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Testi Concerto Natale 2005 definitivo - Coro Luigi Gazzotti

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Associazione Corale <strong>Luigi</strong> <strong>Gazzotti</strong><br />

<strong>Concerto</strong> di <strong>Natale</strong> <strong>2005</strong> - Giovedì, 29 dicembre <strong>2005</strong> – ore 21<br />

Basilica Abbaziale di San Pietro in Modena<br />

George Frideric Handel<br />

(1685 – 1759)<br />

Laudate Pueri<br />

Salmo 112 – HWV 237 (Roma, 1707)<br />

<strong>Concerto</strong> spirituale in Re maggiore per soprano solo, coro a cinque voci, due oboi, archi e<br />

continuo<br />

1. Soprano solo e <strong>Coro</strong><br />

Oboe I/II, Violino I/II, Viola I/II,<br />

Continuo<br />

2. Aria Soprano solo<br />

Oboe I, Continuo<br />

3. Soprano solo e <strong>Coro</strong><br />

Oboe I/II, Violino I/II, Viola I/II,<br />

Continuo<br />

4. Aria Soprano solo<br />

Oboe I/II, Violino I/II, Viole, Continuo<br />

5. <strong>Coro</strong><br />

Oboe I/II, Violino I/II,Viola I/II,<br />

Continuo<br />

6. Aria Soprano solo<br />

Oboe I/II, Violino I/II, Continuo<br />

7. Aria Soprano solo<br />

Violino I/II, Continuo<br />

8. Soprano solo e <strong>Coro</strong><br />

Oboe I/II, Violino I/II, Viola I/II,<br />

Continuo<br />

Laudate pueri Dominum,<br />

laudate nomen Domini.<br />

Sit nomen Domini benedictum<br />

ex hoc nunc et usque in saeculum.<br />

A solis ortu usque ad occasum<br />

laudabile nomen Domini.<br />

Excelsus super omnes gentes Dominus,<br />

super caelos gloria eius.<br />

Quis sicut Dominus Deus noster,<br />

qui in altis habitat<br />

et se inclinat, ut respiciat<br />

in caelum et in terram<br />

Suscitans de terra inopem,<br />

de stercore erigens pauperem,<br />

ut collocet eum cum principibus,<br />

cum principibus populi sui.<br />

Qui habitare facit sterilem in domo,<br />

matrem filiorum laetantem.<br />

Gloria Patri et Filio<br />

et Spiritui Sancto<br />

sicut erat in principium nunc et semper<br />

et in secula seculorum. Amen<br />

Lodate, servi del Signore,<br />

lodate il nome del Signore.<br />

Sia benedetto il nome del Signore,<br />

ora e sempre.<br />

Dal sorgere del sole al suo tramonto<br />

sia lodato il nome del Signore.<br />

Su tutti i popoli eccelso è il Signore,<br />

più alta dei cieli è la sua gloria.<br />

Chi è pari al Signore nostro Dio<br />

che siede nell'alto<br />

e si china a guardare<br />

nei cieli e sulla terra<br />

Solleva l'indigente dalla polvere,<br />

dall'immondizia rialza il povero,<br />

per farlo sedere tra i principi,<br />

tra i principi del suo popolo.<br />

Fa abitare la sterile nella sua casa<br />

quale madre gioiosa di figli.<br />

Gloria al Padre, al Figlio<br />

e allo Spirito Santo<br />

come era nel principio e ora e sempre<br />

per tutti i secoli dei secoli . Amen<br />

La prima traccia che abbiamo della presenza di Handel a Roma si trova nel diario dell’abate poligrafo Francesco<br />

Valesio, che in data 14 gennaio 1707 annota: «E' giunto in questa città un Sassone, eccellente suonatore di<br />

cembalo e compositore di musica, il quale oggi ha fatto gran pompa della sua virtù in sonare l'organo nella chiesa di<br />

San Giovanni con stupore di tutti». Il giovane ventiduenne, che già nella nativa Germania stava avviando una<br />

brillante carriera, era arrivato in Italia pochi mesi prima, attirato dalla prospettiva di perfezionarsi in quella che<br />

allora era la terra della musica più moderna e soprattutto la terra del canto e dell’opera. Non trovando grandi<br />

possibilità di lavoro a Firenze, sua prima tappa, si spostò a Roma, dove non avrebbe potuto comporre opere, dato che erano state<br />

bandite dal papa, ma avrebbe potuto incontrare i più celebri maestri del suo tempo, i membri dell’Arcadia, Corelli, Pasquini e<br />

Alessandro Scarlatti. Si fece subito apprezzare come formidabile cembalista e organista. È passata alla storia la gara di improvvisazioni<br />

che ebbe con Domenico Scarlatti, figlio di Alessandro, il più famoso tastierista del tempo. Al cembalo i due si divisero equamente gli<br />

allori, ma quando si passò all’organo fu Scarlatti stesso a dichiararsi sconfitto. Contrariamente a quanto succede di solito tra i musicisti<br />

in simili casi, i due, coetanei, divennero grandi amici. Benché luterano convinto, Handel si guadagnò subito la stima e il mecenatismo<br />

di diversi cardinali, per i quali scrisse numerosissime composizioni vocali da camera profane, per lo più cantate, e musica sacra, tra cui<br />

i due oratori La Resurrezione e Il Trionfo del Tempo e del Disinganno. Come ormai confermato da numerosi studi, una delle sue prime<br />

commissioni fu quella di provvedere alla musica per i Vespri nel giorno della festa della Madonna del Carmine, il 16 luglio 1707,<br />

celebrati ogni anno con grande sfarzo dai Carmelitani nella loro chiesa, S. Maria di Monte Santo, una delle due chiese “gemelle” di<br />

Piazza del Popolo, sotto la protezione del Cardinale Carlo Colonna. Grandi archi illuminati venivano montati lungo Via del Babuino e<br />

Via del Corso fino a Piazza del Popolo e l’esecuzione musicale era sempre di altissimo livello. Sempre dal diario di Valesio, sappiamo<br />

che nel 1703 la direzione fu affidata ad Alessandro Scarlatti e che l’anno dopo il papa dovette vietare l’erezione di un palco per i<br />

musici sopra l’entrata principale nel fondo della chiesa per ovviare allo scandalo di coloro che, per udire meglio la musica, volgevano


le spalle all’altar maggiore. Per l’occasione, Handel compose tre antifone: Haec est regina, Te decus virgineum e un Salve regina e due<br />

salmi, Nisi Dominus e Laudate Pueri. Il salmo Dixit Dominus, composto a Roma in aprile, avrebbe potuto essere stato riusato in questa<br />

circostanza. In più ci è giunto anche un mottetto di lode dell’ordine carmelitano, il Saeviat tellus. Se Handel compose altra musica per<br />

questi vespri, non ci è pervenuta, ma è probabile che altri compositori fossero coinvolti nella celebrazione e che comunque alcune<br />

parti venissero intonate in canto gregoriano.<br />

Il salmo Laudate pueri prevede un’orchestra formata da due oboi, due violini, due viole e il basso continuo (cioè uno o più strumenti<br />

gravi, quali violoncello e contrabbasso, e uno strumento a tastiera, quale cembalo o organo), un coro a cinque parti e un soprano<br />

solista. Un secondo soprano, un contralto e un tenore hanno dei brevissimi interventi nel primo movimento. Si tratta di un lavoro<br />

molto compatto, scorrevole, dominato dai ritmi di danza (molto evidenti la giga in “Excelsus super omnes” e il minuetto in “Sit nomen<br />

domini”). La scrittura corale è più attenta ai valori dell’eufonia complessiva e dell’incessante vitalità ritmica che non a quelli<br />

dell’andamento logico ed elegante delle parti interne (sempre salvaguardati in Bach, invece). Ancora più sconvolgente, in questo<br />

contesto così leggero e volatile, l’intenso e drammatico recitativo corale “Quis sicut dominus”, una tecnica che Handel riprenderà<br />

con frequenza decenni dopo nei suoi oratori inglesi. La parte del soprano solista, caratterizzata da una scrittura estremamente<br />

brillante e ricca di agilità, richiede un eccezionale virtuosismo ma conosce anche momenti di grande intimismo, nell’unica aria in<br />

tonalità minore, “Sit nomen domini”, un duetto tra soprano e oboe concertante che potrà essere confrontato questa sera con la<br />

prima aria di Ich habe genug di Bach. Come sempre accade in Handel, anche questo lavoro è una miniera a cui il compositore<br />

attingerà negli anni successivi: l’introduzione verrà riciclata nello Jubilate “Utrecht”, nell’oratorio Joshua troviamo il vivace movimento<br />

corale fugato “A solis ortu” trasformato in “May all the host of Heav’n”, il “Gloria Patri” in “Glory to God” e la linea vocale di “Qui<br />

habitare facit” divenuta la famosa aria “O had I Jubal’s lyre”.<br />

Johann Sebastian Bach<br />

(1685 – 1750)<br />

1. Aria Basso<br />

Oboe, Violino I/I,<br />

Viola, Continuo<br />

2. Recitativo Basso<br />

Continuo<br />

3. Aria<br />

Violino I/II<br />

Viola, Continuo<br />

4. Recitativo<br />

Continuo<br />

Ich habe genug<br />

Testo di autore anonimo – BWV 82 (Lipsia 1727)<br />

Cantata per basso solo, oboe, archi e continuo<br />

Ich habe genug,<br />

Ich habe den Heiland, das Hoffen der Frommen,<br />

Auf meine begierigen Arme genommen;<br />

Ich habe genug!<br />

Ich hab ihn erblickt,<br />

Mein Glaube hat Jesum ans Herze gedrückt;<br />

Nun wünsch ich, noch heute mit Freuden<br />

Von hinnen zu scheiden.<br />

Ich habe genug.<br />

Mein Trost ist nur allein,<br />

Dass Jesus mein und ich sein eigen möchte sein.<br />

Im Glauben halt ich ihn,<br />

Da seh ich auch mit Simeon<br />

Die Freude jenes Lebens schon.<br />

Laßt uns mit diesem Manne ziehn!<br />

Ach! möchte mich von meines Leibes Ketten<br />

Der Herr erretten;<br />

Ach! wäre doch mein Abschied hier,<br />

Mit Freuden sagt ich, Welt, zu dir:<br />

Ich habe genug.<br />

Schlummert ein, ihr matten Augen,<br />

Fallet sanft und selig zu!<br />

Welt, ich bleibe nicht mehr hier,<br />

Hab ich doch kein Teil an dir,<br />

Das der Seele könnte taugen.<br />

Hier muss ich das Elend bauen,<br />

Aber dort, dort werd ich schauen<br />

Süßen Friede, stille Ruh.<br />

Mein Gott! wann kömmt das schöne: Nun!<br />

Da ich im Friede fahren werde<br />

Und in dem Sande kühler Erde<br />

Und dort bei dir im Schoße ruhn<br />

Der Abschied ist gemacht,<br />

Welt, gute Nacht!<br />

Non chiedo altro.<br />

Le mie braccia anelanti hanno accolto<br />

il Salvatore, speranza dei saggi;<br />

Non chiedo altro!<br />

Ho visto Gesù,<br />

la mia fede me lo ha impresso nel cuore<br />

e da oggi, con gioia, non desidero altro<br />

che separarmi dalle cose terrene<br />

Non chiedo altro.<br />

Questo è il mio solo sostegno,<br />

che Gesù sia in me e io possa essere Suo.<br />

Egli è in me attraverso la fede,<br />

e, come Simeone, anch’io pregusto fin d’ora<br />

la gioia della vita ultraterrena.<br />

Andiamo con quest’uomo!<br />

Prego il Signore di sciogliermi<br />

dalle catene della carne;<br />

fosse ora l’istante del mio commiato,<br />

con gioia, o mondo, ti direi:<br />

Non chiedo altro.<br />

Riposate, occhi spossati,<br />

chiudetevi dolcemente, serenamente.<br />

Mondo, non tenermi più oltre con te,<br />

nulla che tu contenga<br />

ha alcun valore per la mia anima.<br />

Qui tutto è miseria,<br />

lassù, invece, contemplerò<br />

beatitudine e pace.<br />

Mio Dio, quando risuonerà il tuo meraviglioso:<br />

E’ l’ora!<br />

Quando finalmente me ne andrò in pace<br />

nella fredda terra, e riposerò nel Tuo seno<br />

Il mio congedo è pronto:<br />

mondo, addio!


5. Aria<br />

Oboe, Violino I/II<br />

Viola, Continuo<br />

Ich freue mich auf meinen Tod,<br />

Ach, hätt er sich schon eingefunden.<br />

Da entkomm ich aller Not,<br />

Die mich noch auf der Welt gebunden.<br />

Con gioia attendo la mia morte,<br />

possa presto venire a me.<br />

Allora lascerò tutte le pene<br />

Che ancora mi travagliano su questa terra.<br />

(traduzione a cura di Alessandra Manzini)<br />

Tra le cantate di Bach, la celeberrima Ich habe genug (o genung, secondo alcuni filologi) è tra le poche che l’autore<br />

stesso indica con il nome di “cantata” (mentre solitamente i termini più usati sono piuttosto “concerto” o<br />

“dialogo”). Si tratta infatti di una vera e propria cantata solistica in stile “italiano”, una successione di arie<br />

inframmezzate da recitativi, senza nemmeno un corale finale, cosa abbastanza rara in Bach. Sembra che questa<br />

cantata, oltre a essere prediletta da molto interpreti, fosse tra le preferite di Bach stesso, che, oltre alla prima<br />

versione del 1727 per basso, oboe, archi e continuo, che verrà eseguita questa sera, ne fece in seguito altre quattro<br />

versioni, tra cui una, trasposta una terza maggiore sopra, per soprano, con la parte dell’oboe trascritta per flauto<br />

traversiere, di cui si appropriano spesso anche i tenori. Ne esiste anche una versione per contralto, cosicché può essere eseguita da<br />

pressoché qualsiasi tipo di voce. Si tratta sempre di trasposizioni o diverse strumentazioni, che non vanno mai a modificare la<br />

sostanza prettamente musicale, segno evidente della soddisfazione che Bach provava verso l’opera. Un amore condiviso anche dalla<br />

seconda moglie Anna Magdalena, che trascrisse nel suo famoso quaderno musicale la seconda aria e il recitativo che la precede, in<br />

registro mezzosopranile.<br />

Ich habe genug fu scritta a Lipsia, per la messa del 2 febbraio 1727, il giorno della Festa della Purificazione, che commemora il<br />

giorno in cui Maria si recò al tempio per purificarsi, quaranta giorni dopo il parto, e per presentare il figlio al tempio. Secondo il<br />

racconto dell’evangelista Luca, il vecchio Simeone, cui era stato rivelato che non sarebbe morto prima di avere visto il Messia, lo<br />

riconobbe nel piccolo Gesù e, presolo tra le braccia, pronunciò quello che viene chiamato “il canto di Simeone” o Nunc dimittis: “Ora,<br />

o Signore, lascia che il tuo servo se ne vada in pace secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza che hai<br />

preparato davanti a tutti i popoli; luce che illumina le genti e gloria del tuo popolo, Israele.” In maniera piuttosto inusuale nel corpus<br />

dei testi sacri bachiani, l’anonimo autore del testo non cita testualmente nessun passo della Bibbia ma si ispira a queste parole,<br />

identificando l’atteggiamento del vero cristiano con quello di Simeone, richiamato esplicitamente nel primo recitativo, che attende<br />

sereno ed anelante la morte e la salvezza che lo attende nel regno dei cieli, resa possibile dalla venuta del Salvatore.<br />

L’aria introduttiva è caratterizzata dall’intervallo melodico di sesta minore che apre il solo dell’oboe e viene continuamente<br />

rielaborato dalla voce, trasposto su vari gradi della scala, un intervallo che secondo la retorica musicale barocca corrisponde alla figura<br />

dell’exclamatio. Un uso analogo si può riscontrare nella famosissima aria “Erbarme dich” dalla Passione secondo Matteo. L’oboe<br />

obbligato ha in questa prima aria un ruolo talmente importante da far pensare piuttosto a un concerto per oboe con interventi della<br />

voce. Segue un recitativo che si apre e si chiude con le stesse parole dell’inizio dell’aria, “ich habe genug”, un espediente retorico<br />

molto incisivo che ha indotto qualche studioso ad attribuire il testo al noto Picander, il librettista delle due Passioni. In questi recitativi<br />

sono frequenti le incursioni nell’”arioso”, cioè in una modalità più melodica, più affine all’aria che al recitativo, come sulle parole<br />

“Lasst uns mit diesem Manne ziehn!”. Non passerà inosservato il melisma “madrigalistico” che dipinge la parola “Freuden” (”gioia”),<br />

che anticipa l’ultimo movimento. La seconda aria, tra le più amate di Bach, è una tenerissima ninna-nanna all’anima che si vuole<br />

liberare delle catene del corpo e, nella versione originale, è accompagnata soltanto dalle figurazioni sincopate e cullanti degli archi. La<br />

sua struttura musicale, molto singolare per un’aria, una sorta di aria col “da capo” molto elaborata o meglio di rondò con lo schema A-<br />

BA’C-A’’, richiama la figura retorica del “chiasmo” che simboleggia la croce. L’ultima aria, sulle parole “Ich freue mich auf meinen Tod”<br />

(“Gioisco al pensiero della mia morte”), in un vivacissimo ritmo ternario di danza, è un’esplosione di gioia mistica del vero cristiano<br />

che sa che Cristo ha trionfato sulla morte eterna, testimoniato dal meraviglioso melisma della voce sulla parola “freue”, che ricorda lo<br />

jubilus gregoriano.<br />

Alessandro Scarlatti<br />

(1660 -1725)<br />

Dixit Dominus<br />

Salmo 109- 110 – (Roma, 1707)<br />

Concertato per soli, coro a quattro voci, archi e continuo<br />

1. Soli e <strong>Coro</strong><br />

Violino I/II/III, Continuo<br />

2. Soprano solo<br />

Violino I/II/III unisoni, Continuo<br />

3. Alto solo<br />

Violino I/II/III unisoni, Continuo<br />

Dixit Dominus Domino meo:<br />

Sede a dextris meis<br />

Donec ponam inimicos tuos<br />

scabellum pedum tuorum<br />

Virgam virtutis tuae<br />

emittet Dominus ex Sion<br />

Dominare in medio inimicorum tuorum<br />

Tecum principium in die virtutis tuae<br />

In splendoribus sanctorum<br />

Oracolo del Signore al mio Signore:<br />

«Siedi alla mia destra,<br />

finché io ponga i tuoi nemici<br />

a sgabello dei tuoi piedi». .<br />

Lo scettro del tuo potere<br />

stende il Signore da Sion:<br />

«Domina in mezzo ai tuoi nemici.<br />

A te il principato nel giorno della tua potenza<br />

tra santi splendori;


4. Soli e <strong>Coro</strong><br />

Violino I/II/III, Continuo<br />

5. Basso solo<br />

Violino I/II/III unisoni, Continuo<br />

6. Soli e <strong>Coro</strong><br />

Violino I/II/III, Continuo<br />

7. Soprano e Alto soli<br />

Violino I/II/III unisoni, Continuo<br />

8. Soli e <strong>Coro</strong><br />

Violino I/II/III, Continuo<br />

ex utero ante luciferum genui te<br />

Iuravit Dominus et non paenitebit eum:<br />

Tu es sacerdos in aeternum<br />

secundum ordinem Melchisedech<br />

Dominus a dextris tuis<br />

confregit in die irae suae reges<br />

Iudicabit in nationibus<br />

Implebit ruinas,<br />

conquassabit capita in terra multorum<br />

De torrente in via bibet<br />

Propterea exaltabit caput<br />

Gloria Patri et Filio<br />

et Spiritui Sancto<br />

sicut erat in principium nunc et semper<br />

Et in secula seculorum.<br />

Amen<br />

dal seno dell'aurora, come rugiada, io ti ho<br />

generato».<br />

Il Signore ha giurato e non si pente:<br />

«Tu sei sacerdote per sempre<br />

al modo di Melchisedek».<br />

Il Signore è alla tua destra,<br />

annienterà i re nel giorno della sua ira.<br />

Giudicherà i popoli:<br />

in mezzo a cadaveri<br />

ne stritolerà la testa su vasta terra.<br />

Lungo il cammino si disseta al torrente<br />

e solleva alta la testa.<br />

Gloria al Padre, al Figlio<br />

e allo Spirito Santo<br />

come era nel principio e ora e sempre<br />

Per tutti i secoli dei secoli<br />

Amen<br />

Alessandro Scarlatti occupa una posizione singolare all'interno della storia della musica, facendo da ponte tra il<br />

Seicento di Carissimi, Stradella e Legrenzi e il Settecento di Bach, Handel e del figlio Domenico Scarlatti. La sua<br />

vastissima produzione in ogni genere di musica vocale e strumentale, in grandissima parte ancora da riscoprire,<br />

impedisce di trovare per lui un’etichetta facilmente riconoscibile. È un maestro del contrappunto severo ma anche<br />

un affascinante creatore di melodie, capace di arditi cromatismi come della semplicità più disarmante. Anche nei<br />

momenti più monumentali, la sua musica conserva sempre un che di fantasioso e imprevedibile, a volte quasi<br />

brusco. Fece scuola per tutto il Settecento, essendo stato il “codificatore” di vari generi musicali, quali la cantata e<br />

l’oratorio, fissando la forma dell’ouverture “all’italiana”, stabilizzando definitivamente la pratica del recitativo secco<br />

e dell’aria col da capo nell’opera. In maniera non dissimile da Bach, mentre i musicisti lo consideravano un grande maestro (e tra<br />

questi lo stesso Bach e Handel), il pubblico dei teatri gli rimproverava la complessità delle sue opere. Il Conte Francesco Maria<br />

Zambeccari così si esprimeva nel 1709: “le compositioni sue sono difficilissime e cose da stanza, che in teatro non riescono, in primis<br />

chi s'intende di contrapunto le stimarà; ma in un'udienza d'un teatro di mille persone, non ve ne sono venti che l'intendono”. Fu<br />

questa la ragione che gli impedì di accaparrarsi i posti di prestigio come operista di corte a cui avrebbe ambito e che lo portarono, alla<br />

fine della sua vita, ad esere un compositore celeberrimo e riverito, ma tagliato fuori dalle nuove correnti musicali.<br />

Quest’oblio si protrae in parte anche ai nostri giorni: il salmo per i vespri che verrà eseguito questa sera, il Dixit Dominus, è stato<br />

riscoperto, in un manoscritto conservato alla biblioteca del Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano, soltanto pochi decenni fa. Lo<br />

studioso australiano John Steele lo ascrive alla maturità del compositore, anche in considerazione del grande impiego dei “bassetti”,<br />

parti di basso suonate dai violini un’ottava sopra il normale registro del basso continuo, e sostiene che si tratta di un pezzo scritto per<br />

Roma. Scarlatti infatti impiega, al posto delle viole, un terzo gruppo di violini, una scelta inusuale, ma non infrequente nella Roma dei<br />

primi decenni del Settecento. Steele ne propone quindi una datazione tra il 1703, anno in cui Scarlatti comincia a scrivere opere sacre<br />

di grandi proporzioni per la sua illuminata committenza romana (che è poi la stessa del periodo romano di Handel) e il 1707, anno del<br />

Dixit dominus di Handel, che, a suo parere, ne sarebbe stato influenzato. Il contrappunto è estremamente sottile ed elegante, ma<br />

quello che colpisce di più è la capacità di Scarlatti di rispondere alle sollecitazioni poste dal testo. Nei movimenti corali “Juravit” e<br />

“Judicabit”, il testo viene spezzato in piccole unità con tempi diversi, per rendere nel dettaglio ogni parola, per esempio le veloci<br />

scalette ascendenti e discendenti che dipingono la parola “ruinas” e poi il ritmo martellante e le note ribattute per la parola<br />

“conquassabit”, un effetto quasi onomatopeico. Ma forse l’esempio più stupefacente è il “Dixit dominus” di apertura, dove a ogni<br />

elemento della frase (“dixit”, “sede, sede a dextris meis”, “donec ponam inimicos tuos”, “scabellum pedum tuorum”) viene assegnato<br />

un motivo caratteristico, che entra in dialogo con gli altri e a volte viene anche spezzato tra due voci, in un gioco libero e fantasioso in<br />

cui i solisti si comportano come un “concertino” di strumenti in un “concerto grosso”, in opposizione alla massa del coro. A<br />

testimoniare la perizia contrappuntistica di Scarlatti, chiude il lavoro una classica fuga in stile severo sulle parole “et in saecula<br />

saeculorum, amen”. Ma al di sopra della scrittura rigorosa delle voci, i violini ricamano una parte libera che assicura il continuum<br />

ritmico e, poche battute prima della fine, riprendono il disegno ritmico di apertura spezzando le semiminime in crome, che conferisce<br />

un pathos tutto moderno al finale altrimenti placido e rassicurante. Paolo Vittorio Montanari

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