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La voce della montagna - Valle Camonica Distretto Culturale

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[... Da qui la volontà di avvicinare<br />

alla lettura ed al mondo <strong>della</strong><br />

biblioteca gli anziani, gli<br />

extracomunitari, i soggetti non<br />

pienamente abili e quanti vivono<br />

alcune forme di marginalità, con<br />

l’obiettivo di istituire rapporti<br />

nuovi tra gli spazi e i servizi <strong>della</strong><br />

cultura per supportare processi<br />

di integrazione e inserimento<br />

sociale.]<br />

Progetto “<strong>La</strong> biblioteca diffusa”<br />

<strong>Distretto</strong> <strong>Culturale</strong> di<br />

<strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong><br />

un laboratorio per l’arte e l’impresa<br />

LA VOCE DELLA MONTAGNA - Pubblicazione a grandi caratteri per il piacere di leggere senza fatica.<br />

LA VOCE<br />

DELLA<br />

MONTAGNA<br />

Pubblicazione a grandi caratteri per<br />

il piacere di leggere senza fatica.


LA VOCE<br />

DELLA<br />

MONTAGNA<br />

Pubblicazione a grandi caratteri per<br />

il piacere di leggere senza fatica.


Questa pubblicazione è stampata con l’obiettivo di<br />

rendere agevole la fruizione e la leggibilità del testo<br />

e con queste caratteristiche:<br />

• Caratteri di stampa [Garamond Regular] corpo<br />

16 punti tipografici: grandezza superiore alla<br />

media (identici a quelli che state leggendo).<br />

• Interlinea 18,3 punti: separa chiaramente una<br />

riga dall’altra.<br />

• Margini studiati per non opprimere ma nemmeno<br />

disperdere una corretta lettura.<br />

• Formato [cm 16x23]: mantiene la riga stampata<br />

in corpo 16 sufficientemente lunga, riducendo<br />

gli eccessivi «a capo».<br />

• Colore avorio <strong>della</strong> carta: evita il riflesso luminoso<br />

<strong>della</strong> carta bianca.<br />

• Qualità <strong>della</strong> carta: di bassa grammatura ma di<br />

alto spessore, è leggera ma evita la trasparenza<br />

del verso <strong>della</strong> pagina.<br />

• Legatura in brossura, con cucitura delle segnature:<br />

consente l’apertura totale del libro e la sua<br />

maneggevolezza.<br />

• Copertina solida ma non cartonata: evita la durezza<br />

del taglio e la pesantezza del volume.<br />

Questa raccolta è pubblicata<br />

nell’ambito del progetto<br />

«<strong>La</strong> biblioteca diffusa» promosso dal<br />

<strong>Distretto</strong> <strong>Culturale</strong> di <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong>


© 2011 <strong>Distretto</strong> <strong>Culturale</strong> di <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong><br />

Promosso da<br />

Comunità Montana<br />

di <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong><br />

Consorzio Comuni BIM<br />

di <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong><br />

In collaborazione con<br />


<br />

COMUNE di BORNO<br />

Provincia di Brescia<br />

Finito di stampare nel mese di marzo 2011<br />

presso la Tipografia Brenese di Breno (Bs)<br />

Il presente volume «<strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong>» presenta<br />

18 racconti sulla <strong>montagna</strong> che hanno partecipato<br />

al Concorso Letterario promosso dal Circolo<br />

<strong>Culturale</strong> <strong>La</strong> Gazza di Borno l’estate scorsa.<br />

Il valore aggiunto dell’iniziativa sta nella scelta<br />

operata dal Sistema Bibliotecario, nell’ambito del<br />

<strong>Distretto</strong> <strong>Culturale</strong> di <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong>, di farne un<br />

libro a grandi caratteri per ipovedenti, destinato, oltre<br />

al normale circuito bibliotecario, a tutte le Residenze<br />

Socio Assistenziali, ai Centri Diurni integrati<br />

e ai Centri Diurni per Disabili presenti sul territorio<br />

camuno. Ritengo sia un’iniziativa importante, di<br />

estremo valore umano!<br />

I nostri anziani, e non solo, potranno infatti sfogliare<br />

il libro scegliendo l’uno o l’altro dei racconti,<br />

ritrovando il ricordo delle loro montagne, rivivendone<br />

le immagini, i nomi, i profumi!<br />

Il libro potrà essere letto loro dagli animatori, ma<br />

l’utilizzo di grandi caratteri consentità una buona<br />

autonomia di lettura: una possibilità in più per momenti<br />

di indipendenza!<br />

Grazie quindi a tutti quelli che hanno reso possibile<br />

l’iniziativa e buona lettura a tutti coloro che vorranno<br />

scegliere questi racconti.<br />

Simona Ferrarini<br />

Presidente del <strong>Distretto</strong> <strong>Culturale</strong><br />

di <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong>


INTRODUZIONE<br />

<strong>La</strong> <strong>montagna</strong> ci parla. Ad ognuno di noi con <strong>voce</strong><br />

differente. Avvicinandoci ad essa con passione, per<br />

conoscerla, per goderne le meraviglie, per sfidare<br />

le sue vette o semplicemente - come noi - vivendo<br />

alle sue pendici, con la giusta attenzione possiamo<br />

coglierne le parole.<br />

Da questo presupposto siamo partiti, noi del Circolo<br />

<strong>Culturale</strong> <strong>La</strong> Gazza di Borno - che la <strong>montagna</strong><br />

l’abbiamo nel sangue - quando abbiamo scelto<br />

il titolo del nostro terzo Concorso Letterario.<br />

Abbiamo colto nel segno: il tema proposto ha<br />

stimolato la creatività di 46 scrittori, tra grandi e<br />

piccini, bornesi, camuni, bresciani, e turisti di ogni<br />

parte, frequentatori - assidui o meno - <strong>della</strong> nostra<br />

valle.<br />

I migliori scritti sono raccolti in questa pubblicazione,<br />

frutto di una preziosa collaborazione col Sistema<br />

Bibliotecario di <strong>Valle</strong>camonica, nell’ambito<br />

del progetto «Scaffale Ipovedenti».<br />

In questi racconti, estremamente diversi l’uno<br />

dall’altro per forma e contenuto, gli autori attraverso<br />

la <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong> riescono ad attingere al<br />

proprio bagaglio di esperienze, di ricordi, e soprattutto<br />

di sensibilità, donandoci storie piccole, ma<br />

di grande efficacia. <strong>La</strong> <strong>montagna</strong> emerge spesso<br />

come un’entità viva, all’orizzonte tra cielo e terra,


una sorta di tramite tra le umane cose e la divinità,<br />

tra il passato e il presente, tra i viventi e coloro che<br />

non sono più tra noi.<br />

Per noi <strong>della</strong> Gazza, che crediamo fortemente nel<br />

potere <strong>della</strong> scrittura e proponiamo le nostre iniziative<br />

con l’intento di incentivare la crescita culturale<br />

del nostro territorio, vedere questi racconti pubblicati<br />

in bell’ordine all’interno di un libro è un grande<br />

risultato. Un segno tangibile, un premio per chi ha<br />

voluto seguirci mettendosi in gioco, con la penna e<br />

con il cuore.<br />

<strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />

Fabio Scalvini<br />

Presidente del Circolo <strong>Culturale</strong> <strong>La</strong> Gazza


1° CLASSIFICATO CATEGORIA ADULTI<br />

Diego Razzitti<br />

Sangue e acciaio<br />

(Adamello, andando per trincee in cerca di visioni)<br />

Bombati suoni di scoppio luceano nel cielo.<br />

<strong>La</strong> durezza bollente dell’acciaio mi raggela il sangue.<br />

Frammenti di shrapnels da tutte le parti.<br />

Chi l’ha detto che di paura si suda freddo<br />

Lungo la schiena e sulla fronte sono un unico<br />

rivolo caldo.<br />

Brividi e bestemmie, in queste buche alte tre volte<br />

un uomo.<br />

Poveri cristi pronti allo scontro, ricordi lontani di<br />

messe di baci mai dati del cafè de la Pepina di lardo<br />

malva ed alti pascoli.<br />

Ricordi lontani di storie invernali dentro stalle<br />

cadute in mani nemiche, l’asprigno dell’amaro cordiale<br />

per non pensare all’atroce ansimante fatica,<br />

per dimenticare quella gaia del far legna nei boschi<br />

con padri e fratelli.<br />

Muli carichi d’obici s’inerpicano su impossibili e<br />

tremende coste, la juta dei sacchi lacera loro schiena<br />

e fianchi. Rotolano a valle di tanto in tanto per<br />

gran gioia di volpi e topi, compianti sinceramente<br />

da coloro che li hanno aggiogati, scossi dalla possi-<br />

11


ilità di far la stessa fine.<br />

Meglio sarebbero stati altri fronti che lottare su<br />

impossibili e durissimi graniti, sugli infidi e frammentati<br />

scisti, ma questo s’ha da fare, lottare per<br />

tenere le posizioni, lasciare tempo ai generali tranquilli<br />

in panciolle nelle loro caserme di ridisegnare<br />

i confini e studiare strategie, augurarsi che presto<br />

l’angelo <strong>della</strong> morte discenda su di loro e su quelli<br />

come loro che vivono vite altre che le nostre.<br />

Tra noi e quelli di fronte a noi invece le differenze<br />

non ci sono, cantiamo e piangiamo allo stesso<br />

modo, facciam correre alla stessa maniera gli elmetti<br />

lungo le vie, solo parlano diverso. Noi chiamiamo<br />

il leontopodium alpinum stella alpina e loro<br />

Edelweiss. Credo che pensiamo allo stesso modo<br />

ed i pensieri prima di dormire vadano alle stesse<br />

cose, che il brivido che dà il ratto quando stai per<br />

dormire e ti passa sul collo sia uguale, ma forse mi<br />

sbaglio e quando certe mattine mi guardo attorno a<br />

denti stretti per il freddo e la luce comincia a schiarire<br />

i contorni del mondo penso che davvero tutto<br />

sia poca cosa, noi per primi, e che non ci sia senso<br />

in niente e che allora sia inutile sapere anche quel<br />

poco che si sa e persino pensare.<br />

Già ho visto fiorire il genepì ed il cirsio spinosissimo,<br />

un altro mortifero inverno sta per abbracciarci.<br />

Gli anemoni e le primule sono cari ricordi.<br />

Spero di vederne altri e spero di poter coprire coi<br />

crisantemi di quassù le tombe degli amici che cadranno.<br />

Passato il Santo Natale arriverà l’erica scopina<br />

a dar notizie buone o brutte, io spero che la<br />

novella sia il termine di questa assurdità, foss’anche<br />

solo per me, che io in grazia divina possa chiudere<br />

gli occhi per sempre.<br />

Chissà cosa pensano le marmotte di tutto ciò,<br />

da settimane hanno smesso di fischiare. Gli unici<br />

animali che ci fanno compagnia sono i pidocchi. E<br />

pure le nostre paure non ci lasciano un istante di<br />

tregua.<br />

Morire sparati sulle alte cime, morire vicini a nostro<br />

Signore per una patria che non si conosce.<br />

Le ciòke appese al filo spinato, non più al collo<br />

delle vacche, cariche di santini e di preghiere, per<br />

dare l’allarme nel cuore <strong>della</strong> notte.<br />

<strong>La</strong> gira la cambia<br />

la sta mai müta:<br />

la guera (la ita)<br />

l’è düra<br />

e la te fa sparì.<br />

Polvere alla polvere.<br />

12 13


1° CLASSIFICATO CATEGORIA RAGAZZI<br />

Edoardo Boccali<br />

<strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />

Io quando sono in vacanza vengo sempre in<br />

<strong>montagna</strong> a Borno perché mi piace tanto camminare<br />

nei boschi, fare le passeggiate sui sentieri, arrivare<br />

ai rifugi e al <strong>La</strong>go di Lova e anche sciare.<br />

Il mio bis nonno mi diceva che chi vuole bene<br />

alla <strong>montagna</strong> sente la sua <strong>voce</strong> perché la <strong>montagna</strong><br />

parla a chi la rispetta, io però non l’avevo mai<br />

sentita.<br />

L’altro giorno invece ero come al solito in un<br />

bosco e i miei amici erano lontani, mi sono seduto<br />

su una roccia e... ho sentito la <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong>!<br />

Era bellissima, non come la nostra con le parole<br />

ma leggera, fresca, delicata.<br />

Era il soffio del vento, il rumore del ruscello, il<br />

fischio di un uccello, uno strano rumorino sotto gli<br />

aghi di pino, il verso di un animale che non conosco,<br />

una pigna che cade, il profumo dei ciclamini,<br />

l’aria pulita che mi entrava nel naso.<br />

Allora ho capito come fare per sentire la <strong>voce</strong><br />

<strong>della</strong> <strong>montagna</strong>: si deve ascoltarla nel silenzio e lei<br />

ti dice tante cose!<br />

PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA<br />

Mara Malacarne<br />

<strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />

Salta l’acqua tra le rocce, salta, s’inabissa, s’incanala,<br />

salta di nuovo. Pesco. Come tante volte ho pescato<br />

nei torrenti. Pesco e studio l’acqua, l’ascolto,<br />

la guardo.<br />

Cristallo nel suo letto granitico, così chiara…<br />

Rumore. Il torrente ha una <strong>voce</strong> forte, profonda,<br />

continua. Bella quest’acqua, cerco il punto giusto,<br />

il torrentino dove c’è la trota, il piccolo giro lento<br />

dietro il sasso. Lui mi ha insegnato a leggere l’acqua,<br />

ad annusarla, a seguirne il senso. Ore. Risalgo<br />

questo bel torrente, le trote stanno con il muso a<br />

monte ad aspettare la preda, vanno prese alle spalle!<br />

Risalgo. E l’acqua scorre, saltella, gira, si spiana.<br />

Ascolto. Mi distraggo… Così bella questa valle, rapisce<br />

gli occhi e l’anima. Il silenzio. Il verde. Alberi,<br />

cime, rocce alte.<br />

Ma il silenzio qui è un suono, costante, cupo, saltellante<br />

come l’acqua. Boschi così verdi e un’aria<br />

leggera. Pesco. <strong>La</strong> prima canna da pesca papà me<br />

l’ha messa in mano che avevo forse sei anni; non<br />

l’ho mai ringraziato per questo, avrei dovuto. Due<br />

persone s’avvicinano, in divisa, guardapesca. A par-<br />

14 15


te un sopracciglio che si solleva, non fanno notare<br />

lo stupore. Il cappellino blu nasconde i riccioli<br />

biondi e il giubbino da pesca camuffa il resto: una<br />

donna! Che pesca! Cortesi, controllano la licenza,<br />

qualche parola sulle nuove zone di «bandita», poco<br />

altro. Voci tranquille, di <strong>montagna</strong>, serie ed accoglienti.<br />

Controllerebbero il pescato: oggi non c’è.<br />

Vanno via. Sento dietro me i loro passi sul gerato,<br />

ma coperti, ovattati: la <strong>voce</strong> del torrente è più forte<br />

e sommerge tutto.<br />

Continuo a pescare, risalgo il torrente. Ma ormai<br />

sono distratta. <strong>La</strong> giornata è splendida. È splendida<br />

questa valle, pini e abeti alti e fermi, verdi. Per<br />

fortuna non sono venuta con gli stivaloni da pesca:<br />

scarponcini! Chiudo la canna, non è più tempo di<br />

pescare. Ripongo tutto nel borsotto, la terra degli<br />

«slambrotti», i lombrichi che uso per esca, sotto le<br />

unghie, la canna a tracolla e mi incammino.<br />

L’aria è limpida, fa caldo. Entro nel bosco, più<br />

fresco. Cammino a lungo fino a non sentire più la<br />

<strong>voce</strong> del torrente, insistente e forte. Bosco. Ombroso,<br />

fermo, tenero. Arrivano, come un amico<br />

atteso, gli odori: il muschio, l’erba calda al limite<br />

degli alberi, odore di funghi, licheni, felci. Odore<br />

di bosco. E di nuovo silenzio. O almeno quello che<br />

a noi di Milano sembra silenzio. Che in realtà è un<br />

oceano di schiocchi di rami, tonfi di pigne, ronzii<br />

di insetti. Un silenzio così pieno di suoni! Di suoni<br />

dolcissimi. Squittii, cinguettii e più resto ferma, più<br />

i suoni aumentano.<br />

Stanca: mi siedo. Ombra, aghi di pino. Una <strong>voce</strong><br />

che ritorna e mi dice di nuovo: ascolta! L’aria che si<br />

infiltra tra i pini, il sole che secca i rametti, il rombo<br />

(forse solo immaginato) dei ghiacciai lontani, le<br />

mille bestiole che si muovono intorno. Mi sdraio,<br />

chiudo gli occhi e per un po’ ascolto. Poi riparto.<br />

Funghi! Anche quelli me li hai insegnati tu. Ci saranno,<br />

è luglio, qualcosa c’è di sicuro! Cammino.<br />

Crack, crack… da tanto non piove. Vento. Scorre<br />

tra i rami, gradito a me, ma ai funghi no! Non importa.<br />

<strong>La</strong> passeggiata è impagabile.<br />

Silenzio, scrocchio, silenzio, ronzio, silenzio, torrente<br />

lontano, silenzio. Caldo, fruscii, vento e gli<br />

uccelli: tanti! Canti su canti su canti! Cammino, bellissima<br />

questa valle, amica, e la percorro al sicuro,<br />

nessun posto è più sicuro di qui. Di questa ombra<br />

leggera.<br />

Cammino e ricordo. Ricordo quando il suono<br />

dei passi sui sentieri in <strong>montagna</strong> era con te, passi<br />

sulle sassaie, sulle foglie, sulla terra, sul prato. Suoni<br />

diversi, lievi, forti.<br />

Cammino più lenta… Clo, clo, clo… un gallo<br />

cedrone, se ne sentono sempre più spesso: per fortuna!<br />

<strong>La</strong>me di luce tra i rami che raccontano di un<br />

inverno ora lontano, quando la neve aveva ricoperto<br />

tutto, bianca e fredda. Rilasciando però l’umidi-<br />

16 17


tà, che ora ascolto, necessaria al sottobosco. Una<br />

radura: sole, prato, ronzii…<br />

Mi fermo di nuovo. Non perché sono stanca,<br />

solo perché è bello. È bello l’odore, è bello il rumore,<br />

è bello il ricordo. Tronchi profumati e cortecce<br />

e pigne e, se guardo verso il cielo, vedo le cime rocciose,<br />

così imponenti, davanti le quali ci prende la<br />

vertigine del nulla nostro. E di nuovo quei suoni<br />

piccoli e scricchiolanti e lontani e il vento forte in<br />

alto e sotto la <strong>voce</strong> del torrente.<br />

Quasi ora di rientrare ma non mi risolvo a farlo.<br />

Perché «CASA» è qui! Allora resto ancora un<br />

momento. Bimba di quarant’anni, ad ascoltare. Lo<br />

sguardo che si fa liquido su questo verde intorno.<br />

Ad ascoltare con la pelle, con il naso, con gli occhi,<br />

con il cuore. Ad ascoltare le parole di quel papà<br />

che mi ha insegnato ad ascoltare la <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong>.<br />

Quel papà che ha smesso troppo presto di<br />

parlarmi, ma che mi ha regalato il modo di sentirlo<br />

ancora, ancora e per sempre ascoltando la <strong>montagna</strong><br />

che amava, ascoltando i sassi che rotolano sul<br />

sentiero, l’acqua che scorre tra le rocce del torrente,<br />

i ronzii degli insetti nei pascoli, le pigne che cadono,<br />

gli uccelli sugli alberi. Ad ascoltare parole che<br />

sono solo nostre.<br />

<strong>La</strong> <strong>montagna</strong> parla a tutti, Madre imponente e<br />

grande, ma ciascuno ha le sue voci da ascoltare,<br />

private, altissime. Quella che ascolto io è allegra,<br />

calma e forte. Come le montagne. È per questo che<br />

resto ancora qui un momento, un momento ancora…<br />

Per ascoltare, ascoltare, ascoltare...<br />

18 19


MENZIONE SPECIALE DELLA GIURIA<br />

Simone Antonioli<br />

Caterina mi guarda<br />

Caterina mi guarda con aria assorta. Dal 5 Agosto<br />

2005 non riesco più a capire fino in fondo a<br />

cosa sta pensando. Quando ci siamo conosciuti -<br />

sono trascorsi ormai 15 anni – avevo quella particolare<br />

impressione – tipica, probabilmente, di tutti<br />

gli innamorati – che fossimo un’entità unica: «le<br />

mie emozioni, le tue emozioni, il tuo dolore, il mio<br />

dolore», ci dicevamo quando uno dei due era triste<br />

e l’altro voleva a tutti i costi far parte di quella tristezza.<br />

Ci siamo sposati con questa convinzione: la<br />

nostra sintonia era speciale e ci avrebbe permesso<br />

di superare qualsiasi prova.<br />

Ora è qui vicino a me, quasi mi sfiora. Eppure<br />

siamo come due monadi: ognuno è solo, vive in<br />

una dimensione personale nella quale l’altro non<br />

può entrare perché non ha la chiave d’accesso.<br />

Siamo saliti in <strong>montagna</strong> a trascorrere qualche<br />

giorno di vacanza, in questo paesino che tante volte<br />

in passato ci ha accolto come una madre con il<br />

suo fanciullo, perché Caterina mi ha chiesto di fidarmi<br />

di lei, di seguirla senza porre domande.<br />

Cucinare mi rilassa: tagliuzzare le verdure, aspettare<br />

che l’acqua bolla, seguire le ricette del vecchio<br />

libro di mia madre. Di solito mi sento inadeguata,<br />

fuori luogo, come se fossi nata nel tempo e nel luogo<br />

sbagliato. Sono i piccoli rituali giornalieri che<br />

impediscono alla mia identità di disgregarsi totalmente,<br />

che mi danno sicurezza: preparare la colazione,<br />

recarsi al lavoro al solito orario, guardare la<br />

televisione prima di dormire.<br />

Mi piace questo bed and breakfast: non è né<br />

grande né piccolo, né lussuoso né troppo sobrio.<br />

Non mi sono mai sentita inadeguata qui, non<br />

ho mai dovuto dimostrare niente a nessuno. Forse<br />

perché è un posto mediocre ed io sono una persona<br />

mediocre: non sono particolarmente bella ma<br />

neppure brutta, non sono alta ma nessuno direbbe<br />

che sono bassa, lavoro come impiegata in una catena<br />

di supermercati, ho un marito, vado in piscina<br />

tre volte a settimana.<br />

Odio questo luogo. Amo la <strong>montagna</strong>, la sua<br />

luce, quel senso di immensità, di infinito che si<br />

prova quando si arriva in cima alla vetta, ma non<br />

sopporto questo posto. Lo odio da quel giorno di<br />

cinque anni fa in cui la mia vita, la nostra vita è<br />

cambiata in modo irreversibile.<br />

Camminavamo lungo quel sentiero che tante<br />

volte avevamo percorso insieme. C’era un ruscello,<br />

20 21


il solito ruscello, che sbarrava il nostro cammino.<br />

Bisognava solo posare i piedi con attenzione,<br />

scegliere il sasso giusto e poi fare un piccolissimo<br />

salto verso l’altra sponda. Caterina è caduta. Caterina<br />

ha perso il bambino, il nostro bambino, atteso,<br />

desiderato, frutto del nostro amore, certezza <strong>della</strong><br />

nostra eternità.<br />

Mi ero ripromessa di non tornare: troppo dolore<br />

è stato associato a questo luogo. Ma qualcosa mi ha<br />

spinto a venire. Impossibile parlarne con Giuliano:<br />

non mi capirebbe, andrebbe su tutte le furie, anzi<br />

no, si chiuderebbe ancora di più nel suo mondo.<br />

Non abbiamo più parlato di noi da quel giorno.<br />

Il nostro amore si è spento lentamente, come una<br />

candela che pian piano consuma tutta la cera: senza<br />

scossoni, litigi, parolacce. Non so se lo amo ancora:<br />

certo è che non ho il coraggio di raccontargli niente<br />

di me stessa.<br />

Tre settimane fa ho rivisto per caso – stavo riordinando,<br />

dopo anni che non lo facevo, il mio comodino<br />

– le foto del bed and breakfast e delle nostre<br />

vacanze. I nostri occhi brillavano di una luce<br />

intensa, abbagliante, come quella che vedi nei bambini<br />

innamorati delle loro amicizie. Mentre osservavo<br />

quelle immagini – io e Giuliano sul letto matrimoniale,<br />

Giuliano che ride dopo che si è bagnato<br />

i pantaloni bevendo dalla fontana – ho sentito un<br />

impulso, quasi una <strong>voce</strong> che mi invitava a tornare.<br />

Anzi no. Ho provato una sensazione di costrizione:<br />

dovevo tornare, in gioco era la mia vita, la nostra<br />

vita.<br />

Amo ancora Caterina Me lo sono chiesto tante<br />

volte in questi anni e non sono ancora riuscito a<br />

darmi una risposta. Quando si può dire «ti amo»<br />

<strong>La</strong> osservo mentre cucina, i suoi movimenti lenti,<br />

ripetuti, i suoi capelli raccolti, le sue scarpe consumate.<br />

Vorrei parlarle, vorrei gridarle che Renato<br />

è morto per colpa sua, che mi ha rovinato la vita,<br />

che da quel giorno non mi riconosco più, mi guardo<br />

allo specchio e vedo un altro me stesso.<br />

Mancava un mese al parto, non doveva percorrere<br />

quel sentiero. Perché non è stata a casa a riposare<br />

come tutte le donne in gravidanza Perché è scivolata<br />

in un ruscello che aveva già attraversato in altre<br />

decine di occasioni<br />

<strong>La</strong> culla, il passeggino, la cameretta: Renato era<br />

già con noi, dentro la nostra famiglia, un futuro da<br />

costruire, il nostro futuro. Ed invece il suo cuore<br />

ha smesso di battere: piccolo uomo morto solo<br />

nel ventre di colei che avrebbe dovuto proteggerlo<br />

per tutta la vita. Non avevo mai pensato che un<br />

bambino morto dovesse essere anche partorito: in<br />

silenzio, nel dolore più atroce, senza vagiti, senza<br />

parenti e amici che aspettano fuori dalla sala parto,<br />

22 23


senza i messaggi di congratulazioni, senza i fiori sul<br />

comodino.<br />

Sono seduta su un sasso a due passi dal torrente<br />

che fiancheggia il nostro rifugio. Sto leggendo l’ultimo<br />

libro di Grossman – a un cerbiatto somiglia<br />

il mio amore – mi identifico con la protagonista,<br />

sono anch’io alla ricerca di me stessa.<br />

Sento ancora quell’impulso. Questa volta è più<br />

chiaro, mi parla, ma non riconosco la <strong>voce</strong>.<br />

Da piccola la mia catechista mi diceva sempre<br />

che Gesù parla alle persone che sanno mettersi in<br />

ascolto. Mi arrabbiavo con me stessa perché quella<br />

<strong>voce</strong> io non l’ho mai sentita. Non credo nell’aldilà,<br />

sono convinta che dopo la morte ci sia il nulla, che<br />

il paradiso e l’inferno siano solo costruzioni mentali<br />

dell’uomo che anela all’infinito.<br />

Questa volta è diverso: non sto delirando, non<br />

uso droghe, non ho allucinazioni. Qualcuno si è<br />

infilato a mia insaputa dentro il mio corpo e vuole<br />

comunicare con me. Il messaggio è chiaro: devo<br />

cercare una pietra ma non so la forma, il colore, la<br />

grandezza. L’unica certezza è che lì posso ritrovare<br />

la mia strada.<br />

Non abbiamo mai parlato dell’incidente. Non c’è<br />

stato bisogno di deciderlo con le parole: entrambi<br />

abbiamo scelto che era meglio così, che a tanto<br />

dolore si risponde solo con il silenzio. All’inizio,<br />

per la verità, ogni argomento di possibile conversazione<br />

era diventato un tabù. Nella nostra casa era<br />

scesa una nebbia fitta che impediva qualsiasi tipo<br />

di contatto. Durante il primo anno non abbiamo<br />

mai fatto l’amore. Quando abbiamo provato a ricongiungere<br />

i nostri corpi ho sentito nel profondo<br />

che il mio io si staccava da me: ero con mia moglie<br />

e nello stesso tempo ero lontano da lei anni luce.<br />

Ho conosciuto altre donne, ho pagato per trenta<br />

minuti di sesso. <strong>La</strong> sensazione non è cambiata: ero<br />

io e non ero io e nel frattempo la mia identità si<br />

frammentava e disgregava lentamente e inesorabilmente.<br />

Vorrei morire ma non ho la forza né il coraggio<br />

di scegliere un modo per uccidermi, di pensare al<br />

giorno e all’ora, di organizzare la procedura nei minimi<br />

dettagli, di portare a termine il mio intento.<br />

Ho sperato in mille occasioni che il destino decidesse<br />

per me: un incidente stradale come ne capitano<br />

tanti, una malattia incurabile.<br />

Devo parlare con Giuliano. Sento che lui mi può<br />

aiutare a trovare la pietra. Corro dei rischi: la sua<br />

derisione, l’incredulità, il suo sguardo giudicante, la<br />

sua supponenza; non li posso sopportare ma ormai<br />

mi sono incamminata in questo sentiero tortuoso e<br />

non posso tornare indietro.<br />

24 25


Caterina mi ha raccontato <strong>della</strong> pietra, dell’impulso,<br />

delle voci. Stavo per sogghignare, poi mi<br />

sono bloccato. Il 5 Agosto 2005, prima dell’incidente,<br />

all’inizio <strong>della</strong> strada, ai margini del bosco,<br />

ho inciso una pietra con un piccolo coltello. Non<br />

mi ricordo cosa avevo scritto, forse era un semplice<br />

disegno oppure uno scarabocchio utile solo per<br />

riempire il tempo.<br />

Partiamo alla ricerca <strong>della</strong> pietra. Mi sembra di<br />

essere un’eroina dei film, Caterina dal cuore impavido.<br />

<strong>La</strong> pietra c’è, nel punto esatto in cui l’avevo lasciata.<br />

È parzialmente coperta da uno strato di muschio<br />

ma c’è.<br />

«Caterina e Giuliano per sempre insieme». Tocco<br />

la pietra insieme a Giuliano: s’illumina, una forza<br />

sconosciuta entra nel mio corpo.<br />

«Caterina e Giuliano per sempre insieme». Tocco<br />

la pietra insieme a Caterina: s’illumina, una forza<br />

sconosciuta entra nel mio corpo.<br />

Piangiamo, ci abbracciamo, ci raccontiamo per<br />

ore dove ci siamo persi in questi anni, parliamo di<br />

Renato, dei nostri sensi di colpa, delle paure, del<br />

futuro. <strong>La</strong> nostra identità si è ricomposta, perché<br />

esisteva solo nell’identità dell’altro.<br />

MENZIONE SPECIALE DELLA GIURIA<br />

Fabio Balduzzi<br />

Iniziare<br />

Maledette vesciche. Osservo i miei piedi martoriati<br />

e ancora non so capacitarmi. Non ci volevo<br />

venire in <strong>montagna</strong>, ma mi sono fatta convincere<br />

dalle lusinghe di mio marito, dalle dolci richieste di<br />

mia figlia e da tante coccole.<br />

«Dai, facciamo una bella camminata all’aria aperta<br />

e poi tutti a mangiare al rifugio».<br />

Così, mio malgrado, di buona mattina mi sono<br />

vestita «da <strong>montagna</strong>» o meglio come credevo ci<br />

si vestisse per un’escursione del genere: maglietta,<br />

felpone, pantaloni al ginocchio con i tasconi, calzettoni<br />

e polacchini acquistati secoli prima in un<br />

negozio specializzato e mai utilizzati. Perché sono<br />

anni che la mia famiglia tentava di fare questa benedetta<br />

(maledetta) gita ed io fino ad allora avevo resistito<br />

offrendo ogni tanto piccoli contentini quali<br />

appunto beneauguranti acquisti di materiali tecnici,<br />

organizzazioni fumose di gite mai realizzate e perfino<br />

preparazioni nei minimi dettagli vanificate da<br />

improvvisi e quanto mai salvifici acquazzoni mattutini.<br />

Così me la cavavo con falsi dispiaceri «Che pec-<br />

26 27


cato, proprio oggi doveva piovere a dirotto» conditi<br />

da altrettante fasulle faccette e smorfie di disappunto<br />

plastificato. Tutti, contenti… si fa per dire.<br />

Anche questa mattina, quando mi sono alzata dal<br />

mio comodissimo letto ho sperato con tutto il mio<br />

cuore che il cielo fosse coperto e che le nubi promettessero<br />

pioggia battente. Come al solito avevo<br />

già in serbo la mia compilation di frasi fatte, malumori<br />

falsi e alternative tipo «Vabbè, vorrà dire che<br />

andremo al centro commerciale». Ed invece aprendo<br />

le ante ho visto un cielo azzurro ed un sole insolente<br />

ed ho compreso che questa volta non sarei<br />

sfuggita.<br />

«Diavolo, questa volta mi tocca!» ho pensato dispiaciuta<br />

mentre lucidamente stavo elaborando un<br />

disperato piano di fuga del tipo «Non sto bene»,<br />

«Non me la sento», «È uno di quei giorni».<br />

Non ce n’è stato il tempo. Quei due esagitati erano<br />

già svegli, pronti a partire e zompettavano per<br />

casa come morsi da qualche tarantola. Mia figlia<br />

si stava lavando e vestendo da sola, cosa che non<br />

capita praticamente mai e mio marito aveva abbandonato<br />

la sua consueta flemma domenicale per lanciarsi<br />

in entusiastici preparativi: lo zaino, le bibite,<br />

i k-way, le barrette energetiche, la copertina. Tutto<br />

in ordine in men che non si dica come se fossero<br />

pronti da decenni, come se quei due avessero affinato<br />

la tecnica con specifici addestramenti segreti.<br />

«Noi siamo pronti!» me li sono visti comparire<br />

sulla soglia <strong>della</strong> porta <strong>della</strong> cucina mentre io versavo<br />

il latte nelle tazze in pigiama ed ancora non mi<br />

capacitavo di quello che stava accadendo.<br />

«Prima si fa colazione e poi...» ho lasciato la frase<br />

a metà come se mi facesse male anche solo palesare<br />

verbalmente il mio prossimo destino.<br />

Magari il tempo sarebbe cambiato radicalmente<br />

nel volgere di qualche attimo salvandomi, oppure<br />

una telefonata improvvisa avrebbe impedito la nostra<br />

partenza o chissà, forse, un evento straordinario<br />

e non previsto si sarebbe salvificamente avverato.<br />

Mai porre limiti alla provvidenza.<br />

Niente da fare. Tutto rimaneva immutabile e<br />

odioso: il sole sempre più caldo, il cielo se possibile<br />

ancora più terso ed i miei due aguzzini esageratamente<br />

agitati.<br />

Senza nemmeno accorgemene, in una sorta di<br />

trance da rifiuto, ero in auto lanciata verso un’amena<br />

località alpina. Quasi tre ore di macchina su per<br />

tornanti da vomito in compagnia di questa allegra<br />

compagnia di fanatici da escursione. Mio marito<br />

aveva stampato in faccia un sorriso ebete e sognante<br />

mentre mia figlia continuava a parlare eccitata<br />

come una radio impazzita senza possibilità di spegnerla<br />

in alcun modo. Una gran bella compagnia.<br />

Poi, però, era arrivato il peggio. Posteggiata l’auto<br />

in un piazzale con una pendenza inquietante ci<br />

28 29


siamo caricati dei nostri zaini (quei pazzi ne avevano<br />

preparato uno tutto mio... che fortuna!) per<br />

incamminarci su per un sentiero le cui indicazioni<br />

dicevano «Al rifugio due ore e mezza».<br />

«Due ore e mezza! Ma voi siete fuori di testa» ho<br />

protestato blandamente seguendo con passo incerto<br />

i miei due cari, ormai lanciati alla conquista <strong>della</strong><br />

cima.<br />

Come dargli torto Dopo anni di iniziative cassate,<br />

di illusioni mozzate, di promesse mai mantenute<br />

ora potevano finalmente dare sfogo alle loro<br />

voglie. Camminare, camminare, camminare! Che<br />

follia. Io che prendo la macchina anche per andare<br />

a comprare il pane, io che se posso salgo in ascensore<br />

piuttosto che fare le scale, io che me ne sto per<br />

ore felicemente seduta in ufficio sulla mia poltroncina<br />

davanti al computer... davvero non capisco il<br />

senso di queste inutili fatiche. Arrampicarsi su per<br />

un sentiero scosceso e sdrucciolevole per arrivare<br />

in cima a qualcosa. Non basta guardare le foto sui<br />

giornali specialistici e magari navigare su internet<br />

È molto più comodo e senza dubbio meno faticoso.<br />

Ma no, bisogna soffrire per poi godere del panorama,<br />

dell’aria fresca, dei profumi.<br />

Fesserie!<br />

Per i primi minuti <strong>della</strong> camminata mi ero anche<br />

illusa che tutto questo fosse vero, che le belle storie<br />

di <strong>montagna</strong> che si raccontano avessero un fondo<br />

di verità. Camminavo senza troppa fatica su per<br />

quella stradina e mi sembrava che tutto fosse facile<br />

e persino piacevole. Questo paradiso, però, è durato<br />

poco. Il tempo che il sentiero si facesse più ripido,<br />

che le gambe cominciassero a farmi male, che<br />

il fiato mi si spezzasse in gola ed ero già prostrata.<br />

«Ragazzi facciamo una pausa, non ce la faccio<br />

più» ho urlato disperata ed ansimante ai miei due<br />

instancabili compagni di sventura che nel frattempo<br />

mi avevano distanziata di qualche decina di metri.<br />

Loro da buoni samaritani sono tornati indietro<br />

e con sguardi pietosi mi osservavano senza capire<br />

davvero quello che mi succedeva. Mi succedeva che<br />

ogni maledetto brandello del mio corpo mi chiedeva<br />

conto di anni di vita sedentaria ed agiata, che mi<br />

facessero male perfino le punte dei capelli e le unghie.<br />

Hanno pazientato a lungo che mi riprendessi<br />

e poi, come a donarmi una panacea miracolosa, mi<br />

hanno consegnato un bastone di legno dicendomi<br />

«Prendilo, vedrai che con questo farai meno fatica.»<br />

Ho afferrato quel pezzo di legno lungo e ricurvo<br />

e più per dar loro soddisfazione che per vera convinzione,<br />

mi sono rimessa in piedi riprendendo la<br />

marcia. Il bastone non era né magico né salvifico<br />

ed a me continuava a far male ovunque, ma non<br />

potevo deluderli e nemmeno continuare a fare la<br />

30 31


lamentosa. In fin dei conti era una bella gita sognata<br />

per tanto tempo e non sarei stata di certo io a<br />

rovinarla anche a costo di morirci su quella <strong>montagna</strong>.<br />

Durante le due ore che mi hanno separato<br />

da questa nuova pausa lamentosa non ho aperto<br />

bocca sfoderando sorrisi da copertine e quando il<br />

fiato me lo permetteva, ho perfino scherzato e raccontato<br />

storielle divertenti. I miei due straordinari<br />

compagni di viaggio sembravano felici di vedermi<br />

contenta e spensierata ed io, devo ammetterlo, lo<br />

ero altrettanto di osservare loro tanto entusiasti e<br />

sereni.<br />

Poi ho ceduto di schianto. A meno di dieci minuti<br />

dalla vetta, con negli occhi il rifugio poco distante,<br />

ho mollato. Mi sono seduta su una roccia in<br />

mezzo ad un campo ed ho alzato bandiera bianca.<br />

I piedi scoppiavano dentro i miei fiammanti scarponcini<br />

hitech e le gambe esplodevano di acido lattico.<br />

Vesciche grandi come padelle riempivano le<br />

piante dei miei piedi. Ovviamente si è ripetuta l’ennesima<br />

scena dei miei soccorrittori personali che<br />

accorrevano al mio dolorante capezzale. Anche se<br />

stavo malissimo li ho tranquillizzati dicendo loro di<br />

proseguire, che li avrei raggiunti nel giro di pochi<br />

minuti. Loro, seppur riluttanti si sono fatti convincere<br />

dalla mia falsa tranquillità e si sono incamminati<br />

diventando ogni secondo più lontani e piccoli.<br />

Ogni tanto si giravano a guardarmi, probabilmente<br />

per sincerarsi se fossi ancora viva, ed io li salutavo<br />

fingendo entusiasmo e mettendo in mostra energie<br />

ormai consunte.<br />

Ora sono qui, sola in mezzo al nulla in contatto<br />

diretto con me stessa, la mia fatica che pian piano si<br />

acqueta ed il respiro si fa più cadenzato e rilassato.<br />

Sembra che le cose lentamente vadano un po’ meglio<br />

ma non voglio illudermi. Per la prima volta da<br />

quando sono partita volgo lo sguardo da me stessa<br />

e mi guardo attorno. È bellissimo e nemmeno me<br />

n’ero accorta. Sono in mezzo ad un prato fiorito<br />

di mille colori, poco lontano alcune mucche fanno<br />

tintinnare i loro campanacci, lungo il sentiero altri<br />

arrampicatori salgono disinvolti, ci sono insetti<br />

che volano qua e là e si posano delicatamente sui<br />

fiori, boschi di abeti altissimi riempiono le vette<br />

tutt’attorno fino a lasciare timidamente spazio alla<br />

roccia nuda che quotidianamente, da sempre, sferza<br />

il cielo. Il sole mi scalda il corpo dolorante, da<br />

qualche minuto si è alzata una brezza leggera che<br />

mi accarezza il viso. Non posso dire di stare bene,<br />

ma sto decisamente meglio. Non so se sia la fatica<br />

oppure il luogo, ma sento profumi e percepisco colori<br />

più intensi. Forse è solo la lucida agonia di una<br />

camminatrice fallita o forse è la vera magia <strong>della</strong><br />

<strong>montagna</strong>, la sua <strong>voce</strong> che decide di farsi sentire,<br />

quella che mi sono sempre rifiutata di ascoltare e<br />

che ora mi si presenta con gli interessi. È un conto<br />

32 33


che pago volentieri, che non avrei mai immaginato<br />

di dover saldare con tanto piacere.<br />

Istintivamente chiudo gli occhi ed ascolto ciò<br />

che mi sta attorno. Acqueto il senso <strong>della</strong> vista ponendo<br />

attenzione a ciò che sentono le mie orecchie<br />

abituate al suono stridulo <strong>della</strong> città. Trascorro<br />

qualche minuto in silenzio e respiro lentamente.<br />

Ecco! Posso ascoltare nitidamente lo scorrere<br />

deciso e leggero di un torrente, immagino le sue<br />

limpide e gelide acque che rapide ed inesorabili<br />

scendono a valle, percepisco i suoi piccoli salti e le<br />

sue evoluzioni attorno a massi e radici. Il rumore<br />

del vento si fa tutt’uno con le altre voci <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />

facendole risuonare: i rami che si muovono,<br />

i fili d’erba che si piegano, le pietre che intonano<br />

incomprensibili canti.<br />

Anche dentro di me, sotto la scorza irrigidita di<br />

cittadina convinta, risuona una <strong>voce</strong> nuova, timida<br />

eppure persistente e gradevole. Non so definirla,<br />

ancora non ce la faccio.<br />

Sono sola eppure mi sento in compagnia, mi sento<br />

parte di qualcosa. Non so spiegarmelo e nemmeno<br />

voglio farlo. Preferisco continuare a godere<br />

di queste meravigliose sensazioni e non pensare<br />

inutilmente. Ci sarà tempo per razionalizzare, non<br />

adesso.<br />

<strong>La</strong> stanchezza mi sta sempre qui accanto, ma<br />

adesso lascia spazio a tante altre cose e non è più la<br />

più importante.<br />

Mi è venuta fame, una fame da lupo. Meglio che<br />

mi sbrighi, non vorrei che su al rifugio finissero la<br />

polenta ed il formaggio. Mi sembra perfino di sentire<br />

il profumo di qualcosa che cuoce alla brace, ma<br />

sono certa si tratti di un miraggio culinario. Non<br />

importa, l’essenziale è muoversi il prima possibile.<br />

Ho perduto fin troppo tempo dietro alla mia indolenza<br />

per consegnarle altri istanti <strong>della</strong> mia giornata.<br />

Mi infilo le calze e poi, dolorante, gli scarponi<br />

senza mai smettere di guardarmi attorno estasiata,<br />

stranamente ed imprevedibilmente felice. Chi<br />

l’avrebbe mai detto<br />

Alzo il mio stanco fondoschiena dalla poltrona<br />

di roccia che m’ha sostenuta, afferro il mio bastone<br />

e mi rimetto in cammino. Il dolore e la fatica si fanno<br />

subito riconoscere eppure qualcosa è cambiato,<br />

ho il sorriso sulla faccia ed un entusiasmo che non<br />

mi conoscevo.<br />

Ancora pochi minuti e sarò alla baita, anche se<br />

ormai ho capito che il mio viaggio è appena iniziato.<br />

34 35


Giovanni Baccanelli<br />

<strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />

Anna era una ragazza ipovedente: sin da piccola i<br />

suoi rapporti con il mondo erano stati dettati principalmente<br />

dal contatto con le mani e dall’ascolto<br />

dei suoni.<br />

<strong>La</strong> magia <strong>della</strong> medicina moderna le aveva donato<br />

la possibilità di distinguere le luci dalle ombre,<br />

ma non aveva potuto stravolgere il destino che la<br />

natura le aveva crudelmente riservato.<br />

Per sopperire a questa mancanza, il suo piccolo<br />

ed esile corpo aveva sviluppato tutti i propri sensi,<br />

facendo sì che la bambina potesse conoscere il<br />

mondo che la circondava, anche senza lo strumento<br />

principale.<br />

Aveva così imparato a distinguere mamma e<br />

papà dalla <strong>voce</strong>, prima ancora che dallo sguardo, e<br />

ne poteva percepire la presenza anche soltanto dal<br />

saluto.<br />

Riconosceva la pelle liscia e calda del volto e del<br />

petto <strong>della</strong> madre e sapeva capire se le braccia che<br />

la tenevano stretta erano quelle del padre, uniche e<br />

diverse da tutte le altre che, affettuosamente, cercavano<br />

quotidianamente di sostenerla.<br />

Non poche furono le difficoltà che quei genitori<br />

dovettero affrontare: vedevano gli altri bambini<br />

crescere sani e forti, mentre la loro piccola doveva<br />

farsi strada con tutta la grinta che possedeva per<br />

muoversi tra gli scogli posti lungo il suo cammino.<br />

Tuttavia ogni volta che l’ostacolo veniva superato,<br />

la gioia ripagava tutte le sofferenze patite: fu<br />

perciò stupendo vederla impugnare il cucchiaino<br />

per la pappa, battere le mani a ritmo di musica e<br />

muovere i primi passi senza nessun aiuto.<br />

Anna aveva il dono di portare serenità: non vi<br />

era membro <strong>della</strong> famiglia che, al suo arrivo, non<br />

manifestasse un irrefrenabile desiderio di dedicare<br />

un po’ del proprio tempo alla piccola, facendola<br />

giocare e raccontando storie immaginarie.<br />

Vi era un particolare cugino, Niccolò, che non<br />

aspettava altro che il termine <strong>della</strong> propria cena per<br />

salire le scale, bussare alla porta degli zii e sedersi<br />

con la cuginetta a giocare.<br />

Giorno dopo giorno tale momento divenne<br />

un’abitudine e la bambina si affezionò a lui al punto<br />

che riusciva a riconoscerne la <strong>voce</strong> intensa e le<br />

grandi mani: quando le stava accanto Niccolò le<br />

parlava in continuazione con tono delicato e le<br />

porgeva ogni sera un giocattolo diverso, inventando<br />

per ognuno dei personaggi una storia.<br />

Man mano che i due crescevano il loro legame<br />

si fece sempre più forte: Anna si era abituata alla<br />

presenza di Niccolò, che era diventato un fratello,<br />

se non di più.<br />

36 37


Con la sua calma riusciva a tranquillizzarla anche<br />

quando lei si faceva sopraffare dalle difficoltà <strong>della</strong><br />

vita: Anna gli confidava le sue paure, dapprima<br />

nel linguaggio ingenuo dei bambini ed in seguito in<br />

quello consapevole ed insicuro degli adolescenti, e<br />

Niccolò le affrontava con innata naturalezza, senza<br />

illuderla, ma dandole la certezza che vi era in lei la<br />

forza per affrontare ogni asperità e che, in qualsiasi<br />

situazione, avrebbe potuto contare sulla sua presenza.<br />

Anna era ormai una ragazza, quando per la prima<br />

volta conobbe il dolore dovuto all’amore: aveva<br />

conosciuto un ragazzo che si era dimostrato gentile<br />

verso di lei, ma non aveva ricambiato i suoi sentimenti.<br />

<strong>La</strong> ragazza, convinta che fosse a causa del suo<br />

handicap fisico, era crollata emotivamente, e solo<br />

l’intervento del cugino, divenuto ormai uomo, la<br />

risollevò.<br />

Niccolò capì infatti che l’unica soluzione plausibile<br />

era donarle nuovamente coscienza del suo essere<br />

speciale: la prese con sé e la portò sulla <strong>montagna</strong><br />

che lui tanto amava.<br />

Quale posto migliore del bosco silenzioso per<br />

parlare e per ascoltare la <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong> E<br />

chi, meglio di Anna, avrebbe potuto coglierne ogni<br />

più piccola sfumatura, grazie all’udito sopraffino<br />

che la contraddistingueva<br />

C’era, a pochi chilometri da casa loro, una piccola<br />

conca in cui era incastonato un piacevole lago: era<br />

primavera e, grazie al disgelo, i torrenti che scendevano<br />

dalle cime erano assai floridi e, con il loro<br />

apporto costante di acqua, avevano fatto sì che il<br />

lago raggiungesse dimensioni mai viste prima.<br />

Anna poteva scorgere solo in parte la forma del<br />

lago che si estendeva ai suoi piedi, ma nel silenzio<br />

del luogo riusciva a percepire lo scroscio dell’acqua<br />

che vi si immetteva.<br />

Niccolò allora la prese per mano e cominciò a<br />

condurla proprio lungo uno dei corsi d’acqua, che<br />

giungeva al lago dopo un lungo percorso attraverso<br />

il bosco.<br />

- Perché mi hai portato qui - gli domandò Anna.<br />

- Per ascoltare.<br />

- E chi dovrei ascoltare se non stai parlando -<br />

replicò Anna un po’ irritata.<br />

- Non devi ascoltare me - rispose Niccolò - c’è<br />

un intero mondo che si sta risvegliando e che ti sta<br />

parlando. Ascoltalo: è tutto intorno a te!<br />

Anna si fermò, in silenzio, riflettendo dubbiosamente<br />

sulle parole del cugino.<br />

Non riusciva ad afferrarne il senso, in quanto le<br />

sembrava che, per la prima volta, egli la stesse trattando<br />

come una bambina.<br />

Niccolò si rese conto del pensiero di Anna a causa<br />

dell’espressione stranita che le si era dipinta sul<br />

38 39


volto.<br />

Allora le andò vicino, le appoggiò le mani sulle<br />

spalle e le sussurrò: fidati di me. E dimmi quello<br />

che senti...<br />

Anna si lasciò convincere e cominciò a concentrarsi<br />

sui suoni che le giungevano alle orecchie.<br />

Dapprima non vi era altro che lo scorrere del<br />

ruscello alla sua sinistra, però, a malapena a coprire<br />

i pensieri che ronzavano nella sua testa e continuavano<br />

ad insistere sul fatto che era la sua diversità<br />

ad allontanarla dal ragazzo di cui si era innamorata.<br />

Ma dopo alcuni istanti di contemplazione assoluta<br />

ecco che nuove vibrazioni poterono essere decifrate<br />

dalla sua mente: si trattava del ritmico battere<br />

del picchio, che si alternava all’allegro canto <strong>della</strong><br />

pernice.<br />

Anna teneva gli occhi chiusi e si lasciava guidare<br />

dal cugino, mentre i suoi pensieri si diradavano<br />

sempre più per lasciare spazio alle parole di quel<br />

magico mondo.<br />

Ora sapeva distinguere anche i diversi suoni prodotti<br />

dal torrente: quello sciabordante nei tratti più<br />

ripidi, in cui l’acqua si scontrava con le rocce con<br />

maggior velocità, e quello tenue e delicato dei rari<br />

tratti in cui l’acqua scorreva senza ostacoli.<br />

Sembrava la rappresentazione <strong>della</strong> sua vita, vissuta<br />

sempre alla massima velocità con rari momenti<br />

di pausa, alternati ad attimi in cui qualcosa giunge-<br />

va a creare caos, come nel bosco il grido dell’astore,<br />

il rapace in caccia, che poco dopo ella poté sentire.<br />

Passarono ancora alcuni minuti in cammino, silenziosi,<br />

finché giunsero nei pressi di una radura, al<br />

cui centro si ergeva, solitario, un abete bianco <strong>della</strong><br />

notevoli dimensioni.<br />

Si sedettero ai suoi piedi, appoggiandosi entrambi<br />

alla spessa corteccia dell’albero, <strong>della</strong> cui resina<br />

Anna poteva riconoscere l’odore, proprio mentre<br />

da un altro tratto di bosco giungeva il canto modulato<br />

del gallo forcello in amore.<br />

Niccolò lasciò che tale canto si spegnesse nella<br />

lontananza, prima di chiedere alla cugina:<br />

- Allora, dimmi che ti ha raccontato questo mondo.<br />

- Dovresti saperlo - rispose Anna - penso abbia<br />

parlato anche a te allo stesso modo.<br />

- Ne dubito - ribatté Niccolò - credo di aver sentito<br />

la metà delle parole che tu hai potuto ascoltare.<br />

Solo allora Anna capì cosa aveva voluto dirle<br />

Niccolò con quella muta passeggiata...<br />

Rimasero lì alcuni minuti: mentre Niccolò giocava<br />

silenziosamente con i fili d’erba e le piccole<br />

pigne che raccoglieva a sé, Anna pensava.<br />

Pensava che ogni cosa che la vita le toglieva in<br />

un modo, la natura cercava di restituirgliela in un<br />

altro: così alle immagini, si sostituivano i suoni e i<br />

profumi, al bagliore accecante del lampo, il frastuo-<br />

40 41


no del tuono, al brillio lontano delle stelle, il brusio<br />

silenzioso <strong>della</strong> notte, alla penombra intimidatoria<br />

del bosco, l’odore accogliente del muschio.<br />

E all’amore fugace di un ragazzo, l’affetto assai<br />

più profondo di un cugino.<br />

Gli si accoccolò vicino e lasciò che a parlargli<br />

fossero il vento che sibilava tra i sottili aghi dell’albero<br />

e le cicale che, nascoste, esprimevano il loro<br />

benvenuto all’ormai imminente estate, in una sinfonia<br />

alla quale contribuivano tutti gli elementi naturali<br />

presenti in quel piccolo mondo.<br />

Pur in tutte le sue variazioni, un’unica tonalità<br />

emergeva da quei suoni ed era quella del ringraziamento,<br />

che Anna rivolgeva a Niccolò per averle<br />

donato interi istanti di beatitudine, immersa in un<br />

ambiente che la valorizzava e a cui, da allora, avrebbe<br />

dato l’importanza che meritava.<br />

Marco Camisani<br />

Un artista in viaggio verso Borno<br />

Giovita lavorava, da quando era molto giovane,<br />

come pittore di paesaggi. Nello studio di vicolo<br />

Oscuro a Brescia, faceva quadri di località turistiche<br />

su commissione; i suoi clienti erano avvocati,<br />

impiegati ed imprenditori. Nonostante la sua vita<br />

fosse più che decorosa, Giovita non era felice, in<br />

quanto disprezzava i suoi clienti, persone mediocri<br />

che non capivano del tutto la sua arte.<br />

Sopravviveva, perciò, con un malessere diffuso,<br />

che a settimane alterne gli procurava gravi momenti<br />

di abbattimento. Si sforzava di far trascorrere il<br />

tempo, nell’attesa di una fortuna che avrebbe ricompensato<br />

tutti i suoi meriti.<br />

Il 21 maggio 1838, mentre stava lavorando nel<br />

suo studio all’opera «Paesaggio lacustre», prese una<br />

decisione: «Vado a Borno, per vedere il paese natale<br />

di mio padre». Infatti le sue origini erano camune,<br />

in quanto entrambi i genitori erano bornesi. Poi<br />

avevano deciso di trasferirsi in città, e così Giovita<br />

era cresciuto a Brescia e non gli era mai capitato di<br />

raggiungere il paese che aveva sentito tante volte<br />

nominare in famiglia. Di solito le sue mete di lavoro<br />

erano i laghi, dove abbozzava dei disegni che poi<br />

sviluppava in studio, al fine di realizzare quadri ad<br />

42 43


olio. Ma in Valcamonica non c’era mai stato.<br />

Il 14 luglio fu il suo primo giorno di viaggio. Alle<br />

ore 17 la diligenza partì da Brescia, precisamente<br />

da Porta San Giovanni, detta anche <strong>della</strong> Pallata.<br />

A fine giornata raggiunse la prima tappa: Iseo. <strong>La</strong><br />

mattina del giorno successivo c’era il sole: salì sul<br />

battello con direzione Pisogne. Percorrendo nella<br />

sua lunghezza lo specchio d’acqua, Giovita si sforzava<br />

di allontanare qualsiasi pensiero, per poter osservare<br />

ciò che lo circondava. Ad ogni onda il suo<br />

sguardo identificava delle nuove inquadrature che<br />

avrebbero potuto diventare degli ottimi quadri per<br />

i suoi clienti. <strong>La</strong> regola l’aveva imparata ancora a<br />

scuola, ed ora se la ripeteva mentalmente: l’importante,<br />

prima di iniziare a dipingere, è scegliere l’angolazione<br />

giusta e il momento <strong>della</strong> giornata migliore<br />

per la luce. Questo è necessario per riuscire<br />

ad entrare in sintonia con un determinato ambiente<br />

e per far sì che il luogo inizi a comunicare il suo<br />

messaggio più delicato. Non tutti riescono a sentire<br />

la <strong>voce</strong> di una località: è necessario infatti imparare<br />

ad ascoltarla, rendendosi umili e complici.<br />

Giunto a Pisogne soggiornò una notte alla locanda<br />

Bellavista, proprio in riva al lago.<br />

All’alba un’altra diligenza lo aspettava per risalire<br />

la strada che costeggiava il fiume Oglio. Passò<br />

numerosi borghi, cascine e piccoli gruppi di case.<br />

Superò Darfo, Cogno, Cividate ed arrivò a Male-<br />

gno. Qui scaricò le sue borse, quella contenente<br />

biancheria e provviste, e l’altra, custodita con particolare<br />

attenzione, con all’interno colori, taccuini e<br />

vari strumenti di lavoro. <strong>La</strong> mulattiera si inerpicava<br />

nel bosco ed avere una strada ombreggiata era già<br />

un grende vantaggio, specialmente per alleviare un<br />

poco gli sforzi all’asino che gli avevano affidato per<br />

poter continuare il viaggio.<br />

Anche Giovita era affaticato: aveva posticipato il<br />

viaggio a Borno di anno in anno, ma ora si era deciso<br />

a compierlo, perché aveva bisogno di un’esperienza<br />

nuova; non sapeva ancora precisamente in<br />

che senso, ma era convinto che dopo essere stato a<br />

Borno qualcosa sarebbe cambiato.<br />

Mentre faceva questi pensieri, continuava a salire<br />

la <strong>montagna</strong>. Gli capitava di affiancare casolari,<br />

fare tratti di strada al sole, per poi rientrare nella<br />

fitta pineta. Ad un certo punto, ed erano le ore 16<br />

del giorno 18 luglio 1838, il bosco iniziò a diradarsi<br />

sempre più: Giovita alzò lo sguardo e vide le prime<br />

case di Borno. Scorse, vicino alle abitazioni, qualche<br />

abitante indaffarato nelle proprie attività domestiche.<br />

Il sole era ancora alto nel cielo e sull’altopiano<br />

si stendeva una luce pomeridiana morbida e calda.<br />

Ai margini dell’abitato iniziavano i boschi: lo impressionò<br />

particolarmente la varietà dei colori delle<br />

piante. Osservando con attenzione, come lui era<br />

abituato a fare, percepiva decine di verdi differenti,<br />

44 45


per timbro e tonalità. Oltre i boschi iniziavano i<br />

prati, che salivano i pendii delle montagne e scomparivano<br />

nelle rocce delle cime. Il cielo era limpido:<br />

solo qualche nuvola creava delle zone d’ombra nel<br />

paesaggio. Inoltre vedeva pastori con i loro animali<br />

che attraversavano i prati e contadini che falciavano<br />

l’erba ed altri ancora che tornavano al paese.<br />

E qui, inaspettatamente, visse un momento memorabile:<br />

gli studiosi che nei decenni successivi<br />

hanno cercato di ricostruire la sua vita, definiscono<br />

quell’attimo come il punto di svolta <strong>della</strong> sua arte.<br />

Infatti, mentre osservava quella veduta inaspettata,<br />

in quanto prima di allora non aveva mai visto neanche<br />

un’immagine di Borno, gli sembrò che tanti<br />

nodi si sciogliessero. Considerando nel suo complesso<br />

il paesaggio che aveva davanti, capì come<br />

questo fosse un grande palcoscenico. Si soffermava<br />

per alcuni momenti a guardare le vette; poi abbassava<br />

lo sguardo ed osservava con attenzione i<br />

tranquilli movimenti delle persone. Sembrava che<br />

questi uomini e queste donne lavorassero con un<br />

ritmo perfetto, essendo parte integrante di un ecosistema<br />

equilibrato.<br />

Dal punto di vista estetico, infatti, quell’ambiente<br />

lo incantava e la cosa che più lo affascinava erano<br />

proprio le persone, perché viste così, in quel contesto<br />

naturale, dimostravano quanto la figura umana<br />

fosse necessaria, per dare sostanza e realtà alla sce-<br />

na. Si ricordò quindi del lavoro di taglialegna di suo<br />

padre e <strong>della</strong> nobiltà di quel mestiere, come di tutti<br />

quelli che vengono fatti in <strong>montagna</strong>. Sentì che<br />

quel panorama gli stava parlando come mai prima<br />

nessun oggetto era riuscito; la <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />

gli sussurrava che quello che stava pensando non<br />

doveva rimanere vano: da quel momento avrebbe<br />

dovuto far entrare nei suoi quadri l’armonia possibile<br />

tra la natura e l’uomo, che gli si era mostrata<br />

in tutta la sua misteriosa semplicità, in modo che<br />

attraverso le sue opere d’arte, la <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />

potesse comunicare a chiunque la sua essenza<br />

di pace e serenità.<br />

I riferimenti ai luoghi, alle persone ed ai fatti appartengono<br />

al mondo <strong>della</strong> fantasia e non sono che strumenti necessari<br />

per l’elaborazione poetica di questo racconto.<br />

46 47


Giuliana Colombo<br />

<strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />

Questa che leggerete non sarà, ahimè, storia di<br />

alte vette, di profumi di boschi, di aquile che spiccano<br />

il volo e di montagne valicate fra ghiacciai e<br />

pendii.<br />

Sarà storia di vita e, come spesso accade quando<br />

si parla di vita, sarà storia, ahimè, anche di morte.<br />

Semplici pensieri dedicati ad una piccola uditrice<br />

alla quale riservo ogni mia parola e per la quale respiro<br />

ogni istante.<br />

«... Dunque piccola mia, non sai quanto vorrei<br />

essere capace di raccontarti la <strong>montagna</strong>, di descriverti<br />

la fatica e il sudore e insieme la gioia di una<br />

scalata, non immagini quanto vorrei portarti lassù<br />

e contemplare con te l’infinito.<br />

Ma, vedi, a malapena distinguo una vetta da<br />

un’altra, non ho mai gli scarponi adeguati e se ci<br />

imbattiamo in una salita ho il fiato solo per chiedere<br />

dell’acqua.<br />

Quando ero piccola, avevo una madre che ha<br />

udito tutte le voci <strong>della</strong> <strong>montagna</strong>, ha respirato la<br />

fatica dell’alpeggio d’estate e il rigido freddo dell’inverno,<br />

ha vissuto la guerra nascondendo gli uomini<br />

che la <strong>montagna</strong> la difendevano e in quella stessa<br />

<strong>montagna</strong>, una notte d’estate, qualcuno bruciò la<br />

casa in cui era nata.<br />

Ma devi sapere che sulla stessa terra, terra di<br />

<strong>montagna</strong>, quella casa venne ricostruita, per ricominciare.<br />

Avevo una madre che, ancora bambina, sapeva<br />

andare al pascolo, giocava nei prati e nei boschi<br />

senza freni e senza asfalto: sarebbe diventata una<br />

donna forte e temprata dalla durezza <strong>della</strong> vita, imparando<br />

che di <strong>montagna</strong> si vive, ma di <strong>montagna</strong><br />

si può anche morire.<br />

Avevo un padre che in un’altra <strong>montagna</strong>, lontano<br />

da qui, combatté da alpino una stupida guerra<br />

di cui non ti ho mai parlato, ma avremo tempo e un<br />

giorno ti racconterò.<br />

C’è un cappello da qualche parte in casa, a ricordo<br />

di quegli anni in cui era Ufficiale di qualche<br />

cosa che non ricordo, ma ci sono anche numerosi<br />

spartiti e vecchi dischi di musica, la musica <strong>della</strong><br />

<strong>montagna</strong>. «... è vero, starai pensando, tu nemmeno<br />

sai intonare una ninna nanna, cantiamo Bella Ciao<br />

e io devo finire tutto il ritornello...» ma sai, lui conosceva<br />

a menadito le note di ogni canto. Le sue<br />

dita e la sua <strong>voce</strong> componevano e deliziosamente<br />

nasceva musica.<br />

Sapeva cantarla davvero la <strong>montagna</strong>, la narrava<br />

in ogni sua espressione, ne descriveva gli aspetti<br />

ostili e gli incantevoli profili.<br />

48 49


Montagna, terra di confine, terra confinata.<br />

Piccola mia siamo nate qui.<br />

Avevo una madre che non ha avuto il tempo di<br />

raccontarmi tutto quello che so di lei, lo ha dovuto<br />

fare qualcun altro, lei se ne è andata prima che io<br />

potessi accorgermi di quanto il suo coraggio e la<br />

sua umiltà scaturissero proprio dai saldi valori fondati<br />

sulla fatica.<br />

Avevo un padre che non ha avuto il tempo di<br />

spiegarmi tante cose, che mi ha lasciato la sua musica<br />

e se n’è andato prima che ti potesse caricare<br />

sulle spalle e portarti in cima, lassù, dove io forse<br />

non arriverò mai.<br />

Montagna, terra di emozioni, terra che emoziona.<br />

È questa nostra aria che fa la differenza, tu la<br />

respiri e in un attimo senti una pienezza nell’anima<br />

che solo chiudendo gli occhi e inspirando con tutta<br />

la forza che possiedi riesci a riconoscerla. Come<br />

quando cerco di insegnarti a trattenere il respiro<br />

per soffiare le bolle. Respirare... è semplice e automatico,<br />

solo che qui riesce meglio.<br />

Me lo raccontava sempre mio padre di quanto è<br />

essenziale ricordarsi che nulla è per caso, che Dio<br />

ha pensato a tutto, soprattutto qui, dove gli inverni<br />

sembrano non avere fine e la magnificenza del cielo<br />

ha mille venature.<br />

Vedi, io dovrei saperti descrivere gli amici anima-<br />

li che popolano la <strong>montagna</strong>, ma al solito, confondo<br />

stambecchi e camosci, e quando credo di avere<br />

finalmente trovato un onorato porcino, stai tranquilla<br />

che si tratta di un’altra cosa.<br />

Ma anche io, piccola mia, rea di non sapere i numeri<br />

dei sentieri e di non conoscere la provenienza<br />

di abeti e bucaneve, ho imparato che senza questa<br />

<strong>montagna</strong> fatico a trovare la pace dentro l’anima,<br />

che è una cosa un po’ complicata da capire alla tua<br />

età... ma non temere, avrò sempre modo e tempo<br />

per raccontarti.<br />

E quando volgo lo sguardo oltre la balaustra del<br />

nostro balcone, ma proprio oltre dico, anche se non<br />

ho idea di quali montagne compongano l’Adamello,<br />

un senso di serenità riempie il mio cuore.<br />

Quando camminiamo insieme nel bosco, e provo<br />

goffamente a raccogliere pigne e foglie cercando<br />

di descriverne colori e profumi, farei meglio a<br />

rivelarti le emozioni che mi attraversano: quanto<br />

bisogno avrai nella vita, amore mio, <strong>della</strong> pace che<br />

solo in questi luoghi si riesce a scoprire.<br />

Quando viene la sera e poi la notte e mi chiedi<br />

come mai le stelle brillano di luce e noi non le<br />

possiamo toccare, anch’io mi stupisco di quanto<br />

sembrano vicine e di solito ti rispondo che sono<br />

nel cielo, tu non capisci e mi chiedi se ci possiamo<br />

andare.<br />

Un giorno piccolina, non ora.<br />

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Montagna, terra di doni, terra donata.<br />

Sai, la gente crede di possedere ciò che calpesta,<br />

che sfiora, che tocca con le sue mani, che coltiva,<br />

che raccoglie, perfino ciò che distrugge; non è esattamente<br />

così, guarda i boschi, i prati, i fiori, niente<br />

ci appartiene e questo lo si impara solo se si rispetta<br />

quanto ci circonda.<br />

Te lo dovrai ricordare sempre, anche se la vita ti<br />

porterà lontana da questa terra di <strong>montagna</strong>, porta<br />

con te il rispetto per quello che ti attornia, l’instancabile<br />

interesse per quello che vedrai, che potrai<br />

toccare con le tue mani. Rispetta ciò che non<br />

ti appartiene ma che avrai il beneficio di vivere e di<br />

respirare.<br />

Non lo so se avrò il coraggio di portarti a vedere<br />

il sole che nasce in cima ad una vetta, ma so<br />

che sarebbe bello, sarebbe dolce, tu mi subisseresti<br />

di domande, come sei solita fare, alle quali poche<br />

troverebbero sensati riscontri, ma, paghe di tanta<br />

bellezza, ci butteremmo sull’erba con il naso rivolto<br />

al cielo, quel solito cielo così lontano, ma mai<br />

abbastanza distante da non poter essere la culla di<br />

ogni nostro pensiero.<br />

Spero di avere il coraggio di lasciare che sia tu a<br />

risalire e valicare la nostra <strong>montagna</strong>, di ascoltare<br />

la sua <strong>voce</strong>, di sentire la fatica premiata all’arrivo,<br />

spero che ogni salita che incontrerai valga la pena<br />

di essere percorsa, scoprendo poi semplicemente<br />

che tutte le ascese hanno un traguardo che merita<br />

di essere raggiunto, forza piccolina... come quando<br />

sali sullo scivolo dalla parte più difficile e una volta<br />

in cima sei pienamente soddisfatta di te, la vita, vedrai,<br />

è fatta un po’ così.<br />

Spero tu sia sempre testimone di spettacoli meravigliosi<br />

come quello a cui partecipiamo ogni<br />

mattina quando apriamo la finestra e cerchiamo di<br />

capire se pioverà, annusando l’aria e guardando se<br />

sopra San Fermo si sono formate delle nuvole.<br />

San Fermo: non ti ci ho ancora portato, ma con<br />

tua grande sorpresa ne conosco il nome e tra l’altro<br />

anche la storia che è storia di santi: anche di questo<br />

parleremo un giorno.<br />

Ciò di cui sono certa, però, è che per tutta la vita<br />

proverò a raccontarti la musica che ho nel cuore, e<br />

ricordarti che la <strong>voce</strong> più incantevole che la <strong>montagna</strong><br />

ci offre è il suo maestoso silenzio.»<br />

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<strong>La</strong>ura Comassi<br />

<strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />

«Don, don, don...»<br />

Aprii gli occhi e mi svegliai dal mio dormiveglia<br />

nel sentire quel suono. Il sole era appena sorto ed<br />

io mi trovavo ancora in quella cella buia, in cui filtravano<br />

solo pochi raggi. Mi alzai in piedi, come per<br />

avvicinarmi al suono di quella campana che, come<br />

una <strong>voce</strong>, mi chiamava a sé verso l’alto. Alzai lo<br />

sguardo e vidi che sopra di me c’era la stessa grata<br />

<strong>della</strong> sera precedente. Questa volta non c’era via di<br />

scampo, non potevo proprio fuggire. Forse sarei rimasto<br />

lì per sempre, come mi avevano minacciato.<br />

D’altronde per loro ero soltanto un ladruncolo e<br />

nessuno mi credeva. Eppure, in un angolo remoto<br />

del mio cuore, speravo che il suono di quella campana<br />

mi avrebbe aiutato ancora una volta, come<br />

aveva già fatto in passato.<br />

Non ricordo praticamente nulla <strong>della</strong> mia prima<br />

infanzia, non ho mai conosciuto i miei genitori. Da<br />

quando sono arrivato in questa valle, ho sempre<br />

vissuto nel bosco. Mi aveva adottato un gruppo<br />

di briganti, quando ero solo un bambino. Come<br />

loro avevo imparato a guadagnarmi da vivere, rubacchiando<br />

qua e là tra la gente del villaggio o depredando<br />

gli sfortunati che incrociavano il nostro<br />

cammino. <strong>La</strong> gente del villaggio non mi sopportava,<br />

mi chiamavano «cane» e mi picchiavano quando<br />

mi coglievano con le mani nel sacco. Non conoscevo<br />

né gentilezza né amore perché nessuno me<br />

li aveva insegnati. Pensavo che quello fosse l’unico<br />

modo in cui potesse vivere un orfano come me.<br />

Ma un giorno tutto cambiò. Alle prime luci di<br />

un mattino di primavera mi recai in una zona <strong>della</strong><br />

valle che non avevo ancora esplorato. Là vidi una<br />

grande fattoria, che sembrava ricca e molto accogliente.<br />

«Un’ottima preda per me!» pensai. Mi accorsi<br />

che nell’aia c’erano molti animali, tra cui un<br />

paio di galline. Pensai che dovessero essercene altre.<br />

Così mi avvicinai quatto quatto con l’intenzione di<br />

rubare alcune uova, che mi avrebbero permesso di<br />

sopravvivere ancora per un altro giorno. Mi guardai<br />

attorno e vidi che c’erano degli uomini poco lontano.<br />

Stavano pascolando il bestiame. Conoscevo<br />

bene i trucchi del mestiere di ladro e sapevo come<br />

non far scoprire loro la mia presenza. Avanzai nascondendomi<br />

tra i cespugli e ben presto mi trovai<br />

di fronte alla porta di legno del pollaio.<br />

In quel momento sentii una folata di vento, accompagnata<br />

da un «don, don, don...». Ebbi un attimo<br />

di esitazione perché non avevo mai sentito un<br />

suono simile e mi aveva spaventato. Presto però<br />

tornai in me e stavo già entrando nel pollaio , quando<br />

sentii una <strong>voce</strong> di donna dietro di me:<br />

54 55


«Ehi, ragazzino! Che cosa pensi di fare»<br />

Subito mi voltai per fuggire, ma il mio sguardo si<br />

fermò sul suo viso. Mi accorsi immediatamente che<br />

non c’era traccia di rabbia o di odio nei suoi occhi<br />

e ciò mi lasciò perplesso. Così rimasi per un attimo<br />

a guardarla. Era una signora di mezza età, piuttosto<br />

bassa e un pò cicciottella, con gli occhi color del<br />

cielo e i biondi capelli che spuntavano dalla cuffietta<br />

bianca che portava sulla testa. Tra le mani reggeva<br />

un cestino vuoto di vimini, che probabilmente<br />

avrebbe riempito con le uova del pollaio. Anche lei<br />

era rimasta immobile a guardarmi, con un’espressione<br />

che allora non conoscevo, ma che poi capii<br />

essere compassione. Arrivò un’altra folata di vento,<br />

accompagnata dallo stesso suono che avevo udito<br />

prima. Di colpo fu come se mi svegliassi da un sogno<br />

e mi resi conto <strong>della</strong> posizione in cui mi trovavo:<br />

ero stato scoperto. Così scappai con tutta la<br />

forza che le mie gambe mi permettevano. Intanto<br />

la donna gridava:<br />

«Aspetta, non fuggire!»<br />

<strong>La</strong> sentii chiamare gli uomini al pascolo e li incitava<br />

ad inseguirmi. Poco dopo me li sentii addosso,<br />

erano in tre. Con le loro grandi mani mi avevano<br />

catturato. Mi dimenavo come un animale in gabbia,<br />

nonostante uno di loro cercasse di rassicurarmi:<br />

«Stai calmo ragazzo. Non vogliamo farti alcun<br />

male! <strong>La</strong> signora vuole solo parlarti.»<br />

Non credetti alle loro parole, abituato com’ero<br />

alle menzogne dei miei compagni <strong>della</strong> foresta, così<br />

continuavo a strattonare i tre uomini, cercando una<br />

via d’uscita. Mi portarono davanti alla porta di casa.<br />

Là mi aspettava la signora di prima. <strong>La</strong> sua espressione<br />

non era mutata e, nel vedermi, mi disse:<br />

«Eccoti qui! Ti va di venire in casa con me Ti<br />

darò del pane e marmellata. I miei nipoti ne sono<br />

particolarmente ghiotti, dicono che le mie conserve<br />

sono le migliori di tutta la valle.»<br />

Di colpo mi bloccai, mentre gli uomini mi lasciavano<br />

libero. Annuii e la seguii in casa, ancora senza<br />

parlare. Ero un po’ diffidente perché non capivo<br />

il motivo del suo comportamento. Stavo rubando<br />

nel suo pollaio e lei non aveva alcuna intenzione di<br />

punirmi. Comunque per la prima volta vidi l’interno<br />

di una casa degna di questo nome e mi piacque<br />

molto. <strong>La</strong> donna mi fece sedere a tavola. Era imbandita<br />

con tanto cibo appetitoso come non l’avevo<br />

mai visto.<br />

«Serviti pure, non fare complimenti.» mi esortò<br />

con un sorriso.<br />

Allora ebbi un attimo di esitazione:<br />

«Signora, stavo per rubare nel tuo pollaio... Perché<br />

non mi picchi come fanno tutti gli altri» chiesi,<br />

pronto ad andarmene, dopo questa chiara confessione.<br />

«Perché mai dovrei picchiare un ragazzino così<br />

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carino - rispose sempre sorridendo - So benissimo<br />

cosa avevi in mente di fare, ma vorrei sapere perché<br />

stavi cercando di rubare le mie uova. Immagino<br />

che tu non abbia di che mangiare.»<br />

A quelle parole mi sciolsi in lacrime, non c’era<br />

bisogno di altre spiegazioni. Non avevo mai pianto<br />

prima di allora, forse perché nessuno aveva mai<br />

mostrato tanta gentilezza nei miei confronti. Inoltre<br />

mi dispiaceva di aver cercato di derubare una<br />

persona tanto buona.<br />

<strong>La</strong> donna mi prese per mano mentre singhiozzavo<br />

e mi chiese:<br />

«Posso sapere come ti chiami»<br />

«Non ce l’ho un nome. Mi chiamano «cane» o<br />

«ladro».<br />

«Allora ti chiamerò Albert, come il mio povero<br />

papà. Io sono Hilde».<br />

Poi mi domandò di raccontarle la mia storia. Nel<br />

sentire in che modo avevo vissuto fino ad allora,<br />

pianse. Finito il mio racconto, mi parlò di lei e mi<br />

confessò di essere sola. Non era sposata, non aveva<br />

figli e suo fratello abitava con la sua famiglia in<br />

un castello vicino. Aveva sempre desiderato un figlio<br />

suo, così mi propose di restare a vivere con lei.<br />

All’inizio mi sentivo in colpa perché avevo capito<br />

di aver compiuto sempre cattive azioni, benché ne<br />

fossi costretto. D’altra parte ero poco più che un<br />

bambino e desideravo che qualcuno si prendesse<br />

cura di me. Così accettai e la resi felice. Anch’io<br />

ero felice! Le promisi che avrei lavorato sodo e che<br />

l’avrei aiutata nelle faccende. Hilde, al colmo <strong>della</strong><br />

gioia, chiamò in casa i fattori per dar loro la buona<br />

notizia. Versò del vino nei loro bicchieri e fecero un<br />

brindisi tutti quanti insieme. Sembrava una festa.<br />

Poco dopo Hilde mi lavò, mi diede dei vestiti presi<br />

in prestito da uno dei suoi lavoranti e mi portò nel<br />

cortile <strong>della</strong> fattoria. Lì cominciò ad insegnarmi un<br />

sacco di cose. Mi permise di dar da mangiare agli<br />

animali e mi fece prendere l’acqua dal pozzo. <strong>La</strong><br />

giornata procedeva al meglio e ben presto venne<br />

il tramonto. Il vento soffiò di nuovo, portando lo<br />

stesso suono di quella mattina. «Don, don, don...».<br />

Così decisi di chiedere ad Hilde di cosa si trattasse:<br />

«Che cos’è questo suono e da dove proviene»<br />

Lei sorrise e rispose:<br />

«È il suono di una campana e proviene dalla casa<br />

del Signore. Si trova sulla <strong>montagna</strong>, - mi indicò<br />

la vetta <strong>della</strong> <strong>montagna</strong> lì vicina - quando il vento<br />

porta questo suono alle case, significa che il Signore<br />

chiama i Suoi figli sul monte perché vengano alla<br />

Sua casa».<br />

Non avevo mai sentito nulla del genere, ma sorrisi<br />

perché mi sembrava qualcosa di bello:<br />

«Ah, allora è la <strong>voce</strong> del Signore <strong>della</strong> <strong>montagna</strong>!»<br />

«Proprio così» confermò, accarezzandomi la testa.<br />

58 59


Avrei sentito quella <strong>voce</strong> ogni giorno, all’alba e al<br />

tramonto, e mi scaldava il cuore. Ero convinto che,<br />

se quella volta il suono non mi avesse spaventato,<br />

non avrei mai incontrato la mia benefattrice.<br />

I giorni passavano in letizia, ormai avevo imparato<br />

molto, perfino a leggere e a scrivere un po’,<br />

finché purtroppo tutto cambiò. Venne l’inverno e<br />

Hilde si ammalò. Era venuto perfino il dottore dal<br />

villaggio per visitarla, ma non ci fu nulla da fare.<br />

Morì in una gelida notte di gennaio, con grande<br />

dispiacere di tutti, ed io rimasi con lei fino alla fine.<br />

Per me era stata come una madre, nonostante ci<br />

conoscessimo da pochi mesi. Era tutto il mio mondo<br />

e in un attimo è svanita. Soffrii moltissimo, mi<br />

sembrava di impazzire. Uno dei fattori cercò di<br />

consolarmi, dicendo che il Signore l’aveva chiamata<br />

a sé. Ciò invece non fece che intristirmi ancora<br />

di più. Non appena mi capitò di sentire il suono<br />

<strong>della</strong> campana, gridai verso il monte con rabbia:<br />

«Fai silenzio, Signore <strong>della</strong> <strong>montagna</strong>! Perché<br />

l’hai portata via Sei malvagio! Era la persona più<br />

buona del mondo!» Poi piansi amaramente.<br />

Il peggio avvenne soltanto alcuni giorni dopo,<br />

quando arrivò il fratello di Hilde per prendere possesso<br />

<strong>della</strong> proprietà. Era un uomo alto e imponente,<br />

vestito di nero e un’espressione corrucciata<br />

in volto. Non sembrava affatto dispiaciuto per la<br />

morte <strong>della</strong> sorella, pensava solo al denaro. Tut-<br />

ti i fattori restarono alla fattoria a lavorare per il<br />

nuovo padrone, ma io no. Il padrone mi prese con<br />

sé e mi portò al suo castello. Disse che gli serviva<br />

uno sguattero in cucina. Al castello venni trattato<br />

di nuovo al pari di una bestia, ma io cercavo di<br />

resistere. Anche da lì si sentiva la <strong>voce</strong> provenire<br />

dalla <strong>montagna</strong> e ogni volta mi fermavo ad ascoltarla.<br />

Ripensavo ai giorni felici passati con Hilde e<br />

mi sembrava di averla ancora vicina. <strong>La</strong> rabbia nei<br />

confronti del «Signore <strong>della</strong> <strong>montagna</strong>» era svanita<br />

e la sua <strong>voce</strong> era il mio unico conforto. Qualche<br />

mese dopo il padrone cominciò a notare che sparivano<br />

alcuni oggetti di valore dal castello e richiamò<br />

tutta la servitù. Minacciò di gettare in cella il colpevole,<br />

qualora si fosse scoperto. Io ero al servizio<br />

del cuoco, lavavo i piatti e el stoviglie, ma non<br />

avevo più rubato nulla, da quando Hilde mi aveva<br />

insegnato che rubare è sbagliato. Nonostante ciò, i<br />

sospetti ricaddero su di me. Il padrone non ascoltava<br />

le mie parole, non mi credeva quando negavo di<br />

aver compiuto il furto. Diceva di non potermi mettere<br />

in cella per mancanza di prove, ma era sicuro<br />

che prima o poi ne avrebbe trovate. Allora decisi<br />

di fuggire alla prima occasione. Una sera cercai di<br />

scappare di soppiatto dalla porta di servizio, ma il<br />

cuoco capì il mio proposito e mi sorprese. Questa<br />

mia azione, lo ammetto, fu sconsiderata perché<br />

sembrò confermare i sospetti del padrone. A nulla<br />

60 61


infatti valsero le mie giustificazioni. Così mi gettarono<br />

in quella cella buia da cui potevo scorgere<br />

qualche raggio di sole e, con un po’ di fortuna,<br />

sentire la campana. Mi tennero a pane e acqua per<br />

parecchi giorni ed io mi aggrappavo alla speranza<br />

che il Signore <strong>della</strong> <strong>montagna</strong> mi chiamasse, come<br />

aveva fatto con Hilde.<br />

«Don, don, don...»<br />

Ero ancora in piedi, da solo nella mia cella, ad<br />

ascoltare la campana e a sperare in un miracolo.<br />

Subito dopo arrivò una delle guardie, aprì la porta<br />

<strong>della</strong> cella e, con mia grande sorpresa, mi disse che<br />

ero libero. Avevano infatti trovato il vero colpevole,<br />

il cuoco, e l’avrebbero messo lì a marcire al mi posto.<br />

<strong>La</strong> guardia aggiunse che dovevo subito tornare<br />

al lavoro. Io però non ero affatto d’accordo. Mentre<br />

mi stava scortando al mio posto in cucina, mi<br />

scagliai verso uno dei portoni del castello. Riuscii a<br />

fuggire grazie alla mia passata esperienza di ladruncolo.<br />

Mi nascosi in un cespuglio finché non vidi le<br />

guardie, stanche di inseguirmi, che se ne andarono.<br />

Poi mi misi a camminare per un po’ e arrivai ad un<br />

laghetto vicino. Nelle sue acque limpide si rifletteva<br />

la vetta <strong>della</strong> <strong>montagna</strong> del Signore. Mentre la contemplavo,<br />

pensai che non avevo alcun posto dove<br />

andare. Ero solo e per di più nessuno al villaggio<br />

mi avrebbe dato un lavoro onesto, dopo tutto ciò<br />

che avevo fatto in passato. Sapevo di essere cam-<br />

biato, ma chi mi avrebbe mai creduto<br />

Soffiò il vento e con lui arrivò di nuovo la solita<br />

<strong>voce</strong>. Stavolta la sentivo chiaramente, era come se<br />

stesse chiamando proprio me. Da sempre ero incuriosito<br />

da quel monte e dalla «casa del Signore»,<br />

di cui Hilde mi parlava spesso. Tante volte avevo<br />

immaginato di vederla di persona. Così decisi che<br />

quella sarebbe stata la mia prossima meta. Sapevo<br />

che non sarebbe stato semplice arrivare fin là, ma ci<br />

avrei comunque provato. Ormai non avevo niente<br />

da perdere.<br />

Mi misi in viaggio e potei ammirare tutte le bellezze<br />

di quella <strong>montagna</strong>: i ruscelli, le cascate, i laghetti,<br />

ogni sorta di animali, gli splendidi alberi secolari.<br />

Assaporavo con gioia i frutti <strong>della</strong> terra e mi<br />

inebriavo con i profumi del bosco. Mi sembrava di<br />

essere in un mondo fatato. Dopo molte ore di cammino,<br />

arrivai nei pressi <strong>della</strong> vetta. Era una zona<br />

non molto scoscesa, anzi era quasi pianeggiante.<br />

Là in mezzo si trovava un edificio in mattoncini<br />

marroni con un tetto spiovente e, su un lato, un’alta<br />

torre. Al suo interno si trovava quella che doveva<br />

essere l’enorme campana che sentivo ogni giorno.<br />

Mi avvicinai con circospezione e rimasi affascinato<br />

da quel luogo, in cui sembrava tutto calmo e perfetto.<br />

Capii subito che si trattava <strong>della</strong> «casa del Signore»<br />

di cui avevo tanto sentito parlare. Ero felice, mi<br />

62 63


commossi, ero arrivato a destinazione. In quel momento<br />

dalla porticina sul lato dell’edificio uscì un<br />

uomo piuttosto anziano. Era scalzo, magro e alto,<br />

calvo, con una tunica marrone legata in vita da una<br />

corda. Subito si accorse di me e si avvicinò:<br />

«Benvenuto alla nostra chiesa, fratello. Se la pace<br />

è ciò che cerchi, sei nel posto giusto.»<br />

Lì infatti trovai la pace. Quella chiesa divenne<br />

la mia nuova casa. Diventai ben presto l’aiutante<br />

di frate Karol, colui che mi aveva così gentilmente<br />

salutato. Ogni giorno con felicità pregavo, ringraziando<br />

Dio per avermi fatto incontrare coloro che<br />

mi hanno amato come un figlio, il frate e la defunta<br />

Hilde. Questa è la storia di come mi sono messo<br />

al servizio del Signore che, con la sua <strong>voce</strong>, mi ha<br />

chiamato sulla Sua <strong>montagna</strong>. Grazie a lui mi sono<br />

salvato e ho scoperto il vero scopo per cui sono<br />

venuto al mondo.<br />

Monia Gambirasi<br />

<strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />

<strong>La</strong> luna filtrava a malapena tra i rami intrecciati<br />

<strong>della</strong> pineta. Alberi altissimi si protendevano verso<br />

il cielo fresco e stellato. Una notte meravigliosa. Il<br />

cielo terso era punteggiato da miliardi di minuscole<br />

luci. In mezzo una luna tonda, bianca e splendente<br />

illuminava la <strong>montagna</strong>.<br />

Equinozio d’autunno.<br />

Leo si muoveva cauto nel bosco, con l’orecchio<br />

teso, attento ad ogni minimo fruscio, cercando di<br />

mimetizzarsi tra la fitta vegetazione. Lo avevano<br />

quasi raggiunto.<br />

Conosceva quei posti come le sue tasche, vi era<br />

nato e cresciuto tra quelle montagne. E sapeva di<br />

avere una via d’uscita.<br />

Da ragazzino, insieme agli amici, aveva giocato<br />

e percorso in lungo e in largo tutta la zona circostante.<br />

Nel primo giorno d’autunno del 1920, a dieci<br />

anni, avevano scoperto un grande giardino in cui,<br />

nella loro fantasia di fanciulli, credevano nessuno<br />

avesse mai messo piede. Era situato in un luogo<br />

imprecisato di quella <strong>montagna</strong>. L’avevano scoperto<br />

per caso. Roberto, infatti, era ruzzolato in un<br />

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piccolo dirupo scivolando su una roccia viscida,<br />

bagnata di rugiada. Era rovinosamente piombato<br />

in un cespuglio di rovi in fondo al dirupo. Lo avevano<br />

raggiunto con il cuore in gola gli amici. Lo<br />

credevano morto. Invece, sorridente come sempre<br />

aveva mostrato loro la sua meravigliosa scoperta.<br />

Lo avevano battezzato «Il Paradiso». Ed, in effetti,<br />

era un piccolo pezzo di paradiso sulla terra.<br />

Un immenso giardino di erba fresca e morbida,<br />

di un intenso color verde smeraldo, aperto su uno<br />

squarcio di <strong>montagna</strong> da cui filtravano i caldi raggi<br />

del sole di quel pomeriggio di fine settembre. E<br />

tutto attorno rovi colmi di succosi frutti di bosco.<br />

E poi fiori dappertutto, di ogni genere e colore, una<br />

tavolozza di tinture naturali su un quadro d’autore.<br />

Leo, Roberto, Carlo, Franco e Giuseppe, colmi<br />

di stupore, si erano avventurati in quel lembo di<br />

terra e, dopo aver constatato che non vi era alcun<br />

recinto ed alcun divieto di accesso, si erano rotolati<br />

nell’erba tra le viole, ebbri di gioia, sicuri di aver<br />

trovato il loro tesoro. Quel giorno avevano giocato<br />

come mai prima d’allora, si erano sentiti uniti più<br />

che mai ed avevano suggellato un patto: non avrebbero<br />

mai svelato, per nessun motivo, l’esistenza di<br />

quel luogo segreto e meraviglioso. <strong>La</strong> sera erano<br />

tornati a casa con il mal di pancia e le bocche nere,<br />

sporche di more, e con i cestini <strong>della</strong> merenda colmi<br />

di frutti di bosco e le loro mamme li avevano messi<br />

in castigo, preoccupate, perché li avevano cercati<br />

ovunque senza trovarli. Eppure loro erano felici,<br />

custodi di un segreto che mai avrebbero svelato.<br />

Felici all’idea di avere un luogo bellissimo, tutto per<br />

loro, dove, non appena finito il castigo, sarebbero<br />

tornati.<br />

Avevano trascorso lassù i migliori anni <strong>della</strong> loro<br />

vita.<br />

Poi ognuno aveva preso la sua strada e si erano<br />

dimenticati, con il passare degli anni, di quel luogo<br />

tanto amato. Roberto si era trasferito in città,<br />

aveva aperto un negozio di stoffe ed aveva messo<br />

su famiglia, Giuseppe era rinchiuso in carcere per<br />

aver tentato, maldestramente, una rapina in banca,<br />

Carlo era impazzito dopo la morte <strong>della</strong> sorella per<br />

una rara malattia ed era stato rinchiuso in manicomio,<br />

Franco era diventato il Sindaco, corrotto, di<br />

un grosso paese nelle vicinanze e Leo aveva intrapreso<br />

la carriera militare. Non si erano più rivisti<br />

da allora.<br />

Equinozio d’autunno. L’autunno del 1944.<br />

Sorrideva Leo, nascosto tra i cespugli, ricordando<br />

il suo passato. E gli venne l’idea di cercare quel<br />

luogo, vedere se fosse rimasto uguale ad allora. Sapeva<br />

che trovatolo avrebbe avuto un riparo sicuro<br />

e nessuno lo avrebbe mai scovato. Sapeva anche<br />

che loro non avrebbero mollato la presa, sapeva<br />

66 67


che lo avrebbero cercato finché lo avessero trovato.<br />

Sapeva che lo avrebbero ucciso.<br />

Si era arrampicato su per le rocce scivolose e per<br />

un attimo era tornato il ragazzino di allora. E con<br />

grande agilità si era lanciato nel vuoto, come aveva<br />

fatto un’infinità di volte con i suoi amici.<br />

Un breve volo, alcuni metri soltanto ed era piombato<br />

sul pagliericcio.<br />

Incredibile. Dopo più di vent’anni quel morbido<br />

punto d’atterraggio era ancora al suo posto.<br />

Quante volte ci si erano tuffati per arrivare al<br />

«Paradiso».<br />

Si era rialzato, coperto di spighe e di paglia ed,<br />

esterrefatto, aveva ammirato per interminabili minuti<br />

quel luogo magico, illuminato da una candida<br />

luna piena.<br />

Qui si sentiva al sicuro, come a casa sua. Qui nessuno<br />

poteva trovarlo. Era in salvo. Le voci minacciose<br />

dei tedeschi echeggiavano sopra di lui ma Leo<br />

sembrava non sentirle, rapito dalla bellezza di quel<br />

luogo meraviglioso. Si era sdraiato a pancia in su<br />

in mezzo al prato per osservare meglio quella luna,<br />

tanto luminosa e le stelle che da quel punto sembravano<br />

vicinissime.<br />

Aveva poi chiuso gli occhi. Gli sembrava di essere<br />

tornato bambino, di sentire le voci dei suoi amici<br />

che lo chiamavano a giocare.<br />

Intanto i tedeschi si avvicinavano sempre più,<br />

accompagnati dagli immancabili cani pastori che<br />

annusavano, come drogati, il terreno e tiravano i<br />

guinzagli per portare i militari sulle tracce di Leo.<br />

Ma Leo era sicuro che le voci che lui udiva non<br />

erano quelle dei tedeschi, parevano più appartenere<br />

a bambini. Lontani bisbigli.<br />

Si era alzato di scatto ed aveva seguito il cicalio<br />

proveniente da un angolo del «Paradiso», nascosto<br />

da cespugli di more. Si era avvicinato piano ed aveva<br />

scostato i rami spinosi con estrema curiosità.<br />

Due bimbetti di circa 10 anni stavano confabulando<br />

tra loro. Quando lo avevano scorto, impauriti,<br />

si erano rannicchiati al buio. Con la luce <strong>della</strong> luna<br />

alle spalle Leo era un’ombra nera che minacciava<br />

la loro incolumità. Stavano per gridare. Leo cercò<br />

di calmarli e alla fine vi riuscì. Erano due fratellini<br />

scappati da casa un paio di giorni prima. Avevano<br />

camminato e giocato nel bosco e poi avevano<br />

perso l’orientamento. Uno di loro era caduto in un<br />

dirupo ed era finito nel «Paradiso». Avevano udito<br />

le voci dei tedeschi avvicinarsi e si erano nascosti<br />

dentro al cespuglio e quando Leo li aveva trovati<br />

credevano li volesse fucilare.<br />

Rimasero tutta la notte a vegliare, chiacchierando<br />

e raccontandosi.<br />

I tedeschi non li trovarono, erano passati sopra<br />

di loro centinaia di volte senza esito. Ed alla fine<br />

avevano ceduto, all’alba, e si erano allontanati sicuri<br />

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di aver fatto il possibile per trovare il fuggiasco.<br />

I bambini, accompagnati da Leo, tornarono<br />

a casa felici e con un segreto nel cuore: avevano<br />

stretto un patto con il nuovo amico, mai avrebbero<br />

svelato l’esistenza di quel luogo misterioso.<br />

E Leo, richiamato da un senso di impagabile riconoscenza<br />

verso quella <strong>montagna</strong> che lo aveva<br />

salvato dalle minacce naziste chiamandolo a sé in<br />

quell’angolo di paradiso, decise di stabilirvisi per<br />

sempre.<br />

Da allora più nessuno lo rivide.<br />

Si dice che il suo spirito aleggi ancora da quelle<br />

parti e che solo la notte dell’equinozio d’autunno<br />

esca, per aggirarsi nel bosco attraverso la sua ombra,<br />

illuminata dal bagliore <strong>della</strong> luna piena.<br />

Mio nonno Paolo e lo zio, suo fratello, mi raccontavano<br />

spesso questa storia da bambina. Ho<br />

chiesto più volte dove si trovasse quel luogo magico<br />

ma dai loro racconti non si è mai capito bene,<br />

fingevano di non ricordare l’esatta ubicazione del<br />

«Paradiso». E alla fine del racconto si guardavano e<br />

sorridevano complici.<br />

Lucia Gazzoli<br />

<strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />

Arrivata! È dall’alba che cammino, anzi, no, c’erano<br />

ancora le stelle: praticamente notte.<br />

Però adesso ho raggiunto la meta proprio mentre<br />

il sole inizia a sorgere. <strong>La</strong> luce si irradia dapprima<br />

verso l’alto giocando con le guglie più alte del<br />

ghiacciaio e creando fasci di luce e giochi d’ombre,<br />

poi prorompe verso di me, inondandomi di luce. Il<br />

paesaggio intorno cambia e tutto sembra più vivo.<br />

Le mie montagne! Conosco tutto di questi posti,<br />

perfino i nomi dei sassi, come dicono i miei amici<br />

e mi sembra di sentire nel loro tono di <strong>voce</strong> un filo<br />

di invidia e di incredulità. È vero però, conosco<br />

davvero nel profondo le mie montagne, mi sento<br />

parte di loro, in armonia con loro.<br />

Da quassù lo sguardo spazia verso vette ancora<br />

più alte, verso ghiacciai che si sciolgono in morene<br />

brillanti di granito, verso piccole valli racchiuse,<br />

verso il cielo quasi bianco che pian piano si tinge<br />

di turchese. Che silenzio! Il solito frastuono di fondovalle<br />

non c’è e quasi non mi rendo conto che<br />

qualche rumore c’è anche qui. Ma non sono rumori,<br />

sono suoni che diventano armonie. Si sente<br />

l’aquila che caccia planando verso un pianoro ed il<br />

suo grido richiama un piccolo aquilotto che la se-<br />

70 71


gue con volo incerto; si sentono le marmotte che<br />

si mettono in allarme e si riparano nelle tane; si<br />

sente il vento che sibila tra le guglie; si sente l’acqua<br />

che si raccoglie in piccoli ruscelli impetuosi e corre<br />

verso valle ed infine mi sento io. Sento il mio cuore<br />

che batte, il mio respiro, i miei pensieri. È una sensazione<br />

strana, piacevole ed emozionante. Il mio<br />

sguardo si perde fino all’orizzonte e nello stesso<br />

tempo non vedo nulla, mi sento leggera, quasi evanescente,<br />

come la nebbia che col sole si scioglie ed<br />

evapora. Tutti i suoni <strong>della</strong> natura entrano nel mio<br />

corpo e mi sembra quasi che il mio respiro sia in<br />

armonia col vento e che i battiti del mio cuore segnino<br />

il passare dei minuti, del tempo. Mi diventa<br />

difficile spiegare, perché mi sento parte di quello<br />

che mi circonda, <strong>della</strong> vita, del mondo. Ecco, forse<br />

farei meglio a dire che mi sento un tutt’uno con la<br />

<strong>montagna</strong>.<br />

Che sia questo il fascino che ho sempre subito e<br />

che da sempre mi fa fare alzatacce notturne, faticose<br />

salite, camminate sotto il sole cocente o su sentieri<br />

frustati dal vento gelido del ghiacciaio Che sia<br />

per questo che quando sono quassù mi sento bene,<br />

semplicemente bene e non esiste nessuna fatica e<br />

qualsiasi sforzo è nullo di fronte al risultato E non<br />

è poco, anzi! Solo qui mi sento a casa, nel posto<br />

giusto. E solo qui riesco a sentire fino in fondo il<br />

palpito <strong>della</strong> vita, a capire la vita.<br />

Mauro Giudici<br />

<strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />

Un bacio. Sono qui per un bacio. Qualcosa mi ha<br />

spinto qui, qualcosa che è celato in me da anni, da<br />

un’eternità. Il bacio mai avuto. Una scheggia mancante,<br />

qui, nel cuore. Il bacio di una madre, il regalo<br />

più grande. Un bacio che apre la porta ai sogni, un<br />

bacio che mi ha precipitato all’inferno.<br />

Avevo solo 7 anni e due genitori stupendi, vivaci<br />

e sempre sorridenti. Un padre e una madre che<br />

hanno segnato i ricordi di bambino, quelli indelebili,<br />

colorati e puri, quelli che nel corso <strong>della</strong> vita<br />

assumono contorni, toni morbidi, caldi, quelli dei<br />

nostri sogni.<br />

Due genitori-ragazzi che mi hanno assecondato<br />

in giochi e passioni, senza l’assillo <strong>della</strong> competizione<br />

ma il gusto di fare tutto al meglio, di farlo<br />

con altri.<br />

Ma il sogno si è interrotto, brutale e improvviso.<br />

Un’estate. <strong>La</strong> decisione di affrontare una nuova avventura,<br />

un mondo adulto lontano da me, solo per<br />

loro. Appassionati di <strong>montagna</strong> fin da bambini, si<br />

erano incontrati a una gita impegnativa, una delle<br />

loro prime ferrate, un legame che si sarebbe rafforzato<br />

con l’esperienza, la passione per quegli ambienti,<br />

la rarefazione dell’aria e il rispetto per questi<br />

72 73


giganti naturali. O, forse, perché era il mondo idealizzato,<br />

un mondo dove c’erano solo loro due. Fino<br />

a trasformarsi in esperti scalatori, ad affrontare sfide<br />

più impegnative, a cercare con lo sguardo oltre<br />

l’orizzonte, la <strong>montagna</strong> più bella. L’eterna fiamma<br />

che spinge a cercare qualcosa, a cercarlo per sempre.<br />

Una partenza pianificata da mesi, nei particolari,<br />

ma che venne notata con disattenzione dai miei occhi<br />

di bambino. I giochi, gli amici mi distraevano, il<br />

tempo era cosa preziosa da dedicare ai giochi estivi,<br />

alla frenesia continua di non perdersi nulla. Inutile,<br />

ora.<br />

Il momento dei saluti, la sufficienza distratta del<br />

bambino che deve correre via, baci veloci e frettolosi<br />

come tanti altri. Gli ultimi.<br />

<strong>La</strong> mia vita che proseguiva felice nell’estate con i<br />

nonni, la mia vita futura che si sgretolava da un’altra<br />

parte del mondo.<br />

Non tornarono. Non li trovarono più, sorpresi<br />

forse da condizioni terribili di tempo, da un piede<br />

in fallo, da un errato passaggio... dalla volontà<br />

estrema di aiutarsi<br />

Non lo so. Nessuna risposta me li riporterà indietro,<br />

nessuna soddisferà il mio dolore, nessuna<br />

prosciugherà il lago nero che ho dentro. Un freddo<br />

lago nero. Acque tranquille ma infide, profonde<br />

come la notte.<br />

Ora ho quarantadue anni. <strong>La</strong> mia vita con i nonni<br />

ha avuto un decorso lieto, quasi perfetto.<br />

Non mi è mancato nulla; scuole, divertimento,<br />

interessi. Ho seguito la passione del sangue, quel<br />

moto inconscio che si ha dentro, frutto di educazione,<br />

di passioni nascoste, di quel luccicchio che<br />

ci spinge a seguire non visti le orme dei padri. Ho<br />

passione per la <strong>montagna</strong> in mille sfaccettature diverse,<br />

a seconda dell’umore. Umore che mi pianifica<br />

il comportamento, che mi condiziona la strada<br />

da percorrere, la scelta delle difficoltà. Giro attorno<br />

a essa, la <strong>montagna</strong>, a più d’una, cogliendone le<br />

sfumature, la bellezza; cibandomi a piccoli bocconi<br />

di luoghi delicati e setosi, pervasi da profumi indefinibili<br />

e intensi, oppure di paesaggi aspri e ventosi,<br />

monumentali testimoni di tempi sconosciuti, di ere<br />

passate.<br />

Chissà come, mi è entrata dentro. <strong>La</strong> sento in me<br />

anche se quando trovo il momento giusto - quella<br />

cengia di roccia esposta ai venti o lo sterminato<br />

ghiaione alla base delle cime - dove mi devo fermare,<br />

devo guardare oltre, devo misurare e cogliere lo<br />

spazio, la sensazione di enorme potenza immobile<br />

e delicata e il tempo fermo a millenni indietro mi<br />

tolgono il fiato. E smetto di respirare. Un inconscio<br />

rispetto verso tutto quello che possa turbare<br />

il suono <strong>della</strong> natura. Rumori diversi che, forse,<br />

solo poche orecchie hanno potuto ascoltare, po-<br />

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che hanno avuto la capacità di trasmetterli al cuore.<br />

Luoghi che si pensa di guardare e assorbire, luoghi<br />

sfuggenti per la loro immensità, per la visione di<br />

spazi fuori dalla nostra portata, spazi che esaltano<br />

l’emozione, spazi che mi riportano alla realtà<br />

del mio animo. Solo. Sono solo. Mi sento piccolo<br />

e inerme e mi sembra di regredire a momenti di<br />

calore familiare, alla ricerca di un nido protetto. Gli<br />

intimi desideri diventano fiumi caldi, in piena, che<br />

risalgono lo stomaco fino alla mente. Solo con le<br />

mie lacrime calde, disperate, che vorrebbero essere<br />

liberatorie, ma i fiumi che le alimentano attraversano<br />

anni di intemperie fino a trasformarsi in infiniti<br />

corsi d’acqua difficilmente aridi. Ora posso farmi<br />

cogliere dalla disperazione, qui con loro, uniche testimoni<br />

<strong>della</strong> mia esistenza, queste cime.<br />

Il tempo ha rallentato quasi del tutto. Forse il dolore<br />

è così, occupa uno spazio tutto suo, una bolla<br />

nel tempo dove è concessa intimità, rispetto. Ma è<br />

una forma di illusione, il desiderio sarebbe questo.<br />

Ho scelto. Non è un caso che mi trovi qui, non è<br />

la voglia di una nuova piccola sfida. Ho pianificato<br />

tutto a mente lucida e disperata. Voglio che finisca<br />

qui. In questo pomeriggio di novembre, freddo,<br />

opportunamente deserto. Nulla di quello che indosso,<br />

che ho portato con me, potrebbe resistere<br />

al logorio del tempo; voglio che questi luoghi non<br />

soffrano per troppo tempo <strong>della</strong> mia presenza im-<br />

mobile, che rimangano incontaminati nel tempo,<br />

come se nulla fosse successo, come se nulla fosse<br />

stato.<br />

Respiro a lungo quest’aria ubriacante, un fluido<br />

vitale che trova rifugio quassù, privilegio per pochi;<br />

aria che porta con se sentori di neve, l’approssimarsi<br />

di uno dei tanti inverni. Un posto scelto<br />

con cura. <strong>La</strong> lingua estrema di un ghiacciaio tra due<br />

cime rocciose, scomodo ed esposto, mi farà da dimora;<br />

sarà il mio balcone sul mondo. Il mondo degli<br />

altri, quello che non ho mai sentito mio.<br />

Fa già molto freddo, la luce azzurrata sta rendendo<br />

irreale tutto ciò che ho intorno. Sto diventando<br />

parte di una cartolina sbiadita, i colori non sono<br />

altro che macchie chiare e scure. Sto entrando a<br />

grandi passi nella notte. Una notte di sogni. Una<br />

notte con il respiro del vento, con il respiro <strong>della</strong><br />

motagna.<br />

Mi adagio lento sulla neve incontaminata, raccolto<br />

su me stesso nell’istinto di raccogliere forze e<br />

calore, una lotta flebile contro gli elementi che voglio<br />

incontrare, ai quali non voglio resistere; sento<br />

il gelo entrarmi dentro, tra i tessuti leggeri e giù nel<br />

profondo a congelarmi l’anima, ma non devo resistere,<br />

devo superare anche la forza del mio corpo,<br />

voglio essere travolto da questo fiume. Tremo.<br />

Arrivano. I sogni arrivano in punta di piedi, distolgono<br />

la mente dal freddo, piccoli lampi di luce<br />

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che portano ricordi non miei, portano visi di persone<br />

che furono, echi di battaglie crudeli e oscure<br />

tra queste montagne, rivelano sofferenze e dolori,<br />

lontananze forzate di uomini chini nell’oscurità, nel<br />

silenzio metallico di lunghe nottate di veglia, di attese<br />

snervanti, del desiderio comune di fuochi lontani,<br />

di una lettera, una carezza, una famiglia, <strong>della</strong><br />

vita e di un’altra luce, il sogno dell’alba perfetta,<br />

<strong>della</strong> lama gialla e sottile che si allarga sull’orizzonte<br />

formato da nuvole lontane, da mondi addormentati.<br />

Un panno invisibile che sfiora le cime e scende<br />

verso me inseguendo l’azzurro <strong>della</strong> notte, trascinando<br />

con sé innumerevoli ciottoli dorati.<br />

Le mani di un bambino tese a una <strong>voce</strong> amica,<br />

una corsa con il cuore in gola verso lei, verso<br />

quell’immagine sbiadita; una fatica enorme, come<br />

correre contro vento, le gambe pesanti, impedite<br />

nei movimenti da forze invisibili. Una meta impossibile<br />

da raggiungere, sempre oltre quei pochi<br />

passi, e un urlo dell’anima, parole trasportate dalle<br />

lacrime, la voglia di tornare indietro nel tempo, di<br />

chiedere perdono, di ritrovarsi e non lasciare mai<br />

quelle mani. Sogni. Una casa abbandonata nei boschi,<br />

l’avventura di un ragazzino, il coraggio di affrontare<br />

un luogo misterioso e oscuro, un luogo<br />

che fu storia, che fu testimonianza di esistenze. Al<br />

suo interno, ruderi e stanze abbandonate, rumori<br />

allarmanti e un suono di fondo, il suono del cuore<br />

nel petto, dell’emozione e l’angoscia. Una cantina<br />

buia, il limite naturale del timore, una spinta irresistibile<br />

ad arrivare sulla soglia e il dubbio, la scelta:<br />

ombra o luce, farsi inghiottire o respirare aria pura<br />

Sogni.<br />

Sto andando. Le forze non sono più mie. Non<br />

percepisco il mio corpo. Sono un piccolo sasso di<br />

questa <strong>montagna</strong>, sono parte di lei, sono il vento,<br />

sono pronto; la mia mente libera cerca ancora quei<br />

sogni, cerca le parole giuste per continuare a girare<br />

le pagine, per vedere dietro al prossimo angolo alla<br />

ricerca di ciò che ho perduto.<br />

Inutile. <strong>La</strong> mia vera meta è non avere più sogni.<br />

<strong>La</strong> neve. Una donna silenziosa e annunciata dal<br />

sommesso crepitio dei suoi fiocchi invisibili, il gelo<br />

che mostra il suo lato più romatico e candido. <strong>La</strong><br />

coltre del mio ultimo letto, fredde dita sui miei occhi.<br />

Il sonno. Per sempre.<br />

Io...<br />

Ancora sogni.<br />

Un uomo nudo in un guscio d’uovo, un ambiente<br />

bianco e lattiginoso, le membra chiuse su se stesse<br />

a proteggere un debole fuoco, il calore del cuore,<br />

la sopravvivenza dell’anima. Il grido di un neonato<br />

là fuori nella luce intensa dove si muovono ombre<br />

appena accennate.<br />

Una mano intorpidita dall’acqua di una fonte,<br />

78 79


una pozza d’acqua metallo, brividi intensi alla ricerca<br />

del calore a protezione del corpo, nella trepida<br />

attesa di un alito di vento tiepido, in attesa di... un<br />

respiro!<br />

Aria e dolore. Aria che spinge sui polmoni, ardente<br />

di occupare spazi vuoti, di riportare la vita e<br />

il colore, il dolore. Un sussulto improvviso del cuore,<br />

calore intenso nella testa e fiamme ustionanti<br />

nella gola. Un secondo respiro, un terzo. <strong>La</strong> voglia<br />

di gridare che rimane nell’aria, ridotta alla sola volontà,<br />

a un suono inesistente.<br />

Luce che entra nella mia mente come in una<br />

stanza scura, un mattino d’estate. Pochi elementi<br />

dai contorni imprecisi, forze ovattate dall’oblio,<br />

ovattate dall’immobilità del tempo.<br />

Sogni<br />

I miei occhi. <strong>La</strong> luce mi entra negli occhi. Una<br />

luce che non mi aspettavo. Luce che infonde vita<br />

pulsante ovunque, nel mondo, in me. Luce che<br />

mi riporta alla realtà - alla mia presenza immobile<br />

ed esausta, alla sofferenza causata dalle membra<br />

bloccate dal gelo, dai tremori sempre più intensi e<br />

scomposti - e alla cocente delusione.<br />

Riesco, dopo mille piccoli tentativi, a rialzarmi,<br />

a mettermi seduto; un piccolo uomo scuro su un<br />

grande pendio immacolato e illuminato da pallidi<br />

raggi di sole. Un ambiente accecante messo lì a<br />

sottolineare la prorompente forza <strong>della</strong> natura, un<br />

delicato paesaggio posto a contrasto degli elementi<br />

che l’hanno creato.<br />

Ho fallito e piango.<br />

Questa volta sono lacrime di rabbia, di incredulità.<br />

L’orlo del pozzo si è allontanato dalla punta dei<br />

miei piedi, il nero del buco senza fondo ha lasciato<br />

spazio a una distesa bianca e candida, una strada<br />

nuova, nata dal buio. Una strada che aspetta nuove<br />

impronte, nuovi passi. I miei.<br />

Capisco. Un’idea nuova si fa spazio nella mia<br />

mente. Collego i punti di una vita passata, di una<br />

vita che volevo cancellare e scopro che sono giunto<br />

alla fine del mio viaggio, che ne inizierò uno nuovo.<br />

Cercavo le tracce di un bacio non dato, me ne andrò<br />

con un tesoro più grande, invisibile a tutti ma<br />

non a me: ho ricevuto di più, un abbraccio mi ha<br />

protetto dalla volontà distruttiva, un abbraccio voluto<br />

o simbolico non importa. <strong>La</strong> <strong>montagna</strong> mi ha<br />

accettato e protetto, come le braccia di una madre<br />

immensa, come colei che ho perso qui.<br />

<strong>La</strong> madre che ho ritrovato. Mi aspettava.<br />

80 81


Stefano Malosso<br />

Il bambino che camminò verso<br />

nord<br />

Accadde nel mezzo di una breve uscita con il padre,<br />

proprio lungo un piccolo monte che sorgeva<br />

dietro la casa paterna. Era solo un bambino, tuttavia<br />

se lo poteva ricordare. A pensarci bene, non avrebbe<br />

potuto avere ricordi del giorno <strong>della</strong> sua nascita,<br />

dei suoi primi passi, dell’attesa febbrile <strong>della</strong> fata<br />

dei denti; ma la forma <strong>della</strong> dorsale di quel monte<br />

gli sembrava così simile a quella del filo intrecciato<br />

che dentro lo scatolone chiamato Televisione alcuni<br />

signori vestiti con camici bianchi usavano definire<br />

«filo genetico». Quel giorno, ormai così lontano,<br />

aveva scoperto l’aria gelida dell’alta quota, le<br />

forme e i colori di una vegetazione così diversa da<br />

quella che conosceva, il sudore <strong>della</strong> camminata. E<br />

proprio quel sudore ricordava con particolare intensità;<br />

gli era rimasto attaccato addosso come un<br />

liquido viscoso. Era l’unico liquido amniotico che<br />

poteva ricordare, il suo primo ricordo. Il suo venire<br />

alla luce nel mondo.<br />

Cresceva così, il bambino, osservando dalla finestra<br />

<strong>della</strong> propria camera il crinale del monte senza<br />

nome. Dal letto, quando si coricava la sera, poteva<br />

vedere la sua presenza protettiva e la sua superficie<br />

illuminata dalla luna come un riflettore illumina il<br />

palcoscenico sul quale si sta consumando una storia<br />

irripetibile. Cresceva con il passare degli anni, e<br />

si misurava accanto a un tronco che cresceva nel<br />

bosco sottostante. L’aveva battezzato il Vecchio<br />

Jack, chiamandolo col nome sentito una volta in<br />

radio, un nome che gli era da subito parso polveroso<br />

e saggio proprio come quel vecchio tronco.<br />

Ogni mese una tacca tracciata sulla sua corteccia<br />

rappresentava la sua crescita, fino a formare una<br />

lunga figura verticale che a lui sembrava sempre<br />

più un bizzarro insetto dalle mille zampe, arrampicato<br />

sulla corteccia, immobilizzato nell’intento di<br />

salire fino alla testa del Vecchio Jack. Alcune volte<br />

il Vecchio Jack gli parlava, e lui rispondeva alle sue<br />

curiose domande, con semplicità. Poteva passare<br />

intere giornate a fissare la cima del monte senza<br />

nome, o il Vecchio Jack e il suo millepiedi, e intanto<br />

gli abitanti del piccolo borgo iniziarono a farsi delle<br />

domande su di lui.<br />

«Hai visto anche tu il figlio del buon Zappa Se<br />

ne sta tutto il tempo a bocca aperta a guardare su,<br />

verso la cima del monte.»<br />

«Io lo vedo spesso segnare delle tacche su un<br />

vecchio albero nella proprietà dei Mezzi Ricchi. Poi<br />

le conta, le osserva per ore in silenzio.»<br />

«A volte sembra parlare al vuoto.»<br />

82 83


«A me sembra che parli con l’albero, Dio abbia<br />

pietà di lui.»<br />

«Si racconta sia pazzo, sai.»<br />

«Come il fornaio che impazzì, ricordi»<br />

«Camminava nudo per le vie del centro.»<br />

«Dio abbia pietà di lui. E anche del bambino.»<br />

Il padre, un pover’uomo che lavorava la terra<br />

tutti i giorni, prese a punirlo ogni volta che scendeva<br />

nella proprietà dei Mezzi Ricchi a parlare al<br />

Vecchio Jack. Ciò che si addiceva ad un bambino<br />

<strong>della</strong> sua età era fare i compiti o esercitarsi con il<br />

pallottoliere. Gli era persino concesso di giocare<br />

al pallone nel campetto dell’oratorio con i ragazzi<br />

più grandi. Ma niente da fare, il bambino seguitava<br />

a sedersi con le gambe incrociate al centro del<br />

cortile, o in piazza, o lungo il sentiero che portava<br />

al pozzo dell’acqua, e senza dire niente alzava lo<br />

sguardo verso la cima del monte. Il padre spesso<br />

lo sorprendeva, accerchiato dagli sghignazzi <strong>della</strong><br />

gente del paese, e lo picchiava forte con la cintura<br />

di pelle di asino. Il bambino capì, colpo dopo colpo,<br />

anno dopo anno, che guardare alla cima di quel<br />

monte era cosa cattiva. Era un bambino sbagliato,<br />

ma non poteva rinunciare all’attrazione di quella<br />

visione. Ormai nel borgo più nessuno gli rivolgeva<br />

la parola; alcuni lo deridevano, altri gli urlavano<br />

insulti. Qualcuno lo chiamava Ritardato, altri sem-<br />

plicemente Scemo.<br />

«È arrivato il ritardato, correte!»<br />

«Eccolo, il ritardato. Che ti ha detto oggi l’albero<br />

parlante»<br />

Un giorno contare le zampe del millepiedi sul<br />

tronco sembrò non bastargli più. Il bambino gettò<br />

le poche cose indispensabili nella valigia di cartone<br />

che era appartenuta al padre e si incamminò verso<br />

la cima <strong>della</strong> <strong>montagna</strong>. Tutto era iniziato lassù,<br />

in qualche modo, e tutto doveva finire lasù. Non<br />

conosceva la strada; si infilò nel taschino una vecchia<br />

bussola che gli era stata regalata dal nonno, e<br />

si lasciò tutto alle spalle. Incamminandosi lungo il<br />

sentiero, osservava il borgo farsi piccolo piccolo;<br />

in quel momento i suoi abitanti sembrarono quasi<br />

scomparire, assieme alle loro risate, ormai confuse<br />

con il fruscio del vento e delle foglie sui rami. Il<br />

bambino non stava cercando qualcosa; il suo era<br />

piuttosto un viaggio a ritroso, un viaggio alle origini.<br />

Forse, pensava tra sé e sé, desiderava semplicemente<br />

rinascere. Stava tornando nella culla, e poi<br />

nell’utero, e poi più nulla. <strong>La</strong> cima del monte senza<br />

nome lo osservava dall’alto.<br />

Un pastore di <strong>montagna</strong> lo fermò, chiedendogli<br />

dove stesse andando. Il bambino non seppe dargli<br />

risposta immediata, così il pastore si incuriosì e lo<br />

84 85


interrogò ulteriormente. «È tutto qui» disse il bambino.<br />

E così dicendo estrasse dal taschino sgualcito<br />

quel piccolo oggetto consumato dal tempo.<br />

«Che te ne fai di una bussola» chiese il pastore.<br />

«Beh, una bussola è quella cosa che ti mostra il<br />

nord, quando ti sei smarrito.»<br />

«Credi di esserti smarrito»<br />

«No, semplicemente non ricordo più dove si trovi<br />

il nord. Il mio sogno sta lassù, prima o poi riuscirò<br />

a trovare la mia via.»<br />

«Ma la tua bussola è rotta, non te ne sei accorto»<br />

«Lei mi ricorda che il nord esiste, semplicemente.<br />

Non mi interessa sapere dove.»<br />

E continuò a salire. Salì ancora, e ancora, finché<br />

le risate <strong>della</strong> gente sparirono, sparì il vecchio<br />

paese, sparirono le proprietà dei Mezzi Ricchi, dei<br />

Rospi e persino quelle immense <strong>della</strong> famiglia dei<br />

Leggeri. Sparì il vecchio padre, sparì la casa paterna,<br />

sparì la finestra dalla quale era possibile vedere<br />

la luna. Sparì persino lui stesso. Non se ne ebbero<br />

più notizie. Qualcuno disse che era precipitato in<br />

un dirupo, altri raccontarono di averlo visto camminare<br />

nudo come il vecchio fornaio pazzo. Qualcuno<br />

insinuò che si fosse tolto la vita per amore.<br />

Nessuno pensò a come, quel giorno, semplicemente<br />

decisi di abbandonare la mia vita per inseguire<br />

il mio sogno, l’unica cosa che valesse la pena<br />

di raggiungere: la cima di quel magico monte che<br />

sin da piccolo mi aveva protetto, mi aveva contornato,<br />

delimitato e salvato dai miei simili, sempre più<br />

gelosi di quel mio segreto. I tizi vestiti col camice<br />

bianco che stavano dentro la televisione mi avrebbero<br />

definito con il termine Pazzo, mi avrebbero<br />

affibbiato una parte in un cine e avrebbero trovato<br />

per me nomi come Bill o John o Jim.<br />

Nessuno capì come il mio nord non fosse quello<br />

indicato dalle loro bussole, ma la forma di quel crinale<br />

che era diventato il rigo sul quale veniva scritta<br />

la mia stessa vita, con tutte le tacche e le zampe del<br />

mio fidato millepiedi.<br />

Nessuno seppe spiegarsi la mia sparizione.<br />

E nessuno seppe darsi una spiegazione nemmeno<br />

quando, con sommo sbigottimento di tutti,<br />

il Vecchio Jack chiese ad un contadino notizie<br />

del bambino, giorni dopo la sua partenza. Dicono<br />

che il contadino sia svenuto per lo spavento, e che<br />

il Vecchio Jack abbia guardato per l’ultima volta<br />

verso il monte senza nome, prima di piegarsi definitivamente<br />

spezzando i propri rami nel silenzio<br />

più profondo, portandosi per sempre via con sé la<br />

<strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong>.<br />

86 87


Anna Maria Marsegaglia<br />

Estate in <strong>montagna</strong><br />

Il campanile <strong>della</strong> Pieve aveva suonato l’Ave Maria,<br />

annunciando l’inizio <strong>della</strong> giornata, ma il bosco<br />

era immerso nel buio e nel silenzio. Passi assonnati<br />

di persone e animali lo attraversavano salendo<br />

la carraia con lieve scalpiccio. I campanacci delle<br />

mucche, tappati con fieno secco per timore di rappresaglia<br />

da parte delle truppe tedesche che avevano<br />

occupato il paese, pendevano muti dai colli delle<br />

mucche.<br />

Tino si sentiva inutile come quegli aggeggi: nessuno<br />

aveva ascoltato le sue ragioni, che comprendevano<br />

il rifiuto di passare tre mesi in alpeggio a<br />

pascolare le mucche.<br />

Seppure il lavoro non rientrasse nei suoi progetti<br />

per le vacanze estive, ciò che gli rodeva maggiormente<br />

era la visione di se stesso - ragazzo pieno di<br />

risorse - condannato ad annoiarsi in un eremo selvaggio<br />

mentre i suoi amici se la spassavano laggiù<br />

in paese.<br />

Nonostante l’avvilimento, però, si rendeva conto<br />

che sua madre non aveva avuto scelta.<br />

Era una donna dolce, la sua mamma, prima che<br />

suo marito fosse deportato in Germania.<br />

Ma poi, trovandosi dall’oggi al domani respon-<br />

sabile dei genitori anziani e di un figlio adolescente<br />

un po’ scapestrato, si era trasformata in una donna<br />

severa e taciturna.<br />

A volte, quando tornando dal lavoro di lavandaia<br />

nella caserma occupata dai Tedeschi, veniva informata<br />

dalle solite comari delle marachelle combinate<br />

dal figlio insieme agli amici, le salivano agli occhi<br />

lacrime di impotenza.<br />

Di solito le uscite dei ragazzi finivano nei frutteti,<br />

dove si ingozzavano di qualsiasi tipo di frutta, a<br />

volte acerba (il pane nero del tesseramento e le minestre<br />

di verdure non erano sufficienti per la loro<br />

fame giovanile).<br />

Ma nell’ultimo anno avevano preso l’abitudine di<br />

prendere di mira le persone arroganti con scherzi<br />

atroci e ciò preoccupava la mamma ed i nonni di<br />

Tino. Fu il timore che i ragazzi infastidissero i tedeschi,<br />

con conseguenze inimmaginabili, a convincerli<br />

che Tino sarebbe stato meglio in <strong>montagna</strong>.<br />

Per questo lo avevano raccomandato a Battista il<br />

capo malga come aiutante per la stagione all’alpeggio.<br />

- Perlomeno lassù potrai mangiare quanto vuoi -<br />

gli aveva detto il nonno.<br />

- E potrai deridere solo i cervi e le marmotte, che<br />

non ti daranno retta per niente - aveva proseguito<br />

la mamma.<br />

- E magari, già che sono lì, potrei perfino morire<br />

88 89


di noia! - aveva gridato Tino.<br />

<strong>La</strong> nonna gli aveva risposto con dolcezza:<br />

- Potresti lavorare, imparare a conoscere la <strong>montagna</strong><br />

e chi vi abita.<br />

A Tino non rimase che tacere.<br />

Ma poiché i suoi cari lo amavano molto, malgrado<br />

la decisione dura intrapresa, ciascuno di loro<br />

mise di nascosto nello zaino un regalo, una specie<br />

di risarcimento per i disagi che avrebbe dovuto affrontare.<br />

Così insieme ai panni pesanti, nel bagaglio trovarono<br />

posto il coltello a serramanico di suo nonno,<br />

l’armonica a bocca di suo padre e due grossi pani<br />

dolci, spuntati da chissà dove.<br />

Lucia, la sua amica sarta, gli fece avere un libro<br />

di avventure.<br />

I montanari salivano, con passi che avevano la<br />

cadenza data dall’abitudine.<br />

Dietro di loro venivano gli asini e i muli, poi le<br />

mucche e le pecore, sospinte dai cani.<br />

Tino chiudeva la fila, cupo, gli occhi fissi alla<br />

strada. Dopo un tempo che gli parve infinito, la<br />

carovana si fermò in una radura. Tino, che non si<br />

era accorto <strong>della</strong> manovra, finì per inciampare sulla<br />

schiena morbida <strong>della</strong> pecora che lo precedeva.<br />

Rialzandosi, vide che si trovavano su un pianoro<br />

sul quale sorgeva una graziosa cappella affiancata<br />

da un fontanile.<br />

Il ragazzo si umettò le labbra: il rumore dell’acqua<br />

che scendeva attraverso una canaletta in legno<br />

era invitante, ma doveva dare la precedenza ai primi<br />

arrivati.<br />

I montanari bevvero in fretta, poi cedettero il<br />

posto agli animali e si misero in circolo vicino alla<br />

cappella a recitare il rosario davanti a un’immagine<br />

di Madonna dal volto dolcissimo. Dopodiché,<br />

mentre alcuni cantavano, altri liberarono i campanacci<br />

dal fieno.<br />

Ripresero il cammino chiacchierando allegramente,<br />

come sciolti da un sortilegio.<br />

Una donna gli si affiancò:<br />

- E così sei tu che baderà alle mie tre mucche.<br />

Sono buone, sai, anche se la Lola è un po’ bizzarra.<br />

Da bambina mi piaceva andare con le mucche<br />

al pascolo. Sono animali mansueti, e ci lasciano il<br />

tempo per osservare i fiori e le bestie selvatiche. E<br />

poi lassù ci sono tante fragole e mirtilli da raccogliere.<br />

Tino ascoltava con una punta di perplessità. Facendo<br />

il paragone tra le occupazioni che essa gli<br />

aveva elencato e quelle alle quali era solito partecipare,<br />

secondo lui di bizzarro in quel luogo non<br />

c’era solo la mucca Lola.<br />

A un tratto qualcuno gridò:<br />

- <strong>La</strong>ssù, si vedono le case di Mola.<br />

- Finalmente - pensò Tino sentendosi esausto.<br />

90 91


L’alpeggio constava di una costruzione con aperture<br />

a forma trapezoidale vicino al tetto e quattro<br />

finestrine protette da una grata al piano inferiore.<br />

Su di un lato c’era una casetta dal tetto di pietra<br />

con una porticina sbilenca; poi c’era una baracca di<br />

forma allungata con l’uscio aperto.<br />

Battista - il capo malga - distribuì i compiti: agli<br />

uomini toccava di scaricare i muli e tagliare la legna<br />

mentre le donne rassettavano e cucinavano; Tino<br />

avrebbe accompagnato le mucche in un pascolo<br />

più in alto.<br />

Il ragazzo, deposto lo zaino al sicuro dai cani, si<br />

accinse a ubbidire, ma le mucche nel frattempo si<br />

erano avviate per conto loro. Raggiunto il pascolo<br />

si accoccolò sui talloni meditando sul mondo nuovo<br />

che gli si apriva davanti. Al suono allegro dei<br />

campanacci si accompagnava il sibilo del vento tra<br />

i larici e il gorgoglio di un ruscello.<br />

Il paesaggio aveva un che di radioso: sassi lucenti<br />

si alternavano a macchie d’erba e ciuffi di rododendri;<br />

il sole si rinfrangeva nell’acqua pura. Il cielo era<br />

incredibilmente azzurro, appena sfrangiato dalle<br />

foglie nuove dei larici.<br />

Sobbalzò quando una marmotta ferma su un<br />

masso emise un fischio.<br />

Molto tempo dopo si sentì chiamare. Era ora di<br />

pranzo. Dopo un’occhiata alle mucche che pascolavano<br />

placidamente discese a balzi la distesa erbosa<br />

e in pochi minuti fu alla baita.<br />

Davanti alla cucina, su una bassa pietra circolare<br />

c’era un tagliere con una polenta color del sole, e<br />

poi formaggi, salumi e un tegame di uova fritte.<br />

Tino si sedette un po’ in disparte dagli altri, beandosi<br />

del piatto colmo di cibo tesogli da Emma.<br />

Mangiava in silenzio assaporando ogni boccone.<br />

Ma a un certo punto un pensiero turbò la sua<br />

contentezza: mentre loro mangiavano in allegria,<br />

laggiù in paese si soffriva per la fame e la preoccupazione.<br />

Il malessere continuò a tormentarlo mentre aiutava<br />

Emma a preparare i letti nel fienile.<br />

<strong>La</strong> donna lo interpellò con dolcezza:<br />

- Hai nostalgia di casa, vero<br />

Tino rispose con fervore adolescenziale:<br />

- Come fate ad essere così contenti, mentre in<br />

molte case di Edolo si piangono i morti e i dispersi<br />

Emma sospirò brevemente:<br />

- <strong>La</strong> felicità dura finché dura l’illusione. E la preghiera<br />

recitata alla cappella per la Madonna di Nazareth<br />

ci fa illudere che presto tornerà il sereno.<br />

Tino arrossì per l’imbarazzo, ripromettendosi di<br />

smetterla con i giudizi sul suo prossimo.<br />

Mentre lui ed Emma lavoravano nel fienile le altre<br />

donne avevano rigovernato e lucidato gli attrezzi<br />

per la preparazione del formaggio. Finiti i loro<br />

compiti, salutarono i quattro mandriani rimasti fa-<br />

92 93


cendo loro molte raccomandazioni, poi a turno abbracciarono<br />

Tino. Quindi ripartirono per il paese.<br />

Avevano appena svoltato lungo il sentiero, che<br />

una nuvola nera oscurò il sole.<br />

Di colpo l’aria divenne gelida e l’erba prese uno<br />

strano colore.<br />

- È l’ora di riportare giù le mucche - disse Giovanni,<br />

un uomo cordiale, dalla barba ispida. - Vacci<br />

tu, ragazzo, e prendi con te i cani per aiutarti.<br />

Mentre Tino saliva il pendio sobbalzò al boato<br />

di un tuono. Il cielo divenne un marasma di nuvole<br />

color piombo e subito iniziò a cadere una pioggia<br />

gelida. Intanto gli animali, spaventati dalla violenza<br />

degli elementi, stavano scendendo dai pascoli a<br />

precipizio in cerca di un riparo, ed al ragazzo e ai<br />

cani non rimase altro da fare che seguirli.<br />

Due mucche particolarmente terrorizzate entrarono<br />

nella stalla, e subito iniziarono a litigare<br />

con grandi cozzi di corna. Le altre si fermarono<br />

sull’uscio, rifiutandosi di entrare.<br />

Intanto il cielo era di un color piombo compatto<br />

e la pioggia si era trasformata in una neve grigiastra<br />

così fitta da accecare.<br />

Le bestie fuori <strong>della</strong> stalla girarono a lungo in<br />

tondo, poi presero a scendere a balzi verso valle. I<br />

mandriani cercarono di fermarle, ma erano troppo<br />

spaurite.<br />

A un certo punto Antonio gridò:<br />

- Rientriamo in baita prima di beccarci un malanno.<br />

Le bestie sanno dove trovare riparo laggiù tra<br />

gli abeti.<br />

Rimasero a lungo sulla soglia <strong>della</strong> cucina a guardare<br />

quel paesaggio da fine del mondo.<br />

I fiocchi di neve erano così pesanti da produrre<br />

piccoli tonfi sul tetto di lamiera.<br />

Ora le mucche che presidiavano la stalla si erano<br />

calmate.<br />

- E se accendessimo il fuoco per asciugarci -<br />

disse Marino.<br />

Ma nella cucina non c’era nemmeno uno stecco<br />

di legna e la neve aveva reso fradicia quella tagliata<br />

al mattino.<br />

- Per l’inferno - imprecò Marino - proprio un<br />

bel benvenuto ci ha riservato la <strong>montagna</strong>! Niente<br />

legna, quindi niente fuoco... e niente cena.<br />

- Le mucche! - esclamò Francesco - Se riusciamo<br />

a mungerle avremo del latte tiepido.<br />

Preso un secchio e un mantello si diresse alla<br />

stalla e tornò poco dopo con il latte che versò in<br />

grosse scodelle di latta. Antonio prese alcune pagnotte<br />

da un sacco di tela e così consumarono la<br />

cena improvvisata.<br />

Fuori continuava il finimondo: il vento sibilava<br />

con rabbia e l’acqua del ruscello mugghiava forte.<br />

Il cuore di Tino batteva forte. Non aveva mai<br />

visto il furore di una bufera in <strong>montagna</strong>.<br />

94 95


Nella cucina nessuno parlava. Si udiva solo il<br />

suono metallico dei cucchiai dentro le scodelle. Finito<br />

di cenare decisero di andare a dormire: forse<br />

avrebbero trovato un po’ di caldo tra le coperte.<br />

Ma nel fienile dove c’erano i letti la neve entrava<br />

a larghe falde dalle aperture, e sui tetti c’era una<br />

coltre bianca alta una trentina di centimetri.<br />

Stanchi e rassegnati, scossero via la neve dalle<br />

coperte, poi le portarono in cucina insieme con i<br />

materassi che allinearono sul pavimento di terra<br />

battuta formando un unico letto.<br />

Si coricarono semivestiti, tremanti di freddo; ma<br />

mentre gli altri, forse grazie alla grappa consumata<br />

poco prima, si misero subito a russare, Tino continuava<br />

a battere i denti per il freddo.<br />

A un certo punto Antonio si alzò e, messo un<br />

goccio d’acqua in una sco<strong>della</strong>, gliela diede da bere.<br />

Subito sentì un gradevole calore spandersi nelle<br />

membra. Poi, il capo malga gli sistemò attorno un<br />

mantello pesante, dicendogli:<br />

- Dormi, che dopo la tempesta torna sempre il<br />

sole.<br />

A quelle parole Tino si sentì consolato: forse anche<br />

a casa sua prima o poi sarebbe tornato il sereno.<br />

Si addormentò quasi immediatamente.<br />

Lo svegliò un canto melodioso di uccelli.<br />

Vide che gli uomini stavano osservando la <strong>montagna</strong><br />

dalla soglia. Il paesaggio era candido, ma il<br />

sole caldo di giugno stava sciogliendo la neve.<br />

Un’aquila volava nel cielo terso lanciando il suo<br />

strido, il ruscello aveva ripreso il suo suono allegro<br />

e un vento fresco mormorava tra le foglie degli<br />

abeti, sfrondando via le frange di neve.<br />

Bevve con piacere il latte appena munto che G.<br />

gli portò, insieme a del pane secco, poi sedette su<br />

uno sgabello al sole ad osservare la neve che si scioglieva<br />

rapidamente.<br />

Verso le undici si udirono i campanacci delle<br />

mucche: stavano risalendo i prati, sospinte da una<br />

folla di gente carica di fieno e di vettovaglie.<br />

- Voi, lassù, state bene<br />

Tino sentì un fiotto di lacrime partire dal cuore.<br />

In un giorno erano successe tante cose: era stato<br />

ammaliato dalla <strong>montagna</strong>, dalla sua gente, dalle<br />

sue voci.<br />

Aveva capito che anche lassù c’erano tante avventure<br />

da vivere e da condividere con i suoi nuovi<br />

amici, tra i suoni e i silenzi <strong>della</strong> <strong>montagna</strong>.<br />

96 97


Lidia Morandi<br />

L’ascesa<br />

<strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong> la notte è il silenzio.<br />

Il silenzio di un bosco ancora avvolto nel suo<br />

nero manto mentre già occhieggiano i funghi appena<br />

risorti dall’umido sepolcro, lambiti da tacite<br />

lumache recanti la sottile, ingombrante esistenza<br />

sulle piccole spalle. Quando gli uccelli dormono<br />

ancora e le foglie più robuste vacillano senza<br />

osare staccarsi per non turbare quel fragile sonno,<br />

mentre quelle già cadute attutiscono il tuo passo<br />

pesante sul fondo morbido del tappeto variopinto,<br />

adagiate l’una accanto all’altra, come sorelle in un<br />

letto di morte.<br />

Avanzi, nel rispetto di quella preghiera silenziosa<br />

che nell’ultima ora <strong>della</strong> notte si consuma tra le colonne<br />

di un tempio di abeti maestosi che ardiscono<br />

raggiungere il cielo. Ti abbeveri a quella fonte<br />

di pace mentre nella testa hai tanto rumore di vita<br />

che non ti abbandona: i pensieri, le voci, la gente,<br />

le cose da fare, quelle rimaste a metà. Persino i sogni<br />

emanano un fastidioso sibilo di fondo, simile al<br />

rimpianto. Tanti «se», «forse», «però» e «perché» infilati<br />

in uno zaino, come sassi che inutilmente sposti<br />

da un luogo ad un altro, senza nulla di nuovo<br />

costruire, senza nulla di vecchio abbattere. Procedi<br />

ostinatamente verso l’alto affinché, dall’abisso quotidiano,<br />

tu possa ricondurre la tua anima lassù, dal<br />

buio attraverso la penombra, per risalire una volta<br />

per sempre alla luce, per provare a comprendere<br />

ciò che la <strong>montagna</strong>, oggi, ti insegnerà. Sempre che<br />

intenda parlarti. Sempre che tu sappia ascoltare.<br />

Sei stanca di parole. Parliamo, parliamo, parliamo<br />

in continuazione, persino quando le labbra tacciono<br />

e i nostri monologhi mentali ci impediscono di<br />

ascoltare l’altro, impedendoci persino di percepire<br />

la nostra vera <strong>voce</strong>...<br />

Ma ecco che il cielo si risveglia e si fa via via<br />

più chiaro e gentile occhieggiando tra i rami più<br />

alti, mentre un timido raggio di sole già lambisce<br />

la cima di monti lontani che si abbeverano con discrezione<br />

a quella fonte di luce senza mai esaurirla,<br />

riflettendola generosamente sul mondo circostante<br />

ancor prima che vi giunga.<br />

Sorridi a quei capi imbiancati, prime sentinelle<br />

che annunciano alla terra l’alba di ogni giorno,<br />

come fosse il primo e come sarà forse l’ultimo. Mirabile<br />

magia <strong>della</strong> vita che ritorna e che si compie<br />

ogni volta nel silenzio <strong>della</strong> quotidianità.<br />

Un miracolo senza clamori.<br />

Ascolti e ascolti ma non odi che la <strong>voce</strong> del tuo<br />

cuore che interroga quel silenzioso richiamo alla<br />

vita e che fatica a cogliere, crogiolandosi nella malinconia.<br />

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<strong>La</strong> <strong>montagna</strong> ti osserva ammiccando dall’alto<br />

e intimidisce le tue piccole pretese, ridimensiona<br />

la tua immagine paragonata alla sua mostrandoti<br />

quanto sia breve il tuo passo sulla via e nella vita, e<br />

ancora tace. Ancora non riesci a comprendere cosa<br />

questo silenzio e questa solitudine ti stiano comunicando.<br />

È un linguaggio che non ti appartiene, che<br />

non conosci, che non sai ascoltare. Vorresti volgere<br />

le spalle e tornare a te, alle tue sicurezze precarie e<br />

invece provi con fiducia ad abbandonarti al ritmo<br />

del passato, al torpore <strong>della</strong> fatica, facendo spazio a<br />

questo vuoto che tenta di farsi un varco tra i pensieri.<br />

Così, lentamente, con la pazienza dei secoli,<br />

quel silenzio inizia a trasformarsi in una <strong>voce</strong><br />

potente che soltanto l’anima, prima sentinella tra i<br />

sensi, inizia a percepire e a riflettere generosamente<br />

sul corpo circostante. L’udito, la vista, il gusto, il<br />

tatto, l’olfatto si confondono poiché tutto ciò che<br />

ti circonda ti invade e diviene parte di te. Gli occhi<br />

abbracciano orizzonti lontani che le dita non potrebbero<br />

toccare, il profumo di ciclamini appena<br />

sfiorati impregna la pelle, le narici soppesano l’aria<br />

sottile, le labbra gustano la fatica e ascolti con orecchie<br />

attente dentro di te questo silenzio che forse<br />

solo ora cominci a comprendere. Il tuo mondo da<br />

quassù si fa sempre più piccolo, come quelle minuscole<br />

case, quelle auto brulicanti che naufragano<br />

in aggrovigliati fiumi grigi mentre dense nubi<br />

le avvolgono celandone i suoni. Là hai deposto i<br />

pensieri più cupi e ora la mente leggera riprende<br />

vigore ed è pronta all’ascesa. Libera, libera, libera.<br />

Inspiri ed espiri come fosse il primo giorno <strong>della</strong><br />

tua vita e d’improvviso un tuono ti implode nel<br />

petto, ti risvegli come da un lungo sonno e i sensi,<br />

ritrovando il loro ordine, si acuiscono fino allo<br />

spasmo e finalmente registrano ogni cosa, reale o<br />

immaginata, amplificandola. Mirabile sinfonia orchestrata<br />

da un invisibile maestro.<br />

Un passero spaventato che si inerpica tra l’ombra<br />

di un ramo e poi frulla le ali e cinguetta cercando<br />

col capo un riparo, il sottile fragore di un rivolo<br />

d’acqua, il tamburellare <strong>della</strong> pioggia che insiste<br />

leggera sulla ruvida roccia come volesse forgiarne<br />

una statua, il fischio del vento, dapprima impetuoso<br />

tra i rami più robusti, che ora accarezza leggero<br />

gli steli d’erba con un dolce fruscio, lo sventagliare<br />

aristocratico d’ali di farfalla, il ronzio di api indecise<br />

tra i fiori più belli, applausi di foglie pendule, il<br />

ribollire del bosco al generoso ritorno del sole, il<br />

tramestio <strong>della</strong> polvere che fluttua leggera nell’aria<br />

ad ogni passo. I profumi, i colori, il caldo, il freddo,<br />

l’asciutto, il bagnato, tutto ha una <strong>voce</strong> ora che tu<br />

finalmente taci.<br />

Ad occhi chiusi ti abbandoni, ubriaca di quei<br />

suoni che ti stupiscono come se li udissi per la prima<br />

volta così tutti insieme. Come potevi non aver<br />

100 101


pianto di gioia ogni mattino per quel canto alla<br />

vita Come potevi non aver apprezzato ogni singolo<br />

istante <strong>della</strong> tua esistenza su questa terra<br />

Riapri gli occhi ed avverti un denso silenzio che<br />

ti scivola dentro l’anima come miele.<br />

Giovani nuvole si aggirano leggere nel tuo nuovo<br />

cielo disegnando un bianco sorriso. Muggiti lontani<br />

cullano la mente come un mantra e piccoli insetti<br />

inquieti ti tormentano le caviglie ad ogni sosta<br />

con il loro inutile ronzio. Inutile come certi pensieri<br />

molesti che non ci abbandonano quando il nostro<br />

incedere vacilla.<br />

Il rassicurante ticchettio del bastone sul selciato<br />

ti precede fugando le insidie. Strilla volando alta<br />

una poiana per segnalare la tua presenza ai suoi piccoli.<br />

Anche tu presenti un’insidia per il suo bene<br />

più prezioso. Come le parole che spesso sono lacci<br />

nei quali inciampiamo, pietre da scagliare, giudizi<br />

che uccidono.<br />

Le montagne di parole edificano muri invalicabili<br />

tra noi e gli altri.<br />

<strong>La</strong> <strong>montagna</strong> che tace è un luogo dello spirito<br />

che si erge con il suo aspro percorso di solitudine<br />

e di silenzio che ogni anima dovrebbe compiere da<br />

sé per perdersi e ritrovarsi per poi tornare a spendersi<br />

nuovamente nel mondo.<br />

Questo fragoroso silenzio rigenerante è tutto ciò<br />

di cui oggi abbiamo più bisogno.<br />

Sara Pedersoli<br />

Orante<br />

A volte arrivava fin là, sospinta dalle brezze<br />

mutevoli che lambivano la valle. Era la <strong>voce</strong> <strong>della</strong><br />

<strong>montagna</strong>.<br />

Non avvisava mai del suo arrivo: semplicemente<br />

lo coglieva alle spalle, accarezzandogli la nuca mentre<br />

arrancava sulla strada erta.<br />

Era un suono cristallino che lo avvolgeva e poi<br />

si infilava tra i rami degli alberi, scotendoli scherzosamente;<br />

nulla più che un sussurro, ma sufficiente<br />

a confermargli che quella era proprio la sua valle,<br />

anche se da lassù faticava a riconoscerla.<br />

Era tornato in paese già da sei mesi ma ancora<br />

gli riusciva difficile abituarsi ai cambiamenti del paesaggio:<br />

le case che si erano mangiati gli appezzamenti<br />

di terra, il corso del fiume trasformato in un<br />

serpente tortuoso, i treni dai colori vivaci che facevano<br />

da scriminatura alla valle. Quando era bambino<br />

trascorreva interi pomeriggi in quella vigna:<br />

si stendeva sul primo terrazzamento con il merlot<br />

a fargli ombra e osservava il paese dall’alto, godendo<br />

<strong>della</strong> posizione privilegiata che gli permetteva di<br />

coglierne ogni minima sfumatura. Suo padre intanto<br />

legava la vite e lo controllava con occhiate laterali,<br />

ché quello era un campo scosceso e abbarbicato<br />

102 103


al dorso <strong>della</strong> <strong>montagna</strong>, bisognava stare attenti a<br />

non farsi male sporgendosi troppo.<br />

Poi era cresciuto e lassù c’era andato poco, distratto<br />

da ben altre pulsioni che richiedevano la sua<br />

presenza nei paesi vicini. <strong>La</strong> vita aveva fatto il suo<br />

corso e quel giorno di luglio, nella piazza di Borno<br />

ancora abbracciata dai muri a secco, aveva conosciuto<br />

Lucia. Non era stato facile rivolgerle la parola,<br />

ancora meno smettere di parlarle quando si era<br />

fatta sera e bisognava tornare a casa. Si erano dati<br />

un vago appuntamento per la domenica, poi ogni<br />

incontro ne aveva richiesto uno successivo, fino a<br />

quando, tre anni dopo, si erano sposati. Avevano la<br />

testa affollata di sogni, a quei tempi. Ma il destino<br />

si era preso gioco di loro nel modo più crudele: i<br />

figli tanto attesi non erano mai arrivati, e anche il<br />

solo fatto di sopravvivere si era trasformato in un<br />

percorso a ostacoli, col lavoro a cottimo che scarseggiava<br />

e la natura che spesso se la prendeva con i<br />

loro campi. Avevano dovuto infilare le poche cose<br />

che possedevano in uno scatolone e partire per il<br />

Brasile, dove uno zio di Lucia aveva da offrire lavoro,<br />

un tetto e forse un po’ di tranquillità.<br />

Una vita da emigranti è una croce per chiunque,<br />

figuriamoci per una giovane coppia che non aveva<br />

mai messo piede fuori dalla valle. Lucia si guardava<br />

intorno con aria smarrita, là a Florianopolis, e le<br />

sopracciglia le schizzavano in cima alla testa in con-<br />

tinuazione per lo sgomento. C’era l’oceano selvaggio,<br />

e fiori grandi come una testa di mucca, e uccelli<br />

dai colori sgargianti che emettevano versi striduli;<br />

in lontananza si vedevano anche le montagne, incolte<br />

e selvagge, e quel panorama rievocava in loro<br />

il ricordo di casa. Per tanto tempo si erano sentiti<br />

esuli, senza radici, come se gli avessero levato un<br />

braccio. Ma la gente <strong>della</strong> valle è di pochi lamenti<br />

e molti fatti: si erano inventati una nuova serenità,<br />

erano cresciuti insieme all’ombra delle buganvillee,<br />

e alla fine si erano accorti che era passata un’intera<br />

vita. Il Brasile li aveva accolti, aveva cotto la pelle<br />

dei loro visi col suo sole feroce, aveva riempito le<br />

loro orecchie di musica.<br />

Fino a pochi mesi prima, quando la musica si<br />

era bruscamente interrotta; Pietro lo rammentava<br />

bene quel momento, ricordava con precisione<br />

perfino il colore delle pareti, la consistenza <strong>della</strong><br />

poltrona dove erano seduti mentre quel dottore<br />

parlava delle condizioni di salute di Lucia. Ormai<br />

il portoghese lo comprendevano perfettamente,<br />

ma Pietro avrebbe preferito non capire cosa diceva<br />

quel ragazzo, e soprattutto avrebbe preferito che<br />

non lo capisse Lucia, che invece aveva abbassato gli<br />

occhi al pavimento e non li aveva rialzati più fino<br />

a sera.<br />

Voglio tornare a casa, aveva detto alla fine. Voglio<br />

morire con le mie montagne negli occhi.<br />

104 105


E così avevano preso un aereo ed erano tornati,<br />

semplicemente.<br />

Avevano ritrovato il paese, ma stentavano a riconoscerne<br />

la fisionomia. Era affollato e vivace, la<br />

piazza - la loro piazza - gremita di persone, i turisti<br />

che ridevano passeggiando per le viuzze.<br />

Lucia si stropicciava le mani guardandosi intorno,<br />

le labbra piegate in una forma strana. Solo quando<br />

aveva alzato lo sguardo e l’aveva posato sulle montagne,<br />

le vecchie montagne immobili e confortanti,<br />

una luce di riconoscenza le aveva illuminato gli occhi.<br />

Per fortuna avevano ancora il vecchio bait di suo<br />

padre, con il tetto in pietra e quei filari di vite tenace<br />

a mo’ di giardino. Lucia ci stava tutto il giorno,<br />

seduta sotto il clinto a guardare la valle; lui fingeva<br />

di trafficare con l’uva americana e intanto la controllava<br />

di nascosto, che non le mancasse nulla, che<br />

la luce violenta non le desse troppo fastidio.<br />

Sotto il ciliegiolo crescevano ancora quelle fragoline<br />

selvatiche, ruvide come la lingua di un gatto<br />

ma con il cuore sorprendentemente dolce. Lucia<br />

da giovane ne andava matta, le infilava una a una in<br />

un lungo stelo di erba marzolina e poi se le avvolgeva<br />

a mo’ di collana, ché le piaceva degustarsele<br />

con calma a casa, la sera. E anche quell’estate lui<br />

le aveva intrecciato collane di fragole selvatiche, e<br />

l’aveva fatta ridere raccontandole vecchi proverbi,<br />

e le aveva creato sulla vestaglia dei disegni con le<br />

foglie di parietaria.<br />

Poi, però, l’estate era finita.<br />

Scesero dalla jeep che era ancora buio. Era stata<br />

un’impresa arrivare fin lì, con le strade oramai sconosciute<br />

e piene di aiuole rotonde proprio in mezzo<br />

alla carreggiata, che gli avevano fatto sbagliare<br />

direzione più volte.<br />

Ma quella era una notte speciale: Lucia, quando<br />

il giorno prima aveva guardato il lunario, si era voltata<br />

verso di lui con gli occhi scintillanti, una luce<br />

ragazzina nello sguardo. E lui non se l’era sentita di<br />

dirle di no.<br />

Arrancarono fino a un terrapieno: da lì lo spettacolo<br />

sarebbe stato perfetto.<br />

Il Pizzo Badile era proprio di fronte a loro, simile<br />

a un totem increspato di crinoline grigiastre. Pietro<br />

sapeva che le popolazioni primitive che abitavano<br />

la zona l’avevano adorato come una divinità, l’avevano<br />

temuto e idolatrato al punto da incidere le<br />

loro preghiere sulle rocce lisce <strong>della</strong> valle.<br />

Lui e Lucia erano andati insieme a vederli, quei<br />

sassi, tanti anni prima: enormi blocchi levigati da<br />

antichi ghiacciai, solcati da graffiti che raffiguravano<br />

cacciatori, animali e soprattutto loro, gli oranti,<br />

piccoli uomini nell’atto di offrire la loro devozione<br />

al monte. Gli erano rimaste impresse, quelle figure<br />

106 107


inermi e impaurite, ci aveva ripensato spesso.<br />

Si chiese se anche i suoi antenati fossero divorati<br />

dalle sue stesse paure, dalla disperazione <strong>della</strong><br />

solitudine, dall’assurdo senso di smarrimento che<br />

lo coglieva ogni volta che realizzava che lei presto<br />

non ci sarebbe stata più.<br />

Poi cominciò ad albeggiare, e Pietro non pensò<br />

più a niente. Erano passati tanti anni dall’ultima<br />

volta, ma il miracolo avvenne: e fu esattamente<br />

come lo ricordava.<br />

L’ombra <strong>della</strong> <strong>montagna</strong>, sospinta dal sole che<br />

le nasceva esattamente dietro, cominciò a staccarsi<br />

dal crinale e si allungò verso l’alto, amplificando<br />

sempre più le dimensioni <strong>della</strong> vetta. Il pizzo badile<br />

si stagliò nel cielo con una corona luminosa, una<br />

presuntuosa coda di pavone che squarciava il buio.<br />

Era uno spettacolo magnifico, era lo Spirito <strong>della</strong><br />

Montagna.<br />

Vide che Lucia sorrideva, ed era esattamente lo<br />

stesso sorriso di tanti anni prima, quando avevano<br />

l’abitudine di salire fin lassù tutti gli anni, la notte<br />

dell’equinozio.<br />

Lucia diceva che andavano a liberarsi l’anima:<br />

che salivano con un carico di dolori e preoccupazioni<br />

e lo spirito li prendeva con sé, lasciandoli lievi<br />

e sorridenti.<br />

Pietro ricordava bene il senso di leggerezza, quasi<br />

di rinascita, che da allora aveva sempre sperimenta-<br />

to al cospetto dello Spirito. Era la stessa sensazione<br />

che provava anche adesso, guardando di sottecchi il<br />

profilo di sua moglie e prendendole la mano.<br />

<strong>La</strong> sensazione di essere protetto, di avere qualcuno<br />

- qualcosa - su cui contare. <strong>La</strong> certezza che,<br />

comunque fossero andate le cose, avrebbe avuto la<br />

forza di affrontarle.<br />

Sorrise pensando che erano cambiate tante cose,<br />

in quegli anni, ma la <strong>montagna</strong> era rimasta uguale,<br />

e aveva continuato a parlare.<br />

E lui era ancora lì, come un orante, ad ascoltarne<br />

la <strong>voce</strong>.<br />

108 109


Elena Pedretti<br />

<strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />

Passeggiando per i sentieri di <strong>montagna</strong> tutto mi<br />

ricorda lei... I fiori nei prati, il canto degli uccelli<br />

che volano tra gli alberi, il cielo terso <strong>della</strong> mattina<br />

che può velocemente mutare, l’odore del terreno<br />

fertile e dei funghi, il rumore del torrente che scende<br />

a valle... Lei rivive nella natura, nei profumi e nei<br />

colori che la <strong>montagna</strong> sprigiona; lei è il sole che<br />

splende e riscalda, lei è la pioggia che bagna e porta<br />

frescura...<br />

Lei è la mia cara nonna Maddalena, una persona<br />

che ha profondamente segnato il mio cammino e<br />

una delle poche che mi ha reso ciò che sono. A lei<br />

devo molto, perché mi ha insegnato molte cose,<br />

non solo ciò che è bene o male, ma anche il rispetto<br />

del prossimo, sia esso persona, animale o un semplice<br />

fiore. Mia nonna è stata una figura importante<br />

anche perché mi ha trasmesso la sua passione<br />

per la <strong>montagna</strong>, che condivideva con mio nonno<br />

Giacomo, e che poi ha tramandato ai suoi figli, in<br />

modo particolare a mio papà Flavio. L’amore per<br />

la natura che mio padre ha ereditato mi permette<br />

di apprezzare una camminata tra i boschi e assaporare<br />

la bellezza dei paesaggi, guardare a lungo un<br />

tramonto senza tediarmi e sedermi all’ombra di un<br />

albero, chiudere gli occhi e ascoltare in silenzio i<br />

suoni che la natura offre...<br />

Mio papà, infatti, è molto simile a sua madre,<br />

ama le cose semplici, quelle che ad uno sguardo<br />

superficiale possono sembrare futili, ma che ad un<br />

occhio attento regalano forti emozioni. Mia mamma<br />

spesso dice che pure io somiglio a mia nonna,<br />

la quale mi ha trasmesso alcuni pregi e anche qualche<br />

difetto; il suo carattere forte la rendeva speciale,<br />

perché come tutte le persone anche lei era unica<br />

e insostituibile, soprattutto ai miei occhi di nipote.<br />

Condivideva con me un rapporto particolare,<br />

dovuto al tempo trascorso insieme, l’una accanto<br />

all’altra sulle montagne.<br />

I momenti più belli <strong>della</strong> mia infanzia, in effetti, li<br />

devo proprio a lei, mia nonna Maddalena... Quando<br />

ero piccola, al termine <strong>della</strong> scuola, mi trasferivo in<br />

baita insieme a lei e al mio cane Billy, e restavamo<br />

in <strong>montagna</strong> fino a settembre, quando ricominciavano<br />

le lezioni. Ricorderò sempre le giornate passate<br />

con lei, per funghi nel bosco quando c’era il<br />

sole, in cascina a chiacchierare e cantare quando<br />

la sera scendeva; persino il buio non ci impediva<br />

di trascorrere degli istanti felici, che oggi ricordo<br />

con un sorriso e una lacrima di gioia. Ogni gior-<br />

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no, di pomeriggio, preparavamo l’occorrente per<br />

un’eventuale raccolta di porcini; armate di bastone<br />

e attrezzate di cestino, ci inoltravamo nei sentieri<br />

dei boschi, passeggiando una dietro l’altra, cercando<br />

attentamente i funghi. Lei sapeva i posti dove<br />

solitamente crescevano e talora mi narrava compiaciuta<br />

le sue avventure passate; più di una volta,<br />

sollevando le fronde di alcuni alberi, aveva scoperto<br />

dei bei porcini e si era stupita dell’inaspettata<br />

scoperta.<br />

Quando tornavamo in baita eravamo stanche ma<br />

felici, poiché la <strong>montagna</strong> ci aveva allietato con la<br />

sua natura, talvolta rigogliosa, con i prati verdissimi<br />

e i cespugli in fiore, altre volte più arida, con una<br />

vegetazione più spoglia. Soprattutto nel bel mezzo<br />

del bosco si potevano scorgere grandi rocce grigie<br />

e spesso, in queste zone brulle, la pioggia non riusciva<br />

a filtrare nel terreno a causa <strong>della</strong> fittezza degli<br />

alberi. Ogni luogo, però, aveva il suo fascino e capitava<br />

che mi stupissi di trovarmi di fronte un sasso<br />

particolare o un certo tipo di fiore, che mostravo a<br />

mia nonna; la sua saggezza mi appariva immensa,<br />

perché sovente sapeva il nome di quel fiore... <strong>La</strong><br />

vedo ancora, lì china a raccogliere un mazzetto di<br />

quei bei fiori per portarli vicino alla fotografia di<br />

suo marito, che purtroppo era già scomparso. Era<br />

molto devota alla Madonna, così poteva accadere<br />

che portasse dei fiori anche in una piccola nicchia<br />

che si trovava nei pressi <strong>della</strong> nostra cascina, nella<br />

quale figurava una statuetta di una bianca Vergine.<br />

All’ora di coricarsi mia nonna mi rimboccava le<br />

coperte, mi dava un bacio sulla guancia e insieme<br />

pregavamo, ringraziando Dio per averci donato il<br />

regalo più prezioso, la vita. Qualche volta, prima<br />

di addormentarci, lei mi raccontava degli episodi<br />

<strong>della</strong> sua infanzia o <strong>della</strong> giovinezza, di quando aveva<br />

perso la mamma a soli sei anni e del primo incontro<br />

con mio nonno Giacomo. Mi narrava anche<br />

<strong>della</strong> guerra che aveva vissuto, <strong>della</strong> fame che aveva<br />

patito e delle lettere che suo marito le inviava dai<br />

lontani fronti di Albania, Grecia e Russia, nei quali<br />

aveva combattuto come artigliere, e le aveva scritto<br />

addirittura dalla prigionia, vissuta in Germania.<br />

Era molto orgogliosa di aver avuto un uomo così<br />

al suo fianco, e si preoccupava spesso di ricordarmi<br />

di scegliere attentamente quella che sarebbe stata la<br />

mia anima gemella.<br />

Oggi mi rammarico perché lei non ha potuto conoscere<br />

Riccardo, il mio moroso, che certamente<br />

le sarebbe piaciuto; posso intuire le parole che mi<br />

avrebbe detto nel vederlo: «L’è on bel matel, e pò ol me<br />

par brao! Me ‘ngure che’l haeh come ‘l tò nono Giacomo...»<br />

(«È un bel ragazzo, e poi mi sembra bravo! Mi au-<br />

112 113


guro che sia come tuo nonno Giacomo...»).<br />

Grazie a lei ho imparato il dialetto biennese e<br />

questo mi fa piacere perché è una tradizione che,<br />

ahimè, sta scomparendo con le nuove generazioni.<br />

Ricorderò sempre il giorno in cui mia nonna<br />

mi regalò un libro di racconti in dialetto, intitolato<br />

«<strong>La</strong> bota del nono» («<strong>La</strong> storia del nonno»), e donandomelo<br />

mi disse che quelle leggende le narravano<br />

gli anziani del suo paese; quando lei era piccola si<br />

tratteneva con i suoi familiari nella stalla a trascorrere<br />

le sere fredde dell’inverno, seduta sulla paglia<br />

e riscaldata dal fiato degli animali. Le filastrocche<br />

me le cantava spesso, per far sì che i suoi episodi<br />

d’infanzia non andassero persi, ma venissero trasmessi<br />

alle orecchie attente <strong>della</strong> sua nipotina. Da<br />

lei ho appreso anche la passione per il canto; pure<br />

io quando sono sola intono una qualsiasi canzone<br />

e, se sono malinconica, con la musica scaccio ogni<br />

brutto pensiero.<br />

Quanti altri ricordi mi affiorano alla mente! Sono<br />

piccoli sprazzi di momenti quotidiani, che adesso<br />

ritengo siano un bagaglio prezioso da serbare con<br />

molta gelosia, poiché essi sono solo miei... Ma se li<br />

racconto ad altri, in modo particolare ai miei cari,<br />

questi attimi passati li posso condividere, e così la<br />

mia gioia si espande; in tal modo onoriamo insie-<br />

me una persona speciale, che rivive grazie alla forza<br />

delle mie parole.<br />

Nella mia memoria rimangono indelebili non<br />

solo degli eventi felici, ma anche alcuni momenti di<br />

sconforto; quando ero triste lei era al mio fianco,<br />

sempre pronta a rincuorarmi e a scacciare la malinconia<br />

con i suoi gesti delicati. Di lei serbo pure dei<br />

rimproveri, che all’istante mi hanno infastidito, ma<br />

che adesso apprezzo, perché li considero dei veri<br />

insegnamenti di vita, che hanno permesso di farmi<br />

crescere con dei sani ed onesti principi.<br />

Considero mia nonna una seconda madre, con<br />

lei ho vissuto tanti anni fino al momento in cui si è<br />

spenta, quattro anni fa. Quando i suoi cari hanno<br />

fatto costruire la sua casa per l’eternità, che volgarmente<br />

si chiama tomba, hanno voluto ricordarla<br />

con tanti fiori, non quelli che si comprano dal<br />

fiorista in un bel negozio, bensì quelli che crescono<br />

spontaneamente nei prati e quelli selvatici dei boschi,<br />

i suoi boschi... Ogni volta che qualcuno vede<br />

la sua lapide si ricorda di lei in <strong>montagna</strong>, nella sua<br />

amata cascina di Travagnolo, sui monti di Bienno,<br />

accerchiata dai suoi parenti; tra di loro c’ero anche<br />

io, una piccola bambina che le voleva un bene<br />

dell’anima e che aveva i suoi stessi occhi marroni.<br />

114 115


Oggi purtroppo mia nonna non c’è più, ma è<br />

sbagliato dire che è morta... Lei è ancora viva, non<br />

è più corpo ma è anima, reincarnata nella natura<br />

che mi circonda e che mi protegge. Il suo spirito<br />

giace soprattutto nella baita che lei e mio nonno<br />

costruirono trentotto anni fa, con la fatica e il sudore,<br />

successivamente ripagati dall’orgoglio nel veder<br />

realizzato il loro grande sogno, quello di poter<br />

restare nel luogo tanto amato da entrambi, la loro<br />

cara <strong>montagna</strong>...<br />

Le belle persone non muoiono mai, poiché quello<br />

che di buono c’era in loro viene trasmesso ad<br />

altri, e così può rivivere per sempre. Nella <strong>voce</strong> <strong>della</strong><br />

<strong>montagna</strong> io risento le sue parole di speranza e<br />

di conforto, che pochi sono capaci di esprimere.<br />

Come vorrei riascoltare la sua <strong>voce</strong> chiara e forte,<br />

ben impressa nella mia mente e nel mio cuore! In<br />

tal modo potrei condividerla con le persone che<br />

ho accanto, quelle speciali che mi stanno vicino e<br />

con le quali trascorro i momenti più belli, ma anche<br />

quelli più tristi... Pian piano sto cercando di<br />

far apprezzare a Riccardo, il mio fidanzato, la mia<br />

passione per la natura, perché è nella purezza e nella<br />

genuinità che si trova il segreto di un’esistenza<br />

che vale la pena di essere vissuta. <strong>La</strong> felicità risiede<br />

nelle piccole cose, nel sorriso di un bambino e nella<br />

compagnia che si concede ad un anziano, nel rac-<br />

cogliere un fungo e nel bere un sorso di acqua alla<br />

fonte, fresca e limpida. Una mano tesa senza alcun<br />

interesse è il gesto più bello, che soddisfa maggiormente<br />

chi lo porge rispetto a chi lo riceve. Questo<br />

significa essere grandi persone, non per quello che<br />

si ha, ma per ciò che si è, senza vergogna di mostrare<br />

la propria semplicità, che talvolta racchiude doti<br />

nascoste... <strong>La</strong> vera ricchezza nasce dentro di noi<br />

e dovremmo essere grati a coloro che hanno permesso<br />

che essa crescesse lentamente nella nostra<br />

mente e nel nostro cuore.<br />

Attualmente alcuni valori come quelli appena descritti<br />

sono andati perduti, molte persone giudicano<br />

le altre per come sono vestite, per la macchina che<br />

guidano e per gli oggetti che mettono in mostra.<br />

Ma così facendo dimenticano le cose veramente<br />

importanti, quelle che permetteranno loro di essere<br />

ricordate nel futuro, con buone parole e con un<br />

sorriso. Questo solamente perché hanno fatto del<br />

bene, non con mezzi economici, bensì con gli sforzi<br />

quotidiani, che la sera facevano chiudere gli occhi<br />

per la stanchezza, ma permettevano di dormire<br />

sonni tranquilli, senza rancori né rabbia... Ciò vale<br />

per i miei nonni, che hanno lavorato duramente<br />

per mantenere le persone per loro più importanti,<br />

i loro figli e nipoti. Questi ultimi li hanno molto<br />

amati, e adesso sono loro riconoscenti per i sacri-<br />

116 117


fici che in vita hanno fatto e che hanno consentito<br />

loro di condurre una vita agiata.<br />

Oggi ricordo la mia cara nonna Maddalena con<br />

una preghiera o portandole dei fiori, che tanto le<br />

piacevano, sulla sua tomba. Ma nel mio cuore sento<br />

che il gesto più bello che posso fare per lei è tornare<br />

sulle montagne e trascorrere delle giornate felici,<br />

Perché li vive anche lei; mi basta chiudere gli occhi<br />

per un momento e immaginarla vicina, che mi dice<br />

quanto le somiglio e che è orgogliosa di me... Questo<br />

sarebbe il più grande regalo che potrei mai ricevere,<br />

rivederla e riabbracciarla; le direi un enorme<br />

grazie per tutto quello che mi ha donato, dalla serena<br />

infanzia che ho vissuto ai giusti insegnamenti,<br />

che fanno di me una ragazza semplice, ma che<br />

al tempo stesso sa apprezzare ciò che ogni giono<br />

qualcuno, da lassù, ci offre. E io son convinta che<br />

quel qualcuno è lei, la <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong>, quella<br />

di mia nonna Maddalena.<br />

Qualche giorno fa, rovistando fra alcune carte di<br />

un cassetto, ho rinvenuto per caso delle fotografie<br />

che ritraevano mia nonna. Alcune erano in bianco<br />

e nero, con gli angoli un po’ ingialliti dal tempo,<br />

altre invece erano più recenti e a colori, ma in tutte<br />

la protagonista era la <strong>montagna</strong>. Su quelle più vecchie<br />

figuravano i miei due nonni da giovani, mentre<br />

sullo sfondo troneggiava la cascina; i loro volti erano<br />

sereni ed esprimevano la soddisfazione di aver<br />

compiuto un’impresa in cui credevano, quella di<br />

aver costruito insieme il loro nido, un progetto realizzato<br />

insieme come coronamento del loro amore.<br />

Le altre foto rappresentavano invece solo mia nonna,<br />

sdraiata sui verdi prati, intenta a fare una sosta<br />

dopo una lunga passeggiata, per poi riprendere il<br />

cammino. Avrà avuto più di sessant’anni, ma la sua<br />

gamba era ancora allenata e il suo fiato sempre ben<br />

temprato. In testa portava il suo foulard rosso e blu<br />

e indossava un vestito piuttosto largo a fiori, uno<br />

dei suoi preferiti. E non poteva di certo mancare<br />

il suo bastone, sostegno utile per poter affrontare<br />

alcuni sentieri erti; quando divenne più anziana mia<br />

nonna soleva ripetermi che ero diventata io il suo<br />

bastone per la vecchiaia. Tale metafora mi colmava<br />

di gioia, perché ciò significava che per lei valevo<br />

molto; proprio come lei era tanto per me...<br />

L’ultima fotografia che ho trovato è quella più<br />

bella, a mio avviso. Mia nonna è stata immortalata<br />

in primo piano e l’ambiente intorno a lei era costituito<br />

da alberi, gli abeti che si trovano nei pressi<br />

<strong>della</strong> sua baita. Il busto era leggermente di lato,<br />

mentre il suo viso era rivolto verso l’obiettivo. Portava<br />

i suoi orecchini rossi di corallo ed oro, uno<br />

dei quali ricordo di aver ritrovato io, durante una<br />

118 119


nostra camminata insieme. Per fortuna, quel giorno,<br />

si era accorta di averlo perso, così avevamo iniziato<br />

la ricerca per ritrovarlo; eravamo nel bosco, in<br />

una zona piuttosto pianeggiante, dove non cresceva<br />

molta erba... Ed ecco che, all’improvviso, avevo<br />

scovato in terra il suo orecchino e lei mi confessò,<br />

rimettendoselo all’orecchio, che era stata felicissima<br />

che io lo avessi ritrovato così prontamente. Poi<br />

rammento che si rimise a camminare, e io di nuovo<br />

dietro a seguirla per una nuova avventura...<br />

Questa foto oggi l’ho appesa accanto al mio letto,<br />

in una cornice di legno decorata con dei fiorellini,<br />

di una bellezza semplice, come la persona in essa<br />

racchiusa. Qualcuno sostiene che lo scatto fotografico,<br />

una volta catturata l’immagine, ruba l’anima<br />

di chi è stato immortalato, poiché la persona così<br />

raffigurata rimarrà per sempre su quel pezzo di carta,<br />

rivivendo anche nella mente di chi la osserva e<br />

la ricorda. Forse ha ragione chi afferma questo, dal<br />

momento in cui, in quella fotografia, mia nonna mi<br />

guarda e sorride teneramente, per ricordarmi che<br />

il segreto <strong>della</strong> felicità è racchiuso dentro ogni persona,<br />

e che soltanto noi possiamo attuarlo, trasformando<br />

i desideri in realtà.<br />

Quando veniamo al mondo piangiamo e quando<br />

moriamo gli occhi dei nostri cari si riempiono di<br />

lacrime... Basterebbe saper mutare questa tristezza<br />

in un pianto di gioia e capire che tanti intorno a<br />

noi sono dei piccoli eroi, dei maestri e dei compagni<br />

di vita, che hanno incrociato il nostro cammino<br />

forse per caso, oppure perché il destino l’aveva<br />

deciso; secondo me qualsiasi cosa che ci accade è<br />

sempre motivata, e dovremmo saper accettare anche<br />

le piccole sconfitte o i grossi dolori che talvolta<br />

ci affliggono. <strong>La</strong> <strong>voce</strong> di mia nonna Maddalena<br />

mi ha insegnato ad essere forte, lei mi ha spiegato<br />

che se nessuno ci aiuta possiamo trovare anche in<br />

noi stessi la volontà di reagire ed andare avanti. È<br />

come quando si sale sulla cima di una <strong>montagna</strong>:<br />

la fatica è molta, ma subito veniamo ripagati dal<br />

paesaggio che scorgiamo dall’alto e dall’aria buona,<br />

che ci permette di respirare meglio e di aprire la<br />

nostra mente a gioie ed emozioni inedite. <strong>La</strong> vita,<br />

sovente, ci presenta delle novità, che possono essere<br />

più o meno gradite; talvolta spetta a noi leggere<br />

in esse qualcosa di buono. Probabilmente qualcuno<br />

ci sta mettendo alla prova, vuole rafforzare il nostro<br />

carattere, che dovrebbe sempre essere pronto<br />

ad affrontare tutto ciò che ci si pone di fronte agli<br />

occhi. Il nostro intelletto e il nostro cuore si devono<br />

unire per fronteggiare qualunque evenienza,<br />

ricordando che l’unione fa la forza; quest’ultima è<br />

posseduta da ognuno, dovremmo soltanto cercare<br />

con attenzione per riconoscere in noi delle capacità<br />

120 121


che magari non pensavamo di avere...<br />

Credo che la <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong> mi possa essere<br />

di aiuto e forse è davvero essa l’energia che porto<br />

sempre con me e che mi permette di superare gli<br />

ostacoli che talora mi trovo di fronte. Ma basta fare<br />

un salto per poterli scavalcare e riprendere così la<br />

mia strada, quel sentiero che sto percorrendo con<br />

le persone più importanti, il mio moroso e i miei<br />

familiari; fra di loro c’è sempre anche lei, la <strong>voce</strong> di<br />

mia nonna, che da lassù mi incoraggia a non abbattermi<br />

mai, ma ad andare avanti, sempre a testa alta.<br />

È stata lei, mia nonna Maddalena, ad avermi tramandato<br />

questo importante messaggio di vita. E<br />

grazie a lei ho capito che dietro ad un grande sforzo<br />

si cela sempre un’enorme ricompensa, esattamente<br />

come dietro ad una nuvola si nasconde continuamente<br />

il sole, pronto ad abbagliarci quando meno<br />

ce lo aspettiamo.<br />

Alberto Zacchi<br />

<strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />

Con quali pretese vuoi sentire la <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />

se non sai ascoltare<br />

<strong>La</strong> Montagna, la mia Montagna non ha vette irraggiungibili,<br />

è lì e la guardo da quando sono nato<br />

eppure, pur restando immobile, è in eterno movimento.<br />

Colori, profumi e variazioni climatiche la rendono<br />

unica, impareggiabile; nessuna è come Lei.<br />

Potrà sembrarvi strano, ma Lei è la mia migliore<br />

amica. Lei sa tutto di me, conosce tutti i miei segreti,<br />

anche quelli più intimi. Da sempre percorrendo<br />

i suoi sentieri ho sentito di potermi fidare, di trovarmi<br />

a tu per tu con un’entità straordinaria, ricca<br />

di ogni forma di vita e tutta da scoprire.<br />

Lei, la mia Montagna, pur non avendo orecchi<br />

sa ascoltare ed è emozionante la sensazione che si<br />

prova quando ci s’accorge che nulla di ciò che ti sta<br />

accadendo sta accadendo per caso.<br />

Passo dopo passo, inoltrandomi in Lei, mi sono<br />

trovato a scoprire che siamo simili e che, sebbene<br />

in maniera diversa, percepiamo le stesse vibrazioni.<br />

A volte ho abbracciato persone e ciò che ho ricevuto<br />

è stata una stretta di braccia. Ho abbraccia-<br />

122 123


to un albero, un albero qualsiasi e mi sono trovato<br />

ricco d’emozione.<br />

Ho cominciato a piangere, a ridere, a danzare<br />

e a parlare, parlare, parlare. Parlare di quello che<br />

sentivo nascere dal cuore ed è stato meraviglioso<br />

accorgermi che tutto ciò che avevo attorno si era<br />

fermato ad ascoltare. Non un fruscio. Solo silenzio.<br />

Un silenzio nel quale il mio continua a raccontare<br />

anche quando ho finito le parole.<br />

Lo so, fa paura pensare che la natura si possa<br />

fermare, eppure è questo che accade quando di te,<br />

la Montagna, sente di potersi fidare e si lascia attraversare<br />

nella Sua intimità e ciò che ne nasce è<br />

qualcosa che sembra possa trascendere dalla realtà,<br />

ma che invece ti àncora saldamente a tutto quello<br />

che è la vita.<br />

Scoprirsi parte viva di ciò che pensavi solo di<br />

guardare è un viaggio affascinante verso quella<br />

parte di mondo che davi per scontato non potesse<br />

conoscerti.<br />

Sapere d’appartenere alla Terra e che Essa ha deciso<br />

d’appartenerti è un regalo che a pochi è concesso.<br />

Tutto sembra diverso da ciò che è sempre stato<br />

e la voglia di tornare a ripercorrere i Suoi sentieri<br />

diventa parte integrante <strong>della</strong> giornata. In Lei rinascono<br />

le mie energie e riposano le mie fatiche in<br />

quello scambio clorofilliano che ossigena il mondo.<br />

<strong>La</strong> mia Montagna m’accoglie instancabilmente<br />

come fossi il figliol prodigo che torna dal padre;<br />

Lei come Madre allarga le Sue braccia e lascia che<br />

io rinasca per quel che sono, libero da ogni pensiero<br />

e da ogni problema.<br />

Mi culla e mi protegge lasciando che ogni cosa<br />

che nasce in me possa trovare la sua giusta dimensione<br />

in Lei. In questi momenti il tempo sembra<br />

non passare quasi fosse anch’esso curioso d’assistere<br />

a quello che sembra un evento unico e meraviglioso.<br />

Tutto sembra restare in sospeso in una dimensione<br />

posata tra cielo e terra, tra respiro e fiato. Lì,<br />

dove niente è dato, ma tutto è ricevuto mi è dato<br />

d’ascoltare la <strong>voce</strong> <strong>della</strong> Montagna, la mia Montagna.<br />

Io così piccolo nel cuore d’un gigante! Ed è<br />

come volare! In questi scambi dove nessuno cerca<br />

di farsi grande ognuno è quel che è, e lo rimane,<br />

perché non vuol cambiare nulla di ciò che non si<br />

deve rovinare. Ognuno ricco del poco che sa d’avere,<br />

ma a cui è disposto a rinunciare, sente che potrebbe<br />

per l’altro anche morire senza farsi ringraziare.<br />

Lì, dove è tutto, e quando tutto è divenuto una<br />

cosa sola, Lei, la mia Montagna ha cominciato a<br />

parlare.<br />

Nessuno saprà mai qual è la mia Montagna e fin<br />

124 125


dove mi sono spinto per potervi tutto questo raccontare,<br />

ma è qui poco lontano, forse, forse, proprio<br />

qui.<br />

INDICE<br />

11. Diego Razzitti, Sangue e acciaio<br />

14. Edoardo Boccali, <strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />

15. Mara Malacarne, <strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />

20. Simone Antonioli, Caterina mi guarda<br />

27. Fabio Balduzzi, Iniziare<br />

36. Giovanni Baccanelli, <strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />

43. Marco Camisani, Un artista in viaggio verso<br />

Borno<br />

48. Giuliana Colombo, <strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />

54. <strong>La</strong>ura Comassi, <strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />

65. Monia Gambirasi, <strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />

71. Lucia Gazzoli, <strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />

73. Mauro Giudici, <strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />

82. Stefano Malosso, Il bambino che camminò<br />

verso nord<br />

88. Anna Maria Marsegaglia, Estate in <strong>montagna</strong><br />

98. Lidia Morandi, L’ascesa<br />

103. Sara Pedersoli, Orante<br />

110. Elena Pedretti, <strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />

123. Alberto Zacchi, <strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />

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