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Abstract Italia e Somalia: le priorità nell'era della globalizzazione - Ispi

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Gian Paolo Calchi Novati e Lia Quartapel<strong>le</strong><br />

<strong>Italia</strong> e <strong>Somalia</strong>:<br />

<strong>le</strong> priorità nell’era <strong>della</strong> <strong>globalizzazione</strong> (*)<br />

La <strong>Somalia</strong> – lo ripete in tutte <strong>le</strong> occasioni il nostro governo – è una<br />

priorità <strong>della</strong> politica italiana. La dichiarazione va<strong>le</strong> come un impegno.<br />

Le implicazioni, però, non sono così immediate e trasparenti.<br />

Nel mondo post-bipolare l’intreccio fra aspetti interni, regionali e<br />

internazionali di una crisi africana è ancora più comp<strong>le</strong>sso di quanto<br />

non fosse all’epoca <strong>della</strong> guerra fredda. Non solo perché allora<br />

l’Africa – tranne il Corno – fu, tutto considerato, un teatro secondario,<br />

ma perché la dualità Est-Ovest consentiva una maggiore chiarezza<br />

concettua<strong>le</strong>, rappresentativa e di schieramento. La <strong>Somalia</strong><br />

sta diventando oggi un test in cui si mischiano molte questioni non<br />

facilmente riconducibili appunto a un’interpretazione pro/contro e<br />

quindi che possono essere affrontate con una strategia binaria.<br />

Se la stagione del non-allineamento è conclusa per sempre, così è<br />

il principa<strong>le</strong> asset strategico del<strong>le</strong> relazioni esterne <strong>della</strong> <strong>Somalia</strong>: il<br />

paese infatti durante la guerra fredda seppero giovarsi a prezzo di<br />

equivoci, finzioni e continui giri di valzer e questo offrì materia feconda<br />

per la politica degli stati del Nord. Il segreto di certi successi<br />

<strong>della</strong> politica italiana in Medio Oriente e Africa (il famoso neoatlantismo,<br />

variamente riverito o stigmatizzato) era la sapienza –<br />

un po’ mercato e un po’ terzaforzismo mascherato – con cui fu<br />

capace di muoversi nel<strong>le</strong> pieghe del<strong>le</strong> “aree grigie” del Terzo mondo,<br />

giocando la parte di un Occidente che non era risentito dal<strong>le</strong><br />

forze nazionaliste in loco come l’Occidente più opprimente ed esigente<br />

degli Stati Uniti o del<strong>le</strong> potenze coloniali classiche. L’<strong>Italia</strong>,<br />

ironicamente, approfittava del<strong>le</strong> difficoltà dei partners <strong>della</strong> Nato<br />

per aprirsi dei varchi. Anche per questo, commentatori autorevoli<br />

come Sergio Romano annoverano l’<strong>Italia</strong> fra i “perdenti” dell’ordine<br />

mondia<strong>le</strong> che ha preso il posto <strong>della</strong> guerra fredda.<br />

N. 63 – JULY 2011<br />

<strong>Abstract</strong><br />

<strong>Somalia</strong> ranks amongst the foreign<br />

policy priorities of Italy,<br />

since the colonial times. <strong>Italia</strong>n<br />

interests in <strong>Somalia</strong> are motivated<br />

by piracy and by the threat<br />

of terrorism, but also by the strategic<br />

position <strong>Somalia</strong> has in the<br />

region.<br />

The deadline for the mandate of<br />

the transitional federal institutions,<br />

which should have expired<br />

the coming August, offers a<br />

unique occasion to rethink Italy's<br />

interests and involvement in<br />

<strong>Somalia</strong>.<br />

Gian Paolo Calchi Novati is Head of the<br />

Africa Programme at ISPI and Professor<br />

at the Universities of Pavia and<br />

Rome La Sapienza.<br />

Lia Quartapel<strong>le</strong> is the Research<br />

Assistant for the Africa Programme at<br />

ISPI.<br />

Vuoto di potere<br />

(*) The opinions expressed herein are<br />

strictly personal and do not necessarily<br />

ref<strong>le</strong>ct the position of ISPI.<br />

La fine <strong>della</strong> guerra fredda ha portato all’emergere di attori internazionali<br />

non convenzionali. Tra questi, inedita è la fattispecie dello<br />

“stato fallito”, di cui la <strong>Somalia</strong> è epitome. A prima vista, occuparsi<br />

<strong>della</strong> <strong>Somalia</strong>, avere a cuore la sua integrità, protezione o promozione,<br />

è un’operazione che fatica, a dir poco, a rispettare <strong>le</strong> rego<strong>le</strong> <strong>della</strong> politica internaziona<strong>le</strong>: sovranità,<br />

pariteticità, reciprocità. Il soggetto <strong>Somalia</strong> è in parte inesistente (nessun governo è in grado di controllarne<br />

per intero il territorio e la popolazione) e in parte plura<strong>le</strong> (i frammenti di potere di diritto o di fatto<br />

in cui l’ex-<strong>Somalia</strong> nata nel 1960 è divisa dal 1991). Lo slogan «una, due, tante Somalie» suona come<br />

un cattivo presagio, ma per altri versi fotografa la situazione sul terreno.


2<br />

ISPI - Analysis<br />

Questo dato di fatto complica <strong>le</strong> relazioni tra <strong>Italia</strong> e <strong>Somalia</strong>. La politica italiana prende atto <strong>della</strong> realtà<br />

La copre o la esorcizza Formalmente, i rapporti fra stato e stato passano, e sono sempre passati,<br />

per Mogadiscio. Se, come si è anticipato anche da fonti ufficiali, la Farnesina riaprirà una sede diplomatica<br />

da va<strong>le</strong>re almeno come un simbolo o un segna<strong>le</strong>, quell’entità (si è parlato di un container collocato<br />

in una zona riparata, magari all’ombra del<strong>le</strong> forze dell’Amisom 1 ) dovrebbe avere come suo interlocutore,<br />

non si sa se effettivo o virtua<strong>le</strong> stanti <strong>le</strong> condizioni generali di sicurezza, il governo federa<strong>le</strong> provvisorio<br />

(Tfg). Il parlamento, il governo e il capo dello stato dovrebbero scadere nell’agosto 2011: questo può<br />

rappresentare un duplice prob<strong>le</strong>ma per l’<strong>Italia</strong>. Da un lato, infatti, interviene l’incognita sul<strong>le</strong> procedure di<br />

un rinnovo del<strong>le</strong> istituzioni in modo sommariamente <strong>le</strong>gittimo e valido per tutti giacché non c’è nessuna<br />

possibilità di organizzare un’e<strong>le</strong>zione. Dall’altro, la scadenza, seppure già superata da un atto forma<strong>le</strong><br />

che rinnova <strong>le</strong> Istituzioni federali di transizione, è occasione per ripensare all’efficacia <strong>della</strong> strategia di<br />

impegno in <strong>Somalia</strong>.<br />

Nell’azione corrente, anche l’<strong>Italia</strong>, del resto, ha dovuto scendere a patti con i suoi stessi principi e in<br />

particolare con l’idea di continuare a trattare con un’unica entità statua<strong>le</strong> somala. Contatti con il Puntland<br />

sono avvenuti sicuramente nel quadro dell’azione per la liberazione degli ostaggi dei pirati che<br />

operano al largo <strong>della</strong> sua costa. In alcuni annunci di assistenza, non si è neppure capito se<br />

l’assistenza promessa al<strong>le</strong> istituzioni o alla gendarmeria riguardasse la <strong>Somalia</strong> di Mogadiscio o il Puntland.<br />

Poiché <strong>le</strong> autorità del Puntland non hanno valicato il Rubicone <strong>della</strong> separazione definitiva dalla<br />

“madrepatria”, come hanno fatto fin dal maggio 1991 i partiti e i clan del Somaliland (l’ex protettorato<br />

britannico), certe ambiguità possono essere inevitabili. Le zone grigie sono all’ordine del giorno nel<br />

rapporto fra Puntland e pirati che ospitano in baie teoricamente sotto la responsabilità del “governo”<br />

dell’ex-Migiurtinia <strong>le</strong> navi sequestrate e che a quanto risulta distribuiscono parte <strong>della</strong> rendita dell’attività<br />

corsara fra la popolazione al<strong>le</strong>ggerendo i compiti dello stato e acquisendo un certo consenso. Il tema è<br />

ben presente al governo italiano se è vero che alla pirateria e al<strong>le</strong> connesse attività di riciclaggio sui<br />

mercati finanziari internazionali dei proventi il<strong>le</strong>citi il ministro Frattini dedicò molta parte del suo intervento<br />

al seminario dell’<strong>Ispi</strong> ospitato dal Ministero degli Esteri il 20 apri<strong>le</strong><br />

2<br />

.<br />

La “successione” al<strong>le</strong> persone e agli apparati transitori che furono a suo tempo scelti in un’estenuante<br />

assemb<strong>le</strong>a di notabili e signori <strong>della</strong> guerra in veste di “grandi e<strong>le</strong>ttori”, con la mediazione dell’Igad e la<br />

benedizione <strong>della</strong> comunità internaziona<strong>le</strong>, dovrebbe portare auspicabilmente a una semplificazione.<br />

Fra i tre massimi dirigenti somali – il presidente, il capo del governo, lo speaker dell’Assemb<strong>le</strong>a naziona<strong>le</strong><br />

– c’è più rivalità che collaborazione. Una maggiore cooperazione fra i tre, scelti ovviamente secondo<br />

un dosaggio clanico, è anche una del<strong>le</strong> richieste dell’<strong>Italia</strong>, che ne fa una condizione pregiudizia<strong>le</strong><br />

per proseguire quel sostegno finanziario, politico e (entro certi limiti) militare che nel<strong>le</strong> condizioni attuali<br />

è di fatto la sola <strong>le</strong>va a disposizione. Tramite la diplomazia, l’<strong>Italia</strong> e gli altri attori regionali vorrebbero<br />

così assumere il ruolo di co-protagonisti. L’inconveniente è che il raggio d’azione di questo tipo di diplomazia<br />

incide ben poco nei fatti reali e di lungo periodo <strong>della</strong> <strong>Somalia</strong>, sia nella dimensione <strong>della</strong> ricomposizione<br />

di un minimo di unità naziona<strong>le</strong> (se è ancora un obiettivo) che ai fini dell’interlocuzione<br />

con gli altri attori <strong>della</strong> regione. Per l’<strong>Italia</strong>, oltretutto, la priorità somala deve raccordarsi con<br />

l’importanza attribuita all’Etiopia dalla stessa <strong>Italia</strong> nel Corno e in tutta l’Africa.<br />

L’Etiopia sta consolidando la sua superiorità anche perché si fa forte del “miracolo economico” in corso<br />

da una decina d’anni, mentre prosegue fra alti e bassi il processo di democratizzazione. Le e<strong>le</strong>zioni del<br />

2010 hanno segnato invero una battuta d’arresto con la vittoria a valanga del partito-ombrello del presidente<br />

in carica Me<strong>le</strong>s, in una consultazione che ha lasciato all’opposizione un solo deputato. A confronto<br />

dell’Etiopia, comunque, la <strong>Somalia</strong> – e per ragioni diverse l’Eritrea – non è neanche in gara. Il boom<br />

etiopico attira investimenti e aiuti dall’estero. La crescente integrazione nel mercato e nel circuito dei<br />

donatori internazionali rende l’Etiopia un partner al<strong>le</strong>ttante e promettente. Questo rende l’Etiopia per<br />

1 L’African Union Mission to <strong>Somalia</strong> (Amisom) garantisce già con molte difficoltà l’incolumità del presidente e dei componenti<br />

del suo governo ma negli ultimi mesi ha cercato di prendere l’iniziativa allargando il suo raggio d’azione fuori<br />

<strong>della</strong> capita<strong>le</strong>.<br />

2 Alcuni testi presentati e discussi in quella sede sono riportati in questo ISPI Study.


ISPI - Analysis 3<br />

l’<strong>Italia</strong> una priorità a latere o forse proprio una contro-priorità rispetto al<strong>le</strong> attenzioni riservate alla <strong>Somalia</strong>.<br />

L’Etiopia è essa stessa parte <strong>della</strong> questione somala. L’operazione, tol<strong>le</strong>rata se non autorizzata<br />

dagli Stati Uniti, e subita obtorto collo dall’<strong>Italia</strong>, con cui nel 2006 il governo di Addis Abeba impose con<br />

la forza del suo esercito il governo di transizione somalo, è una del<strong>le</strong> cause, nemmeno tanto remote, del<br />

deterioramento che ha definitivamente sconvolto la <strong>Somalia</strong>.<br />

Infatti, la semi-occupazione da parte del nemico storico ha rinforzato la resistenza somala conferendo<strong>le</strong><br />

una patente naziona<strong>le</strong> a tutto vantaggio dei “duri” dell’Unione del<strong>le</strong> Corti islamiche, che dovevano essere<br />

invece il bersaglio dell’operazione militare etiopica. L’Etiopia, pur essendosi formalmente ritirata nel<br />

2009, non ha neppure abbandonato del tutto il campo e l’avanzata di Amison si giova dell’aiuto logistico<br />

dei soldati e del<strong>le</strong> armi provenienti dall’Etiopia oltre che del<strong>le</strong> milizie islamiche anti-salafiste. Gli “utili” di<br />

una sempre precaria riconquista del territorio vanno commisurati perciò ai contraccolpi che provoca<br />

un’interferenza come quella etiopica non propriamente in linea con <strong>le</strong> rego<strong>le</strong> e con i sentimenti di molti<br />

somali. L’Uganda, che fornisce la maggior parte del<strong>le</strong> truppe alla forza d’interposizione istituita<br />

dall’Unione africana, ha un progetto politico che è lo stesso dell’Etiopia (nonché del Tfg).<br />

La frustrazione e l’impotenza portano la politica espressa dal<strong>le</strong> varie autorità soma<strong>le</strong> ad avversare in<br />

modo strenuo e vel<strong>le</strong>itario ogni “interventismo”, tanto più se condotto dall’esercito etiopico, che è percepito<br />

come un ulteriore gravame per i patimenti del popolo e una negazione di sovranità. Mogadiscio non<br />

è più in grado di proporsi come un centro di attrazione per i somali dispersi e persino per i musulmani in<br />

cerca di riabilitazione che vivono dentro lo spazio di influenza etiopico, ma impersona pur sempre un<br />

focolaio di tensione per un’Etiopia incapace di dare un respiro democratico a una pluralità ormai istituzionalizzata<br />

e al presunto federalismo. Più per i vuoti di potere che per un soprassalto di potere, si perpetua<br />

così la sindrome <strong>della</strong> sfida di cui si alimentano soprattutto i combattenti dell’ala jihadista del multiforme<br />

islam politico somalo, con effetti destabilizzanti per tutta l’area. La funzione da assegnare<br />

all’islam politico e dunque al sud, dove sono insediati i gruppi estremisti, è il punto critico <strong>della</strong> soluzione<br />

che vorrebbe partire dal riconoscimento dello status quo per riavvolgere in forme e tempi da definire il<br />

gomitolo dell’unità <strong>della</strong> nazione somala. Ancorché con la vio<strong>le</strong>nza, è in corso anche là un processo di<br />

nation-building con la religione come principa<strong>le</strong> fattore di quella <strong>le</strong>gittimazione che il Tfg stenta ad acquisire<br />

(per la tanto deprecata corruzione dei vertici ma anche per la sua subalternità a Etiopia e forze<br />

simili).<br />

Il cerchio superiore<br />

L’instabilità somala non ha come cause esterne solo l’inimicizia fra Etiopia e <strong>Somalia</strong>. Il travaglio del<br />

nation-building in <strong>Somalia</strong> è inquinato dagli effetti incrociati <strong>della</strong> war on terror e <strong>della</strong> belligeranza alqaedista.<br />

Sono tali e tante <strong>le</strong> reciproche influenze che non è sempre faci<strong>le</strong> distinguere l’agenda naziona<strong>le</strong><br />

da quella globa<strong>le</strong>. L’Etiopia è spinta a sopravvalutare la variabi<strong>le</strong> internaziona<strong>le</strong> per avallare i suoi<br />

diritti/doveri di potenza regiona<strong>le</strong>, bollando il pansomalismo come un modo d’essere <strong>della</strong> “minaccia”. In<br />

teoria, il movimento islamico di al-Shabaab vede menomato il suo richiamo di stampo naziona<strong>le</strong> dalla<br />

sovrapposizione dei temi globali, di cui si rendono interpreti anche militanti che non sono neppure somali.<br />

D’altra parte il <strong>le</strong>game con un movimento universalistico può far arrivare armi e finanziamenti con<br />

il corredo di un’ideologia capace di attraversare <strong>le</strong> frontiere. Realisticamente, d’altra parte, i resti del<strong>le</strong><br />

Corti islamiche che hanno imbracciato il fuci<strong>le</strong> non possono non prendere atto <strong>della</strong> perdita di attrazione<br />

del fondamentalismo sui poteri costituiti e sullo stesso movimento di rinnovamento spinto dalla protesta<br />

dei ceti medi e del<strong>le</strong> nuove generazioni in Nord Africa e nel Medio Oriente (l’area di più diretta pertinenza<br />

<strong>della</strong> <strong>Somalia</strong>).<br />

La divisione del Sudan è un affronto per il mondo islamico ma – non fosse altro per la predisposizione a<br />

radicalizzarsi di ogni divisione basata su fattori culturali o di identità – potrebbe autorizzare Bashir a<br />

dare via libera a un programma di re-islamizzazione, ora che non ci sono più <strong>le</strong> remore o <strong>le</strong> diverse<br />

aspettative del<strong>le</strong> genti meridionali a fare da freno.<br />

Allo stesso modo <strong>le</strong> vicende dell’altro paese interessato alla <strong>Somalia</strong>, l’Egitto, in qualche modo potranno<br />

avere un effetto sulla <strong>Somalia</strong>. Incassata una sonora sconfitta con la spartizione del suo backyard,<br />

l’Egitto del dopo-Mubarak medita una rivincita e per ristabilire l’egemonia perduta potrebbe accrescere


4<br />

ISPI - Analysis<br />

la pressione sulla <strong>Somalia</strong>, tradizionalmente sensibi<strong>le</strong> all’influenza del Cairo. Neppure un governo che si<br />

basasse in qualche misura sull’appoggio <strong>della</strong> Fratellanza musulmana avrà verosimilmente voglia di<br />

tornare sulla scena del Corno parteggiando per il rilancio dell’integralismo. La disputa per <strong>le</strong> acque del<br />

Nilo che la nascita del Sud Sudan è destinata a inasprire richiede moderazione e buon vicinato con gli<br />

Stati <strong>della</strong> fascia nera che intanto hanno segnato un punto a favore e che possono contare su al<strong>le</strong>ati<br />

propri o impropri come gli Stati Uniti, Israe<strong>le</strong> e <strong>le</strong> multinazionali del petrolio che la criminalizzazione di<br />

Bashir ha tenuto per troppi anni lontano dal Sudan. Anche la diaspora afro-americana ha sposato apertamente<br />

la causa del sudanese Peop<strong>le</strong>’s Liberation Movement e personalmente di John Garang: il presidente<br />

Obama ha già dimostrato di essere sensibi<strong>le</strong> all’auto-determinazione del<strong>le</strong> popolazioni del Sud<br />

Sudan. In Sudan, quasi senza vo<strong>le</strong>rlo, Me<strong>le</strong>s ha avuto più successo di Hai<strong>le</strong> Selassie e di Mengistu, che<br />

si erano limitati ad aizzare i “ribelli” o a mediare fra loro e Khartoum, e si appresta a sbarcare a Juba<br />

con tutto il suo peso di “emergente” mettendo avanti in primis, ma non solo, <strong>le</strong> rivendicazioni sul Nilo.<br />

Una partita a più facce<br />

Se a medio-lungo termine la partita – in <strong>Somalia</strong> e più in grande nel Corno – si gioca fra Egitto ed Etiopia<br />

l’<strong>Italia</strong> avrà un motivo di più per trovarsi a disagio e comunque per essere costretta a fare scelte<br />

dirimenti. Lo scenario ipotizzato è un mondo senza una <strong>le</strong>adership dichiarata e accettata, e senza gli<br />

allineamenti precostituiti che suggeriva la competizione Est-Ovest, tanto più se dovesse essere confermata<br />

la tendenza degli Stati Uniti a “ritirarsi” dal mondo. Gli stati <strong>della</strong> Periferia sono in piena transizione.<br />

I popoli del Corno hanno il diritto di essere considerati per il loro sviluppo, la loro stabilità, la loro<br />

democrazia anziché come pedine da manovrare nel<strong>le</strong> cause globali. Il campo di battaglia è la <strong>Somalia</strong> o<br />

il mondo<br />

Questa rotta di collisione fra loca<strong>le</strong>, regiona<strong>le</strong> e internaziona<strong>le</strong> non è tutta colpa degli attori esterni. Contravvenendo<br />

a una vecchia regola consolidata per tutti indistintamente, i paesi del Corno sembrano<br />

caduti in una trappola che in passato hanno sempre cercato di evitare. I propri obiettivi di nazioni o di<br />

movimenti sono ora alla mercé di un gioco più grande di loro. L’Etiopia ha scelto di fondare la sua politica<br />

regiona<strong>le</strong> sulla funzione di avamposto <strong>della</strong> war on terror lanciata da Bush e ripresa a suo modo da<br />

Obama. Aprendo il suo territorio alla Cina, benché non nel<strong>le</strong> dimensioni che l’attivismo di Pechino ha<br />

dispiegato nel vicino Sudan, e all’India, <strong>le</strong> cui multinazionali sono impegnatissime nel land-grabbing con<br />

conseguenze che potrebbero aumentare la disponibilità di capitali e di know how (se non di cibo per la<br />

popolazione), Me<strong>le</strong>s Zenawi vuo<strong>le</strong> evitare di apparire troppo schiacciato sugli Stati Uniti. Gli Stati Uniti<br />

sono la prima scelta di Addis Abeba in tutti i dossiers <strong>della</strong> sua politica (<strong>Somalia</strong>, Eritrea, fondamentalismo<br />

islamico, forse lo stesso Nilo) e quindi dagli Stati Uniti l’Etiopia non può prescindere. In questo<br />

bilanciamento l’Etiopia echeggia certe logiche che ispirano la politica regiona<strong>le</strong> <strong>della</strong> Turchia. Se si esibisce<br />

troppo come baluardo contro l’islam, Me<strong>le</strong>s viene meno al<strong>le</strong> responsabilità di <strong>le</strong>ader idea<strong>le</strong> di uno<br />

stato che comprende nel<strong>le</strong> sue frontiere una maggioranza di fedeli musulmani.<br />

La stessa derelitta <strong>Somalia</strong>, retrocessa al rango di fai<strong>le</strong>d state, diffonde instabilità in tutta la regione e,<br />

sia pure in negativo, influenza con la sua politica o non-politica gli assetti degli stati costituiti e <strong>le</strong> relazioni<br />

internazionali. Neppure Gibuti è più in grado di svolgere la sua tradiziona<strong>le</strong> funzione di cuscinetto<br />

di compensazione e oasi di neutralità che permetteva ritorni in termini d’immagine ma anche di economia<br />

(servizi a disposizione di tutti, sede per conferenze e mediazioni, ecc.) e ha preferito schierarsi con<br />

gli Stati Uniti garantendo <strong>le</strong> facilities di Camp Lemonnier ad Africom, il Comando unificato americano<br />

per l’Africa. Nessun governo africano ha concesso ufficialmente una sede ad Africom, che ha <strong>le</strong> sue<br />

basi operative in Germania e <strong>Italia</strong>.<br />

Il colonialismo non è un buon valore di riferimento. Sono maturi i tempi per pensare globa<strong>le</strong> invece che<br />

colonia<strong>le</strong> o neocolonia<strong>le</strong>. Eppure, certe “priorità” riportano inevitabilmente al colonialismo. Il caso <strong>della</strong><br />

Sierra Leone per l’Inghilterra e quello più recente <strong>della</strong> Costa d’Avorio per la Francia non sono particolarmente<br />

preclari ma fanno precedente. L’<strong>Italia</strong> ha giocato malissimo il suo rapporto “specia<strong>le</strong>” con la<br />

Libia in occasione <strong>della</strong> crisi termina<strong>le</strong> del regime di Gheddafi e relativa guerra. Per disgrazia o per fortuna,<br />

l’intervento armato non sembra a disposizione nel caso <strong>della</strong> <strong>Somalia</strong> e questo dovrebbe acuire al<br />

massimo il senso <strong>della</strong> politica. La “<strong>le</strong>zione” di Restore Hope nel 1992-1993 ha toccato sia gli Stati Uniti


ISPI - Analysis 5<br />

che l’<strong>Italia</strong>. La <strong>Somalia</strong> non è una causa perduta ma è sicuramente<br />

un caso disperato. Nessuna semplificazione è permessa.<br />

Lo stesso clanismo appare in declino come criterio di appartenenza<br />

e tramite del<strong>le</strong> istanze dei gruppi. Tenendo presenti<br />

tutti i risvolti e tutti gli interstizi di questa sua asserita “priorità”,<br />

possibilmente dando un addio senza rimpianti ai retaggi del<br />

colonialismo e dell’Afis, l’<strong>Italia</strong> – come nazione, come politica e<br />

come cultura – non può proclamarsi impotente o lanciare ultimatum<br />

per prepararsi un’uscita, né può de<strong>le</strong>gare a improbabili<br />

istanze internazionali <strong>le</strong> responsabilità di una politica volta ad<br />

aiutare la <strong>Somalia</strong> a tirarsi fuori dal baratro, mettendo in secondo<br />

piano gli interessi esterni (italiani o di altri) che derivano<br />

piuttosto da prob<strong>le</strong>mi d’ordine genera<strong>le</strong> che non si può far pagare<br />

a un soggetto fragi<strong>le</strong> e diviso come la <strong>Somalia</strong>. Le al<strong>le</strong>anze<br />

hanno già portato l’<strong>Italia</strong> fuori dal contesto che la riguarda<br />

più direttamente: non ci sono motivi convincenti per spiegare il<br />

perché di un impegno nel remoto Afghanistan a confronto<br />

dell’indifferenza per la <strong>Somalia</strong>. Sempre che <strong>le</strong> potenze occidentali<br />

abbiano in serbo rimedi ai travagli dell’area ex-colonia<strong>le</strong><br />

diversi dalla guerra. Se la <strong>Somalia</strong> è debo<strong>le</strong>, altrettanto debo<strong>le</strong><br />

è l’infrastruttura internaziona<strong>le</strong> che è stata costruita da Onu,<br />

Ue, Ua e Igad. Altra cosa, naturalmente, è la concertazione da<br />

cui ormai la diplomazia non può prescindere.<br />

La ricerca ISPI analizza <strong>le</strong> dinamiche<br />

politiche, strategiche<br />

ed economiche del sistema<br />

internaziona<strong>le</strong> con il duplice<br />

obiettivo di informare e di o-<br />

rientare <strong>le</strong> scelte di policy.<br />

I risultati <strong>della</strong> ricerca vengono<br />

divulgati attraverso pubblicazioni<br />

ed eventi, focalizzati su<br />

tematiche di particolare interesse<br />

per l’<strong>Italia</strong> e <strong>le</strong> sue relazioni<br />

internazionali e articolati<br />

in:<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

Programma Africa<br />

Programma Caucaso e Asia<br />

Centra<strong>le</strong><br />

Programma Europa<br />

Programma Mediterraneo e<br />

Medio Oriente<br />

Programma Russia e Vicini<br />

Orientali<br />

Programma Sicurezza e<br />

Studi Strategici<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

Progetto Argentina<br />

Progetto Asia Meridiona<strong>le</strong><br />

Progetto Cina e Asia<br />

Orienta<strong>le</strong><br />

Progetto Diritti Umani<br />

Progetto Disarmo<br />

Progetto Internazionalizzazione<br />

<strong>della</strong> Pubblica<br />

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