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Cuffaro: “Andato a sbattere contro la mafia,<br />

ho sbagliato a frequentare certe persone”<br />

Giovanni Bianconi<br />

Gliel’avessero detto quando era un giovane dirigente<br />

della Democrazia cristiana siciliana, che un giorno<br />

avrebbe dedicato un libro a Marco Pannella, non ci<br />

avrebbe creduto neanche lui. E nemmeno una decina d’anni fa,<br />

quando era governatore dell’isola eletto con quasi due milioni di<br />

voti nell’alleanza di centrodestra. Invece è successo: sul frontespizio<br />

del suo secondo volume pronto per essere stampato c’è un<br />

pensiero affettuoso per il leader radicale, «strenuo lottatore per i<br />

diritti dei detenuti». Glielo dedica l’autore, detenuto Salvatore<br />

«Totò» Cuffaro, matricola 87833, che in tre anni di galera ha cambiato<br />

opinione e visuale su tante cose. «Da presidente della Regione<br />

di carcere mi sono occupato — racconta in una saletta del<br />

penitenziario romano di Rebibbia, dov’è rinchiuso dal gennaio<br />

2011 —, forse meno di quanto avrei dovuto.<br />

Da qui però c’è un’altra prospettiva. E da qui dico che di certe leggi<br />

che ho votato, come senatore, un po’ mi vergogno: perché in<br />

nome della sicurezza abbiamo varato norme troppo restrittive, e<br />

peggiorative della situazione di tutti i detenuti, non solo quelli considerati<br />

più pericolosi. E questo non è giusto. Perché, come ho<br />

scritto nel libro, il carcere non è solo luogo di corpi, ma di anime;<br />

di uomini con le loro storie e le loro speranze. Delinquenti, d’accordo,<br />

che però h<strong>anno</strong> diritto ad avere una nuova possibilità. Ecco<br />

perché l’indulto chiesto dal presidente Napolitano sarebbe auspicabile,<br />

vista la situazione attuale di sovraffollamento. E non parlo<br />

per me, che in ogni caso non ne potrei usufruire; io ormai devo<br />

scontare tutta la pena qui dentro, e lo farò». A dicembre il detenuto<br />

Cuffaro, primo e finora unico parlamentare finito in cella per fatti<br />

di mafia, ha sperato di poter uscire grazie alla concessione dell’affidamento<br />

in prova ai servizi sociali. Ma i giudici di sorveglianza<br />

h<strong>anno</strong> detto no, perché potrebbe collaborare utilmente<br />

con la magistratura e non l’ha fatto. E siccome per concedere<br />

i benefici la legge impone quel passaggio a chi, come lui, è<br />

stato condannato per reati che h<strong>anno</strong> a che fare con Cosa nostra,<br />

Totò Cuffaro è rimasto dentro. «Io non ho ancora capito<br />

che cosa potrei dire — insiste lui —, visto che sono solo l’anello<br />

di una catena di condannati.<br />

Mi ero illuso. Vorrà dire che avrò il tempo di laurearmi in Giurisprudenza<br />

e di scrivere un terzo libro. Ma non mi lamento». Atteggiamento<br />

non consueto, di questi tempi, che l’ex<br />

governatore della Sicilia spiega così: «Ho scelto la strada del rispetto<br />

delle sentenze, e proseguo su quella, tanto più adesso<br />

che s’è dimostrato che non aiuta sul piano concreto. Vuol dire<br />

che non era una scelta ipocrita o opportunista, ma sincera e<br />

convinta. Io lo sapevo da prima, ora può capirlo chiunque. Mi<br />

rendo conto che per i giudici non era facile mettermi fuori, la<br />

mia vicenda è difficile da dipanare. Confidavo che fosse possibile,<br />

e magari adesso farò ricorso: non per me, che probabilmente<br />

finirò di scontare la pena prima dell’ultimo verdetto, ma<br />

per altri ai quali sarei lieto di offrire una nuova possibilità». Il rispetto<br />

per la condanna e le decisioni dei magistrati, sebbene<br />

considerate ingiuste, deriva però da un’altra considerazione:<br />

«Io mi faccio carico delle mie responsabilità; non solo penali,<br />

ma complessive. Ho fatto parte di un sistema istituzionale con<br />

incarichi importanti: alla Regione, in Senato e al Parlamento<br />

europeo, assumendo oneri e onori; lo stesso sistema che poi mi<br />

ha messo sotto accusa, trovando gli elementi per condannarmi.<br />

Posso pensare che ha sbagliato, ma non posso contestarlo.<br />

Avessi ritenuto che il sistema fosse squilibrato o ingiusto, avrei<br />

dovuto combatterlo prima, non adesso che sono chiamato a<br />

pagare certe conseguenze. Non è che siccome la magistratura<br />

mi ha messo alla sbarra, ora posso sputarci sopra. Non sarei<br />

credibile, né sarebbe giusto». Sono parole di un ex potente,<br />

pronunciate tra sbarre e porte blindate. E ascoltarle qui dentro<br />

fa un certo effetto. Soprattutto se paragonate a quelle che altri<br />

pronunciano fuori, di continuo.<br />

Il parallelo con Silvio Berlusconi è inevitabile. Tre anni fa,<br />

24 20gennaio2014 a<strong>sud</strong>’<strong>europa</strong>

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