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MUSEOLOGIA e ARCHEOLOGIA<br />

Anno Accademico 2010/2011<br />

Docente Patrizia Gioia<br />

patrizia.gioia@comune.roma.it<br />

LEZIONE 2:<br />

• STORIA DEI MUSEI: DAL MONDO<br />

GRECO AL ‘500


IL MONDO GRECO


Nell’antica Grecia le raccolte di oggetti preziosi<br />

avevano un carattere pubblico ed erano<br />

dedicate alle divinità nei templi e nei santuari.<br />

Esse erano custodite all’interno degli edifici<br />

sacri, oppure in spazi appositamente costruiti,<br />

chiamati "tesori" per il loro contenuto.<br />

Testa di pugile vittorioso,<br />

330 a.C. ca., da Olimpia,<br />

Atene, Museo Nazionale. La<br />

testa possedeva in origine<br />

una corona d’alloro dorata,<br />

simbolo della vittoria.<br />

Gli oggetti erano offerti alla divinità da privati<br />

cittadini, da ambasciatori di città lontane e<br />

dagli atleti vincitori nelle gare sportive; erano<br />

doni per celebrare la potenza del dio e<br />

ottenerne la protezione, oppure ringraziamenti<br />

per i favori e le vittorie concesse, ma anche<br />

memorie storiche, trofei di guerra e meraviglie<br />

della natura, come ad esempio animali<br />

imbalsamati provenienti da luoghi lontani e<br />

uova di struzzo.<br />

Complesso archeologico di Olimpia: veduta<br />

degli scavi e Tempio di Zeus.


La raccolta di offerte agli dei (thesauròs) è antichissima e dal Neolitico attraversa<br />

tutte le civiltà compresa quella cristiana.<br />

Grotte sacre, luoghi ed edifici destinati al culto contengono veri e propri tesori.<br />

Le collezioni votive servono a ricordare gli uomini agli dei.


Inizialmente tali raccolte avevano<br />

una finalità puramente religiosa,<br />

ma a partire dal V secolo a.C. gli<br />

oggetti votivi (statue, gioielli,<br />

tripodi, ecc.) assursero al rango di<br />

opere d‟arte per il loro valore<br />

estetico e la fama degli artisti che<br />

li avevano creati.<br />

Si pose di conseguenza maggiore<br />

attenzione al problema<br />

dell‟esposizione delle opere, per<br />

consentirne la più completa<br />

fruizione.<br />

È esemplare il caso della statua di<br />

Atena in avorio e oro, realizzata<br />

nella seconda metà del V secolo<br />

dallo scultore Fidia: la cella del<br />

Partenone, il famoso tempio<br />

dell‟Acropoli di Atene, venne<br />

dotata di un colonnato a due piani<br />

affinché la gigantesca scultura di 12<br />

metri potesse essere ammirata da<br />

ogni angolazione.


In epoca ellenistica, il re d‟Egitto<br />

Tolomeo I Sotere (cioè Salvatore),<br />

generale di Alessandro Magno,<br />

fonda, nel 307 a.C. presso la<br />

propria reggia, il Museion di<br />

Alessandria, un centro dotato di:<br />

•Giardino zoologico<br />

•Giardino botanico<br />

•Collezioni naturalistiche<br />

•Biblioteca (con 500000 rotoli di<br />

papiro)<br />

•Osservatorio astronomico<br />

Questo edificio ospitò poeti,<br />

filosofi, astronomi, geografi,<br />

medici, storici, artisti e i più<br />

famosi matematici della civiltà<br />

alessandrina.


Il lavoro degli studiosi del<br />

Museo era diviso in<br />

quattro dipartimenti:<br />

•Letteratura<br />

•Matematica<br />

•Astronomia<br />

•Medicina


Il cuore della struttura era la biblioteca, un<br />

immenso insieme di volumi e documenti.<br />

L’accurata descrizione di Strabone riporta che<br />

consisteva in un ampio edificio delimitato da un<br />

porticato con colonne adatto alle passeggiate,<br />

comprendente ben 500.000 rotoli, molti dei quali<br />

depredati ai Persiani, che riunivano tutto il sapere<br />

dell’epoca, tanto che le opere venivano copiate da<br />

studiosi di passaggio nel porto. E proprio perché<br />

questa enorme raccolta di sapere venisse a<br />

tramandare la memoria delle conoscenze<br />

dell’epoca, l’istituzione venne chiamata Museion in<br />

onore delle nove Muse generate dalla madre<br />

Mnemosine, dea della memoria.<br />

Questa istituzione, un vero centro scientifico-letterario-artistico, un’accademia<br />

nel più alto senso del termine, rimase attiva, con alti e bassi per ben 8 secoli<br />

fino al V secolo d.C. quando l’edificio fu dato alle fiamme, insieme alla regina<br />

Ipazia, durante una rivolta dei Cristiani che intendevano distruggere l’emblema<br />

delle conoscenze greco-romano-ellenistiche considerate contrarie alla<br />

religione.


Sempre in età ellenistica (III - I<br />

sec. a.C.), con la nascita degli<br />

studi storici e del gusto<br />

antiquario, la passione per la<br />

raccolta di opere d’arte si diffuse<br />

anche tra i privati e nelle dimore<br />

dei cittadini più importanti si<br />

accumularono collezioni di dipinti<br />

e statue.


Il primo museo al mondo di<br />

scultura antica fu allestito a<br />

Pergamo intorno al 170 a.C. da<br />

Eumene II, re della città. Per<br />

ricostruire il panorama storico<br />

più completo della produzione<br />

scultorea antica, il sovrano aveva<br />

tentato di radunare esempi di<br />

tutto ciò che sino a quel<br />

momento era stato creato dagli<br />

artisti e, per completare la<br />

raccolta, aveva ordinato di<br />

eseguire copie delle sculture che<br />

non potevano essere acquistate.


In quel periodo anche la<br />

biblioteca di Pergamo divenne<br />

uno dei centri culturali del<br />

mondo antico, e con i suoi<br />

200.000 libri era di fatto il<br />

secondo centro culturale al<br />

mondo, dopo la grande<br />

biblioteca di Alessandra<br />

d’Egitto. Fu proprio a causa di<br />

questa “rivalità” ed a una sorta<br />

di embargo dei fogli di papiro<br />

(l’unica carta dell’epoca) da<br />

parte dell’Egitto, che la civiltà<br />

di Pergamo sotto la guida<br />

illuminata di Eumene II,<br />

produsse una carta alternativa,<br />

proveniente dalla concia delle<br />

pelli, e che da allora prese il<br />

nome di Pergamena.


IL MONDO ROMANO<br />

Giovanni Paolo Pannini, "Roma Antica" (1755)


IL PATRIMONIO PUBBLICO<br />

Per la formazione delle prime raccolte d’arte<br />

pubbliche e private a Roma fu di<br />

fondamentale importanza la conquista della<br />

Magna Grecia, ovvero di quella parte dell’Italia<br />

meridionale da tempo colonizzata dai Greci,<br />

famosa per le sue ricchezze e la sua cultura.<br />

Nel III secolo a.C. da città come Siracusa, i<br />

comandanti romani portarono in patria una<br />

notevole quantità di quadri e sculture. Questo<br />

bottino di guerra, dopo essere stato condotto<br />

in trionfo dall’esercito per le vie di Roma, in<br />

parte veniva dedicato nei templi alle divinità,<br />

in parte trovava una stabile collocazione in<br />

luoghi pubblici a ricordo della vittoria<br />

conseguita e come ornamento della città, in<br />

parte, infine, andava ad arricchire le case dei<br />

condottieri.<br />

Andrea Mantegna, Trionfi di Cesare, Hampton<br />

Court, Royal Collection, 1490-1500, tempera su<br />

tela, cm. 274 x 274.


A Roma, quindi, le opere d’arte<br />

trafugate come bottino di guerra,<br />

simbolo della potenza politicomilitare<br />

e della capacità di<br />

espansione del popolo romano,<br />

costituivano in larga misura un<br />

patrimonio comune. Esse erano<br />

esposte singolarmente o a gruppi<br />

in edifici e spazi pubblici come<br />

piazze e giardini, spesso<br />

trasformati in veri e propri musei<br />

all’aperto, nei quali si cercavano<br />

soluzioni di allestimento sempre<br />

nuove e scenografiche. In<br />

generale si prediligevano i luoghi<br />

più monumentali e frequentati<br />

della città.


I luoghi pubblici, soprattutto quelli più<br />

frequentati nella vita di ogni giorno, come le<br />

piazze dei fori, erano letteralmente popolati da<br />

una folla silenziosa di statue. Immagini onorarie<br />

di cittadini benemeriti, di personaggi famosi<br />

delle epoche precedenti, di membri della casa<br />

regnante (naturalmente in età imperiale)<br />

gremivano le aree dove si esercitavano tutte le<br />

attività a dimensione pubblica delle città<br />

antiche. Gli affari, le transazioni commerciali,<br />

gli incontri e anche il semplice passeggio<br />

avevano luogo in spazi animati da tutte queste<br />

presenze immote, immerse nel viavai dei<br />

cittadini in carne e ossa. Purtroppo, però, di<br />

queste sculture è giunto fino a noi solo un<br />

piccolo numero, a causa delle travagliate<br />

vicende attraversate dai manufatti del passato.<br />

Per la città di Roma siamo comunque abbastanza<br />

bene informati grazie alle fonti scritte, che ci<br />

fanno sapere come, già in età<br />

mediorepubblicana (IV-III sec. a.C.), l‟erezione<br />

di statue in luoghi pubblici fosse ormai divenuta<br />

un fenomeno normale. La famosa testa nota<br />

come “Bruto Capitolino” potrebbe,<br />

verosimilmente, avere fatto parte di uno di<br />

questi monumenti.


La situazione che, attraverso la documentazione<br />

letteraria, si può delineare per Roma è attestata per via<br />

archeologica anche in altri centri più o meno importanti.<br />

Così, infatti, grazie agli scavi si è potuto accertare come il<br />

foro di Pompei si fosse progressivamente affollato di<br />

statue, sebbene di esse siano state ritrovate soltanto le<br />

basi, perché queste sculture furono rimosse<br />

probabilmente durante i restauri successivi al grave<br />

terremoto del 62 d.C., precedente la terribile eruzione<br />

del Vesuvio del 79.<br />

Dopo una serie di statue equestri dedicate ai magistrati<br />

più importanti della colonia sillana, dedotta a Pompei<br />

nell’80 a.C., i più significativi interventi furono effettuati<br />

in età augustea. Sul lato meridionale della piazza forense,<br />

in una zona occupata già in precedenza da sculture, fu<br />

elevato un monumento ad arco che forse reggeva una<br />

quadriga con la statua-ritratto di Augusto, al quale<br />

vennero poi accostati altri due grandi basamenti, forse<br />

destinati anch’essi a ricevere quadrighe; una grande<br />

statua equestre fu inoltre disposta sull’asse principale<br />

della piazza. Un’idea dell’effetto esercitato da questi<br />

monumenti, presso i quali circolavano gli abitanti di<br />

Pompei quando frequentavano il foro, è suggerita da un<br />

affresco, dipinto nell’atrio di un bel complesso<br />

residenziale risalente agli ultimi anni di vita della città, i<br />

Praedia di Iulia Felix.


Anche all’interno degli edifici pubblici non mancavano corpi inanimati, i quali tramandavano non solo le fattezze dei notabili<br />

cittadini che erano personalmente intervenuti nella monumentalizzazione dei centri urbani, finanziando la costruzione e la<br />

decorazione di impianti destinati alle esigenze civiche, ma anche, naturalmente, quelle dell’imperatore e dei suoi famigliari,<br />

come se in questo modo si fosse voluta sottintendere una loro virtuale partecipazione alle attività che vi venivano svolte.<br />

Così un ciclo statuario come quello che, in fasi successive, fu offerto alla dinastia giulio-claudia nella basilica di Veleia,<br />

nell’Appennino piacentino, oltre a costituire un atto di lealismo verso la casa imperiale da parte del dedicante, il Lucio<br />

Calpurnio Pisone, cognato di Cesare, che aggiunse la propria immagine al gruppo, finiva anche per simboleggiare l’ideale<br />

presenza dell’imperatore all’attività giudiziaria che si teneva nell’edificio, quasi a garantirne la validità e la conformità alle<br />

leggi.<br />

Il corpo riprodotto in scultura, come si vede, non era perciò finalizzato soltanto alla mera celebrazione delle individualità più<br />

illustri, sia a livello locale sia a quello più elevato del potere centrale (un po’ come avviene ancora ai nostri tempi con le<br />

statue poste su piedistalli nelle piazze), ma fungeva spesso da indispensabile completamento degli spazi nei quali si<br />

collocava, valorizzandone le funzioni.<br />

Parma, Museo Archeologico<br />

Nazionale. Statue del ciclo giulioclaudio<br />

di Veleia


In ambito pubblico, il corpo esaltato e moltiplicato dall’arte trovava una sua<br />

importante destinazione anche in ambienti completamente diversi, ad<br />

esempio negli impianti termali. I complessi più grandi e sontuosi, come le<br />

enormi terme realizzate a Roma da Traiano sull’Esquilino, o quelle di<br />

Caracalla e di Diocleziano, erano infatti arricchiti da abbondanti decorazioni<br />

scultoree, all’interno delle sale, in certi casi vastissime, riservate alle attività<br />

balneari. Alcune delle più rinomate sculture giunte fino a noi dall’antichità<br />

facevano parte proprio delle raccolte contenute negli edifici termali: furono<br />

recuperati nelle aree occupate dai suddetti stabilimenti l’ “Ercole” e il “Toro<br />

Farnese”, oggi al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.


La familiarità che tutti avevano con le<br />

immagini mitologiche incarnate da simili<br />

figure scolpite è confermata dal fatto che<br />

evidentemente nessuno, in luoghi deputati<br />

al rilassamento e allo svago, doveva<br />

turbarsi trovando vicino a sé scene anche<br />

molto crude, con membra umane contorte<br />

negli spasimi dell‟agonia. I corpi inanimati<br />

delle sculture, negli ambienti termali, si<br />

mescolavano perciò con naturalezza ai corpi<br />

nudi dei bagnanti che vi camminavano<br />

intorno, col risultato che potevano certo<br />

servire anche come modelli ai quali ispirarsi<br />

nella cura e nell‟allenamento del fisico,<br />

almeno nel caso delle statue atletiche. Fra<br />

queste va ricordato il celeberrimo<br />

Apoxyomenos di Lisippo, del quale è giunta<br />

a noi una sola copia ma il cui originale<br />

sappiamo che era stato collocato da Agrippa<br />

nelle terme da lui stesso edificate a Roma<br />

nel Campo Marzio.


Ma anche nei grandi monumenti celebrativi,<br />

espressamente innalzati da Roma per la<br />

glorificazione del proprio potere e delle proprie<br />

vittorie sui popoli nemici, la figura umana<br />

occupava sempre un posto fondamentale, anche<br />

se in modi differenti. Poteva trattarsi, infatti,<br />

dell’immagine colossale del vincitore, come la<br />

statua di Augusto sulla sommità del Trophée des<br />

Alpes a La Turbie, oppure dei rilievi realizzati per<br />

decorare monumenti di diversa tipologia, come le<br />

colonne coclidi di Traiano e di Marco Aurelio a<br />

Roma, dove una moltitudine di figure esalta<br />

ancora oggi le imprese degli eserciti romani,<br />

riproducendo non solo gli scontri bellici, ma<br />

anche gli altri episodi che caratterizzarono<br />

l’andamento delle campagne di guerra qui<br />

immortalate.


IL PATRIMONIO PRIVATO<br />

In seguito alla trasformazione della<br />

Grecia in provincia controllata da Roma<br />

(146 a.C.), l’afflusso di opere d’arte<br />

greche crebbe notevolmente, e, con<br />

esso, il desiderio dei privati cittadini di<br />

possedere questi oggetti raffinati e<br />

capaci di infondere prestigio al loro<br />

proprietario.<br />

Alle pareti dell’atrium, la sala<br />

principale della casa patrizia, fin<br />

dall’antichità si esponevano i<br />

ritratti degli antenati per<br />

celebrare l’importanza della<br />

famiglia.<br />

Larario<br />

Taverna di Vetutius Placidus a Pompei


Gli scenari finora rievocati sfruttavano<br />

l‟immagine umana in una dimensione<br />

pubblica, fruibile da tutti i cittadini<br />

indifferentemente. Ma anche all‟interno<br />

delle case private erano impiegate in<br />

abbondanza raffigurazioni di vario tipo. I<br />

più lussuosi impianti domestici, infatti,<br />

erano analogamente abitati da una folla<br />

muta di figure che tenevano compagnia<br />

ai proprietari e a tutti coloro che<br />

frequentavano la casa, cioè gli amici, i<br />

visitatori e i clientes. Non mancavano<br />

interi cicli scultorei che popolavano le<br />

dimore, un po‟ alla maniera di ciò che si<br />

è visto per gli spazi pubblici. L‟esempio<br />

più sontuoso in questo senso è offerto<br />

dalla Villa dei Papiri di Ercolano, dove,<br />

nel corso del ‟700, è stato riportato alla<br />

luce un cospicuo complesso di sculture,<br />

oggi custodite al Museo Archeologico<br />

Nazionale di Napoli.


In questo ampio corredo figurativo, in origine<br />

disseminato negli spazi più importanti della villa<br />

(soprattutto nei due peristili e negli ambienti a essi<br />

adiacenti), si possono riconoscere differenti nuclei<br />

tematici, i quali, con varie sfumature e suggestioni<br />

culturali, possono essere sostanzialmente ricondotti<br />

alla contrapposizione tra humanitas e feritas,<br />

un’antitesi cara alla cultura tardorepubblicana (ma<br />

non sono mancate interpretazioni differenti). Così i<br />

busti e le erme di poeti, oratori e filosofi rimandano<br />

direttamente ai paradigmi culturali cui gli esponenti<br />

delle classi elevate volevano ispirarsi, mentre i ritratti<br />

dei dinasti ellenistici, in un simile contesto, possono<br />

essere spiegati, oltre che come modelli più o meno<br />

confessati per i politici del periodo, anche come<br />

incarnazione della necessità, per i governanti, di agire<br />

secondo linee di comportamento guidate<br />

dall’intelletto. Le numerose figure appartenenti alla<br />

sfera dionisiaca, come i Sileni con otri e pantere, e a<br />

maggior ragione il noto gruppo che raffigura il bestiale<br />

accoppiamento tra Pan e una capra, si configurano<br />

invece come simboli della selvatichezza della natura<br />

non disciplinata dalla civilitas, in voluta<br />

contrapposizione con i personaggi, appena ricordati,<br />

che erano chiamati a rappresentare i valori superiori<br />

della cultura greco-romana.<br />

Busto di Seleuco I Nicatore,<br />

Napoli, Museo Archeologico<br />

Nazionale<br />

Napoli, Museo Archeologico Nazionale.<br />

Statua di Sileno con pantera


I luoghi privilegiati per la conservazione e l’esposizione delle collezioni private furono però le ville<br />

suburbane: nei giardini, sotto i portici e sui bordi dei ninfei, lontano da sguardi indiscreti, le<br />

sculture e i dipinti creavano uno sfondo ideale per gli otia dei proprietari, ovvero per il riposo e lo<br />

studio.<br />

Il fenomeno del collezionismo privato suscitò anche aspre critiche. Tra gli uomini politici romani,<br />

ad esempio, Marco Agrippa (63 a.C.-12 a.C.), uno dei più influenti collaboratori dell’imperatore<br />

Augusto, condannò l’esilio nelle ville suburbane di tante opere, sottratte alla fruizione di molti per<br />

il piacere di pochi. Pur senza giungere a conseguenze sul piano pratico, si affermava in questo<br />

modo per la prima volta il principio della pubblica utilità del patrimonio artistico.


pars rustica<br />

pars<br />

urbana<br />

Ricostruzione grafica e pianta di una VILLA ROMANA


VILLA<br />

cd. AD DUAS LAUROS A CENTOCELLE (Roma)


POMPEI, Casa del Bracciale d’Oro. Affresco con giardino (paradeisos).


L’EROS DI<br />

CENTOCELLE


Che i corredi scultorei disposti all’interno<br />

delle dimore private seguissero spesso<br />

programmi pianificati con cura, anche in<br />

rapporto alla funzione degli spazi dove<br />

venivano collocati, è testimoniato, ad<br />

esempio, dall’epistolario di Cicerone.<br />

Anche i giardini, che completavano le case<br />

e le ville più ricche, erano cosparsi di<br />

statue, di norma appartenenti alla cerchia<br />

delle divinità più vicine al mondo naturale<br />

e alla passionalità umana, cioè Bacco e<br />

Venere. Tra le sculture più largamente<br />

impiegate in questo ambito, particolare<br />

fortuna ebbe l’Afrodite di Doidalsas,<br />

artista bitinio del III sec. a.C.; si tratta di<br />

un’opera nota da numerose repliche, che<br />

ripetono in marmo le forme dell’originale<br />

bronzeo. L’immagine della dea,<br />

accovacciata nell’atto di bagnarsi, ben si<br />

prestava a essere collocata tra le piante di<br />

un giardino, magari vicino a una fontana.


Nei contesti privati un posto importantissimo<br />

era occupato anche dalla decorazione pittorica<br />

delle pareti, dove occhieggiavano figure di ogni<br />

genere. Vi erano infatti i protagonisti dei<br />

pinakes, i quadri che si fingevano inseriti nelle<br />

composizioni parietali e che generalmente<br />

rappresentavano scene desunte dalla mitologia<br />

greca. Ma vi erano anche figure introdotte<br />

all’interno dei sistemi ornamentali nelle<br />

maniere più svariate: personaggi fluttuanti, da<br />

soli o a coppie, al centro di campi uniformi di<br />

colore; minuscole cariatidi che sostenevano i<br />

fusti a volte esilissimi delle architetture dipinte;<br />

corpi talora di fantasia che entravano in punti<br />

diversi delle composizioni pittoriche, magari<br />

combinandosi con altri elementi vegetali a<br />

plasmare bizzarre metamorfosi, lontanissime<br />

dalla realtà. La decorazione di certe stanze<br />

domestiche, restituita dagli scavi di Pompei,<br />

ricrea in alcuni casi delle vere e proprie<br />

pinacoteche, come le pareti dei due triclini della<br />

Casa dei Vettii, dipinte in un IV stile<br />

particolarmente sfarzoso (soprattutto quelle del<br />

triclinio p) nel corso degli ultimi decenni vissuti<br />

dalla città.<br />

Pompei, Casa dei Vettii. Particolare del triclinio p


In età romana il termine museum assunse il<br />

significato più tecnico di una grotta in cui<br />

statue e mosaici erano disposti per ottenere<br />

studiati effetti decorativi, come nel caso<br />

della grotta dell’imperatore Tiberio (42 a.C. -<br />

37 d.C.) a Sperlonga.<br />

Il legame ideale tra le Muse e il museo,<br />

inteso come luogo in cui lo studioso si<br />

ritirava per leggere, meditare e contemplare<br />

gli oggetti in esso conservati e disposti<br />

ordinatamente, non venne meno nei secoli<br />

successivi, nonostante l’avvento del<br />

Cristianesimo e la caduta delle antiche<br />

divinità. Gli studioli trecenteschi e<br />

quattrocenteschi, infatti, continuarono a<br />

essere designati dai colti umanisti italiani<br />

con l’espressione di "musarum studia",<br />

ovvero studi delle Muse, e per volere dei<br />

principi amanti delle arti furono spesso<br />

decorati con cicli pittorici ispirati a queste<br />

antiche divinità greche.<br />

Grotta di Tiberio, I secolo a.C.- I secolo d.C, Sperlonga


IL MEDIOEVO


La grande organizzazione dell’Impero<br />

Romano si dissolve col Medioevo e con<br />

essa il collezionismo privato subisce una<br />

battuta d’arresto.<br />

In questo periodo la chiesa assume<br />

l’importante funzione della divulgazione<br />

della cultura.<br />

Nelle cattedrali soprattutto, oltre alle<br />

preziose suppellettili del culto, si<br />

raccoglievano i doni ex voto dei fedeli,<br />

spesso materiali preziosi (antichi<br />

manoscritti, reliquie, gioielli, statue) che<br />

venivano esposti al pubblico durante le<br />

festività.


Nei cosiddetti secoli bui dunque la<br />

tendenza a collezionare oggetti<br />

continua, nonostante il Cristianesimo<br />

esortasse l’uomo a non possedere<br />

cose superflue. Queste cose<br />

“superflue”, che sono poi i soliti<br />

oggetti belli e/o strani, sono pertanto<br />

destinati alle chiese e ai monasteri<br />

tanto che è stato detto che “i preti e i<br />

monaci nel medioevo hanno salvato la<br />

curiosità così come hanno salvato<br />

l’agricoltura, la scienza, la letteratura e<br />

le arti”. Come nei templi antichi, sia<br />

come significato propiziatorio sia<br />

come testimonianza di ricchezza e<br />

potenza, chiese ed abbazie raccolsero<br />

dei veri tesori mediante i soliti modi di<br />

acquisizione o come doni di potenti o<br />

come risultati di saccheggi.


I TESORI<br />

Il tesoro di S. Pietro inizia con la<br />

donazione di Costantino (III<br />

secolo)<br />

il tesoro di Monza parte col<br />

dono di Teodolinda (VI secolo)<br />

il tesoro di S. Marco a Venezia si<br />

ingrandisce col saccheggio di<br />

Costantinopoli del 1204.<br />

Analogamente si formano i tesori di famose abbazie, come Montecassino e Pomposa.


L’Abate Suger de Saint-<br />

Denis (1081-1151),<br />

consigliere dei re di<br />

Francia, redasse<br />

l’inventario dei preziosi<br />

dell’Abbazia di St. Denis<br />

presso Parigi; alcuni degli<br />

oggetti descritti oggi sono<br />

esposti nel Museo del<br />

Louvre


Nonostante le temporanee esposizioni, questi tesori, pur<br />

avendo le caratteristiche di vere raccolte museali, non avevano<br />

una destinazione pubblica.


Il collezionismo medievale presenta<br />

due novità rispetto al periodo<br />

precedente, entrambe legate alla<br />

religione cristiana.<br />

La prima è data dalle reliquie, vere<br />

o falsificate, di santi o addirittura<br />

della vita di Cristo, reliquie spesso<br />

decorate e conservate perciò nelle<br />

camere del tesoro o sotto gli altari.


La seconda novità è collegata a quel vasto<br />

movimento noto col nome di Crociate che<br />

mise in contatto i popoli dell’occidente con la<br />

realtà del vicino oriente, realtà fatta non solo<br />

di possibili reliquie della Terrasanta, ma anche<br />

di animali diversi e quindi strani. Da qui<br />

l’esposizione nelle chiese di coccodrilli, più o<br />

meno ben imbalsamati, uova di struzzo che<br />

possono essere considerati come i primi<br />

esempi dei mirabilia, oggetti che destano<br />

stupore e che presto saranno affiancati da<br />

altro materiale curioso, ad esempio divennero<br />

famose le pietre ceraunie, cioè colpite dal<br />

fulmine. Tutto ciò era definito monstrum, da<br />

cui il nostro mostro, che significava però che<br />

era da mostrare perché interessante, tale da<br />

destare stupore, meraviglia.<br />

La riapertura dei traffici, sviluppata con le<br />

Crociate con le sue reliquie e le curiosità<br />

esotiche, stimolò l’interesse per il<br />

collezionismo che lentamente andò<br />

sviluppandosi anche al di fuori delle chiese,<br />

presso potenti ma anche privati.


Tra le collezioni private furono<br />

famose le collezioni<br />

enciclopediche dell’imperatore<br />

Federico II (1184-1250).<br />

Un collezionismo imperniato su<br />

curiosità e rarità che potevano<br />

destare meraviglia e che poteva<br />

dare al possessore prestigio, un<br />

vero “status symbol”, se non<br />

costituire addirittura un tesoro.


L‟UMANESIMO


Il Collezionismo, nelle sue<br />

manifestazioni più alte, di<br />

oggetti artistici e storici,<br />

ritrovò visibilità in età<br />

umanistica. Ciò sia in ambito<br />

privato che in ambito pubblico.<br />

Se si ebbero le prime collezioni<br />

private organizzate<br />

razionalmente e non giustificate<br />

da funzionalità liturgiche, o da<br />

esigenze di immagine, o da<br />

volontà di tesaurizzazione e di<br />

speculazione, si ebbero anche i<br />

primi fenomeni di<br />

conservazione di documenti,<br />

artistici e storici in spazi<br />

pubblici.


L‟interesse del nuovo<br />

collezionismo, attento<br />

nuovamente all‟uomo, sembra<br />

aver avuto carattere soprattutto<br />

storico. Interessava, più che<br />

l‟oggetto esteticamente valido, il<br />

documento utile alla conoscenza<br />

del passato e del mondo classico<br />

al quale sempre si faceva<br />

riferimento.<br />

Il rapporto con l‟antico era quindi<br />

essenziale, nella nascita<br />

dell‟esigenza di ricercare,<br />

raccogliere, ordinare, quanto si<br />

era salvato dal naufragio della<br />

classicità. Lo sviluppo del<br />

collezionismo fu quindi parallelo<br />

alla rinascita delle biblioteche,<br />

della lettura filologica dei testi,<br />

della nascita della ricerca storica<br />

moderna, del ritorno progressivo<br />

al naturalismo nell‟espressione<br />

artistica.


Si spiega così anche l‟immediata propensione<br />

al collezionismo della moneta antica<br />

nell‟Europa umanistica. Il monumento moneta,<br />

oltre ad assicurare una eccezionale stabilità<br />

dell‟immagine, che è ufficiale e prodotta in<br />

multiplo, forniva precisi dati fisionomici su<br />

personaggi indicati, al di là di ogni dubbio,<br />

dalla leggenda. Quindi nella moneta<br />

l‟umanista era certo di conoscere, senza<br />

intermediari e senza sforzi ricostruttivi, i volti<br />

del mondo classico. Egli poteva utilizzare la<br />

moneta per dare un nome a figure in altre<br />

classi di materiali che pure vengono<br />

collezionate, come i ritratti (procedimento<br />

ancora oggi privilegiato dagli archeologi), o<br />

riconoscere e divenire familiare con le figure<br />

imperiali citate nelle migliaia di epigrafi che<br />

poco per volta gli permettevano di ricostruire<br />

un mondo al quale anelava ricollegarsi.<br />

Non solo: la moneta proponeva in sé tutti gli<br />

elementi necessari per un allineamento in<br />

coerenti serie cronologiche, desumendo i dati<br />

da una tradizione letteraria che pure veniva<br />

contestualmente recuperata, chiosata,<br />

ripubblicata.


Esemplare ed anticipatrice appare per tutto<br />

ciò, la vicenda di Francesco Petrarca. Il<br />

poeta (1304-1374) poté collegarsi ad un<br />

mercato dell‟arte e di cimeli storici già<br />

fiorente nel Veneto al suo tempo, anche<br />

grazie a quanto veniva, a vario titolo, portato<br />

dall‟oriente a Venezia. Ebbe così la<br />

possibilità di formare una sua collezione di<br />

monete, affiancandosi già ad un nucleo di<br />

collezionisti, dei quali talvolta conosciamo<br />

nomi e vicende, a Verona, a Treviso, a<br />

Venezia, con interessi antiquari talvolta<br />

anche più ampi. Per il Petrarca le immagini<br />

degli imperatori sulle monete sono da<br />

collegare alla sua opera De viris illustris: la<br />

collezione era funzionale quindi a supportare<br />

un discorso celebrativo, didattico, per<br />

esaltare la virtù e spronare all‟emulazione<br />

dell‟antico. Con questa intenzione di sprone<br />

alla virtù egli donò anche alcune monete, nel<br />

1355, all‟Imperatore Carlo IV.


Le immagini tratte dalle monete e<br />

dai medaglioni antichi, con tutto<br />

il patrimonio figurativo classico<br />

superstite, agirono per un<br />

lunghissimo periodo come<br />

modelli, studiati e interpretati<br />

dal Pisanello al Mantegna, a Piero<br />

della Francesca, fino all‟arte<br />

“accademica”, alle soglie dei<br />

giorni nostri.<br />

Mantegna<br />

Pisanello<br />

Piero della Francesca


L‟umanista, dal cui lavoro<br />

prendeva avvio la moderna<br />

cultura occidentale, rimaneva<br />

però, soprattutto alle origini,<br />

figlio del medioevo. Il<br />

principio del riuso sembra<br />

infatti ancora<br />

sostanzialmente valido anche<br />

in età umanistica, anche se è<br />

da intendere in senso “alto”. Il<br />

documento antico, qualsiasi<br />

documento, veniva utilizzato<br />

per quanto raccontava e<br />

insegnava, e raramente veniva<br />

conservato per se stesso.<br />

Mancava ancora, anche se si<br />

percepisce la formazione di<br />

una sensibilità nuova, la<br />

valutazione dell‟oggetto da<br />

conservare di per sé, al di<br />

fuori della funzionalità che<br />

assumeva nel processo di<br />

ricostruzione dell‟antico.<br />

studio<br />

abbandono o riuso


Così, come già avvenne alla corte<br />

dell‟Imperatore Federico II (1194-<br />

1250), appariva vivissimo l‟interesse<br />

per le manifestazioni artistiche<br />

classiche, che venivano studiate e che<br />

erano premessa ineliminabile della<br />

produzione artistica del tempo, tanto<br />

da rendere talvolta alcuni prodotti<br />

nuovi indistinguibili da quelli antichi.<br />

Ma, se l‟oggetto antico veniva<br />

analizzato tecnicamente e<br />

stilisticamente,<br />

tanto da servire da modello per la<br />

nuova immagine, non per questo se ne<br />

giustificava la conservazione e<br />

l‟integrità, se non in termini di riuso e<br />

rilavorazione. Sembrano mancare, in<br />

questa fase, quasi sempre ancora i<br />

presupposti sistematici per<br />

organizzare la “collezione”.<br />

Policleto<br />

Michelangelo


TRA UMANESIMO E RINASCIMENTO:<br />

LO STUDIOLO<br />

Studiolo di Isabella d'Este, Museo del Palazzo<br />

ducale, Corte Vecchia, Mantova<br />

Studiolo di Federico da Montefeltro, Palazzo Ducale, Urbino


Nel Trecento si assiste al<br />

nascere dei cosiddetti<br />

studioli, piccole stanze<br />

appartate nel palazzo dove i<br />

sovrani, i nobili o i ricchi<br />

borghesi, si ritiravano, nei<br />

momenti liberi, non solo per<br />

meditare, ma anche per<br />

ammirare oggetti interessanti<br />

collezionati nel corso degli<br />

anni.<br />

Erano studio-oratoriolaboratorio<br />

così che Comenio<br />

nel 1654 ebbe a dare questa<br />

definizione: “Museum est<br />

locus ubi studiosus, secretus<br />

ab hominibus, solus sedet,<br />

studiis deditus, dum lectitat<br />

libros”.


Questi piccoli ambienti appartati, dove<br />

il padrone di casa raccoglieva, spesso in<br />

maniera caotica, oggetti rari come<br />

simbolo di prestigio culturale erano<br />

molto amati.<br />

Ricordiamo quello di Lionello d’Este nel<br />

Palazzo di Belfiore a Ferrara, quello di<br />

Federico di Montefeltro nel Palazzo<br />

Ducale ad Urbino, quello di Isabella<br />

d’Este nel Palazzo Ducale di Mantova e<br />

quello di Alfonso d’Este, fratello di<br />

Isabella, nel castello di Ferrara quello<br />

sicuramente più famoso è quello di<br />

Francesco I de’ Medici in Palazzo<br />

Vecchio a Firenze, ambiente<br />

strettamente privato ricavato tra la sua<br />

camera e l‟immenso salone dei<br />

Cinquecento, che diverrà poco più tardi<br />

il nucleo del Museo degli Uffizi.<br />

Isabella d’Este<br />

Francesco I de’ Medici


Dal trecento in poi divengono rilevanti anche le collezioni<br />

degli studiosi:<br />

Oliviero Forzetta, vissuto a cavalo del „300 a Treviso<br />

(manoscritti classici, medaglie, bronzi, sculture in marmo)<br />

Cardinale Pietro Barbo (poi Papa Paolo II) in Veneto<br />

Niccolò Niccoli a Firenze Quest‟ultimo possedeva una<br />

ricchissima biblioteca che lasciò per testamento destinata<br />

al servizio pubblico: trasportata da Cosimo dei Medici nel<br />

Convento di San Marco, fu la prima del mondo a concedere<br />

libri in prestito.<br />

Papa Paolo II<br />

Poggio Bracciolini a Firenze (in marmo cui era dedicata una<br />

sala della sua villa: la Valdoriniana)<br />

Cosimo, Piero e Lorenzo dei Medici a Firenze; in<br />

particolare Lorenzo riunì la parte esclusivamente artistica<br />

delle sue collezioni nel giardino di via Larga e negli edifici<br />

adiacenti, perché potesse essere utilizzata a scopo di studio<br />

dai giovani artisti.<br />

Poggio Bracciolini


Famose sono rimaste alcune importanti collezioni private in<br />

Europa.<br />

Rilevanti quelle della nobiltà francese come quella di Giovanni,<br />

Duca di Berry (1340-1416) figlio del re Giovanni il Buono. Al suo<br />

amore per i libri dobbiamo la realizzazione delle Très Riches<br />

Heures, famoso libro di preghiera miniato dai fratelli Limbourg<br />

ora conservato presso il Museo Condé di Chantilly. Si tratta di<br />

uno dei più importanti tesori artistici della Francia, poiché<br />

rappresenta uno dei culmini dell'arte della miniatura<br />

tardogotica. I libri d'ore erano libri per la devozione privata,<br />

contenenti preghiere adatte alle ore liturgiche del giorno (da cui<br />

il nome) ma anche a giorni della settimana, mesi o stagioni.<br />

Nella stessa collezione la “Gemma Augustea”.risalente al 10-20<br />

d.C., un cammeo di 15x23 cm, in onice su sfondo bianco e bruno.<br />

Tra i suoi tesori: una collezione di monete romane, preziosi solitari e perle pregiate,<br />

lavori di oreficeria, orologi meccanici. Accanto a questi oggetti, molti esempi dei<br />

cosiddetti curiosa: quattro denti di narvalo che Papa Giovanni XXII gli aveva donato<br />

perchè si riteneva che consentissero di scoprire i veleni, uova di struzzo, mascelle di<br />

serpente, aculei di porcospino, zanne di cinghiale, denti di balena, pelli di orsi polari,<br />

“ossa di giganti” forse appartenenti ad un mammut della Francia preistorica, pesci e<br />

conchiglie persino alcune reliquie: la camicia di Nostra Signora di Chartres, il calice<br />

usato da Gesù alle nozze di Cana, l‟anello di fidanzamento di San Giuseppe, ossa degli<br />

innocenti trucidati da Erode<br />

Très Riches Heures<br />

Gemma Augustea


FRA IL TARDO QUATTROCENTO E LA FINE DEL SEICENTO


Dal tardo Quattrocento dominano in campo museale le cosiddette<br />

Wunderkammer (camere delle meraviglie) accanto alle Schatzkammer<br />

(camere del tesoro). Anche se queste ultime erano riservate ai potenti,<br />

regnanti o famiglie molto facoltose, le prime potevano essere costituite<br />

anche da studiosi e appassionati.


Le Schatzkammer, inizialmente limitate solo a pietre e metalli<br />

preziosi, gradualmente passarono ad ospitare opere d’arte, come<br />

statue e quadri, soprattutto ad opera di sovrani illuminati come i<br />

Medici, i Gonzaga, gli Este, i Savoia e le corti di Spagna, Francia e<br />

Inghilterra, gettando le basi per i futuri grandi musei artistici.


Le camere delle meraviglie<br />

(Wunderkammer ) avevano come filo<br />

conduttore appunto la curiosità<br />

indipendente dal tipo di oggetti raccolti,<br />

naturalia ma anche artificialia purché<br />

fossero mirabilia. Potevano essere<br />

esemplari di storia naturale, strumenti,<br />

invenzioni meccaniche, carte geografiche,<br />

monete, cammei, armi, riproduzioni di<br />

animali fantastici (basilisco, unicorno,<br />

chimere e simili). Una congerie di oggetti,<br />

stipati in scaffali, attaccati alle pareti e al<br />

soffitto, disposti talvolta caoticamente più<br />

spesso in maniera abbastanza ordinata e<br />

simmetrica con lo scopo precipuo di<br />

stupire il visitatore. Questo senso di<br />

meraviglia lo si poteva avere non solo in<br />

queste sale private, ma anche in luoghi<br />

pubblici come le chiese che talvolta<br />

mostravano, accanto alle immagini sacre e<br />

alle reliquie, coccodrilli imbalsamati o<br />

grandi ossa fossili.


Questi oggetti atti a suscitare<br />

stupore aumentarono a<br />

dismisura a partire dal primo<br />

Cinquecento a seguito dei<br />

grandi viaggi oceanici. America<br />

e, più tardi Oceania, fornivano<br />

esemplari di animali e piante<br />

spesso diversi da quelli<br />

europei, per una diversa<br />

evoluzione determinata dalla<br />

separazione geografica, e si<br />

riprodusse quindi, ma in<br />

maniera molto più marcata, lo<br />

stesso fenomeno avvenuto<br />

secoli prima con le Crociate<br />

per l‟Africa e l‟Asia, esemplari<br />

naturali nuovi, diversi e quindi<br />

strani, nel senso etimologico<br />

del termine, e tali da suscitare<br />

stupore e meraviglia.


Alcune di queste Wunderkammer divennero presto famose, come quella<br />

allestita nel castello di Ambras, presso Innsbruck nel 1563 dal duca del<br />

Tirolo Ferdinando e ancor oggi, almeno in parte, conservata.


E’ in questo periodo che si comincia a prospettare una divisione<br />

tra:<br />

raccolta di tipo naturalistico e raccolta di oggetti d’arte.


Molte raccolte importanti per gli aspetti<br />

naturalistici, sono quelle formate da<br />

studiosi in città italiane. Nel 1566 dal<br />

farmacista-botanico Francesco Calzolari a<br />

Verona, nel 1568 dal medico – naturalista<br />

Ulisse Aldrovandi a Bologna dove insegnava<br />

nello Studio, nel 1589 da Michele Mercati<br />

con la “Metallotheca “ a Roma, nel 1590 da<br />

Ferrante Imperato farmacista a Napoli, nel<br />

1651 dal fisico tedesco Atanasio Kircher<br />

gesuita a Roma, nel 1666 dal medico<br />

Manfredo Settala a Milano. Un risultato che<br />

si ottenne mediante raccolte sul terreno,<br />

soprattutto le piante, con gli scambi con<br />

studiosi o con gli acquisti da mercanti nei<br />

porti di Genova, Livorno, Napoli o Venezia.<br />

Importanti furono gli scambi di lettere con<br />

allegati cataloghi che testimoniavano la<br />

ricchezza delle collezioni attivando cambi di<br />

oggetti. Ai suddetti studiosi (morti tutti alla<br />

veneranda – soprattutto all‟epoca – età di<br />

oltre ottant‟anni) non solo la museologia ma<br />

le scienze naturali devono molto per aver<br />

contribuito ad iniziare uno studio<br />

sistematico di animali e piante proprio<br />

dall‟esame dei reperti conservati nei loro<br />

musei.<br />

Museo Kircheriano


Fra queste camere delle meraviglie un posto di<br />

assoluto rilievo era quella dell‟Aldrovandi a Bologna<br />

(1568) con 14.000 pezzi e 16 volumi di erbari, così<br />

che il suo proprietario poteva giustamente<br />

affermare di possedere “un microcosmo [nel quale]<br />

con uno sguardo si vede l‟Asia, l‟Africa, l‟Europa e<br />

il Nuovo Mondo”. Una collezione riunita grazie a<br />

doni non solo di studiosi ma di molti potenti<br />

(cardinali, vescovi, nobili), fra i quali spiccavano i<br />

Medici ben noti come mecenati anche fuori di<br />

Toscana a sottolineare una supremazia culturale<br />

fiorentina.<br />

Ulisse Aldovrandi


Dall’iniziale distribuzione caotica degli oggetti, si arrivò per gradi alla<br />

elencazione di questi in cataloghi disposti in ordine alfabetico, poi a tentativi di<br />

ordinare i materiali mediante classificazioni via via più logiche riunendo gli<br />

oggetti naturali secondo loro aspetto e il loro comportamento. Il tutto seguendo<br />

il percorso che dal disordine passa alla catalogazione e poi alla classificazione<br />

per giungere poi ad una sperimentazione per la conoscenza.


LE PRIME COLLEZIONI PUBBLICHE<br />

Contestualmente alla formazione di collezioni private, in ambito umanistico e<br />

rinascimentale, ma con primi interessi accesi anche nelle corti più illuminate del<br />

tempo, si hanno le prime indicazioni sulla definizione di un collezionismo<br />

pubblico, che nasce fondamentalmente dal medesimo presupposto: la necessità<br />

di conoscere e documentare il proprio passato da parte delle comunità, con la<br />

conservazione e l’ostensione dei documenti superstiti. Ciò naturalmente<br />

implicava una forte selezione e tendeva a porre l’accento sui significati storici<br />

(veri o presunti) degli oggetti, sulla loro carica simbolica, con forme di<br />

sacralizzazione laica. Anche in questo caso il riferimento era sempre all’antichità<br />

classica, che veniva posta a modello per il presente e per il futuro.


Esemplare appare il caso di<br />

Brescia, tesa a riconoscersi<br />

erede di Brixia romana: sulla<br />

facciata del Monte di Pietà,<br />

nell’attuale Piazza della Loggia,<br />

furono murate per volere della<br />

città, nel 1485, le più<br />

significative epigrafi romane<br />

scoperte nel territorio, per<br />

essere lette e dare<br />

dimostrazione dell’antichità e<br />

della nobiltà di città. Si tratta di<br />

uno dei primi musei epigrafici<br />

d’Europa.


Un altro esempio, di “sacralizzazione laica”<br />

addirittura precedente, è a Roma, con i Musei<br />

Capitolini. Ad essi venne destinato nel 1471 il<br />

Palazzo dei Conservatori, sul Campidoglio, dove<br />

nel 1143 era stata posta l’autorità civile cittadina,<br />

per accogliere il primo nucleo dei Musei<br />

Capitolini. Se la costruzione del Palazzo e la sua<br />

destinazione fu voluta da un papa, Sisto IV, che<br />

volle il Museo aperto al pubblico una volta<br />

all’anno, la collezione aveva carattere laico, non<br />

ecclesiastico, con l’unica funzione della<br />

celebrazione della storia millenaria di Roma: vero<br />

e proprio “museo della città”. Significativamente<br />

alla statua di Carlo d’Angiò (1246-1285), sul trono<br />

con due leoni, di Arnolfo di Cambio, che ben<br />

indicava il rapporto privilegiato della città con il<br />

potere imperiale rinato, proprio Sisto IV<br />

aggiunse, donandola al Museo, nel 1471, il<br />

simbolo laico di Roma, la Lupa in bronzo, che<br />

conosciamo come “Capitolina”, oggi esposta<br />

accanto ai più impressionanti simboli del passato<br />

della città: i bronzi cosiddetti Capitolini, con la<br />

testa colossale di Costantino (con la mano e il<br />

globo), lo Spinario, il Camillo.


Il Museo si sviluppò successivamente con doni e acquisti: la Collezione Albani<br />

giunse nel 1733, la Collezione Sacchetti nel 1749, fino alle acquisizioni recenti per gli scavi<br />

della Soprintendenza Archeologica Comunale per Roma, ma rimane motivata, sin dalla<br />

lontana fase di formazione, dalle necessità documentarie celebrative della città antica.<br />

Significativamente nel 1538 Papa Paolo III volle che la statua equestre di Marco Aurelio, altro<br />

simbolo non religioso di Roma, venisse trasferita da piazza di San Giovanni in Laterano alla<br />

Piazza del Campidoglio. Oggi il monumento è conservato all’interno del Museo.


Il Museo quindi, nelle sue prime manifestazioni rinascimentali, si proponeva come<br />

collezione simbolica dei documenti della comunità. Come tale, indipendentemente<br />

dall’evoluzione che ebbe successivamente ogni istituto, richiedeva una pesante<br />

selezione dei materiali da raccogliere, conservare ed esporre, perché fossero in grado<br />

di proporre il discorso di ricostruzione storica e di celebrazione nei termini più efficaci<br />

e impressionanti possibile. Talvolta ciò escludeva la valutazione estetica del<br />

“monumento”, considerato valido e da conservare solo per il racconto che poteva<br />

trasmettere (come per le epigrafi di Brescia), o per la carica sacrale e simbolica di cui<br />

era portatore (come i materiali Capitolini).


Non sembra, in queste prime manifestazioni, ancora presente l’interesse<br />

per la documentazione che oggi definiamo di “cultura materiale”,<br />

mentre invece si moltiplicavano le collezioni riferite a classi di materiali<br />

in qualsiasi modo prestigiosi (delle monete già si è detto, ma la lista può<br />

essere infinita, con le gemme, i vetri, gli argenti, i gioielli, i libri e le<br />

rilegature, ecc.).


Il rinascimento continuava ad utilizzare l’oggetto<br />

antico in termini funzionali, senza talvolta curarne la<br />

conservazione. Totale era il disinteresse per il<br />

frammento, l’oggetto di fattura modesta o di difficile<br />

interpretazione (tutto ciò che non era bello veniva<br />

gettato o distrutto, ad eccezione di quando suscitava<br />

meraviglia). Si avevano forme di selezione basate<br />

sulla qualità estetica, con forme di riuso in termini sia<br />

didattici che di mutamento di funzione (quasi<br />

costante quella decorativa). Gli artisti del<br />

Rinascimento dalla statua antica<br />

imparavano i principi della scultura e con il suo<br />

tramite accedevano al concetto di bellezza<br />

classica. Costante, in caso di conservazione, era il<br />

restauro di integrazione, sempre però<br />

finalizzato al riutilizzo, spesso in contesti incongrui,<br />

spesso con soluzioni di fantasia, per<br />

mancata conoscenza delle tipologie originali o per<br />

adattare il prodotto alle nuove funzioni.<br />

Ma molto spesso, quando la statua o il frammento<br />

erano stati studiati ed analizzati<br />

dall’artista, venivano avviati alla calchera.<br />

Necropoli Romana di Bologna : La calcina, fornace per la<br />

produzione di calce


Roma, Museo della Crypta Balbi. Illustrazione composita<br />

dell’attività della calcara medievale che è stata identificata<br />

nell’area dell’esedra della Crypta Balbi, dedicata alla<br />

trasformazione in calce dei frammenti marmorei provenienti<br />

dall’area del Teatro e Crypta di Balbo e dalla vicina Porticus<br />

Minucia Frumentaria


Fondamentale appare la scelta di<br />

Michelangelo che rinunciò al<br />

restauro di integrazione (che<br />

avrebbe significato riutilizzo) del cd.<br />

Torso del Belvedere, statua mutila<br />

ellenistica acquistata da papa<br />

Clemente VII (1523-1534): il grande<br />

scultore, creatore del “non finito”,<br />

dava così la prima indicazione<br />

corretta e moderna per la<br />

conservazione, la lettura e<br />

l’esposizione delle opere d’arte<br />

antica. Prima (e anche dopo) di lui<br />

esse erano integrate, spesso per un<br />

riutilizzo decorativo.<br />

Il messaggio michelangiolesco era<br />

chiaro: i materiali andavano<br />

conservati di per sé, con interventi<br />

solo conservativi e limitando al<br />

massimo quelli ricostruttivi,<br />

aprendo un dibattito tuttora aperto.


UN CASO ESEMPLARE DI GRANDE MUSEO ECCLESIASTICO<br />

I MUSEI VATICANI<br />

Il 14.1.1506, la scoperta del gruppo<br />

marmoreo del Laocoonte, copia<br />

romana di un originale ellenistico,<br />

segnò a Roma l’inizio della<br />

formazione delle collezioni vaticane,<br />

Si era ancora in un clima fortemente<br />

umanistico-rinascimentale, con una<br />

forte laicizzazione dell’autorità<br />

papale.<br />

Il papato aveva vissuto un vivissimo<br />

interesse umanistico, fino a<br />

formulazioni esoteriche ed<br />

antiquarie nelle decorazione degli<br />

appartamenti, come con il papa<br />

Alessandro VI Borgia (1492 - 1503).


La conoscenza del mondo classico – anche in ambiente papale – veniva<br />

considerato strumento ineliminabile per la costruzione del mondo moderno,<br />

soprattutto per l’arte. Il recupero di tecniche, iconografie, percorsi narrativi,<br />

parallelo a quello letterario, presupponeva operazioni di ricerca e recupero di<br />

materiali antichi ed era utile anche per la creazione di opere d’arte funzionali al<br />

mondo ecclesiastico. Esemplare fu la decorazione michelangiolesca della<br />

CAPPELLA SISTINA, nella quale si manifestava una matura ed approfondita<br />

ricezione dell’universo dei modelli classici.


Nonostante non si avesse ancora una vera sensibilità verso la conservazione,<br />

che è premessa ineliminabile del collezionismo, e quindi del Museo, e<br />

nonostante, come già è stato detto, tali modelli, soprattutto statue, ma anche<br />

affreschi, gemme incise, ecc. venissero utilizzati in termini pratici, come<br />

modelli da studiare che successivamente potevano anche essere distrutti,<br />

eppure venne organizzata una raccolta all’interno del Vaticano, primo nucleo<br />

degli attuali Musei Vaticani.<br />

Subito dopo il Concilio di Trento si ebbe poi una reazione moralistica: Pio V<br />

allontanò le statue dal Vaticano nel 1566.<br />

Concilio di Trento<br />

Pio V


Poco prima, nel 1564, erano state<br />

“moralizzate”, con panni svolazzanti<br />

(furono detti “le brache”, tolte solo<br />

col restauro degli anni ‘90), le figure<br />

nude del Giudizio Universale nella<br />

Cappella Sistina al Vaticano, che<br />

rischiò anche di venir distrutto,<br />

come avrebbe voluto papa Paolo IV<br />

Carafa (1555-1559). Si dovrà<br />

attendere a lungo prima della<br />

rifondazione del Museo in Vaticano:<br />

solo nel 1703 il Museo, con<br />

Clemente XI, trovava ospitalità nel<br />

CORTILE OTTAGONO. Ma, come<br />

istituzione ufficiale, ebbe vita breve,<br />

anche se continuarono le<br />

acquisizioni.


Fu solo con il Cardinale Lambertini, papa<br />

Benedetto XIV, bolognese, che il Museo<br />

rinacque: nel 1757 veniva riordinato,<br />

all’interno del Vaticano, e riaperto, con la<br />

cura di Bartolomeo Cavaceppi e<br />

Francesco Vettori.<br />

Ma il Museo rinasceva grazie ad una<br />

soluzione di compromesso che<br />

rifinalizzava le opere destinate<br />

all’esposizione, superando l’ostracismo ai<br />

prodotti della cultura classica<br />

precristiana, in precedenza rifiutata in<br />

nome dell’ortodossia.<br />

Ai materiali veniva, talvolta<br />

faticosamente, attribuito un significato in<br />

qualche modo cristiano e una funzione<br />

accademica per gli artisti.<br />

Ciò permetteva di recuperare un<br />

primordiale concetto di Museo, nel quale<br />

anche la sistemazione tendeva ad essere<br />

importante, ma con un utilizzo di mezzi e<br />

apparati decorativi talvolta difficilmente<br />

accettabili in una interpretazione<br />

cristiana rigorosa.


PANNINI GIOVANNI PAOLO : LA GALLERIA DEL CARDINALE SILVIO VALENTI GONZAGA”<br />

Hartford, Wadsworth Atheneum Museum of Arts, tela di oltre due metri e mezzo per due, che<br />

Pannini terminò nel 1749, su incarico del cardinale mantovano Silvio Valenti Gonzaga ,<br />

Segretario di stato di Benedetto XIV Lambertini.<br />

Quando, nel 1948, la tela venne acquisita dal Museo Hartford, gli studiosi pensavano<br />

rappresentasse una galleria immaginaria, tratti in inganno dalla presenza di quadri come il<br />

ritratto di Giulio II o Leone X. Ma poi fu capito che solo la galleria era immaginaria , ma i quadri<br />

erano veramente appartenuti al cardinale e ben 144 sono leggibili


Bramante: Cortile del Belvedere<br />

Alla fine del Cinquecento quindi il termine “Museo” è ormai in uso per indicare<br />

un luogo destinato a conservare opere d'arte. Come abbiamo visto, l’Italia del<br />

Rinascimento, dove il collezionismo assunse le forme più aggiornate, è il contesto<br />

che maggiormente interessa le origini del museo soprattutto per l'aspetto della<br />

raccolta di pezzi antichi: essi non solo adornavano le sale dei palazzi delle corti<br />

italiane o venivano raccolti in raffinati «studioli», ma spesso erano disposti in<br />

giardini o cortili, offrendosi così naturalmente, per il valore stesso di modello loro<br />

attribuito, all'ammirazione e allo studio da parte di artisti e viaggiatori.


MUSEOLOGIA e ARCHEOLOGIA<br />

Anno Accademico 2010/2011<br />

Docente Patrizia Gioia<br />

patrizia.gioia@comune.roma.it<br />

LEZIONE 2:<br />

• STORIA DEI MUSEI: DAL MONDO<br />

GRECO AL ‘500

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