GASPARE ROTONDI

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Con il 2° capitolo dell’opera, prosegue la pubblicazione a puntate di “Scene e figure
della nostra guerra”, edita nel 1922 dalla casa editrice R. Caddeo & C. di Milano, dove
Adolfo Zamboni raccolse le sue esperienze nella Grande Guerra, cui prese parte come
tenente di fanteria del 141° reggimento, brigata Catanzaro
GASPARE ROTONDI
Una mattina della fine d’ottobre 1915, mentre in una delle soste di quell’offensiva
che fu la III sul Carso, ero intento coi miei soldati a riparare le trincee di recente
conquistate e subito distrutte dall’artiglieria austriaca, mi venne l’ordine dal comandante
del reggimento di recarmi a Chiopris, paesello situato sulla sponda sinistra del Torre, per
ricevere e accompagnare in linea duecento complementi inviati dal deposito rifornimento
uomini di Mantova. Deposito rifornimento uomini! è una triste frase foggiata dalla guerra:
che cosa è mai l’uomo, il combattente, se non una vittima pronta al sacrificio, in attesa di
essere destinata a sostituire l’ostia già immolata?
Retrovie del fronte carsico in ottobre 1915, estratto dalla Carta d’Italia e regioni limitrofe alla Scala di 1:100.000
– Guerra Italo-Austriaca 1915-16, F.° 40 – Palmanova, stampa 1916, in dotazione al sottotenente Zamboni
(archivio Adolfo Zamboni)
Arrivavano a migliaia i figli d’ogni regione e venivano assegnati a gruppi, così come la
sorte decretava, ai singoli reggimenti durante l’operazione, per colmare i vuoti del
cannone e della mitraglia. Ed erano di tutte le età, dai venti ai trentanove anni; ognuno
aveva con sé un patrimonio d’affetti cari, di ricordi lieti e tristi; ognuno aveva lasciato
dietro di sé, nella città tumultuosa o nel paesello disperso tra i monti, una famiglia in
lagrime, dei cuori palpitanti nell’attesa angosciosa. E tutti, giunti al luogo di tappa per il
glorioso supplizio, deposti gli zaini e i pesanti fucili, ignari del sonno e della fatica,

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compitavano sulla rustica cartolina di guerra un saluto, l’ultimo forse, alla sposa, alla
madre; tutti trovavano una parola di dolcezza per i teneri figli.
Segni convenzionali della Carta d’Italia e regioni limitrofe alla Scala di 1:100.000 – Guerra Italo-Austriaca 1915-
16, F.° 40 – Palmanova, stampa 1916, in dotazione al sottotenente Zamboni
(archivio Adolfo Zamboni)
Oh, quanto era triste mirare lo spettacolo di queste creature nell’animo delle quali era già
la rassegnazione alla morte, davanti alla mente delle quali appariva la triste visione delle
madri doloranti per la perdite del nato, delle spose vedove, dei figlioletti derelitti. E
mentre attendevano che la notte calasse profonda e nascondesse ogni movimento al
nemico, udivano a breve distanza il rombo lacerante del cannone, sentivano ripercuotersi
nei loro animi l’eco del fucile delle vedette, vedevano innalzarsi i primi razzi luminosi, che
squarciavan le tenebre e segnavano al mitragliere il valoroso che si offriva per far saltare il
tubo di gelatina che aprisse il varco ai compagni nel prossimo combattimento. E tristi,
muti, mangiavano il rancio e cercavano gli amici per accompagnarsi a loro nella dolorosa
salita, per confidare a loro una parola dolce, per chiedere la carità di una palata di terra e
d’un segno se mai avvenisse che nella lotta soccombessero. Così, in silenzio, gravi sotto il

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peso, costeggiando la via, uno dietro l’altro, s’avviavano in lunghe colonne, verso l’Isonzo,
il fiume del dolore.
Ritratto fotografico del s.tenente Adolfo Zamboni
(archivio Adolfo Zamboni)
Ma la sera in cui io fui comandato a far da guida ai nuovi commilitoni, il corteo mi
sembrava meno triste del solito: c’era un uomo che, nella notte, esercitava su tutti quei
soldati il fascino del suo animo ardente. Egli passava su e giù per la lunga colonna,
animava, incoraggiava, incitava con la parola calda d’affetto, con dolce premura. Aveva
condotto il drappello da Mantova al fronte e me lo aveva consegnato appena ebbe saputo
del mio incarico, stringendomi forte la mano e dicendomi: «son tutti presenti; nessuno
tentò di fuggire o di accusar malattia per non raggiungere il fronte». Era capitano e si
chiamava Gaspare Rotondi: ancor florido di giovinezza, aveva lasciato le sue occupazioni
civili per offrire volontariamente il braccio alla Patria: ufficiale degli alpini, aveva preferito
combattere coll’umile fanteria sul Carso, fin d’allora famoso per le aspre lotte e gli
spargimenti di sangue.
Gaspare Rotondi aveva lasciato a Milano una famiglia che egli teneramente amava;
ma l’amore della Patria, ancor più forte, lo chiamò ed egli seguendo l’impulso del suo
animo generoso, rispose all’appello. Mi ricordo l’ammirazione che mi destò quel baldo
ufficiale quando a me, povero sottotenente da lunghe settimane provato alla battaglia e
rosso del terriccio carsico, rivolse domande dalle quali traspariva tutto il suo ardore. «Si
combatterà ancora in questi giorni? Potrò comandare subito una compagnia al fuoco?» Si,
si sarebbe combattuto; la lotta era appena iniziata e si svolgeva ardua: il trincerone di S.
Martino era occupato, ma non ci si poteva fermare: le posizioni conquistate s’erano più
volte perdute: molte nostre compagnie s’erano sacrificate davanti al «Ridottino rosso»; il
«Groviglio» era inespugnabile. «Bene, bisogna perseverare – disse il Rotondi – bisogna

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avere molta speranza nel nostro soldato; è necessario molto sangue; si spargerà, ma
occorre vincere».
Rinforzi Italiani in marcia sulla strada da Sdraussina a S. Martino del Carso, con il fiume Isonzo sullo sfondo.
Da una cartolina d’epoca edita da Bruno Piccioli, Sagrado, rotocalcografia Civicchioni, Chiavari.
(Archivio Adolfo Zamboni)
Quando arrivammo al ponte di Sagrado, incominciarono a cadere le prime vittime; un
allarme notturno davanti a Castelnuovo, aveva provocato l’ira del nemico; al fuoco di
interdizione dell’artiglieria sul ponte, si aggiungevano le così dette pallottole morte che
provenivano dalle trincee: qualche soldato cadde ferito, due morirono. Verso le undici
arrivammo al comando di reggimento: il colonnello fece assegnare i nuovi venuti alle
compagnie più decimate e accolse con la consueta rude bontà il capitano Rotondi. «Lei è
appena arrivato ed è nuovo delle posizioni; la terrò per qualche giorno al comando d’una
compagnia di riserva. Poi soggiunse: «Già non esiste riserva con quest’ira di Dio». Rotondi
pregò: «Signor colonnello, sarei lieto se mi mandasse con le truppe di linea. Domani
all’alba sarò orientato; spero che Ella sarà contento di me». Il colonnello alzò il viso e lo
guardò quasi con sorpresa. «Bene – disse – l’accontenterò» poi, rivoltosi all’aiutante
maggiore: «Lo assegni alla 10 a compagnia» e di nuovo al Rotondi: «Esiste soltanto di
nome; Lei riunirà i pochi rimasti e inquadrerà i nuovi complementi. Domani forse si
attaccherà». E stendendogli la mano: «mi raccomando». Il giorno dopo, era il 29 ottobre, il
maltempo impedì ogni operazione; ci furono i consueti allarmi, ma nel complesso le
truppe non furono impegnate. Il capitano Rotondi, come il più provetto dei comandanti,
riordinò i suoi soldati, volle conoscerli tutti, chiese a ognuno informazioni, volle sapere i
loro desideri, fece, in una parola, quello che incombe a un buon ufficiale per guadagnarsi
l’animo dei dipendenti e averli pronti all’obbedienza.

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Posizioni tenute dalla brigata Catanzaro all’inizio della III Battaglia dell’Isonzo (18 ottobre 1915).
Da L’Esercito Italiano nella Grande Guerra (1915-1918), vol. II – Le operazioni del 1915,
Ufficio Storico Stato Maggiore Esercito, Roma, 1929
( riprodotta ne La guerra della fanteria 1915-1918, Basilio di Martino, Gino Rossato Editore, Valdagno, 2002)
La mattina del 30 l’artiglieria continuò la sua azione e l’ordine di attacco giunse per le dieci
e mezza: bisognava conquistare la trincea di Bosco Cappuccio e puntare su S. Martino: il
campanile diruto e la chiesetta ruinata segnavan l’ardua meta. Quando l’ora giunse,
l’artiglieria allungò il tiro: le fanterie uscirono dalla trincea e fecero impeto contro i
reticolati nemici.
S. Martino del Carso distrutto
Da Sui campi di battaglia del medio e basso Isonzo, Touring Club Italiano, Modiano, Milano, 1928

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(archivio Adolfo Zamboni)
Chi non ha combattuto nei primi tempi della guerra, non può formarsi un’idea delle
difficoltà che si incontravano; non può immaginare l’immane carneficina che avveniva
davanti ai reticolati nemici, quasi sempre appena smossi dal nostro fuoco. I più fortunati,
se anche potevano superare lo spazio tra le trincee nostre e le austriache, venivano
fulminati appena infilavano i pochi sbocchi operati nei grovigli di filo spinato di cui si
muniva l’avversario. Alle gravi perdite, allo spettacolo atroce dei feriti che urlavano per lo
strazio delle loro povere carni ridotte a brandelli, succedeva il panico nei più ritrosi; molte
volte l’insistere era follia; eppure i nostri soldati furono capaci anche di questo sacrificio;
chi avanzava sapeva che sarebbe andato a morire sotto il reticolato; ma rimanere in trincea
significava viltà, retrocedere ignominia. Oh! povere vite di giovani mietute dalla mitraglia
austriaca e ungherese, vicino alla meta degli sforzi più eroici; oh! lamenti nella notte di
doloranti sotto i ridotti nemici, chiedenti invano aiuto ai compagni. Chi poteva sacrificare
nuovi fiorenti vite per asportare dallo sguardo dell’avversario un moribondo; chi poteva
andare incontro a morte sicura per pietà verso colui che aveva già incontrato la morte?
Questi infelici spiravano dopo sofferenze inaudite senza che mano pietosa potesse bagnare
d’un sorso d’acqua le loro arse labbra.
Zona di operazioni della brigata Catanzaro (141° e 142° reggimento fanteria) nell’autunno del 1915.
Dalla carta 1:25.000 del Comando della 3 a Armata Sistemazione difensiva austriaca desunta da fotografie di
aviatori e da informazioni di prigionieri (15 luglio 1916)
(archivio Adolfo Zamboni)

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Anche quel giorno la sorte delle nostre armi sul fronte del nostro reggimento era
incerta, e forse avrebbe addolorato maggiormente gli animi dei soldati il triste spettacolo
dei caduti invano, se non ci fosse stata una vittima volontaria in più: il capitano Rotondi,
quando vide svolgersi incerta la mischia, si lanciò alla testa della sua compagnia,
gridando: «In nome d’Italia, avanti figlioli», e con impeto fiero si spinse, seguito dai suoi,
nella trincea nemica, la sorpassò; ma, mentre inseguiva i fuggitivi, un colpo ben misurato
lo colpì alla tempia e lo fece cadere fulminato. I suoi soldati avevano guadagnato la
posizione e la difendevano energicamente: il loro capitano, caduto sul parapetto del
trincerone, li comandava ancora.
Capitano Rotondi, che dormi nel cimitero di Sdraussina adorno solo di croci, tra le
acque azzurre dell’Isonzo e il Monte su cui lasciasti la vita, abbi la riconoscenza dei tuoi
fratelli e l’ammirazione dei tuoi commilitoni: a te, grande figlio della Lombardia, la gloria
pura degli eroi: tu conoscesti la fiamma dell’amor di Patria, tu ti immolasti
volontariamente sul suo altare.
© Tutti i diritti riservati.
Proprietà letteraria Adolfo Zamboni.
La biografia dell’Autore, intitolata Adolfo Zamboni – combattente per la Patria e
per la Libertà, Filosofo e Maestro (1891-1960), è reperibile all’indirizzo web
http://files.splinder.com/d83f6350f6e48791d7676d63836815ae.pdf