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Platone, Fedone PDF - Ousia.it

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<strong>Platone</strong><br />

<strong>Fedone</strong><br />

XXXIII<br />

«In che modo, Socrate?»<br />

«Ora te lo dico:» fece, «quelli che amano il sapere, sanno bene che la loro anima, appena la filosofia comincia<br />

a guidarla, è come legata, anzi interamente avvinta al corpo, costretta a rivolgere lo sguardo alla realtà non da sé sola,<br />

con i propri mezzi, ma come attraverso un carcere, per cui essa è gravata da una profonda ignoranza, riconoscendo<br />

benissimo che sono le passioni umane, questo terribile carcere e che, chi vi si r<strong>it</strong>rova prigioniero, lo deve solo a se<br />

stesso. Quelli che amano il sapere, ripeto, sanno che la filosofia quando prende a guidare la loro anima, che è in simile<br />

stato, la conforta, cerca di liberarla, facendole vedere come sia illusoria qualsiasi indagine svolta non solo per mezzo<br />

della vista, ma anche attraverso l'ud<strong>it</strong>o o con l'ausilio degli altri sensi; la persuade, così, a farne a meno, dei sensi, se non<br />

per quel tanto che le sia necessario servirsi di essi e la esorta a comporsi, a raccogliersi in sé, a non fidarsi che di se<br />

stessa e solo di quella realtà che ella indaga con le sue facoltà e a giudicare falsa, invece, quell'altra, mutevole e<br />

contingente, che ella esamina con mezzi non suoi; perché questa è sensibile e visibile, mentre quella è intelligibile e<br />

invisibile. L'anima, dunque, del vero filosofo sa di non doversi opporre a questa liberazione e, perciò, si tiene lontana,<br />

quanto più può, dai piaceri terreni, dai desideri, dagli affanni e dai timori, ben sapendo che se uno si fa vincere dalle<br />

passioni, dai timori, dai dolori e dai desideri, il male che ne potrà ricevere, anche il più grande, come per esempio una<br />

malattia o la perd<strong>it</strong>a di tutti i suoi beni, sarebbe ben poca cosa di fronte al male estremo cui andrebbe incontro e al<br />

quale, purtroppo, non ci si pensa.»<br />

«E qual è questo male, Socrate?» chiese Cebete.<br />

«Che cioè l'anima di ogni uomo quando prova un dolore o un piacere intenso per qualche cosa, crede che ciò<br />

che le produce questa intensa emozione, sia l'unica realtà, vera ed evidente, mentre non lo è affatto. Si tratta, invece,<br />

solo della realtà visibile. Non è forse così?»<br />

«Sicuro.»<br />

«E non è forse in queste occasioni, soprattutto, che l'anima diventa schiava del corpo?»<br />

«E come?»<br />

«Perché ogni piacere e ogni dolore, quasi fossero chiodi, inchiodano l'anima al corpo, gliela saldano in modo<br />

che essa diventa corporea, fino a r<strong>it</strong>ener per vere le cose r<strong>it</strong>enute tali dal corpo. Infatti, se l'anima ha le stesse<br />

inclinazioni del corpo, se ne condivide i piaceri, io credo che essa ne ha dovuto assimilare un po' le tendenze e la natura<br />

e che, quindi, mai potrà giungere all'Ade nella sua purezza, contaminata com'è dal corpo donde è usc<strong>it</strong>a; essa, presto,<br />

cadrà in un altro corpo, come un seme, e vi germoglierà. Ecco perché non potrà mai partecipare del divino, del puro, e<br />

del semplice.»<br />

«Verissimo questo che dici, Socrate,» ammise Cebete.<br />

XXXIV<br />

«Per questi motivi, Cebete, sono temperanti e forti quelli che amano il sapere e non per quel che ne dice la<br />

gente. O tu la pensi come gli altri?»<br />

«Oh, no, no, di certo.»<br />

«No, davvero, perché l'anima di un filosofo non penserà certo che, mentre la filosofia sta per liberarla dal<br />

corpo, essa possa deliberatamente abbandonarsi ai piaceri o agli affanni e tornare schiava, facendo un po', ma a<br />

rovescio, lo stesso interminabile lavoro di Penelope che s'affaticava sulla sua tela ora in un verso ora nell'altro. Essa,<br />

invece, placa le passioni al lume della ragione che le è sempre di guida, contempla il vero, il divino, ciò che è al di là<br />

delle opinioni e che è il suo cibo spir<strong>it</strong>uale, convinta com'è che così essa deve vivere la sua v<strong>it</strong>a fino alla fine e che<br />

quando sarà giunta al termine, perverrà là dove tutto le sarà congeniale e consimile, libera, ormai, da ogni umana<br />

miseria. Così arricch<strong>it</strong>a, Simmia e Cebete, ella non deve più temere d'essere lacerata quando si staccherà dal corpo e,<br />

dispersa dai venti, di essere un nulla nel nulla.»<br />

XXXV<br />

Un lungo silenzio seguì a queste parole di Socrate che, a guardarlo, sembrava tutto assorto a ripensare a quanto<br />

aveva detto, come, del resto, un po' tutti noi. Soltanto Cebete e Simmia continuavano a discorrere tra loro a bassa voce.<br />

«D<strong>it</strong>e un po', voi due,» fece Socrate quando se ne accorse, «forse che quanto s'è detto non vi ha soddisfatti?<br />

Certo che se si volesse approfondire la questione, ci sarebbero ancora molti punti da chiarire e parecchie obiezioni da<br />

fare. Se, però, voi state parlando di altro io ho fin<strong>it</strong>o, ma se avete qualche incertezza in propos<strong>it</strong>o, parlate pure, d<strong>it</strong>e le<br />

vostre ragioni, se vi pare di poter meglio precisare qualche punto e serv<strong>it</strong>evi pure di me se questo vi potrà giovare.»<br />

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