nostro animo verso tutte<br />

le angosce che affliggono oggi gli uomini; perciò anzitutto le<br />

nostre premure si volgono verso i più umili, i più poveri, i più<br />

deboli, sull’esempio di Cristo…” (dal Messaggio del 20 ottobre<br />

1962). Parole simili i vescovi italiani hanno ascoltato in San Pietro<br />

la sera del 23 maggio scorso, nel rinnovare la professione di fede<br />

sulla tomba dell’Apostolo, quando il Papa ha chiesto, nella sua<br />

preghiera a Maria, di poter “sperimentare la gioia di una Chiesa<br />

umile, povera e al servizio di tutti”.<br />

Anche la nostra diocesi sente l’esigenza di proseguire il cammino,<br />

di aumentare il passo per varcare la Porta della Fede, come<br />

ci è stato chiesto da Benedetto XVI, per il quale restano immutati<br />

il nostro affetto e il nostro ricordo nella preghiera.<br />

In questo Anno, egli scriveva, “Dovrà intensificarsi la riflessione<br />

sulla fede per aiutare tutti i credenti in Cristo a rendere più consapevole<br />

ed a rinvigorire la loro adesione al Vangelo, soprattutto<br />

in un momento di profondo cambiamento<br />

come quello che l’umanità<br />

sta vivendo.<br />

Avremo l’opportunità di confessare<br />

la fede nel Signore Risorto nelle nostre<br />

Cattedrali e nelle chiese di tutto il mondo,<br />

nelle nostre case e presso le nostre<br />

famiglie, perché ognuno senta forte<br />

l’esigenza di conoscere meglio e di<br />

trasmettere alle generazioni future la<br />

fede di sempre…<br />

Nel contempo auspichiamo che la testimonianza<br />

di vita dei credenti cresca<br />

nella sua credibilità. Riscoprire i contenuti<br />

della fede professata, celebrata,<br />

vissuta e pregata e riflettere sullo<br />

stesso atto con cui si crede è un impegno<br />

che ogni credente deve fare proprio,<br />

soprattutto in questo Anno” (Porta<br />

Fidei, n.8-9).<br />

Come gesto comune, con cui la nostra<br />

Chiesa di <strong>Velletri</strong>-<strong>Segni</strong> vuole accogliere<br />

e rispondere all’invito di Papa<br />

Benedetto, mercoledì 19 <strong>giugno</strong> ci recheremo<br />

insieme in pellegrinaggio alla<br />

Tomba degli Apostoli per rinnovare<br />

la nostra professione di fede, partecipando<br />

all’Udienza Generale di<br />

Papa Francesco in piazza San Pietro e celebrando l’Eucarestia,<br />

nel pomeriggio, presso la Basilica di San Paolo. Sono i due luoghi,<br />

che non conservano solo i resti mortali di Pietro e Paolo, ma<br />

rappresentano la memoria vivente di una testimonianza imperitura<br />

e il punto di partenza di un cammino che continua nella storia,<br />

fino a quando non si compirà per tutti nella Patria celeste, per<br />

renderci partecipi della stessa Gloria.<br />

Per fede Giovanni XXIII aprì il Concilio; per fede Paolo VI soffrendo<br />

lo portò a compimento; per fede Giovanni Paolo II lo rese<br />

presente con forza in ogni angolo della terra; per fede Benedetto<br />

XVI, maestro umile e sapiente, si è consacrato alla preghiera; per<br />

fede viviamo anche noi, perché Cristo Risorto regni nei nostri cuori<br />

e la sua luce risplenda sul nostro volto e perché l’annuncio della<br />

salvezza raggiunga tutti i poveri e gli umili della terra.


Giugno<br />

4<br />

20<strong>13</strong><br />

Sintesi a cura<br />

di Stanislao Fioramonti<br />

“Con gioia celebro per la prima volta l’Eucaristia<br />

in questa Basilica Lateranense, Cattedrale del<br />

Vescovo di Roma. Vi saluto tutti con grande affetto.<br />

Celebriamo oggi la Seconda Domenica di Pasqua,<br />

denominata anche «della Divina Misericordia».<br />

Com’è bella questa realtà della fede per la nostra<br />

vita: la misericordia di Dio! Un amore così grande,<br />

così profondo quello di Dio verso di noi, un<br />

amore che non viene meno, sempre afferra la<br />

nostra mano e ci sorregge, ci rialza, ci guida.<br />

Nel Vangelo di oggi, l’apostolo Tommaso fa esperienza<br />

proprio della misericordia di Dio, che ha<br />

un volto concreto, quello di Gesù, di Gesù Risorto.<br />

Vuole vedere, vuole mettere la sua mano nel<br />

segno dei chiodi e nel costato. E qual è la reazione<br />

di Gesù?<br />

La pazienza.<br />

Ricordiamo anche Pietro: per tre volte rinnega<br />

Gesù proprio quando doveva essergli più vicino;<br />

e quando tocca il fondo incontra lo sguardo<br />

di Gesù che, con pazienza, senza parole gli<br />

dice: «Pietro, non avere paura della tua debolezza,<br />

confida in me»; e Pietro comprende, sente<br />

lo sguardo d’amore di Gesù e piange. Che<br />

bello è questo sguardo di Gesù – quanta tenerezza!<br />

Fratelli e sorelle, non perdiamo mai la fiducia<br />

nella misericordia paziente di Dio!<br />

Pensiamo ai due discepoli di Emmaus: il volto<br />

triste, un camminare vuoto, senza speranza. Ma<br />

Gesù non li abbandona: percorre insieme la strada,<br />

e non solo!<br />

Con pazienza spiega le Scritture che si riferivano<br />

a Lui e si ferma a condividere con loro il<br />

pasto. Questo è lo stile di Dio: non è impaziente<br />

come noi, che spesso vogliamo tutto e subito,<br />

anche con le persone. Dio è paziente con noi<br />

perché ci ama, e chi ama comprende, spera,<br />

dà fiducia, non abbandona, non taglia i ponti,<br />

sa perdonare. Ricordiamolo nella nostra vita di<br />

cristiani: Dio ci aspetta sempre, anche quando<br />

ci siamo allontanati! Lui non è mai lontano, e<br />

se torniamo a Lui, è pronto ad abbracciarci. (...)<br />

Gesù ci mostra questa pazienza misericordiosa<br />

di Dio perché ritroviamo fiducia, speranza,<br />

sempre! Un grande teologo tedesco, Romano<br />

Guardini, diceva che Dio risponde alla nostra<br />

debolezza con la sua pazienza e questo è il motivo<br />

della nostra fiducia, della nostra speranza.<br />

Vorrei sottolineare un altro elemento: la pazienza<br />

di Dio deve trovare in noi il coraggio di ritornare<br />

a Lui, qualunque errore, qualunque peccato<br />

ci sia nella nostra vita. (...)<br />

Forse qualcuno di noi può pensare: il mio peccato<br />

è così grande, la mia lontananza da Dio<br />

è come quella del figlio minore della parabola,<br />

la mia incredulità è come quella di Tommaso;<br />

non ho il coraggio di tornare, di pensare che Dio<br />

possa accogliermi e che stia aspettando proprio<br />

me. Ma Dio aspetta proprio te, ti chiede solo<br />

il coraggio di andare a Lui.<br />

Quante volte nel mio ministero pastorale mi sono<br />

sentito ripetere: «Padre, ho molti peccati»; e l’invito<br />

che ho sempre fatto è: «Non temere, va’<br />

da Lui, ti sta aspettando, Lui farà tutto».<br />

Quante proposte mondane sentiamo attorno a<br />

noi, ma lasciamoci afferrare dalla proposta di<br />

Dio, la sua è una carezza di amore.<br />

Per Dio noi non siamo numeri, siamo importanti,<br />

anzi siamo quanto di più importante Egli abbia;<br />

anche se peccatori, siamo ciò che gli sta più a<br />

cuore.<br />

Nella mia vita personale ho visto tante volte il<br />

volto misericordioso di Dio, la sua pazienza; ho<br />

visto anche in tante persone il coraggio di entrare<br />

nelle piaghe di Gesù dicendogli: Signore sono<br />

qui, accetta la mia povertà, nascondi nelle tue<br />

piaghe il mio peccato, lavalo col tuo sangue.<br />

E ho sempre visto che Dio l’ha fatto, ha accolto,<br />

consolato, lavato, amato.<br />

Cari fratelli e sorelle,<br />

lasciamoci avvolgere dalla misericordia di Dio;<br />

confidiamo nella sua pazienza che sempre ci<br />

dà tempo; abbiamo il coraggio di tornare nella<br />

sua casa, di dimorare nelle ferite del suo amore,<br />

lasciandoci amare da Lui, di incontrare la sua<br />

misericordia nei Sacramenti. Sentiremo la sua<br />

tenerezza, tanto bella, sentiremo il suo abbraccio<br />

e saremo anche noi più capaci di misericordia,<br />

di pazienza, di perdono, di amore”.


Giugno<br />

20<strong>13</strong><br />

5<br />

Sara Gilotta<br />

Papa Francesco, visitando per<br />

la seconda volta dopo la sua<br />

ascesa al soglio pontificio, la<br />

basilica di Santa Maria Maggiore, mater<br />

populi romani (ed io aggiungerei populorum<br />

omnium) vi ha recitato il Rosario<br />

ed ha poi parlato ai presenti , cui ha<br />

ricordato che i cristiani devono essere<br />

miti ed umili come le pecorelle, capaci<br />

di ascoltare la voce del pastore che<br />

le salva.<br />

Parole molto semplici pronunciate con<br />

quella dolcezza, cui il nuovo pontefice<br />

ci ha già abituato. Eppure le parole<br />

del papa proprio perché apparentemente<br />

semplici devono indurre a riflettere<br />

per trarne una lezione di fede e<br />

di vita. Tanto più che il nostro tempo<br />

non sembra incline alla mitezza<br />

e alla umiltà, anzi, direi, che non conosciamo<br />

nemmeno più il significato autentico<br />

delle due parole, immersi come<br />

siamo in un clima sociale e familiare,<br />

dove conta solo primeggiare, affermando<br />

se stessi con tutti i mezzi.<br />

Perché essere miti vuol dire, non solo<br />

vivere nella moderazione e nella clemenza<br />

verso gli altri, ma soprattutto<br />

vivere privi di sentimenti di rancore<br />

e di violenza, che, purtroppo, sembrano<br />

essere segni distintivi quotidiani.<br />

E nel Vangelo la mitezza viene<br />

ricordata innanzitutto nel discorso<br />

della montagna, in cui Gesù, tra<br />

l’altro, dice ”Beati i poveri poiché vostro<br />

è il regno dei cieli”dove il termine “povero”<br />

non indica davvero uno stato economico, ma, appunto, la mitezza<br />

del cuore, che conduce ad una vita in cui si sceglie di non abbandonarsi<br />

all’ira, di essere tolleranti, pazienti e totalmente alieni da ogni forma di<br />

violenza, come ha mostrato Gesù in tutta la sua vita terrena. Ma il Pontefice<br />

ha citato anche la parabola del buon samaritano, in cui il concetto di<br />

prossimo e quello di misericordia appaiono evidenti, giacché tra tanti è<br />

solo il samaritano che si ferma a curare l’uomo rapinato e ferito dai ladroni,<br />

preoccupandosi di lasciare<br />

due denari all’albergatore,<br />

affinché, lui partito, non lo abbandonasse.<br />

Il Samaritano, dunque, è<br />

mite e misericordioso e<br />

comprende il vero significato<br />

del termine “prossimo”.<br />

Significato che noi oggi abbiamo<br />

in gran parte perso,perché<br />

siamo chiusi in uno smisurato<br />

egoismo, che nega la<br />

mitezza, ma ancora di più rende<br />

gli animi fiacchi, incapaci<br />

di sentimenti profondi e veri.<br />

Così la mitezza è diventata per<br />

molti sinonimo di debolezza<br />

e arrendevolezza paurosa, come<br />

dimostrano gli atteggiamenti,<br />

le parole, le scelte di tanti<br />

giovani, che adeguano la<br />

loro vita ai costumi peggiori,<br />

seguendo l’esempio di chi, a sua volta,<br />

debole e confuso, non può che<br />

nascondere la propria fragilità dietro<br />

il turpiloquio, la violenza delle parole<br />

e dei comportamenti.<br />

Ai giovani, infatti, si è , altresì, rivolto<br />

il Papa, per ammonirli sulla<br />

necessità di essere diversi, di non seguire,<br />

cioè, gli esempi negativi, per cercare<br />

se stessi nell’amore per il prossimo<br />

e forse prima ancora per se stessi,<br />

perché è certo che si riesce ad<br />

amare gli altri, se si è equilibrati personalmente<br />

e se si considera la moderazione<br />

non effetto di remissività e<br />

di arrendevolezza fine a se stessa,<br />

ma un modo di essere consapevole<br />

di quel che si è e di quel che si<br />

vuole essere nella vita.<br />

D’ altra parte è anche vero che la mitezza,<br />

prima ancora che nel vero e proprio<br />

esercizio del potere, si è persa<br />

nel vocabolario stesso di chi detiene<br />

il potere , qualunque esso sia.<br />

Si è finita per perdere così la misura<br />

stessa delle parole e poi dei gesti<br />

che ci rapportano agli altri, facendo<br />

in modo che forse inconsapevolmente<br />

si sia finito per dimenticare tutti gli<br />

atteggiamenti miti, umili e comprensivi.E<br />

citare Palazzeschi a questo<br />

proposito può essere illuminante<br />

. Egli dice: ”Meglio, cento volte meglio<br />

aveste dato ascolto al vostro mite istinto<br />

e non vi foste lasciato lusingare<br />

e intimidire , né tampoco spinger avanti<br />

e indietro da chicchesia….”.<br />

Sembrano parole scritte oggi per descrivere<br />

la condizione di molti che vivono trascinati verso il male da cattivi<br />

esempi , che, talora, cancellano persino il loro carattere fondamentalmente<br />

buono. Lo stesso Dante ne Purgatorio dice: “Che farem noi a<br />

chi mal desira, se quei che ci ama è per noi condannato?”<br />

Il signore è Pisistrato che alla moglie con volto sereno chiede che cosa<br />

si può volere e fare a chi ci vuole male, se si riesce a condannare anche<br />

chi ci ama.


Giugno<br />

6<br />

20<strong>13</strong><br />

Pier Giorgio Liverani<br />

Con l’assurdo sostegno legale dello Stato e con le spese a totale<br />

carico delle Asl, il dramma, anzi la tragedia dell’aborto si svolge<br />

e coinvolge soprattutto la famiglia. Secondo i dati e l’esperienza<br />

del Movimento per la Vita, infatti, la maggioranza delle donne che<br />

si rivolgono ai suoi Centri e dei Servizi di Aiuto alla Vita (CAV e SAV) per<br />

capire ciò che esse stesse realmente vogliono e per essere aiutate dinanzi<br />

alla possibilità, al desiderio o alla paura di un aborto, hanno più di 25<br />

anni (il 54 per cento) e sono casalinghe (39%) e coniugate (61%). C’è<br />

anche un 4 per cento di studentesse e un 2 per cento di minorenni, che<br />

in genere, aiutate dal giudice minorile, vogliono sfuggire al controllo del<br />

genitori. La causa che più le spinge verso l’aborto è costituita (nel 47%<br />

dei casi) da difficoltà economiche familiari: le disoccupate sono il 32 per<br />

cento, molte più delle occupate (25%). La maggioranza (il 60 per cento)<br />

si presenta al Cav con una gravidanza ormai avanzata oltre i 90 giorni.<br />

Come arrivano tutte queste donne (60mila, nel 2012, ma non tutte per<br />

l’aborto) ai Centri di aiuto alla vita? Il 29 per cento si presenta spontaneamente,<br />

27 donne su cento vi sono indirizzate da amici, il 10 per cento<br />

da parrocchie o associazioni cattoliche, il 6% da altre donne contente<br />

dell’aiuto avuto dai Centri a tenersi il bambino.<br />

Un dato piccolo, ma importante: il 7 per cento vi sono inviate dai Consultori<br />

pubblici e ciò dimostra che, con un po’ di buona volontà dei Consultori,<br />

sarebbe possibile realizzare un’effettiva collaborazione che avesse carattere<br />

di normalità. È proprio la stessa e ignobile Legge 194 che, nell’art.<br />

2, spinge i Consultori a «contribuire a far superare le cause le cause che<br />

potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza» e, a questo<br />

fine, stabilisce che i Consultori «possono avvalersi della collaborazione<br />

volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato».<br />

Sembra che la Legge voglia indicare proprio il Movimento e i suoi<br />

Centri di Aiuto alla Vita. Nel rifiuto pressoché generale delle forze politiche<br />

di riesaminare la Legge 194 per abolirla o almeno migliorarla, nulla<br />

vieta – anzi tutto suggerisce – che lo Stato, anche senza vietare<br />

l’aborto, dimostri almeno una esplicita “preferenza<br />

per la vita”, concreta e non solo scritta<br />

al solo scopo di uno sgravio<br />

di coscienza:<br />

voglio<br />

dire<br />

con<br />

chiare affermazioni di principio e con<br />

conseguenti soluzioni tecniche e<br />

politiche di sostegno delle madri disposte<br />

a non abortire se messe nella<br />

condizione di poterlo fare con facilità.<br />

Quanti più bambini potrebbero essere salvati, con sensibile<br />

contrasto della crisi demografica?<br />

Ma i padri di questi bambini nati o abortiti che cosa pensano?<br />

In base a ciò che le donne (e talvolta anche i padri<br />

stessi) riferiscono agli operatori dei CAV, si può affermare che il 10 per<br />

cento di loro istiga la partner all’aborto, il 9% è soltanto consenziente, il<br />

10 è indifferente, il 35 è contrario e subisce l’aborto del figlio senza avere,<br />

sempre per l’ignobile Legge 194 (art. 5), la possibilità di interferire in<br />

qualche modo nella decisione della donna. Del rimanente 36 non si hanno<br />

notizie, ma il forte numero dei padri che vogliono salvare il figlio è consolante<br />

ed è da tenere in considerazione soprattutto nell’ipotesi di una<br />

ipotetica conversione statale al favore per la vita.<br />

La rete nazionale dei CAV è in crescita: dal 2011 al 2012 sono passati<br />

da 331 a 328 sparsi in tutta l’Italia, maggiormente al Nord. Ciascuno è<br />

articolato con un numeroso gruppo di operatori volontari (in media 12, in<br />

prevalenza donne) che hanno seguito appositi corsi di formazione, e con<br />

un’area di numerosi (220)sostenitori: consulenti in medicina, diritto, lavoro,<br />

finanziatori o aiutanti in vario modo: offerta di ospitalità, forniture di<br />

vestiario, alimenti, strumenti medicali, medicinali). In totale circa 4000 operatori<br />

stabili ed esperti e 73.000 sostenitori. Ed ecco il grado di efficacia<br />

del lavoro dei Centri, riferito al 2012. Delle donne incerte o intenzionate<br />

ad abortire che hanno chiesto l’aiuto del Movimento per la Vita, l’81 per<br />

cento ha portato a termine la gravidanza che all’inizio voleva interrompere.<br />

Di queste il 7 per cento aveva già il certificato per presentarsi in ospedale<br />

ad abortire, avendo già sbrigato tutti i richiesti passaggi formali.<br />

Nessuna si è pentita di non esserci andata. Un considerevole numero di<br />

quelle che, invece hanno abortito (indipendentemente da un contatto con<br />

il CAV) oggi è una propagandista contro l’aborto: vuole che nessuna donna<br />

sperimenti più il tormento che esse hanno <strong>prova</strong>to e sofferto dopo aver<br />

volontariamente perduto il figlio. Ecco i “numeri” del lavoro dei Cav calcolati<br />

sulla base del dei 204 Centri su 328 che hanno inviato tempestivamente<br />

al loro centro di coordinamento di Padova, una completa relazione<br />

annuale (in alcuni Cav l’impegno è tale che manca il tempo per dedicarsi<br />

alla statistica). La stima resa nota dal MpV è attendibile e dice che<br />

i bambini salvati nel 2012 sono stati circa 16.200.<br />

Questo porta il totale dei salvataggi<br />

compiuti negli ultimi<br />

37 anni (dalla nascita del primo<br />

Cav nel 1975, a<br />

Firenze) a un numero compreso<br />

tra 150 e 160mila.<br />

Quest’anno la media<br />

dei bambini nati<br />

per ciascun Cav<br />

è di 48, il numero<br />

medio delle<br />

donne


Giugno<br />

20<strong>13</strong><br />

7<br />

don Antonio Galati<br />

La Chiesa ha sempre conosciuto il<br />

sacramento della penitenza, anche se<br />

nel corso della storia questo ha conosciuto<br />

diverse forme di celebrazione. Ripercorrere<br />

brevemente lo sviluppo storico di questo sacramento<br />

permette di individuare quell’elemento che<br />

si è mantenuto costante nel corso dello sviluppo<br />

e che, quindi, permette di individuare il nucleo<br />

centrale di questo sacramento.<br />

La celebrazione penitenziale<br />

fino al VI secolo<br />

La forma della penitenza nella Chiesa antica era<br />

pubblica e irripetibile. Pubblica nel senso che<br />

il rito sacramentale avveniva davanti l’assemblea<br />

liturgica, con riti più o meno prestabiliti nel<br />

corso della storia: l’ingresso nel gruppo dei penitenti<br />

e l’imposizione della penitenza, stabiliti dal<br />

vescovo dopo un colloquio privato con il peccatore<br />

attraverso il quale confessava i propri peccati.<br />

L’ingresso nell’ordine dei penitenti era, di<br />

norma, un atto liturgico in cui il peccatore veniva<br />

messo fuori dalla comunità affinché si manifestasse<br />

a lui lo stato in cui si trovava già spiritualmente<br />

e perché la comunità pregasse per<br />

la sua conversione.<br />

Insieme con l’ingresso nell’ordine dei penitenti,<br />

il vescovo dava al penitente una penitenza<br />

che doveva soddisfare durante questo periodo<br />

che, in genere, consisteva in digiuni e pratiche<br />

di carità, comunque molto esigenti; la riconciliazione,<br />

che sancisce la fine del periodo penitenziale,<br />

in cui il vescovo impone le mani al penitente<br />

donandogli l’assoluzione e la riammissione<br />

piena all’interno della comunità.<br />

Da questo momento il riconciliato poteva partecipare,<br />

di nuovo, pienamente alla celebrazione<br />

eucaristica. Inoltre essa era irripetibile, cioè si<br />

poteva celebrare una sola volta nella vita.<br />

La celebrazione del sacramento<br />

della penitenza dopo il VI secolo<br />

Probabilmente in Gran Bretagna si inizia a sviluppare,<br />

a partire dal VI secolo, una nuova forma<br />

rituale del sacramento della penitenza, che<br />

diventa privata, reiterabile e tariffata.<br />

Riguardo alla sua celebrazione, tutto si svolgeva<br />

in privato:<br />

- il penitente si rivolgeva al confessore, che ordinariamente<br />

era un presbitero, e non più solo il<br />

vescovo, e si accusava dei suoi peccati, oppure<br />

rispondeva alle domande fatte dal confessore;<br />

- il confessore, ascoltata la penitenza, dava al<br />

penitente la penitenza (normalmente periodi di<br />

digiuno e pellegrinaggi) secondo delle tariffe prestabilite;<br />

- dopo che il penitente aveva assolto i suoi obblighi<br />

penitenziali ritornava dal sacerdote per ricevere<br />

l’assoluzione dai peccati.<br />

Rispetto alla penitenza antica, questa nuova forma<br />

mantiene, di quella antica, la durezza delle<br />

penitenze, per cui la somma delle penitenze<br />

per i peccati, spesso, superava l’aspettativa<br />

di vita del penitente.<br />

Per questo motivo si ammise la possibilità di<br />

commutare i lunghi periodi di penitenza “accumulati”<br />

con periodi più brevi, ma più intensi. Accanto<br />

a questo sorse anche la possibilità di sostituire<br />

le penitenze con il far celebrare un determinato<br />

numero di messe. Inoltre si affiancò la possibilità<br />

di far scontare le proprie penitenze a un<br />

numero di sostituti dividendo su di loro il periodo<br />

di tempo di penitenza del singolo penitente.<br />

Queste due ultime possibilità di assolvere<br />

il periodo penitenziale avvenivano sempre sotto<br />

compenso economico, il che fece sorgere degli<br />

abusi che videro la Chiesa obbligata a ritirare<br />

la forma della penitenza tariffata.<br />

Dal IX secolo circa convivevano, quindi, la forma<br />

della penitenza pubblica e quella privata che,<br />

dalla Gran Bretagna, si estese per tutta<br />

l’Europa. Inoltre, il forte impulso dell’espansione<br />

della forma privata e reiterabile della confessione<br />

portò presto, tutta la Chiesa, ad ammettere<br />

la reiterabilità del sacramento della penitenza.<br />

Infine, nel XII secolo, tutte le forme della<br />

penitenza si ridussero alla penitenza privata<br />

che assunse la struttura rituale che è in vigore<br />

ancora oggi, per cui il penitente si accusa<br />

dei suoi peccati e riceve la penitenza e, insieme<br />

con questa, l’assoluzione del sacerdote.<br />

La prassi della penitenza privata e auricolare<br />

(cioè di dire al sacerdote i propri peccati) non<br />

fu esente essa stessa da abusi, questa volta<br />

dovuti al forte peso dato dalla Chiesa al momento<br />

della confessione dei peccati. In alcuni periodi<br />

del medioevo, infatti, si sottolineò molto questo<br />

momento del sacramento della penitenza,<br />

che si pensava che fosse l’unico elemento necessario<br />

per ricevere il perdono. Ciò portò i penitenti,<br />

specie se in fin di vita, a confessare i propri<br />

peccati a chiunque, anche se non erano sacerdoti<br />

e, delle volte, anche a cose o ad animali,<br />

perché l’importante non era ricevere l’assoluzione,<br />

ma dire i peccati. Comunque, escludendo<br />

queste esagerazioni, che comunque rivelano la<br />

necessità per il cristiano di voler morire sapendo<br />

di essere stato riconciliato con Dio, a partire<br />

dal XII secolo l’attenzione della Chiesa non<br />

si pone più sul rito del sacramento, ormai stabilito<br />

e accettato, ma sulla sua teologia e sulle<br />

implicazioni dottrinali e pastorali.<br />

In conclusione<br />

Anche se molto velocemente, si è tentato di descrivere<br />

le due forme principali con cui questo sacramento<br />

veniva celebrato nella storia. Ciò che emerge<br />

è, sostanzialmente, l’importanza del ruolo del<br />

presbitero nell’ascoltare la confessione dei peccati<br />

e nel dare l’assoluzione, e nel compito del<br />

penitente di confessare a voce i propri peccati,<br />

elemento maggiormente sottolineato, e nel<br />

soddisfare la penitenza data dal sacerdote.<br />

Nell’immagine:<br />

La confessione, di Giuseppe Molteni<br />

segue da pag. 6<br />

gestanti assistite 72 e quello delle non gestanti 104 (in totale 60.000 assistite).<br />

Oltre il 3 per cento delle gravide ha potuto usufruire anche dell’ospitalità<br />

e dell’assistenza nelle Case-Famiglia del MpV. Tutti questi dati<br />

sono stati ricavati dalla relazione annua comparsa sul numero di maggio<br />

di “Sì alla Vita”, la bella rivista mensile del Movimento per la Vita, unica<br />

pubblicazione in Italia (e forse in Europa) che tratta con ampiezza, compiutezza<br />

di materiali e con specifica competenza la materia della difesa<br />

e della promozione della vita soprattutto al suo inizio e alla sua fine, sotto<br />

i vari profili: la cronaca, le scienze, il diritto, la politica, l’etica, la cultura,<br />

a livello nazionale, europeo e mondiale.<br />

La redazione di “Sì alla vita” è a Roma, presso la sede del<br />

Movimento per la Vita, in Lungotevere dei Vallati 2, cap 00186.<br />

Telefono 06.6831.1121, fax 06.686.5725;<br />

e-mail: siallavita@mpv.org.<br />

Abbonamento annuale € 18,00; sostenitore € 50,00.


Giugno<br />

8<br />

20<strong>13</strong><br />

Claudio Capretti<br />

“Immondo, immondo”, con la voce<br />

strozzata poco distante dalle<br />

mura della città, inizio ad urlare<br />

ciò che sono.<br />

Costretto a farlo per avvisare che<br />

un futuro cadavere o un simbolo<br />

ambulante del male, sta per varcare<br />

le porte della loro città, che<br />

calpesterà le loro strade, che passerà<br />

accanto alle loro case per<br />

elemosinare qualcosa.<br />

“Immondo, immondo”, ripeto nel<br />

mio avanzare, <strong>prova</strong>to nella peggiore<br />

delle sofferenze, la lebbra.<br />

Con il capo scoperto, le vesti strappate<br />

e la barba coperta come impone<br />

la Legge, avanzo per i vicoli<br />

della città. Intravedo la gente che<br />

si allontana da me che prendono in braccio i loro figli e scappano.<br />

Il rumore delle imposte e delle porte che si chiudono ancor<br />

prima ch’io mi accosti ad esse, precede il mio passaggio.<br />

Solo questo mi è concesso dalla gente di questo villaggio, non<br />

tutti giorni e solo per il tempo necessario per elemosinare qualcosa.<br />

Ho imparato a comprendere la paura e l’indifferenza di questa<br />

gente. Paura di essere contagiate oppure sfiorate divenendo<br />

a loro volta impure come me. Ma in altri momenti sono così<br />

prostrato dal mio dolore, dalla mia solitudine che vorrei dire ad<br />

ognuno di loro, in modo particolare a chi mi deride:<br />

” La mia lebbra è quella che vedi, ma tu sei mondo? Di quale<br />

lebbra è avvolto il tuo cuore? Io non difendo la mia lebbra, ma<br />

tu perché difendi e nascondi la tua puntando il tuo dito su di me?”.<br />

Ma qualora riuscissi a dirlo, mi ascolterebbero? E se facessero<br />

servirebbe a qualcosa?.<br />

Riprendo il mio avanzare ripetendo sempre: “Immondo, immondo”,<br />

tenendo stretto il mio bastone con una mano e una ciotola<br />

nell’altra per mendicare cibo.<br />

Perché Signore hai permesso questo nella mia vita? Dove eri<br />

quando il male mi ha preso con se?<br />

Dove sei in questo preciso istante? Non sono anch’io una tua<br />

creatura? Di quale colpa si è macchiata la mia anima per meritare<br />

tutto questo? La mia carne non è forse intrisa di anima e<br />

umida di Te come quella di ogni<br />

altro tuo essere umano?<br />

Ti parlo e non rispondi, grido<br />

di notte e non c’è rifugio per<br />

me; può un silenzio essere più<br />

assordante di questo?<br />

Con l’imbrunire torno in mezzo a<br />

coloro che sono come me, anche<br />

loro esclusi dalla comunità.<br />

Seduto a terra guardo il male che<br />

instancabilmente scava la mia pelle,<br />

impadronendosi oggi più di ieri<br />

del mio corpo.<br />

Gli occhi si inumidiscono di<br />

dolore, li alzo verso il cielo<br />

come a voler richiamare la tua attenzione<br />

su di me. Chino sul mio giaciglio<br />

prima che il sonno sopraggiunga<br />

il pensiero va a Te, Gesù<br />

di Nazaret.<br />

Da qualche tempo la tua fama ti precede di villaggio in villaggio,<br />

le belle notizie che si dicono di Te sono giunte persino in mezzo<br />

a noi reietti. Dicono che con il dito di Dio Tu scacci i demoni,<br />

che restituisci la vista a chi l’ha perduta, che i zoppi riprendono<br />

a camminare e addirittura che i morti al tuo comando tornano<br />

a vivere. Ma la cosa più bella che mi piace ricordare è che<br />

non disdegni la vicinanza degli gli impuri. Sarà vero quello che<br />

si dice di Te?<br />

Non riesco ad immaginare le tue fattezze ma di certo una persona<br />

che compie così tanto bene, deve essere bella nel volto<br />

perché bella nell’anima. So che domani Tu passerai per questa<br />

città che sicuramente compirai altri prodigi, come quelli che hai<br />

compiuto in altri luoghi dove sei passato.<br />

Se Tu riesci a compiere tutto ciò è segno che nulla ti è impossibile,<br />

che riuscirai anche a guarirmi, se lo vorrai, dalla lebbra<br />

che mi sta uccidendo. Entro di buon mattino in città, come un<br />

ladro mi nascondo in attesa che Tu passi per questa strada.<br />

Guardo la mia carne assediata da questo immondo male e sembra<br />

dirmi che non c’è speranza per me, eppure voglio credere il<br />

contrario e continuare a sperare.<br />

Riaffiora nel mio cuore le parole di un salmo che mai mi hanno<br />

abbandonato in questi anni e che mi ha preservato dalla disperazione.<br />

Infinite volte ho parlato a Te con le tue Parole dicencontinua<br />

nella pag. accanto


Giugno<br />

20<strong>13</strong><br />

9<br />

doti: “Ho sperato , ho sperato nel Signore ed egli su di me<br />

si è chinato”.<br />

Come vorrei che questa Parola divenisse carne nella mia vita,<br />

che questo mio confidare in Te non sia stato vano.<br />

Oggi Signore te ne prego, chinati anche su di me. Eccoti Signore,<br />

ti guardo accerchiato dalla folla, ognuno di loro ha qualcosa da<br />

dirti, ognuno di loro ha un dolore da consegnarti e Tu sembri mostrare<br />

attenzione per ognuno di loro. Ti rivolgi a loro come creature<br />

uniche, preziose ai tuoi occhi.<br />

Anch’io Signore sono tua creatura e avanzo verso di Te come<br />

un assetato che trova in Te la sorgente di acqua viva, che corre<br />

ad essa per dissetarsi.<br />

Non faccio caso alle bende che venendoti incontro cadono dal<br />

mio corpo, rendendo ancor più manifesto il mio essere immondo.<br />

Avanzo verso di Te, fissando lo sguardo solo in Te.<br />

Io impuro che oso costringere il Puro a posare il suo sguardo<br />

su di me. Ti mostro le piaghe che porto impresse nella mia carne,<br />

a Te rimetto ogni mia angoscia, mi prostro ai tuoi piedi e<br />

non esito a dirti:”Signore se tu vuoi, puoi purificarmi”.<br />

Come un corridore che dopo aver ultimato la sua corsa varca<br />

ansimante il suo traguardo, così è la sensazione che ora mi possiede.<br />

Sono a dinnanzi a Te Signore sul mio corpo è impressa<br />

la mia schiavitù e solo Tu, Gesù di Nazaret, se lo vuoi, puoi restituirmi<br />

la libertà. Mi guardi, forse un fremito di sdegno attraversa<br />

il tuo Spirito, sdegno nei confronti di un male che invade la<br />

vita di una delle tue creature, sdegno che si trasforma in compassione<br />

per la mia vita. Ti chini, non temi di avvicinarti, di toccare<br />

la mia carne malata.<br />

Mio Signore, da quanto tempo una creatura non mi tocca per<br />

paura di essere resa immonda e Tu invece non ti limiti a guardarmi<br />

o parlarli da lontano, ti fai mio prossimo, attraversi ogni<br />

barriera e vai oltre ogni precetto.<br />

Questa mia impurità non è per Te luogo di separazione, ma vuoto<br />

da riempire con la tua presenza. Già questo benefica il mio<br />

cuore, già questo tuo compatire<br />

con me spezza ogni<br />

mia solitudine. Si, da ora non<br />

sarò più solo. Tra lo stupore<br />

generale è ora è la tua voce<br />

a librarsi nell’aria: “Lo<br />

voglio, sii purificato”.<br />

Al tuo comando la lebbra<br />

abbandona il mio corpo, i solchi<br />

delle ferite si richiudono,<br />

guardo le mie mani tornare<br />

ad essere come erano<br />

un tempo. E solo ora comprendo<br />

che ogni cosa nella<br />

vita ha il suo tempo.<br />

C’è stato il tempo del dolore,<br />

ora è giunto il tempo della guarigione, e solo Tu divino taumaturgo,<br />

potevi compiere questa guarigione.<br />

C’è stato il tempo del silenzio della vergogna ora è giunto il tempo<br />

infrangere sia l’una che l’altra e Tu Signore, poni sulle mie<br />

labbra un nuovo canto.<br />

Sono venuto a Te piangendo portando il peso della mia impurità<br />

e del mio essere un escluso, un emarginato, ed ora invece<br />

torno cantando.<br />

Gli occhi si posano senza sosta tra me e Te, che sei venuto a<br />

liberarmi, che hai bruciato e consumato ogni mio male per forgiare<br />

una vita nuova. Come non renderti grazie Anima della mia<br />

anima, come non gridare al mondo che sei Tu il Messia così tanto<br />

atteso da Israele.<br />

Sei Tu il mio Signore che rivestito di umiltà vieni a noi e con la<br />

potenza del tuo sguardo, del tuo tocco e della tua Parola ci liberi<br />

da ogni male.<br />

Chi è grande come Te o Signore, al cui comando indietreggia<br />

ogni nostro nemico, ogni nostra sofferenza, che cinto di grazia<br />

vieni in mezzo a noi per riversare il tuo olio profumato del tuo<br />

amore, prendendo su di Te la puzza del mio male.<br />

Mi guardi e mi dici di non parlarne con nessuno ma non ne capisco<br />

il perché.<br />

Come farò a tenere nascosta una simile gioia, perdonami Signore,<br />

non potrò non gridare al mondo ciò che oggi hai operato nella<br />

mia vita. I pensieri si fermano, toccandomi ancora una volta mi<br />

fissi, sento che stai leggendo nel mio cuore la mia gratitudine,<br />

e amandomi mi comandi: “Va invece a mostrarti al sacerdote<br />

e fa l’offerta per la tua purificazione, come Mosè ha prescritto,<br />

a testimonianza per loro”.<br />

Nell’immagine del titolo: Il Lebbroso di Cafarnao,<br />

dalla Vita di Gesù, di James Tissot,<br />

1886-94 New York


Giugno<br />

10 20<strong>13</strong><br />

Katiuscia Cipri*<br />

In Africa si gira con le Toyota 4x 4…ovviamente<br />

chi se lo può permettere. Sono macchine<br />

robuste, con grandi ruote per passare<br />

sulle strade sterrate e ammortizzatori per<br />

sopportare le frequenti buche. All’aeroporto di<br />

Addis Abbeba, ci aspetta anche la “nostra” Toyota<br />

bianca, pronta a portarci ad Awassa. Cinque ore<br />

di viaggio tra villaggi, zone desertiche, piccole<br />

meraviglie naturalistiche, con gente sconosciuta<br />

affaccendata nei quotidiani impegni, che si ferma,<br />

ti saluta e sorride, augurandoti buon viaggio.<br />

Quando ti avvicini ad Awassa le strade diventano<br />

più popolate, gente che corre in ogni direzione,<br />

giovani intenti ad entrare a scuola o all’università,<br />

donne con piccoli in braccio e l’acqua<br />

sulla testa, uomini sopra carretti artigianali spinti<br />

da asini o cavalli.<br />

Un’immagine è rimasta impressa nella nostra<br />

mente. Proprio all’ingresso di Awassa, un<br />

cavallo bianco, molto magro, con evidenti ferite<br />

sul manto, sosta al centro della strada principale<br />

trasversalmente alle macchine. Carrozze<br />

e macchine lo schivano pericolosamente, ma<br />

lui non si muove, rimane in quella posizione in<br />

attesa del nulla. Gli occhi tristi fissano distanze<br />

lontane, ma lo sguardo è fermo, deciso. Chiedo<br />

a Saba, la responsabile del Centro Blein, perché<br />

il cavallo non si spostasse. Mi risponde che<br />

probabilmente stava aspettando la morte. Ma<br />

non ha padroni? Chiesi. È scappato? Mi rispose<br />

che sono i padroni che lo riducono così per<br />

poi abbandonarlo. Ho cercato di dominare la stretta<br />

al cuore, cercando di convincermi che non<br />

tutto potesse essere salvato e che fosse<br />

necessario capire la loro cultura. Ci avviciniamo<br />

al centro passando per l’università di Awassa.<br />

Conto almeno 5 carcasse di cavallo o asino lasciate<br />

a vista sul prato dei giardini che delimitano<br />

l’istituto. Le persone vi passano vicino senza preoccupazioni.<br />

Prima di giungere al centro troviamo<br />

almeno altri 3 cavalli disposti come il primo in<br />

attesa che tutto si compisse.<br />

La sorte degli asini non è differente. Usati per<br />

trasportare persone, o per trainare carretti vengono<br />

continuamente frustati, soprattutto sulle ferite<br />

aperte, derisi, fatti arrabbiare con bastoni e<br />

pietre. Perché questo? Indipendentemente da<br />

una cultura animalista spesso difficilmente trasferibile<br />

in paesi con enorme povertà, asini e<br />

cavalli danno lavoro ai loro proprietari, sostentamento<br />

per le loro famiglie, per i figli, gli consentono<br />

di muoversi. Invece di prendersene cura<br />

perché possano “rendere” di più, li sfiniscono<br />

fino alla morte per poi andare al mercato del bestiame<br />

e comprarne altri. Questa cultura di sopraffazione<br />

viene trasmessa anche ai bambini, soprattutto<br />

ai maschi che emulando i padri, frustano,<br />

picchiano e percuotono le bestie.<br />

I giorni passano al Centro e cerchiamo di<br />

capire il perché di molte contraddizioni, anche<br />

confrontandoci con Saba.<br />

Una delle cose che ti meraviglia è spesso<br />

l’incapacità di pensare al futuro: lavorare risparmiando<br />

soldi per i tempi peggiori, per costruire<br />

una famiglia, anche solo per non avere<br />

problemi il mese successivo. Trattare bene<br />

le cose che ci permettono di vivere.<br />

Essere proiettati al domani, per non farci<br />

trovare impreparati.<br />

Ai miei occhi, asini e cavalli possono essere<br />

il loro domani: per coltivare la terra e<br />

trasportare il raccolto, per portare i materiali<br />

di muratura, per accompagnare i figli<br />

a scuola o le mogli al centro. Perché non<br />

allevarli, non garantirgli cibo e acqua perché<br />

possano lavorare meglio? Saba ci raccontava<br />

che in un progetto sugli orti urbani uno dei problemi<br />

non era tanto quello della cura dell’orto<br />

e della raccolta, ma il convincere le donne, sicuramente<br />

più razionali e responsabili degli uomini,<br />

che occorreva seccare semente per avere<br />

l’orto anche l’anno successivo. Le donne si ritrovavano<br />

senza semi, senza orto e senza cibo,<br />

nella continua richiesta di aiuto.<br />

Può sembrare un discorso non opportuno, ma<br />

nel dare cibo e medicine per le urgenze, occorre<br />

insegnare come procurarsi il cibo, come curarsi,<br />

come pensare al domani.<br />

Qualcuno lo aveva già detto…<br />

L’asino è diventato quindi il simbolo di questo<br />

domani. Trattare bene l’asino o il cavallo significa<br />

comprendere il grosso aiuto che possono<br />

dare alla sostenibilità della famiglia e serbare<br />

il futuro trattando bene il presente. Un insegnamento<br />

da trasmettere anche e soprattutto ai piccoli, uomi-


Giugno<br />

20<strong>13</strong><br />

11<br />

Gaetano Sabetta<br />

“Il rumore di fondo della Bibbia incontra le culture, non va contro di<br />

esse, la Bibbia è dunque luogo di accoglienza dell’altro”.<br />

Con queste parole don Luigi Vari ha accolto, presso la sua parrocchia<br />

di Valmontone, i partecipanti al primo Corso di<br />

Formazione Missionaria organizzato dall’UMD, in vista della partenza<br />

per l’Etiopia del prossimo agosto. Universalità e particolarità nella<br />

grammatica biblica non sono “scelta esclusiva”.<br />

Diversamente, cogliere il respiro profondo del testo sacro significa tenere<br />

insieme i due movimenti, quasi come l’armonico alternarsi delle sistole<br />

e delle diastole nel battito cardiaco.<br />

Tutte le culture vengono colte ed accolte dalla Bibbia, pur nel dovuto discernimento.<br />

Essa si forma in un continuo dialogo creativo con l’alterità culturale<br />

e religiosa che incontra lungo il suo cammino. È così nel caso della<br />

religione dei patriarchi, dove il Dio El (plurale Elohim) evidenzia una<br />

continuità, pur nella novità,<br />

tra l’esperienza religiosa<br />

cananea e la rivelazione<br />

biblica. È la stessa atmosfera<br />

che si respira nel ciclo<br />

iniziale del testo biblico (Gn<br />

1-11), dove creazionedistruzione-nuova<br />

creazione<br />

sono riferiti all’intero<br />

cosmo e non certo ad<br />

una singola religione.Il<br />

Dio liberatore, quello dell’alleanza<br />

(berith), che ha<br />

creato l’identità d’Israele<br />

come popolo viene qui colto,<br />

in maniera retrospettiva,<br />

come il Dio creatore,<br />

il cui disegno d’amore si<br />

estende a tutto il creato e<br />

a tutta l’umanità, considerata come una sola famiglia. L’alleanza speciale<br />

d’Israele viene dunque calata nella più ampia alleanza noaica, quella cosmica,<br />

che è universale; questo colloca la storia d’Israele nel mezzo della<br />

storia di salvezza che Dio ha già esteso a tutta l’umanità.<br />

Alleanza, quella noaica, mai revocata, come ci ricorda Ireneo nel suo Adversus<br />

Haereses, richiamando le alleanze di Adamo, di Noè, di Abramo-Mosè<br />

e di Gesù-Cristo. È lo stesso filo rosso che spinge la tradizione profetica<br />

a spostare l’asse dal Dio, tribale, degli israeliti al Dio delle nazioni, e<br />

che fa scrivere ad Isaia: “Benedetto sia l’Egiziano mio popolo, l’Assiro<br />

opera delle mie mani e Israele mia eredità” (Is 19-19-23).<br />

Che dire poi dei libri sapienziali (Sapienza, Giobbe, Qoelet). Essi segnano<br />

in maniera indelebile l’incontro tra la religiosità israelitica e le tradizioni<br />

sapienziali del Vicino Oriente Antico.<br />

La Sapienza, frutto di quest’incontro, si presenta come persona che chiama<br />

gli uomini ad ascoltare ed imparare, che è fonte di giustizia e di equità,<br />

che è presente nella totalità della creazione, perché è accanto a Dio,<br />

come sicurezza, in principio (Pr 8). Essa è il “Verbo di Dio” e il “libro dell’alleanza<br />

del Dio altissimo” (Sir 24,1-32) e, infine il disegno (boulè) di<br />

Dio che media la sua conoscenza, poiché dove sta la Sapienza sta lo<br />

Spirito (Sap 9).<br />

Nel Nuovo Testamento, il Regno di Dio, ovvero la centralità di Dio nella<br />

missione di Gesù è l’orizzonte a partire dal quale egli si rivolge ai membri<br />

del popolo dell’alleanza ma anche agli stranieri, poiché “Dio non usa<br />

parzialità” (Dt 10,17), non “fa preferenze di persone” (Rm 2,12). Tutti i<br />

miracoli operati da Gesù a favore degli stranieri gli consentono di allargare<br />

la visione della salvezza, poiché mostrano che la fede che salva è<br />

operativa anche fuori dal recinto ebraico (Lc 7,9).<br />

La conferma definitiva che il Regno di Dio travalica ogni muro religioso<br />

è senza dubbio l’episodio nel quale i discepoli vogliono impedire a chi<br />

non appartenga al circolo di Gesù di scacciare demoni “nel suo nome”<br />

(Mc 9,38-39). La risposta di Gesù è chiara: “chi non è contro di noi è per<br />

noi”. Gesù-Cristo, dunque, oltrepassa le barriere di razza, cultura e religione<br />

nel corso della sua<br />

vita e a maggior ragione<br />

nella resurrezione (GS22)<br />

proiettando tutti noi nella<br />

“vera adorazione spirituale”<br />

(Gv 4,23).<br />

In tale luogo, l’ipocrisia,<br />

l’autorefenzialità, la vuota<br />

appartenenza religiosa,<br />

le cerimonie esteriori<br />

sono bandite a vantaggio<br />

della profondità spirituale,<br />

dell’interiorizzazione della<br />

legge così che possa<br />

diventare forza spirituale<br />

centrata nell’amore, come<br />

le Beatitudini chiaramente<br />

indicano.<br />

La tentazione di ritornare<br />

indietro sulla strada inaugurata dal Maestro è forte nell’esperienza delle<br />

prime comunità cristiane. Ci vorrà una vera e propria conversione di<br />

Pietro (At 10,1-48), che ancora riteneva di avere in bocca il punto di vista<br />

di Dio, per fargli scoprire, attraverso “la fede prima della fede” (Congar)<br />

del centurione romano, che “Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo<br />

teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto”<br />

(At 10, 34-35).<br />

Proprio quest’esperienza dello spirito porterà Pietro, nel Concilio di Gerusalemme,<br />

ad affermare che Dio: “non ha fatto nessuna discriminazione tra noi o<br />

loro [pagani], purificandone i cuori con la fede (At 15, 9); con ciò non solo<br />

affermando la non necessità di passare dall’ebraismo, attraverso la circoncisione,<br />

per diventare poi cristiano, ma soprattutto dichiarando che<br />

la fede non è esclusivo patrimonio degli ebrei e dei cristiani, ma è presente<br />

sempre laddove la giustizia di Dio si incarna nelle vite di ogni uomo<br />

e donna a qualsiasi cultura o religione egli o ella appartenga.<br />

segue da pag. 10<br />

ni e donne del domani. Così dopo esserci confrontate<br />

con Saba abbiamo deciso di portare al<br />

centro Blein due asini, un maschio ed una femmina.<br />

Presto al mattino ci siamo recate al mercato<br />

degli animali, abbiamo dato indicazioni al<br />

custode del centro che è partito alla ricerca.<br />

Chuky e Ronny sono entrati al centro con la meraviglia<br />

di adulti e bambini. I custodi del centro pensavano<br />

all’ennesima pazzia di Saba.<br />

Cosa fare con due asini? I bambini, stupiti e divertiti,<br />

hanno però iniziato a trattarli come era stato<br />

loro insegnato. Iniziava il nostro progetto: mostrare<br />

loro che occorreva prendersi cura dei due nuovi<br />

ospiti del centro, curarli, pulire il terreno, perché<br />

avrebbero collaborato nei numerosi lavori<br />

del centro! Abbiamo iniziato costruendo la stalla…non<br />

potevano rimanere sotto le intemperie!<br />

Abbiamo fatto uno schizzo, consegnato il progetto<br />

ai custodi e comprato il materiale.<br />

Diciamo che tra il progetto e la realizzazione ci<br />

passa un treno, ma la stalla è stata costruita in<br />

4 giorni! Ed ora attaccato alla parete c’è un cartello<br />

che ringrazia la nostra diocesi.<br />

Saba ci scrive di Chuky e Ronny stanno bene,<br />

tranne qualche normale acciacco. E iniziano a<br />

lavorare per il centro trasportando materiale, caricando<br />

mobili e portando in giro i bimbi.<br />

Certo, occorre ricordare che devono essere puliti,<br />

condotti in differenti zone del centro perché<br />

trovino erba fresca (sono diventati i tagliaerba<br />

ufficiali), legati con corde lunghe che non gli feriscano<br />

le zampe, ma a piccoli passi sta passando<br />

l’idea che il futuro si costruisce curando il presente!<br />

PS: Il Progetto Asini è stato finanziato dalla <strong>Diocesi</strong><br />

con 380 €: costo asini 180€, costo stalla 200€.<br />

*Dir. Ufficio Missionario Diocesano


Giugno<br />

12 20<strong>13</strong><br />

Elisa Simonetti<br />

Abbiamo bisogno<br />

Del cielo e della terra<br />

Del fiore e della luna<br />

Degli amici e degli alberi<br />

Abbiamo bisogno dei sogni<br />

Abbiamo bisogno di segni<br />

<strong>Segni</strong> eloquenti, <strong>Segni</strong> silenziosi<br />

<strong>Segni</strong> evidenti e solari<br />

<strong>Segni</strong> che non parlano<br />

<strong>Segni</strong> che ci raggiungono<br />

All’improvviso<br />

Quando nulla è programmato<br />

Abbiamo bisogno<br />

Della grazia di un incontro<br />

Che ci dischiuda<br />

Alla Grazia, all’ Eterno<br />

All’ Amore, alla vita che non muore<br />

Abbiamo bisogno di una luce<br />

Di un volto, di un faro<br />

Nelle tempeste quotidiane.<br />

Nicola Maroscia<br />

Due anni di servizio in Caritas (a Roma<br />

e nella nostra diocesi) mi hanno cambiato<br />

la vita, hanno rivoluzionato il mio<br />

modo di pensare, di approcciarmi all’altro e di<br />

comprenderlo. Ho scoperto i miei limiti, le mie<br />

insicurezze, le mie paure, inoltre ho compreso<br />

che ognuno è diverso, che ognuno ha la sua<br />

storia e che non va giudicato per essa. Ho capito<br />

che una semplice attenzione, un guardare negli<br />

occhi, un ascolto sono molto importanti per chi<br />

non ha niente e nessuno e per chi spera nell’incontro<br />

con l’altro.<br />

L’autore di questa poesia è un ospite della mensa<br />

romana “Giovanni Paolo II”, è un uomo che,<br />

come tanti, si è ritrovato a fare i conti con la vita,<br />

un uomo che spera e nello stesso tempo esprime<br />

la sua necessità.<br />

Quanti volti, quante storie simili a quella di Nicola<br />

si intrecciano in una struttura come la mensa!<br />

Basta poco per entrare in contatto con loro: un<br />

giorno di servizio e già ti chiedono quando tornerai<br />

la prossima volta, perché hanno piacere<br />

di incontrarti e di raccontarsi. A me è stata data<br />

l’opportunità di far conoscere questo mondo ai<br />

ragazzi delle scuole superiori e di far diventare<br />

questa, un’esperienza condivisa anche da giovani<br />

e docenti.<br />

Il progetto Giovani e Volontariato, Quando<br />

l’Impegno Si Fa Solidarietà nasce dall’esigenza<br />

della nostra Caritas Diocesana di allargare i propri<br />

confini, di entrare nelle scuole per far conoscere<br />

il mondo del Volontariato ai giovani. E’ un<br />

progetto estrapolato dal modello della Caritas<br />

di Roma, e realizzato grazie al supporto tecnico<br />

e morale di Gianni Pizzuti, responsabile del<br />

Settore Volontariato. Con questo progetto i ragazzi<br />

delle scuole superiori sono chiamati a prendere<br />

coscienza delle situazioni di disagio e di<br />

emarginazione, a comprenderne le cause, a ragionare<br />

sulla complessità della nostra società, scoprendo<br />

quali sono i valori e le spinte di cambiamento<br />

verso la solidarietà.<br />

Alla base vi è la fiducia nei giovani e negli adolescenti:<br />

essi possono diventare protagonisti del<br />

loro itinerario educativo sviluppando una maggiore<br />

conoscenza di se stessi e del mondo circostante.<br />

I ragazzi sono invitati a rendersi conto<br />

con i loro occhi di quanti e quali sono gli utenti<br />

che si rivolgono alla Caritas e presto si accorgono<br />

che le persone che vivono in una situazione<br />

di disagio sono molto vicine a loro, ma spesso<br />

la collettività li rende invisibili. Il percorso è<br />

strutturato in 4 incontri teorici in classe e<br />

due di servizio; infatti il progetto non prevede<br />

solo uno sguardo attento alla realtà<br />

ma anche un’azione concreta, lo<br />

“sporcarsi le mani” presso due strutture:<br />

la mensa della Caritas Roma (diurna o serale)<br />

e la nostra Casa Nazareth.<br />

Nei primi due incontri teorici si affronta il<br />

panorama della Caritas di Roma e i servizi<br />

che mette a disposizione, inoltre si ascoltano<br />

le testimonianze di una volontaria e<br />

di un ospite della mensa che si raccontano<br />

ai ragazzi. Negli altri due incontri in<br />

classe si mettono in evidenza le strutture<br />

e i servizi di cui dispone la nostra Caritas<br />

diocesana attraverso la visione di un video,<br />

soffermandoci in particolare sulla struttura<br />

di casa Nazareth.<br />

Le scuole che hanno aderito al progetto<br />

sono tre, il Liceo Scientifico “A. Landi” di<br />

<strong>Velletri</strong>, il Liceo “Mancinelli-Falconi” di <strong>Velletri</strong><br />

e l’ Istituto “P. L. Nervi” di Valmontone; sono<br />

state coinvolte 21 classi in tutto (circa 450<br />

ragazzi). Ad ogni classe è stato consegnato<br />

un “Diario di bordo”, un semplice<br />

quadernino dove appuntare dubbi, curiosità,<br />

ma anche sensazioni e emozioni vissute<br />

durante le ore di servizio.<br />

Dagli incontri compiuti emerge nei ragazzi<br />

un’idea sbagliata di Caritas, un’idea settoriale<br />

che la fa vedere agli occhi di molti come un’associazione<br />

che distribuisce pacchi viveri o vestiti,<br />

senza contare che la maggior parte dei giovani<br />

non sapevano, prima dei nostri incontri, dell’esistenza<br />

della Caritas nella nostra diocesi, né<br />

tanto meno delle strutture e dei servizi presenti.<br />

Per cui siamo fieri come Equipe di aver lanciato<br />

questo semino nel cuore di questi ragazzi,<br />

un semino che ha fatto toccare “il senso del<br />

vero e dell’umano”, che ha smantellato il pregiudizio,<br />

che ha suscitato meraviglia e ha fatto<br />

sì che questi ragazzi potessero diventare per<br />

alcune ore la famiglia dei nostri poveri.<br />

Vorrei concludere quest’articolo con le parole<br />

dei giovani che hanno aderito al progetto. Diamo<br />

voce ai nostri giovani, hanno bisogno di essere<br />

ascoltati e incoraggiati.<br />

Anche Papa Francesco spesso si rivolge a loro:<br />

«Cari giovani, non sotterrate i talenti, i doni che<br />

Dio vi ha dato! Non abbiate paura di sognare<br />

cose grandi! {…} Dio ci dà il coraggio di andare<br />

controcorrente. Non ci sono difficoltà tribolazioni,<br />

incomprensioni che ci devono far paura».<br />

Impegniamoci tutti a dare voce, spazio e<br />

continua a pag.<strong>13</strong>


Giugno<br />

20<strong>13</strong><br />

<strong>13</strong><br />

segue da pag. 12<br />

tempo ai nostri ragazzi, educhiamoli ad avere<br />

occhi vigili, orecchio allenato e mani pronte ad<br />

aiutare. Aiutiamo a far comprendere che il volontariato<br />

e la Caritas non è robba da vecchi!<br />

Per spiegare certe cose,<br />

c’è bisogno di un gesto.<br />

Stefano Dal Bianco<br />

“Ho posato una ciotola di sassi tra me e voi, sul<br />

pavimento. Vorrei parlare di questi sassi, ma non<br />

della loro forma o del loro colore, e nemmeno<br />

della loro sostanza o del loro peso. Vorrei parlare<br />

di questi sassi, ma prima vorrei essere sicuro<br />

di non essere frainteso.<br />

Per esempio, nemmeno del mio gesto mi posso<br />

fidare: forse è sembrato un gesto teatrale,<br />

magari fatto male, senza stile, ma pur sempre<br />

con dentro qualcosa di simbolico. Invece io non<br />

voglio questo. Io vorrei che tutta l’attenzione si<br />

concentrasse proprio sui sassi che stanno lì e<br />

al tempo stesso che questa fosse più simile a<br />

una poesia che a un monologo. E un’altra cosa<br />

non vorrei: che questa dei sassi fosse considerata<br />

una ‘trovata’; perché sarebbe vero solo in parte:<br />

io sono veramente preoccupato che noi non<br />

parliamo la stessa lingua, ed è così che ho scritto<br />

una poesia dimostrativa.<br />

Ma io sono preoccupato soprattutto in questo<br />

momento, ed è un momento, un attimo, in cui<br />

non voglio dimostrare niente, voglio solo andarmene<br />

contento, nella sicurezza di aver parlato<br />

con qualcuno, e che qualcosa sia successo.<br />

Non mi interessa se ciò che sto facendo<br />

sia vecchio o nuovo, bello o brutto, ma mi<br />

dispiacerebbe se fosse inteso come falso, e sto<br />

rischiando. Allora, vorrei che ci si concentrasse<br />

su quei sassi. Non perché siano importanti<br />

di per sé, e non perché siano un simbolo di qualcosa,<br />

ma proprio perché sono una cosa come<br />

un’altra: sassi. Hanno però delle qualità: sono<br />

visibili e toccabili, sono tanti e sono separati. Noi<br />

dobbiamo stare con i sassi. Sono una cosa del<br />

mondo. E dobbiamo cercare di capirli. È per questo<br />

che ho scritto una poesia che ha bisogno<br />

di un gesto e di un pensiero.<br />

Adesso io starei qualche secondo in silenzio,<br />

pensando ai sassi.”<br />

Racconto di una serata alla mensa<br />

Laura Russo<br />

14 Gennaio 20<strong>13</strong>, Caritas di Roma.<br />

C’era solo lo specchio di una mensa della Caritas<br />

e le voci pesanti di chi ti parla parole spazientite<br />

e rassegnate. Tutto intorno una corsa continua.<br />

Mani attente a dosare non solo il cibo e<br />

il contatto. In quel formicaio di persone, che è<br />

vita e famiglia, c’era il sorriso di Iuliano e le canzoni<br />

di Mario.<br />

«Conosco Claudio Villa ma posso cantarti anche<br />

qualcosa di più recente, non so, Lucio Battisti<br />

lo conosci?».<br />

Mario si presentò<br />

così, con un colpo di<br />

tosse a schiarire la<br />

voce, cantando a<br />

tutto cuore.<br />

Non appena finito continuò:<br />

«A casa ho una<br />

radio, la accendo<br />

ogni mattina perché<br />

mi fa compagnia.<br />

Amo la musica, anche<br />

quella moderna, quella<br />

che sentite voi giovani.<br />

Da quando mi<br />

è calata la vista non<br />

riesco più a leggere<br />

e la televisione mi mette<br />

tanta tristezza;<br />

così accendo la radio e ricordo. Mi vuoi chiedere<br />

come sto? Non chiedermelo, vedo tanti volontari<br />

ogni giorno e mentre sorridi, adesso, mi sento<br />

bene. Sì, sto bene. Lo sai quanti anni ho?<br />

Ne faccio 80 a <strong>giugno</strong> e sono di puro sangue<br />

romano, ho otto fratelli, saremmo dovuti essere<br />

dodici ma quattro sono morti alla nascita, ho<br />

cinque figli e dieci nipoti, il maggiore ha trent’anni<br />

e mi ha fatto diventare bis-nonno.<br />

Quasi non riesco a crederci: Bis nonno, mi sento<br />

così vecchio. Il più piccolo della famiglia si<br />

chiama Gabriele, ha 10 mesi».<br />

Davanti al suo petto, poggiato sul tavolo freddo<br />

forchetta e coltello nel piatto di plastica, una<br />

brocca d’acqua quasi vuota e le mani di Mario.<br />

«Lo sai? La mia famiglia mi<br />

ha promesso una grande festa<br />

per quando compirò ottant’anni.<br />

Rivedrò i miei figli e<br />

tutti i nipoti, ci pensi? Una<br />

festa. Per me».<br />

Mario è strepitoso, una<br />

memoria d’acciaio, tanta forza<br />

nelle gambe e nel cuore.<br />

Tutti i giorni, con metro<br />

e autobus, arriva alla mensa<br />

della Caritas di Ponte<br />

Casilino, dalla parte opposta<br />

di Rebibbia dove vive solo,<br />

solo come sarà il giorno del<br />

suo ottantesimo compleanno.<br />

L’ironia fa parte di Mario e<br />

dopo aver raccontato barzellette<br />

ed indovinelli inizia<br />

il suo racconto sulla guerra,<br />

una guerra che ha vissuto<br />

dai cinque ai dodici anni.<br />

La racconta con tono di eroe,<br />

intonazione perfetta di un<br />

anziano che ha toccato<br />

con mano quella parte di vita<br />

strappata dal nulla nei giorni<br />

vuoti della sua infanzia.<br />

C’era solo il sorriso di<br />

Iuliano e le canzoni di<br />

Mario in quel formicaio di vita,<br />

Era come vivere in un altro<br />

tempo con la consapevolezza<br />

che sarebbero serviti altri giorni<br />

per sentire quel freddo che ci salutava, imparare<br />

un’altra lingua, bussare a una porta socchiusa,<br />

entrare.<br />

E’ questo: è un semplice gesto con la mano, la<br />

si solleva fino al volto per poi stenderla verso<br />

chi la aspetta da sempre, in quel momento si<br />

fa il nostro dovere di uomini liberi, accendiamo<br />

delle luci nel buio per poi contarle, si cerca il<br />

bene nascosto al di là di un muro che solo rinunciando<br />

a tutti i muri brilla.<br />

Mattone su mattone si costruisce una casa, mattoni<br />

che esistono, spaccati con il sudore; mattoni<br />

che contano più delle parole e che come<br />

le parole si poggiano l’uno sull’altro in un bellissimo<br />

quadro di comunicazione.


Giugno<br />

14 20<strong>13</strong><br />

don Dario Vitali*<br />

Il punto di arrivo della fede cristologica sono<br />

le affermazioni dei grandi concili ecumenici<br />

del IV-V secolo – Nicea (325), Costantinopoli<br />

(381), Efeso (431), Calcedonia (451) –, durante<br />

i quali la Chiesa ha precisato e fissato i contenuti<br />

della fede cristiana.<br />

Qualcuno potrebbe obiettare: ma perché aspettare<br />

il IV secolo per definire queste dottrine? Non<br />

c’è il rischio di sovrapporre alla Parola di Dio la<br />

parola della Chiesa, esponendo la dottrina cristiana<br />

a una manipolazione di uomini? E perché<br />

dovrebbe essere la Chiesa a stabilire questa fede,<br />

se non lo hanno fatto gli Apostoli che hanno predicato<br />

la Buona Novella, e, più in radice, Cristo<br />

stesso, che è il Verbo eterno di Dio fatto carne,<br />

la Parola definitiva detta agli uomini, la Rivelazione<br />

e il Rivelatore a un tempo?<br />

Non deve la Chiesa rimanere alla Scrittura e alle<br />

sue affermazioni?<br />

È interessante che anche la Riforma protestante,<br />

che si fonda sul principio della sola Scriptura,<br />

giudicando la Tradizione come invenzione di uomini,<br />

ammetta i primi cinque – alcuni<br />

anche sette – concili (quelli<br />

elencati sono i primi quattro),<br />

parlando di consensus quinquesaecularis.<br />

Quei concili esprimono la<br />

coscienza profonda della<br />

Chiesa di custodire proprio la<br />

verità del Cristo annunciata nella<br />

predicazione apostolica e attestata<br />

dalle Scritture cristiane.<br />

Ma perché è possibile che la<br />

fede si chiarisca dopo così tanto<br />

tempo?<br />

In realtà, non si tratta di<br />

un’aggiunta, ma di una comprensione<br />

di ciò che è già contenuto<br />

implicitamente nelle<br />

Scritture, e che è stato necessario<br />

esplicitare di fronte a quanti<br />

mettevano a rischio la salvezza<br />

cristiana con interpretazioni<br />

distorte della figura e della missione<br />

di Gesù di Nazareth.<br />

A ben vedere, questo processo<br />

è già presente nella vita stessa<br />

di Gesù. Egli appare a quanti<br />

lo incontrano come un uomo:<br />

sicuramente un grande uomo,<br />

ma un uomo; sicuramente un<br />

profeta inviato da Dio, ma un<br />

uomo; forse il Messia, ma comunque<br />

un uomo.<br />

Pensare altrimenti sarebbe stata una bestemmia,<br />

perché nella fede di Israele Dio era il totalmente<br />

Altro e anche il totalmente Oltre, inaccessibile,<br />

trascendente: solo molto tardi, nel confronto<br />

con la filosofia greca, emergerà la questione delle<br />

mediazioni tra Dio e l’uomo, e si arriverà a parlare<br />

della Sapienza e della Parola come realtà<br />

divine che permettono l’incontro con Dio; diversamente,<br />

in antico, l’incontro tra Dio e Israele era<br />

garantito da uomini che Dio stesso costituiva come<br />

suoi mediatori: Mosè, Giosuè, Samuele, i re, i profeti,<br />

il sommo sacerdote. Soprattutto con Davide,<br />

sarà il re a ripresentare Israele presso Dio e Dio<br />

presso il popolo: nei salmi (cfr Sal 2. 109), il re<br />

è cantato come figlio adottivo di Dio, innalzato<br />

alla destra di Dio, come colui che ne esercita visibilmente<br />

il potere su Israele; ma è sempre chiaro<br />

che si tratta di un uomo che è innalzato a tale<br />

onore in ragione della funzione che svolge.<br />

La vicenda di Davide e dell’onore che gli è tributato<br />

è tanto più significativa, perché l’idea del<br />

Messia si forma a partire proprio dal discendente<br />

davidico, che avrebbe dovuto instaurare il<br />

Regno di Dio e realizzare la vittoria finale di Israele<br />

su tutti i popoli. Dunque l’attesa messianica, con<br />

tutte le sue diverse figure che Israele immaginerà<br />

durante la storia – il Messia davidico, il Profeta,<br />

il Sommo Sacerdote, il Servo di Jahweh, sono<br />

tutte figure di uomini innalzati alla sfera di Dio,<br />

investiti di un ruolo che li qualifica come uomini<br />

di Dio. La sola eccezione è quella della figura misteriosa<br />

delle visioni del profeta Daniele (cfr Dn 7),<br />

il quale presenta «sulle nubi del cielo, uno simile<br />

a un figlio di uomo; giunse fino al vegliardo e<br />

fu presentato a lui, che gli diede potere, gloria e<br />

regno; il suo potere è un potere eterno, che non<br />

tramonta mai, e il suo regno è tale che non sarà<br />

mai distrutto» (Dn 7, <strong>13</strong>-14). Ma anche qui, lo scandalo<br />

che provoca durante il processo il richiamo<br />

di Gesù a questa figura riguarda soprattutto il fatto<br />

che egli dichiari adempiuta in sé quella profezia,<br />

senza per questo determinare che egli sia<br />

il Figlio che viene da Dio, in quanto quella figura<br />

che appare nelle visioni notturne non viene da<br />

Dio, ma va verso Dio.<br />

In altre parole, nonostante che i capi lo processino<br />

e lo vogliano eliminare come un impostore e un<br />

bestemmiatore, Gesù afferma che Dio compirà<br />

il suo disegno sulla storia e instaurerà attraverso<br />

quel «figlio dell’uomo» umiliato e deriso la profezia<br />

del «Figlio dell’uomo» che sta alla presenza<br />

di Dio e riceve da lui potere, gloria e il regno, che<br />

non sarà mai distrutto.<br />

Durante la vita di Gesù,<br />

questo interrogativo emerge<br />

nelle due domande che<br />

riguardano la sua persona e<br />

la sua missione, la prima sulle<br />

labbra degli altri: «chi è mai<br />

costui?» (Mc 4,41); la seconda<br />

posta da Gesù stesso ai<br />

suoi discepoli: «voi, chi dite<br />

che io sia?» (Mc 8,29).<br />

La professione di fede di Pietro<br />

chiarisce che Gesù è considerato<br />

il Messia. Ancora<br />

dopo la resurrezione, essi<br />

domandano se «è questo il<br />

tempo in cui instaurerai il regno<br />

d’Israele» (At 1,6).<br />

Solo dopo l’evento di Pentecoste<br />

– quindi, solo per la luce dello<br />

Spirito – essi possono comprendere<br />

che «quel Gesù» che<br />

i capi hanno condannato e ucciso,<br />

Dio non lo ha lasciato «nelle<br />

angosce della morte»,<br />

ma lo ha risuscitato e lo ha<br />

costituito «Signore e Cristo»<br />

(At 2,35).<br />

Si capisce in questa prospettiva<br />

perché san Paolo dica che<br />

«nessuno può dire: “Gesù è<br />

il Signore” se non sotto l’azione<br />

dello Spirito» (1Cor 12,3).<br />

Cristo davanti a Caifa,1617 ca., Gherardo delle Notti, Londra, National Gallery.


Giugno<br />

20<strong>13</strong><br />

15<br />

I SANTI DELL’ANNO DELLA FEDE / 6<br />

Stanislao Fioramonti<br />

MARIA DEL CARMEN SALLES<br />

Y BARANGUERAS<br />

Èuna santa catalana, nata<br />

a Vic (Barcellona) il 9<br />

agosto 1848.<br />

Studiò a Manresa nel Collegio delle<br />

suore della Compagnia di Maria,<br />

vivendo in pieno l’epoca e il clima<br />

spirituale della proclamazione<br />

del dogma dell’Immacolata<br />

Concezione.<br />

Sognava un istituto di educatrici<br />

che facessero vita monastica,<br />

e provò alcuni istituti – in particolare<br />

le Terziarie Domenicane<br />

dell’Annunziata, con le quali<br />

restò per un ventennio - senza giungere alla professione definitiva,<br />

finché nel 1892 fondò la Congregazione delle Religiose Concezioniste<br />

di S. Domenico, nella città di Burgos e con l’appoggio del vescovo<br />

locale.Le sue suore si chiamarono in seguito Religiose Concezioniste<br />

Missionarie dell’Insegnamento, per la formazione integrale della donna,<br />

e le sue scuole e istituti si diffusero prima in Spagna e poi anche<br />

in Italia, Estremo Oriente, Africa e Americhe.<br />

Suor Maria del Carmen morì a Madrid il 25 luglio 1911; fu beatificata<br />

nel 1998 da Giovanni Paolo II, che la descrisse in questo modo:<br />

“Consacrata all’educazione femminile, superò molte difficoltà, considerandosi<br />

‘uno strumento inutile nelle mani di Maria Immacolata’;<br />

si impegnò in progetti audaci maturati nella preghiera e nel consiglio<br />

di persone ben formate, ripetendo con ferma fiducia: ’Avanti, sempre<br />

avanti, Dio provvederà’. Donna piena di valore, la madre Carmen<br />

fondò la sua vita e la sua opera su una spiritualità cristocentrica e<br />

mariana alimentata da una pietà solida e discreta. Il suo carisma<br />

concezionista, segno dell’amore del Signore per il suo popolo, continua<br />

ad essere vivo oggi nella testimonianza delle sue figlie che,<br />

come missionarie nelle scuole e nei collegi, lavorano con impegno<br />

evangelizzando a partire dall’insegnamento”. Fu proclamata santa<br />

da Benedetto XVI nel 2012, che il giorno della canonizzazione<br />

in Piazza S. Pietro (21 ottobre) l’ha ricordata con queste<br />

parole:“Donaci, Signore, il tuo amore: in te speriamo”. Con queste<br />

parole, la liturgia ci invita a fare nostro questo inno a Dio creatore<br />

e provvidente, accettando il suo progetto nella nostra vita. Così fece<br />

santa Maria del Carmelo Sallés y Barangueras, religiosa nata a Vic,<br />

in Spagna, nel 1848. Ella, vedendo realizzata la sua speranza, dopo<br />

molte vicissitudini, contemplando lo sviluppo della Congregazione<br />

delle Religiose Concezioniste Missionarie dell’Insegnamento, che<br />

aveva fondato nel 1892, poté cantare insieme con la Madre di Dio:<br />

“Di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli<br />

che lo temono”.<br />

La sua opera educativa, affidata alla Vergine Immacolata, continua<br />

a portare frutti abbondanti in mezzo alla gioventù mediante l’impegno<br />

generoso delle sue figlie, che come lei si pongono nelle mani<br />

del Dio che tutto può”.<br />

Il 25 maggio 20<strong>13</strong> a Palermo è stato<br />

proclamato beato DON PINO PUGLISI,<br />

parroco del popolare quartiere Brancaccio<br />

del capoluogo siciliano, assassinato a<br />

colpi d’arma da fuoco dalla mafia, davanti<br />

alla sua casa, il 15 settembre 1993,<br />

giorno del suo 56° compleanno.<br />

Elementi decisivi per accelerare il<br />

processo canonico sono stati i verbali<br />

del processo penale agli assassini del<br />

sacerdote palermitano, utilizzati dal postulatore mons. Vincenzo Bertolone,<br />

arcivescovo di Catanzaro, come <strong>prova</strong> della sua uccisione in odio<br />

alla fede. Un metodo che servirà anche per la causa di mons. Oscar<br />

Arnulfo Romero, l’arcivescovo di San Salvador colpito sull’altare<br />

mentre celebrava la messa il 24 marzo 1980.<br />

Papa Francesco ha deciso infatti di accelerare la conclusione del<br />

suo processo di beatificazione comunicando tale decisione al postulatore<br />

mons. Vincenzo <strong>Pag</strong>lia, presidente del Pontificio Consiglio<br />

per la Famiglia. Tre grandissime figure di sacerdoti stanno dunque<br />

per ricevere il riconoscimento ufficiale delle loro virtù cristiane; ai<br />

primi due infatti, che hanno testimoniato la fede con il martirio, si<br />

deve aggiungere mons. Tonino Bello, vescovo di Molfetta, che in<br />

questi giorni è stato ricordato un pò ovunque nel ventennale della<br />

sua scomparsa.<br />

segue da pag. 14<br />

Se da una parte si esprime la convinzione che<br />

è lo Spirito a guidare i discepoli «alla verità tutta<br />

intera» (Gv 16,<strong>13</strong>), dall’altra si proclama la prima<br />

e più elementare professione di fede – un soggetto<br />

e un predicato – che tuttavia contiene in<br />

nuce tutta la verità su Cristo. “Signore” – Kyrios<br />

in greco – è termine che i LXX (i traduttori della<br />

Bibbia in greco) riservavano rigorosamente a Dio.<br />

Questo significa che Gesù di Nazareth riceve, con<br />

la sua resurrezione, un titolo che nella tradizione<br />

ebraica apparteneva rigorosamente a Dio; il<br />

fatto poi che al linguaggio sulla resurrezione si<br />

accosti quello sull’ascensione, tipico delle liturgie<br />

di intronizzazione del nuovo re, associato al<br />

padre nell’esercizio del potere, aiuta a capire che<br />

Gesù il Cristo è colui che, per la sua obbedienza<br />

filiale, è glorificato dal Padre e ne compartecipa<br />

il potere.<br />

Il prologo della Lettera ai Romani comprende questo<br />

come adempimento delle promesse relative<br />

«al Figlio suo [di Dio], nato dalla stirpe di Davide<br />

secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza<br />

secondo lo Spirito di santificazione mediante<br />

la resurrezione dai morti, Gesù Cristo nostro<br />

Signore» (Rm 1,3-4).<br />

Questo non significa che Gesù sia un uomo adottato<br />

come Figlio di Dio, ma che è il Figlio che,<br />

avendo assunto la condizione di uomo, oltretutto<br />

umiliato «fino alla morte, e alla morte di croce»<br />

(cfr Fil 2,6-8), non è rimasto in quella condizione,<br />

ma è stato esaltato alla destra del Padre<br />

e «ha ricevuto un Nome – quello di “Signore”,<br />

appunto – che è al di sopra di ogni altro nome»<br />

(Fil 2,9-11). Questo Nome implica anche l’esercizio<br />

dello stesso potere del Padre. In che cosa<br />

consiste tale potere?<br />

Naturalmente, se il potere del Padre è su tutto,<br />

anche quello del Figlio sarà su tutto; ma, più direttamente,<br />

il Nuovo Testamento si riferisce al potere<br />

di donare lo Spirito, che fa nuove tutte le cose.<br />

Tutto il Nuovo Testamento mostra quella che, con<br />

formula felice, possiamo chiamare «dilatazione<br />

cristologica»: dal mistero pasquale di morte<br />

e resurrezione, si afferma anzitutto che egli<br />

è «il giudice dei vivi e dei morti» che viene a<br />

mettere fine a questo ordine di cose e a instaurare<br />

definitivamente il Regno; che è il nuovo<br />

Adamo, il primogenito tra molti fratelli, l’inizio<br />

di una nuova umanità nell’ordine dello Spirto<br />

e non della carne; che è il Verbo eterno del Padre,<br />

che era con lui dall’eternità, Dio lui stesso, che<br />

nella pienezza del tempo si è fatto carne per<br />

la nostra salvezza. Tutte queste affermazioni<br />

sono altrettante tappe di una comprensione sempre<br />

più profonda della persona e della missione<br />

di Gesù di Nazareth.<br />

Non si tratta di addizioni alla verità iniziale, ma<br />

– come ho detto – di una comprensione a un<br />

livello sempre più profondo dell’evento-Cristo,<br />

tesa a salvaguardare i due termini irrinunciabili<br />

della sua identità: il suo essere veramente<br />

Dio e il suo essere veramente uomo; se uno<br />

dei due termini è negato, risulta compromessa<br />

la salvezza dell’uomo. Sarà questo il criterio<br />

che guiderà la Chiesa si fronte alle eresie,<br />

quando dovrà stabilire la regola della fede.<br />

*Teologo, Ordinario alla P.U.G. di Roma


Giugno<br />

16 20<strong>13</strong><br />

a cura di Stanislao Fioramonti<br />

ANNO 2005<br />

I martiri: 25, 1 vescovo (Luigi Locati in Kenya),<br />

17 sacerdoti, 2 religiosi, 3 religiose (tra cui<br />

suor Dorothy M. Stang), 1 laico.<br />

I luoghi del martirio: Africa 9, America 11,<br />

Asia 2, Europa 2.<br />

Suor Dorothy Mae Stang, 73 anni, nata negli<br />

USA e naturalizzata brasiliana, della Congregazione<br />

di Notre Dame, è stata brutalmente uccisa la mattina<br />

del 12 febbraio con tre colpi di pistola alla<br />

testa in una località a 40 km dal comune di Anapu,<br />

nella zona occidentale dello stato amazzonico<br />

del Para in Brasile.<br />

Lo stato del Parà, grande quattro volte l’Italia e<br />

con poco più di 6 milioni di abitanti, è un punto<br />

nevralgico della sfida di trafficanti di legname,<br />

latifondisti e altri speculatori contro le misure<br />

protettive del governo brasiliano.<br />

Da più di 20 anni suor Dorothy era impegnata<br />

nella Commissione per la Pastorale della Terra<br />

(CPT), accompagnando con fermezza e passione<br />

la vita dei campesinos, specie quelli del<br />

Parà. Per aver più volte denunciato l’azione<br />

violenta dei fazendeiros<br />

e dei grileiros, fin dal 1999<br />

aveva ricevuto minacce<br />

di morte.<br />

Anche il 9 febbraio,<br />

una settimana prima di<br />

essere uccisa, aveva presentato<br />

una denuncia<br />

pubblica per le minacce<br />

di morte ricevute.<br />

Come riconoscimento del<br />

suo lavoro in favore dei<br />

più poveri, nel 2004 ricevette<br />

il titolo di “Cittadina<br />

di Parà” e per il suo impegno<br />

in difesa dei diritti<br />

umani le era stato assegnato<br />

il premio “Josè<br />

Carlos Castro” dell’Ordine<br />

degli Avvocati del Brasile,.<br />

L’assassinio della missionaria<br />

è stato l’11° compiuto in 12 mesi nello<br />

stato del Parà, dove gli “speculatori<br />

dell’Amazzonia”, giunti anche da lontano come<br />

dal sud del Brasile, tentano di sostituirsi con la<br />

violenza e il terrore alle istituzioni. Ma il sacrificio<br />

di suor Dorothy non è stato vano.<br />

Le autorità si sono impegnate per realizzare la<br />

riforma agraria di quelle terre, contro gli interessi<br />

delle grandi multinazionali e dei latifondisti.<br />

Il 16 agosto a Taizé in Francia è ucciso a coltellate<br />

da uno squilibrato fratel Roger Schutz,<br />

90 anni, protestante svizzero, fondatore e priore<br />

di quella comunità ecumenica.<br />

Quattro i testimoni italiani<br />

24 marzo, Luanda,<br />

Angola:<br />

MARIA BONINO,<br />

52 anni, medico<br />

pediatra, volontaria<br />

laica del<br />

CUAMM di<br />

Padova (Biella,<br />

9 dicembre 1953).<br />

Vedi Ecclesìa, aprile<br />

2009, p. 4.<br />

14 luglio, Isiolo, Kenia:<br />

mons. LUIGI LOCATI, 76 anni, vescovo titolare<br />

di Zica e Vicario Apostolico di Isiolo, nel nord<br />

del Kenia (Vinzaglio, Vercelli 1928). E’ stato ucciso<br />

davanti ad un Centro pastorale del Vicariato,<br />

vittima di un agguato mentre rientrava nella sua<br />

abitazione dopo una visita pastorale. Da 40 anni<br />

prestava servizio in Kenya, dove si era recato<br />

come prete fidei donum della diocesi di Vercelli,<br />

e stava per lasciare il suo incarico per raggiunti<br />

limiti d’età. Viveva in un ambiente molto povero<br />

e semplice, e anche quando divenne<br />

Vescovo conservò sempre il suo stile di vita.<br />

Mons. Locati da tempo aveva ricevuto minacce<br />

alla sua vita, per questo la sera si muoveva<br />

con due guardiani. Poco prima della morte ebbe<br />

a dire: “Sono un semplice missionario che ha<br />

scelto di evangelizzare promuovendo l’educazione<br />

tra i giovani di Isiolo”.<br />

La sua morte è il pegno per il fecondo cammino<br />

di tutta la Chiesa che è in Kenia. Il suo brutale<br />

assassinio ha suscitato profonda tristezza,<br />

ma anche gratitudine per la sua generosa testimonianza<br />

evangelica.<br />

Padre Eugenio Ferrari, direttore nazionale delle<br />

Pontificie Opere Missionarie del Kenya, ha affermato:<br />

“Mons. Locati è stato un grande pioniere<br />

nella sua diocesi. Io lo conobbi quando arrivai<br />

per la prima volta in Kenya e m’impressionò<br />

la semplicità della sua abitazione e come conosceva<br />

la sua gente. Era una persona retta e onesta<br />

che ha sempre difeso la giustizia”.<br />

2 settembre, Blumenau, Brasile:<br />

don GIUSEPPE BESSONE, 62 anni, fidei donum<br />

della diocesi di Pinerolo (Bricherasio, TO 1943).<br />

E’ stato ucciso nella notte, nella sua casa parrocchiale<br />

di S. Antonio, da un ragazzo di 16 anni,<br />

arrestato dalla polizia, che dopo essere stato accolto<br />

in casa dal sacerdote, lo avrebbe poi colpito<br />

con un coltello, rimanendo anch’egli ferito, probabilmente<br />

nel tentativo di rapinarlo.<br />

Don Giuseppe era stato ordinato sacerdote il 25<br />

<strong>giugno</strong> 1967. Dopo aver esercitato per alcuni anni<br />

il suo ministero nella diocesi di Pinerolo, nel 1975<br />

era partito per il Brasile, assumendo l’incarico<br />

di viceparroco nella parrocchia di Nostra<br />

Signora della Gloria in Blumenau.<br />

continua nella pag. accanto


Giugno<br />

20<strong>13</strong><br />

17<br />

mons. Franco Risi<br />

L’evangelista Luca, con la vicenda dei<br />

discepoli di Emmaus (Lc 24, <strong>13</strong>-35), vuole<br />

insegnarci che Gesù è risorto, è vivo,<br />

è presente nel mondo; e vuole soprattutto educare<br />

la nostra fede alla centralità della frazione<br />

del pane. In questo gesto, che Gesù compie durante<br />

l’ultima cena, ma anche di fronte ai discepoli<br />

di Emmaus, è racchiuso il senso stesso della<br />

nostra fede: la frazione del pane è infatti il sacrificio<br />

supremo di Cristo che ogni domenica si ripete<br />

ancora per la salvezza del mondo.<br />

Come afferma Anselm Grün, «nello spezzare il<br />

pane si evidenzia il fatto che Gesù non ha vissuto<br />

solo per se stesso, ma che egli si è spezzato<br />

per noi durante tutta la sua vita per trasmetterci<br />

se stesso e il suo amore [...]. Nello spezzare il<br />

pane, noi diamo espressione al nostro desiderio<br />

profondo che ci sia qualcuno che esiste solo<br />

per noi, ed esista per noi in maniera tale da prendere<br />

le nostre difese al punto da amarci fino a<br />

morire» (A. Grün, L’eucaristia – Trasformarsi e<br />

diventare una cosa sola).<br />

Allo stesso modo, anche noi oggi, alla luce di quanto<br />

affermato, siamo chiamati a spezzarci per condividere<br />

quanto di bello abbiamo con il prossimo<br />

e così imitare Gesù.<br />

Anche noi purtroppo, nel corso della nostra vita,<br />

come i discepoli di Emmaus, siamo distratti da<br />

preoccupazioni e problemi effimeri che ci allontanano<br />

da Cristo, i nostri occhi spesso sono impediti<br />

a riconoscerlo (cfr. Lc 24, 16); Egli, però, cammina<br />

al nostro fianco sta a noi impegnarci a riconoscerlo<br />

ogni giorno soprattutto nella frazione del<br />

pane domenicale. Ciò che è celebrato in chiesa<br />

sull’altare viene concretizzato nella fedeltà con<br />

cui adempiamo ai nostri doveri quotidiani: in famiglia,<br />

sul lavoro o nella comunità dove viene continuato,<br />

con l’aiuto dello Spirito Santo, il sacrificio<br />

dell’altare e il quale si prolunga così nella vita<br />

di tutti i giorni. Come ha fatto ad Emmaus, Gesù<br />

accompagna anche noi oggi nel nostro cammino<br />

e, soprattutto, rimane con noi nella sera della<br />

nostra vita. Solo attorno a quello spezzare il<br />

pane che Gesù ci ha donato riusciremo a trovare<br />

l’unità dei veri figli di Dio. Egli continua ancora<br />

oggi a camminare al fianco dell’umanità intera,<br />

si fa presente per aiutarci a superare la sfiducia<br />

e la delusione, come fece con i due discepoli:<br />

«Che cosa sono questi discorsi che state facendo<br />

tra voi lungo il<br />

cammino?»(Lc<br />

24, 17). Gesù li<br />

rimprovera per la loro durezza di<br />

cuore, e, per mezzo delle Scritture,<br />

spiega loro il senso della sua sofferenza,<br />

una sofferenza gloriosa e<br />

fonte di salvezza: «Stolti e lenti di<br />

cuore a credere in tutto ciò che hanno<br />

detto i profeti! Non bisognava<br />

che il Cristo patisse queste sofferenze<br />

per entrare nella sua gloria?»(Lc<br />

24, 26).<br />

Dobbiamo dunque ammirare il<br />

comportamento buono di Gesù, che<br />

si fa compagno di viaggio dei due<br />

discepoli senza fiducia e senza speranza.<br />

Essi infatti, afflitti commentano:<br />

«Noi speravamo che egli fosse<br />

colui che avrebbe liberato<br />

Israele; con tutto ciò, sono passati<br />

tre giorni da quando queste cose<br />

sono accadute»(Lc 24, 21).<br />

A questo punto lo sconosciuto fa<br />

come se dovesse andare oltre, ma<br />

i due insistono per trattenerlo,<br />

perché il loro cuore arde all’ascolto<br />

delle sue parole. Da ciò capiamo<br />

che le Scritture conducono a Cristo<br />

e Lui le illumina, perché ne è l’interprete<br />

definitivo. Gesù riesce a ricapitolare<br />

in sé tutte le cose proprio<br />

grazie al sacrificio della croce che<br />

poi ha donato al mondo per mezzo<br />

di un elemento semplicissimo:<br />

un pezzo di pane. Ecco allora la rivelazione<br />

presente nel Vangelo: appena i discepoli<br />

arrivarono alla loro casa, durante la cena, Gesù<br />

spezzò il pane e lo diede loro. In quel momento<br />

«si aprirono i loro occhi e lo riconobbero. Ma<br />

egli sparì dalla loro vista» (Lc 24, 30).<br />

Dalla lettura di questo Vangelo, possiamo dunque<br />

certamente essere confortati dal dato storico<br />

della risurrezione di Gesù; ma è solamente<br />

con l’amore e la fede che Lo possiamo incontrare<br />

e riconoscerlo come vero Figlio di Dio.<br />

Quindi non potrà mai bastare solo la ragione a<br />

farci credere alla sua risurrezione: l’unica interpretazione<br />

della risurrezione è la fede, solo in essa<br />

l’uomo può comprendere la straordinarietà di questo<br />

evento. Grazie alla fede scopriamo che la risurrezione<br />

ha elevato Gesù verso il Padre, e anche<br />

noi, tramite Gesù, siamo elevati e ricondotti al<br />

Padre grazie alla promessa della vita eterna.<br />

Questo amore noi lo possiamo rafforzare con<br />

l’ascolto della Parola di Dio e con la partecipazione<br />

amorevole allo spezzare del pane in ogni<br />

assemblea domenicale. Come i discepoli di Emmaus<br />

che dall’incontro personale con Gesù uscirono<br />

rinnovati interiormente, così anche noi dobbiamo<br />

imitare il loro cammino e attingere dal pane<br />

spezzato la forza di amare tutti coloro che incontriamo<br />

sulla nostra strada.<br />

Questa straordinaria pagina evangelica ci rivela<br />

che la Parola contenuta nelle Scritture,<br />

l’Eucaristia e la comunità parrocchiale sono i luoghi<br />

privilegiati della presenza del Risorto.<br />

L’immagine salvifica di Cristo che spezza il pane<br />

di fronte ai discepoli di Emmaus, è dunque per<br />

noi, cristiani di oggi, invito alla condivisione, all’unione<br />

e alla fraternità.<br />

La società odierna forse soffre di uno spietato<br />

individualismo proprio perché non sa più spezzarsi<br />

per il bene del prossimo, non sa donare né<br />

condividere e ne perdonare. Resta con noi, Signore,<br />

nelle difficoltà della nostra vita, perché possiamo<br />

riconoscerti nello spezzare il pane e testimoniarti<br />

ai fratelli.<br />

segue da pag. 16<br />

Divenne successivamente parroco di Nostra Signora di<br />

Fatima in Joinville, di S. Ines in Indasal e infine di S. Antonio<br />

in Blumenau. Era da poco tornato da un periodo di riposo<br />

trascorso in Italia.<br />

12 settembre, Owando, Congo Brazzaville:<br />

p. ANGELO REDAELLI OFM (nella foto a sinistra) , 40<br />

anni, (Turate, VA 1965), della Provincia dei Frati Minori<br />

della Lombardia, è stato ucciso dalla folla il 12 settembre<br />

2005, dopo aver involontariamente investito e ucciso<br />

una bambina in un villaggio a una trentina di chilometri<br />

da Owando, nel settore centrosettentrionale del Congo<br />

Brazzaville. P. Angelo era da due anni in missione in Congo<br />

e si era subito ben inserito nella comunità locale.<br />

Negli ultimi mesi operava soprattutto nella parrocchia di<br />

Mekua, che si trova a nord di Owando e non lontano dalla<br />

zona dove sono avvenuti i tragici fatti. Egli operava soprattutto<br />

a favore dei bambini di strada, nel campo della sanità<br />

e della catechesi. È stato ucciso proprio quando si stava<br />

recando in una scuola per catechisti.


Giugno<br />

18 20<strong>13</strong><br />

don Ettore Capra<br />

La natura, in <strong>giugno</strong>, intona l’estivo suo canto<br />

nelle messi piene di forza vitale, evocate<br />

dal testo (siriaco?) della Didaché, riprodotto,<br />

nel rinnovato rito della Messa, in luogo<br />

dell’antico offertorio, che, incuranti dell’imminente<br />

mietitura paiono, con l’ondeggiare sereno,<br />

voler insegnare che solo nel sacrificio generoso<br />

potranno mutarsi nel pane che nutre chi<br />

percorre la terra e nell’azzimo che placa chi abita<br />

i Cieli.<br />

In questa danza di messi rivedo le processioni<br />

del Corpus Domini nelle campagne, espressioni<br />

di fede dei nostri avi e della loro speranza,<br />

che il Signore, passato un giorno a spigolare<br />

con gli apostoli nei campi, ed ora ugualmente<br />

presente nei veli del Sacramento, si degnasse<br />

di benedire la terra.<br />

Cesare Angelini, sacerdotale cometa di delicata<br />

profondità spirituale per molti letterati del<br />

“secolo breve”, di <strong>giugno</strong> scrive nel suo<br />

“Zodiaco” 1 :<br />

“Se il fico intenerisce il ramo, dite<br />

che l’estate è vicina...” e <strong>giugno</strong> arriva.<br />

Densi colombi ombrano la riva<br />

del Lambro, ebbri del fiore della vite.<br />

Se biade bionde ondeggiano granite<br />

tal che ogni campo oro circoscriva,<br />

cresce il bene del vivere, s’avviva<br />

la fiducia alla Sua presenza mite.<br />

Giugno, mese virile, età perfetta<br />

dell’anno, che recessi ombrosi accampi<br />

tra l’entusiasmo dei tuoi luoghi soli;<br />

plaudono balenando i primi lampi<br />

e la nitida nuova cicaletta<br />

lima il silenzio ai piedi dei quercioli.<br />

Ma è il suo commento alla sequenza della Messa<br />

del Corpus Domini che mi permetto di proporre<br />

di seguito per questo mese eucaristico:<br />

…L’inno si apre con impeto, quasi torrente in<br />

piena:<br />

Lauda Sion Salvatorem<br />

Lauda ducem et Pastorem<br />

In imnis et canticis.<br />

Notare che San Tommaso, qui e negli altri inni<br />

eucaristici (l’ufficiatura del Sacramento è sua)<br />

abbandona la metrica quantitativa ed inaugura<br />

l’accentuativa o ritmica, con la prima comparsa<br />

della rima.<br />

Nel Lauda Sion 2 è già presente l’ottonario italiano;<br />

e in questo rinnovamento metrico, come<br />

nella evoluzione o trasformazione della lingua,<br />

la Chiesa è all’avanguardia.<br />

L’inno continua con slancio, con perizia entusiastica:<br />

Quantum potes, tantum audes<br />

Quia maior omni laude<br />

Nec laudare sufficis<br />

Anche in funzione di poeta, San Tommaso non<br />

può dimenticare se stesso teologo e<br />

loico;<br />

e la prima parte dell’inno è un trattatello che riassume<br />

la dottrina intorno alla presenza reale, e<br />

le figure antiche che l’hanno simboleggiata, e<br />

i miracoli che realizza, e le condizioni per riceverla,<br />

e gli effetti che peroduce.<br />

Par di vederlo, il professore della Sorbona, mentre<br />

muove le tre dita della destra, come nei ritratti,<br />

quasi continuando le Quaestiones della Summa<br />

col famoso respondeo quod…:<br />

Dogma datur Christianis<br />

Quod in carnem transit panis<br />

Et vinum in sanguinem.<br />

Quod non capis, quod non vides,<br />

animosa firmat fides,<br />

praeter rerum ordinem.<br />

Caro cibus, sanguis potus,<br />

manet tamen Christus totus<br />

sub utraque specie.<br />

Poesia dogmatica in tono espositivo; quasi formule<br />

di disquisizione. Ma la schiettezza del sentimento<br />

e la fede animosa e la popolare precisione<br />

del linguaggio sollevano le parole in una<br />

vibrazione lirica autentica mettendo lo spirito in<br />

contatto col Mistero.<br />

Il dogma diventa fede, canto, luce. Certo, molte<br />

cose sono esteriori, più del ritmo e della rima,<br />

come in talune strofe rotonde e un po’ rumorose.<br />

Ma ci sono momenti di fresca grazia poetica;<br />

è difficile cantare l’ineffabile con più umana<br />

commozione:<br />

Ecce panis angelorum<br />

Factus cibus viatorum,<br />

vere panis filiorum<br />

non mittendus canibus.<br />

Anche la strofa si è allungata da tre a quattro<br />

versi, sotto l’ispirazione più piena; e le rime si<br />

fanno più fitte e festose intorno alla vericontinua<br />

a pag.19


Giugno<br />

20<strong>13</strong><br />

19<br />

segue da pag.18<br />

tà: quasi chiari campanelli che accompagnano<br />

la danza nell’odorosa festa d’estate illuminata<br />

di frumenti e di fieni. Sul finire, ogni sonorità si<br />

vela; diventa intima e ardente preghiera; la strofa<br />

si allunga anche di più, e la rima incalzante<br />

ha una sua funzione di suggestione:<br />

Bone pastor, panis vere,<br />

Iesu nostri miserere:<br />

tu nos pasce, nos tuere,<br />

tu nos bona fac videre<br />

in terra viventium.<br />

L’inno non è tutto un’esaltazione del divino banchetto<br />

che il maestro ci ha imbandito quaggiu?<br />

Ed è giusto che si chiuda con l’augurio che tutti<br />

i fedeli si ritrovino un girno raccolti intorno al<br />

banchetto celeste:<br />

Tu qui cuncta scis et vales.<br />

Qui nos pascis hic mortales,<br />

tuos ibi commensales<br />

coeredes et sodales<br />

fac sanctorum cicium.<br />

La sequenza mi ricorda un quadro, ci sia o non<br />

ci sia il pittore, l’abbia io visto o l’abbia appena<br />

sognato. La sua musica esiste in me. Dice<br />

dell’uomo Elia, l’Ulisside dei profeti, che è in giro<br />

per la terra alla maniera sua, senza pane e con<br />

una sete aridissima.. dorme in non so qual parte<br />

del continente atlantide, che è la bibbia. Dorme<br />

e sogna. Gli vien giù, prima vicino poi lontano,<br />

una gran musica d’acque. Lo risveglia con fragorosi<br />

salti:<br />

Sit laus plena sit sonora,<br />

sit iucunda, sit decora<br />

mentis iubilatio.<br />

Il profeta si guarda attorno e, d’un tratto, lampeggia<br />

un sorriso crdile. Trova sotto il suo capo<br />

il pane del pellegrino:<br />

Ecce Panis angelorum<br />

factus cibus viatorum…<br />

ne gusta, ne pregusta:<br />

vere panis filiorum…<br />

e ha un movimento di collera stupenda:<br />

non mittendus canibus!<br />

L’acqua ancora balza e precipita fra sassi:<br />

In figuris presignatur,<br />

cum Isaac immolatur,<br />

Agnus Paschae deputatur<br />

Datur manna patribus…<br />

Così, per un pezzo. Fin che il cuore è tutto in<br />

gioia, e la gran sete è spenta. Poi, su una distesa<br />

di acque crespoline, un velo perlato, un tremito<br />

di flauto:<br />

tu qui cunta scis et vales,<br />

qui nos pasces hic mortales…<br />

Rinfrancato dal viatico, il profeta cammina verso<br />

il deserto, verso il Cielo.<br />

Amen. Alleluia.<br />

1 C. Angelini, Il piacere della memoria, Milano,1977.<br />

2<br />

C. Angelini, I doni del Signore, Milano,1970.


Giugno<br />

20 20<strong>13</strong><br />

don Gaetano Zaralli<br />

Mentre le chiese si svuotano, vengono<br />

cercate nuove forme di spiritualità alla<br />

periferia del cristianesimo. Buddismo<br />

e induismo, per esempio, offrono alle giovani<br />

generazioni, da tempo ormai, materiale e tecniche<br />

che aiutano a venir fuori dalla confusione<br />

e dall’agitazione, restituendo alle proprie esperienze<br />

qualcosa che va oltre il limite di una coscienza<br />

finita. E’ doloroso constatare che pochissimi<br />

sacerdoti sono in grado di presentare la ricca<br />

tradizione mistica del cristianesimo come sorgente<br />

di rinascita.<br />

Quando nel passato vi è tanto poco a cui aggrapparsi<br />

e pel futuro tanto poco da aspettarsi, ciò<br />

che può dare significato alla vita deve essere<br />

sperimentato al presente. Aveva ragione Papa<br />

Benedetto XVI quando parlava di “atrofia spirituale<br />

dell’uomo moderno”. A modo suo richiamava<br />

le coscienze ad un cammino che sapesse<br />

riportare nel proprio cuore lo spessore del<br />

trascendente. Ma nulla accadrà di nuovo, se<br />

le persone addette ai lavori, pur avendo una<br />

preparazione accurata, non sono abbastanza<br />

libere di aprire un varco entro i confini restrittivi<br />

della normale disciplina, di quella che nel<br />

tempo può diventare, anzi, è diventata stantia.<br />

Quando Papa Francesco, rivolgendosi ai giovani,<br />

li invita con forza ad andare controcorrente,<br />

provo dentro di me un sussulto.<br />

Quante volte nella vita di un qualsiasi cristiano<br />

s’è creata l’esigenza di rompere con tradizioni<br />

vecchie che, pesanti come zavorra,<br />

impedivano e impediscono ancora cammini diversi<br />

dalle solite devozioni che assecondano, purtroppo,<br />

più le voglie di un paradiso certo che<br />

non il rischio di confondersi con lo scandalo di<br />

chi “andando controcorrente”, appunto, propone<br />

soluzioni “altre” per una chiesa “altra”.<br />

Ho <strong>prova</strong>to dentro di me un sussulto speranzoso<br />

alle parole di Papa Francesco, come se<br />

da queste mi venisse la certezza di un probabile<br />

cambiamento all’interno della<br />

stessa Chiesa, di quella Chiesa non<br />

più avvezza a misurarsi con una<br />

umanità che mostra ormai una faccia<br />

diversa. E’ bello invogliare i giovani<br />

a misurarsi con esperienze<br />

che rompono gli schemi abituali,<br />

però, portare queste giovani forze<br />

a contrastare le acque scroscianti<br />

del torrente, significa anche invitarli<br />

a “cantare fuori del coro”…<br />

e chi si esibisce negli “assoli”, in<br />

genere, rischia di diventare eroe<br />

e gli eroi subiscono inevitabilmente<br />

il sacrificio estremo. E’ facile rivolgersi<br />

ai giovani, ricordando loro che<br />

alle mode dell’effimero va sostituito<br />

l’interesse per ciò che è essenziale…<br />

Meno facile è chiedere loro,<br />

sempre nello spirito dell’andare controcorrente,<br />

la gestione delle<br />

cose sacre in modo più vicino a<br />

chi spera in Dio; è meno facile pretendere da<br />

loro un atteggiamento critico e costruttivo che<br />

incida più profondamente sulle scelte che le gerarchie<br />

sfornano di tanto in tanto nella solitudine<br />

di chi deve esercitare un potere. La Chiesa con<br />

Papa Francesco non è più l’isola felice, dove<br />

il credente si addormenta tranquillo, sognando<br />

verità annunciate e sottoscritte, senza il condimento<br />

di riflessioni che ne maturino l’accettazione.<br />

Con Papa Francesco l’autoritarismo si sbriciola<br />

e diventa servizio; l’indottrinamento cieco e irresponsabile<br />

diventa presa di coscienza e voglia<br />

di esserci; la severità delle leggi cede il passo<br />

all’accoglienza sincera e alla misericordia che<br />

in Dio non trova limiti.<br />

Un tempo si inneggiava alla Verità e nella sua<br />

assolutezza si tracciavano i confini dell’appartenenza,<br />

si decideva, financo nei dubbi, chi fosse<br />

il reprobo da condannare e chi al contrario<br />

il prediletto da salvare… Ed era solenne l’”anatema<br />

sit” che si scagliava senza indugio contro<br />

chi nelle idee e nei comportamenti si manifestava<br />

non ubbidiente… Al presente, temo, non<br />

sia cambiato un gran che attorno alla superbia<br />

di essere possessori della unica verità, anche<br />

se nei risvolti delle argomentazioni si cerca di<br />

offrire più spazio all’esercizio di una certa libertà<br />

interiore… Già, la libertà… La libertà è nella<br />

verità, si diceva; e anche l’amore deve essere<br />

nella verità si aggiungeva, quando nel groviglio<br />

di soluzioni che rasentavano il tanto deprecato<br />

relativismo si cercava di raggiungere un<br />

pacato giudizio morale. E, se la libertà e l’amore<br />

sono nell’esperienza umana frutto di un cammino<br />

guidato dalla Grazia, è giusto che la stessa<br />

verità si trovi sbriciolata lungo le strade di<br />

quell’amore. Libertà e amore non sono ancelle<br />

della verità, ma insieme sono il<br />

Padre, il Figlio e<br />

lo Spirito<br />

Santo. E così, come Dio che è dentro di noi sbaracca<br />

la misura della nostra recettività, anche<br />

l’Amore, la Libertà e la Verità, se accolte da una<br />

coscienza generosa, rompono i limiti della razionalità<br />

e si librano con vigore in un atto di fede.<br />

E’ difficile, però, compiere atti di fede in solitudine,<br />

si fa necessaria, se non indispensabile,<br />

perciò, la presenza viva di altri con cui confrontarsi,<br />

di altri con cui fare COMUNITA’.<br />

Si assapora il gusto dello stare insieme come<br />

avvenimento straordinario, solo quando si percepisce<br />

che qualcosa è là ad aspettarci…<br />

E le voci si intrecciano allora e diventano le une<br />

eco delle altre… nel celebrare il mistero delle<br />

cose vere. Celebrare seriamente significa vivere<br />

l’attimo e riconoscere che c’è qualcosa che<br />

deve essere “visibile” nelle persone che partecipano,<br />

e “concreto” nei problemi che le stesse<br />

portano con sé. Ciò significa essere presenti<br />

nel presente… significa essere in grado di intercettare…<br />

intercettare… Torno or ora da una breve<br />

passeggiata e il cuore mi batte per l’emozione.<br />

Una ragazza mi si è fatta in contro col<br />

sorriso che sa di confidenziale:<br />

- Sono la biondina che qualche tempo fa ti offrì<br />

un caffè sulla strada…<br />

- Come sulla strada!…<br />

- Sì, sulla strada, non ricordi? Venivo dal Bar<br />

e sul cabaret portavo delle tazzine di caffè per<br />

le mie colleghe. Ti vidi triste e mi venne spontaneo<br />

offrirtene una…<br />

L’ho abbracciata e baciandola le ho sussurrato<br />

il mio “Grazie!”. Non sapevo come concludere<br />

questo pezzo, ora so: la trasparenza della<br />

ragazza che quel giorno intercettò la mia tristezza<br />

col sapore amaro d’un caffè, oggi ha celebrato<br />

in semplicità l’antica amicizia.<br />

Nell’immagine: particolare di un’opera di Boyko Kolev


Giugno<br />

20<strong>13</strong><br />

21<br />

Stanislao Fioramonti<br />

Camillo Ruini lo ha consacrato nella Basilica<br />

Lateranense. Il 28 gennaio 2006 fu chiamato<br />

a succedere a<br />

mons. Andrea M.<br />

Erba nella sede<br />

suburbicaria di<br />

<strong>Velletri</strong>-<strong>Segni</strong>.<br />

Nell’ambito della<br />

Conferenza<br />

Episcopale Italiana<br />

mons. Apicella è<br />

membro della<br />

Commissione per<br />

i problemi sociali,<br />

il lavoro, la<br />

giustizia e la pace.<br />

Anche in questa<br />

veste la sera di<br />

sabato 27 aprile<br />

ha presieduto nella<br />

Collegiata di Valmontone la veglia di preghiera<br />

del mondo del Lavoro, organizzata dalla<br />

Commissione diocesana per la pastorale<br />

Nato a Napoli il 22 gennaio 1947 da<br />

famiglia di Maiori (Costiera Amalfitana),<br />

Vincenzo Apicella si trasferì a<br />

Roma a 5 anni, nel 1952, e dopo avervi frequentato<br />

le scuole fino al liceo classico, è entrato<br />

in seminario nell’Almo Collegio Capranica<br />

(1965-72). Decisiva per la sua formazione spirituale<br />

e la sua vocazione sacerdotale è stata<br />

la figura di don Nino Miraldi, prima parroco<br />

a Roma e poi missionario fidei donum in<br />

Brasile, morto a Nova Iguazu nel 1990 a soli<br />

60 anni.<br />

Licenziato in Filosofia e Teologia alla<br />

Gregoriana, don Vincenzo fu ordinato sacerdote<br />

il 25 marzo 1972 e per i successivi 24<br />

anni ha lavorato nelle parrocchie romane, prima<br />

come viceparroco nei quartieri Appio-Latino<br />

e Pineta Sacchetti, poi come parroco alla<br />

Garbatella (1986-96).<br />

Il 19 luglio 1996 papa Giovanni Paolo II lo<br />

ha eletto vescovo ausiliare di Roma e il 14<br />

settembre successivo il cardinal Vicario<br />

sociale e il lavoro, Giustizia e Pace, Custodia<br />

del Creato. Nello stesso giorno ha concluso<br />

con una celebrazione serale la sua settimana<br />

di visita pastorale nella parrocchia valmontonese<br />

di S. Maria Maggiore, dopo che nelle settimane<br />

precedenti l’aveva svolta<br />

nelle altre due parrocchie<br />

del paese.<br />

Indetta con suo decreto<br />

del 4 aprile 2012, la<br />

prima visita pastorale di<br />

mons. Apicella alla diocesi<br />

di <strong>Velletri</strong>-<strong>Segni</strong> è<br />

iniziata il 27 gennaio a<br />

Montelanico. Nei mesi<br />

successivi ha visitato<br />

Gavignano, le due parrocchie<br />

di <strong>Segni</strong>, le tre<br />

di Artena e, nel mese di aprile,<br />

le tre di Valmontone. In maggio<br />

sarà a Lariano, poi dopo l’estate sarà la<br />

volta di Colleferro e infine di <strong>Velletri</strong>.<br />

La conclusione della Visita è prevista per febbraio<br />

2014.<br />

Una visita pastorale diocesana serve a<br />

conoscere in maniera più dettagliata e<br />

approfondita tutte le situazioni umane e sociali<br />

di una parrocchia, di una comunità, di un<br />

continua a pag. 22


Giugno<br />

22 20<strong>13</strong><br />

centro abitato, per<br />

adeguare l’azione pastorale<br />

a queste situazioni<br />

e cercare di assistere,<br />

se non risolvere, quelle<br />

più difficili.<br />

La visita pastorale<br />

insomma è un atto d’amore<br />

del pastore, il<br />

Vescovo, verso il suo gregge, la<br />

sua gente. Così ad esempio nella<br />

sua ultima settimana a Valmontone<br />

il vescovo, accolto in piazza<br />

Giusto de’ Conti dal Commissario,<br />

dalla popolazione e dalla banda<br />

comunale, ha incontrato i ragazzi<br />

di tutte le scuole, del catechismo, dell’ACR,<br />

quelli che quest’anno faranno la Cresima, i<br />

giovani e giovanissimi, i catechisti e gli animatori,<br />

i malati, gli anziani, gli operatori della<br />

Caritas parrocchiale e del Volontariato<br />

Vincenziano, i religiosi (Figlie della Carità, suore<br />

dell’Immacolata, Frati Minori), il gruppo “Figli<br />

in cielo”, il Terz’Ordine Francescano, i<br />

Neocatecumenali, i volontari della Croce Rossa,<br />

i politici e chiunque avesse richieste o proposte<br />

da fargli, persino i due cori parrocchiali<br />

(quello giovanile e quella degli adulti), che hanno<br />

cantato<br />

per lui nelle<br />

messe di<br />

apertura e di<br />

chiusura della<br />

Visita.<br />

Tutte le realtà<br />

parrocchiali<br />

si sono presentate<br />

a lui,<br />

con i loro<br />

pregi e difetti<br />

e con tanta<br />

voglia di<br />

migliorare; e<br />

il vescovo,<br />

alla fine della<br />

settimana,<br />

nella riunione con il Consiglio Pastorale<br />

Parrocchiale ha potuto dichiarare che questa<br />

visita gli ha permesso finora di conoscere<br />

soprattutto gli aspetti positivi delle parrocchie<br />

(quelli negativi già li conosceva), in particolare<br />

un laicato ovunque numeroso e convinto<br />

e una popolazione generosa che lo ha sempre<br />

accolto splendidamente (l’aggettivo è il<br />

suo).<br />

Oggi che questo importante evento è giunto<br />

a metà strada, e<br />

dopo la conoscenza di<br />

quasi tutta l’ex diocesi di<br />

<strong>Segni</strong>, con questa intervista<br />

che il vescovo ci ha<br />

concesso prima di lasciare<br />

Valmontone proviamo<br />

a tentare un primo bilancio,<br />

a verificare i primi risultati.<br />

E. Come prima cosa,<br />

don Vincenzo, le chiediamo<br />

un’impressione<br />

generale della Visita<br />

dopo circa metà impresa;<br />

in particolare, quale elemento<br />

considera più incoraggiante, e<br />

quale più preoccupante di quanto<br />

ha conosciuto?<br />

V. Mi considero, senza esagerazione,<br />

il Vescovo più fortunato del<br />

Lazio, per avere una diocesi che<br />

è ancora molto uniforme.<br />

Il suo territorio è tutto facilmente<br />

e velocemente praticabile; le parrocchie<br />

sono relativamente poche<br />

(appena 27) ma in gran parte piuttosto<br />

consistenti; e il clero è<br />

almeno culturalmente omogeneo,<br />

essendo composto da elementi tutti<br />

italiani, mentre nelle diocesi anche vicine<br />

gli stranieri (africani, latinoamericani e anche<br />

asiatici) cominciano ad essere sempre di più.<br />

E’ un clero che appare impegnato e coinvolto<br />

nell’opera pastorale e che non sembra<br />

mostrare aspetti legati alla sua “solitudine”,<br />

perché, mi sembra molto sostenuto soprattutto<br />

dal laicato.<br />

Detto questo, posso dire che l’aspetto più preoccupante<br />

per me è la presenza limitata dei giovani<br />

nelle parrocchie.<br />

Nonostante gli sforzi di parroci e collaboratori,<br />

dopo una certa età è difficile attrarre i<br />

ragazzi più o meno “grandi” in chiesa, e questo<br />

è un compito che tutti dovremo affrontare.<br />

L’aspetto più incoraggiante invece, in ogni<br />

parrocchia, è quello dato dalla presenza di<br />

un bel gruppo di laici disponibili all’impegno<br />

pastorale e sociale, laici che al momento mi<br />

sembrano ancora “sottoutilizzati”, nel senso<br />

che appaiono pronti fin d’ora ad assumersi<br />

responsabilità più grandi.<br />

E. Restringendo l’analisi alle tre parrocchie<br />

di Valmontone, che cosa le piace di<br />

più e che cosa di meno della vita ecclesiale<br />

cittadina?<br />

V. A Valmontone la problematica maggiore è<br />

la mancanza di collaborazione tra le parrocchie.<br />

Nonostante un laicato preparato, come ho detcontinua<br />

nella pag. accanto


Giugno<br />

20<strong>13</strong><br />

23<br />

to, non si riescono a trovare modi<br />

per percorsi comuni.<br />

I motivi possono essere vari: disabitudine<br />

al lavoro d’équipe; scarsa<br />

“mobilità” dei parroci, presenti<br />

da tantissimi anni, e possibile<br />

“congelamento” delle situazioni;<br />

incapacità di incanalare le grosse<br />

potenzialità presenti nel paese, e<br />

altro.<br />

E’ chiaro che si può superare l’ostacolo<br />

solo allargando la visuale<br />

della singola parrocchia, mediante<br />

scelte meno localistiche, aperte<br />

alla società e al mondo.<br />

E. Oggi lei conclude la visita alla<br />

parrocchia di S. Maria Maggiore;<br />

che impressione ne riporta?E che<br />

vorrebbe suggerirci?<br />

V. La parrocchia è molto viva ed<br />

è stata in grado nel corso degli anni<br />

di fare non soltanto la pastorale sacramentale,<br />

con la “dottrina” in preparazione<br />

alla Prima Comunione,<br />

alla Cresima e al Matrimonio, ma<br />

anche pastorale più avanzata,<br />

realizzata tramite i gruppi di catechesi,<br />

la importantissima realtà del<br />

campeggio estivo, l’oratorio, i<br />

gruppi famiglie ecc.<br />

Ovvio che S. Maria Maggiore è l’erede<br />

storica dell’opera di tanti sacerdoti<br />

ed educatori che nei secoli hanno<br />

operato a Valmontone, anche<br />

se attualmente – per lo spopolamento<br />

del Centro storico – è<br />

diventata la più piccola delle tre parrocchie<br />

del paese.<br />

Il mio invito a tutti i suoi operatori<br />

è di aprirsi a una maggiore corresponsabilità.<br />

Io dico sempre<br />

che le parrocchie (e le diocesi) non<br />

sono i preti (e i vescovi) che le reggono,<br />

ma sono i laici che ci vivono;<br />

preti e vescovi infatti prima o<br />

poi passano, i laici invece vi<br />

restano sempre, o quasi.<br />

Insomma, occorre superare il clerico-centrismo<br />

ancora prevalente.<br />

E inoltre,<br />

non disperdiamo<br />

energie<br />

nelle varie diramazioni<br />

della<br />

attività pastorale.<br />

Non c’è<br />

una pastorale giovanile, una familiare,<br />

una missionaria eccetera.<br />

La pastorale è una, e mira<br />

a educare tutta la società, anche<br />

se da vari punti di vista.<br />

E. Quale messaggio vorrebbe<br />

lanciare alla diocesi, a metà<br />

della sua visita?<br />

Qual’è il suo obiettivo episcopale?<br />

Sente che lo sta realizzando?<br />

V. Il messaggio: intensificare<br />

i rapporti interparrocchiali;<br />

creare nuovi spazi per i laici;<br />

entrare maggiormente nelle problematiche<br />

culturali e sociali<br />

del mondo; approfondire i<br />

contatti con le altre religioni,<br />

in particolare quelle (ortodossa<br />

e musulmana) professate<br />

dai nuovi immigrati nel nostro<br />

Paese.<br />

Quanto al mio scopo di vescovo,<br />

mi sono proposto di lavorare<br />

affinché in ogni parrocchia<br />

si crei una opportunità di<br />

incontro personale con la<br />

Parola di Dio, preferibilmente<br />

come viene proclamata dalla<br />

Chiesa durante l’anno liturgico.<br />

In altri termini, dovremmo<br />

fare riferimento al Vangelo domenicale<br />

ed enfatizzarlo in tutti<br />

i gruppi, oltre che nelle messe.<br />

Sono convinto però che nel<br />

confronto con la Parola non saremo<br />

poi noi a spiegarla, ma è<br />

Essa che si spiega a noi, che<br />

ci indicherà cosa fare.


Giugno<br />

24 20<strong>13</strong><br />

Mons. Luigi Vari*<br />

Piena di festa è stata l’accoglienza<br />

di tante famiglie,<br />

giovani e ragazzi,<br />

la mattina della Domenica 21 aprile;<br />

un’accoglienza di famiglia, senza nessuna<br />

ufficialità, visto che la città è commissariata,<br />

non per la prima volta, e mai<br />

la tristezza di questa condizione, si è toccata<br />

con mano come questa volta.<br />

La mancanza di possibilità di incontri istituzionali,<br />

ha comunque favorito da<br />

subito il carattere della familiarità. L’incontro<br />

con le scuole, materna, sia quella del<br />

Melograno che della scuola pubblica: elementare<br />

e media per la cordiale collaborazione<br />

dei dirigenti, degli insegnanti<br />

e di tutto il personale, si è rivelato da<br />

subito come un momento prezioso della<br />

visita, soprattutto se si ricorda come<br />

quest’incontro fosse stato negato a mons.<br />

Erba nell’ultima visita pastorale. In fondo,<br />

veder rimossi incomprensibili steccati,<br />

è un elemento di speranza, un bel<br />

messaggio di unità, che gli adulti hanno<br />

offerto ai più piccoli.<br />

Si è instaurato un dialogo fra i ragazzi<br />

e il vescovo, che ha mostrato una comunità<br />

viva, preparata e, soprattutto internazionale,<br />

interconfessionale e interreligiosa.<br />

Un esempio meraviglioso di apertura<br />

mentale, di disponibilità al dialogo,<br />

che questi ospiti del nostro paese ci danno<br />

, impegnati con tutti gli altri, grazie<br />

all’impegno dei loro bravissimi insegnanti,<br />

in tutte le attività della scuola, prima fra<br />

tutte quella musicale.<br />

Vorrei dire a tante famiglie che vedono<br />

questa diversità di culture come un problema,<br />

che è, invece una straordinaria<br />

opportunità e di non scegliere di privare<br />

i bambini della scuola vera, magari,<br />

per inseguire esperienze artificiali.<br />

L’immagine, che meglio descrive questo<br />

incontro è quello di tre bambini musulmani,<br />

che, dal balcone di casa loro, qualche<br />

giorno dopo la visita, hanno visto il vescovo<br />

passare, lo hanno riconosciuto e salutato come<br />

vecchi amici. Intensa e piena di amicizia è stata<br />

la visita alla Chiesa dei santi Andrea e Stefano,<br />

che la diocesi ha ceduto alla chiesa ortodossa romena;<br />

siamo stati accolti come fratelli e il sacerdote<br />

ortodosso, padre Josif Ciontu, ha voluto accompagnare<br />

il vescovo alla successiva visita al centro<br />

anziani, dove si è respirata tanta cortesia<br />

e cordialità.<br />

Altre immagini sono legate agli incontri i con<br />

i giovani , i giovanissimi, gli educatori e gli<br />

animatori; incontri intensi perché non solo<br />

occasione di presentazioni, ma anche di condivisione<br />

e di preghiera.<br />

Non è possibile riportare le istantanee di tutti<br />

gli incontri e i momenti, nemmeno elencare<br />

quanti avrebbero avuto piacere di un<br />

incontro, ma non si è trovato lo spazio per<br />

realizzarlo; ma certo la visita ai malati e agli<br />

anziani nelle loro case, è stata certamente<br />

quella che meglio ha espresso il senso della<br />

visita del vescovo, che è chiamato a confermare,<br />

incoraggiare e sostenere i cristiani<br />

della sua Chiesa.<br />

Ho apprezzato molto il modo di stare del vescovo<br />

con tutte queste persone, è vero che è<br />

nella sofferenza che ci si dimostra amici.<br />

Di quelle persone mi preme ricordarne una,<br />

Silvana, che ha fatto tanto per la Parrocchia,<br />

soprattutto per la Chiesa di Santo Stefano;<br />

da molto tempo ammalata, si era aggravata<br />

già all’inizio di Marzo, l’ultima benedizione<br />

qualche ora prima di morire, l’ha ricevuta<br />

Vescovo.<br />

Nello spazio di una settimana si alternano<br />

tante cose, così è stato in questa visita, che<br />

ha incrociato la vita normale della Parrocchia<br />

e delle persone che ne fanno parte, proprio<br />

come quando una persona amica ti viene<br />

a trovare e tu, comprendendo che in ogni<br />

ospite, ma soprattutto nel Vescovo, c’è il Signore<br />

sei contento e cerchi di far comprendere che<br />

la visita è gradita.<br />

Spero insieme a tutti, alle persone che si sono<br />

impegnate e che ringrazio, che il Vescovo<br />

si sia sentito ospite gradito.<br />

*parroco S. M. Maggiore<br />

in Valmontone<br />

Le foto qui pubblicate, riguardanti la Visita Pastorale nella Collegiata di S. Maria Maggiore in Valmontone<br />

sono state fatte e gentilmente concesse da PANTAPHOTO Valmontone, di Bruno Pantalon.


Giugno<br />

20<strong>13</strong><br />

25<br />

Sara Calì<br />

Forse è la particolare conformazione del territorio che come<br />

un’eco fa rimbalzare suoni e profumi dal paese alla valle sottostante,<br />

ma da maggio in poi da qualunque strada si arrivi,<br />

Artena è identificata dall’aria profumata. Sono i profumi della primavera.<br />

Non vi è orto o giardino, anche il più piccolo, che non ospiti rose,<br />

gelsomini, “ali d’Angelo”, gigli, garofani, contornati dalle acacie, che abbondano<br />

in tutto il territorio e creano un “sottofondo” costante, come ad avvertire<br />

e introdurre le feste dell’estate. Tradizione e spiritualità si intrecciano<br />

saldamente al territorio e ai suoi doni.<br />

A maggio i “Cristi infiorati” con tutti i colori dei fiori di campo, impregnano<br />

di un odore caratteristico le chiesa che li ospita; in occasione della processione<br />

in onore della Madonna delle Grazie le stradine sono coperte<br />

di petali di rose e gelsomini, raccolti in anticipo e conservati<br />

in grotte e cantine.<br />

Con l’avvicinarsi dell’estate si affollano tante<br />

ricorrenze religiose e si intensificano i<br />

pellegrinaggi, resi più agevoli dalla buona<br />

stagione, si pensi alla festa della Santissima<br />

Trinità, anch’essa molto sentita dagli artenesi,<br />

per la quale si organizzano ancora<br />

oggi visite al Santuario, posto sulla montagna<br />

che sovrasta Vallepietra.<br />

Un tempo le<br />

compagnie di fedeli<br />

arrivavano numerosissime a piedi, cantando<br />

ininterrottamente da Artena e risalendo la montagna<br />

di notte, per uno stretto sentiero rischiarato dalle torce.<br />

Durante la processione del Corpus Domini, che tocca le Chiese principali,<br />

si infiorano le strade con petali bianchi e, sempre a <strong>giugno</strong>, fioriscono<br />

i gigli bianchi, detti “di Sant’Antonio”, perché la loro fioritura avviene<br />

proprio intorno alla metà di <strong>giugno</strong>, quando si celebra la festa del<br />

Santo rappresentato con il saio, il libro, il Bambino Gesù e, appunto, il<br />

giglio. Ad Artena la devozione è molto forte e lo dimostra la sempre massiccia<br />

partecipazione alla processione, durante la<br />

quale i numerosi “Evviva Sant’Antonio” testimoniano<br />

il fervore sentito e spontaneo per il Santo<br />

Taumaturgo.<br />

La sua confraternita è stata istituita nei primi anni<br />

del Novecento e i suoi colori sono il bianco e il viola.<br />

Poco dopo, il 24 <strong>giugno</strong>, i garofani rosa, anch’essi<br />

molto profumati, sono il simbolo di San<br />

Giovanni Battista, la cui festa si svolge, con particolare<br />

fervore, a Colubro (una frazione di Artena), dove vi è la Chiesa<br />

a lui intitolata. Forse perché la festa coincide con il solstizio d’estate,<br />

molte reminiscenze precristiane si sono fuse con il culto cristiano e sono<br />

rimaste nella nostra tradizione.<br />

La notte del 23, ad esempio, si usa accendere, per poi saltare tra le<br />

fiamme, il cosiddetto peléo, forma dialettale che indica il falò (altrove<br />

sono famosi i fuochi di San Giovanni), costituito da un fascio di erbe<br />

aromatiche, raccolte il 24 mattina dell’anno precedente, che vengono<br />

fatte bruciare, forse in ricordo del valore purificatore del fuoco, simbolo<br />

anche del sole.<br />

Un’ altra usanza è quella di scambiarsi, in quel giorno, un garofano per<br />

acquisire una comare e o un compare, portandosi rispetto per sempre,<br />

perché “...San Giovanni non vuole inganni ..”, il gesto potrebbe ricordare<br />

il primo vincolo di cognazione spirituale tra San Giovanni e Gesù<br />

in occasione del suo Battesimo. Ci sono<br />

molte persone, ora adulte, che ancora<br />

si chiamano comare e compare per questo<br />

vecchio “patto” stipulato da bambini.<br />

Infine, sempre per concludere con questa<br />

affascinante e misteriosa tradizione,<br />

se ci si alza prima dell’alba del 24,<br />

si dice che si vedrà “ballare il sole”, forse<br />

in ricordo dei salti che fece la testa<br />

del Santo non appena<br />

fu decapitato.<br />

Altre simpatiche credenze consigliano di rotolarsi<br />

nella rugiada nei campi o di conoscere il futuro attraverso<br />

l’albume dell’uovo messo in una bottiglia d’acqua, pratica legata, forse,<br />

alla facoltà di preveggenza attribuita al Santo. È una tradizione antica<br />

che viene conservata in alcune famiglie, ultimo retaggio di un’Italia<br />

legata ancora alla terra e alle usanze contadine, troppo duramente colpite<br />

nell’epoca della globalizzazione che tenta di cancellarle imponendoci<br />

usi e costumi che non ci appartengono e nei quali non riusciamo<br />

ancora ad identificarci pienamente.


Giugno<br />

26 20<strong>13</strong><br />

don Daniele Valenzi<br />

“Bisogna essere pazienti e perseveranti per<br />

giungere alla verità. Il nostro essere cristiani<br />

è questione di fede e di speranza, ma perché<br />

fede e speranza possano conseguire il<br />

loro frutto è necessaria la pazienza. Non perseguiamo<br />

una gloria per l’immediato ma una<br />

gloria futura: attesa e perseveranza sono dunque<br />

necessarie per portare a compimento ciò<br />

che abbiamo cominciato ad essere e per entrare<br />

in possesso di ciò che speriamo e crediamo<br />

per divina garanzia”.<br />

Con queste parole san Cipriano, vescovo<br />

di Cartagine, elogiava il bene grane<br />

e sconfinato della pazienza. Un bene<br />

che ci porta al d-i là del tempo che viviamo e<br />

ci proietta verso quei beni futuri che crediamo<br />

e speriamo possano essere il nostro tutto nel<br />

giorno in cui il Signore verrà. Anche se non meritiamo<br />

tali doni con il il vescovo di <strong>Segni</strong> anche<br />

noi diciamo “volesse il cielo che un giorno meritassimo<br />

di essere tra quelli di cui il Signore ha<br />

detto: “nella vostra pazienza possederete le vostre<br />

anime”.”. desideriamo dunque ardentemente crescere<br />

nella virtù della pazienza con la quale potremo<br />

conseguire questo mirabile risultato. La pazienza<br />

è attenzione al tempo dell’ altro, nella piena<br />

coscienza che il tempo lo si vive al plurale, con<br />

gli altri, facendone un evento di relazione, di incontro,<br />

di amore, ma, così scrive Bruno di <strong>Segni</strong>,<br />

lo è essenzialmente perché è il tempo in cui ognuno<br />

diventa in grado di comprendere se stesso.<br />

Ascoltiamlo dalla sua stessa voce.<br />

Ma ora non parliamo degli apostoli. E veniamo<br />

ai martiri: guarda Lorenzo disteso sulla graticola<br />

che mentre soffriva per sua volontà, diceva a<br />

Cesare: “O infelice, ho sempre desiderato questo<br />

convito”; e chiedi che cosa ha fatto, in casa<br />

ha peccato, per meritare di essere arrostito? Che<br />

cos’altro sarà in grado di rispondere, se non che<br />

ha predicato la giustizia, e che ha chiamato gli<br />

idoli vani e falsi, che non possono proteggere<br />

né se stesso né agli altri?<br />

Questa stessa cosa abbiamo da dire di tutti gli<br />

altri. Chiedi a ciascuno di essi, e niente altro ti<br />

sarà risposto. Beati, dunque, costoro e beati<br />

anche tutti gli altri che per la giustizia soffrono<br />

la persecuzione. Non gli disse di precipitarsi nelle<br />

persecuzioni per la giustizia, perché la conclusione<br />

non facesse la felicità. Non chi le fugge,<br />

ma colui che le sopporta sarà beato, anche<br />

se talora può essere lecito fuggire. Ma alcune<br />

cose sono per chi fugge a causa della felicità,<br />

altre per chi soffre.<br />

Una cosa è sottrarsi al nemico combattendo, e<br />

un’altra fuggendo, e tuttavia entrambe le cose<br />

hanno come scopo la salvezza. È meglio combattere<br />

che fuggire, è meglio fuggire, piuttosto<br />

che rinnegare. Ma “ogni uomo ha il proprio dono<br />

da Dio” (1 Cor. 7, 7). Entrambe le cose il Signore<br />

comanda, e di scappare e di combattere. “Se<br />

voi, dice, sarete perseguitati in una città, fuggite<br />

in un’altra” (Mt 10, 23). D’altra parte, però:<br />

“Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo<br />

ma non possono uccidere l’anima: temete<br />

piuttosto colui che è in grado di far perire e il<br />

corpo e l’anima nella Geenna” (Mt 10,28).<br />

Il buon medico in un modo risponde al malato,<br />

in un altro modo al sano. Un buon capo in un<br />

modo ordina ai cavalieri e in un altro modo ai<br />

fanti. “Beati voi, quando gli uomini vi odieranno,<br />

e vi perseguiteranno e diranno ogni sorta<br />

di male contro di voi per causa mia: rallegratevi<br />

in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la<br />

vostra ricompensa è grande nei cieli” (Lc 6, 23).<br />

Così infatti hanno perseguitato i profeti che furono<br />

prima di voi: “nella vostra pazienza possederete<br />

le vostre anime” (Lc 21, 19).<br />

Per questo anche l’Apostolo dice:<br />

“Tutte le cose che sono scritte, sono<br />

scritte per nostro ammaestramento,<br />

che con pazienza e consolazione<br />

possiamo ottenere la speranza<br />

delle Scritture” (Rm 15, 4).<br />

Quando sentiamo che i patriarchi<br />

ed i profeti hanno subito molte persecuzioni;<br />

quando leggiamo che i<br />

santi Padri, per la molta pazienza<br />

che ebbero, furono graditi a Dio,<br />

e furono liberati da molti pericoli e<br />

molte volte , questa lezione ci deve<br />

istruire e insegnare, invitare alla pazienza,<br />

e consegnare una grande<br />

speranza e consolazione nelle tribolazioni. Tali<br />

furono Giobbe e Tobia, tali Isaia e Geremia, tali<br />

Aggeo e Zaccaria, tali Daniele ed i tre giovani,<br />

tale il profeta Ezechiele, tali Neemia e<br />

Zorobabele.<br />

Cerca nei libri dei Maccabei, e troverai Eleazaro<br />

un uomo religioso e maturo, le cui lodi è difficile<br />

narrare, che duri tormenti patì, perché non<br />

volle mangiare carne di maiale. Ma perché dico<br />

che non volle mangiare, quando neppure potè<br />

essere costretto a fingere?<br />

Inoltre, i sette fratelli insieme con la madre, che<br />

con orribili torture furono uccisi perché non vollero<br />

mangiare cibi illeciti e proibiti dalla legge.<br />

Di tali persone così dice il Signore: “Beati quelli<br />

che soffrono persecuzione per la giustizia, perché<br />

di essi è il regno dei cieli” (Mt 5, 10). Per<br />

altri poterono bastare dimore preziose che lì non<br />

ebbero, riguardo a questi il Signore ha detto: “nella<br />

casa del Padre il mio ci sono molte dimore”<br />

(Gv 14, 2). Noi, infatti, infelici, cosa facciamo,<br />

se non siamo in grado di tollerare non solo tali<br />

tormenti, ma neppure le mosche e le pulci?<br />

Per cui a cuasa di una facile offesa, a volte per<br />

una parola proferita incautamente, spesso per<br />

il riso di un fratello ed un lieve scherno ci arrabbiamo<br />

tanto che, a volte, quasi non possiamo<br />

essere placati. Nel mangiare e anche nel bere,<br />

siamo così spesso impazienti che non siamo in<br />

grado di custudire né il tempo né la misura, e<br />

se non ne abbiamo ogni giorno, non secondo<br />

la necessità, ma secondo la volontà e il superfluo,<br />

lo togliamo ai maesti e sovrintendenti nostri<br />

che avrebbero dovuto preparare per noi.<br />

La natura (dice un tale [Seneca]), di poco, anzi<br />

di pochissimo, si accontenta, al cotrario al piacere,<br />

nulla è sufficiente. Anche per i vestiti non<br />

abbiamo pazienza, perché molte volte andiamo<br />

alla ricerca dei più e dei più preziosi di quanti<br />

siano necessari, e neppure manca l’ invidia, nel<br />

caso che vediamo un fratello che possiede. Se<br />

invece tocca in sorte la debolezza, lì non c’è pazienza.<br />

Allora è senz’altro più necessaria, quando<br />

si teme che la morte sia prossima. Non possiamo<br />

elencare tutte le cose che noi impazienti pecchiamo<br />

contro il bene della pazienza. Non siamo<br />

tra quelli (poiché dobbiamo temere e dolerci),<br />

ma volesse il cielo che un giorno meritassimo<br />

di essere tra quelli di cui il Signore ha detto:<br />

“nella vostra pazienza possederete le vostre<br />

anime“. E come, mi chiedo, avrà il possesso,<br />

colui che non avrà e non posserà né se stesso<br />

e né la propria anima? E giustamente necessaria<br />

all’uomo pazienza, senza la quale perde<br />

l’essenza stessa di ciò che è.<br />

L’Apostolo loda alcuni che hanno accolto con<br />

gioia il furto dei loro beni. Proprio il Signore parla<br />

nel Vangelo dicendo: “Se qualcuno ti percuote<br />

sulla guancia, porgigli anche l’altra, e a chi ti toglie<br />

la tunica, offri a lui anche il mantello. E se qualcuno<br />

ti costringe a fare un miglio, tu fanne con<br />

lui due altri” (Mt 5, 39).<br />

Tutte queste cose sembrano essere dette alla<br />

lettera, non in generale per tutti, ma in particolare<br />

per quelli che in questo modo sono morti<br />

al mondo, e che desiderano in tutta umiltà e pazienza<br />

piacere a Dio solo.


Giugno<br />

20<strong>13</strong><br />

27<br />

dott. Luigi Vari<br />

Andreotti forse non ha mai amato<br />

di essere visto da vicino, di essere<br />

raccontato, anche se molti, tra<br />

giornalisti e scrittori, si sono cimentati, e<br />

non sempre con successo, nel tratteggiare<br />

il suo vero profilo, la sua indole, il suo carattere,<br />

la sua immagine:dai ricordi dei segnini<br />

più anziani emerge che Giulio, sin da<br />

giovanissimo, non è stata una persona estroversa<br />

neppure con i suoi cari e lo conferma<br />

il fatto noto, più volte raccontato da lui stesso<br />

che fin da bambino, orfano di padre,<br />

ebbe a dire di non aver mai dato un bacio<br />

a mamma Rosa (Rosa Falasca), tanto era<br />

il suo pudore, la sua intimità impenetrabile,<br />

la sua naturale tendenza a “schivare”<br />

comportamenti e coinvolgimenti sentimentali<br />

intimi, considerando tutto ciò quasi<br />

un’intrusione.<br />

L’infanzia modesta, insieme al fratello<br />

Francesco (il più grande) e la sorella Elena,<br />

morta prematuramente all’età di diciotto<br />

anni, colpita da una polmonite fulminante,<br />

fu trascorsa a <strong>Segni</strong>, il paese di origine<br />

suo e della sua famiglia, dove frequentò la<br />

scuola materna presso le Suore di Santa<br />

Giovanna Antida nell’Istituto S. Gioacchino<br />

(scuola fondata all’inizio del secolo XIX dal Papa<br />

Gioacchino Pecci – Leone XIII, il Papa della “Rerum<br />

Novarum” - ). Mamma Rosa, rimasta presto vedova,<br />

(il marito morì quando Andreotti aveva appena<br />

tre anni) cercava, non senza difficoltà, di tirare<br />

avanti la nutrita figliolanza educandola alla religiosità,<br />

alla frequentazione del mondo ecclesiale<br />

cattolico locale e dei preti, allora assai numerosi<br />

a <strong>Segni</strong>, sede vescovile.<br />

Giulio era indubbiamente un ragazzo molto particolare:<br />

con Vincenzo Fagiolo ed Angelo Felici<br />

(diventeranno entrambi Cardinali della Santa Romana<br />

Chiesa) trascorreva le calde giornate estive con<br />

escursioni al Campo (a ridosso di Monte Lupone),<br />

alternate da frequentazioni alla scuola di catechismo<br />

presso la Concattedrale “S. Maria<br />

Assunta”, in qualità di chierichetto “specializzato<br />

ed affidabile”. Aveva imparato presto soprattutto<br />

ad ascoltare ed a parlare poco, quando strettamente<br />

necessario , a controllare i suoi impulsi<br />

diffidando del linguaggio “difficile” dell’interlocutore.<br />

L’impronta della madre, essenziale e asciutta<br />

nei modi, rappresenta, insieme all’allora<br />

Vescovo De Sanctis, il modello di vita cristiana<br />

del giovane Giulio; a tale riguardo, infatti, si racconta<br />

che quest’ultimo, trasferito nella <strong>Diocesi</strong> di<br />

Todi, in occasione del Congresso Eucaristico di<br />

Assisi parlò dell’amore e del rispetto che il popolo<br />

segnino nutriva verso il giovane Andreotti, scorgendone<br />

una carriera futura ecclesiastica.<br />

L’idea del celibato in verità non lo ha mai entusiasmato.<br />

E’ stato per tutta la vita religiosissimo,<br />

e coerentemente con il suo carattere , di una religiosità<br />

profonda e riservata, non avvezzo a manifestazioni<br />

esteriori. Dopo la scuola materna la famiglia<br />

si trasferì a Roma concedendosi il ritorno a<br />

<strong>Segni</strong> nel periodo delle vacanze scolastiche, luogo<br />

delle sue radici, della sua infanzia; e qui ritrovava<br />

i suoi amici seminaristi, destinati alla porpora<br />

cardinalizia. Gli anziani di <strong>Segni</strong> inoltre ricordano<br />

che impartiva lezioni di latino e di analisi<br />

logica a Bruno Navarra, futuro monsignore e rettore<br />

del Seminario Minore ed a Emanuele<br />

Lorenzi, rimbrottandoli talvolta quando venivano<br />

meno agli impegni quotidiani di servizio ai preti<br />

nella celebrazione delle numerose Messe (una<br />

ventina a l giorno).<br />

<strong>Segni</strong> è stato,dunque, il contesto ove il giovane<br />

Giulio ha mosso i primi passi: un ambiente sobrio,<br />

essenziale, soprattutto religioso, dove le feste sacre<br />

di San Bruno, il Patrono della città, dell’Assunta,<br />

di San Gaetano, di San Vincenzo, di Sant’Antonio<br />

costituivano tappe obbligate di impegno e di rinnovata<br />

fede dell’intera popolazione segnina.<br />

Lo stesso Andreotti, ormai adulto e impegnatissimo<br />

negli incarichi di governo, non ha mai smesso<br />

di ritornare a <strong>Segni</strong>, la cittadina delle radici della<br />

sua famiglia, in particolare in occasione della<br />

festa “dell’Addolorata” cui era particolarmente devoto.<br />

Chi non ricorda, tra gli anziani, all’inizio degli<br />

anni ’60, quando Andreotti ministro della Difesa,<br />

portò a <strong>Segni</strong> l’allora Presidente della Repubblica<br />

Antonio <strong>Segni</strong>? “<strong>Segni</strong> a <strong>Segni</strong>”, ricordo, furono<br />

le testate giornalistiche<br />

nazionali<br />

che titolavano<br />

allora l’evento,<br />

oppure, accompagnando<br />

i<br />

Cardinali Fagiolo<br />

Vincenzo, Pericle<br />

ed Angelo Felici<br />

in occasione della<br />

visita di Sua<br />

Santità Paolo VI<br />

o ancora la venuta<br />

a <strong>Segni</strong> di<br />

Madre Teresa di<br />

Calcutta? Il suo<br />

ruolo politico nazionale<br />

ed internazionale<br />

non hanno mai “pesato”<br />

sui segnini ;allorchè giungeva nella<br />

cittadina laziale sovente i suoi<br />

discorsi pubblici o privati che fossero,<br />

erano conditi da ricordi dell’infanzia<br />

in puro dialetto segnino.<br />

Ciò che preme evidenziare oggi,<br />

nella dipartita da questo mondo,<br />

è il suo profilo essenzialmente cattolico,<br />

il suo attaccamento morboso<br />

alla Chiesa; ciò con un approccio<br />

umile, silenzioso, sobrio<br />

appunto così come ebbero analogamente<br />

i suoi coetanei, i<br />

Cardinali Angelo Felici, Vincenzo<br />

Fagiolo, Pericle Felici, anche<br />

quest’ultimo futuro Cardinale,<br />

nominato Segretario Generale del<br />

Concilio Vaticano II da Giovanni<br />

XXIII e più grande di otto anni,<br />

il quale volentieri si ritrovava con<br />

i più giovani amici prelati in<br />

occasione della festa di San<br />

Bruno.<br />

Valori religiosi dunque che hanno<br />

forgiato il suo carattere, la sua<br />

indole mite, la sua generosità verso il prossimo;<br />

in definitiva un uomo semplice, taciturno, un po’<br />

introverso che tuttavia e facilmente riusciva ad<br />

immergersi tra il popolo locale. Ha trascorso l’intera<br />

vita dedito al lavoro ed alla famiglia con una<br />

fede profonda in una società sempre più consumistica<br />

e secolarizzata: le uniche passioni erano<br />

per i cavalli, per la collezione dei francobolli<br />

e dei campanelli.<br />

E’ stato sempre un personaggio fuori dal coro!<br />

Come un semplice cittadino era solito trascorrere<br />

le poche vacanze estive con la sua famiglia<br />

presso le Suore Orsoline nel Trentino Alto Adige,<br />

senza clamore ed in perfetta privacy.<br />

Oltre i cardinali citati non vi era prete locale di<br />

parrocchia o di campagna della provincia di Roma<br />

e non solo che non si fosse recato a Roma al Centro<br />

Studi Lazio di P.zza Monte Citorio od a San Lorenzo<br />

in Lucina a chiedergli aiuto per sistemare la canonica<br />

oppure per il piccolo restauro di chiesa oppure<br />

infine per comprare i banchi dell’Oratorio e via<br />

dicendo. Il Padre Eterno gli renda merito per la<br />

sua disponibilità offerta al servizio di questo mondo<br />

terreno che non sempre gli è stato riconoscente.


28<br />

Giugno<br />

20<strong>13</strong><br />

Le catechiste e gli educatori<br />

Domenica 28 aprile, il Santo Padre ha presieduto una concelebrazione<br />

eucaristica nella quale ha amministrato il sacramento<br />

della Confermazione ungendo col sacro crisma un nutrito<br />

gruppo di giovani. Tra i numerosissimi partecipanti che stipavano la piazza<br />

San Pietro, facendo quasi “scoppiare” il colonnato del Bernini, c’era<br />

anche una vivace rappresentanza della nostra parrocchia: una settantina<br />

di bambini e ragazzi partiti da <strong>Segni</strong> di buon mattino per non mancare<br />

a questo appuntamento privilegiato attorno al papa. Sono i membri<br />

della comunità parrocchiale di S. Maria Assunta che si preparano a<br />

ricevere i sacramenti della Riconciliazione, dell’Eucaristia e della Cresima,<br />

accompagnati dal parroco mons. Franco Fagiolo e dall’équipe delle catechiste.<br />

Tutti, in particolare i cresimandi, sono stati ben felici di poter assistere<br />

alla liturgia presieduta dal papa Francesco, e per la maggior parte<br />

di loro è stata in assoluto la prima volta che hanno potuto veder conferire<br />

questo sacramento direttamente dal vescovo di Roma, in gioiosa<br />

attesa di poter anche loro ricevere il sigillo dello Spirito dalle mani del<br />

proprio vescovo, nel prossimo settembre.<br />

Il papa, con il suo stile coinvolgente e il suo linguaggio pieno d’amore<br />

e benevolenza, ha tenuto nell’occasione una calorosa omelia, esortando<br />

con semplicità ma anche con ferma decisione a scoprire la bellezza<br />

della novità che lo Spirito porta nella nostra vita, dicendo: «Apriamo la<br />

porta allo Spirito, facciamoci guidare da Lui, lasciamo che l’azione continua<br />

di Dio ci renda uomini e donne nuovi, animati dall’amore di Dio,<br />

che lo Spirito Santo ci dona! Che bello se ognuno di voi, alla sera potesse<br />

dire: oggi a scuola, a casa, al lavoro, guidato da Dio, ho compiuto<br />

un gesto di amore verso un mio compagno, i miei genitori, un anziano!<br />

Che bello!». L’invito del papa a compiere con generosità gesti<br />

di carità concreta per dare un senso pieno e bello alle nostre<br />

giornate è stato un messaggio prezioso e incoraggiante, per<br />

essere tutti, dai più piccoli ai più grandi, costruttori di un mondo<br />

davvero pervaso da quell’amore col quale lo Spirito Santo<br />

non cessa d’infuocare la vita dei cristiani d’ogni tempo.<br />

Il papa ha poi aggiunto: «le difficoltà, le tribolazioni, fanno<br />

parte della strada per giungere alla gloria di Dio, come per<br />

Gesù, che è stato glorificato sulla Croce; le incontreremo sempre<br />

nella vita! Non scoraggiarsi! Abbiamo la forza dello Spirito<br />

Santo per vincere queste tribolazioni».<br />

E, infine, un invito speciale tutto dedicato in particolare ai<br />

cresimandi, a saper andare controcorrente, senza paura e<br />

con coraggio: «Rimanete saldi nel cammino della fede con<br />

la ferma speranza nel Signore. Qui sta il segreto del nostro<br />

cammino! Lui ci dà il coraggio di andare controcorrente. Sentite<br />

bene, giovani: andare controcorrente; questo fa bene al cuore,<br />

ma ci vuole il coraggio per andare controcorrente e Lui ci dà questo<br />

coraggio! Non ci sono difficoltà, tribolazioni, incomprensioni che ci devono<br />

far paura se rimaniamo uniti a Dio come i tralci sono uniti alla vite,<br />

se non perdiamo l’amicizia con Lui, se gli facciamo sempre più spazio<br />

nella nostra vita. Questo anche e soprattutto se ci sentiamo poveri, deboli,<br />

peccatori, perché Dio dona forza alla nostra debolezza, ricchezza alla<br />

nostra povertà, conversione e perdono al nostro peccato. E’ tanto misericordioso<br />

il Signore: sempre, se andiamo da Lui, ci perdona. Abbiamo<br />

fiducia nell’azione di Dio! Con Lui possiamo fare cose grandi; ci farà sentire<br />

la gioia di essere suoi discepoli, suoi testimoni. Scommettete sui grandi<br />

ideali, sulle cose grandi. Noi cristiani non siamo scelti dal Signore per<br />

cosine piccole, andate sempre al di là, verso le cose grandi. Giocate la<br />

vita per grandi ideali, giovani!».<br />

Una nuova ed entusiasmante coniugazione del verbo “giocare”, tanto<br />

familiare e caro ai bambini e ai ragazzi! Al termine della celebrazione,<br />

il papa è passato in automobile a salutare e benedire tutti i presenti in<br />

piazza San Pietro, e anche il gruppo segnino, sventolando con grande<br />

carica fazzoletti azzurri e gridando gioiose espressioni di affetto, ha potuto<br />

incontrare da vicino lo sguardo paterno e il contagioso sorriso del Santo<br />

Padre. La giornata è continuata facendo festa tutti insieme, giocando e<br />

condividendo il pranzo a sacco sotto il colonnato, e poi compiendo una<br />

lunga passeggiata per le strade del centro storico dell’Urbe, ammirando<br />

la bellezza dei suoi edifici sacri e monumentali, fino a raggiungere il<br />

“Time Elevator” per un momento divertente di sana ricreazione, con la<br />

visione tridimensionale di un istruttivo filmato sulla storia di Roma.<br />

Nonostante la stanchezza della giornata, è stata una bella esperienza<br />

che resterà nel cuore di ognuno di noi.<br />

A <strong>Segni</strong> la fantasia<br />

è dolce<br />

In un trionfo di colori, forme e sapori sabato<br />

27 aprile u.s. la sala Pio XI della Cattedrale<br />

di <strong>Segni</strong> ha ospitato il concorso “Dolce<br />

fantasia”. I partecipanti, ben sessantadue, si sono<br />

cimentati con l’arte pasticcera mettendo a frutto<br />

quanto appreso nel corso di pasticceria tenuto<br />

presso il centro pastorale “Il Sicomoro”<br />

Nella corso della gremitissima manifestazione<br />

una giuria competente e scrupolosa ha assaggiato<br />

i dolci ed ha attribuito i punteggi.<br />

Un lavoro non facile in quanto la qualità dei dolci<br />

presentati era veramente eccellente distinguendosi<br />

per capacità nell’arte pasticcera, grande<br />

creatività ed originalità.<br />

Per tutti i partecipanti un attestato, per i primi<br />

undici anche dei piccoli premi; naturalmente complimenti<br />

grandissimi sono andati ai primi classificati:<br />

III Manuela Marozza, II Rossella Sinibaldi,<br />

I Cristina Petrelli.<br />

Al termine, momento forse più atteso, è stato<br />

possibile assaggiare i dolci: una cuccagna per<br />

grandi e piccini, nessuno si è tirato indietro ma<br />

tutti hanno avuto modo di deliziare vista e palato.<br />

Un pomeriggio particolarmente piacevole,<br />

occasione di incontro e di scambio.<br />

Un ringraziamento doveroso va a Pino Marucci,<br />

maestro pasticcere, che ha tenuto il corso di<br />

pasticceria ed ha ideato la manifestazione “Dolce<br />

Fantasia”<br />

Il parroco, don Franco Fagiolo, ha sottolineato<br />

come momenti come quelli del Concorso nascono<br />

da un impegno continuo e duraturo presso<br />

continua a pag. 29


Giugno<br />

20<strong>13</strong><br />

29<br />

Mons. Franco Fagiolo<br />

Il canto durante la comunione è uno dei canti rituali<br />

di una celebrazione eucaristica, dato che la sua<br />

funzione è di accompagnare il rito della processione<br />

dei fedeli che avanzano verso l’altare per ricevere<br />

il pane consacrato. Sant’Agostino, in un bellissimo<br />

testo riportato nella Liturgia delle Ore nell’ultimo sabato<br />

dell’anno liturgico, ci aiuta a comprendere meglio, e<br />

quindi anche a celebrare meglio, la dimensione escatologica<br />

della processione alla comunione e del canto<br />

che l’accompagna.<br />

“I nostri canti di lode a Dio risuonano anche ora qui. Qui<br />

però nell’ansia, mentre lassù nella tranquillità. Qui cantiamo<br />

da morituri, lassù da immortali. Qui nella speranza,<br />

lassù nella realtà. Qui da esuli e pellegrini, lassù nella<br />

patria … Cantiamo da viandanti. Canta, ma cammina.<br />

Canta per alleviare le asprezze della marcia, ma cantando<br />

non indulgere alla pigrizia. Canta e cammina”.<br />

Infatti, accostandoci alla mensa eucaristica processionalmente<br />

e cantando, noi vogliamo esprimere e alimentare<br />

questo grande mistero, e l’Eucarestia non è forse il pegno più sicuro e<br />

il segno più esplicito dei nuovi cieli e della nuova terra? Di fatto, il canto<br />

di comunione è il più antico, cioè cronologicamente precede il canto<br />

d’ingresso e il canto d’offertorio. Già Cirillo Gerusalemme (+386) parla<br />

di questo canto: “Voi sentite il cantore che vi invita con una melodia divina<br />

alla comunione dei santi misteri: Gustate e vedete quanto è buono<br />

il Signore(Sal 33). Non affidate il giudizio al gusto del vostro palato, ma<br />

alla fede infallibile”.<br />

Da qui si capisce che il canto per accompagnare la comunione normalmente<br />

era un salmo cantato in modo responsoriale, con il popolo che ripete<br />

sempre lo stesso ritornello. È questo il modo più semplice e più efficace<br />

per rendere partecipe tutta l’assemblea. È anche il modo più pratico<br />

perché i fedeli che si accostano alla mensa eucaristica non possono tenere<br />

in mano libretti o fogli con le parole dei canti; è necessario conoscere<br />

a memoria ciò che si deve cantare!<br />

Infatti la partecipazione dell’assemblea a questo canto di comunione è<br />

fondamentale: “Mentre il sacerdote assume il sacramento si inizia il canto<br />

di comunione: con esso si esprime, mediante l’accordo delle voci, l’unione<br />

spirituale di coloro che si comunicano, si manifesta<br />

la gioia del cuore …..” (Ordinamento Generale del<br />

Messale Romano, 86). Quanto suggerito dal Messale,<br />

faceva parte della regola di Sant’Aureliano di Arles (+541)<br />

“tutti facciano la comunione cantando”.<br />

È esagerato, oggi, aiutare tutta l’assemblea a cantare<br />

mentre si svolge la processione di comunione?<br />

Naturalmente, bisogna sempre adattarsi alla situazione<br />

pratica e reale; infatti, il Messale, continua dicendo<br />

che il canto di comunione può essere eseguito dalla<br />

sola schola o dalla schola con l’assemblea o dal cantore<br />

insieme col popolo. Quindi non è escluso che la<br />

comunione sia accompagnata da un canto del coro: qualche<br />

volta è la soluzione migliore specialmente se, terminata la comunione<br />

è previsto che tutta l’assemblea canti “un salmo, un altro cantico<br />

di lode o un inno” (OGMR 88). E questo capita quando, specialmente<br />

nelle piccole assemblee, c’è sempre qualcuno che trascina gli altri e si<br />

fa fatica a portare a termine la frase della strofa di un canto perché arriva<br />

il momento che chi trascina sta facendo la comunione e a quel punto,<br />

all’improvviso, si smette di cantare. E non è neppure bello che intervenga<br />

il sacerdote per sostenere il canto con la sua voce, perché il sacerdote,<br />

in quel momento, presentando l’ostia consacrata ai fedeli, dice il<br />

corpo di Cristo e i fedeli rispondono Amen.<br />

È questa una delle più antiche professioni di fede, è una autentica professione<br />

di fede, è una presa di coscienza del significato della comunione<br />

che non si riduce (o non dovrebbe mai ridursi!!!) ad un semplice<br />

fatto devozionale e privato, personale, ma fa della comunione l’espressione<br />

più significativa della fede perché ricevendo il Corpo di Cristo noi<br />

formiamo il Corpo di Cristo che è la Chiesa.<br />

(continua)<br />

*Resp. Diocesano del Canto per la Liturgia<br />

segue da pag. 28<br />

il centro pastorale “Il Sicomoro” che grazie all’impegno<br />

e alla creatività di volontari si configura sempre<br />

più come un luogo di incontro, di scambio, di arricchimento,<br />

un luogo in cui ci si sente accolti, si sta bene<br />

insieme, si impara a conoscere il Signore non tanto<br />

attraverso lezioni ed omelie ma perché si viene a contatto<br />

con una comunità viva, operante, accogliente,<br />

che si confronta con i problemi quotidiani e che ad<br />

essi cerca risposte sagge e concrete, si fa esperienza<br />

diretta di cosa vuol dire essere famiglia e comunità<br />

che si riunisce attorno al Signore.


Giugno<br />

30 20<strong>13</strong><br />

L<br />

e vie per incontrare il Signore sono davvero<br />

infinite e a volte Lui si fa sentire proprio<br />

nei momenti più difficili della nostra vita.<br />

Il Signore spesso non ci fa abbandonare ciò che<br />

siamo o facciamo, ma proprio attraverso la nostra<br />

storia, fatta di fatiche e successi, ci trasforma,<br />

ci fa esprimere ed essere il meglio di noi stessi!<br />

Vi proponiamo in questo numero la storia di<br />

un gruppo musicale: i The Sun.<br />

La vocazione si intreccia con la passione della<br />

musica: l’incontro con Dio, vera Luce, illumina<br />

e trasforma la vita di 4 giovani ragazzi.<br />

Oggi questa band è sempre in viaggio, col cuore<br />

e con l’anima, per trasmettere l’amore di Dio,<br />

il Senso vero di ogni vita. Seguiamo l’intervista<br />

fatta a Francesco Lorenzi, cantante e autore dei<br />

testi delle canzoni e lasciamoci prendere dal ritmo<br />

giusto, dal suono dell’amore, quello che ci<br />

porta a Dio! (www.thesun.it o seguili su face book)<br />

I THE SUN: Spiriti del Sole<br />

Francesco, Riccardo, Matteo e Gianluca: 4<br />

ragazzi di Thiene, un unico gruppo rock dall’ interessante<br />

percorso personale e artistico: «Abbiamo<br />

iniziato nel ’97, rock, alternativi, in inglese. Ci sentivamo<br />

rockstar e vivevamo di eccessi. Ma dopo<br />

un tour di 300 date in 10 Paesi ci siamo accorti<br />

che quel tipo di vita era una prigione: i nostri rapporti<br />

erano distrutti da alcol e droga». Poi il cantante-autore<br />

Francesco Lorenzi aggiunge: «Una<br />

sera, durante quei momenti di crisi, mia madre<br />

mi ha proposto un incontro in parrocchia, lascio<br />

immaginare il mio commento. Però sono<br />

andato, e ho trovato lì quello di cui il mondo<br />

del rock si riempie la bocca: sincerità,<br />

entusiasmo, condivisione. Ho ricominciato<br />

a scrivere canzoni: ma in italiano,<br />

dentro una nuova scelta di vita».<br />

E Riccardo aggiunge: «Io ero divenuto<br />

addirittura un alcolista. Però vedevo lui<br />

felice e gli ho chiesto come faceva. Così<br />

una sera anch’io, anziché andare al bar,<br />

ho <strong>prova</strong>to: aveva ragione». Ovviamente<br />

così facendo i The Sun hanno perso contatti<br />

e contratti di dieci anni: «Ma si sono<br />

aperte altre porte, fino alla Sony che ha<br />

pubblicato Spiriti del sole nel 2010<br />

ed ora Luce. Sono tantissime le persone<br />

che si fanno domande sul Senso».<br />

Carlotta Ciarrapica, della nostra<br />

redazione, ha raggiunto telefonicamente<br />

Francesco:<br />

Francesco, chi sei e come ti descriveresti?<br />

Sono un’anima in viaggio,<br />

e sono un sognatore instancabile,<br />

però con i piedi ben piantati per terra<br />

e gli occhi verso il cielo.<br />

Cos’è per te vocazione? È innanzitutto<br />

trovare lo spartito che Dio ha<br />

scritto con noi prima che noi “venissimo<br />

qui”, trovarlo dentro di noi e iniziare a suonare<br />

quelle note! Perché veramente ognuno di noi<br />

ha dentro una vocazione che è stata messa lì come<br />

un miracolo, come la realizzazione del nostro cammino<br />

più intimo, e allo stesso tempo sociale, nel<br />

senso che ogni persona nel realizzare la propria<br />

vocazione poi compie un disegno che è il disegno<br />

di Dio.<br />

Il tuo rapporto con Gesù, cioè qualcosa di molto<br />

personale, in rapporto all’annuncio che<br />

fai tu e che fate come gruppo attraverso la musica,<br />

che è un annuncio pubblico… quindi, privato-intimo<br />

e pubblico-condiviso…<br />

Mi piace molto questa domanda: considera che<br />

l’intimità del rapporto con Gesù è veramente più<br />

che quotidiana, nel senso che in diversi momenti<br />

della giornata vivo il pensiero, il confronto, l’ascolto,<br />

mi metto di fronte al Signore. Ed è veramente<br />

il primo pensiero della giornata e l’ultimo…<br />

io mi ad-dormento chiacchierando con<br />

Lui. E nel tempo è diventato un rapporto più confidenziale,<br />

nel senso che all’inizio, come dire, ero<br />

un po’ intimorito perché è talmente grande<br />

Gesù!… Poi è diventato piano piano più confidenziale,<br />

e in questo mi ha aiutato molto l’adorazione eucaristica,<br />

che faccio da 5 anni ogni martedì notte.<br />

...di notte? Sì, la notte! E mi ha aiutato tantissimo,<br />

perché stare con il Signore, da solo, in silenzio,<br />

in una cappellina, è stato davvero un grande<br />

percorso. E quindi il rapporto più costante che<br />

c’è nella mia vita è proprio con Lui.<br />

È un confronto sui tanti dubbi, incertezze, è un<br />

continuo ri-mando a Lui: io ho una vita “pubblica”<br />

molto intensa e tante volte veramente mi chiedo<br />

se sto facendo, dicendo, agendo nel modo giusto,<br />

quindi l’unica certezza è che è necessario affidarsi<br />

a Lui per realizzare qualcosa di buono. Ed<br />

è inevitabile che poi, nel mio lavoro, io cerchi di<br />

portare questa salvezza che sento e che provo<br />

ogni giorno nella fede grazie a Gesù; e allo stesso<br />

tempo nel mio intimo vado al cospetto del Signore<br />

e gli dico: «Signore, ma lo sto facendo come vuoi<br />

tu?», perché alla fine è questa la grande domanda.<br />

Facciamo la sua volontà ed è sempre uno scontrarsi<br />

con i propri individualismi, egoismi e le proprie<br />

fragilità, difetti…<br />

È veramente un cammino meraviglioso, ed è una<br />

grandissima fortuna il fatto che io possa portare<br />

anche nel lavoro questo incontro con Gesù, perché<br />

approfondisce ancora di più il mio rapporto<br />

con Lui.<br />

E come gruppo? È una declinazione di quello<br />

che ho detto ora, nel senso che il percorso di ognuno<br />

di noi è stato ed è differente perché siamo persone<br />

molto diverse, però poi siamo accomunate<br />

dal fatto che camminiamo nella stessa direzione.<br />

Il confronto con Gesù è bellissimo quando avviene<br />

in gruppo, quando preghiamo insieme, quando<br />

ci affidiamo allo Spirito, sono i momenti di aggregazione<br />

più belli. Anche questa settimana siamo<br />

stati in tour, fuori casa parecchio e sono sempre<br />

belli i momenti in cui si prega insieme, in cui ognuno<br />

fa la sua condivisione e si crea quell’intimità<br />

che c’è solo nel Signore.<br />

Come cristiano, come vivi e come vivete il fatto<br />

di stare dentro un ambiente che vive altre<br />

logiche, chiede compromessi… Come riuscite<br />

a mantenere il valore e la fede che annunciate?<br />

Non c’è un manuale di istruzioni e devo<br />

dire che, in questo senso, sento la mancanza di<br />

riferimenti, anche storici, cioè di altri che hanno<br />

seguito questa strada. Nel nostro ambiente, in questo<br />

Paese siamo degli apri-pista spero per altri,<br />

però è profonda la distanza tra un mondo e un<br />

altro e noi siamo qui appunto per cercare di gettare<br />

un ponte, perché il mondo della musica e dell’intrattenimento<br />

dovrebbe avere più a che fare con<br />

l’animo umano; e in tante situazioni ci troviamo<br />

davvero a dover mettere insieme il diavolo e l’acqua<br />

santa!!<br />

E però è una bella esperienza e una sfida per noi:<br />

non ti so dire se riusciamo a farlo bene, però almeno<br />

tentiamo!<br />

Le opportunità e i limiti? L’opportunità è<br />

immensa ed è ciò che stiamo sperimentando in<br />

questi mesi: cioè da laici poter coniugare<br />

e avvicinare dei mondi che sono tendenzialmente<br />

lontani è stupendo, non c’è<br />

altro da dire! Perché quando vedi persone<br />

che fino a poco prima non si erano poste<br />

domande, non avevano fatto un cammino,<br />

e poi iniziano a farlo perché hanno intercettato<br />

una canzone, un testo o una semplice<br />

testimonianza è straordinario! O anche<br />

con l’esempio: cioè tante volte anche con<br />

persone dell’ambiente musicale (quando<br />

per esempio d’estate facciamo il festival<br />

delle radio dove ci sono artisti che sono<br />

maestri da classifica) e ci interfacciamo<br />

continua a pag. 31


Giugno<br />

20<strong>13</strong><br />

31<br />

Giovanni Marrazzo<br />

Si torna a casa dopo aver lasciato quella che ormai è l’altra<br />

nostra Casa, Pellegrini della Fede, nell’anno della Fede.<br />

I giorni di Lourdes sono trascorsi ma gli sguardi, i volti<br />

ed i sorrisi di coloro che hanno condiviso con noi questo affascinante<br />

ed intenso cammino, ti restano dentro. E ti restano dentro<br />

i momenti di preghiera, attraversati dal mistero del dolore,<br />

del disagio e della sofferenza ma sempre illuminati dalla Speranza,<br />

dalla Grazia e dalla Fede, di chi ha imparato o di chi sa di poter<br />

accettare sempre con profonda gratitudine, il grande dono della<br />

Vita, talvolta poco generosa da sembrare avara.<br />

In questo clima di toccante solidarietà e di fraternità autentica,<br />

si è svolto dal cinque all’undici di aprile il Pellegrinaggio a<br />

Lourdes, organizzato dalla UNITALSI Romana-Laziale, a cui<br />

ha partecipato anche la Sottosezione UNITALSI della nostra<br />

<strong>Diocesi</strong>. Insieme con il Presidente Vito Capozi, malati, pellegrini<br />

e volontari, si sono stretti in un reciproco abbraccio di fronte<br />

alla Grotta delle<br />

Apparizioni, pregando<br />

Maria in una<br />

sola Voce ma soprattutto<br />

in un unico e palpitante<br />

Cuore.<br />

Avvolti in queste<br />

intime e dolci emozioni<br />

di profonda<br />

Spiritualità, si ritorna<br />

a casa.<br />

In stazione le lacrime,<br />

le strette di<br />

mano e gli abbracci,<br />

sono veri e sinceri, sono gesti di affetto e di amore che da soli ed in<br />

silenzio ti fanno intendere senza ombra di dubbio, che il nostro Pellegrinaggio<br />

non termina qui, anzi è soltanto all’inizio.<br />

Il Viaggio continua, ogni giorno lungo le rotaie della Vita, diretti verso la<br />

nostra desiderata Destinazione, protetti da Maria, avvolti dallo Spirito Santo<br />

e guidati dalla Fede nel Padre e nel Cristo sofferente, che incontriamo ed<br />

incontreremo giorno dopo giorno, stazione dopo stazione.<br />

Questo è il nostro Pellegrinaggio quotidiano, riconoscere il Cristo sofferente<br />

in quelle persone che altro non chiedono che un sorriso, una mano<br />

tesa, un abbraccio, una sola parola e talvolta nemmeno quella, ma soltanto<br />

di essere ascoltate e considerate.<br />

Un immenso e sentito grazie a tutti coloro che con la loro presenza e con<br />

la loro preghiera, ci hanno aiutato a vivere con intensa gioia e spirito di<br />

servizio, questi indimenticabili giorni di Lourdes.<br />

segue da pag. 30<br />

anche con quel mondo, spesso i vari addetti ai<br />

lavori, le persone che lavorano dietro le quinte rimangono<br />

colpite da come ci vogliamo bene; e vengono<br />

poi a testimoniarci come questa cosa li colpisca<br />

e quanto sia rara nel mondo della musica,<br />

e quindi penso sia stupendo, una bella opportunità<br />

anche per noi.<br />

Dall’altra parte, il limite, me lo domando spesso…<br />

forse è che non siamo consacrati, e ad un certo<br />

punto un laico ha un limite; finché vivi nel mondo<br />

come professionista non puoi dimenticarti che<br />

ci sono delle regole e che comunque questo è il<br />

lavoro con cui noi dobbiamo vivere. E quindi giustamente<br />

ci sono dei confini… e ogni tanto mi stanno<br />

stretti.<br />

Lo chiami lavoro… ma è anche la tua vocazione?<br />

Sì! Io in questo momento mi sento pienamente<br />

realizzato, il che non vuol dire non avere<br />

dubbi, domande, anzi! Però mi sento pienamente<br />

realizzato perché è il mio lavoro, dove posso esprimere<br />

la mia capacità, e così veramente alimento<br />

e realizzo quella che è la mia vocazione. Chiamarlo<br />

lavoro è veramente riduttivo, io sogno un mondo<br />

in cui tutte le persone possano vivere questo, cioè<br />

lavorare facendo veramente ciò che sentono, ciò<br />

per cui sono chiamate ad esistere.<br />

Pensando al futuro… C’è un sacco di bene da<br />

fare, e quindi bisogna sorpassare i confini! Mi piacerebbe<br />

entrare in contatto con giovani che non<br />

sono solo italiani, palestinesi o israeliani, tornare<br />

a suonare anche all’estero; dopo un evento fatto<br />

a Roma è stato incredibile perché in un paio<br />

di giorni ci hanno scritto dal Cile, Perù, Messico,<br />

Uruguay; dal Porto-gallo; Spagna... A noi piacerebbe<br />

molto tornare ad avere un contatto anche<br />

con quelle realtà…<br />

Parli di “tornare” perché all’inizio della vostra<br />

carriera suonavate all’estero, vero?!<br />

Si moltissimo, …ecco, quando mi chiedono<br />

cosa mi manca della mia vita di prima, io rispondo<br />

sempre che mi manca suonare all’estero; sarà<br />

perché ho sempre viaggiato molto e l’incontro con<br />

la diversità, con la cultura differente mi ha sempre<br />

dato tantissimo…<br />

Sì, adesso questa esperienza la stiamo coltivando<br />

qui, ed è giusto perché questo ci permette di crescere;<br />

dall’altra parte però penso sia giusto che<br />

porti frutto, se Dio vuole, anche fuori dall’Italia!<br />

Come nascono le canzoni?<br />

Ogni volta che mi fanno questa domanda mi viene<br />

fuori una risata spontanea, è difficile rispondere.<br />

Sarà perché io posso parlare solo per me,<br />

per la mia esperienza. Ti dico che alle spalle, in<br />

particolare del disco LUCE, c’è una dose massiccia<br />

di preghiera, ma tanta tanta tanta. Dio solo<br />

sa quanto ho pregato, quanto ho pianto, quanto<br />

c’è stato dietro a tutto quello che è scritto in quel<br />

disco. Ogni canzone è qualcosa che nasce non<br />

so neanche io esattamente da dove. C’è un’esperienza,<br />

un’idea, un ricordo, un’immagine, una sensazione,<br />

un valore che assume già di per sé nel pensiero<br />

una connotazione musicale. Cioè, io già so<br />

che se penserò ad una determinata storia, quel<br />

tipo di storia mi evoca un certo tipo di armonia e<br />

di ritmica e quindi è come dire è già definito nel<br />

pensiero. Io poi semplicemente lo scrivo nella musica,<br />

nel testo: la musica è una cosa sola. Non avrei<br />

mai potuto scrivere Indelebile sopra la musica di<br />

Spiriti del Sole. È molto chiaro, crescono di pari<br />

passo musica e testo, e in questo senso mi accorgo<br />

che per me è naturalissimo.<br />

Diciamo che ogni testo ha il suo spartito, la<br />

sua “vocazione” di testo in quanto tale...<br />

…esatto, proprio questo!!!<br />

Cosa diresti ai giovani che leggeranno questa<br />

intervista??<br />

Chi cerca trova!!! Ma veramente!! E bisogna che<br />

lo sottolineiamo costantemente: non bisogna stancarsi<br />

di cercare!!!<br />

Prima di andare all’Assemblea Plenaria a Roma,<br />

alla LUMSA, avevamo lanciato un’iniziativa interessante:<br />

dal mio blog avevo fatto 3 domande ai<br />

lettori dove chiedevo di indicare qual è il loro rapporto<br />

con la Chiesa.<br />

Ed è emersa in modo costante la necessità di trovare<br />

delle risposte esaurienti alle loro domande:<br />

molti hanno detto che, dopo aver fatto determinate<br />

domande per esempio a dei preti senza aver<br />

trovato risposta, hanno smesso di farsi quelle domande,<br />

hanno cambiato strada. Ma c’è questa voglia<br />

di cercare e non è vero che i ragazzi non cercano,<br />

i ragazzi non cercano se non sono stimolati<br />

a cercare e se non trovano delle buone risposte.<br />

Per quanto riguarda la mia semplice esperienza,<br />

ho sperimentato la ricchezza delle persone che<br />

ho vicino e quanto è vero che quando uno cerca,<br />

trova. O viene trovato.<br />

(da SE VUOI 2/20<strong>13</strong>)


Giugno<br />

32 20<strong>13</strong><br />

P. Vincenzo Molinaro<br />

“Porta Fidei: Parrocchia e famiglia che iniziano alla fede”.<br />

Questo è il titolo del convegno che due uffici della CEI, quello catechistico<br />

e quello di pastorale della famiglia, organizzano per il<br />

prossimo mese di <strong>giugno</strong> (Assisi, 19-22 <strong>giugno</strong> 20<strong>13</strong>).<br />

E’ indubbiamente un invitante proposta. Sarebbe molto utile che dalle<br />

nostre parrocchie, oltre che dagli uffici diocesani, partecipassero tutti coloro<br />

che si dedicano alla iniziazione alla fede, tenendo presente che sarà<br />

La famiglia chiede il battesimo<br />

Mettiamoci di fronte alla famiglia di oggi che avendo dato la vita a un<br />

figlio si chiede quando e come darà il battesimo. La maggior parte coltiva<br />

gli stessi sentimenti che emergono alla Prima Comunione, ossia un<br />

desiderio di riconoscimento sociale, di essere considerati dai parenti buoni<br />

genitori, di formalizzare l’arrivo del figlio<br />

con una festa che significhi l’accoglienza<br />

del piccolo dentro la comunità familiare.<br />

Scomparsa ormai la credenza del<br />

battesimo-liberazione delle anime del<br />

Purgatorio, superata la paura della<br />

morte del bambino con le cure mediche<br />

più efficaci, viene programmato il battesimo<br />

in una data quando presumibilmente<br />

farà bel tempo, ci sarà una lunga<br />

giornata da stare con parenti e amici,<br />

si potrà sfoggiare un guardaroba adeguato.<br />

E’ raro che l’interesse dei genitori<br />

attraversi le nuvole delle apparenze<br />

e si addentri in quell’ambito misterioso<br />

che è il rapporto con un Dio Padre.<br />

Lascio da parte le problematiche moderne,<br />

quelle della convivenza e dei figli nati<br />

in essa, accolti con amore, senza che<br />

si avverta la necessità di un sacramento<br />

che produca calore umano e spirituale<br />

per la crescita del bambino.<br />

Qui spesso le incongruenze sono all’ordine<br />

del giorno. I genitori chiedono il battesimo per i figli senza lasciarsi<br />

coinvolgere dalla stessa fede che desiderano trasmettere al figlio. Oggi,<br />

poi, con la crisi economica che morde anche su sicure attività lavorative,<br />

la scusante della mancanza dei soldi per festeggiare il matrimonio,<br />

è ancora più frequente.<br />

Se questa è la condizione delle famiglie, domandiamoci quale è l’atteggiamento<br />

delle parrocchie nel momento in cui una coppia chiede il battesimo. L’approccio<br />

è certamente un passaggio delicato, tante coppie vengono in chiesa per<br />

la prima volta e magari si aspettano e si meritano una maggiore attenzione<br />

di quella che si può dare loro. E’ vero che ci sono casi lodevoli di<br />

Il prof. Alessandro Ricci dell'Università Salesiana<br />

messa a tema proprio la sensibilizzazione verso i genitori che chiedono<br />

il battesimo per i figli. Su questo aspetto, almeno per quanto concerne<br />

la pastorale familiare, in diocesi ancora non facciamo passi significativi.<br />

Come spesso accade, tutto è lasciato alla iniziativa meritevole<br />

dei singoli. Più in là non si va e nemmeno se ne parla. Ecco il perché<br />

di queste riflessioni, come sempre senza nessuna ambizione se non quella<br />

di stimolare la ricerca, o farsi domande ad alta voce che possano suscitare<br />

nuovi interessi.<br />

presenza del Gruppo famiglia che segue gli sposini nel corso degli anni,<br />

li accompagna nella dolce attesa e visita nelle loro case i nuovi nati. Quando<br />

diventerà prassi pastorale e non un impegno di alcune coppie?<br />

La parrocchia prepara la celebrazione<br />

La parrocchia in genere dedica alcuni minuti alla famiglia, chiede le informazioni<br />

rituali, fissa la data del sacramento e degli incontri di preparazione.<br />

Quasi sempre i coniugi aderiscono a questi preliminari. Unico intoppo,<br />

a volta grave, i nomi dei padrini, i quali secondo la media nazionale<br />

spesse volte sono separati divorziati e risposati al comune, oppure<br />

conviventi. Più raro oggi che vi siano implicazioni di tipo politico o ideologiche.<br />

Qui si richiede un discorso persuasivo e non frettoloso nel quale<br />

evidenziare le esigenze di un sacramento e un accompagnamento<br />

futuro che vada oltre l’amicizia e la vicinanza. Si tratta di trovare un amico<br />

che da padrino sia anche educatore alla fede.<br />

continua a pag. 33


Giugno<br />

20<strong>13</strong><br />

33<br />

Centro S. Maria dell’Acero<br />

– La festa del 1°<br />

maggio all’Acero è<br />

ormai per molte persone della<br />

nostra diocesi un appuntamento<br />

fisso. È l’occasione<br />

per trascorrere insieme una<br />

bella giornata e per incontrare<br />

nuovi amici; e anche quest’anno<br />

abbiamo vissuto davvero<br />

un bel momento di comunione<br />

e di fraternità! Un gruppo di<br />

amici e volontari ci ha aiutato<br />

a organizzare le diverse<br />

attività e alla preparazione degli<br />

ambienti.<br />

Nella prima parte della mattinata<br />

l’ACR ha curato l’animazione<br />

dei bambini e ragazzi; c’è chi ha pensato<br />

alla pesca, chi ha preparato i pasti per il pranzo,<br />

chi ha servito al bar, chi ha gestito il parcheggio<br />

e tutti insieme abbiamo curato l’accoglienza.<br />

Da due anni questa festa è dedicata alle famiglie,<br />

quindi nella tarda mattinata c’è stato un incontro<br />

dal titolo “La famiglia custode dell’esperienza<br />

della fede”, tenuto da una coppia di sposi che<br />

collabora nella pastorale famigliare di Roma. Nel<br />

pomeriggio: musica e balli; quindi il coro dei giovani,<br />

provenienti da diverse parrocchie della nostra<br />

diocesi, ci ha intrattenuto con un bel concerto e<br />

ha animato anche i canti della<br />

messa.<br />

Nella celebrazione eucaristica,<br />

presieduta dal nostro<br />

vescovo Vincenzo, c’è stata<br />

l’ammissione tra i candidati all’ordine<br />

del diaconato permanente<br />

di Gaetano Di Laura e Luciano<br />

Taddei.<br />

Al termine della festa c’è stata<br />

la consueta estrazione dei<br />

premi della lotteria.<br />

In estrema sintesi è questa<br />

la cronaca di una giornata “speciale”<br />

e sono tanti i motivi per<br />

ringraziare il Signore e tutti coloro<br />

che hanno reso possibile<br />

questa festa! È bello che sempre<br />

più persone prendano a cuore l’Acero e lo<br />

sentano “casa di tutti” e ci auguriamo che questo<br />

appuntamento annuale sia un momento in<br />

cui la comunità ecclesiale si ritrova per riscoprirsi<br />

“famiglia di famiglie”.<br />

Vi aspettiamo all’ “Acero in festa 2014”!<br />

segue da pag. 32<br />

E veniamo così alle catechesi. Al fervore degli inizi pian piano è subentrata<br />

una calma abitudine. Si era cominciato con la visita del sacerdote<br />

nelle famiglie, una serata passata nelle case, spesso con la cena<br />

consumata insieme. Poi anche la novità che poteva risultare di una potenza<br />

straordinaria, è caduta nella burocrazia. Questa la troviamo pronta<br />

dopo ogni tentativo serio a mandare all’aria anche le intuizioni più brillanti.<br />

Comunque se qualcuno potesse davvero dedicarci del tempo, magari<br />

preparare una persona ad hoc, potrebbe rivelarsi in senso positivo il<br />

rientro nelle famiglie.<br />

Oggi, penso che se il parroco proponesse di andare di persona a casa<br />

a fare la catechesi, non troverebbe molti ostacoli, adattandosi ovviamente<br />

agli orari dei genitori. Se si proponesse l’invio di una terza persona sarebbe<br />

più difficile accettarla, e quindi ci vorrebbe una riserva plausibile. Ma<br />

poi sono convinto che verrebbe accolta. Ecco dunque la proposta che<br />

si potrebbe fare in diocesi.<br />

Ogni parrocchia prepara due coppie per la catechesi battesimale. Ci vogliono<br />

persone disponibili, forse già in pensione, dato che è raro trovare lavoratori,<br />

o liberi professionisti che dispongano di tempo sufficiente per adeguarsi<br />

alle richieste della gente. Naturalmente tutto dipende dal numero<br />

degli abitanti e dei battesimi. Una media di 50 battesimi significherebbe<br />

un impegno settimanale. Non è poco, ma è gestibile.<br />

Se i catechisti sono credibili<br />

potrebbe essere<br />

un rilancio della fede<br />

di notevole portata e<br />

fatto senza grandi proclami. I temi delle catechesi non voglio trattarli qui,<br />

primo perché credo sia giusto attendere lo svolgimento del convegno di<br />

Assisi, e poi perché ognuno ha elaborato una sequenza che dovrebbe<br />

essere incisiva.<br />

Se no, bisogna farsi le domande opportune. Ma vogliamo porcele queste<br />

domande? Forse la capacità di verifica è un po’ spenta.<br />

Credo anche che le cose che i preti fanno siano davvero troppe per avere<br />

spazi per farne bene qualcuna. Ci vuole coraggio per lasciare morire<br />

le cose inutili o quelle fatte male. Anche riguardo alla celebrazione<br />

stessa del battesimo, preferisco non parlarne o magari tornarci dopo.<br />

Solo una osservazione sul divario di tempo dedicato a preparare un matrimonio<br />

e quello dedicato a un battesimo. E la solennità? E la comunità?<br />

Mi capitava, tempo fa, di avvertire il malumore delle donne che non potevano<br />

pregare il Rosario, prima della messa, perché c’era il battesimo.<br />

Naturale che non fossero minimamente interessate a questo sacramento.<br />

Esso, si pensa, riguarda solo gli invitati…<br />

Quando comincerà il rinnovamento?


Giugno<br />

34 20<strong>13</strong><br />

Èproprio un’avventura quella di Nuovi Orizzonti!<br />

La Comunità infatti compie 20 anni di vita<br />

e si sta espandendo con una prepotenza<br />

che ha il sapore tipico dei disegni di<br />

Dio. Quale il suo inizio? Un semplice<br />

SÌ a Dio di una ragazza, Chiara<br />

Amirante. Un SÌ che ha messo in moto<br />

un’avventura straordinaria. Il carisma<br />

di fondazione: portare la gioia del<br />

Risorto negli inferi dell’umanità. Lei<br />

stessa si racconta…Ho sempre cercato<br />

qualcosa capace di dare un senso<br />

grande alla mia vita. Mi dicevo: “Ho<br />

una sola vita. Voglio spenderla per qualcosa<br />

di grande” e cercavo la gioia, la<br />

pace, la verità, la libertà.<br />

Una frase del Vangelo mi ha raggiunto<br />

proprio come una folgorazione:<br />

“Rimanete nel mio amore.<br />

Se osserverete i miei comandamenti<br />

rimarrete nel mio amore (…). Vi dico<br />

queste cose perché la mia gioia sia<br />

in voi e la vostra gioia sia piena. Amatevi<br />

come io vi ho amato. Nessuno ha un amore più<br />

grande di questo: dare la vita per i propri amici”.<br />

Ecco! E meditando questa frase mi sono detta:<br />

“Accipicchia! Il Signore della creazione è venuto<br />

ad abitare in mezzo a noi per darci il segreto<br />

della pienezza della gioia”. Ed è vero! Vivendo<br />

questa parola ho iniziato a sperimentare una gioia<br />

nuova, una gioia piena. E mi sono resa conto<br />

che questa gioia resisteva anche alle prove più<br />

terribili della vita.<br />

In particolare, in seguito ad un esperienza di malattia<br />

molto dura, molto dolorosa, ho sentito proprio<br />

che questa gioia continuava a restare nel<br />

mio cuore nonostante la terribile sofferenza ed<br />

è stato proprio lì che ho sentito questo desiderio:<br />

“Ma io voglio condividere questa scoperta<br />

con coloro che sono più disperati!”.<br />

Ed è nata questa idea un po’ matta di andare<br />

in strada di notte a cercare quei giovani che abitano<br />

la strada: il popolo della notte. Dinanzi a<br />

questo grido, dinanzi a questo popolo della notte<br />

mi sono chiesta che cosa potessi fare io nel<br />

mio piccolo. Ogni giorno cercavo, così, in punta<br />

di piedi, di entrare nelle storie di questi giovani<br />

e tanti di loro mi chiedevano, un po’ sorpresi<br />

dalla presenza di una ragazza giovane in<br />

luoghi così pericolosi, mi chiedevano: “Ma a te<br />

chi te lo fa fare di essere qui a rischiare la tua<br />

vita per noi che neanche ci conosci?” e quando<br />

parlavo un po’ di come questa scoperta dell’amore<br />

di Dio aveva colorato di cielo la mia vita,<br />

di come in Gesù avevo trovato la Via per la pienezza<br />

della gioia, tanti mi dicevano:<br />

“Ma anche noi vogliamo incontrare questo Gesù<br />

di cui tu ci parli. Nessuno mai ci aveva detto che<br />

Lui è venuto a darci il segreto per la pienezza<br />

della gioia”. E così è nata l’idea di aprire una<br />

comunità dove appunto fare un percorso di guarigione<br />

del cuore, di conoscenza di sè basato<br />

sul Vangelo. Avevo sperimentato che la Parola<br />

di Dio vissuta ci dischiude nuovi e meravigliosi<br />

orizzonti. E così abbiamo cercato questa casa<br />

dove iniziare un po’ questa avventura; nel ’94<br />

è nata la prima comunità di accoglienza Nuovi<br />

Orizzonti a Roma e devo dire che veramente<br />

la risposta di tutti i giovani accolti è stata davvero<br />

sorprendente.<br />

Ho visto migliaia di giovani passare dalla disperazione<br />

a questa gioia di vivere che fiorisce nel<br />

momento che apriamo il cuore all’amore di Dio.<br />

E proprio loro stessi, che prima percorrevano<br />

la strada di notte, imprigionati nella tristezza, nella<br />

solitudine, nella disperazione, hanno sentito<br />

il desiderio di tornare in quelle stesse strade per<br />

testimoniare questa gioia: la gioia della resurrezione,<br />

per testimoniare il passaggio dalla morte<br />

alla vita grazie all’amore di Dio.<br />

Ecco, in questi anni abbiamo così visto il fiorire,<br />

il moltiplicarsi di tanti centri, di tante iniziative,<br />

proprio per cantare al mondo questa gioia<br />

della resurrezione. Ma per quanto si sono moltiplicati<br />

i centri abbiamo visto che non sono mai<br />

sufficienti e così è nata un’altra idea: l’idea di<br />

Cittadella Cielo.<br />

Nelle Cittadelle Cielo appunto si vuole imparare<br />

a vivere la legge del Cielo, l’amore che Gesù<br />

è venuto a insegnarci. Vogliono essere dei piccoli<br />

villaggi di accoglienza e di formazione per<br />

tutti quei giovani che vogliono impegnarsi nella<br />

prevenzione, nell’accoglienza, nel disagio.<br />

Alcuni dati della Comunità<br />

Nuovi Orizzonti<br />

A. CENTRI DI<br />

ACCOGLIENZA,<br />

FORMAZIONE,<br />

ORIENTAMENTO = 185<br />

35 - Centri di Accoglienza residenziale<br />

per persone in<br />

situazioni di grave disagio<br />

53 - Centri di formazione al<br />

volontariato internazionale<br />

28 - Centri di ascolto e telefoni<br />

in aiuto, grazie ai quali<br />

sono sostenute annualmente<br />

più di 100.000 persone<br />

69 - Famiglie aperte all’accoglienza.<br />

B. EQUIPE DI<br />

SERVIZIO = 412<br />

1. Prevenzione e Sensibilizzazione:<br />

sono circa due milioni le persone che si raggiungono<br />

annualmente nei luoghi di aggregazione<br />

giovanile: scuole, strade, piazze, spiagge,<br />

attraverso spettacoli, animazione, convegni,<br />

tavole rotonde, meeting. Quattro o cinque volte<br />

l’anno si organizzano le missioni di strada e<br />

tantissime altre micro-missioni. Numerosi Centri<br />

di formazione alla nuova evangelizzazione sono<br />

operativi in Italia e all’estero.<br />

2. Comunicazione e Mass-Media:<br />

è sempre più frequente e intensa la collaborazione<br />

con i mezzi di comunicazione di massa:<br />

format televisivi interamente scritti e realizzati<br />

da Nuovi Orizzonti, partecipazioni a trasmissioni<br />

televisive e radiofoniche nazionali e locali (più<br />

di 1200 le trasmissioni televisive realizzate, di<br />

cui 402 tra Rai e Mediaset, e circa 1400 alla radio).<br />

Un centro audio-visivo coordina le diverse attività<br />

di produzione, service e nel campo dei newmedia<br />

(il sito nuoviorizzonti.org, il social network<br />

e piattaforma multi-blog cavalieridellaluce.net con<br />

33 blog, il sito cittadellacielo.com, il sito orizcontinua<br />

nella pag. accanto


Giugno<br />

20<strong>13</strong><br />

35<br />

Nella cornice della Festa diocesana<br />

della Famiglia (1<br />

Maggio c.a.) si sono vissuti<br />

molti momenti significativi e formativi,<br />

di incontro e di dialogo ma il<br />

momento che maggiormente è stato<br />

significativo come evento di grazia<br />

per la nostra Chiesa diocesana<br />

è stato il poter celebrare l’Eucarestia,<br />

nella quale è stato inserito il rito di<br />

Ammissione all’ordine sacro del<br />

Diaconato dei nostri fratelli Gaetano<br />

Di Laura e Luciano Taddei che vivono<br />

rispettivamente uno nella città di<br />

Colleferro e l’altro nella città di<br />

<strong>Velletri</strong>.<br />

Il momento ha visto la partecipazione<br />

del Vescovo Vincenzo che ha presieduto<br />

la celebrazione, ma anche di<br />

diversi sacerdoti e del collegio dei diaconi<br />

oltre che alle loro famiglie e a<br />

tutti i convenuti per la festa diocesana<br />

della famiglia.<br />

L’ammissione agli ordini sacri è il primo<br />

passo verso una scelta definitiva<br />

che si attuerà mediante l’imposizione<br />

delle mani e la preghiera consacratoria<br />

del Vescovo che al termine<br />

del loro cammino di discernimento<br />

ordinerà diaconi permanente di<br />

Gaetano e Luciano.<br />

Questa loro risposta alla chiamata del<br />

Signore è il primo Sì ad una consacrazione<br />

totale, un prendere con sempre<br />

maggiore impegno la formazione<br />

spirituale, umana, culturale e pastorale<br />

che deve essere essenziale per<br />

un diacono.<br />

Questi nostri due fratelli iniziano una<br />

fase più impegnativa di questo cammino<br />

che ha reso pubblico il loro impegno<br />

di formazione per l’ordinazione<br />

diaconale e il reciproco impegno della<br />

Chiesa diocesana di <strong>Velletri</strong>-<strong>Segni</strong><br />

che nel medesimo momento attraverso<br />

il suo pastore, li ha scelti come<br />

candidati per questo servizio, un domani,<br />

della diaconia all’altare del<br />

Signore.<br />

Lo sguardo è rivolto verso il Signore<br />

che ammaestra, pasce e santifica<br />

il suo popolo. Questo percorso sarà<br />

appunto sancito dal conferimento dei<br />

ministeri di Lettorato e Accolitato. Poi<br />

nell’ordinazione diaconale.<br />

n.d.r.<br />

segue da pag. 34<br />

zontidiluce.com).<br />

La pagina pubblica di Chiara Amirante in facebook<br />

con l’iniziativa “Parole di Luce” ha raggiunto<br />

più di un milione di contatti a settimana.<br />

Altre pagine pubbliche sono in continua espansione<br />

sia in facebook sia in twitter.<br />

3. Spettacolo e Animazione<br />

numerosissimi eventi di animazione nelle scuole,<br />

nelle piazze, concerti di prevenzione e sensibilizzazione,<br />

creazione di una folta rete di artisti,<br />

musicisti, collaboratori impegnati a promuovere<br />

l’evangelizzazione attraverso talenti artistici. Si<br />

organizzano work shop di formazione<br />

al teatro, animazione,<br />

dizione, canto e musica.<br />

Continua è la produzione di CD<br />

musicali grazie ad uno Studio di<br />

registrazione attivo nel cuore di<br />

Roma.<br />

4. Formazione, Promozione della<br />

Cultura, Editoria:<br />

incontri, convegni, pacchetti formativi<br />

rivolti soprattutto ai giovani<br />

che si preparano al volontariato,<br />

agli operatori sociali, agli adolescenti<br />

e agli adulti. Sono già<br />

stati pubblicati un numero considerevole<br />

di libri. È stata fondata<br />

la casa editrice dell’Associazione,<br />

Orizzonti di Luce, che vuole essere un’interlocutrice<br />

attiva nel lanciare messaggi positivi al<br />

mondo di oggi.<br />

È stata inoltre realizzata la rivista Orizzonti News.<br />

5. Servizi sociali e Cooperazione internazionale:<br />

sviluppo della cultura della solidarietà; attività<br />

di segretariato sociale; promozione del volontariato<br />

nei luoghi di maggior marginalità sociale<br />

(carceri, luoghi di povertà e degrado, ospedali).<br />

Realizzazione di progetti in Italia e nei Paesi<br />

in via di sviluppo.<br />

6. Economia e Lavoro:<br />

promozione e valorizzazione della dimensione<br />

formativa del lavoro; pianificazione di attività lavorative<br />

che liberino creatività personali; gestione<br />

di centri di reinserimento lavorativo e cooperative<br />

sociali.<br />

7. Espressioni artistiche:<br />

espressione e valorizzazione dell’arte attraverso<br />

creazioni artistiche quali pitture, icone, sculture,<br />

artigianato, design.<br />

8. Spiritualità e preghiera:sono oltre 600attualmente<br />

i Cenacoli di preghiera che sostengono<br />

le iniziative dell’Associazione e numerosi i gruppi<br />

di formazione alla spiritualità.<br />

C. CITTADELLE CIELO<br />

NEL MONDO<br />

Sono 5 le Cittadelle di accoglienza<br />

e formazione in via di realizzazione<br />

nel mondo: 2 in Brasile,<br />

1 in Bosnia-Erzegovina e 2 in<br />

Italia. La comunità Nuovi Orizzonti<br />

può contare sulla collaborazione<br />

di più di 30.000 persone e<br />

su migliaia di simpatizzanti in Italia<br />

e all’estero.<br />

I Cavalieri della Luce, che prendono<br />

l’impegno di testimoniare<br />

la Gioia di Cristo Risorto e di portare<br />

la rivoluzione del Vangelo<br />

nel mondo, sono più di 250.000.


Giugno<br />

36 20<strong>13</strong><br />

Antonio Venditti<br />

Non è facile rispondere a tale<br />

domanda, come a tutte quelle che<br />

si pone il nostro Paese, sfiduciato<br />

e deluso, nelle morse ancora di un’impressionante<br />

crisi economica, che qualcuno<br />

definisce, non solo più grave di tutte quelle<br />

precedenti, ma addirittura della grande crisi<br />

mondiale del 1929. Il problema della scuola<br />

è sociale e politico, nel senso che non si<br />

può prescindere dai responsabili delle scelte<br />

sociali e politiche, cioè fatte da coloro che<br />

guidano le sorti del nostro Paese.<br />

Il rapporto con il Governo e con il Ministro<br />

in carica dell’istruzione è quindi fondamentale<br />

ed imprescindibile, ogni volta che si parla<br />

della grande realtà della formazione, la quale<br />

coinvolge, sotto vari aspetti, tutti i cittadini,<br />

nel presente e soprattutto per il futuro.<br />

A scanso di equivoci, dopo aver tanto scritto<br />

sulla Riforma, ora non si può né si vuole<br />

certo negare che c’è stata, ridando prospettive<br />

al rinnovamento ed al buon funzionamento<br />

della scuola e dell’università. Con<br />

eguale sincerità si deve richiamare la necessità<br />

che essa venga davvero applicata, con<br />

gli indispensabili ed efficaci provvedimenti attuativi.<br />

Su questo punto gli ultimi Ministri, ad onor<br />

del vero, non sono stati convincenti, perché,<br />

con l’alibi della crisi e della mancanza di risorse<br />

finanziarie, si sono chiusi in un inquietante<br />

immobilismo e, quando hanno operato, hanno<br />

anche contraddetto le esigenze riformatrici,<br />

pure conclamate.<br />

Il Governo dei Professori, che aveva creato<br />

aspettative, non solo di risanamento generale<br />

della disastrata economia del Paese, ma<br />

anche di conseguente riequilibrio e di sviluppo<br />

di tutti i settori vitali, di cui la scuola non è<br />

certo uno dei secondari, a causa della sua<br />

“strana maggioranza”, per le lotte ed i veti<br />

incrociati delle forze politiche che malvolentieri<br />

ne erano “sostenitrici”, ha ancor più appesantito<br />

la difficile situazione.<br />

Ora, dopo la travagliata vicenda dell’elezione<br />

del Capo dello Stato, fortunatamente<br />

conclusa con la plebiscitaria conferma – per<br />

la prima volta nella storia repubblicana – del<br />

Presidente Giorgio Napolitano, che dovrebbe<br />

permettere la fine dell’instabilità politica<br />

e l’ormai improcrastinabile riforma condivisa<br />

delle Istituzioni, si può sperare in una nuova<br />

Repubblica (la terza), la quale abbia al<br />

centro dell’attenzione la questione giovanile<br />

che, nella scuola riformata, trova la sua<br />

piattaforma di rinnovamento e di sviluppo, per<br />

quanto concerne l’efficace preparazione, mirata<br />

all’inserimento attivo nella nuova società,<br />

fondata sui principi della giustizia e dell’equità,<br />

che dia lavoro e sostegno a tutti, senza egoismi<br />

e favoritismi.<br />

E’ questo lo “scopo” dell’Esecutivo che, dopo<br />

due mesi dall’esito non risolutivo delle elezioni<br />

anticipate di febbraio, per iniziativa del<br />

Presidente, si è potuto formare, al di là delle<br />

contrapposizioni delle componenti politiche,<br />

le quali, per la maggior parte hanno aderito<br />

finalmente – e speriamo sinceramente<br />

– al forte “richiamo” alla responsabilità, per<br />

porre fine ad un inquietante periodo di incertezze,<br />

carico di pericoli per la stessa tenuta<br />

della democrazia nel nostro Paese.<br />

Il “Governo delle larghe intese”, definito dal<br />

Presidente del Consiglio Enrico Letta<br />

“Governo di servizio”, si presenta fortemente<br />

rinnovato nella struttura, con Ministri per<br />

la maggior parte “giovani” e qualificati come<br />

lui, e con tanti buoni propositi di ardua attuazione:<br />

ciò è, comunque, di buon auspicio per<br />

l’integrale moralizzazione della politica, la<br />

riforma indifferibile delle Istituzioni e per l’assunzione<br />

tempestiva di alcuni provvedimenti<br />

indispensabili a tamponare una situazione<br />

economica gravissima, che colpisce soprattutto<br />

i giovani senza lavoro, insieme a tanti<br />

capifamiglia, ridotti alla “povertà”, come gli<br />

anziani e le schiere di altre categorie deboli.<br />

E per la scuola, in tale terribile situazione,<br />

che cosa si potrà fare?<br />

Che senso ha parlare ancora di riforma, quando<br />

sono venute a mancare, in parte notevole,<br />

continua a pag.37


Giugno<br />

20<strong>13</strong><br />

37<br />

Antonio Giglio<br />

Il 1° maggio 20<strong>13</strong>, per me è una data particolarmente importante,<br />

in quanto il 1° maggio del 1988 venivo ordinato nella<br />

Cattedrale di Albano dal Vescovo Mons. Dante Bernini “Diacono<br />

Permanente“. Nozze d’argento con il mio servizio diaconale, che<br />

ha avuto molteplici espressioni in alcune parrocchie di Roma e di<br />

Tivoli, dopo un triennio di servizio liturgico in Cattedrale di Albano,<br />

quale catechista nei corsi di preparazione dei fidanzati al matrimonio,<br />

quale membro del Consiglio di Amministrazione dell’Istituto per il<br />

Sostentamento del Clero della <strong>Diocesi</strong> di Albano, un triennio di attività<br />

di catechesi nella <strong>Diocesi</strong> di Frascati ed infine il servizio quale<br />

catechista con l’Associazione “Volare“ nella Casa Circondariale<br />

di <strong>Velletri</strong>, tuttora in corso.<br />

Contemporaneamente sono ancora impegnato da circa dieci anni<br />

con un piccolo gruppo nella preghiera e studio settimanale della<br />

liturgia domenicale. Mi piace ricordare che Papa Francesco, nei<br />

primi giorni del suo Pontificato, ha pronunciato frasi “veramente rivoluzionarie”,<br />

affermando che il vero potere è il servizio, che non bisogna<br />

avere paura della tenerezza, che bisogna accogliere con affetto<br />

l’intera umanità e specialmente i più deboli, che è importante<br />

lavare i piedi ai ragazzi nelle carceri, ai malati di Aids, agli ex tossicodipendenti.<br />

Se la missione di Papa Francesco è enorme e tutta in salita, per<br />

far tornare la gente a credere; se risponde al vero l’affermazione<br />

di Jacques Sutter del Centro nazionale di ricerche sociali di Parigi<br />

che “ siamo alla deriva delle religioni ed anche chi non nega il cristianesimo<br />

lo accetta come un’eredità senza il testamento“; se è<br />

fondata l’inchiesta del sociologo Marco Marzano secondo cui “i giovani<br />

rinunciano volentieri a giudicarsi a vicenda e che invocano piuttosto<br />

la tolleranza ed esigono il rispetto delle proprie idee e di quelle<br />

altrui e che fanno fatica ad assegnare a qualunque sistema di<br />

norme un primato definitivo“, per me è veramente importante continuare<br />

la mia attività di servizio, specialmente in carcere, facendo<br />

ogni sforzo per fare in modo che i detenuti non si sentano senza<br />

futuro, considerazione e giusto rispetto.<br />

Venticinque anni di diaconato permanente non sono certo pochi,<br />

ma forse nemmeno tanti; non so quale sarà la mia futura possibilità<br />

di incontri e di servizio; sono comunque convinto che con il sostegno<br />

di Maria, Auxilium Christianorum e nello spirito salesiano (sono<br />

cooperatore da oltre trentacinque anni) vorrò perseverare, con umiltà<br />

e fede, a servire coloro che il buon Dio si degnerà di porre sulla<br />

mia strada.<br />

segue da pag. 36<br />

le risorse per la stessa sopravvivenza?<br />

Il nuovo Ministro del M.I.U.R., Maria Chiara<br />

Carrozza, se vuole dar senso alla sua funzione,<br />

dovrà riaprire una prospettiva di speranza.<br />

Non c’è dubbio che è una donna competente,<br />

con un curriculum notevole, sia dal<br />

punto di vista scientifico (per importanti studi<br />

e realizzazioni di robotica) sia come esperta<br />

della gestione, in qualità di Rettore della<br />

prestigiosa Scuola Superiore Sant’Anna di<br />

Pisa.<br />

Dovrà ora dirigere un Ministero che in Italia<br />

è stato sempre “difficile” e lo è ancor più ora,<br />

in una fase di grandi cambiamenti, che si dovranno<br />

concretizzare nella Scuola con la piena<br />

e coerente applicazione della Riforma, avente<br />

senso solo se creerà per le nuove generazioni<br />

prospettive concrete di inserimento<br />

attivo nella vita produttiva.<br />

E ciò in un momento in cui il lavoro diminuisce<br />

per tutti ma soprattutto per i giovani, sfiduciati<br />

e delusi, che, al termine della formazione<br />

scolastica ed anche universitaria, non trovano<br />

occupazioni in Italia e sempre più – anche<br />

i più dotati e preparati – pensano di lasciare<br />

il nostro Paese, per andare a cercare “fortuna”<br />

all’estero, privando l’Italia di preziose<br />

risorse. Cosa potrà fare il nuovo Ministro, per<br />

porre un freno a tale deprimente situazione<br />

e preparare il rilancio?<br />

Innanzitutto dovrà restituire fiducia agli operatori<br />

scolastici, soprattutto a quelli che vivono<br />

da troppo tempo nella precarietà ed hanno<br />

diritto ad una sistemazione stabile, sia nell’ambito<br />

dell’istruzione primaria e secondaria,<br />

sia nell’ambito dell’università, dove la ricerca<br />

merita di essere potenziata e valorizzata.<br />

Senza queste indispensabili misure, la<br />

Riforma è destinata a restare inefficace, cioè<br />

incapace di incidere in profondità.<br />

Le indispensabili risorse finanziarie potranno<br />

essere reperite, non soltanto dall’ulteriore<br />

eliminazione di irrazionalità e disfunzioni<br />

interne, ma soprattutto dalla generale riorganizzazione<br />

della Pubblica Amministrazione,<br />

che nel suo insieme è pletorica ed inefficiente,<br />

e non immune da forme degenerative gravi<br />

e dispendiose, eliminando le quali, si troverebbero<br />

risorse anche per dare lavoro a diplomati<br />

e laureati. In tal modo, visibilmente e<br />

concretamente, verrebbe affermato il primato<br />

della formazione, sicura garanzia di un avvenire<br />

migliore per le giovani generazioni.


Giugno<br />

38 20<strong>13</strong><br />

Volontari del museo<br />

La notte del 18 Maggio, dalle ore 21,<br />

presso il Museo Diocesano di <strong>Velletri</strong>,<br />

si è svolto un incontro pubblico sul<br />

tema del Francescanesimo e della sua evoluzione<br />

nei primi secoli del Medioevo, tenuto<br />

da Fabrizio Conti, giovane studioso di<br />

Genzano, organizzato e curato dalle<br />

dott.sse Sara Bruno e Mihaela Lupu.<br />

Numerosi gli spunti emersi e dibattuti nel<br />

corso della conferenza.<br />

L’esperienza di Francesco d’Assisi (+ 1226) rappresenta<br />

certamente quanto di più esemplificativo<br />

e peculiare si possa immaginare in termini di testimonianza<br />

dei valori del messaggio cristiano.<br />

L’ immagine di Francesco come alter Christus<br />

- “altro Cristo” - si è espansa a tal punto da diventare<br />

un punto fermo nella considerazione<br />

popolare così come in tanta parte della storiografia<br />

francescana.<br />

Dopo la pubblicazione nel 1893 della prima opera<br />

sulla vita di Francesco d’Assisi da parte di<br />

Paul Sabatier, iniziatore della moderna storiografia<br />

francescana, la cosiddetta “Questione francescana”<br />

appare ancora di estrema attualità.<br />

La ricostruzione dell’immagine storica del<br />

Poverello di Assisi, al di là di ogni elaborazione<br />

agiografica o mitografica, e rintracciabile negli<br />

scritti stessi del Santo, è il fulcro della “questione”.<br />

L’incontro tenuto al Museo Diocesano ha sottolineato<br />

l’importanza di considerare il contesto<br />

“politico” della creazione dell’immagine odierna<br />

del Santo di Assisi, originata in particolar modo<br />

dalla Legenda maior di Bonaventura da<br />

Bagnorea, commissionata dall’Ordine stesso e<br />

ap<strong>prova</strong>ta nel 1263 come biografia ufficiale di<br />

Francesco, a scapito delle precedenti legendae<br />

e vitae. La conferenza ha quindi trattato dell’immagine<br />

di Francesco nei suoi eredi: nelle caratteristiche<br />

e nei tratti di quell’ordine francescano nato parzialmente<br />

al di fuori delle stesse intenzioni del<br />

Santo, nel momento in cui il gruppo dei pochi<br />

intimi adepti della iniziale fraternitas si trasforma<br />

via via nella religio, nell’ordine religioso, appunto,<br />

che diventerà nel corso di poco tempo, nonostante<br />

tutto, forte colonna portante della<br />

Chiesa, con i suoi teologi, i suoi predicatori, le<br />

scuole e le università.<br />

Le molteplici vicissitudini dell’Ordine, prima di<br />

tutte quelle degli “Spirituali” nella disputa sulla<br />

povertà, e l’emergere poi all’interno dell’ordine<br />

stesso di un movimento dell’Osservanza che produrrà<br />

alcuni tra i più famosi predicatori italiani<br />

di tutti i tempi, come Bernardino da Siena, Giacomo<br />

della Marca o Giovanni da Capestrano, impegnati<br />

su molteplici versanti - dalla lotta al lusso,<br />

a quella all’usura con la fondazione dei primi<br />

Monti bancari, a quella all’eresia, e ai Turchi<br />

penetrati in Europa - consentono allora di valutare<br />

la figura di Francesco e i temi da lui trattati<br />

alla luce di sviluppi successivi e necessari<br />

al mantenimento stesso dell’esperienza francescana.<br />

Il primo e basilare passo in tal senso è senza<br />

dubbio rappresentato da quello che lo storico<br />

Grado Giovanni Merlo ha definito come una evoluzione<br />

del movimento<br />

francescano “dal<br />

deserto alla folla”: il<br />

momento in cui l’esperienza<br />

eccezionale<br />

e forse non ripetibile del<br />

Santo di Assisi - assieme<br />

alla primitiva comunità<br />

eremitica dei primi<br />

anni - diventa in poco<br />

tempo il fenomeno<br />

urbano, sociale, artistico<br />

che tutti conosciamo,<br />

ormai patrimonio fondamentale<br />

della nostra<br />

identità italiana ed<br />

europea.<br />

Fabrizio Conti<br />

(<strong>Velletri</strong>, 1976), ha ottenuto il PhD in Medieval<br />

Studies presso la Central European University<br />

di Budapest nel 2011, discutendo una tesi sull’originale<br />

approccio dei predicatori e confessori<br />

francescani osservanti milanesi di fine ‘400 in<br />

tema di superstizione e stregoneria. Fabrizio è<br />

membro della Società Storica Lombarda, parte<br />

del sistema delle Deputazioni di Storia Patria;<br />

collabora con il Museo di <strong>Velletri</strong> a diversi progetti,<br />

studi e ricerche.<br />

A partire dalle ore 20, il museo ha riaperto le<br />

porte al pubblico in occasione della Festa dei<br />

Musei. I volontari in servizio, Michela Giansanti<br />

e Simone Valeriani (nelle foto sotto), sono stati<br />

a disposizione dei numerosi visitatori - delle<br />

famiglie veliterne! , accompagnando grandi e piccoli<br />

per tutta la serata e raccontando la storia<br />

della collezione diocesana.


Giugno<br />

20<strong>13</strong><br />

39<br />

1° CORSO DI ICONOGRAFIA:<br />

il Volto di Cristo<br />

Si è conclusa con la benedizione delle icone durante<br />

la santa messa nella cattedrale San Clemente,il primo<br />

corso di iconografia del 20<strong>13</strong>, un cammino di due<br />

mesi per gli allievi guidati dal maestro d’arte Fabio Pontecorvi.<br />

Otto incontri dove i corsisti hanno conosciuto ed imparato con<br />

entusiasmo la tecnica della tempera all’uovo e dell’applicazione<br />

della foglia in oro, una tecnica antichissima utilizzata<br />

dagli antichi maestri iconografi.<br />

Lo scopo del corso è stato quello di dipingere su una tavola<br />

in legno ingessata (Levkas) portando a termine un icona del<br />

volto di Cristo. Importante è stato anche la preparazione alla<br />

preghiera che durante le lezioni hanno accompagnato il lavoro<br />

degli allievi. L’icona possiamo definirla una finestra verso<br />

il divino, uno strumento che aiuta a contemplare il mistero di Dio e la<br />

vita dei santi.<br />

Ogni tappa ha visto la curiosità degli allievi che con capacità artistiche<br />

hanno condiviso il loro lavoro in una ambiente favorevole come quello<br />

del laboratorio del museo diocesano. Il lavoro si è svolto partendo<br />

dal disegno per arrivare alla preparazione dei colori attraverso i pigmenti<br />

colorati, con terre e ossidi e minerali.<br />

“Importante nell’iconografia sacra è il colore che non può essere considerato<br />

solo un semplice mezzo di decorazione, ma fa parte di un linguaggio<br />

che tende ad esprimere il mondo trascendentale,verso l’alto.<br />

Come per i simboli il colore è legato ad un significato” www.artesacraveliter.it<br />

La preghiera quindi accompagnata alla tecnica ha dato quel valore spirituale<br />

ad ogni tavola(Icona) che sarà uno strumento di preghiera per<br />

gli allievi che hanno partecipato al corso.<br />

Segue la preghiera dell’iconografo:<br />

O Divino Maestro,<br />

fervido artefice di tutto il creato,<br />

illumina lo sguardo del Tuo servitore,<br />

custodisci il suo cuore,<br />

reggi e governa la sua mano,<br />

affinché degnamente e con perfezione<br />

possa presentare<br />

la Tua immagine per la gloria, la gioia e la bellezza<br />

della Tua Santa Chiesa.<br />

Artemisia Gentileschi,<br />

Giuditta che decapita Oloferne,<br />

1620 circa, Galleria degli Uffizi di Firenze.<br />

don Marco Nemesi*<br />

L’emergere in campo artistico delle donne<br />

coincide con la nozione moderna di ”artista”,<br />

che vede il concetto intellettuale del<br />

“fare arte” in opposizione alla manualità artigianale.<br />

Eppure, oggi, si è spesso sorpresi all’idea che<br />

nel 1600 la pittura fosse praticata anche dalle<br />

donne. In realtà numerose artiste, tra la fine del<br />

‘500 e l’inizio del ‘600, si sono “consacrate” alla<br />

pittura e hanno conosciuto una discreta fortuna<br />

in vita. Certo, all’epoca era impensabile per<br />

una donna far carriera in ambito pittorico senza<br />

l’appoggio, la tutela o la protezione di un uomo.<br />

Eppure le pittrici esistevano ed erano anche apprezzate,<br />

nonostante che per ben tre secoli il giudizio<br />

sulla pittura “femminile” abbia risentito di quella<br />

classificazione per categorie stabilita già da<br />

Vasari nelle Vite, proprio nel momento in cui la<br />

storia dell’arte si faceva strada in quanto disciplina.<br />

Quelle stesse categorie che si sono poi<br />

trasformate in “pregiudizio” lungo tutto l’800. Il<br />

talento delle artiste, sebbene riconosciuto,<br />

restava nel limbo, in una categoria a parte di<br />

“interesse minore”.<br />

Artemisia Gentileschi ne è l’esempio più evidente.<br />

Riguardo ai meriti artistici di Artemisia, l’elogio<br />

di Roberto Longhi la dice lunga: “l’unica donna<br />

in Italia che abbia mai saputo che cosa sia pittura...”<br />

e sebbene altre pittrici avessero intrapreso<br />

quella via, sia nell’arte che nella biografia di<br />

Artemisia Gentileschi, c’è qualcosa che la rende<br />

particolarmente affascinante e che spiega l’interesse<br />

di scrittori e registi nei suoi confronti.<br />

Contemplando “Giuditta che decapita Oloferne”,<br />

sempre Longhi scriveva:<br />

“Chi penserebbe infatti che sopra un lenzuolo<br />

studiato di candori e ombre diacce degne d’un<br />

Vermeer a grandezza naturale, dovesse avvenire<br />

un macello così brutale ed efferato […]<br />

Ma - vien voglia di dire - ma questa è la donna<br />

terribile! Una donna ha dipinto tutto questo?” e<br />

ancora: “... che qui non v’è nulla di sadico, che<br />

anzi ciò che sorprende è l’impassibilità ferina di<br />

chi ha dipinto tutto questo ed è persino riescita<br />

a riscontrare che il sangue sprizzando con<br />

violenza può ornare di due bordi di gocciole a<br />

volo lo zampillo centrale! Incredibile vi dico! Eppoi<br />

date per carità alla Signora Schiattesi - questo<br />

è il nome coniugale di Artemisia - il tempo di scegliere<br />

l’elsa dello spadone che deve servire alla bisogna!<br />

Infine non vi pare che l’unico moto di Giuditta<br />

sia quello di scostarsi al possibile perché il sangue<br />

non le brutti il completo novissimo di seta gialla?<br />

Pensiamo ad ogni modo che si tratta di un<br />

abito di casa Gentileschi, il più fine guardaroba<br />

di sete del ‘600 europeo, dopo Van Dyck”.<br />

L’analisi dell’opera rileva la particolare maestria<br />

pittorica e l’estrema abilità nel servirsi dell’impasto<br />

e della variegata tavolozza: i colori squillanti,<br />

il luminoso panneggio e quel suo giallo inconfondibile,<br />

il perfezionismo nel tradurre la realtà,<br />

la minuzia orafa dei gioielli e delle armi.<br />

Indubbia l’assimilazione del genio di Caravaggio<br />

di cui risaltano evidenti i richiami e le influenze.<br />

I due destini, d’altronde, sono accomunati<br />

da una vita tormentata e segnata da dolorosi<br />

eventi, lo stupro subito dall’una e il fatidico omicidio<br />

in duello di Ranuccio Tomassoni per l’alcontinua<br />

a pag. 40


segue da pag. 39<br />

tro. Tuttavia la finezza emotiva e il virtuosismo<br />

tecnico di Artemisia sono mossi anche da un talento<br />

originale e fuori dal comune, quasi il pennello<br />

fosse un’arma impugnata e maneggiata<br />

per una reinterpretazione personale dei modelli,<br />

certo caravaggeschi, ma con specifiche qualità<br />

narrative e gestuali, espresse con una sensibilità<br />

femminile tutta sua.<br />

Giuditta e Oloferne, colpisce per l’elevata dose<br />

di violenza che la contraddistingue, per l’immediatezza<br />

dei soggetti raffigurati, per il gusto teatrale tipicamente<br />

barocco e per la sapienza con la quale<br />

sono impiegati i colori. La freddezza e l’impassibilità<br />

di Giuditta, il suo sforzo nel tenere<br />

ferma la testa di Oloferne, il generale che a sua<br />

volta tenta di respingere la serva<br />

che aiuta la protagonista<br />

a decapitare il nemico: il<br />

tema era già stato affrontato,<br />

con la stessa violenza, da<br />

Caravaggio, ma la tela proposta<br />

da Artemisia Gentileschi assume<br />

anche una connotazione<br />

autobiografica.<br />

L’iconografia è tratta dal repertorio<br />

biblico: Giuditta, più volte<br />

raffigurata nel corso della<br />

storia dell’arte (ma mai in modo<br />

così brutale), era un’eroina giudea<br />

che fece innamorare il generale<br />

assiro Oloferne, i cui soldati<br />

stavano assediando la città<br />

di Betulia.<br />

Dopo aver fatto ubriacare il condottiero,<br />

Giuditta lo decapitò<br />

privando così gli assiri del loro<br />

più valoroso condottiero: fu quindi<br />

facile per gli assediati mettere<br />

in fuga i nemici.<br />

L’episodio è narrato nel libro<br />

di Giuditta. Diversamente da<br />

quanto vorrebbe la tradizione,<br />

Artemisia (ricalcando l’esempio<br />

di Caravaggio) dipinge<br />

l’ancella di Giuditta assieme<br />

alla sua padrona nel<br />

momento in cui viene compiuta<br />

la decapitazione: nel racconto<br />

biblico invece si dice che<br />

la serva si sia limitata a<br />

nascondere la testa di Oloferne<br />

in una bisaccia. Così recita il libro di Giuditta:<br />

“Avvicinatasi alla colonna del letto che era dalla<br />

parte del capo di Oloferne, ne staccò la scimitarra<br />

di lui; poi, accostatasi al letto, afferrò la<br />

testa di lui per la chioma e disse: “Dammi forza,<br />

Signore Dio d’Israele, in questo giorno”. E<br />

con tutta la forza di cui era capace lo colpì due<br />

volte al collo e gli staccò la testa. Indi ne fece<br />

rotolare il corpo giù dal giaciglio e strappò via<br />

le cortine dai sostegni. Poco dopo uscì e consegnò<br />

la testa di Oloferne alla sua ancella, la<br />

quale la mise nella bisaccia dei viveri e uscirono<br />

tutt’e due, secondo il loro uso, per la preghiera;<br />

attraversarono il campo, fecero un giro nella valle,<br />

poi salirono sul monte verso Betulia e giunsero<br />

alle porte della città” (Gdt. <strong>13</strong>, 6-10).<br />

Per avvalorare l’ipotesi secondo la quale il dipinto<br />

sarebbe dettato da una voglia di rivincita della<br />

pittrice nei confronti dell’ex amico di famiglia,<br />

si potrebbe osservare come le fattezze della Giuditta<br />

siano molto simili a quelle di Artemisia Gentileschi<br />

e tutta la formosità dell’eroina dipinta nel quadro<br />

ricordi molto da vicino quella dell’artista. Inoltre,<br />

la folta chioma scura di Oloferne richiamerebbe<br />

la capigliatura di Agostino Tassi: e se a ciò<br />

si aggiunge il fatto che il libro sacro lascia trapelare<br />

l’idea secondo la quale Oloferne voleva<br />

abusare di Giuditta, ecco che il parallelo tra i<br />

soggetti raffigurati nell’opera e i due protagonisti<br />

dello stupro risulta più che soddisfacente. Dice<br />

infatti il libro di Giuditta: “Il cuore di Oloferne rimase<br />

estasiato e si agitò il suo spirito, aumentando<br />

molto nel suo cuore la passione per lei; già<br />

da quando l’aveva vista, cercava l’occasione di<br />

sedurla” (Gdt. 12, 16).<br />

Il grande pregio di questa tela non è da ricercarsi<br />

soltanto nella sua capacità di rievocare la<br />

violenza subita dalla pittrice: si tratta, infatti, di<br />

uno dei capolavori più famosi di Artemisia Gentileschi<br />

oltre che di un quadro dal quale si evince tutto<br />

il grande talento dell’artista.<br />

L’azione è concitata e feroce allo stesso tempo:<br />

Artemisia fa in modo che l’attenzione dell’osservatore<br />

non si concentri solo su un singolo<br />

particolare, ma sia portata a soffermarsi su tutti<br />

i dettagli della scena, il cui centro è da trovare<br />

nelle mani di Giuditta che recidono il capo di Oloferne.<br />

La pittrice non fa niente per attenuare il particolare<br />

più cruento della composizione, anzi: cerca<br />

di aumentare la tensione dipingendo sul volto<br />

di Oloferne una smorfia di dolore e disperazione<br />

e macchiando il lenzuolo su cui posa il<br />

condottiero con rivoli di sangue che sgorgano<br />

dalla ferita.<br />

Giuditta, trasposizione sulla tela della pittrice stessa,<br />

non pare in alcun modo turbata, ma rimane<br />

ferma nella sua impassibilità, scostandosi leggermente<br />

e tenendo le braccia tese forse perché<br />

inorridita, o forse per far<br />

sì che il sangue che erompe<br />

dalla testa di Oloferne non<br />

le macchi il vestito riccamente<br />

decorato.<br />

Gli squarci di luce che<br />

mettono in rilievo le figure<br />

dei tre protagonisti della scena<br />

derivano dalla lezione di<br />

Caravaggio, che Artemisia<br />

conosceva bene in quanto<br />

amico del padre, e da quella<br />

di Orazio stesso, che tra<br />

gli “allievi” del lombardo fu<br />

forse il più attento e allo stesso<br />

tempo il più originale.<br />

Le tonalità cupe, sono tipiche<br />

del barocco e contribuiscono<br />

a conferire un tocco<br />

di teatralità alla scena.<br />

I gesti e gli sguardi delle due<br />

donne sono studiati nei<br />

minimi dettagli, così come<br />

il disperato tentativo del guerriero<br />

che oppone, seppur invano,<br />

tutta la sua forza per impedire<br />

che l’eroina possa<br />

tagliargli la testa.<br />

Non è di secondaria importanza<br />

il fatto che l’opera sia<br />

dipinta da una donna, per<br />

di più in giovane età.<br />

La cura e l’attenzione per i<br />

colori, per le vesti e per le<br />

forme delle protagoniste si<br />

avvertono in modo tangibile:<br />

basta dare una semplice occhiata alle stoffe<br />

e ai ricami per rendersi conto della mano e<br />

del tocco femminile che stanno dietro a quest’opera<br />

di elevatissimo pregio pittorico. La mano di una<br />

donna violata che vuole riconquistare il suo onore<br />

attraverso la pittura: e a distanza di quasi quattrocento<br />

anni si può dire senza dubbio che Artemisia<br />

è riuscita nella sua personale riconquista, raggiungendo<br />

la gloria artistica e ottenendo un posto<br />

di privilegio nella storia dell’arte.<br />

*Direttore Ufficio Diocesano Beni culturali

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