La voce della montagna - Valle Camonica Distretto Culturale
La voce della montagna - Valle Camonica Distretto Culturale
La voce della montagna - Valle Camonica Distretto Culturale
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[... Da qui la volontà di avvicinare<br />
alla lettura ed al mondo <strong>della</strong><br />
biblioteca gli anziani, gli<br />
extracomunitari, i soggetti non<br />
pienamente abili e quanti vivono<br />
alcune forme di marginalità, con<br />
l’obiettivo di istituire rapporti<br />
nuovi tra gli spazi e i servizi <strong>della</strong><br />
cultura per supportare processi<br />
di integrazione e inserimento<br />
sociale.]<br />
Progetto “<strong>La</strong> biblioteca diffusa”<br />
<strong>Distretto</strong> <strong>Culturale</strong> di<br />
<strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong><br />
un laboratorio per l’arte e l’impresa<br />
LA VOCE DELLA MONTAGNA - Pubblicazione a grandi caratteri per il piacere di leggere senza fatica.<br />
LA VOCE<br />
DELLA<br />
MONTAGNA<br />
Pubblicazione a grandi caratteri per<br />
il piacere di leggere senza fatica.
LA VOCE<br />
DELLA<br />
MONTAGNA<br />
Pubblicazione a grandi caratteri per<br />
il piacere di leggere senza fatica.
Questa pubblicazione è stampata con l’obiettivo di<br />
rendere agevole la fruizione e la leggibilità del testo<br />
e con queste caratteristiche:<br />
• Caratteri di stampa [Garamond Regular] corpo<br />
16 punti tipografici: grandezza superiore alla<br />
media (identici a quelli che state leggendo).<br />
• Interlinea 18,3 punti: separa chiaramente una<br />
riga dall’altra.<br />
• Margini studiati per non opprimere ma nemmeno<br />
disperdere una corretta lettura.<br />
• Formato [cm 16x23]: mantiene la riga stampata<br />
in corpo 16 sufficientemente lunga, riducendo<br />
gli eccessivi «a capo».<br />
• Colore avorio <strong>della</strong> carta: evita il riflesso luminoso<br />
<strong>della</strong> carta bianca.<br />
• Qualità <strong>della</strong> carta: di bassa grammatura ma di<br />
alto spessore, è leggera ma evita la trasparenza<br />
del verso <strong>della</strong> pagina.<br />
• Legatura in brossura, con cucitura delle segnature:<br />
consente l’apertura totale del libro e la sua<br />
maneggevolezza.<br />
• Copertina solida ma non cartonata: evita la durezza<br />
del taglio e la pesantezza del volume.<br />
Questa raccolta è pubblicata<br />
nell’ambito del progetto<br />
«<strong>La</strong> biblioteca diffusa» promosso dal<br />
<strong>Distretto</strong> <strong>Culturale</strong> di <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong>
© 2011 <strong>Distretto</strong> <strong>Culturale</strong> di <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong><br />
Promosso da<br />
Comunità Montana<br />
di <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong><br />
Consorzio Comuni BIM<br />
di <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong><br />
In collaborazione con<br />
<br />
COMUNE di BORNO<br />
Provincia di Brescia<br />
Finito di stampare nel mese di marzo 2011<br />
presso la Tipografia Brenese di Breno (Bs)<br />
Il presente volume «<strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong>» presenta<br />
18 racconti sulla <strong>montagna</strong> che hanno partecipato<br />
al Concorso Letterario promosso dal Circolo<br />
<strong>Culturale</strong> <strong>La</strong> Gazza di Borno l’estate scorsa.<br />
Il valore aggiunto dell’iniziativa sta nella scelta<br />
operata dal Sistema Bibliotecario, nell’ambito del<br />
<strong>Distretto</strong> <strong>Culturale</strong> di <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong>, di farne un<br />
libro a grandi caratteri per ipovedenti, destinato, oltre<br />
al normale circuito bibliotecario, a tutte le Residenze<br />
Socio Assistenziali, ai Centri Diurni integrati<br />
e ai Centri Diurni per Disabili presenti sul territorio<br />
camuno. Ritengo sia un’iniziativa importante, di<br />
estremo valore umano!<br />
I nostri anziani, e non solo, potranno infatti sfogliare<br />
il libro scegliendo l’uno o l’altro dei racconti,<br />
ritrovando il ricordo delle loro montagne, rivivendone<br />
le immagini, i nomi, i profumi!<br />
Il libro potrà essere letto loro dagli animatori, ma<br />
l’utilizzo di grandi caratteri consentità una buona<br />
autonomia di lettura: una possibilità in più per momenti<br />
di indipendenza!<br />
Grazie quindi a tutti quelli che hanno reso possibile<br />
l’iniziativa e buona lettura a tutti coloro che vorranno<br />
scegliere questi racconti.<br />
Simona Ferrarini<br />
Presidente del <strong>Distretto</strong> <strong>Culturale</strong><br />
di <strong>Valle</strong> <strong>Camonica</strong>
INTRODUZIONE<br />
<strong>La</strong> <strong>montagna</strong> ci parla. Ad ognuno di noi con <strong>voce</strong><br />
differente. Avvicinandoci ad essa con passione, per<br />
conoscerla, per goderne le meraviglie, per sfidare<br />
le sue vette o semplicemente - come noi - vivendo<br />
alle sue pendici, con la giusta attenzione possiamo<br />
coglierne le parole.<br />
Da questo presupposto siamo partiti, noi del Circolo<br />
<strong>Culturale</strong> <strong>La</strong> Gazza di Borno - che la <strong>montagna</strong><br />
l’abbiamo nel sangue - quando abbiamo scelto<br />
il titolo del nostro terzo Concorso Letterario.<br />
Abbiamo colto nel segno: il tema proposto ha<br />
stimolato la creatività di 46 scrittori, tra grandi e<br />
piccini, bornesi, camuni, bresciani, e turisti di ogni<br />
parte, frequentatori - assidui o meno - <strong>della</strong> nostra<br />
valle.<br />
I migliori scritti sono raccolti in questa pubblicazione,<br />
frutto di una preziosa collaborazione col Sistema<br />
Bibliotecario di <strong>Valle</strong>camonica, nell’ambito<br />
del progetto «Scaffale Ipovedenti».<br />
In questi racconti, estremamente diversi l’uno<br />
dall’altro per forma e contenuto, gli autori attraverso<br />
la <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong> riescono ad attingere al<br />
proprio bagaglio di esperienze, di ricordi, e soprattutto<br />
di sensibilità, donandoci storie piccole, ma<br />
di grande efficacia. <strong>La</strong> <strong>montagna</strong> emerge spesso<br />
come un’entità viva, all’orizzonte tra cielo e terra,
una sorta di tramite tra le umane cose e la divinità,<br />
tra il passato e il presente, tra i viventi e coloro che<br />
non sono più tra noi.<br />
Per noi <strong>della</strong> Gazza, che crediamo fortemente nel<br />
potere <strong>della</strong> scrittura e proponiamo le nostre iniziative<br />
con l’intento di incentivare la crescita culturale<br />
del nostro territorio, vedere questi racconti pubblicati<br />
in bell’ordine all’interno di un libro è un grande<br />
risultato. Un segno tangibile, un premio per chi ha<br />
voluto seguirci mettendosi in gioco, con la penna e<br />
con il cuore.<br />
<strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />
Fabio Scalvini<br />
Presidente del Circolo <strong>Culturale</strong> <strong>La</strong> Gazza
1° CLASSIFICATO CATEGORIA ADULTI<br />
Diego Razzitti<br />
Sangue e acciaio<br />
(Adamello, andando per trincee in cerca di visioni)<br />
Bombati suoni di scoppio luceano nel cielo.<br />
<strong>La</strong> durezza bollente dell’acciaio mi raggela il sangue.<br />
Frammenti di shrapnels da tutte le parti.<br />
Chi l’ha detto che di paura si suda freddo<br />
Lungo la schiena e sulla fronte sono un unico<br />
rivolo caldo.<br />
Brividi e bestemmie, in queste buche alte tre volte<br />
un uomo.<br />
Poveri cristi pronti allo scontro, ricordi lontani di<br />
messe di baci mai dati del cafè de la Pepina di lardo<br />
malva ed alti pascoli.<br />
Ricordi lontani di storie invernali dentro stalle<br />
cadute in mani nemiche, l’asprigno dell’amaro cordiale<br />
per non pensare all’atroce ansimante fatica,<br />
per dimenticare quella gaia del far legna nei boschi<br />
con padri e fratelli.<br />
Muli carichi d’obici s’inerpicano su impossibili e<br />
tremende coste, la juta dei sacchi lacera loro schiena<br />
e fianchi. Rotolano a valle di tanto in tanto per<br />
gran gioia di volpi e topi, compianti sinceramente<br />
da coloro che li hanno aggiogati, scossi dalla possi-<br />
11
ilità di far la stessa fine.<br />
Meglio sarebbero stati altri fronti che lottare su<br />
impossibili e durissimi graniti, sugli infidi e frammentati<br />
scisti, ma questo s’ha da fare, lottare per<br />
tenere le posizioni, lasciare tempo ai generali tranquilli<br />
in panciolle nelle loro caserme di ridisegnare<br />
i confini e studiare strategie, augurarsi che presto<br />
l’angelo <strong>della</strong> morte discenda su di loro e su quelli<br />
come loro che vivono vite altre che le nostre.<br />
Tra noi e quelli di fronte a noi invece le differenze<br />
non ci sono, cantiamo e piangiamo allo stesso<br />
modo, facciam correre alla stessa maniera gli elmetti<br />
lungo le vie, solo parlano diverso. Noi chiamiamo<br />
il leontopodium alpinum stella alpina e loro<br />
Edelweiss. Credo che pensiamo allo stesso modo<br />
ed i pensieri prima di dormire vadano alle stesse<br />
cose, che il brivido che dà il ratto quando stai per<br />
dormire e ti passa sul collo sia uguale, ma forse mi<br />
sbaglio e quando certe mattine mi guardo attorno a<br />
denti stretti per il freddo e la luce comincia a schiarire<br />
i contorni del mondo penso che davvero tutto<br />
sia poca cosa, noi per primi, e che non ci sia senso<br />
in niente e che allora sia inutile sapere anche quel<br />
poco che si sa e persino pensare.<br />
Già ho visto fiorire il genepì ed il cirsio spinosissimo,<br />
un altro mortifero inverno sta per abbracciarci.<br />
Gli anemoni e le primule sono cari ricordi.<br />
Spero di vederne altri e spero di poter coprire coi<br />
crisantemi di quassù le tombe degli amici che cadranno.<br />
Passato il Santo Natale arriverà l’erica scopina<br />
a dar notizie buone o brutte, io spero che la<br />
novella sia il termine di questa assurdità, foss’anche<br />
solo per me, che io in grazia divina possa chiudere<br />
gli occhi per sempre.<br />
Chissà cosa pensano le marmotte di tutto ciò,<br />
da settimane hanno smesso di fischiare. Gli unici<br />
animali che ci fanno compagnia sono i pidocchi. E<br />
pure le nostre paure non ci lasciano un istante di<br />
tregua.<br />
Morire sparati sulle alte cime, morire vicini a nostro<br />
Signore per una patria che non si conosce.<br />
Le ciòke appese al filo spinato, non più al collo<br />
delle vacche, cariche di santini e di preghiere, per<br />
dare l’allarme nel cuore <strong>della</strong> notte.<br />
<strong>La</strong> gira la cambia<br />
la sta mai müta:<br />
la guera (la ita)<br />
l’è düra<br />
e la te fa sparì.<br />
Polvere alla polvere.<br />
12 13
1° CLASSIFICATO CATEGORIA RAGAZZI<br />
Edoardo Boccali<br />
<strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />
Io quando sono in vacanza vengo sempre in<br />
<strong>montagna</strong> a Borno perché mi piace tanto camminare<br />
nei boschi, fare le passeggiate sui sentieri, arrivare<br />
ai rifugi e al <strong>La</strong>go di Lova e anche sciare.<br />
Il mio bis nonno mi diceva che chi vuole bene<br />
alla <strong>montagna</strong> sente la sua <strong>voce</strong> perché la <strong>montagna</strong><br />
parla a chi la rispetta, io però non l’avevo mai<br />
sentita.<br />
L’altro giorno invece ero come al solito in un<br />
bosco e i miei amici erano lontani, mi sono seduto<br />
su una roccia e... ho sentito la <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong>!<br />
Era bellissima, non come la nostra con le parole<br />
ma leggera, fresca, delicata.<br />
Era il soffio del vento, il rumore del ruscello, il<br />
fischio di un uccello, uno strano rumorino sotto gli<br />
aghi di pino, il verso di un animale che non conosco,<br />
una pigna che cade, il profumo dei ciclamini,<br />
l’aria pulita che mi entrava nel naso.<br />
Allora ho capito come fare per sentire la <strong>voce</strong><br />
<strong>della</strong> <strong>montagna</strong>: si deve ascoltarla nel silenzio e lei<br />
ti dice tante cose!<br />
PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA<br />
Mara Malacarne<br />
<strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />
Salta l’acqua tra le rocce, salta, s’inabissa, s’incanala,<br />
salta di nuovo. Pesco. Come tante volte ho pescato<br />
nei torrenti. Pesco e studio l’acqua, l’ascolto,<br />
la guardo.<br />
Cristallo nel suo letto granitico, così chiara…<br />
Rumore. Il torrente ha una <strong>voce</strong> forte, profonda,<br />
continua. Bella quest’acqua, cerco il punto giusto,<br />
il torrentino dove c’è la trota, il piccolo giro lento<br />
dietro il sasso. Lui mi ha insegnato a leggere l’acqua,<br />
ad annusarla, a seguirne il senso. Ore. Risalgo<br />
questo bel torrente, le trote stanno con il muso a<br />
monte ad aspettare la preda, vanno prese alle spalle!<br />
Risalgo. E l’acqua scorre, saltella, gira, si spiana.<br />
Ascolto. Mi distraggo… Così bella questa valle, rapisce<br />
gli occhi e l’anima. Il silenzio. Il verde. Alberi,<br />
cime, rocce alte.<br />
Ma il silenzio qui è un suono, costante, cupo, saltellante<br />
come l’acqua. Boschi così verdi e un’aria<br />
leggera. Pesco. <strong>La</strong> prima canna da pesca papà me<br />
l’ha messa in mano che avevo forse sei anni; non<br />
l’ho mai ringraziato per questo, avrei dovuto. Due<br />
persone s’avvicinano, in divisa, guardapesca. A par-<br />
14 15
te un sopracciglio che si solleva, non fanno notare<br />
lo stupore. Il cappellino blu nasconde i riccioli<br />
biondi e il giubbino da pesca camuffa il resto: una<br />
donna! Che pesca! Cortesi, controllano la licenza,<br />
qualche parola sulle nuove zone di «bandita», poco<br />
altro. Voci tranquille, di <strong>montagna</strong>, serie ed accoglienti.<br />
Controllerebbero il pescato: oggi non c’è.<br />
Vanno via. Sento dietro me i loro passi sul gerato,<br />
ma coperti, ovattati: la <strong>voce</strong> del torrente è più forte<br />
e sommerge tutto.<br />
Continuo a pescare, risalgo il torrente. Ma ormai<br />
sono distratta. <strong>La</strong> giornata è splendida. È splendida<br />
questa valle, pini e abeti alti e fermi, verdi. Per<br />
fortuna non sono venuta con gli stivaloni da pesca:<br />
scarponcini! Chiudo la canna, non è più tempo di<br />
pescare. Ripongo tutto nel borsotto, la terra degli<br />
«slambrotti», i lombrichi che uso per esca, sotto le<br />
unghie, la canna a tracolla e mi incammino.<br />
L’aria è limpida, fa caldo. Entro nel bosco, più<br />
fresco. Cammino a lungo fino a non sentire più la<br />
<strong>voce</strong> del torrente, insistente e forte. Bosco. Ombroso,<br />
fermo, tenero. Arrivano, come un amico<br />
atteso, gli odori: il muschio, l’erba calda al limite<br />
degli alberi, odore di funghi, licheni, felci. Odore<br />
di bosco. E di nuovo silenzio. O almeno quello che<br />
a noi di Milano sembra silenzio. Che in realtà è un<br />
oceano di schiocchi di rami, tonfi di pigne, ronzii<br />
di insetti. Un silenzio così pieno di suoni! Di suoni<br />
dolcissimi. Squittii, cinguettii e più resto ferma, più<br />
i suoni aumentano.<br />
Stanca: mi siedo. Ombra, aghi di pino. Una <strong>voce</strong><br />
che ritorna e mi dice di nuovo: ascolta! L’aria che si<br />
infiltra tra i pini, il sole che secca i rametti, il rombo<br />
(forse solo immaginato) dei ghiacciai lontani, le<br />
mille bestiole che si muovono intorno. Mi sdraio,<br />
chiudo gli occhi e per un po’ ascolto. Poi riparto.<br />
Funghi! Anche quelli me li hai insegnati tu. Ci saranno,<br />
è luglio, qualcosa c’è di sicuro! Cammino.<br />
Crack, crack… da tanto non piove. Vento. Scorre<br />
tra i rami, gradito a me, ma ai funghi no! Non importa.<br />
<strong>La</strong> passeggiata è impagabile.<br />
Silenzio, scrocchio, silenzio, ronzio, silenzio, torrente<br />
lontano, silenzio. Caldo, fruscii, vento e gli<br />
uccelli: tanti! Canti su canti su canti! Cammino, bellissima<br />
questa valle, amica, e la percorro al sicuro,<br />
nessun posto è più sicuro di qui. Di questa ombra<br />
leggera.<br />
Cammino e ricordo. Ricordo quando il suono<br />
dei passi sui sentieri in <strong>montagna</strong> era con te, passi<br />
sulle sassaie, sulle foglie, sulla terra, sul prato. Suoni<br />
diversi, lievi, forti.<br />
Cammino più lenta… Clo, clo, clo… un gallo<br />
cedrone, se ne sentono sempre più spesso: per fortuna!<br />
<strong>La</strong>me di luce tra i rami che raccontano di un<br />
inverno ora lontano, quando la neve aveva ricoperto<br />
tutto, bianca e fredda. Rilasciando però l’umidi-<br />
16 17
tà, che ora ascolto, necessaria al sottobosco. Una<br />
radura: sole, prato, ronzii…<br />
Mi fermo di nuovo. Non perché sono stanca,<br />
solo perché è bello. È bello l’odore, è bello il rumore,<br />
è bello il ricordo. Tronchi profumati e cortecce<br />
e pigne e, se guardo verso il cielo, vedo le cime rocciose,<br />
così imponenti, davanti le quali ci prende la<br />
vertigine del nulla nostro. E di nuovo quei suoni<br />
piccoli e scricchiolanti e lontani e il vento forte in<br />
alto e sotto la <strong>voce</strong> del torrente.<br />
Quasi ora di rientrare ma non mi risolvo a farlo.<br />
Perché «CASA» è qui! Allora resto ancora un<br />
momento. Bimba di quarant’anni, ad ascoltare. Lo<br />
sguardo che si fa liquido su questo verde intorno.<br />
Ad ascoltare con la pelle, con il naso, con gli occhi,<br />
con il cuore. Ad ascoltare le parole di quel papà<br />
che mi ha insegnato ad ascoltare la <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong>.<br />
Quel papà che ha smesso troppo presto di<br />
parlarmi, ma che mi ha regalato il modo di sentirlo<br />
ancora, ancora e per sempre ascoltando la <strong>montagna</strong><br />
che amava, ascoltando i sassi che rotolano sul<br />
sentiero, l’acqua che scorre tra le rocce del torrente,<br />
i ronzii degli insetti nei pascoli, le pigne che cadono,<br />
gli uccelli sugli alberi. Ad ascoltare parole che<br />
sono solo nostre.<br />
<strong>La</strong> <strong>montagna</strong> parla a tutti, Madre imponente e<br />
grande, ma ciascuno ha le sue voci da ascoltare,<br />
private, altissime. Quella che ascolto io è allegra,<br />
calma e forte. Come le montagne. È per questo che<br />
resto ancora qui un momento, un momento ancora…<br />
Per ascoltare, ascoltare, ascoltare...<br />
18 19
MENZIONE SPECIALE DELLA GIURIA<br />
Simone Antonioli<br />
Caterina mi guarda<br />
Caterina mi guarda con aria assorta. Dal 5 Agosto<br />
2005 non riesco più a capire fino in fondo a<br />
cosa sta pensando. Quando ci siamo conosciuti -<br />
sono trascorsi ormai 15 anni – avevo quella particolare<br />
impressione – tipica, probabilmente, di tutti<br />
gli innamorati – che fossimo un’entità unica: «le<br />
mie emozioni, le tue emozioni, il tuo dolore, il mio<br />
dolore», ci dicevamo quando uno dei due era triste<br />
e l’altro voleva a tutti i costi far parte di quella tristezza.<br />
Ci siamo sposati con questa convinzione: la<br />
nostra sintonia era speciale e ci avrebbe permesso<br />
di superare qualsiasi prova.<br />
Ora è qui vicino a me, quasi mi sfiora. Eppure<br />
siamo come due monadi: ognuno è solo, vive in<br />
una dimensione personale nella quale l’altro non<br />
può entrare perché non ha la chiave d’accesso.<br />
Siamo saliti in <strong>montagna</strong> a trascorrere qualche<br />
giorno di vacanza, in questo paesino che tante volte<br />
in passato ci ha accolto come una madre con il<br />
suo fanciullo, perché Caterina mi ha chiesto di fidarmi<br />
di lei, di seguirla senza porre domande.<br />
Cucinare mi rilassa: tagliuzzare le verdure, aspettare<br />
che l’acqua bolla, seguire le ricette del vecchio<br />
libro di mia madre. Di solito mi sento inadeguata,<br />
fuori luogo, come se fossi nata nel tempo e nel luogo<br />
sbagliato. Sono i piccoli rituali giornalieri che<br />
impediscono alla mia identità di disgregarsi totalmente,<br />
che mi danno sicurezza: preparare la colazione,<br />
recarsi al lavoro al solito orario, guardare la<br />
televisione prima di dormire.<br />
Mi piace questo bed and breakfast: non è né<br />
grande né piccolo, né lussuoso né troppo sobrio.<br />
Non mi sono mai sentita inadeguata qui, non<br />
ho mai dovuto dimostrare niente a nessuno. Forse<br />
perché è un posto mediocre ed io sono una persona<br />
mediocre: non sono particolarmente bella ma<br />
neppure brutta, non sono alta ma nessuno direbbe<br />
che sono bassa, lavoro come impiegata in una catena<br />
di supermercati, ho un marito, vado in piscina<br />
tre volte a settimana.<br />
Odio questo luogo. Amo la <strong>montagna</strong>, la sua<br />
luce, quel senso di immensità, di infinito che si<br />
prova quando si arriva in cima alla vetta, ma non<br />
sopporto questo posto. Lo odio da quel giorno di<br />
cinque anni fa in cui la mia vita, la nostra vita è<br />
cambiata in modo irreversibile.<br />
Camminavamo lungo quel sentiero che tante<br />
volte avevamo percorso insieme. C’era un ruscello,<br />
20 21
il solito ruscello, che sbarrava il nostro cammino.<br />
Bisognava solo posare i piedi con attenzione,<br />
scegliere il sasso giusto e poi fare un piccolissimo<br />
salto verso l’altra sponda. Caterina è caduta. Caterina<br />
ha perso il bambino, il nostro bambino, atteso,<br />
desiderato, frutto del nostro amore, certezza <strong>della</strong><br />
nostra eternità.<br />
Mi ero ripromessa di non tornare: troppo dolore<br />
è stato associato a questo luogo. Ma qualcosa mi ha<br />
spinto a venire. Impossibile parlarne con Giuliano:<br />
non mi capirebbe, andrebbe su tutte le furie, anzi<br />
no, si chiuderebbe ancora di più nel suo mondo.<br />
Non abbiamo più parlato di noi da quel giorno.<br />
Il nostro amore si è spento lentamente, come una<br />
candela che pian piano consuma tutta la cera: senza<br />
scossoni, litigi, parolacce. Non so se lo amo ancora:<br />
certo è che non ho il coraggio di raccontargli niente<br />
di me stessa.<br />
Tre settimane fa ho rivisto per caso – stavo riordinando,<br />
dopo anni che non lo facevo, il mio comodino<br />
– le foto del bed and breakfast e delle nostre<br />
vacanze. I nostri occhi brillavano di una luce<br />
intensa, abbagliante, come quella che vedi nei bambini<br />
innamorati delle loro amicizie. Mentre osservavo<br />
quelle immagini – io e Giuliano sul letto matrimoniale,<br />
Giuliano che ride dopo che si è bagnato<br />
i pantaloni bevendo dalla fontana – ho sentito un<br />
impulso, quasi una <strong>voce</strong> che mi invitava a tornare.<br />
Anzi no. Ho provato una sensazione di costrizione:<br />
dovevo tornare, in gioco era la mia vita, la nostra<br />
vita.<br />
Amo ancora Caterina Me lo sono chiesto tante<br />
volte in questi anni e non sono ancora riuscito a<br />
darmi una risposta. Quando si può dire «ti amo»<br />
<strong>La</strong> osservo mentre cucina, i suoi movimenti lenti,<br />
ripetuti, i suoi capelli raccolti, le sue scarpe consumate.<br />
Vorrei parlarle, vorrei gridarle che Renato<br />
è morto per colpa sua, che mi ha rovinato la vita,<br />
che da quel giorno non mi riconosco più, mi guardo<br />
allo specchio e vedo un altro me stesso.<br />
Mancava un mese al parto, non doveva percorrere<br />
quel sentiero. Perché non è stata a casa a riposare<br />
come tutte le donne in gravidanza Perché è scivolata<br />
in un ruscello che aveva già attraversato in altre<br />
decine di occasioni<br />
<strong>La</strong> culla, il passeggino, la cameretta: Renato era<br />
già con noi, dentro la nostra famiglia, un futuro da<br />
costruire, il nostro futuro. Ed invece il suo cuore<br />
ha smesso di battere: piccolo uomo morto solo<br />
nel ventre di colei che avrebbe dovuto proteggerlo<br />
per tutta la vita. Non avevo mai pensato che un<br />
bambino morto dovesse essere anche partorito: in<br />
silenzio, nel dolore più atroce, senza vagiti, senza<br />
parenti e amici che aspettano fuori dalla sala parto,<br />
22 23
senza i messaggi di congratulazioni, senza i fiori sul<br />
comodino.<br />
Sono seduta su un sasso a due passi dal torrente<br />
che fiancheggia il nostro rifugio. Sto leggendo l’ultimo<br />
libro di Grossman – a un cerbiatto somiglia<br />
il mio amore – mi identifico con la protagonista,<br />
sono anch’io alla ricerca di me stessa.<br />
Sento ancora quell’impulso. Questa volta è più<br />
chiaro, mi parla, ma non riconosco la <strong>voce</strong>.<br />
Da piccola la mia catechista mi diceva sempre<br />
che Gesù parla alle persone che sanno mettersi in<br />
ascolto. Mi arrabbiavo con me stessa perché quella<br />
<strong>voce</strong> io non l’ho mai sentita. Non credo nell’aldilà,<br />
sono convinta che dopo la morte ci sia il nulla, che<br />
il paradiso e l’inferno siano solo costruzioni mentali<br />
dell’uomo che anela all’infinito.<br />
Questa volta è diverso: non sto delirando, non<br />
uso droghe, non ho allucinazioni. Qualcuno si è<br />
infilato a mia insaputa dentro il mio corpo e vuole<br />
comunicare con me. Il messaggio è chiaro: devo<br />
cercare una pietra ma non so la forma, il colore, la<br />
grandezza. L’unica certezza è che lì posso ritrovare<br />
la mia strada.<br />
Non abbiamo mai parlato dell’incidente. Non c’è<br />
stato bisogno di deciderlo con le parole: entrambi<br />
abbiamo scelto che era meglio così, che a tanto<br />
dolore si risponde solo con il silenzio. All’inizio,<br />
per la verità, ogni argomento di possibile conversazione<br />
era diventato un tabù. Nella nostra casa era<br />
scesa una nebbia fitta che impediva qualsiasi tipo<br />
di contatto. Durante il primo anno non abbiamo<br />
mai fatto l’amore. Quando abbiamo provato a ricongiungere<br />
i nostri corpi ho sentito nel profondo<br />
che il mio io si staccava da me: ero con mia moglie<br />
e nello stesso tempo ero lontano da lei anni luce.<br />
Ho conosciuto altre donne, ho pagato per trenta<br />
minuti di sesso. <strong>La</strong> sensazione non è cambiata: ero<br />
io e non ero io e nel frattempo la mia identità si<br />
frammentava e disgregava lentamente e inesorabilmente.<br />
Vorrei morire ma non ho la forza né il coraggio<br />
di scegliere un modo per uccidermi, di pensare al<br />
giorno e all’ora, di organizzare la procedura nei minimi<br />
dettagli, di portare a termine il mio intento.<br />
Ho sperato in mille occasioni che il destino decidesse<br />
per me: un incidente stradale come ne capitano<br />
tanti, una malattia incurabile.<br />
Devo parlare con Giuliano. Sento che lui mi può<br />
aiutare a trovare la pietra. Corro dei rischi: la sua<br />
derisione, l’incredulità, il suo sguardo giudicante, la<br />
sua supponenza; non li posso sopportare ma ormai<br />
mi sono incamminata in questo sentiero tortuoso e<br />
non posso tornare indietro.<br />
24 25
Caterina mi ha raccontato <strong>della</strong> pietra, dell’impulso,<br />
delle voci. Stavo per sogghignare, poi mi<br />
sono bloccato. Il 5 Agosto 2005, prima dell’incidente,<br />
all’inizio <strong>della</strong> strada, ai margini del bosco,<br />
ho inciso una pietra con un piccolo coltello. Non<br />
mi ricordo cosa avevo scritto, forse era un semplice<br />
disegno oppure uno scarabocchio utile solo per<br />
riempire il tempo.<br />
Partiamo alla ricerca <strong>della</strong> pietra. Mi sembra di<br />
essere un’eroina dei film, Caterina dal cuore impavido.<br />
<strong>La</strong> pietra c’è, nel punto esatto in cui l’avevo lasciata.<br />
È parzialmente coperta da uno strato di muschio<br />
ma c’è.<br />
«Caterina e Giuliano per sempre insieme». Tocco<br />
la pietra insieme a Giuliano: s’illumina, una forza<br />
sconosciuta entra nel mio corpo.<br />
«Caterina e Giuliano per sempre insieme». Tocco<br />
la pietra insieme a Caterina: s’illumina, una forza<br />
sconosciuta entra nel mio corpo.<br />
Piangiamo, ci abbracciamo, ci raccontiamo per<br />
ore dove ci siamo persi in questi anni, parliamo di<br />
Renato, dei nostri sensi di colpa, delle paure, del<br />
futuro. <strong>La</strong> nostra identità si è ricomposta, perché<br />
esisteva solo nell’identità dell’altro.<br />
MENZIONE SPECIALE DELLA GIURIA<br />
Fabio Balduzzi<br />
Iniziare<br />
Maledette vesciche. Osservo i miei piedi martoriati<br />
e ancora non so capacitarmi. Non ci volevo<br />
venire in <strong>montagna</strong>, ma mi sono fatta convincere<br />
dalle lusinghe di mio marito, dalle dolci richieste di<br />
mia figlia e da tante coccole.<br />
«Dai, facciamo una bella camminata all’aria aperta<br />
e poi tutti a mangiare al rifugio».<br />
Così, mio malgrado, di buona mattina mi sono<br />
vestita «da <strong>montagna</strong>» o meglio come credevo ci<br />
si vestisse per un’escursione del genere: maglietta,<br />
felpone, pantaloni al ginocchio con i tasconi, calzettoni<br />
e polacchini acquistati secoli prima in un<br />
negozio specializzato e mai utilizzati. Perché sono<br />
anni che la mia famiglia tentava di fare questa benedetta<br />
(maledetta) gita ed io fino ad allora avevo resistito<br />
offrendo ogni tanto piccoli contentini quali<br />
appunto beneauguranti acquisti di materiali tecnici,<br />
organizzazioni fumose di gite mai realizzate e perfino<br />
preparazioni nei minimi dettagli vanificate da<br />
improvvisi e quanto mai salvifici acquazzoni mattutini.<br />
Così me la cavavo con falsi dispiaceri «Che pec-<br />
26 27
cato, proprio oggi doveva piovere a dirotto» conditi<br />
da altrettante fasulle faccette e smorfie di disappunto<br />
plastificato. Tutti, contenti… si fa per dire.<br />
Anche questa mattina, quando mi sono alzata dal<br />
mio comodissimo letto ho sperato con tutto il mio<br />
cuore che il cielo fosse coperto e che le nubi promettessero<br />
pioggia battente. Come al solito avevo<br />
già in serbo la mia compilation di frasi fatte, malumori<br />
falsi e alternative tipo «Vabbè, vorrà dire che<br />
andremo al centro commerciale». Ed invece aprendo<br />
le ante ho visto un cielo azzurro ed un sole insolente<br />
ed ho compreso che questa volta non sarei<br />
sfuggita.<br />
«Diavolo, questa volta mi tocca!» ho pensato dispiaciuta<br />
mentre lucidamente stavo elaborando un<br />
disperato piano di fuga del tipo «Non sto bene»,<br />
«Non me la sento», «È uno di quei giorni».<br />
Non ce n’è stato il tempo. Quei due esagitati erano<br />
già svegli, pronti a partire e zompettavano per<br />
casa come morsi da qualche tarantola. Mia figlia<br />
si stava lavando e vestendo da sola, cosa che non<br />
capita praticamente mai e mio marito aveva abbandonato<br />
la sua consueta flemma domenicale per lanciarsi<br />
in entusiastici preparativi: lo zaino, le bibite,<br />
i k-way, le barrette energetiche, la copertina. Tutto<br />
in ordine in men che non si dica come se fossero<br />
pronti da decenni, come se quei due avessero affinato<br />
la tecnica con specifici addestramenti segreti.<br />
«Noi siamo pronti!» me li sono visti comparire<br />
sulla soglia <strong>della</strong> porta <strong>della</strong> cucina mentre io versavo<br />
il latte nelle tazze in pigiama ed ancora non mi<br />
capacitavo di quello che stava accadendo.<br />
«Prima si fa colazione e poi...» ho lasciato la frase<br />
a metà come se mi facesse male anche solo palesare<br />
verbalmente il mio prossimo destino.<br />
Magari il tempo sarebbe cambiato radicalmente<br />
nel volgere di qualche attimo salvandomi, oppure<br />
una telefonata improvvisa avrebbe impedito la nostra<br />
partenza o chissà, forse, un evento straordinario<br />
e non previsto si sarebbe salvificamente avverato.<br />
Mai porre limiti alla provvidenza.<br />
Niente da fare. Tutto rimaneva immutabile e<br />
odioso: il sole sempre più caldo, il cielo se possibile<br />
ancora più terso ed i miei due aguzzini esageratamente<br />
agitati.<br />
Senza nemmeno accorgemene, in una sorta di<br />
trance da rifiuto, ero in auto lanciata verso un’amena<br />
località alpina. Quasi tre ore di macchina su per<br />
tornanti da vomito in compagnia di questa allegra<br />
compagnia di fanatici da escursione. Mio marito<br />
aveva stampato in faccia un sorriso ebete e sognante<br />
mentre mia figlia continuava a parlare eccitata<br />
come una radio impazzita senza possibilità di spegnerla<br />
in alcun modo. Una gran bella compagnia.<br />
Poi, però, era arrivato il peggio. Posteggiata l’auto<br />
in un piazzale con una pendenza inquietante ci<br />
28 29
siamo caricati dei nostri zaini (quei pazzi ne avevano<br />
preparato uno tutto mio... che fortuna!) per<br />
incamminarci su per un sentiero le cui indicazioni<br />
dicevano «Al rifugio due ore e mezza».<br />
«Due ore e mezza! Ma voi siete fuori di testa» ho<br />
protestato blandamente seguendo con passo incerto<br />
i miei due cari, ormai lanciati alla conquista <strong>della</strong><br />
cima.<br />
Come dargli torto Dopo anni di iniziative cassate,<br />
di illusioni mozzate, di promesse mai mantenute<br />
ora potevano finalmente dare sfogo alle loro<br />
voglie. Camminare, camminare, camminare! Che<br />
follia. Io che prendo la macchina anche per andare<br />
a comprare il pane, io che se posso salgo in ascensore<br />
piuttosto che fare le scale, io che me ne sto per<br />
ore felicemente seduta in ufficio sulla mia poltroncina<br />
davanti al computer... davvero non capisco il<br />
senso di queste inutili fatiche. Arrampicarsi su per<br />
un sentiero scosceso e sdrucciolevole per arrivare<br />
in cima a qualcosa. Non basta guardare le foto sui<br />
giornali specialistici e magari navigare su internet<br />
È molto più comodo e senza dubbio meno faticoso.<br />
Ma no, bisogna soffrire per poi godere del panorama,<br />
dell’aria fresca, dei profumi.<br />
Fesserie!<br />
Per i primi minuti <strong>della</strong> camminata mi ero anche<br />
illusa che tutto questo fosse vero, che le belle storie<br />
di <strong>montagna</strong> che si raccontano avessero un fondo<br />
di verità. Camminavo senza troppa fatica su per<br />
quella stradina e mi sembrava che tutto fosse facile<br />
e persino piacevole. Questo paradiso, però, è durato<br />
poco. Il tempo che il sentiero si facesse più ripido,<br />
che le gambe cominciassero a farmi male, che<br />
il fiato mi si spezzasse in gola ed ero già prostrata.<br />
«Ragazzi facciamo una pausa, non ce la faccio<br />
più» ho urlato disperata ed ansimante ai miei due<br />
instancabili compagni di sventura che nel frattempo<br />
mi avevano distanziata di qualche decina di metri.<br />
Loro da buoni samaritani sono tornati indietro<br />
e con sguardi pietosi mi osservavano senza capire<br />
davvero quello che mi succedeva. Mi succedeva che<br />
ogni maledetto brandello del mio corpo mi chiedeva<br />
conto di anni di vita sedentaria ed agiata, che mi<br />
facessero male perfino le punte dei capelli e le unghie.<br />
Hanno pazientato a lungo che mi riprendessi<br />
e poi, come a donarmi una panacea miracolosa, mi<br />
hanno consegnato un bastone di legno dicendomi<br />
«Prendilo, vedrai che con questo farai meno fatica.»<br />
Ho afferrato quel pezzo di legno lungo e ricurvo<br />
e più per dar loro soddisfazione che per vera convinzione,<br />
mi sono rimessa in piedi riprendendo la<br />
marcia. Il bastone non era né magico né salvifico<br />
ed a me continuava a far male ovunque, ma non<br />
potevo deluderli e nemmeno continuare a fare la<br />
30 31
lamentosa. In fin dei conti era una bella gita sognata<br />
per tanto tempo e non sarei stata di certo io a<br />
rovinarla anche a costo di morirci su quella <strong>montagna</strong>.<br />
Durante le due ore che mi hanno separato<br />
da questa nuova pausa lamentosa non ho aperto<br />
bocca sfoderando sorrisi da copertine e quando il<br />
fiato me lo permetteva, ho perfino scherzato e raccontato<br />
storielle divertenti. I miei due straordinari<br />
compagni di viaggio sembravano felici di vedermi<br />
contenta e spensierata ed io, devo ammetterlo, lo<br />
ero altrettanto di osservare loro tanto entusiasti e<br />
sereni.<br />
Poi ho ceduto di schianto. A meno di dieci minuti<br />
dalla vetta, con negli occhi il rifugio poco distante,<br />
ho mollato. Mi sono seduta su una roccia in<br />
mezzo ad un campo ed ho alzato bandiera bianca.<br />
I piedi scoppiavano dentro i miei fiammanti scarponcini<br />
hitech e le gambe esplodevano di acido lattico.<br />
Vesciche grandi come padelle riempivano le<br />
piante dei miei piedi. Ovviamente si è ripetuta l’ennesima<br />
scena dei miei soccorrittori personali che<br />
accorrevano al mio dolorante capezzale. Anche se<br />
stavo malissimo li ho tranquillizzati dicendo loro di<br />
proseguire, che li avrei raggiunti nel giro di pochi<br />
minuti. Loro, seppur riluttanti si sono fatti convincere<br />
dalla mia falsa tranquillità e si sono incamminati<br />
diventando ogni secondo più lontani e piccoli.<br />
Ogni tanto si giravano a guardarmi, probabilmente<br />
per sincerarsi se fossi ancora viva, ed io li salutavo<br />
fingendo entusiasmo e mettendo in mostra energie<br />
ormai consunte.<br />
Ora sono qui, sola in mezzo al nulla in contatto<br />
diretto con me stessa, la mia fatica che pian piano si<br />
acqueta ed il respiro si fa più cadenzato e rilassato.<br />
Sembra che le cose lentamente vadano un po’ meglio<br />
ma non voglio illudermi. Per la prima volta da<br />
quando sono partita volgo lo sguardo da me stessa<br />
e mi guardo attorno. È bellissimo e nemmeno me<br />
n’ero accorta. Sono in mezzo ad un prato fiorito<br />
di mille colori, poco lontano alcune mucche fanno<br />
tintinnare i loro campanacci, lungo il sentiero altri<br />
arrampicatori salgono disinvolti, ci sono insetti<br />
che volano qua e là e si posano delicatamente sui<br />
fiori, boschi di abeti altissimi riempiono le vette<br />
tutt’attorno fino a lasciare timidamente spazio alla<br />
roccia nuda che quotidianamente, da sempre, sferza<br />
il cielo. Il sole mi scalda il corpo dolorante, da<br />
qualche minuto si è alzata una brezza leggera che<br />
mi accarezza il viso. Non posso dire di stare bene,<br />
ma sto decisamente meglio. Non so se sia la fatica<br />
oppure il luogo, ma sento profumi e percepisco colori<br />
più intensi. Forse è solo la lucida agonia di una<br />
camminatrice fallita o forse è la vera magia <strong>della</strong><br />
<strong>montagna</strong>, la sua <strong>voce</strong> che decide di farsi sentire,<br />
quella che mi sono sempre rifiutata di ascoltare e<br />
che ora mi si presenta con gli interessi. È un conto<br />
32 33
che pago volentieri, che non avrei mai immaginato<br />
di dover saldare con tanto piacere.<br />
Istintivamente chiudo gli occhi ed ascolto ciò<br />
che mi sta attorno. Acqueto il senso <strong>della</strong> vista ponendo<br />
attenzione a ciò che sentono le mie orecchie<br />
abituate al suono stridulo <strong>della</strong> città. Trascorro<br />
qualche minuto in silenzio e respiro lentamente.<br />
Ecco! Posso ascoltare nitidamente lo scorrere<br />
deciso e leggero di un torrente, immagino le sue<br />
limpide e gelide acque che rapide ed inesorabili<br />
scendono a valle, percepisco i suoi piccoli salti e le<br />
sue evoluzioni attorno a massi e radici. Il rumore<br />
del vento si fa tutt’uno con le altre voci <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />
facendole risuonare: i rami che si muovono,<br />
i fili d’erba che si piegano, le pietre che intonano<br />
incomprensibili canti.<br />
Anche dentro di me, sotto la scorza irrigidita di<br />
cittadina convinta, risuona una <strong>voce</strong> nuova, timida<br />
eppure persistente e gradevole. Non so definirla,<br />
ancora non ce la faccio.<br />
Sono sola eppure mi sento in compagnia, mi sento<br />
parte di qualcosa. Non so spiegarmelo e nemmeno<br />
voglio farlo. Preferisco continuare a godere<br />
di queste meravigliose sensazioni e non pensare<br />
inutilmente. Ci sarà tempo per razionalizzare, non<br />
adesso.<br />
<strong>La</strong> stanchezza mi sta sempre qui accanto, ma<br />
adesso lascia spazio a tante altre cose e non è più la<br />
più importante.<br />
Mi è venuta fame, una fame da lupo. Meglio che<br />
mi sbrighi, non vorrei che su al rifugio finissero la<br />
polenta ed il formaggio. Mi sembra perfino di sentire<br />
il profumo di qualcosa che cuoce alla brace, ma<br />
sono certa si tratti di un miraggio culinario. Non<br />
importa, l’essenziale è muoversi il prima possibile.<br />
Ho perduto fin troppo tempo dietro alla mia indolenza<br />
per consegnarle altri istanti <strong>della</strong> mia giornata.<br />
Mi infilo le calze e poi, dolorante, gli scarponi<br />
senza mai smettere di guardarmi attorno estasiata,<br />
stranamente ed imprevedibilmente felice. Chi<br />
l’avrebbe mai detto<br />
Alzo il mio stanco fondoschiena dalla poltrona<br />
di roccia che m’ha sostenuta, afferro il mio bastone<br />
e mi rimetto in cammino. Il dolore e la fatica si fanno<br />
subito riconoscere eppure qualcosa è cambiato,<br />
ho il sorriso sulla faccia ed un entusiasmo che non<br />
mi conoscevo.<br />
Ancora pochi minuti e sarò alla baita, anche se<br />
ormai ho capito che il mio viaggio è appena iniziato.<br />
34 35
Giovanni Baccanelli<br />
<strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />
Anna era una ragazza ipovedente: sin da piccola i<br />
suoi rapporti con il mondo erano stati dettati principalmente<br />
dal contatto con le mani e dall’ascolto<br />
dei suoni.<br />
<strong>La</strong> magia <strong>della</strong> medicina moderna le aveva donato<br />
la possibilità di distinguere le luci dalle ombre,<br />
ma non aveva potuto stravolgere il destino che la<br />
natura le aveva crudelmente riservato.<br />
Per sopperire a questa mancanza, il suo piccolo<br />
ed esile corpo aveva sviluppato tutti i propri sensi,<br />
facendo sì che la bambina potesse conoscere il<br />
mondo che la circondava, anche senza lo strumento<br />
principale.<br />
Aveva così imparato a distinguere mamma e<br />
papà dalla <strong>voce</strong>, prima ancora che dallo sguardo, e<br />
ne poteva percepire la presenza anche soltanto dal<br />
saluto.<br />
Riconosceva la pelle liscia e calda del volto e del<br />
petto <strong>della</strong> madre e sapeva capire se le braccia che<br />
la tenevano stretta erano quelle del padre, uniche e<br />
diverse da tutte le altre che, affettuosamente, cercavano<br />
quotidianamente di sostenerla.<br />
Non poche furono le difficoltà che quei genitori<br />
dovettero affrontare: vedevano gli altri bambini<br />
crescere sani e forti, mentre la loro piccola doveva<br />
farsi strada con tutta la grinta che possedeva per<br />
muoversi tra gli scogli posti lungo il suo cammino.<br />
Tuttavia ogni volta che l’ostacolo veniva superato,<br />
la gioia ripagava tutte le sofferenze patite: fu<br />
perciò stupendo vederla impugnare il cucchiaino<br />
per la pappa, battere le mani a ritmo di musica e<br />
muovere i primi passi senza nessun aiuto.<br />
Anna aveva il dono di portare serenità: non vi<br />
era membro <strong>della</strong> famiglia che, al suo arrivo, non<br />
manifestasse un irrefrenabile desiderio di dedicare<br />
un po’ del proprio tempo alla piccola, facendola<br />
giocare e raccontando storie immaginarie.<br />
Vi era un particolare cugino, Niccolò, che non<br />
aspettava altro che il termine <strong>della</strong> propria cena per<br />
salire le scale, bussare alla porta degli zii e sedersi<br />
con la cuginetta a giocare.<br />
Giorno dopo giorno tale momento divenne<br />
un’abitudine e la bambina si affezionò a lui al punto<br />
che riusciva a riconoscerne la <strong>voce</strong> intensa e le<br />
grandi mani: quando le stava accanto Niccolò le<br />
parlava in continuazione con tono delicato e le<br />
porgeva ogni sera un giocattolo diverso, inventando<br />
per ognuno dei personaggi una storia.<br />
Man mano che i due crescevano il loro legame<br />
si fece sempre più forte: Anna si era abituata alla<br />
presenza di Niccolò, che era diventato un fratello,<br />
se non di più.<br />
36 37
Con la sua calma riusciva a tranquillizzarla anche<br />
quando lei si faceva sopraffare dalle difficoltà <strong>della</strong><br />
vita: Anna gli confidava le sue paure, dapprima<br />
nel linguaggio ingenuo dei bambini ed in seguito in<br />
quello consapevole ed insicuro degli adolescenti, e<br />
Niccolò le affrontava con innata naturalezza, senza<br />
illuderla, ma dandole la certezza che vi era in lei la<br />
forza per affrontare ogni asperità e che, in qualsiasi<br />
situazione, avrebbe potuto contare sulla sua presenza.<br />
Anna era ormai una ragazza, quando per la prima<br />
volta conobbe il dolore dovuto all’amore: aveva<br />
conosciuto un ragazzo che si era dimostrato gentile<br />
verso di lei, ma non aveva ricambiato i suoi sentimenti.<br />
<strong>La</strong> ragazza, convinta che fosse a causa del suo<br />
handicap fisico, era crollata emotivamente, e solo<br />
l’intervento del cugino, divenuto ormai uomo, la<br />
risollevò.<br />
Niccolò capì infatti che l’unica soluzione plausibile<br />
era donarle nuovamente coscienza del suo essere<br />
speciale: la prese con sé e la portò sulla <strong>montagna</strong><br />
che lui tanto amava.<br />
Quale posto migliore del bosco silenzioso per<br />
parlare e per ascoltare la <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong> E<br />
chi, meglio di Anna, avrebbe potuto coglierne ogni<br />
più piccola sfumatura, grazie all’udito sopraffino<br />
che la contraddistingueva<br />
C’era, a pochi chilometri da casa loro, una piccola<br />
conca in cui era incastonato un piacevole lago: era<br />
primavera e, grazie al disgelo, i torrenti che scendevano<br />
dalle cime erano assai floridi e, con il loro<br />
apporto costante di acqua, avevano fatto sì che il<br />
lago raggiungesse dimensioni mai viste prima.<br />
Anna poteva scorgere solo in parte la forma del<br />
lago che si estendeva ai suoi piedi, ma nel silenzio<br />
del luogo riusciva a percepire lo scroscio dell’acqua<br />
che vi si immetteva.<br />
Niccolò allora la prese per mano e cominciò a<br />
condurla proprio lungo uno dei corsi d’acqua, che<br />
giungeva al lago dopo un lungo percorso attraverso<br />
il bosco.<br />
- Perché mi hai portato qui - gli domandò Anna.<br />
- Per ascoltare.<br />
- E chi dovrei ascoltare se non stai parlando -<br />
replicò Anna un po’ irritata.<br />
- Non devi ascoltare me - rispose Niccolò - c’è<br />
un intero mondo che si sta risvegliando e che ti sta<br />
parlando. Ascoltalo: è tutto intorno a te!<br />
Anna si fermò, in silenzio, riflettendo dubbiosamente<br />
sulle parole del cugino.<br />
Non riusciva ad afferrarne il senso, in quanto le<br />
sembrava che, per la prima volta, egli la stesse trattando<br />
come una bambina.<br />
Niccolò si rese conto del pensiero di Anna a causa<br />
dell’espressione stranita che le si era dipinta sul<br />
38 39
volto.<br />
Allora le andò vicino, le appoggiò le mani sulle<br />
spalle e le sussurrò: fidati di me. E dimmi quello<br />
che senti...<br />
Anna si lasciò convincere e cominciò a concentrarsi<br />
sui suoni che le giungevano alle orecchie.<br />
Dapprima non vi era altro che lo scorrere del<br />
ruscello alla sua sinistra, però, a malapena a coprire<br />
i pensieri che ronzavano nella sua testa e continuavano<br />
ad insistere sul fatto che era la sua diversità<br />
ad allontanarla dal ragazzo di cui si era innamorata.<br />
Ma dopo alcuni istanti di contemplazione assoluta<br />
ecco che nuove vibrazioni poterono essere decifrate<br />
dalla sua mente: si trattava del ritmico battere<br />
del picchio, che si alternava all’allegro canto <strong>della</strong><br />
pernice.<br />
Anna teneva gli occhi chiusi e si lasciava guidare<br />
dal cugino, mentre i suoi pensieri si diradavano<br />
sempre più per lasciare spazio alle parole di quel<br />
magico mondo.<br />
Ora sapeva distinguere anche i diversi suoni prodotti<br />
dal torrente: quello sciabordante nei tratti più<br />
ripidi, in cui l’acqua si scontrava con le rocce con<br />
maggior velocità, e quello tenue e delicato dei rari<br />
tratti in cui l’acqua scorreva senza ostacoli.<br />
Sembrava la rappresentazione <strong>della</strong> sua vita, vissuta<br />
sempre alla massima velocità con rari momenti<br />
di pausa, alternati ad attimi in cui qualcosa giunge-<br />
va a creare caos, come nel bosco il grido dell’astore,<br />
il rapace in caccia, che poco dopo ella poté sentire.<br />
Passarono ancora alcuni minuti in cammino, silenziosi,<br />
finché giunsero nei pressi di una radura, al<br />
cui centro si ergeva, solitario, un abete bianco <strong>della</strong><br />
notevoli dimensioni.<br />
Si sedettero ai suoi piedi, appoggiandosi entrambi<br />
alla spessa corteccia dell’albero, <strong>della</strong> cui resina<br />
Anna poteva riconoscere l’odore, proprio mentre<br />
da un altro tratto di bosco giungeva il canto modulato<br />
del gallo forcello in amore.<br />
Niccolò lasciò che tale canto si spegnesse nella<br />
lontananza, prima di chiedere alla cugina:<br />
- Allora, dimmi che ti ha raccontato questo mondo.<br />
- Dovresti saperlo - rispose Anna - penso abbia<br />
parlato anche a te allo stesso modo.<br />
- Ne dubito - ribatté Niccolò - credo di aver sentito<br />
la metà delle parole che tu hai potuto ascoltare.<br />
Solo allora Anna capì cosa aveva voluto dirle<br />
Niccolò con quella muta passeggiata...<br />
Rimasero lì alcuni minuti: mentre Niccolò giocava<br />
silenziosamente con i fili d’erba e le piccole<br />
pigne che raccoglieva a sé, Anna pensava.<br />
Pensava che ogni cosa che la vita le toglieva in<br />
un modo, la natura cercava di restituirgliela in un<br />
altro: così alle immagini, si sostituivano i suoni e i<br />
profumi, al bagliore accecante del lampo, il frastuo-<br />
40 41
no del tuono, al brillio lontano delle stelle, il brusio<br />
silenzioso <strong>della</strong> notte, alla penombra intimidatoria<br />
del bosco, l’odore accogliente del muschio.<br />
E all’amore fugace di un ragazzo, l’affetto assai<br />
più profondo di un cugino.<br />
Gli si accoccolò vicino e lasciò che a parlargli<br />
fossero il vento che sibilava tra i sottili aghi dell’albero<br />
e le cicale che, nascoste, esprimevano il loro<br />
benvenuto all’ormai imminente estate, in una sinfonia<br />
alla quale contribuivano tutti gli elementi naturali<br />
presenti in quel piccolo mondo.<br />
Pur in tutte le sue variazioni, un’unica tonalità<br />
emergeva da quei suoni ed era quella del ringraziamento,<br />
che Anna rivolgeva a Niccolò per averle<br />
donato interi istanti di beatitudine, immersa in un<br />
ambiente che la valorizzava e a cui, da allora, avrebbe<br />
dato l’importanza che meritava.<br />
Marco Camisani<br />
Un artista in viaggio verso Borno<br />
Giovita lavorava, da quando era molto giovane,<br />
come pittore di paesaggi. Nello studio di vicolo<br />
Oscuro a Brescia, faceva quadri di località turistiche<br />
su commissione; i suoi clienti erano avvocati,<br />
impiegati ed imprenditori. Nonostante la sua vita<br />
fosse più che decorosa, Giovita non era felice, in<br />
quanto disprezzava i suoi clienti, persone mediocri<br />
che non capivano del tutto la sua arte.<br />
Sopravviveva, perciò, con un malessere diffuso,<br />
che a settimane alterne gli procurava gravi momenti<br />
di abbattimento. Si sforzava di far trascorrere il<br />
tempo, nell’attesa di una fortuna che avrebbe ricompensato<br />
tutti i suoi meriti.<br />
Il 21 maggio 1838, mentre stava lavorando nel<br />
suo studio all’opera «Paesaggio lacustre», prese una<br />
decisione: «Vado a Borno, per vedere il paese natale<br />
di mio padre». Infatti le sue origini erano camune,<br />
in quanto entrambi i genitori erano bornesi. Poi<br />
avevano deciso di trasferirsi in città, e così Giovita<br />
era cresciuto a Brescia e non gli era mai capitato di<br />
raggiungere il paese che aveva sentito tante volte<br />
nominare in famiglia. Di solito le sue mete di lavoro<br />
erano i laghi, dove abbozzava dei disegni che poi<br />
sviluppava in studio, al fine di realizzare quadri ad<br />
42 43
olio. Ma in Valcamonica non c’era mai stato.<br />
Il 14 luglio fu il suo primo giorno di viaggio. Alle<br />
ore 17 la diligenza partì da Brescia, precisamente<br />
da Porta San Giovanni, detta anche <strong>della</strong> Pallata.<br />
A fine giornata raggiunse la prima tappa: Iseo. <strong>La</strong><br />
mattina del giorno successivo c’era il sole: salì sul<br />
battello con direzione Pisogne. Percorrendo nella<br />
sua lunghezza lo specchio d’acqua, Giovita si sforzava<br />
di allontanare qualsiasi pensiero, per poter osservare<br />
ciò che lo circondava. Ad ogni onda il suo<br />
sguardo identificava delle nuove inquadrature che<br />
avrebbero potuto diventare degli ottimi quadri per<br />
i suoi clienti. <strong>La</strong> regola l’aveva imparata ancora a<br />
scuola, ed ora se la ripeteva mentalmente: l’importante,<br />
prima di iniziare a dipingere, è scegliere l’angolazione<br />
giusta e il momento <strong>della</strong> giornata migliore<br />
per la luce. Questo è necessario per riuscire<br />
ad entrare in sintonia con un determinato ambiente<br />
e per far sì che il luogo inizi a comunicare il suo<br />
messaggio più delicato. Non tutti riescono a sentire<br />
la <strong>voce</strong> di una località: è necessario infatti imparare<br />
ad ascoltarla, rendendosi umili e complici.<br />
Giunto a Pisogne soggiornò una notte alla locanda<br />
Bellavista, proprio in riva al lago.<br />
All’alba un’altra diligenza lo aspettava per risalire<br />
la strada che costeggiava il fiume Oglio. Passò<br />
numerosi borghi, cascine e piccoli gruppi di case.<br />
Superò Darfo, Cogno, Cividate ed arrivò a Male-<br />
gno. Qui scaricò le sue borse, quella contenente<br />
biancheria e provviste, e l’altra, custodita con particolare<br />
attenzione, con all’interno colori, taccuini e<br />
vari strumenti di lavoro. <strong>La</strong> mulattiera si inerpicava<br />
nel bosco ed avere una strada ombreggiata era già<br />
un grende vantaggio, specialmente per alleviare un<br />
poco gli sforzi all’asino che gli avevano affidato per<br />
poter continuare il viaggio.<br />
Anche Giovita era affaticato: aveva posticipato il<br />
viaggio a Borno di anno in anno, ma ora si era deciso<br />
a compierlo, perché aveva bisogno di un’esperienza<br />
nuova; non sapeva ancora precisamente in<br />
che senso, ma era convinto che dopo essere stato a<br />
Borno qualcosa sarebbe cambiato.<br />
Mentre faceva questi pensieri, continuava a salire<br />
la <strong>montagna</strong>. Gli capitava di affiancare casolari,<br />
fare tratti di strada al sole, per poi rientrare nella<br />
fitta pineta. Ad un certo punto, ed erano le ore 16<br />
del giorno 18 luglio 1838, il bosco iniziò a diradarsi<br />
sempre più: Giovita alzò lo sguardo e vide le prime<br />
case di Borno. Scorse, vicino alle abitazioni, qualche<br />
abitante indaffarato nelle proprie attività domestiche.<br />
Il sole era ancora alto nel cielo e sull’altopiano<br />
si stendeva una luce pomeridiana morbida e calda.<br />
Ai margini dell’abitato iniziavano i boschi: lo impressionò<br />
particolarmente la varietà dei colori delle<br />
piante. Osservando con attenzione, come lui era<br />
abituato a fare, percepiva decine di verdi differenti,<br />
44 45
per timbro e tonalità. Oltre i boschi iniziavano i<br />
prati, che salivano i pendii delle montagne e scomparivano<br />
nelle rocce delle cime. Il cielo era limpido:<br />
solo qualche nuvola creava delle zone d’ombra nel<br />
paesaggio. Inoltre vedeva pastori con i loro animali<br />
che attraversavano i prati e contadini che falciavano<br />
l’erba ed altri ancora che tornavano al paese.<br />
E qui, inaspettatamente, visse un momento memorabile:<br />
gli studiosi che nei decenni successivi<br />
hanno cercato di ricostruire la sua vita, definiscono<br />
quell’attimo come il punto di svolta <strong>della</strong> sua arte.<br />
Infatti, mentre osservava quella veduta inaspettata,<br />
in quanto prima di allora non aveva mai visto neanche<br />
un’immagine di Borno, gli sembrò che tanti<br />
nodi si sciogliessero. Considerando nel suo complesso<br />
il paesaggio che aveva davanti, capì come<br />
questo fosse un grande palcoscenico. Si soffermava<br />
per alcuni momenti a guardare le vette; poi abbassava<br />
lo sguardo ed osservava con attenzione i<br />
tranquilli movimenti delle persone. Sembrava che<br />
questi uomini e queste donne lavorassero con un<br />
ritmo perfetto, essendo parte integrante di un ecosistema<br />
equilibrato.<br />
Dal punto di vista estetico, infatti, quell’ambiente<br />
lo incantava e la cosa che più lo affascinava erano<br />
proprio le persone, perché viste così, in quel contesto<br />
naturale, dimostravano quanto la figura umana<br />
fosse necessaria, per dare sostanza e realtà alla sce-<br />
na. Si ricordò quindi del lavoro di taglialegna di suo<br />
padre e <strong>della</strong> nobiltà di quel mestiere, come di tutti<br />
quelli che vengono fatti in <strong>montagna</strong>. Sentì che<br />
quel panorama gli stava parlando come mai prima<br />
nessun oggetto era riuscito; la <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />
gli sussurrava che quello che stava pensando non<br />
doveva rimanere vano: da quel momento avrebbe<br />
dovuto far entrare nei suoi quadri l’armonia possibile<br />
tra la natura e l’uomo, che gli si era mostrata<br />
in tutta la sua misteriosa semplicità, in modo che<br />
attraverso le sue opere d’arte, la <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />
potesse comunicare a chiunque la sua essenza<br />
di pace e serenità.<br />
I riferimenti ai luoghi, alle persone ed ai fatti appartengono<br />
al mondo <strong>della</strong> fantasia e non sono che strumenti necessari<br />
per l’elaborazione poetica di questo racconto.<br />
46 47
Giuliana Colombo<br />
<strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />
Questa che leggerete non sarà, ahimè, storia di<br />
alte vette, di profumi di boschi, di aquile che spiccano<br />
il volo e di montagne valicate fra ghiacciai e<br />
pendii.<br />
Sarà storia di vita e, come spesso accade quando<br />
si parla di vita, sarà storia, ahimè, anche di morte.<br />
Semplici pensieri dedicati ad una piccola uditrice<br />
alla quale riservo ogni mia parola e per la quale respiro<br />
ogni istante.<br />
«... Dunque piccola mia, non sai quanto vorrei<br />
essere capace di raccontarti la <strong>montagna</strong>, di descriverti<br />
la fatica e il sudore e insieme la gioia di una<br />
scalata, non immagini quanto vorrei portarti lassù<br />
e contemplare con te l’infinito.<br />
Ma, vedi, a malapena distinguo una vetta da<br />
un’altra, non ho mai gli scarponi adeguati e se ci<br />
imbattiamo in una salita ho il fiato solo per chiedere<br />
dell’acqua.<br />
Quando ero piccola, avevo una madre che ha<br />
udito tutte le voci <strong>della</strong> <strong>montagna</strong>, ha respirato la<br />
fatica dell’alpeggio d’estate e il rigido freddo dell’inverno,<br />
ha vissuto la guerra nascondendo gli uomini<br />
che la <strong>montagna</strong> la difendevano e in quella stessa<br />
<strong>montagna</strong>, una notte d’estate, qualcuno bruciò la<br />
casa in cui era nata.<br />
Ma devi sapere che sulla stessa terra, terra di<br />
<strong>montagna</strong>, quella casa venne ricostruita, per ricominciare.<br />
Avevo una madre che, ancora bambina, sapeva<br />
andare al pascolo, giocava nei prati e nei boschi<br />
senza freni e senza asfalto: sarebbe diventata una<br />
donna forte e temprata dalla durezza <strong>della</strong> vita, imparando<br />
che di <strong>montagna</strong> si vive, ma di <strong>montagna</strong><br />
si può anche morire.<br />
Avevo un padre che in un’altra <strong>montagna</strong>, lontano<br />
da qui, combatté da alpino una stupida guerra<br />
di cui non ti ho mai parlato, ma avremo tempo e un<br />
giorno ti racconterò.<br />
C’è un cappello da qualche parte in casa, a ricordo<br />
di quegli anni in cui era Ufficiale di qualche<br />
cosa che non ricordo, ma ci sono anche numerosi<br />
spartiti e vecchi dischi di musica, la musica <strong>della</strong><br />
<strong>montagna</strong>. «... è vero, starai pensando, tu nemmeno<br />
sai intonare una ninna nanna, cantiamo Bella Ciao<br />
e io devo finire tutto il ritornello...» ma sai, lui conosceva<br />
a menadito le note di ogni canto. Le sue<br />
dita e la sua <strong>voce</strong> componevano e deliziosamente<br />
nasceva musica.<br />
Sapeva cantarla davvero la <strong>montagna</strong>, la narrava<br />
in ogni sua espressione, ne descriveva gli aspetti<br />
ostili e gli incantevoli profili.<br />
48 49
Montagna, terra di confine, terra confinata.<br />
Piccola mia siamo nate qui.<br />
Avevo una madre che non ha avuto il tempo di<br />
raccontarmi tutto quello che so di lei, lo ha dovuto<br />
fare qualcun altro, lei se ne è andata prima che io<br />
potessi accorgermi di quanto il suo coraggio e la<br />
sua umiltà scaturissero proprio dai saldi valori fondati<br />
sulla fatica.<br />
Avevo un padre che non ha avuto il tempo di<br />
spiegarmi tante cose, che mi ha lasciato la sua musica<br />
e se n’è andato prima che ti potesse caricare<br />
sulle spalle e portarti in cima, lassù, dove io forse<br />
non arriverò mai.<br />
Montagna, terra di emozioni, terra che emoziona.<br />
È questa nostra aria che fa la differenza, tu la<br />
respiri e in un attimo senti una pienezza nell’anima<br />
che solo chiudendo gli occhi e inspirando con tutta<br />
la forza che possiedi riesci a riconoscerla. Come<br />
quando cerco di insegnarti a trattenere il respiro<br />
per soffiare le bolle. Respirare... è semplice e automatico,<br />
solo che qui riesce meglio.<br />
Me lo raccontava sempre mio padre di quanto è<br />
essenziale ricordarsi che nulla è per caso, che Dio<br />
ha pensato a tutto, soprattutto qui, dove gli inverni<br />
sembrano non avere fine e la magnificenza del cielo<br />
ha mille venature.<br />
Vedi, io dovrei saperti descrivere gli amici anima-<br />
li che popolano la <strong>montagna</strong>, ma al solito, confondo<br />
stambecchi e camosci, e quando credo di avere<br />
finalmente trovato un onorato porcino, stai tranquilla<br />
che si tratta di un’altra cosa.<br />
Ma anche io, piccola mia, rea di non sapere i numeri<br />
dei sentieri e di non conoscere la provenienza<br />
di abeti e bucaneve, ho imparato che senza questa<br />
<strong>montagna</strong> fatico a trovare la pace dentro l’anima,<br />
che è una cosa un po’ complicata da capire alla tua<br />
età... ma non temere, avrò sempre modo e tempo<br />
per raccontarti.<br />
E quando volgo lo sguardo oltre la balaustra del<br />
nostro balcone, ma proprio oltre dico, anche se non<br />
ho idea di quali montagne compongano l’Adamello,<br />
un senso di serenità riempie il mio cuore.<br />
Quando camminiamo insieme nel bosco, e provo<br />
goffamente a raccogliere pigne e foglie cercando<br />
di descriverne colori e profumi, farei meglio a<br />
rivelarti le emozioni che mi attraversano: quanto<br />
bisogno avrai nella vita, amore mio, <strong>della</strong> pace che<br />
solo in questi luoghi si riesce a scoprire.<br />
Quando viene la sera e poi la notte e mi chiedi<br />
come mai le stelle brillano di luce e noi non le<br />
possiamo toccare, anch’io mi stupisco di quanto<br />
sembrano vicine e di solito ti rispondo che sono<br />
nel cielo, tu non capisci e mi chiedi se ci possiamo<br />
andare.<br />
Un giorno piccolina, non ora.<br />
50 51
Montagna, terra di doni, terra donata.<br />
Sai, la gente crede di possedere ciò che calpesta,<br />
che sfiora, che tocca con le sue mani, che coltiva,<br />
che raccoglie, perfino ciò che distrugge; non è esattamente<br />
così, guarda i boschi, i prati, i fiori, niente<br />
ci appartiene e questo lo si impara solo se si rispetta<br />
quanto ci circonda.<br />
Te lo dovrai ricordare sempre, anche se la vita ti<br />
porterà lontana da questa terra di <strong>montagna</strong>, porta<br />
con te il rispetto per quello che ti attornia, l’instancabile<br />
interesse per quello che vedrai, che potrai<br />
toccare con le tue mani. Rispetta ciò che non<br />
ti appartiene ma che avrai il beneficio di vivere e di<br />
respirare.<br />
Non lo so se avrò il coraggio di portarti a vedere<br />
il sole che nasce in cima ad una vetta, ma so<br />
che sarebbe bello, sarebbe dolce, tu mi subisseresti<br />
di domande, come sei solita fare, alle quali poche<br />
troverebbero sensati riscontri, ma, paghe di tanta<br />
bellezza, ci butteremmo sull’erba con il naso rivolto<br />
al cielo, quel solito cielo così lontano, ma mai<br />
abbastanza distante da non poter essere la culla di<br />
ogni nostro pensiero.<br />
Spero di avere il coraggio di lasciare che sia tu a<br />
risalire e valicare la nostra <strong>montagna</strong>, di ascoltare<br />
la sua <strong>voce</strong>, di sentire la fatica premiata all’arrivo,<br />
spero che ogni salita che incontrerai valga la pena<br />
di essere percorsa, scoprendo poi semplicemente<br />
che tutte le ascese hanno un traguardo che merita<br />
di essere raggiunto, forza piccolina... come quando<br />
sali sullo scivolo dalla parte più difficile e una volta<br />
in cima sei pienamente soddisfatta di te, la vita, vedrai,<br />
è fatta un po’ così.<br />
Spero tu sia sempre testimone di spettacoli meravigliosi<br />
come quello a cui partecipiamo ogni<br />
mattina quando apriamo la finestra e cerchiamo di<br />
capire se pioverà, annusando l’aria e guardando se<br />
sopra San Fermo si sono formate delle nuvole.<br />
San Fermo: non ti ci ho ancora portato, ma con<br />
tua grande sorpresa ne conosco il nome e tra l’altro<br />
anche la storia che è storia di santi: anche di questo<br />
parleremo un giorno.<br />
Ciò di cui sono certa, però, è che per tutta la vita<br />
proverò a raccontarti la musica che ho nel cuore, e<br />
ricordarti che la <strong>voce</strong> più incantevole che la <strong>montagna</strong><br />
ci offre è il suo maestoso silenzio.»<br />
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<strong>La</strong>ura Comassi<br />
<strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />
«Don, don, don...»<br />
Aprii gli occhi e mi svegliai dal mio dormiveglia<br />
nel sentire quel suono. Il sole era appena sorto ed<br />
io mi trovavo ancora in quella cella buia, in cui filtravano<br />
solo pochi raggi. Mi alzai in piedi, come per<br />
avvicinarmi al suono di quella campana che, come<br />
una <strong>voce</strong>, mi chiamava a sé verso l’alto. Alzai lo<br />
sguardo e vidi che sopra di me c’era la stessa grata<br />
<strong>della</strong> sera precedente. Questa volta non c’era via di<br />
scampo, non potevo proprio fuggire. Forse sarei rimasto<br />
lì per sempre, come mi avevano minacciato.<br />
D’altronde per loro ero soltanto un ladruncolo e<br />
nessuno mi credeva. Eppure, in un angolo remoto<br />
del mio cuore, speravo che il suono di quella campana<br />
mi avrebbe aiutato ancora una volta, come<br />
aveva già fatto in passato.<br />
Non ricordo praticamente nulla <strong>della</strong> mia prima<br />
infanzia, non ho mai conosciuto i miei genitori. Da<br />
quando sono arrivato in questa valle, ho sempre<br />
vissuto nel bosco. Mi aveva adottato un gruppo<br />
di briganti, quando ero solo un bambino. Come<br />
loro avevo imparato a guadagnarmi da vivere, rubacchiando<br />
qua e là tra la gente del villaggio o depredando<br />
gli sfortunati che incrociavano il nostro<br />
cammino. <strong>La</strong> gente del villaggio non mi sopportava,<br />
mi chiamavano «cane» e mi picchiavano quando<br />
mi coglievano con le mani nel sacco. Non conoscevo<br />
né gentilezza né amore perché nessuno me<br />
li aveva insegnati. Pensavo che quello fosse l’unico<br />
modo in cui potesse vivere un orfano come me.<br />
Ma un giorno tutto cambiò. Alle prime luci di<br />
un mattino di primavera mi recai in una zona <strong>della</strong><br />
valle che non avevo ancora esplorato. Là vidi una<br />
grande fattoria, che sembrava ricca e molto accogliente.<br />
«Un’ottima preda per me!» pensai. Mi accorsi<br />
che nell’aia c’erano molti animali, tra cui un<br />
paio di galline. Pensai che dovessero essercene altre.<br />
Così mi avvicinai quatto quatto con l’intenzione di<br />
rubare alcune uova, che mi avrebbero permesso di<br />
sopravvivere ancora per un altro giorno. Mi guardai<br />
attorno e vidi che c’erano degli uomini poco lontano.<br />
Stavano pascolando il bestiame. Conoscevo<br />
bene i trucchi del mestiere di ladro e sapevo come<br />
non far scoprire loro la mia presenza. Avanzai nascondendomi<br />
tra i cespugli e ben presto mi trovai<br />
di fronte alla porta di legno del pollaio.<br />
In quel momento sentii una folata di vento, accompagnata<br />
da un «don, don, don...». Ebbi un attimo<br />
di esitazione perché non avevo mai sentito un<br />
suono simile e mi aveva spaventato. Presto però<br />
tornai in me e stavo già entrando nel pollaio , quando<br />
sentii una <strong>voce</strong> di donna dietro di me:<br />
54 55
«Ehi, ragazzino! Che cosa pensi di fare»<br />
Subito mi voltai per fuggire, ma il mio sguardo si<br />
fermò sul suo viso. Mi accorsi immediatamente che<br />
non c’era traccia di rabbia o di odio nei suoi occhi<br />
e ciò mi lasciò perplesso. Così rimasi per un attimo<br />
a guardarla. Era una signora di mezza età, piuttosto<br />
bassa e un pò cicciottella, con gli occhi color del<br />
cielo e i biondi capelli che spuntavano dalla cuffietta<br />
bianca che portava sulla testa. Tra le mani reggeva<br />
un cestino vuoto di vimini, che probabilmente<br />
avrebbe riempito con le uova del pollaio. Anche lei<br />
era rimasta immobile a guardarmi, con un’espressione<br />
che allora non conoscevo, ma che poi capii<br />
essere compassione. Arrivò un’altra folata di vento,<br />
accompagnata dallo stesso suono che avevo udito<br />
prima. Di colpo fu come se mi svegliassi da un sogno<br />
e mi resi conto <strong>della</strong> posizione in cui mi trovavo:<br />
ero stato scoperto. Così scappai con tutta la<br />
forza che le mie gambe mi permettevano. Intanto<br />
la donna gridava:<br />
«Aspetta, non fuggire!»<br />
<strong>La</strong> sentii chiamare gli uomini al pascolo e li incitava<br />
ad inseguirmi. Poco dopo me li sentii addosso,<br />
erano in tre. Con le loro grandi mani mi avevano<br />
catturato. Mi dimenavo come un animale in gabbia,<br />
nonostante uno di loro cercasse di rassicurarmi:<br />
«Stai calmo ragazzo. Non vogliamo farti alcun<br />
male! <strong>La</strong> signora vuole solo parlarti.»<br />
Non credetti alle loro parole, abituato com’ero<br />
alle menzogne dei miei compagni <strong>della</strong> foresta, così<br />
continuavo a strattonare i tre uomini, cercando una<br />
via d’uscita. Mi portarono davanti alla porta di casa.<br />
Là mi aspettava la signora di prima. <strong>La</strong> sua espressione<br />
non era mutata e, nel vedermi, mi disse:<br />
«Eccoti qui! Ti va di venire in casa con me Ti<br />
darò del pane e marmellata. I miei nipoti ne sono<br />
particolarmente ghiotti, dicono che le mie conserve<br />
sono le migliori di tutta la valle.»<br />
Di colpo mi bloccai, mentre gli uomini mi lasciavano<br />
libero. Annuii e la seguii in casa, ancora senza<br />
parlare. Ero un po’ diffidente perché non capivo<br />
il motivo del suo comportamento. Stavo rubando<br />
nel suo pollaio e lei non aveva alcuna intenzione di<br />
punirmi. Comunque per la prima volta vidi l’interno<br />
di una casa degna di questo nome e mi piacque<br />
molto. <strong>La</strong> donna mi fece sedere a tavola. Era imbandita<br />
con tanto cibo appetitoso come non l’avevo<br />
mai visto.<br />
«Serviti pure, non fare complimenti.» mi esortò<br />
con un sorriso.<br />
Allora ebbi un attimo di esitazione:<br />
«Signora, stavo per rubare nel tuo pollaio... Perché<br />
non mi picchi come fanno tutti gli altri» chiesi,<br />
pronto ad andarmene, dopo questa chiara confessione.<br />
«Perché mai dovrei picchiare un ragazzino così<br />
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carino - rispose sempre sorridendo - So benissimo<br />
cosa avevi in mente di fare, ma vorrei sapere perché<br />
stavi cercando di rubare le mie uova. Immagino<br />
che tu non abbia di che mangiare.»<br />
A quelle parole mi sciolsi in lacrime, non c’era<br />
bisogno di altre spiegazioni. Non avevo mai pianto<br />
prima di allora, forse perché nessuno aveva mai<br />
mostrato tanta gentilezza nei miei confronti. Inoltre<br />
mi dispiaceva di aver cercato di derubare una<br />
persona tanto buona.<br />
<strong>La</strong> donna mi prese per mano mentre singhiozzavo<br />
e mi chiese:<br />
«Posso sapere come ti chiami»<br />
«Non ce l’ho un nome. Mi chiamano «cane» o<br />
«ladro».<br />
«Allora ti chiamerò Albert, come il mio povero<br />
papà. Io sono Hilde».<br />
Poi mi domandò di raccontarle la mia storia. Nel<br />
sentire in che modo avevo vissuto fino ad allora,<br />
pianse. Finito il mio racconto, mi parlò di lei e mi<br />
confessò di essere sola. Non era sposata, non aveva<br />
figli e suo fratello abitava con la sua famiglia in<br />
un castello vicino. Aveva sempre desiderato un figlio<br />
suo, così mi propose di restare a vivere con lei.<br />
All’inizio mi sentivo in colpa perché avevo capito<br />
di aver compiuto sempre cattive azioni, benché ne<br />
fossi costretto. D’altra parte ero poco più che un<br />
bambino e desideravo che qualcuno si prendesse<br />
cura di me. Così accettai e la resi felice. Anch’io<br />
ero felice! Le promisi che avrei lavorato sodo e che<br />
l’avrei aiutata nelle faccende. Hilde, al colmo <strong>della</strong><br />
gioia, chiamò in casa i fattori per dar loro la buona<br />
notizia. Versò del vino nei loro bicchieri e fecero un<br />
brindisi tutti quanti insieme. Sembrava una festa.<br />
Poco dopo Hilde mi lavò, mi diede dei vestiti presi<br />
in prestito da uno dei suoi lavoranti e mi portò nel<br />
cortile <strong>della</strong> fattoria. Lì cominciò ad insegnarmi un<br />
sacco di cose. Mi permise di dar da mangiare agli<br />
animali e mi fece prendere l’acqua dal pozzo. <strong>La</strong><br />
giornata procedeva al meglio e ben presto venne<br />
il tramonto. Il vento soffiò di nuovo, portando lo<br />
stesso suono di quella mattina. «Don, don, don...».<br />
Così decisi di chiedere ad Hilde di cosa si trattasse:<br />
«Che cos’è questo suono e da dove proviene»<br />
Lei sorrise e rispose:<br />
«È il suono di una campana e proviene dalla casa<br />
del Signore. Si trova sulla <strong>montagna</strong>, - mi indicò<br />
la vetta <strong>della</strong> <strong>montagna</strong> lì vicina - quando il vento<br />
porta questo suono alle case, significa che il Signore<br />
chiama i Suoi figli sul monte perché vengano alla<br />
Sua casa».<br />
Non avevo mai sentito nulla del genere, ma sorrisi<br />
perché mi sembrava qualcosa di bello:<br />
«Ah, allora è la <strong>voce</strong> del Signore <strong>della</strong> <strong>montagna</strong>!»<br />
«Proprio così» confermò, accarezzandomi la testa.<br />
58 59
Avrei sentito quella <strong>voce</strong> ogni giorno, all’alba e al<br />
tramonto, e mi scaldava il cuore. Ero convinto che,<br />
se quella volta il suono non mi avesse spaventato,<br />
non avrei mai incontrato la mia benefattrice.<br />
I giorni passavano in letizia, ormai avevo imparato<br />
molto, perfino a leggere e a scrivere un po’,<br />
finché purtroppo tutto cambiò. Venne l’inverno e<br />
Hilde si ammalò. Era venuto perfino il dottore dal<br />
villaggio per visitarla, ma non ci fu nulla da fare.<br />
Morì in una gelida notte di gennaio, con grande<br />
dispiacere di tutti, ed io rimasi con lei fino alla fine.<br />
Per me era stata come una madre, nonostante ci<br />
conoscessimo da pochi mesi. Era tutto il mio mondo<br />
e in un attimo è svanita. Soffrii moltissimo, mi<br />
sembrava di impazzire. Uno dei fattori cercò di<br />
consolarmi, dicendo che il Signore l’aveva chiamata<br />
a sé. Ciò invece non fece che intristirmi ancora<br />
di più. Non appena mi capitò di sentire il suono<br />
<strong>della</strong> campana, gridai verso il monte con rabbia:<br />
«Fai silenzio, Signore <strong>della</strong> <strong>montagna</strong>! Perché<br />
l’hai portata via Sei malvagio! Era la persona più<br />
buona del mondo!» Poi piansi amaramente.<br />
Il peggio avvenne soltanto alcuni giorni dopo,<br />
quando arrivò il fratello di Hilde per prendere possesso<br />
<strong>della</strong> proprietà. Era un uomo alto e imponente,<br />
vestito di nero e un’espressione corrucciata<br />
in volto. Non sembrava affatto dispiaciuto per la<br />
morte <strong>della</strong> sorella, pensava solo al denaro. Tut-<br />
ti i fattori restarono alla fattoria a lavorare per il<br />
nuovo padrone, ma io no. Il padrone mi prese con<br />
sé e mi portò al suo castello. Disse che gli serviva<br />
uno sguattero in cucina. Al castello venni trattato<br />
di nuovo al pari di una bestia, ma io cercavo di<br />
resistere. Anche da lì si sentiva la <strong>voce</strong> provenire<br />
dalla <strong>montagna</strong> e ogni volta mi fermavo ad ascoltarla.<br />
Ripensavo ai giorni felici passati con Hilde e<br />
mi sembrava di averla ancora vicina. <strong>La</strong> rabbia nei<br />
confronti del «Signore <strong>della</strong> <strong>montagna</strong>» era svanita<br />
e la sua <strong>voce</strong> era il mio unico conforto. Qualche<br />
mese dopo il padrone cominciò a notare che sparivano<br />
alcuni oggetti di valore dal castello e richiamò<br />
tutta la servitù. Minacciò di gettare in cella il colpevole,<br />
qualora si fosse scoperto. Io ero al servizio<br />
del cuoco, lavavo i piatti e el stoviglie, ma non<br />
avevo più rubato nulla, da quando Hilde mi aveva<br />
insegnato che rubare è sbagliato. Nonostante ciò, i<br />
sospetti ricaddero su di me. Il padrone non ascoltava<br />
le mie parole, non mi credeva quando negavo di<br />
aver compiuto il furto. Diceva di non potermi mettere<br />
in cella per mancanza di prove, ma era sicuro<br />
che prima o poi ne avrebbe trovate. Allora decisi<br />
di fuggire alla prima occasione. Una sera cercai di<br />
scappare di soppiatto dalla porta di servizio, ma il<br />
cuoco capì il mio proposito e mi sorprese. Questa<br />
mia azione, lo ammetto, fu sconsiderata perché<br />
sembrò confermare i sospetti del padrone. A nulla<br />
60 61
infatti valsero le mie giustificazioni. Così mi gettarono<br />
in quella cella buia da cui potevo scorgere<br />
qualche raggio di sole e, con un po’ di fortuna,<br />
sentire la campana. Mi tennero a pane e acqua per<br />
parecchi giorni ed io mi aggrappavo alla speranza<br />
che il Signore <strong>della</strong> <strong>montagna</strong> mi chiamasse, come<br />
aveva fatto con Hilde.<br />
«Don, don, don...»<br />
Ero ancora in piedi, da solo nella mia cella, ad<br />
ascoltare la campana e a sperare in un miracolo.<br />
Subito dopo arrivò una delle guardie, aprì la porta<br />
<strong>della</strong> cella e, con mia grande sorpresa, mi disse che<br />
ero libero. Avevano infatti trovato il vero colpevole,<br />
il cuoco, e l’avrebbero messo lì a marcire al mi posto.<br />
<strong>La</strong> guardia aggiunse che dovevo subito tornare<br />
al lavoro. Io però non ero affatto d’accordo. Mentre<br />
mi stava scortando al mio posto in cucina, mi<br />
scagliai verso uno dei portoni del castello. Riuscii a<br />
fuggire grazie alla mia passata esperienza di ladruncolo.<br />
Mi nascosi in un cespuglio finché non vidi le<br />
guardie, stanche di inseguirmi, che se ne andarono.<br />
Poi mi misi a camminare per un po’ e arrivai ad un<br />
laghetto vicino. Nelle sue acque limpide si rifletteva<br />
la vetta <strong>della</strong> <strong>montagna</strong> del Signore. Mentre la contemplavo,<br />
pensai che non avevo alcun posto dove<br />
andare. Ero solo e per di più nessuno al villaggio<br />
mi avrebbe dato un lavoro onesto, dopo tutto ciò<br />
che avevo fatto in passato. Sapevo di essere cam-<br />
biato, ma chi mi avrebbe mai creduto<br />
Soffiò il vento e con lui arrivò di nuovo la solita<br />
<strong>voce</strong>. Stavolta la sentivo chiaramente, era come se<br />
stesse chiamando proprio me. Da sempre ero incuriosito<br />
da quel monte e dalla «casa del Signore»,<br />
di cui Hilde mi parlava spesso. Tante volte avevo<br />
immaginato di vederla di persona. Così decisi che<br />
quella sarebbe stata la mia prossima meta. Sapevo<br />
che non sarebbe stato semplice arrivare fin là, ma ci<br />
avrei comunque provato. Ormai non avevo niente<br />
da perdere.<br />
Mi misi in viaggio e potei ammirare tutte le bellezze<br />
di quella <strong>montagna</strong>: i ruscelli, le cascate, i laghetti,<br />
ogni sorta di animali, gli splendidi alberi secolari.<br />
Assaporavo con gioia i frutti <strong>della</strong> terra e mi<br />
inebriavo con i profumi del bosco. Mi sembrava di<br />
essere in un mondo fatato. Dopo molte ore di cammino,<br />
arrivai nei pressi <strong>della</strong> vetta. Era una zona<br />
non molto scoscesa, anzi era quasi pianeggiante.<br />
Là in mezzo si trovava un edificio in mattoncini<br />
marroni con un tetto spiovente e, su un lato, un’alta<br />
torre. Al suo interno si trovava quella che doveva<br />
essere l’enorme campana che sentivo ogni giorno.<br />
Mi avvicinai con circospezione e rimasi affascinato<br />
da quel luogo, in cui sembrava tutto calmo e perfetto.<br />
Capii subito che si trattava <strong>della</strong> «casa del Signore»<br />
di cui avevo tanto sentito parlare. Ero felice, mi<br />
62 63
commossi, ero arrivato a destinazione. In quel momento<br />
dalla porticina sul lato dell’edificio uscì un<br />
uomo piuttosto anziano. Era scalzo, magro e alto,<br />
calvo, con una tunica marrone legata in vita da una<br />
corda. Subito si accorse di me e si avvicinò:<br />
«Benvenuto alla nostra chiesa, fratello. Se la pace<br />
è ciò che cerchi, sei nel posto giusto.»<br />
Lì infatti trovai la pace. Quella chiesa divenne<br />
la mia nuova casa. Diventai ben presto l’aiutante<br />
di frate Karol, colui che mi aveva così gentilmente<br />
salutato. Ogni giorno con felicità pregavo, ringraziando<br />
Dio per avermi fatto incontrare coloro che<br />
mi hanno amato come un figlio, il frate e la defunta<br />
Hilde. Questa è la storia di come mi sono messo<br />
al servizio del Signore che, con la sua <strong>voce</strong>, mi ha<br />
chiamato sulla Sua <strong>montagna</strong>. Grazie a lui mi sono<br />
salvato e ho scoperto il vero scopo per cui sono<br />
venuto al mondo.<br />
Monia Gambirasi<br />
<strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />
<strong>La</strong> luna filtrava a malapena tra i rami intrecciati<br />
<strong>della</strong> pineta. Alberi altissimi si protendevano verso<br />
il cielo fresco e stellato. Una notte meravigliosa. Il<br />
cielo terso era punteggiato da miliardi di minuscole<br />
luci. In mezzo una luna tonda, bianca e splendente<br />
illuminava la <strong>montagna</strong>.<br />
Equinozio d’autunno.<br />
Leo si muoveva cauto nel bosco, con l’orecchio<br />
teso, attento ad ogni minimo fruscio, cercando di<br />
mimetizzarsi tra la fitta vegetazione. Lo avevano<br />
quasi raggiunto.<br />
Conosceva quei posti come le sue tasche, vi era<br />
nato e cresciuto tra quelle montagne. E sapeva di<br />
avere una via d’uscita.<br />
Da ragazzino, insieme agli amici, aveva giocato<br />
e percorso in lungo e in largo tutta la zona circostante.<br />
Nel primo giorno d’autunno del 1920, a dieci<br />
anni, avevano scoperto un grande giardino in cui,<br />
nella loro fantasia di fanciulli, credevano nessuno<br />
avesse mai messo piede. Era situato in un luogo<br />
imprecisato di quella <strong>montagna</strong>. L’avevano scoperto<br />
per caso. Roberto, infatti, era ruzzolato in un<br />
64 65
piccolo dirupo scivolando su una roccia viscida,<br />
bagnata di rugiada. Era rovinosamente piombato<br />
in un cespuglio di rovi in fondo al dirupo. Lo avevano<br />
raggiunto con il cuore in gola gli amici. Lo<br />
credevano morto. Invece, sorridente come sempre<br />
aveva mostrato loro la sua meravigliosa scoperta.<br />
Lo avevano battezzato «Il Paradiso». Ed, in effetti,<br />
era un piccolo pezzo di paradiso sulla terra.<br />
Un immenso giardino di erba fresca e morbida,<br />
di un intenso color verde smeraldo, aperto su uno<br />
squarcio di <strong>montagna</strong> da cui filtravano i caldi raggi<br />
del sole di quel pomeriggio di fine settembre. E<br />
tutto attorno rovi colmi di succosi frutti di bosco.<br />
E poi fiori dappertutto, di ogni genere e colore, una<br />
tavolozza di tinture naturali su un quadro d’autore.<br />
Leo, Roberto, Carlo, Franco e Giuseppe, colmi<br />
di stupore, si erano avventurati in quel lembo di<br />
terra e, dopo aver constatato che non vi era alcun<br />
recinto ed alcun divieto di accesso, si erano rotolati<br />
nell’erba tra le viole, ebbri di gioia, sicuri di aver<br />
trovato il loro tesoro. Quel giorno avevano giocato<br />
come mai prima d’allora, si erano sentiti uniti più<br />
che mai ed avevano suggellato un patto: non avrebbero<br />
mai svelato, per nessun motivo, l’esistenza di<br />
quel luogo segreto e meraviglioso. <strong>La</strong> sera erano<br />
tornati a casa con il mal di pancia e le bocche nere,<br />
sporche di more, e con i cestini <strong>della</strong> merenda colmi<br />
di frutti di bosco e le loro mamme li avevano messi<br />
in castigo, preoccupate, perché li avevano cercati<br />
ovunque senza trovarli. Eppure loro erano felici,<br />
custodi di un segreto che mai avrebbero svelato.<br />
Felici all’idea di avere un luogo bellissimo, tutto per<br />
loro, dove, non appena finito il castigo, sarebbero<br />
tornati.<br />
Avevano trascorso lassù i migliori anni <strong>della</strong> loro<br />
vita.<br />
Poi ognuno aveva preso la sua strada e si erano<br />
dimenticati, con il passare degli anni, di quel luogo<br />
tanto amato. Roberto si era trasferito in città,<br />
aveva aperto un negozio di stoffe ed aveva messo<br />
su famiglia, Giuseppe era rinchiuso in carcere per<br />
aver tentato, maldestramente, una rapina in banca,<br />
Carlo era impazzito dopo la morte <strong>della</strong> sorella per<br />
una rara malattia ed era stato rinchiuso in manicomio,<br />
Franco era diventato il Sindaco, corrotto, di<br />
un grosso paese nelle vicinanze e Leo aveva intrapreso<br />
la carriera militare. Non si erano più rivisti<br />
da allora.<br />
Equinozio d’autunno. L’autunno del 1944.<br />
Sorrideva Leo, nascosto tra i cespugli, ricordando<br />
il suo passato. E gli venne l’idea di cercare quel<br />
luogo, vedere se fosse rimasto uguale ad allora. Sapeva<br />
che trovatolo avrebbe avuto un riparo sicuro<br />
e nessuno lo avrebbe mai scovato. Sapeva anche<br />
che loro non avrebbero mollato la presa, sapeva<br />
66 67
che lo avrebbero cercato finché lo avessero trovato.<br />
Sapeva che lo avrebbero ucciso.<br />
Si era arrampicato su per le rocce scivolose e per<br />
un attimo era tornato il ragazzino di allora. E con<br />
grande agilità si era lanciato nel vuoto, come aveva<br />
fatto un’infinità di volte con i suoi amici.<br />
Un breve volo, alcuni metri soltanto ed era piombato<br />
sul pagliericcio.<br />
Incredibile. Dopo più di vent’anni quel morbido<br />
punto d’atterraggio era ancora al suo posto.<br />
Quante volte ci si erano tuffati per arrivare al<br />
«Paradiso».<br />
Si era rialzato, coperto di spighe e di paglia ed,<br />
esterrefatto, aveva ammirato per interminabili minuti<br />
quel luogo magico, illuminato da una candida<br />
luna piena.<br />
Qui si sentiva al sicuro, come a casa sua. Qui nessuno<br />
poteva trovarlo. Era in salvo. Le voci minacciose<br />
dei tedeschi echeggiavano sopra di lui ma Leo<br />
sembrava non sentirle, rapito dalla bellezza di quel<br />
luogo meraviglioso. Si era sdraiato a pancia in su<br />
in mezzo al prato per osservare meglio quella luna,<br />
tanto luminosa e le stelle che da quel punto sembravano<br />
vicinissime.<br />
Aveva poi chiuso gli occhi. Gli sembrava di essere<br />
tornato bambino, di sentire le voci dei suoi amici<br />
che lo chiamavano a giocare.<br />
Intanto i tedeschi si avvicinavano sempre più,<br />
accompagnati dagli immancabili cani pastori che<br />
annusavano, come drogati, il terreno e tiravano i<br />
guinzagli per portare i militari sulle tracce di Leo.<br />
Ma Leo era sicuro che le voci che lui udiva non<br />
erano quelle dei tedeschi, parevano più appartenere<br />
a bambini. Lontani bisbigli.<br />
Si era alzato di scatto ed aveva seguito il cicalio<br />
proveniente da un angolo del «Paradiso», nascosto<br />
da cespugli di more. Si era avvicinato piano ed aveva<br />
scostato i rami spinosi con estrema curiosità.<br />
Due bimbetti di circa 10 anni stavano confabulando<br />
tra loro. Quando lo avevano scorto, impauriti,<br />
si erano rannicchiati al buio. Con la luce <strong>della</strong> luna<br />
alle spalle Leo era un’ombra nera che minacciava<br />
la loro incolumità. Stavano per gridare. Leo cercò<br />
di calmarli e alla fine vi riuscì. Erano due fratellini<br />
scappati da casa un paio di giorni prima. Avevano<br />
camminato e giocato nel bosco e poi avevano<br />
perso l’orientamento. Uno di loro era caduto in un<br />
dirupo ed era finito nel «Paradiso». Avevano udito<br />
le voci dei tedeschi avvicinarsi e si erano nascosti<br />
dentro al cespuglio e quando Leo li aveva trovati<br />
credevano li volesse fucilare.<br />
Rimasero tutta la notte a vegliare, chiacchierando<br />
e raccontandosi.<br />
I tedeschi non li trovarono, erano passati sopra<br />
di loro centinaia di volte senza esito. Ed alla fine<br />
avevano ceduto, all’alba, e si erano allontanati sicuri<br />
68 69
di aver fatto il possibile per trovare il fuggiasco.<br />
I bambini, accompagnati da Leo, tornarono<br />
a casa felici e con un segreto nel cuore: avevano<br />
stretto un patto con il nuovo amico, mai avrebbero<br />
svelato l’esistenza di quel luogo misterioso.<br />
E Leo, richiamato da un senso di impagabile riconoscenza<br />
verso quella <strong>montagna</strong> che lo aveva<br />
salvato dalle minacce naziste chiamandolo a sé in<br />
quell’angolo di paradiso, decise di stabilirvisi per<br />
sempre.<br />
Da allora più nessuno lo rivide.<br />
Si dice che il suo spirito aleggi ancora da quelle<br />
parti e che solo la notte dell’equinozio d’autunno<br />
esca, per aggirarsi nel bosco attraverso la sua ombra,<br />
illuminata dal bagliore <strong>della</strong> luna piena.<br />
Mio nonno Paolo e lo zio, suo fratello, mi raccontavano<br />
spesso questa storia da bambina. Ho<br />
chiesto più volte dove si trovasse quel luogo magico<br />
ma dai loro racconti non si è mai capito bene,<br />
fingevano di non ricordare l’esatta ubicazione del<br />
«Paradiso». E alla fine del racconto si guardavano e<br />
sorridevano complici.<br />
Lucia Gazzoli<br />
<strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />
Arrivata! È dall’alba che cammino, anzi, no, c’erano<br />
ancora le stelle: praticamente notte.<br />
Però adesso ho raggiunto la meta proprio mentre<br />
il sole inizia a sorgere. <strong>La</strong> luce si irradia dapprima<br />
verso l’alto giocando con le guglie più alte del<br />
ghiacciaio e creando fasci di luce e giochi d’ombre,<br />
poi prorompe verso di me, inondandomi di luce. Il<br />
paesaggio intorno cambia e tutto sembra più vivo.<br />
Le mie montagne! Conosco tutto di questi posti,<br />
perfino i nomi dei sassi, come dicono i miei amici<br />
e mi sembra di sentire nel loro tono di <strong>voce</strong> un filo<br />
di invidia e di incredulità. È vero però, conosco<br />
davvero nel profondo le mie montagne, mi sento<br />
parte di loro, in armonia con loro.<br />
Da quassù lo sguardo spazia verso vette ancora<br />
più alte, verso ghiacciai che si sciolgono in morene<br />
brillanti di granito, verso piccole valli racchiuse,<br />
verso il cielo quasi bianco che pian piano si tinge<br />
di turchese. Che silenzio! Il solito frastuono di fondovalle<br />
non c’è e quasi non mi rendo conto che<br />
qualche rumore c’è anche qui. Ma non sono rumori,<br />
sono suoni che diventano armonie. Si sente<br />
l’aquila che caccia planando verso un pianoro ed il<br />
suo grido richiama un piccolo aquilotto che la se-<br />
70 71
gue con volo incerto; si sentono le marmotte che<br />
si mettono in allarme e si riparano nelle tane; si<br />
sente il vento che sibila tra le guglie; si sente l’acqua<br />
che si raccoglie in piccoli ruscelli impetuosi e corre<br />
verso valle ed infine mi sento io. Sento il mio cuore<br />
che batte, il mio respiro, i miei pensieri. È una sensazione<br />
strana, piacevole ed emozionante. Il mio<br />
sguardo si perde fino all’orizzonte e nello stesso<br />
tempo non vedo nulla, mi sento leggera, quasi evanescente,<br />
come la nebbia che col sole si scioglie ed<br />
evapora. Tutti i suoni <strong>della</strong> natura entrano nel mio<br />
corpo e mi sembra quasi che il mio respiro sia in<br />
armonia col vento e che i battiti del mio cuore segnino<br />
il passare dei minuti, del tempo. Mi diventa<br />
difficile spiegare, perché mi sento parte di quello<br />
che mi circonda, <strong>della</strong> vita, del mondo. Ecco, forse<br />
farei meglio a dire che mi sento un tutt’uno con la<br />
<strong>montagna</strong>.<br />
Che sia questo il fascino che ho sempre subito e<br />
che da sempre mi fa fare alzatacce notturne, faticose<br />
salite, camminate sotto il sole cocente o su sentieri<br />
frustati dal vento gelido del ghiacciaio Che sia<br />
per questo che quando sono quassù mi sento bene,<br />
semplicemente bene e non esiste nessuna fatica e<br />
qualsiasi sforzo è nullo di fronte al risultato E non<br />
è poco, anzi! Solo qui mi sento a casa, nel posto<br />
giusto. E solo qui riesco a sentire fino in fondo il<br />
palpito <strong>della</strong> vita, a capire la vita.<br />
Mauro Giudici<br />
<strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />
Un bacio. Sono qui per un bacio. Qualcosa mi ha<br />
spinto qui, qualcosa che è celato in me da anni, da<br />
un’eternità. Il bacio mai avuto. Una scheggia mancante,<br />
qui, nel cuore. Il bacio di una madre, il regalo<br />
più grande. Un bacio che apre la porta ai sogni, un<br />
bacio che mi ha precipitato all’inferno.<br />
Avevo solo 7 anni e due genitori stupendi, vivaci<br />
e sempre sorridenti. Un padre e una madre che<br />
hanno segnato i ricordi di bambino, quelli indelebili,<br />
colorati e puri, quelli che nel corso <strong>della</strong> vita<br />
assumono contorni, toni morbidi, caldi, quelli dei<br />
nostri sogni.<br />
Due genitori-ragazzi che mi hanno assecondato<br />
in giochi e passioni, senza l’assillo <strong>della</strong> competizione<br />
ma il gusto di fare tutto al meglio, di farlo<br />
con altri.<br />
Ma il sogno si è interrotto, brutale e improvviso.<br />
Un’estate. <strong>La</strong> decisione di affrontare una nuova avventura,<br />
un mondo adulto lontano da me, solo per<br />
loro. Appassionati di <strong>montagna</strong> fin da bambini, si<br />
erano incontrati a una gita impegnativa, una delle<br />
loro prime ferrate, un legame che si sarebbe rafforzato<br />
con l’esperienza, la passione per quegli ambienti,<br />
la rarefazione dell’aria e il rispetto per questi<br />
72 73
giganti naturali. O, forse, perché era il mondo idealizzato,<br />
un mondo dove c’erano solo loro due. Fino<br />
a trasformarsi in esperti scalatori, ad affrontare sfide<br />
più impegnative, a cercare con lo sguardo oltre<br />
l’orizzonte, la <strong>montagna</strong> più bella. L’eterna fiamma<br />
che spinge a cercare qualcosa, a cercarlo per sempre.<br />
Una partenza pianificata da mesi, nei particolari,<br />
ma che venne notata con disattenzione dai miei occhi<br />
di bambino. I giochi, gli amici mi distraevano, il<br />
tempo era cosa preziosa da dedicare ai giochi estivi,<br />
alla frenesia continua di non perdersi nulla. Inutile,<br />
ora.<br />
Il momento dei saluti, la sufficienza distratta del<br />
bambino che deve correre via, baci veloci e frettolosi<br />
come tanti altri. Gli ultimi.<br />
<strong>La</strong> mia vita che proseguiva felice nell’estate con i<br />
nonni, la mia vita futura che si sgretolava da un’altra<br />
parte del mondo.<br />
Non tornarono. Non li trovarono più, sorpresi<br />
forse da condizioni terribili di tempo, da un piede<br />
in fallo, da un errato passaggio... dalla volontà<br />
estrema di aiutarsi<br />
Non lo so. Nessuna risposta me li riporterà indietro,<br />
nessuna soddisferà il mio dolore, nessuna<br />
prosciugherà il lago nero che ho dentro. Un freddo<br />
lago nero. Acque tranquille ma infide, profonde<br />
come la notte.<br />
Ora ho quarantadue anni. <strong>La</strong> mia vita con i nonni<br />
ha avuto un decorso lieto, quasi perfetto.<br />
Non mi è mancato nulla; scuole, divertimento,<br />
interessi. Ho seguito la passione del sangue, quel<br />
moto inconscio che si ha dentro, frutto di educazione,<br />
di passioni nascoste, di quel luccicchio che<br />
ci spinge a seguire non visti le orme dei padri. Ho<br />
passione per la <strong>montagna</strong> in mille sfaccettature diverse,<br />
a seconda dell’umore. Umore che mi pianifica<br />
il comportamento, che mi condiziona la strada<br />
da percorrere, la scelta delle difficoltà. Giro attorno<br />
a essa, la <strong>montagna</strong>, a più d’una, cogliendone le<br />
sfumature, la bellezza; cibandomi a piccoli bocconi<br />
di luoghi delicati e setosi, pervasi da profumi indefinibili<br />
e intensi, oppure di paesaggi aspri e ventosi,<br />
monumentali testimoni di tempi sconosciuti, di ere<br />
passate.<br />
Chissà come, mi è entrata dentro. <strong>La</strong> sento in me<br />
anche se quando trovo il momento giusto - quella<br />
cengia di roccia esposta ai venti o lo sterminato<br />
ghiaione alla base delle cime - dove mi devo fermare,<br />
devo guardare oltre, devo misurare e cogliere lo<br />
spazio, la sensazione di enorme potenza immobile<br />
e delicata e il tempo fermo a millenni indietro mi<br />
tolgono il fiato. E smetto di respirare. Un inconscio<br />
rispetto verso tutto quello che possa turbare<br />
il suono <strong>della</strong> natura. Rumori diversi che, forse,<br />
solo poche orecchie hanno potuto ascoltare, po-<br />
74 75
che hanno avuto la capacità di trasmetterli al cuore.<br />
Luoghi che si pensa di guardare e assorbire, luoghi<br />
sfuggenti per la loro immensità, per la visione di<br />
spazi fuori dalla nostra portata, spazi che esaltano<br />
l’emozione, spazi che mi riportano alla realtà<br />
del mio animo. Solo. Sono solo. Mi sento piccolo<br />
e inerme e mi sembra di regredire a momenti di<br />
calore familiare, alla ricerca di un nido protetto. Gli<br />
intimi desideri diventano fiumi caldi, in piena, che<br />
risalgono lo stomaco fino alla mente. Solo con le<br />
mie lacrime calde, disperate, che vorrebbero essere<br />
liberatorie, ma i fiumi che le alimentano attraversano<br />
anni di intemperie fino a trasformarsi in infiniti<br />
corsi d’acqua difficilmente aridi. Ora posso farmi<br />
cogliere dalla disperazione, qui con loro, uniche testimoni<br />
<strong>della</strong> mia esistenza, queste cime.<br />
Il tempo ha rallentato quasi del tutto. Forse il dolore<br />
è così, occupa uno spazio tutto suo, una bolla<br />
nel tempo dove è concessa intimità, rispetto. Ma è<br />
una forma di illusione, il desiderio sarebbe questo.<br />
Ho scelto. Non è un caso che mi trovi qui, non è<br />
la voglia di una nuova piccola sfida. Ho pianificato<br />
tutto a mente lucida e disperata. Voglio che finisca<br />
qui. In questo pomeriggio di novembre, freddo,<br />
opportunamente deserto. Nulla di quello che indosso,<br />
che ho portato con me, potrebbe resistere<br />
al logorio del tempo; voglio che questi luoghi non<br />
soffrano per troppo tempo <strong>della</strong> mia presenza im-<br />
mobile, che rimangano incontaminati nel tempo,<br />
come se nulla fosse successo, come se nulla fosse<br />
stato.<br />
Respiro a lungo quest’aria ubriacante, un fluido<br />
vitale che trova rifugio quassù, privilegio per pochi;<br />
aria che porta con se sentori di neve, l’approssimarsi<br />
di uno dei tanti inverni. Un posto scelto<br />
con cura. <strong>La</strong> lingua estrema di un ghiacciaio tra due<br />
cime rocciose, scomodo ed esposto, mi farà da dimora;<br />
sarà il mio balcone sul mondo. Il mondo degli<br />
altri, quello che non ho mai sentito mio.<br />
Fa già molto freddo, la luce azzurrata sta rendendo<br />
irreale tutto ciò che ho intorno. Sto diventando<br />
parte di una cartolina sbiadita, i colori non sono<br />
altro che macchie chiare e scure. Sto entrando a<br />
grandi passi nella notte. Una notte di sogni. Una<br />
notte con il respiro del vento, con il respiro <strong>della</strong><br />
motagna.<br />
Mi adagio lento sulla neve incontaminata, raccolto<br />
su me stesso nell’istinto di raccogliere forze e<br />
calore, una lotta flebile contro gli elementi che voglio<br />
incontrare, ai quali non voglio resistere; sento<br />
il gelo entrarmi dentro, tra i tessuti leggeri e giù nel<br />
profondo a congelarmi l’anima, ma non devo resistere,<br />
devo superare anche la forza del mio corpo,<br />
voglio essere travolto da questo fiume. Tremo.<br />
Arrivano. I sogni arrivano in punta di piedi, distolgono<br />
la mente dal freddo, piccoli lampi di luce<br />
76 77
che portano ricordi non miei, portano visi di persone<br />
che furono, echi di battaglie crudeli e oscure<br />
tra queste montagne, rivelano sofferenze e dolori,<br />
lontananze forzate di uomini chini nell’oscurità, nel<br />
silenzio metallico di lunghe nottate di veglia, di attese<br />
snervanti, del desiderio comune di fuochi lontani,<br />
di una lettera, una carezza, una famiglia, <strong>della</strong><br />
vita e di un’altra luce, il sogno dell’alba perfetta,<br />
<strong>della</strong> lama gialla e sottile che si allarga sull’orizzonte<br />
formato da nuvole lontane, da mondi addormentati.<br />
Un panno invisibile che sfiora le cime e scende<br />
verso me inseguendo l’azzurro <strong>della</strong> notte, trascinando<br />
con sé innumerevoli ciottoli dorati.<br />
Le mani di un bambino tese a una <strong>voce</strong> amica,<br />
una corsa con il cuore in gola verso lei, verso<br />
quell’immagine sbiadita; una fatica enorme, come<br />
correre contro vento, le gambe pesanti, impedite<br />
nei movimenti da forze invisibili. Una meta impossibile<br />
da raggiungere, sempre oltre quei pochi<br />
passi, e un urlo dell’anima, parole trasportate dalle<br />
lacrime, la voglia di tornare indietro nel tempo, di<br />
chiedere perdono, di ritrovarsi e non lasciare mai<br />
quelle mani. Sogni. Una casa abbandonata nei boschi,<br />
l’avventura di un ragazzino, il coraggio di affrontare<br />
un luogo misterioso e oscuro, un luogo<br />
che fu storia, che fu testimonianza di esistenze. Al<br />
suo interno, ruderi e stanze abbandonate, rumori<br />
allarmanti e un suono di fondo, il suono del cuore<br />
nel petto, dell’emozione e l’angoscia. Una cantina<br />
buia, il limite naturale del timore, una spinta irresistibile<br />
ad arrivare sulla soglia e il dubbio, la scelta:<br />
ombra o luce, farsi inghiottire o respirare aria pura<br />
Sogni.<br />
Sto andando. Le forze non sono più mie. Non<br />
percepisco il mio corpo. Sono un piccolo sasso di<br />
questa <strong>montagna</strong>, sono parte di lei, sono il vento,<br />
sono pronto; la mia mente libera cerca ancora quei<br />
sogni, cerca le parole giuste per continuare a girare<br />
le pagine, per vedere dietro al prossimo angolo alla<br />
ricerca di ciò che ho perduto.<br />
Inutile. <strong>La</strong> mia vera meta è non avere più sogni.<br />
<strong>La</strong> neve. Una donna silenziosa e annunciata dal<br />
sommesso crepitio dei suoi fiocchi invisibili, il gelo<br />
che mostra il suo lato più romatico e candido. <strong>La</strong><br />
coltre del mio ultimo letto, fredde dita sui miei occhi.<br />
Il sonno. Per sempre.<br />
Io...<br />
Ancora sogni.<br />
Un uomo nudo in un guscio d’uovo, un ambiente<br />
bianco e lattiginoso, le membra chiuse su se stesse<br />
a proteggere un debole fuoco, il calore del cuore,<br />
la sopravvivenza dell’anima. Il grido di un neonato<br />
là fuori nella luce intensa dove si muovono ombre<br />
appena accennate.<br />
Una mano intorpidita dall’acqua di una fonte,<br />
78 79
una pozza d’acqua metallo, brividi intensi alla ricerca<br />
del calore a protezione del corpo, nella trepida<br />
attesa di un alito di vento tiepido, in attesa di... un<br />
respiro!<br />
Aria e dolore. Aria che spinge sui polmoni, ardente<br />
di occupare spazi vuoti, di riportare la vita e<br />
il colore, il dolore. Un sussulto improvviso del cuore,<br />
calore intenso nella testa e fiamme ustionanti<br />
nella gola. Un secondo respiro, un terzo. <strong>La</strong> voglia<br />
di gridare che rimane nell’aria, ridotta alla sola volontà,<br />
a un suono inesistente.<br />
Luce che entra nella mia mente come in una<br />
stanza scura, un mattino d’estate. Pochi elementi<br />
dai contorni imprecisi, forze ovattate dall’oblio,<br />
ovattate dall’immobilità del tempo.<br />
Sogni<br />
I miei occhi. <strong>La</strong> luce mi entra negli occhi. Una<br />
luce che non mi aspettavo. Luce che infonde vita<br />
pulsante ovunque, nel mondo, in me. Luce che<br />
mi riporta alla realtà - alla mia presenza immobile<br />
ed esausta, alla sofferenza causata dalle membra<br />
bloccate dal gelo, dai tremori sempre più intensi e<br />
scomposti - e alla cocente delusione.<br />
Riesco, dopo mille piccoli tentativi, a rialzarmi,<br />
a mettermi seduto; un piccolo uomo scuro su un<br />
grande pendio immacolato e illuminato da pallidi<br />
raggi di sole. Un ambiente accecante messo lì a<br />
sottolineare la prorompente forza <strong>della</strong> natura, un<br />
delicato paesaggio posto a contrasto degli elementi<br />
che l’hanno creato.<br />
Ho fallito e piango.<br />
Questa volta sono lacrime di rabbia, di incredulità.<br />
L’orlo del pozzo si è allontanato dalla punta dei<br />
miei piedi, il nero del buco senza fondo ha lasciato<br />
spazio a una distesa bianca e candida, una strada<br />
nuova, nata dal buio. Una strada che aspetta nuove<br />
impronte, nuovi passi. I miei.<br />
Capisco. Un’idea nuova si fa spazio nella mia<br />
mente. Collego i punti di una vita passata, di una<br />
vita che volevo cancellare e scopro che sono giunto<br />
alla fine del mio viaggio, che ne inizierò uno nuovo.<br />
Cercavo le tracce di un bacio non dato, me ne andrò<br />
con un tesoro più grande, invisibile a tutti ma<br />
non a me: ho ricevuto di più, un abbraccio mi ha<br />
protetto dalla volontà distruttiva, un abbraccio voluto<br />
o simbolico non importa. <strong>La</strong> <strong>montagna</strong> mi ha<br />
accettato e protetto, come le braccia di una madre<br />
immensa, come colei che ho perso qui.<br />
<strong>La</strong> madre che ho ritrovato. Mi aspettava.<br />
80 81
Stefano Malosso<br />
Il bambino che camminò verso<br />
nord<br />
Accadde nel mezzo di una breve uscita con il padre,<br />
proprio lungo un piccolo monte che sorgeva<br />
dietro la casa paterna. Era solo un bambino, tuttavia<br />
se lo poteva ricordare. A pensarci bene, non avrebbe<br />
potuto avere ricordi del giorno <strong>della</strong> sua nascita,<br />
dei suoi primi passi, dell’attesa febbrile <strong>della</strong> fata<br />
dei denti; ma la forma <strong>della</strong> dorsale di quel monte<br />
gli sembrava così simile a quella del filo intrecciato<br />
che dentro lo scatolone chiamato Televisione alcuni<br />
signori vestiti con camici bianchi usavano definire<br />
«filo genetico». Quel giorno, ormai così lontano,<br />
aveva scoperto l’aria gelida dell’alta quota, le<br />
forme e i colori di una vegetazione così diversa da<br />
quella che conosceva, il sudore <strong>della</strong> camminata. E<br />
proprio quel sudore ricordava con particolare intensità;<br />
gli era rimasto attaccato addosso come un<br />
liquido viscoso. Era l’unico liquido amniotico che<br />
poteva ricordare, il suo primo ricordo. Il suo venire<br />
alla luce nel mondo.<br />
Cresceva così, il bambino, osservando dalla finestra<br />
<strong>della</strong> propria camera il crinale del monte senza<br />
nome. Dal letto, quando si coricava la sera, poteva<br />
vedere la sua presenza protettiva e la sua superficie<br />
illuminata dalla luna come un riflettore illumina il<br />
palcoscenico sul quale si sta consumando una storia<br />
irripetibile. Cresceva con il passare degli anni, e<br />
si misurava accanto a un tronco che cresceva nel<br />
bosco sottostante. L’aveva battezzato il Vecchio<br />
Jack, chiamandolo col nome sentito una volta in<br />
radio, un nome che gli era da subito parso polveroso<br />
e saggio proprio come quel vecchio tronco.<br />
Ogni mese una tacca tracciata sulla sua corteccia<br />
rappresentava la sua crescita, fino a formare una<br />
lunga figura verticale che a lui sembrava sempre<br />
più un bizzarro insetto dalle mille zampe, arrampicato<br />
sulla corteccia, immobilizzato nell’intento di<br />
salire fino alla testa del Vecchio Jack. Alcune volte<br />
il Vecchio Jack gli parlava, e lui rispondeva alle sue<br />
curiose domande, con semplicità. Poteva passare<br />
intere giornate a fissare la cima del monte senza<br />
nome, o il Vecchio Jack e il suo millepiedi, e intanto<br />
gli abitanti del piccolo borgo iniziarono a farsi delle<br />
domande su di lui.<br />
«Hai visto anche tu il figlio del buon Zappa Se<br />
ne sta tutto il tempo a bocca aperta a guardare su,<br />
verso la cima del monte.»<br />
«Io lo vedo spesso segnare delle tacche su un<br />
vecchio albero nella proprietà dei Mezzi Ricchi. Poi<br />
le conta, le osserva per ore in silenzio.»<br />
«A volte sembra parlare al vuoto.»<br />
82 83
«A me sembra che parli con l’albero, Dio abbia<br />
pietà di lui.»<br />
«Si racconta sia pazzo, sai.»<br />
«Come il fornaio che impazzì, ricordi»<br />
«Camminava nudo per le vie del centro.»<br />
«Dio abbia pietà di lui. E anche del bambino.»<br />
Il padre, un pover’uomo che lavorava la terra<br />
tutti i giorni, prese a punirlo ogni volta che scendeva<br />
nella proprietà dei Mezzi Ricchi a parlare al<br />
Vecchio Jack. Ciò che si addiceva ad un bambino<br />
<strong>della</strong> sua età era fare i compiti o esercitarsi con il<br />
pallottoliere. Gli era persino concesso di giocare<br />
al pallone nel campetto dell’oratorio con i ragazzi<br />
più grandi. Ma niente da fare, il bambino seguitava<br />
a sedersi con le gambe incrociate al centro del<br />
cortile, o in piazza, o lungo il sentiero che portava<br />
al pozzo dell’acqua, e senza dire niente alzava lo<br />
sguardo verso la cima del monte. Il padre spesso<br />
lo sorprendeva, accerchiato dagli sghignazzi <strong>della</strong><br />
gente del paese, e lo picchiava forte con la cintura<br />
di pelle di asino. Il bambino capì, colpo dopo colpo,<br />
anno dopo anno, che guardare alla cima di quel<br />
monte era cosa cattiva. Era un bambino sbagliato,<br />
ma non poteva rinunciare all’attrazione di quella<br />
visione. Ormai nel borgo più nessuno gli rivolgeva<br />
la parola; alcuni lo deridevano, altri gli urlavano<br />
insulti. Qualcuno lo chiamava Ritardato, altri sem-<br />
plicemente Scemo.<br />
«È arrivato il ritardato, correte!»<br />
«Eccolo, il ritardato. Che ti ha detto oggi l’albero<br />
parlante»<br />
Un giorno contare le zampe del millepiedi sul<br />
tronco sembrò non bastargli più. Il bambino gettò<br />
le poche cose indispensabili nella valigia di cartone<br />
che era appartenuta al padre e si incamminò verso<br />
la cima <strong>della</strong> <strong>montagna</strong>. Tutto era iniziato lassù,<br />
in qualche modo, e tutto doveva finire lasù. Non<br />
conosceva la strada; si infilò nel taschino una vecchia<br />
bussola che gli era stata regalata dal nonno, e<br />
si lasciò tutto alle spalle. Incamminandosi lungo il<br />
sentiero, osservava il borgo farsi piccolo piccolo;<br />
in quel momento i suoi abitanti sembrarono quasi<br />
scomparire, assieme alle loro risate, ormai confuse<br />
con il fruscio del vento e delle foglie sui rami. Il<br />
bambino non stava cercando qualcosa; il suo era<br />
piuttosto un viaggio a ritroso, un viaggio alle origini.<br />
Forse, pensava tra sé e sé, desiderava semplicemente<br />
rinascere. Stava tornando nella culla, e poi<br />
nell’utero, e poi più nulla. <strong>La</strong> cima del monte senza<br />
nome lo osservava dall’alto.<br />
Un pastore di <strong>montagna</strong> lo fermò, chiedendogli<br />
dove stesse andando. Il bambino non seppe dargli<br />
risposta immediata, così il pastore si incuriosì e lo<br />
84 85
interrogò ulteriormente. «È tutto qui» disse il bambino.<br />
E così dicendo estrasse dal taschino sgualcito<br />
quel piccolo oggetto consumato dal tempo.<br />
«Che te ne fai di una bussola» chiese il pastore.<br />
«Beh, una bussola è quella cosa che ti mostra il<br />
nord, quando ti sei smarrito.»<br />
«Credi di esserti smarrito»<br />
«No, semplicemente non ricordo più dove si trovi<br />
il nord. Il mio sogno sta lassù, prima o poi riuscirò<br />
a trovare la mia via.»<br />
«Ma la tua bussola è rotta, non te ne sei accorto»<br />
«Lei mi ricorda che il nord esiste, semplicemente.<br />
Non mi interessa sapere dove.»<br />
E continuò a salire. Salì ancora, e ancora, finché<br />
le risate <strong>della</strong> gente sparirono, sparì il vecchio<br />
paese, sparirono le proprietà dei Mezzi Ricchi, dei<br />
Rospi e persino quelle immense <strong>della</strong> famiglia dei<br />
Leggeri. Sparì il vecchio padre, sparì la casa paterna,<br />
sparì la finestra dalla quale era possibile vedere<br />
la luna. Sparì persino lui stesso. Non se ne ebbero<br />
più notizie. Qualcuno disse che era precipitato in<br />
un dirupo, altri raccontarono di averlo visto camminare<br />
nudo come il vecchio fornaio pazzo. Qualcuno<br />
insinuò che si fosse tolto la vita per amore.<br />
Nessuno pensò a come, quel giorno, semplicemente<br />
decisi di abbandonare la mia vita per inseguire<br />
il mio sogno, l’unica cosa che valesse la pena<br />
di raggiungere: la cima di quel magico monte che<br />
sin da piccolo mi aveva protetto, mi aveva contornato,<br />
delimitato e salvato dai miei simili, sempre più<br />
gelosi di quel mio segreto. I tizi vestiti col camice<br />
bianco che stavano dentro la televisione mi avrebbero<br />
definito con il termine Pazzo, mi avrebbero<br />
affibbiato una parte in un cine e avrebbero trovato<br />
per me nomi come Bill o John o Jim.<br />
Nessuno capì come il mio nord non fosse quello<br />
indicato dalle loro bussole, ma la forma di quel crinale<br />
che era diventato il rigo sul quale veniva scritta<br />
la mia stessa vita, con tutte le tacche e le zampe del<br />
mio fidato millepiedi.<br />
Nessuno seppe spiegarsi la mia sparizione.<br />
E nessuno seppe darsi una spiegazione nemmeno<br />
quando, con sommo sbigottimento di tutti,<br />
il Vecchio Jack chiese ad un contadino notizie<br />
del bambino, giorni dopo la sua partenza. Dicono<br />
che il contadino sia svenuto per lo spavento, e che<br />
il Vecchio Jack abbia guardato per l’ultima volta<br />
verso il monte senza nome, prima di piegarsi definitivamente<br />
spezzando i propri rami nel silenzio<br />
più profondo, portandosi per sempre via con sé la<br />
<strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong>.<br />
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Anna Maria Marsegaglia<br />
Estate in <strong>montagna</strong><br />
Il campanile <strong>della</strong> Pieve aveva suonato l’Ave Maria,<br />
annunciando l’inizio <strong>della</strong> giornata, ma il bosco<br />
era immerso nel buio e nel silenzio. Passi assonnati<br />
di persone e animali lo attraversavano salendo<br />
la carraia con lieve scalpiccio. I campanacci delle<br />
mucche, tappati con fieno secco per timore di rappresaglia<br />
da parte delle truppe tedesche che avevano<br />
occupato il paese, pendevano muti dai colli delle<br />
mucche.<br />
Tino si sentiva inutile come quegli aggeggi: nessuno<br />
aveva ascoltato le sue ragioni, che comprendevano<br />
il rifiuto di passare tre mesi in alpeggio a<br />
pascolare le mucche.<br />
Seppure il lavoro non rientrasse nei suoi progetti<br />
per le vacanze estive, ciò che gli rodeva maggiormente<br />
era la visione di se stesso - ragazzo pieno di<br />
risorse - condannato ad annoiarsi in un eremo selvaggio<br />
mentre i suoi amici se la spassavano laggiù<br />
in paese.<br />
Nonostante l’avvilimento, però, si rendeva conto<br />
che sua madre non aveva avuto scelta.<br />
Era una donna dolce, la sua mamma, prima che<br />
suo marito fosse deportato in Germania.<br />
Ma poi, trovandosi dall’oggi al domani respon-<br />
sabile dei genitori anziani e di un figlio adolescente<br />
un po’ scapestrato, si era trasformata in una donna<br />
severa e taciturna.<br />
A volte, quando tornando dal lavoro di lavandaia<br />
nella caserma occupata dai Tedeschi, veniva informata<br />
dalle solite comari delle marachelle combinate<br />
dal figlio insieme agli amici, le salivano agli occhi<br />
lacrime di impotenza.<br />
Di solito le uscite dei ragazzi finivano nei frutteti,<br />
dove si ingozzavano di qualsiasi tipo di frutta, a<br />
volte acerba (il pane nero del tesseramento e le minestre<br />
di verdure non erano sufficienti per la loro<br />
fame giovanile).<br />
Ma nell’ultimo anno avevano preso l’abitudine di<br />
prendere di mira le persone arroganti con scherzi<br />
atroci e ciò preoccupava la mamma ed i nonni di<br />
Tino. Fu il timore che i ragazzi infastidissero i tedeschi,<br />
con conseguenze inimmaginabili, a convincerli<br />
che Tino sarebbe stato meglio in <strong>montagna</strong>.<br />
Per questo lo avevano raccomandato a Battista il<br />
capo malga come aiutante per la stagione all’alpeggio.<br />
- Perlomeno lassù potrai mangiare quanto vuoi -<br />
gli aveva detto il nonno.<br />
- E potrai deridere solo i cervi e le marmotte, che<br />
non ti daranno retta per niente - aveva proseguito<br />
la mamma.<br />
- E magari, già che sono lì, potrei perfino morire<br />
88 89
di noia! - aveva gridato Tino.<br />
<strong>La</strong> nonna gli aveva risposto con dolcezza:<br />
- Potresti lavorare, imparare a conoscere la <strong>montagna</strong><br />
e chi vi abita.<br />
A Tino non rimase che tacere.<br />
Ma poiché i suoi cari lo amavano molto, malgrado<br />
la decisione dura intrapresa, ciascuno di loro<br />
mise di nascosto nello zaino un regalo, una specie<br />
di risarcimento per i disagi che avrebbe dovuto affrontare.<br />
Così insieme ai panni pesanti, nel bagaglio trovarono<br />
posto il coltello a serramanico di suo nonno,<br />
l’armonica a bocca di suo padre e due grossi pani<br />
dolci, spuntati da chissà dove.<br />
Lucia, la sua amica sarta, gli fece avere un libro<br />
di avventure.<br />
I montanari salivano, con passi che avevano la<br />
cadenza data dall’abitudine.<br />
Dietro di loro venivano gli asini e i muli, poi le<br />
mucche e le pecore, sospinte dai cani.<br />
Tino chiudeva la fila, cupo, gli occhi fissi alla<br />
strada. Dopo un tempo che gli parve infinito, la<br />
carovana si fermò in una radura. Tino, che non si<br />
era accorto <strong>della</strong> manovra, finì per inciampare sulla<br />
schiena morbida <strong>della</strong> pecora che lo precedeva.<br />
Rialzandosi, vide che si trovavano su un pianoro<br />
sul quale sorgeva una graziosa cappella affiancata<br />
da un fontanile.<br />
Il ragazzo si umettò le labbra: il rumore dell’acqua<br />
che scendeva attraverso una canaletta in legno<br />
era invitante, ma doveva dare la precedenza ai primi<br />
arrivati.<br />
I montanari bevvero in fretta, poi cedettero il<br />
posto agli animali e si misero in circolo vicino alla<br />
cappella a recitare il rosario davanti a un’immagine<br />
di Madonna dal volto dolcissimo. Dopodiché,<br />
mentre alcuni cantavano, altri liberarono i campanacci<br />
dal fieno.<br />
Ripresero il cammino chiacchierando allegramente,<br />
come sciolti da un sortilegio.<br />
Una donna gli si affiancò:<br />
- E così sei tu che baderà alle mie tre mucche.<br />
Sono buone, sai, anche se la Lola è un po’ bizzarra.<br />
Da bambina mi piaceva andare con le mucche<br />
al pascolo. Sono animali mansueti, e ci lasciano il<br />
tempo per osservare i fiori e le bestie selvatiche. E<br />
poi lassù ci sono tante fragole e mirtilli da raccogliere.<br />
Tino ascoltava con una punta di perplessità. Facendo<br />
il paragone tra le occupazioni che essa gli<br />
aveva elencato e quelle alle quali era solito partecipare,<br />
secondo lui di bizzarro in quel luogo non<br />
c’era solo la mucca Lola.<br />
A un tratto qualcuno gridò:<br />
- <strong>La</strong>ssù, si vedono le case di Mola.<br />
- Finalmente - pensò Tino sentendosi esausto.<br />
90 91
L’alpeggio constava di una costruzione con aperture<br />
a forma trapezoidale vicino al tetto e quattro<br />
finestrine protette da una grata al piano inferiore.<br />
Su di un lato c’era una casetta dal tetto di pietra<br />
con una porticina sbilenca; poi c’era una baracca di<br />
forma allungata con l’uscio aperto.<br />
Battista - il capo malga - distribuì i compiti: agli<br />
uomini toccava di scaricare i muli e tagliare la legna<br />
mentre le donne rassettavano e cucinavano; Tino<br />
avrebbe accompagnato le mucche in un pascolo<br />
più in alto.<br />
Il ragazzo, deposto lo zaino al sicuro dai cani, si<br />
accinse a ubbidire, ma le mucche nel frattempo si<br />
erano avviate per conto loro. Raggiunto il pascolo<br />
si accoccolò sui talloni meditando sul mondo nuovo<br />
che gli si apriva davanti. Al suono allegro dei<br />
campanacci si accompagnava il sibilo del vento tra<br />
i larici e il gorgoglio di un ruscello.<br />
Il paesaggio aveva un che di radioso: sassi lucenti<br />
si alternavano a macchie d’erba e ciuffi di rododendri;<br />
il sole si rinfrangeva nell’acqua pura. Il cielo era<br />
incredibilmente azzurro, appena sfrangiato dalle<br />
foglie nuove dei larici.<br />
Sobbalzò quando una marmotta ferma su un<br />
masso emise un fischio.<br />
Molto tempo dopo si sentì chiamare. Era ora di<br />
pranzo. Dopo un’occhiata alle mucche che pascolavano<br />
placidamente discese a balzi la distesa erbosa<br />
e in pochi minuti fu alla baita.<br />
Davanti alla cucina, su una bassa pietra circolare<br />
c’era un tagliere con una polenta color del sole, e<br />
poi formaggi, salumi e un tegame di uova fritte.<br />
Tino si sedette un po’ in disparte dagli altri, beandosi<br />
del piatto colmo di cibo tesogli da Emma.<br />
Mangiava in silenzio assaporando ogni boccone.<br />
Ma a un certo punto un pensiero turbò la sua<br />
contentezza: mentre loro mangiavano in allegria,<br />
laggiù in paese si soffriva per la fame e la preoccupazione.<br />
Il malessere continuò a tormentarlo mentre aiutava<br />
Emma a preparare i letti nel fienile.<br />
<strong>La</strong> donna lo interpellò con dolcezza:<br />
- Hai nostalgia di casa, vero<br />
Tino rispose con fervore adolescenziale:<br />
- Come fate ad essere così contenti, mentre in<br />
molte case di Edolo si piangono i morti e i dispersi<br />
Emma sospirò brevemente:<br />
- <strong>La</strong> felicità dura finché dura l’illusione. E la preghiera<br />
recitata alla cappella per la Madonna di Nazareth<br />
ci fa illudere che presto tornerà il sereno.<br />
Tino arrossì per l’imbarazzo, ripromettendosi di<br />
smetterla con i giudizi sul suo prossimo.<br />
Mentre lui ed Emma lavoravano nel fienile le altre<br />
donne avevano rigovernato e lucidato gli attrezzi<br />
per la preparazione del formaggio. Finiti i loro<br />
compiti, salutarono i quattro mandriani rimasti fa-<br />
92 93
cendo loro molte raccomandazioni, poi a turno abbracciarono<br />
Tino. Quindi ripartirono per il paese.<br />
Avevano appena svoltato lungo il sentiero, che<br />
una nuvola nera oscurò il sole.<br />
Di colpo l’aria divenne gelida e l’erba prese uno<br />
strano colore.<br />
- È l’ora di riportare giù le mucche - disse Giovanni,<br />
un uomo cordiale, dalla barba ispida. - Vacci<br />
tu, ragazzo, e prendi con te i cani per aiutarti.<br />
Mentre Tino saliva il pendio sobbalzò al boato<br />
di un tuono. Il cielo divenne un marasma di nuvole<br />
color piombo e subito iniziò a cadere una pioggia<br />
gelida. Intanto gli animali, spaventati dalla violenza<br />
degli elementi, stavano scendendo dai pascoli a<br />
precipizio in cerca di un riparo, ed al ragazzo e ai<br />
cani non rimase altro da fare che seguirli.<br />
Due mucche particolarmente terrorizzate entrarono<br />
nella stalla, e subito iniziarono a litigare<br />
con grandi cozzi di corna. Le altre si fermarono<br />
sull’uscio, rifiutandosi di entrare.<br />
Intanto il cielo era di un color piombo compatto<br />
e la pioggia si era trasformata in una neve grigiastra<br />
così fitta da accecare.<br />
Le bestie fuori <strong>della</strong> stalla girarono a lungo in<br />
tondo, poi presero a scendere a balzi verso valle. I<br />
mandriani cercarono di fermarle, ma erano troppo<br />
spaurite.<br />
A un certo punto Antonio gridò:<br />
- Rientriamo in baita prima di beccarci un malanno.<br />
Le bestie sanno dove trovare riparo laggiù tra<br />
gli abeti.<br />
Rimasero a lungo sulla soglia <strong>della</strong> cucina a guardare<br />
quel paesaggio da fine del mondo.<br />
I fiocchi di neve erano così pesanti da produrre<br />
piccoli tonfi sul tetto di lamiera.<br />
Ora le mucche che presidiavano la stalla si erano<br />
calmate.<br />
- E se accendessimo il fuoco per asciugarci -<br />
disse Marino.<br />
Ma nella cucina non c’era nemmeno uno stecco<br />
di legna e la neve aveva reso fradicia quella tagliata<br />
al mattino.<br />
- Per l’inferno - imprecò Marino - proprio un<br />
bel benvenuto ci ha riservato la <strong>montagna</strong>! Niente<br />
legna, quindi niente fuoco... e niente cena.<br />
- Le mucche! - esclamò Francesco - Se riusciamo<br />
a mungerle avremo del latte tiepido.<br />
Preso un secchio e un mantello si diresse alla<br />
stalla e tornò poco dopo con il latte che versò in<br />
grosse scodelle di latta. Antonio prese alcune pagnotte<br />
da un sacco di tela e così consumarono la<br />
cena improvvisata.<br />
Fuori continuava il finimondo: il vento sibilava<br />
con rabbia e l’acqua del ruscello mugghiava forte.<br />
Il cuore di Tino batteva forte. Non aveva mai<br />
visto il furore di una bufera in <strong>montagna</strong>.<br />
94 95
Nella cucina nessuno parlava. Si udiva solo il<br />
suono metallico dei cucchiai dentro le scodelle. Finito<br />
di cenare decisero di andare a dormire: forse<br />
avrebbero trovato un po’ di caldo tra le coperte.<br />
Ma nel fienile dove c’erano i letti la neve entrava<br />
a larghe falde dalle aperture, e sui tetti c’era una<br />
coltre bianca alta una trentina di centimetri.<br />
Stanchi e rassegnati, scossero via la neve dalle<br />
coperte, poi le portarono in cucina insieme con i<br />
materassi che allinearono sul pavimento di terra<br />
battuta formando un unico letto.<br />
Si coricarono semivestiti, tremanti di freddo; ma<br />
mentre gli altri, forse grazie alla grappa consumata<br />
poco prima, si misero subito a russare, Tino continuava<br />
a battere i denti per il freddo.<br />
A un certo punto Antonio si alzò e, messo un<br />
goccio d’acqua in una sco<strong>della</strong>, gliela diede da bere.<br />
Subito sentì un gradevole calore spandersi nelle<br />
membra. Poi, il capo malga gli sistemò attorno un<br />
mantello pesante, dicendogli:<br />
- Dormi, che dopo la tempesta torna sempre il<br />
sole.<br />
A quelle parole Tino si sentì consolato: forse anche<br />
a casa sua prima o poi sarebbe tornato il sereno.<br />
Si addormentò quasi immediatamente.<br />
Lo svegliò un canto melodioso di uccelli.<br />
Vide che gli uomini stavano osservando la <strong>montagna</strong><br />
dalla soglia. Il paesaggio era candido, ma il<br />
sole caldo di giugno stava sciogliendo la neve.<br />
Un’aquila volava nel cielo terso lanciando il suo<br />
strido, il ruscello aveva ripreso il suo suono allegro<br />
e un vento fresco mormorava tra le foglie degli<br />
abeti, sfrondando via le frange di neve.<br />
Bevve con piacere il latte appena munto che G.<br />
gli portò, insieme a del pane secco, poi sedette su<br />
uno sgabello al sole ad osservare la neve che si scioglieva<br />
rapidamente.<br />
Verso le undici si udirono i campanacci delle<br />
mucche: stavano risalendo i prati, sospinte da una<br />
folla di gente carica di fieno e di vettovaglie.<br />
- Voi, lassù, state bene<br />
Tino sentì un fiotto di lacrime partire dal cuore.<br />
In un giorno erano successe tante cose: era stato<br />
ammaliato dalla <strong>montagna</strong>, dalla sua gente, dalle<br />
sue voci.<br />
Aveva capito che anche lassù c’erano tante avventure<br />
da vivere e da condividere con i suoi nuovi<br />
amici, tra i suoni e i silenzi <strong>della</strong> <strong>montagna</strong>.<br />
96 97
Lidia Morandi<br />
L’ascesa<br />
<strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong> la notte è il silenzio.<br />
Il silenzio di un bosco ancora avvolto nel suo<br />
nero manto mentre già occhieggiano i funghi appena<br />
risorti dall’umido sepolcro, lambiti da tacite<br />
lumache recanti la sottile, ingombrante esistenza<br />
sulle piccole spalle. Quando gli uccelli dormono<br />
ancora e le foglie più robuste vacillano senza<br />
osare staccarsi per non turbare quel fragile sonno,<br />
mentre quelle già cadute attutiscono il tuo passo<br />
pesante sul fondo morbido del tappeto variopinto,<br />
adagiate l’una accanto all’altra, come sorelle in un<br />
letto di morte.<br />
Avanzi, nel rispetto di quella preghiera silenziosa<br />
che nell’ultima ora <strong>della</strong> notte si consuma tra le colonne<br />
di un tempio di abeti maestosi che ardiscono<br />
raggiungere il cielo. Ti abbeveri a quella fonte<br />
di pace mentre nella testa hai tanto rumore di vita<br />
che non ti abbandona: i pensieri, le voci, la gente,<br />
le cose da fare, quelle rimaste a metà. Persino i sogni<br />
emanano un fastidioso sibilo di fondo, simile al<br />
rimpianto. Tanti «se», «forse», «però» e «perché» infilati<br />
in uno zaino, come sassi che inutilmente sposti<br />
da un luogo ad un altro, senza nulla di nuovo<br />
costruire, senza nulla di vecchio abbattere. Procedi<br />
ostinatamente verso l’alto affinché, dall’abisso quotidiano,<br />
tu possa ricondurre la tua anima lassù, dal<br />
buio attraverso la penombra, per risalire una volta<br />
per sempre alla luce, per provare a comprendere<br />
ciò che la <strong>montagna</strong>, oggi, ti insegnerà. Sempre che<br />
intenda parlarti. Sempre che tu sappia ascoltare.<br />
Sei stanca di parole. Parliamo, parliamo, parliamo<br />
in continuazione, persino quando le labbra tacciono<br />
e i nostri monologhi mentali ci impediscono di<br />
ascoltare l’altro, impedendoci persino di percepire<br />
la nostra vera <strong>voce</strong>...<br />
Ma ecco che il cielo si risveglia e si fa via via<br />
più chiaro e gentile occhieggiando tra i rami più<br />
alti, mentre un timido raggio di sole già lambisce<br />
la cima di monti lontani che si abbeverano con discrezione<br />
a quella fonte di luce senza mai esaurirla,<br />
riflettendola generosamente sul mondo circostante<br />
ancor prima che vi giunga.<br />
Sorridi a quei capi imbiancati, prime sentinelle<br />
che annunciano alla terra l’alba di ogni giorno,<br />
come fosse il primo e come sarà forse l’ultimo. Mirabile<br />
magia <strong>della</strong> vita che ritorna e che si compie<br />
ogni volta nel silenzio <strong>della</strong> quotidianità.<br />
Un miracolo senza clamori.<br />
Ascolti e ascolti ma non odi che la <strong>voce</strong> del tuo<br />
cuore che interroga quel silenzioso richiamo alla<br />
vita e che fatica a cogliere, crogiolandosi nella malinconia.<br />
98 99
<strong>La</strong> <strong>montagna</strong> ti osserva ammiccando dall’alto<br />
e intimidisce le tue piccole pretese, ridimensiona<br />
la tua immagine paragonata alla sua mostrandoti<br />
quanto sia breve il tuo passo sulla via e nella vita, e<br />
ancora tace. Ancora non riesci a comprendere cosa<br />
questo silenzio e questa solitudine ti stiano comunicando.<br />
È un linguaggio che non ti appartiene, che<br />
non conosci, che non sai ascoltare. Vorresti volgere<br />
le spalle e tornare a te, alle tue sicurezze precarie e<br />
invece provi con fiducia ad abbandonarti al ritmo<br />
del passato, al torpore <strong>della</strong> fatica, facendo spazio a<br />
questo vuoto che tenta di farsi un varco tra i pensieri.<br />
Così, lentamente, con la pazienza dei secoli,<br />
quel silenzio inizia a trasformarsi in una <strong>voce</strong><br />
potente che soltanto l’anima, prima sentinella tra i<br />
sensi, inizia a percepire e a riflettere generosamente<br />
sul corpo circostante. L’udito, la vista, il gusto, il<br />
tatto, l’olfatto si confondono poiché tutto ciò che<br />
ti circonda ti invade e diviene parte di te. Gli occhi<br />
abbracciano orizzonti lontani che le dita non potrebbero<br />
toccare, il profumo di ciclamini appena<br />
sfiorati impregna la pelle, le narici soppesano l’aria<br />
sottile, le labbra gustano la fatica e ascolti con orecchie<br />
attente dentro di te questo silenzio che forse<br />
solo ora cominci a comprendere. Il tuo mondo da<br />
quassù si fa sempre più piccolo, come quelle minuscole<br />
case, quelle auto brulicanti che naufragano<br />
in aggrovigliati fiumi grigi mentre dense nubi<br />
le avvolgono celandone i suoni. Là hai deposto i<br />
pensieri più cupi e ora la mente leggera riprende<br />
vigore ed è pronta all’ascesa. Libera, libera, libera.<br />
Inspiri ed espiri come fosse il primo giorno <strong>della</strong><br />
tua vita e d’improvviso un tuono ti implode nel<br />
petto, ti risvegli come da un lungo sonno e i sensi,<br />
ritrovando il loro ordine, si acuiscono fino allo<br />
spasmo e finalmente registrano ogni cosa, reale o<br />
immaginata, amplificandola. Mirabile sinfonia orchestrata<br />
da un invisibile maestro.<br />
Un passero spaventato che si inerpica tra l’ombra<br />
di un ramo e poi frulla le ali e cinguetta cercando<br />
col capo un riparo, il sottile fragore di un rivolo<br />
d’acqua, il tamburellare <strong>della</strong> pioggia che insiste<br />
leggera sulla ruvida roccia come volesse forgiarne<br />
una statua, il fischio del vento, dapprima impetuoso<br />
tra i rami più robusti, che ora accarezza leggero<br />
gli steli d’erba con un dolce fruscio, lo sventagliare<br />
aristocratico d’ali di farfalla, il ronzio di api indecise<br />
tra i fiori più belli, applausi di foglie pendule, il<br />
ribollire del bosco al generoso ritorno del sole, il<br />
tramestio <strong>della</strong> polvere che fluttua leggera nell’aria<br />
ad ogni passo. I profumi, i colori, il caldo, il freddo,<br />
l’asciutto, il bagnato, tutto ha una <strong>voce</strong> ora che tu<br />
finalmente taci.<br />
Ad occhi chiusi ti abbandoni, ubriaca di quei<br />
suoni che ti stupiscono come se li udissi per la prima<br />
volta così tutti insieme. Come potevi non aver<br />
100 101
pianto di gioia ogni mattino per quel canto alla<br />
vita Come potevi non aver apprezzato ogni singolo<br />
istante <strong>della</strong> tua esistenza su questa terra<br />
Riapri gli occhi ed avverti un denso silenzio che<br />
ti scivola dentro l’anima come miele.<br />
Giovani nuvole si aggirano leggere nel tuo nuovo<br />
cielo disegnando un bianco sorriso. Muggiti lontani<br />
cullano la mente come un mantra e piccoli insetti<br />
inquieti ti tormentano le caviglie ad ogni sosta<br />
con il loro inutile ronzio. Inutile come certi pensieri<br />
molesti che non ci abbandonano quando il nostro<br />
incedere vacilla.<br />
Il rassicurante ticchettio del bastone sul selciato<br />
ti precede fugando le insidie. Strilla volando alta<br />
una poiana per segnalare la tua presenza ai suoi piccoli.<br />
Anche tu presenti un’insidia per il suo bene<br />
più prezioso. Come le parole che spesso sono lacci<br />
nei quali inciampiamo, pietre da scagliare, giudizi<br />
che uccidono.<br />
Le montagne di parole edificano muri invalicabili<br />
tra noi e gli altri.<br />
<strong>La</strong> <strong>montagna</strong> che tace è un luogo dello spirito<br />
che si erge con il suo aspro percorso di solitudine<br />
e di silenzio che ogni anima dovrebbe compiere da<br />
sé per perdersi e ritrovarsi per poi tornare a spendersi<br />
nuovamente nel mondo.<br />
Questo fragoroso silenzio rigenerante è tutto ciò<br />
di cui oggi abbiamo più bisogno.<br />
Sara Pedersoli<br />
Orante<br />
A volte arrivava fin là, sospinta dalle brezze<br />
mutevoli che lambivano la valle. Era la <strong>voce</strong> <strong>della</strong><br />
<strong>montagna</strong>.<br />
Non avvisava mai del suo arrivo: semplicemente<br />
lo coglieva alle spalle, accarezzandogli la nuca mentre<br />
arrancava sulla strada erta.<br />
Era un suono cristallino che lo avvolgeva e poi<br />
si infilava tra i rami degli alberi, scotendoli scherzosamente;<br />
nulla più che un sussurro, ma sufficiente<br />
a confermargli che quella era proprio la sua valle,<br />
anche se da lassù faticava a riconoscerla.<br />
Era tornato in paese già da sei mesi ma ancora<br />
gli riusciva difficile abituarsi ai cambiamenti del paesaggio:<br />
le case che si erano mangiati gli appezzamenti<br />
di terra, il corso del fiume trasformato in un<br />
serpente tortuoso, i treni dai colori vivaci che facevano<br />
da scriminatura alla valle. Quando era bambino<br />
trascorreva interi pomeriggi in quella vigna:<br />
si stendeva sul primo terrazzamento con il merlot<br />
a fargli ombra e osservava il paese dall’alto, godendo<br />
<strong>della</strong> posizione privilegiata che gli permetteva di<br />
coglierne ogni minima sfumatura. Suo padre intanto<br />
legava la vite e lo controllava con occhiate laterali,<br />
ché quello era un campo scosceso e abbarbicato<br />
102 103
al dorso <strong>della</strong> <strong>montagna</strong>, bisognava stare attenti a<br />
non farsi male sporgendosi troppo.<br />
Poi era cresciuto e lassù c’era andato poco, distratto<br />
da ben altre pulsioni che richiedevano la sua<br />
presenza nei paesi vicini. <strong>La</strong> vita aveva fatto il suo<br />
corso e quel giorno di luglio, nella piazza di Borno<br />
ancora abbracciata dai muri a secco, aveva conosciuto<br />
Lucia. Non era stato facile rivolgerle la parola,<br />
ancora meno smettere di parlarle quando si era<br />
fatta sera e bisognava tornare a casa. Si erano dati<br />
un vago appuntamento per la domenica, poi ogni<br />
incontro ne aveva richiesto uno successivo, fino a<br />
quando, tre anni dopo, si erano sposati. Avevano la<br />
testa affollata di sogni, a quei tempi. Ma il destino<br />
si era preso gioco di loro nel modo più crudele: i<br />
figli tanto attesi non erano mai arrivati, e anche il<br />
solo fatto di sopravvivere si era trasformato in un<br />
percorso a ostacoli, col lavoro a cottimo che scarseggiava<br />
e la natura che spesso se la prendeva con i<br />
loro campi. Avevano dovuto infilare le poche cose<br />
che possedevano in uno scatolone e partire per il<br />
Brasile, dove uno zio di Lucia aveva da offrire lavoro,<br />
un tetto e forse un po’ di tranquillità.<br />
Una vita da emigranti è una croce per chiunque,<br />
figuriamoci per una giovane coppia che non aveva<br />
mai messo piede fuori dalla valle. Lucia si guardava<br />
intorno con aria smarrita, là a Florianopolis, e le<br />
sopracciglia le schizzavano in cima alla testa in con-<br />
tinuazione per lo sgomento. C’era l’oceano selvaggio,<br />
e fiori grandi come una testa di mucca, e uccelli<br />
dai colori sgargianti che emettevano versi striduli;<br />
in lontananza si vedevano anche le montagne, incolte<br />
e selvagge, e quel panorama rievocava in loro<br />
il ricordo di casa. Per tanto tempo si erano sentiti<br />
esuli, senza radici, come se gli avessero levato un<br />
braccio. Ma la gente <strong>della</strong> valle è di pochi lamenti<br />
e molti fatti: si erano inventati una nuova serenità,<br />
erano cresciuti insieme all’ombra delle buganvillee,<br />
e alla fine si erano accorti che era passata un’intera<br />
vita. Il Brasile li aveva accolti, aveva cotto la pelle<br />
dei loro visi col suo sole feroce, aveva riempito le<br />
loro orecchie di musica.<br />
Fino a pochi mesi prima, quando la musica si<br />
era bruscamente interrotta; Pietro lo rammentava<br />
bene quel momento, ricordava con precisione<br />
perfino il colore delle pareti, la consistenza <strong>della</strong><br />
poltrona dove erano seduti mentre quel dottore<br />
parlava delle condizioni di salute di Lucia. Ormai<br />
il portoghese lo comprendevano perfettamente,<br />
ma Pietro avrebbe preferito non capire cosa diceva<br />
quel ragazzo, e soprattutto avrebbe preferito che<br />
non lo capisse Lucia, che invece aveva abbassato gli<br />
occhi al pavimento e non li aveva rialzati più fino<br />
a sera.<br />
Voglio tornare a casa, aveva detto alla fine. Voglio<br />
morire con le mie montagne negli occhi.<br />
104 105
E così avevano preso un aereo ed erano tornati,<br />
semplicemente.<br />
Avevano ritrovato il paese, ma stentavano a riconoscerne<br />
la fisionomia. Era affollato e vivace, la<br />
piazza - la loro piazza - gremita di persone, i turisti<br />
che ridevano passeggiando per le viuzze.<br />
Lucia si stropicciava le mani guardandosi intorno,<br />
le labbra piegate in una forma strana. Solo quando<br />
aveva alzato lo sguardo e l’aveva posato sulle montagne,<br />
le vecchie montagne immobili e confortanti,<br />
una luce di riconoscenza le aveva illuminato gli occhi.<br />
Per fortuna avevano ancora il vecchio bait di suo<br />
padre, con il tetto in pietra e quei filari di vite tenace<br />
a mo’ di giardino. Lucia ci stava tutto il giorno,<br />
seduta sotto il clinto a guardare la valle; lui fingeva<br />
di trafficare con l’uva americana e intanto la controllava<br />
di nascosto, che non le mancasse nulla, che<br />
la luce violenta non le desse troppo fastidio.<br />
Sotto il ciliegiolo crescevano ancora quelle fragoline<br />
selvatiche, ruvide come la lingua di un gatto<br />
ma con il cuore sorprendentemente dolce. Lucia<br />
da giovane ne andava matta, le infilava una a una in<br />
un lungo stelo di erba marzolina e poi se le avvolgeva<br />
a mo’ di collana, ché le piaceva degustarsele<br />
con calma a casa, la sera. E anche quell’estate lui<br />
le aveva intrecciato collane di fragole selvatiche, e<br />
l’aveva fatta ridere raccontandole vecchi proverbi,<br />
e le aveva creato sulla vestaglia dei disegni con le<br />
foglie di parietaria.<br />
Poi, però, l’estate era finita.<br />
Scesero dalla jeep che era ancora buio. Era stata<br />
un’impresa arrivare fin lì, con le strade oramai sconosciute<br />
e piene di aiuole rotonde proprio in mezzo<br />
alla carreggiata, che gli avevano fatto sbagliare<br />
direzione più volte.<br />
Ma quella era una notte speciale: Lucia, quando<br />
il giorno prima aveva guardato il lunario, si era voltata<br />
verso di lui con gli occhi scintillanti, una luce<br />
ragazzina nello sguardo. E lui non se l’era sentita di<br />
dirle di no.<br />
Arrancarono fino a un terrapieno: da lì lo spettacolo<br />
sarebbe stato perfetto.<br />
Il Pizzo Badile era proprio di fronte a loro, simile<br />
a un totem increspato di crinoline grigiastre. Pietro<br />
sapeva che le popolazioni primitive che abitavano<br />
la zona l’avevano adorato come una divinità, l’avevano<br />
temuto e idolatrato al punto da incidere le<br />
loro preghiere sulle rocce lisce <strong>della</strong> valle.<br />
Lui e Lucia erano andati insieme a vederli, quei<br />
sassi, tanti anni prima: enormi blocchi levigati da<br />
antichi ghiacciai, solcati da graffiti che raffiguravano<br />
cacciatori, animali e soprattutto loro, gli oranti,<br />
piccoli uomini nell’atto di offrire la loro devozione<br />
al monte. Gli erano rimaste impresse, quelle figure<br />
106 107
inermi e impaurite, ci aveva ripensato spesso.<br />
Si chiese se anche i suoi antenati fossero divorati<br />
dalle sue stesse paure, dalla disperazione <strong>della</strong><br />
solitudine, dall’assurdo senso di smarrimento che<br />
lo coglieva ogni volta che realizzava che lei presto<br />
non ci sarebbe stata più.<br />
Poi cominciò ad albeggiare, e Pietro non pensò<br />
più a niente. Erano passati tanti anni dall’ultima<br />
volta, ma il miracolo avvenne: e fu esattamente<br />
come lo ricordava.<br />
L’ombra <strong>della</strong> <strong>montagna</strong>, sospinta dal sole che<br />
le nasceva esattamente dietro, cominciò a staccarsi<br />
dal crinale e si allungò verso l’alto, amplificando<br />
sempre più le dimensioni <strong>della</strong> vetta. Il pizzo badile<br />
si stagliò nel cielo con una corona luminosa, una<br />
presuntuosa coda di pavone che squarciava il buio.<br />
Era uno spettacolo magnifico, era lo Spirito <strong>della</strong><br />
Montagna.<br />
Vide che Lucia sorrideva, ed era esattamente lo<br />
stesso sorriso di tanti anni prima, quando avevano<br />
l’abitudine di salire fin lassù tutti gli anni, la notte<br />
dell’equinozio.<br />
Lucia diceva che andavano a liberarsi l’anima:<br />
che salivano con un carico di dolori e preoccupazioni<br />
e lo spirito li prendeva con sé, lasciandoli lievi<br />
e sorridenti.<br />
Pietro ricordava bene il senso di leggerezza, quasi<br />
di rinascita, che da allora aveva sempre sperimenta-<br />
to al cospetto dello Spirito. Era la stessa sensazione<br />
che provava anche adesso, guardando di sottecchi il<br />
profilo di sua moglie e prendendole la mano.<br />
<strong>La</strong> sensazione di essere protetto, di avere qualcuno<br />
- qualcosa - su cui contare. <strong>La</strong> certezza che,<br />
comunque fossero andate le cose, avrebbe avuto la<br />
forza di affrontarle.<br />
Sorrise pensando che erano cambiate tante cose,<br />
in quegli anni, ma la <strong>montagna</strong> era rimasta uguale,<br />
e aveva continuato a parlare.<br />
E lui era ancora lì, come un orante, ad ascoltarne<br />
la <strong>voce</strong>.<br />
108 109
Elena Pedretti<br />
<strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />
Passeggiando per i sentieri di <strong>montagna</strong> tutto mi<br />
ricorda lei... I fiori nei prati, il canto degli uccelli<br />
che volano tra gli alberi, il cielo terso <strong>della</strong> mattina<br />
che può velocemente mutare, l’odore del terreno<br />
fertile e dei funghi, il rumore del torrente che scende<br />
a valle... Lei rivive nella natura, nei profumi e nei<br />
colori che la <strong>montagna</strong> sprigiona; lei è il sole che<br />
splende e riscalda, lei è la pioggia che bagna e porta<br />
frescura...<br />
Lei è la mia cara nonna Maddalena, una persona<br />
che ha profondamente segnato il mio cammino e<br />
una delle poche che mi ha reso ciò che sono. A lei<br />
devo molto, perché mi ha insegnato molte cose,<br />
non solo ciò che è bene o male, ma anche il rispetto<br />
del prossimo, sia esso persona, animale o un semplice<br />
fiore. Mia nonna è stata una figura importante<br />
anche perché mi ha trasmesso la sua passione<br />
per la <strong>montagna</strong>, che condivideva con mio nonno<br />
Giacomo, e che poi ha tramandato ai suoi figli, in<br />
modo particolare a mio papà Flavio. L’amore per<br />
la natura che mio padre ha ereditato mi permette<br />
di apprezzare una camminata tra i boschi e assaporare<br />
la bellezza dei paesaggi, guardare a lungo un<br />
tramonto senza tediarmi e sedermi all’ombra di un<br />
albero, chiudere gli occhi e ascoltare in silenzio i<br />
suoni che la natura offre...<br />
Mio papà, infatti, è molto simile a sua madre,<br />
ama le cose semplici, quelle che ad uno sguardo<br />
superficiale possono sembrare futili, ma che ad un<br />
occhio attento regalano forti emozioni. Mia mamma<br />
spesso dice che pure io somiglio a mia nonna,<br />
la quale mi ha trasmesso alcuni pregi e anche qualche<br />
difetto; il suo carattere forte la rendeva speciale,<br />
perché come tutte le persone anche lei era unica<br />
e insostituibile, soprattutto ai miei occhi di nipote.<br />
Condivideva con me un rapporto particolare,<br />
dovuto al tempo trascorso insieme, l’una accanto<br />
all’altra sulle montagne.<br />
I momenti più belli <strong>della</strong> mia infanzia, in effetti, li<br />
devo proprio a lei, mia nonna Maddalena... Quando<br />
ero piccola, al termine <strong>della</strong> scuola, mi trasferivo in<br />
baita insieme a lei e al mio cane Billy, e restavamo<br />
in <strong>montagna</strong> fino a settembre, quando ricominciavano<br />
le lezioni. Ricorderò sempre le giornate passate<br />
con lei, per funghi nel bosco quando c’era il<br />
sole, in cascina a chiacchierare e cantare quando<br />
la sera scendeva; persino il buio non ci impediva<br />
di trascorrere degli istanti felici, che oggi ricordo<br />
con un sorriso e una lacrima di gioia. Ogni gior-<br />
110 111
no, di pomeriggio, preparavamo l’occorrente per<br />
un’eventuale raccolta di porcini; armate di bastone<br />
e attrezzate di cestino, ci inoltravamo nei sentieri<br />
dei boschi, passeggiando una dietro l’altra, cercando<br />
attentamente i funghi. Lei sapeva i posti dove<br />
solitamente crescevano e talora mi narrava compiaciuta<br />
le sue avventure passate; più di una volta,<br />
sollevando le fronde di alcuni alberi, aveva scoperto<br />
dei bei porcini e si era stupita dell’inaspettata<br />
scoperta.<br />
Quando tornavamo in baita eravamo stanche ma<br />
felici, poiché la <strong>montagna</strong> ci aveva allietato con la<br />
sua natura, talvolta rigogliosa, con i prati verdissimi<br />
e i cespugli in fiore, altre volte più arida, con una<br />
vegetazione più spoglia. Soprattutto nel bel mezzo<br />
del bosco si potevano scorgere grandi rocce grigie<br />
e spesso, in queste zone brulle, la pioggia non riusciva<br />
a filtrare nel terreno a causa <strong>della</strong> fittezza degli<br />
alberi. Ogni luogo, però, aveva il suo fascino e capitava<br />
che mi stupissi di trovarmi di fronte un sasso<br />
particolare o un certo tipo di fiore, che mostravo a<br />
mia nonna; la sua saggezza mi appariva immensa,<br />
perché sovente sapeva il nome di quel fiore... <strong>La</strong><br />
vedo ancora, lì china a raccogliere un mazzetto di<br />
quei bei fiori per portarli vicino alla fotografia di<br />
suo marito, che purtroppo era già scomparso. Era<br />
molto devota alla Madonna, così poteva accadere<br />
che portasse dei fiori anche in una piccola nicchia<br />
che si trovava nei pressi <strong>della</strong> nostra cascina, nella<br />
quale figurava una statuetta di una bianca Vergine.<br />
All’ora di coricarsi mia nonna mi rimboccava le<br />
coperte, mi dava un bacio sulla guancia e insieme<br />
pregavamo, ringraziando Dio per averci donato il<br />
regalo più prezioso, la vita. Qualche volta, prima<br />
di addormentarci, lei mi raccontava degli episodi<br />
<strong>della</strong> sua infanzia o <strong>della</strong> giovinezza, di quando aveva<br />
perso la mamma a soli sei anni e del primo incontro<br />
con mio nonno Giacomo. Mi narrava anche<br />
<strong>della</strong> guerra che aveva vissuto, <strong>della</strong> fame che aveva<br />
patito e delle lettere che suo marito le inviava dai<br />
lontani fronti di Albania, Grecia e Russia, nei quali<br />
aveva combattuto come artigliere, e le aveva scritto<br />
addirittura dalla prigionia, vissuta in Germania.<br />
Era molto orgogliosa di aver avuto un uomo così<br />
al suo fianco, e si preoccupava spesso di ricordarmi<br />
di scegliere attentamente quella che sarebbe stata la<br />
mia anima gemella.<br />
Oggi mi rammarico perché lei non ha potuto conoscere<br />
Riccardo, il mio moroso, che certamente<br />
le sarebbe piaciuto; posso intuire le parole che mi<br />
avrebbe detto nel vederlo: «L’è on bel matel, e pò ol me<br />
par brao! Me ‘ngure che’l haeh come ‘l tò nono Giacomo...»<br />
(«È un bel ragazzo, e poi mi sembra bravo! Mi au-<br />
112 113
guro che sia come tuo nonno Giacomo...»).<br />
Grazie a lei ho imparato il dialetto biennese e<br />
questo mi fa piacere perché è una tradizione che,<br />
ahimè, sta scomparendo con le nuove generazioni.<br />
Ricorderò sempre il giorno in cui mia nonna<br />
mi regalò un libro di racconti in dialetto, intitolato<br />
«<strong>La</strong> bota del nono» («<strong>La</strong> storia del nonno»), e donandomelo<br />
mi disse che quelle leggende le narravano<br />
gli anziani del suo paese; quando lei era piccola si<br />
tratteneva con i suoi familiari nella stalla a trascorrere<br />
le sere fredde dell’inverno, seduta sulla paglia<br />
e riscaldata dal fiato degli animali. Le filastrocche<br />
me le cantava spesso, per far sì che i suoi episodi<br />
d’infanzia non andassero persi, ma venissero trasmessi<br />
alle orecchie attente <strong>della</strong> sua nipotina. Da<br />
lei ho appreso anche la passione per il canto; pure<br />
io quando sono sola intono una qualsiasi canzone<br />
e, se sono malinconica, con la musica scaccio ogni<br />
brutto pensiero.<br />
Quanti altri ricordi mi affiorano alla mente! Sono<br />
piccoli sprazzi di momenti quotidiani, che adesso<br />
ritengo siano un bagaglio prezioso da serbare con<br />
molta gelosia, poiché essi sono solo miei... Ma se li<br />
racconto ad altri, in modo particolare ai miei cari,<br />
questi attimi passati li posso condividere, e così la<br />
mia gioia si espande; in tal modo onoriamo insie-<br />
me una persona speciale, che rivive grazie alla forza<br />
delle mie parole.<br />
Nella mia memoria rimangono indelebili non<br />
solo degli eventi felici, ma anche alcuni momenti di<br />
sconforto; quando ero triste lei era al mio fianco,<br />
sempre pronta a rincuorarmi e a scacciare la malinconia<br />
con i suoi gesti delicati. Di lei serbo pure dei<br />
rimproveri, che all’istante mi hanno infastidito, ma<br />
che adesso apprezzo, perché li considero dei veri<br />
insegnamenti di vita, che hanno permesso di farmi<br />
crescere con dei sani ed onesti principi.<br />
Considero mia nonna una seconda madre, con<br />
lei ho vissuto tanti anni fino al momento in cui si è<br />
spenta, quattro anni fa. Quando i suoi cari hanno<br />
fatto costruire la sua casa per l’eternità, che volgarmente<br />
si chiama tomba, hanno voluto ricordarla<br />
con tanti fiori, non quelli che si comprano dal<br />
fiorista in un bel negozio, bensì quelli che crescono<br />
spontaneamente nei prati e quelli selvatici dei boschi,<br />
i suoi boschi... Ogni volta che qualcuno vede<br />
la sua lapide si ricorda di lei in <strong>montagna</strong>, nella sua<br />
amata cascina di Travagnolo, sui monti di Bienno,<br />
accerchiata dai suoi parenti; tra di loro c’ero anche<br />
io, una piccola bambina che le voleva un bene<br />
dell’anima e che aveva i suoi stessi occhi marroni.<br />
114 115
Oggi purtroppo mia nonna non c’è più, ma è<br />
sbagliato dire che è morta... Lei è ancora viva, non<br />
è più corpo ma è anima, reincarnata nella natura<br />
che mi circonda e che mi protegge. Il suo spirito<br />
giace soprattutto nella baita che lei e mio nonno<br />
costruirono trentotto anni fa, con la fatica e il sudore,<br />
successivamente ripagati dall’orgoglio nel veder<br />
realizzato il loro grande sogno, quello di poter<br />
restare nel luogo tanto amato da entrambi, la loro<br />
cara <strong>montagna</strong>...<br />
Le belle persone non muoiono mai, poiché quello<br />
che di buono c’era in loro viene trasmesso ad<br />
altri, e così può rivivere per sempre. Nella <strong>voce</strong> <strong>della</strong><br />
<strong>montagna</strong> io risento le sue parole di speranza e<br />
di conforto, che pochi sono capaci di esprimere.<br />
Come vorrei riascoltare la sua <strong>voce</strong> chiara e forte,<br />
ben impressa nella mia mente e nel mio cuore! In<br />
tal modo potrei condividerla con le persone che<br />
ho accanto, quelle speciali che mi stanno vicino e<br />
con le quali trascorro i momenti più belli, ma anche<br />
quelli più tristi... Pian piano sto cercando di<br />
far apprezzare a Riccardo, il mio fidanzato, la mia<br />
passione per la natura, perché è nella purezza e nella<br />
genuinità che si trova il segreto di un’esistenza<br />
che vale la pena di essere vissuta. <strong>La</strong> felicità risiede<br />
nelle piccole cose, nel sorriso di un bambino e nella<br />
compagnia che si concede ad un anziano, nel rac-<br />
cogliere un fungo e nel bere un sorso di acqua alla<br />
fonte, fresca e limpida. Una mano tesa senza alcun<br />
interesse è il gesto più bello, che soddisfa maggiormente<br />
chi lo porge rispetto a chi lo riceve. Questo<br />
significa essere grandi persone, non per quello che<br />
si ha, ma per ciò che si è, senza vergogna di mostrare<br />
la propria semplicità, che talvolta racchiude doti<br />
nascoste... <strong>La</strong> vera ricchezza nasce dentro di noi<br />
e dovremmo essere grati a coloro che hanno permesso<br />
che essa crescesse lentamente nella nostra<br />
mente e nel nostro cuore.<br />
Attualmente alcuni valori come quelli appena descritti<br />
sono andati perduti, molte persone giudicano<br />
le altre per come sono vestite, per la macchina che<br />
guidano e per gli oggetti che mettono in mostra.<br />
Ma così facendo dimenticano le cose veramente<br />
importanti, quelle che permetteranno loro di essere<br />
ricordate nel futuro, con buone parole e con un<br />
sorriso. Questo solamente perché hanno fatto del<br />
bene, non con mezzi economici, bensì con gli sforzi<br />
quotidiani, che la sera facevano chiudere gli occhi<br />
per la stanchezza, ma permettevano di dormire<br />
sonni tranquilli, senza rancori né rabbia... Ciò vale<br />
per i miei nonni, che hanno lavorato duramente<br />
per mantenere le persone per loro più importanti,<br />
i loro figli e nipoti. Questi ultimi li hanno molto<br />
amati, e adesso sono loro riconoscenti per i sacri-<br />
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fici che in vita hanno fatto e che hanno consentito<br />
loro di condurre una vita agiata.<br />
Oggi ricordo la mia cara nonna Maddalena con<br />
una preghiera o portandole dei fiori, che tanto le<br />
piacevano, sulla sua tomba. Ma nel mio cuore sento<br />
che il gesto più bello che posso fare per lei è tornare<br />
sulle montagne e trascorrere delle giornate felici,<br />
Perché li vive anche lei; mi basta chiudere gli occhi<br />
per un momento e immaginarla vicina, che mi dice<br />
quanto le somiglio e che è orgogliosa di me... Questo<br />
sarebbe il più grande regalo che potrei mai ricevere,<br />
rivederla e riabbracciarla; le direi un enorme<br />
grazie per tutto quello che mi ha donato, dalla serena<br />
infanzia che ho vissuto ai giusti insegnamenti,<br />
che fanno di me una ragazza semplice, ma che<br />
al tempo stesso sa apprezzare ciò che ogni giono<br />
qualcuno, da lassù, ci offre. E io son convinta che<br />
quel qualcuno è lei, la <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong>, quella<br />
di mia nonna Maddalena.<br />
Qualche giorno fa, rovistando fra alcune carte di<br />
un cassetto, ho rinvenuto per caso delle fotografie<br />
che ritraevano mia nonna. Alcune erano in bianco<br />
e nero, con gli angoli un po’ ingialliti dal tempo,<br />
altre invece erano più recenti e a colori, ma in tutte<br />
la protagonista era la <strong>montagna</strong>. Su quelle più vecchie<br />
figuravano i miei due nonni da giovani, mentre<br />
sullo sfondo troneggiava la cascina; i loro volti erano<br />
sereni ed esprimevano la soddisfazione di aver<br />
compiuto un’impresa in cui credevano, quella di<br />
aver costruito insieme il loro nido, un progetto realizzato<br />
insieme come coronamento del loro amore.<br />
Le altre foto rappresentavano invece solo mia nonna,<br />
sdraiata sui verdi prati, intenta a fare una sosta<br />
dopo una lunga passeggiata, per poi riprendere il<br />
cammino. Avrà avuto più di sessant’anni, ma la sua<br />
gamba era ancora allenata e il suo fiato sempre ben<br />
temprato. In testa portava il suo foulard rosso e blu<br />
e indossava un vestito piuttosto largo a fiori, uno<br />
dei suoi preferiti. E non poteva di certo mancare<br />
il suo bastone, sostegno utile per poter affrontare<br />
alcuni sentieri erti; quando divenne più anziana mia<br />
nonna soleva ripetermi che ero diventata io il suo<br />
bastone per la vecchiaia. Tale metafora mi colmava<br />
di gioia, perché ciò significava che per lei valevo<br />
molto; proprio come lei era tanto per me...<br />
L’ultima fotografia che ho trovato è quella più<br />
bella, a mio avviso. Mia nonna è stata immortalata<br />
in primo piano e l’ambiente intorno a lei era costituito<br />
da alberi, gli abeti che si trovano nei pressi<br />
<strong>della</strong> sua baita. Il busto era leggermente di lato,<br />
mentre il suo viso era rivolto verso l’obiettivo. Portava<br />
i suoi orecchini rossi di corallo ed oro, uno<br />
dei quali ricordo di aver ritrovato io, durante una<br />
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nostra camminata insieme. Per fortuna, quel giorno,<br />
si era accorta di averlo perso, così avevamo iniziato<br />
la ricerca per ritrovarlo; eravamo nel bosco, in<br />
una zona piuttosto pianeggiante, dove non cresceva<br />
molta erba... Ed ecco che, all’improvviso, avevo<br />
scovato in terra il suo orecchino e lei mi confessò,<br />
rimettendoselo all’orecchio, che era stata felicissima<br />
che io lo avessi ritrovato così prontamente. Poi<br />
rammento che si rimise a camminare, e io di nuovo<br />
dietro a seguirla per una nuova avventura...<br />
Questa foto oggi l’ho appesa accanto al mio letto,<br />
in una cornice di legno decorata con dei fiorellini,<br />
di una bellezza semplice, come la persona in essa<br />
racchiusa. Qualcuno sostiene che lo scatto fotografico,<br />
una volta catturata l’immagine, ruba l’anima<br />
di chi è stato immortalato, poiché la persona così<br />
raffigurata rimarrà per sempre su quel pezzo di carta,<br />
rivivendo anche nella mente di chi la osserva e<br />
la ricorda. Forse ha ragione chi afferma questo, dal<br />
momento in cui, in quella fotografia, mia nonna mi<br />
guarda e sorride teneramente, per ricordarmi che<br />
il segreto <strong>della</strong> felicità è racchiuso dentro ogni persona,<br />
e che soltanto noi possiamo attuarlo, trasformando<br />
i desideri in realtà.<br />
Quando veniamo al mondo piangiamo e quando<br />
moriamo gli occhi dei nostri cari si riempiono di<br />
lacrime... Basterebbe saper mutare questa tristezza<br />
in un pianto di gioia e capire che tanti intorno a<br />
noi sono dei piccoli eroi, dei maestri e dei compagni<br />
di vita, che hanno incrociato il nostro cammino<br />
forse per caso, oppure perché il destino l’aveva<br />
deciso; secondo me qualsiasi cosa che ci accade è<br />
sempre motivata, e dovremmo saper accettare anche<br />
le piccole sconfitte o i grossi dolori che talvolta<br />
ci affliggono. <strong>La</strong> <strong>voce</strong> di mia nonna Maddalena<br />
mi ha insegnato ad essere forte, lei mi ha spiegato<br />
che se nessuno ci aiuta possiamo trovare anche in<br />
noi stessi la volontà di reagire ed andare avanti. È<br />
come quando si sale sulla cima di una <strong>montagna</strong>:<br />
la fatica è molta, ma subito veniamo ripagati dal<br />
paesaggio che scorgiamo dall’alto e dall’aria buona,<br />
che ci permette di respirare meglio e di aprire la<br />
nostra mente a gioie ed emozioni inedite. <strong>La</strong> vita,<br />
sovente, ci presenta delle novità, che possono essere<br />
più o meno gradite; talvolta spetta a noi leggere<br />
in esse qualcosa di buono. Probabilmente qualcuno<br />
ci sta mettendo alla prova, vuole rafforzare il nostro<br />
carattere, che dovrebbe sempre essere pronto<br />
ad affrontare tutto ciò che ci si pone di fronte agli<br />
occhi. Il nostro intelletto e il nostro cuore si devono<br />
unire per fronteggiare qualunque evenienza,<br />
ricordando che l’unione fa la forza; quest’ultima è<br />
posseduta da ognuno, dovremmo soltanto cercare<br />
con attenzione per riconoscere in noi delle capacità<br />
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che magari non pensavamo di avere...<br />
Credo che la <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong> mi possa essere<br />
di aiuto e forse è davvero essa l’energia che porto<br />
sempre con me e che mi permette di superare gli<br />
ostacoli che talora mi trovo di fronte. Ma basta fare<br />
un salto per poterli scavalcare e riprendere così la<br />
mia strada, quel sentiero che sto percorrendo con<br />
le persone più importanti, il mio moroso e i miei<br />
familiari; fra di loro c’è sempre anche lei, la <strong>voce</strong> di<br />
mia nonna, che da lassù mi incoraggia a non abbattermi<br />
mai, ma ad andare avanti, sempre a testa alta.<br />
È stata lei, mia nonna Maddalena, ad avermi tramandato<br />
questo importante messaggio di vita. E<br />
grazie a lei ho capito che dietro ad un grande sforzo<br />
si cela sempre un’enorme ricompensa, esattamente<br />
come dietro ad una nuvola si nasconde continuamente<br />
il sole, pronto ad abbagliarci quando meno<br />
ce lo aspettiamo.<br />
Alberto Zacchi<br />
<strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />
Con quali pretese vuoi sentire la <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />
se non sai ascoltare<br />
<strong>La</strong> Montagna, la mia Montagna non ha vette irraggiungibili,<br />
è lì e la guardo da quando sono nato<br />
eppure, pur restando immobile, è in eterno movimento.<br />
Colori, profumi e variazioni climatiche la rendono<br />
unica, impareggiabile; nessuna è come Lei.<br />
Potrà sembrarvi strano, ma Lei è la mia migliore<br />
amica. Lei sa tutto di me, conosce tutti i miei segreti,<br />
anche quelli più intimi. Da sempre percorrendo<br />
i suoi sentieri ho sentito di potermi fidare, di trovarmi<br />
a tu per tu con un’entità straordinaria, ricca<br />
di ogni forma di vita e tutta da scoprire.<br />
Lei, la mia Montagna, pur non avendo orecchi<br />
sa ascoltare ed è emozionante la sensazione che si<br />
prova quando ci s’accorge che nulla di ciò che ti sta<br />
accadendo sta accadendo per caso.<br />
Passo dopo passo, inoltrandomi in Lei, mi sono<br />
trovato a scoprire che siamo simili e che, sebbene<br />
in maniera diversa, percepiamo le stesse vibrazioni.<br />
A volte ho abbracciato persone e ciò che ho ricevuto<br />
è stata una stretta di braccia. Ho abbraccia-<br />
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to un albero, un albero qualsiasi e mi sono trovato<br />
ricco d’emozione.<br />
Ho cominciato a piangere, a ridere, a danzare<br />
e a parlare, parlare, parlare. Parlare di quello che<br />
sentivo nascere dal cuore ed è stato meraviglioso<br />
accorgermi che tutto ciò che avevo attorno si era<br />
fermato ad ascoltare. Non un fruscio. Solo silenzio.<br />
Un silenzio nel quale il mio continua a raccontare<br />
anche quando ho finito le parole.<br />
Lo so, fa paura pensare che la natura si possa<br />
fermare, eppure è questo che accade quando di te,<br />
la Montagna, sente di potersi fidare e si lascia attraversare<br />
nella Sua intimità e ciò che ne nasce è<br />
qualcosa che sembra possa trascendere dalla realtà,<br />
ma che invece ti àncora saldamente a tutto quello<br />
che è la vita.<br />
Scoprirsi parte viva di ciò che pensavi solo di<br />
guardare è un viaggio affascinante verso quella<br />
parte di mondo che davi per scontato non potesse<br />
conoscerti.<br />
Sapere d’appartenere alla Terra e che Essa ha deciso<br />
d’appartenerti è un regalo che a pochi è concesso.<br />
Tutto sembra diverso da ciò che è sempre stato<br />
e la voglia di tornare a ripercorrere i Suoi sentieri<br />
diventa parte integrante <strong>della</strong> giornata. In Lei rinascono<br />
le mie energie e riposano le mie fatiche in<br />
quello scambio clorofilliano che ossigena il mondo.<br />
<strong>La</strong> mia Montagna m’accoglie instancabilmente<br />
come fossi il figliol prodigo che torna dal padre;<br />
Lei come Madre allarga le Sue braccia e lascia che<br />
io rinasca per quel che sono, libero da ogni pensiero<br />
e da ogni problema.<br />
Mi culla e mi protegge lasciando che ogni cosa<br />
che nasce in me possa trovare la sua giusta dimensione<br />
in Lei. In questi momenti il tempo sembra<br />
non passare quasi fosse anch’esso curioso d’assistere<br />
a quello che sembra un evento unico e meraviglioso.<br />
Tutto sembra restare in sospeso in una dimensione<br />
posata tra cielo e terra, tra respiro e fiato. Lì,<br />
dove niente è dato, ma tutto è ricevuto mi è dato<br />
d’ascoltare la <strong>voce</strong> <strong>della</strong> Montagna, la mia Montagna.<br />
Io così piccolo nel cuore d’un gigante! Ed è<br />
come volare! In questi scambi dove nessuno cerca<br />
di farsi grande ognuno è quel che è, e lo rimane,<br />
perché non vuol cambiare nulla di ciò che non si<br />
deve rovinare. Ognuno ricco del poco che sa d’avere,<br />
ma a cui è disposto a rinunciare, sente che potrebbe<br />
per l’altro anche morire senza farsi ringraziare.<br />
Lì, dove è tutto, e quando tutto è divenuto una<br />
cosa sola, Lei, la mia Montagna ha cominciato a<br />
parlare.<br />
Nessuno saprà mai qual è la mia Montagna e fin<br />
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dove mi sono spinto per potervi tutto questo raccontare,<br />
ma è qui poco lontano, forse, forse, proprio<br />
qui.<br />
INDICE<br />
11. Diego Razzitti, Sangue e acciaio<br />
14. Edoardo Boccali, <strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />
15. Mara Malacarne, <strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />
20. Simone Antonioli, Caterina mi guarda<br />
27. Fabio Balduzzi, Iniziare<br />
36. Giovanni Baccanelli, <strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />
43. Marco Camisani, Un artista in viaggio verso<br />
Borno<br />
48. Giuliana Colombo, <strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />
54. <strong>La</strong>ura Comassi, <strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />
65. Monia Gambirasi, <strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />
71. Lucia Gazzoli, <strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />
73. Mauro Giudici, <strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />
82. Stefano Malosso, Il bambino che camminò<br />
verso nord<br />
88. Anna Maria Marsegaglia, Estate in <strong>montagna</strong><br />
98. Lidia Morandi, L’ascesa<br />
103. Sara Pedersoli, Orante<br />
110. Elena Pedretti, <strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />
123. Alberto Zacchi, <strong>La</strong> <strong>voce</strong> <strong>della</strong> <strong>montagna</strong><br />
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