12.07.2015 Views

Fascicolo didattico - Centro on line Storia e Cultura dell'Industria

Fascicolo didattico - Centro on line Storia e Cultura dell'Industria

Fascicolo didattico - Centro on line Storia e Cultura dell'Industria

SHOW MORE
SHOW LESS
  • No tags were found...

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

CENTRO ON LINESTORIA E CULTURADELL’INDUSTRIAil Nord Oves t dal 1850C<strong>on</strong> il sostegno diP R O P O S TE DIDATTIC HE PER LE S C U O L EANNO SCOLAS TICO 2012-20131


CENTRO ON LINE STORIA E CULTURA DELL’INDUSTRIACSI-Piem<strong>on</strong>te - Corso Uni<strong>on</strong>e Sovietica 216, 10134 Torino - Tel. 011 316 8677E-mail: info@storiaindustria.it - www.storiaindustria.itISMEL - ISTITUTO PER LA MEMORIA E LA CULTURA DEL LAVORO DELL’IMPRESA E DEI DIRITTI SOCIALIPresidenza Tel. 011 532 530 - Segreteria Tel. 011 835 223E-mail: segreteria@ismel.it - www.ismel.it2


IndicePercorso storicoL’INDUSTRIA TORINESE SUL FINIRE DEL XIX SECOLO ................................... 5LA NASCITA DELLE BARRIERE OPERAIE ..................................................... 5BARRIERA DI MILANO .............................................................................. 6BORGO SAN PAOLO ................................................................................. 6BORGO VITTORIA .................................................................................... 7BORGO REGIO PARCO.............................................................................. 8BORGO SAN SALVARIO NUOVO ............................................................................ 9PRIMA GUERRA MONDIALE ......................................................................10LA SECONDA GUERRA MONDIALE .............................................................10I BOMBARDAMENTI ................................................................................11DALLA RICOSTRUZIONE AL BOOM ECONOMICO ...........................................12DA SUD A NORD: LA CITTÀ E I MOVIMENTI MIGRATORI ................................12Il caso di San Salvario ........................................................................13NUOVOLE FABBRICHE ......................................................................................14Fiat Grandi Motori ..............................................................................14Snia-Viscosa ......................................................................................15Villaggio Snia ....................................................................................16Superga ............................................................................................16Società Nazi<strong>on</strong>ale Officine Savigliano (SNOS) ........................................17Lancia ..............................................................................................18Manifattura Tabacchi ...........................................................................20Le industrie di San Salvario .................................................................20NUOVOLe f<strong>on</strong>ti e il loro uso nella ricerca ................................................................23Per saperne di più… ...............................................................................253


Percorso storicoL’INDUSTRIA TORINESE SUL FINIRE DEL XIX SECOLONel 1861 Torino c<strong>on</strong>ta 200.000 abitanti, 50.000 dei qualis<strong>on</strong>o impiegati in attività manifatturiere. Abbigliamentoe alimentare rappresentano i settori principali. Bottegheartigianali e laboratori prevalg<strong>on</strong>o sulle fabbriche vere eproprie, il cui numero appare ancora piuttosto esiguo. Glistabilimenti più importanti s<strong>on</strong>o legati all’iniziativa statale:la Manifattura Tabacchi c<strong>on</strong> i suoi 2.000 lavoratori (ingran parte d<strong>on</strong>ne) è l’apparato industriale c<strong>on</strong> il maggior numero di addetti, seguita dall’Arsenale Militare e della Fabbricad’armi, la cui attività si lega alla Regia Scuola di artiglieria.Nel 1864 il trasferimento della capitale a Firenze ha effetti devastanti sulla città, che vede diminuire i propri abitanti, passatidai 218.000 del 1864 ai 191.500 del 1868. Una situazi<strong>on</strong>e aggravata da una sfavorevole c<strong>on</strong>giuntura ec<strong>on</strong>omica internazi<strong>on</strong>ale,che rende difficoltosa la ripresa dell’ec<strong>on</strong>omia cittadina. Tra il 1880 e il 1890 si avvert<strong>on</strong>o i primi timidi segnali diripresa c<strong>on</strong> la nascita di alcune tra le più importanti aziende della storia industriale di Torino. Tra il 1895 e il 1907, graziealla ripresa ec<strong>on</strong>omica internazi<strong>on</strong>ale e all’avvento dell’energia elettrica fornita a basso costo dal Comune, la strutturaproduttiva cittadina c<strong>on</strong>osce una rapida accelerazi<strong>on</strong>e.Il primo decennio del Novecento vede affermarsi settori nuovi e trainanti come il metallurgico, il meccanico, il chimico el’elettrico. Inizia così a prendere forma un panorama manifatturiero variegato e complesso, al cui interno assume sempremaggior rilevanza il settore dell’automobile, destinato ad assumere un ruolo di primo piano nella vita cittadina. La fabbricasi appresta così a diventare il cuore pulsante della vita ec<strong>on</strong>omica e sociale della città, che vede aumentare il numero degliabitanti sull’intera popolazi<strong>on</strong>e cittadina impiegati in un’occupazi<strong>on</strong>e di tipo operaio.LA NASCITA DELLE BARRIERE OPERAIETra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo Torino presentauno scenario differente da quello attuale: intorno alla cittàè infatti presente la cinta daziaria, ovvero una <strong>line</strong>a didemarcazi<strong>on</strong>e che divide la città dalla campagna vera epropria. Edificata nel 1853, la cinta è un grosso muro disedici chilometri, all’interno del quale si apr<strong>on</strong>o dei varchiche costituisc<strong>on</strong>o le porte di accesso alla città. Questipassaggi s<strong>on</strong>o denominati barriere, termine c<strong>on</strong> il quale si definisc<strong>on</strong>o gli insediamenti abitativi sorti all’esterno della cinta.Il progressivo insediamento delle fabbriche nelle z<strong>on</strong>e periferiche della città, c<strong>on</strong>tribuisce allo sviluppo demografico eurbanistico delle barriere, diventate il polm<strong>on</strong>e industriale della nuova Torino.5


Attratti dal minor costo degli affitti e dei generi alimentari (n<strong>on</strong> soggetti al dazio), dalle migliori c<strong>on</strong>dizi<strong>on</strong>i abitative e dallavicinanza al posto di lavoro, intere famiglie di lavoratori si trasferisc<strong>on</strong>o dai quartieri del centro storico nelle z<strong>on</strong>e periferiche,c<strong>on</strong>tribuendo n<strong>on</strong> solo all’incremento della popolazi<strong>on</strong>e, ma anche a dare ai nuovi spazi urbani una c<strong>on</strong>notazi<strong>on</strong>epalesemente operaia. Composizi<strong>on</strong>e sociale e isolamento urbanistico favorisc<strong>on</strong>o tra gli abitanti la nascita di forme disocialità incentrate sulla vita del borgo, c<strong>on</strong>tribuendo a cementare un forte senso di appartenenza al territorio dove sivive, si lavora e si trascorre il tempo libero. La città è un’entità l<strong>on</strong>tana, pressoché estranea, una sorta di sc<strong>on</strong>finamento ilcui senso trova la sua forma di espressi<strong>on</strong>e in un modo dire molto diffuso tra gli abitanti delle periferie che, per andare incentro, s<strong>on</strong>o soliti dire “’nduma a Turin”.BARRIERA DI MILANONell’ultimo ventennio del XIX secolo, la Barriera di Milano èancora un distretto agricolo dove campi e cascine accompagnanoun’urbanizzazi<strong>on</strong>e ancora disordinata e disc<strong>on</strong>tinua.C<strong>on</strong> una popolazi<strong>on</strong>e che nel 1881 raggiunge appena le 1.901unità, il quartiere ha il proprio nucleo principale nel territorioadiacente a piazza Crispi, sede dell’ufficio del dazio, dei postidi guardia, di magazzini, osterie e attività commerciali. Comeaccade in altre z<strong>on</strong>e periferiche della città, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, anche in Barriera di Milano si assiste aun rapido incremento della popolazi<strong>on</strong>e residente, costituita anche da immigrati veneti e toscani spinti a Torino dalla crisiagricola tra il 1871 e il 1891 e da motivi politici legati all’avvento del fascismo: si passa dai 5.747 abitanti del 1901 ai 17.791del 1911, fino ai 24.925 del 1921. L’aumento della popolazi<strong>on</strong>e si salda c<strong>on</strong> lo sviluppo industriale del territorio, che fino allafine del XIX secolo gravita sulle industrie tessili e c<strong>on</strong>ciarie di Borgo Dora e su altre realtà produttive poste fuori dalla cinta(Manifattura Tabacchi, Sclopis e Colla e C<strong>on</strong>cimi). La svolta arriva nel 1896 c<strong>on</strong> la f<strong>on</strong>dazi<strong>on</strong>e della Società Elettrica AltaItalia che, fornendo nuova energia, n<strong>on</strong> vincola le imprese alla dipendenza dall’energia idraulica, c<strong>on</strong>sentend<strong>on</strong>e l’ubicazi<strong>on</strong>ein ogni z<strong>on</strong>a della città e n<strong>on</strong> soltanto in prossimità dei corsi d’acqua. Oltre la cinta nel territorio della Barriera di Milano,nasc<strong>on</strong>o così i grandi stabilimenti tessili dei Fratelli Piacenza, della Giordano, il lanificio Hoffman, la Filatura di Tollegnoe altri ancora. A partire dai primi anni del Novecento, fino alla prima guerra m<strong>on</strong>diale, la Barriera di Milano vede nasceregrandi insediamenti metalmeccanici, che hanno nella fabbrica Michele Ansaldi, sorta nel 1884, il loro primo predecessore.In pochi anni le F<strong>on</strong>derie Subalpine, la Nebiolo, le Industrie Metallurgiche, l’Ansaldo San Giorgio, la Fiat Brevetti, leF<strong>on</strong>derie Fiat, la INCET e soprattutto la Fiat Grandi Motori, iniziano a scandire le giornate di molti abitanti del borgo, doveaccanto a quella metalmeccanica e metallurgica si sviluppano anche i settori chimico, c<strong>on</strong>ciario e delle fibre artificiali, chehanno nella Ceat, nella Gilardini e nella SNIA Viscosa gli stabilimenti più rappresentativi.BORGO SAN PAOLOAlla fine dell’Ottocento, borgo San Paolo presenta uno scenario n<strong>on</strong> molo diverso dagli altri quartieri cittadini posti al difuori della cinta daziaria: poche centinaia di abitanti, circ<strong>on</strong>dati da orti, bialere e cascine. Un equilibrio spezzato soltanto da6


insediamenti urbani frammentari e disc<strong>on</strong>tinui. Il nucleo principale è quello raccolto intorno alla Chiesa di San Bernardinoe piazza Peschiera (oggi piazza Sabotino), dove sorg<strong>on</strong>o i servizi commerciali, primo tra tutti il mercato (prima in via Villafrancae dopo in corso Peschiera), l’asilo e la scuola elementare (il complesso chiamato Cesare Battisti di via Luserna). Nel1911 gli abitanti s<strong>on</strong>o 4.476, dieci anni più tardi s<strong>on</strong>o 21.941 e diventano 37.100 nel 1936. Se fino alla fine dell’Ottocentola gran parte dei residenti è impiegata in attività c<strong>on</strong>tadine, il primo decennio del ‘900 coincide c<strong>on</strong> un mutamento delleattività professi<strong>on</strong>ali degli abitanti, la maggior parte dei quali lavora come operaio nei grandi stabilimenti industriali che,grazie all’esenzi<strong>on</strong>e daziaria e ai superati problemi di reperimento di energia elettrica, sorg<strong>on</strong>o su questo spicchio cittadino.La nascente industria automobilistica segna quindi il decollo di borgo San Paolo, dove alla SPA (1905), alla Lancia(1906), alla Chiribiri (1911), alla Diatto (1904) all’Ansaldo Automobili (1912), si affiancano altre importanti industrie comela Westinghouse, la Capamianto, la Dubosh, la Nebiolo e la Fabbrica Italiana Pianoforti (oggi sede del mercato copertodi corso Racc<strong>on</strong>igi). Si modifica così la struttura professi<strong>on</strong>aledel quartiere, che vede gli operai sostituirsi ai c<strong>on</strong>tadinie ai commercianti in un territorio che presenta, tra il 1919 e il1921, una cospicua presenza di immigrati. I censimenti rivelanoinfatti come solo un quarto degli abitanti siano originaridi Torino. La parte rimanente proviene infatti dalle campagnedel Piem<strong>on</strong>te, dall’Italia settentri<strong>on</strong>ale (specialmente dal Veneto)e dal sud (pugliesi). Un territorio che resta ancora chiuso e isolato dal resto della città: durante la prima guerra siassiste a un rapido incremento della popolazi<strong>on</strong>e, senza però che a esso corrisp<strong>on</strong>dano interventi adeguati (specialmentein campo edilizio) destinati a supportarlo. Una normalizzazi<strong>on</strong>e avviene soltanto a partire dagli anni Venti quando, dopo lospostamento della cinta daziaria, il borgo appare pienamente inglobato nella città, cessando di essere un paese nella città,per diventare un pezzo della periferia torinese. Così come accade in molte altre barriere cittadine, anche a San Paolo l’isolamentodal resto della città e l’omogenea composizi<strong>on</strong>e sociale (operaia) portano al fiorire, tra gli abitanti, di un marcatosenso di appartenenza al borgo. La città appare quindi come un’entità l<strong>on</strong>tana, quasi estranea. Una sensazi<strong>on</strong>e ben espressada un modo di dire molto diffuso tra gli abitanti del borgo, che per andare in centro erano soliti dire “n’doma a Turin”.BORGO VITTORIAQuesto spazio cittadino deve il proprio nome alla battaglia finale dell’assedio del 1706, c<strong>on</strong>clusasi c<strong>on</strong> la vittoria delletruppe sabaude e austriache c<strong>on</strong>tro quelle francesi. Una fascia di periferia cittadina che, bagnata dalle sp<strong>on</strong>de della Dora,vede nascere alcune tra le principali realtà meccaniche, siderurgiche,chimiche e metalmeccaniche della città. Complessicome la Società Nazi<strong>on</strong>ale delle Officine di Savigliano, laElli Zerb<strong>on</strong>i, la Fiat Ferriere, la Michelin e la Superga accelleranolo sviluppo industriale e segnano prof<strong>on</strong>damente lamorfologia urbana, demografica e sociale del quartiere, chealla fine dell’Ottocento presenta ancora uno scenario rurale,7


caratterizzato da prati e cascine. C<strong>on</strong> l’inizio del nuovo secolo il borgo, sviluppatosi a ventaglio a ridosso della cinta daziaria,vede mutare la propria fisi<strong>on</strong>omia: la presenza dei grandi complessi industriali stimola infatti l’insediamento delleprime strutture edilizie pr<strong>on</strong>te ad accogliere una popolazi<strong>on</strong>e passata dai 2.851 abitanti del 1901 ai 6.205 del 1911, fino adarrivare ai 7.905 del 1921 e ai 9.291 del 1931. A partire dalla sec<strong>on</strong>da metà degli anni Cinquanta del Novecento, sulla sciadella grande migrazi<strong>on</strong>e interna proveniente dal nord-est e dalle regi<strong>on</strong>i del sud, il quartiere, prof<strong>on</strong>damente segnato dallapresenza degli apparati industriali, è al centro di un impetuoso sviluppo demografico la cui scia c<strong>on</strong>tinua fino alla primametà degli anni Settanta, influenzando l’assetto edilizio e il tessuto sociale. Questo spazio cittadino tra il 1997 e il 2006 èoggetto di prof<strong>on</strong>de trasformazi<strong>on</strong>i architett<strong>on</strong>iche e urbanistiche inserite nell’ambito del nuovo piano regolatore cittadinoche prevede la costruzi<strong>on</strong>e di un’unica imp<strong>on</strong>ente arteria (la cosiddetta Spina), in grado di attraversare da sud a nord lacittà, sull’asse dei binari del passante ferroviario. Un intervento di riqualificazi<strong>on</strong>e urbana, meglio nota come Spina 3, chein Borgo Vittoria coinvolge un’area di oltre un mili<strong>on</strong>e di metri quadrati.BORGO REGIO PARCONell’ultimo ventennio dell’Ottocento il borgo Regio Parco presenta le caratteristiche tipiche delle aree r urali: campi, pascolie cascine fanno da sf<strong>on</strong>do a un’ec<strong>on</strong>omia prevalentemente agricola, che ha nell’allevamento di bestiame e nella produzi<strong>on</strong>edi grano e foraggi le principali attività. Tra le cascine dellaz<strong>on</strong>a, alcune s<strong>on</strong>o di proprietà dei Savoia, altre apparteng<strong>on</strong>oalla curia torinese. Il nucleo abitato vero e proprio si snodaintorno a due direttrici principali, corso Regio Parco e viadella Maddalene, dove sorg<strong>on</strong>o case di uno o due piani c<strong>on</strong>cortile interno e ballatoio. L’inizio del Novecento vede susseguirsiuna serie di trasformazi<strong>on</strong>i urbanistiche che incid<strong>on</strong><strong>on</strong>otevolmente sulla struttura del borgo, la cui popolazi<strong>on</strong>e passa dai 3.867 abitanti del 1901 ai 9.601 del 1911, fino adarrivare ai 14.850 del 1921 e ai 18.851 del 1931. I primi interventi, c<strong>on</strong> l’intento di agevolare le comunicazi<strong>on</strong>i, hanno comeobiettivo quello di avvicinare l’area del Regio Parco al resto della città: nel 1902 è costruito il p<strong>on</strong>te sulla Dora, che uniscevia Priocca e strada Regio Parco, mentre tra il 1906 e il 1908 l’ampliamento della cinta daziaria favorisce lo sviluppo di unafitta rete viaria dalla quale emerge per importanza via Bologna, che assume un ruolo strategico nei collegamenti c<strong>on</strong> lacittà, c<strong>on</strong>sentendo il collegamento del quartiere c<strong>on</strong> la z<strong>on</strong>a di Porta Palazzo, principale centro del commercio cittadino. Alprimo decennio del secolo risale anche l’altro grande intervento destinato a mutare la fisi<strong>on</strong>omia del quartiere. Per far fr<strong>on</strong>tealla richiesta di abitazi<strong>on</strong>i a basso costo, dovuto alla c<strong>on</strong>centrazi<strong>on</strong>e sempre più alta degli abitanti delle z<strong>on</strong>e del suburbio(tra le quali anche Regio Parco), il Comune affida all’Istituto Aut<strong>on</strong>omo per le Case Popolari la realizzazi<strong>on</strong>e di un programmadi edilizia popolare che tra il 1908 e il 1920 vede sorgere i complessi di via Cimarosa 30, via Bologna e via M<strong>on</strong>crivello.Nello stesso periodo è avviata un’altra serie di interventi destinati a migliorare le c<strong>on</strong>dizi<strong>on</strong>i abitative degli abitanti del borgo,come ad esempio la costruzi<strong>on</strong>e di un lavatoio pubblico (1907) e la sistemazi<strong>on</strong>e delle vie di accesso agli edifici popolari divia Cimarosa e a quelli di via delle Maddalene. La Parrocchia di San Gaetano da Thiène (1889), l’Asilo Umberto I (1880) e lascuola elementare del Regio Parco (che dal 1921 assume la denominazi<strong>on</strong>e di scuola Giuseppe Cesare Abba), costituisco-8


no i principali servizi del quartiere, che ha nella via delle Maddalene il suo principale tratto commerciale. La Cartiera, attivafin dal 1840, e la Pista da Riso, un macchinario ideato nel 1847 dalla ditta Bl<strong>on</strong>del per la m<strong>on</strong>datura e la brillatura del riso,rappresentano le attività manifatturiere del borgo, che ha però il suo cuore industriale nella Manifattura Tabacchi.BORGO SAN SALVARIONUOVOTra il 1646 e il 1653, Amedeo di Castellam<strong>on</strong>te, su committenzadella Madama Reale Cristina di Francia, progetta lachiesa di San Salvatore in Campagna. Un edificio che c<strong>on</strong>noteràl’intero territorio, che proprio da esso assumerà la popolaredenominazi<strong>on</strong>e di San Salvario.È però molto più tardi, intorno alla metà dell’Ottocento, che ilnucleo del borgo, delimitato dai corsi Massimo d’Azeglio, VittorioEmanuele II, Bramante e dalla via Nizza, inizia a prendere forma. In questo periodo sorg<strong>on</strong>o, infatti, i primi insediamentiurbani, attigui alla campagna circostante, che c<strong>on</strong> orti, giardini, campi e vivai definisc<strong>on</strong>o la porzi<strong>on</strong>e di territorio che dallastrada reale di Nizza (l’attuale via Nizza) arriva fino al Valentino.Nel 1852 viene inaugurato il primo tratto ferroviario che collega Torino a M<strong>on</strong>calieri, seguito, nel 1853, da quello c<strong>on</strong> Genova.Lo sviluppo dello scalo ferroviario assume un ruolo decisivo nella crescita del quartiere, favorendo la crescita di unafitta rete di attività commerciali, che trova un’ulteriore spinta nella costruzi<strong>on</strong>e, nel 1852, dei primi edifici a uso civile nelquadrilatero compreso tra gli attuali corso Vittorio Emanuele, via Nizza e corso Marc<strong>on</strong>i. Fabbricati che preved<strong>on</strong>o l’utilizzocommerciale dei locali sorti a piano terra: botteghe e aziende artigianali iniziano a c<strong>on</strong>notare il territorio, disegnando il profilodi un quartiere dai ritmi c<strong>on</strong>citati, c<strong>on</strong> le strade percorse da carri trainati da cavalli, tramways e carretti. A c<strong>on</strong>tribuireallo sviluppo del quartiere c<strong>on</strong>corr<strong>on</strong>o altri due fattori: da un lato, l’edificazi<strong>on</strong>e della cinta daziaria, che rende più vantaggiosii costi di costruzi<strong>on</strong>e e di insediamento in questa porzi<strong>on</strong>e di territorio cittadino; dall’altro, il trasferimento nel 1876 inpiazza Madama Cristina del mercato di piazza Bod<strong>on</strong>i, diventato in breve tempo il sec<strong>on</strong>do mercato della città. Insieme alcommercio, anche l’industria.A partire dalla fine dell’Ottocento, il borgo assume un ruolo di primo piano nel processo di industrializzazi<strong>on</strong>e che avvolge lacittà: tra il 1899 e il primo decennio del Novecento, San Salvario diventa il quartiere dell’auto. Da queste strade muoverannoi primi passi n<strong>on</strong> solo le aziende dei fratelli Ceirano, pi<strong>on</strong>ieri dell’industria automobilistica italiana, ma soprattutto la Fiat ela Lancia, il cui sviluppo c<strong>on</strong>tribuisce a c<strong>on</strong>notare il volto ec<strong>on</strong>omico e sociale di Torino. Auto ma n<strong>on</strong> solo, come dimostrala presenza sul territorio della Nebiolo, della Schiaparelli, della Fispa, della UTET e della Microtecnica (unica attiva ancoraoggi), ovvero alcune tra le principali realtà dell’industria torinese.C<strong>on</strong> il sec<strong>on</strong>do decennio del Novecento, gran parte delle aziende automobilistiche trasferisce i propri stabilimenti in altrez<strong>on</strong>e cittadine. San Salvario, diventato uno dei quartieri più popolati della città, n<strong>on</strong> perde però la sua antica vocazi<strong>on</strong>ecommerciale legata ad empori, magazzini e piccole botteghe artigianali. Ne è un esempio la pasticceria f<strong>on</strong>data in viaBerthollet, verso la fine degli anni Trenta, da Piera Cillario e Pietro Ferrero, chiusa per i danni causati dai bombardamentinel 1942, anno in cui Piero decide di ritornare ad Alba per avviare nel 1946 la produzi<strong>on</strong>e semindustriale di dolciumi, che9


avrebbe portato la Ferrero a diventare il colosso del cioccolato che oggi c<strong>on</strong>osciamo. A San Salvario si trovano, inoltre,altri importanti simboli cittadini: il parco del Valentino, polm<strong>on</strong>e verde della città trasformato in giardino pubblico nel 1856,il tempio valdese e la sinagoga israelitica, segni della decennale presenza sul territorio delle due più importanti comunitàreligiose n<strong>on</strong> cattoliche.PRIMA GUERRA MONDIALEIl 24 maggio 1915 l’Italia dichiara guerra all’Austria, facendo ilproprio ingresso nella prima guerra m<strong>on</strong>diale. Occorre rifornirel’esercito di armi ed equipaggiamento. Ciò comporta l’avviodi una vera e propria produzi<strong>on</strong>e di guerra che vede unrapido sviluppo delle imprese operanti nei settori meccanico,metallurgico, chimico, elettrico ed estrattivo. Nel 1914 l’industriasiderurgica e quella meccanica copr<strong>on</strong>o il 5,2% e il21,6% dell’intero prodotto dell’industria manifatturiera; nel 1917 tali percentuali diventano del 10,8% e del 31,8%. La Diatto,la SPA, l’Ansaldi, e la FIAT s<strong>on</strong>o tra le prime aziende mobilitate: alla fine del 1916 si c<strong>on</strong>tano a Torino 207 stabilimentiausiliari c<strong>on</strong> 58.582 operai. La produzi<strong>on</strong>e di guerra orienta la traiettoria dell’industria torinese verso il comparto meccanico,in particolare, in direzi<strong>on</strong>e di quello automobilistico: una situazi<strong>on</strong>e che c<strong>on</strong>sente alla FIAT di balzare dal trentesimoposto nella graduatoria delle industrie nazi<strong>on</strong>ali, al terzo per dimensi<strong>on</strong>i d’impresa e capitale sociale, affiancando colossicome l’Ilva e l’Ansaldo. Uno sviluppo tendente a impr<strong>on</strong>tare l’intera ec<strong>on</strong>omia cittadina, caratterizzata dalla crescita delsettore meccanico e metallurgico. Grande impulso ricev<strong>on</strong>o anche le Ferriere Piem<strong>on</strong>tesi, la Diatto, la Westinghouse, leF<strong>on</strong>derie Subalpine, gli stabilimenti per la fabbricazi<strong>on</strong>e di aeroplani facenti capo alla SIA (Società Italiana di Aviazi<strong>on</strong>e) ealtre imprese automobilistiche come la Lancia e l’Itala. Pienamente investita dall’industrializzazi<strong>on</strong>e di guerra, Torino iniziacosì a de<strong>line</strong>are il proprio volto di città industriale per eccellenza.Fin dal 1916 la manodopera maschile, chiamata a combattere la fr<strong>on</strong>te, è sostituita nelle fabbriche da ragazzi e, soprattutto,d<strong>on</strong>ne, che fanno così il loro ingresso nei reparti delle fabbriche. La comp<strong>on</strong>ente femminile occupata negli stabilimenti torinesiaumenta sensibilmente: dalle poche migliaia dell’inizio della guerra, le lavoratrici diventano 23.000 nel 1915, 89.000alla fine del 1916, 175.000 nel 1917 e 200.000 al termine del c<strong>on</strong>flitto. Alla fine della guerra, le aziende torinesi dev<strong>on</strong>o farei c<strong>on</strong>ti c<strong>on</strong> i problemi del reinserimento dei reduci nel sistema produttivo e della ric<strong>on</strong>versi<strong>on</strong>e industriale: ne fanno le spesemigliaia di d<strong>on</strong>ne e ragazzi che, addetti soprattutto a lavorazi<strong>on</strong>i di munizi<strong>on</strong>amento, s<strong>on</strong>o colpiti dai licenziamenti seguitialla smobilitazi<strong>on</strong>e del dopoguerra. Tra il 1918 e il 1919, ad esempio, nel solo gruppo Fiat gli operai passano da 36.000 a25.000. Una diminuzi<strong>on</strong>e che coincide c<strong>on</strong> l’uscita dalla fabbrica di un’alta percentuale di manodopera femminile e minorilecostretta, qui come altrove, ad abband<strong>on</strong>are il proprio posto di lavoro per lasciare nuovamente spazio all’operaio specializzato,tornato ad essere la figura dominante nelle officine che riprend<strong>on</strong>o la produzi<strong>on</strong>e in tempo di pace.LA SECONDA GUERRA MONDIALENel 1938, alla vigilia della guerra, la popolazi<strong>on</strong>e di Torino amm<strong>on</strong>ta a 684.533 abitanti, 200.000 dei quali impegnati in atti-10


vità industriali, che costituisc<strong>on</strong>o quindi la base del reddito di almeno 2/3 delle famiglie cittadine. La fabbrica diventa quindiil cuore pulsante dell’ec<strong>on</strong>omia cittadina. Un universo produttivo al centro del quale si p<strong>on</strong>e, c<strong>on</strong> i suoi 95.000 lavoratori (il45,3% del totale degli occupati nell’industria), il settore metalmeccanico, che ha nella Fiat il suo polo più rappresentativo.Insieme a quello metalmeccanico, il panorama industriale cittadino presenta altri comparti di notevole sviluppo: il tessile el’abbigliamento (la cui manodopera si declina in gran parte al femminile), la lavorazi<strong>on</strong>e del legno e del cuoio, a vocazi<strong>on</strong>eprevalentemente artigianale (anche se n<strong>on</strong> mancano i grandi complessi quali le C<strong>on</strong>cerie Italiane Riunite e la Gilardini per ilc<strong>on</strong>ciario), l’industria alimentare, quella della gomma e delle fibre tessili che hanno, rispettivamente, nella Venchi Unica,nella Michelin, nella Ceat, nella Superga e nella Snia Viscosa i marchi di maggior rilievo.C<strong>on</strong> l’ingresso dell’Italia nel sec<strong>on</strong>do c<strong>on</strong>flitto m<strong>on</strong>diale, l’industria torinese c<strong>on</strong>osce un periodo di rapida crescita produttivae occupazi<strong>on</strong>ale. La manodopera impiegata negli stabilimenti metalmeccanici c<strong>on</strong> più di 500 addetti passa infatti dalle98.835 unità del 1938 alle 125.126 del 1943. Tra il 1943 e il 1945 si assiste però a una brusca inversi<strong>on</strong>e di tendenza c<strong>on</strong>l’uscita dal mercato del lavoro di oltre 80.000 unità. Le cause vanno ricercate in due fattori: la diminuzi<strong>on</strong>e delle materieprime e i danni provocati dalle incursi<strong>on</strong>i aeree alleate, che a partire dal novembre 1942 colpisc<strong>on</strong>o c<strong>on</strong> frequenza sempremaggiore gli apparati industriali cittadini. Disordine organizzativo, sospensi<strong>on</strong>i parziali del lavoro, necessità di ripristinodegli impianti e di sgombero dei reparti dalle macerie provocate dalle bombe, c<strong>on</strong> c<strong>on</strong>seguente dilatazi<strong>on</strong>e dei ritmi produttivi,scandisc<strong>on</strong>o i tempi della produzi<strong>on</strong>e cittadina, che tocca il proprio punto più basso nell’aprile del 1945, quandol’andamento produttivo dell’intero sistema industriale appare completamente paralizzato.I BOMBARDAMENTITra il 1940 e il 1945 si abbatt<strong>on</strong>o su Torino i bombardamentialleati provocando sulla città e sui suoi abitanti effetti devastanti.Dopo le brevi incursi<strong>on</strong>i dell’estate 1940 e dell’inverno1941, tra il novembre 1942 e l’agosto 1943 si registrano sullacittà altri dodici attacchi, che provocano la morte di 1.186pers<strong>on</strong>e e la distruzi<strong>on</strong>e di 54.000 abitazi<strong>on</strong>i su un totale di217.000. I bombardamenti c<strong>on</strong>tinuano, seppure a ritmi piùsporadici, anche durante il periodo della Repubblica Sociale Italiana: l’ultimo colpisce Torino il 5 aprile 1945, provocandodanni alla periferia sud della città. Oltre alle fabbriche, le bombe colpisc<strong>on</strong>o case, edifici storici, m<strong>on</strong>umenti e vetrine,lasciando sulle strade mucchi di macerie. Complessivamente, i bombardamenti uccid<strong>on</strong>o 2.069 pers<strong>on</strong>e tra la popolazi<strong>on</strong>ecivile, distrugg<strong>on</strong>o il 7% dei vani disp<strong>on</strong>ibili rispetto a quelli del 1942 e danneggiano il 10% dei negozi.Obiettivo principale dell’aviazi<strong>on</strong>e alleata è però il sistema produttivo cittadino. Tra il 1940 e il 1942, il primo ciclo di incursi<strong>on</strong>iche si abbatte sulla città causa alle fabbriche danni limitati. Dall’autunno del 1942, lo scenario cambia: le bombetrafigg<strong>on</strong>o la città senza risparmiare le industrie, colpendo, in maniera spesso devastante, quelle di maggiori dimensi<strong>on</strong>iche c<strong>on</strong>tinuano ad essere bersaglio dell’aviazi<strong>on</strong>e alleata durante l’intero arco del c<strong>on</strong>flitto.11


DALLA RICOSTRUZIONE AL BOOMECONOMICOLe bombe alleate riduc<strong>on</strong>o Torino a brandelli, lasciando senza casa migliaiadi pers<strong>on</strong>e. Trasporti e servizi pubblici s<strong>on</strong>o paralizzati, i disoccupatiaumentano, così come l’inflazi<strong>on</strong>e, e il sistema industriale è in ginocchio.Disordine ec<strong>on</strong>omico e tensi<strong>on</strong>i sociali accompagnano il riavvio di unprocesso produttivo che inizia a raggiungere livelli di normalità soltantoalla fine degli anni Quaranta. Tra il 1949 e il 1952 si hanno i primi timidisegnali di ripresa, dopodiché la marcia diventa inarrestabile. Tra il 1953e il 1963 si assiste a una fase espansiva che coinvolge l’intero paese, unvero e proprio boom ec<strong>on</strong>omico capace di ridisegnare l’Italia. Aumenta ilreddito nazi<strong>on</strong>ale, aumentano i lavoratori dell’industria a scapito di quelliimpegnati nell’agricoltura, migliorano le c<strong>on</strong>dizi<strong>on</strong>i alimentari delle famiglie italiane le cui case grazie ad acqua, elettricitàe servizi interni diventano sempre più c<strong>on</strong>fortevoli. Fanno la loro comparsa lavatrici, televisori, frigoriferi e, soprattutto,l’automobile, vero e proprio simbolo del nuovo sviluppo di questi anni, che c<strong>on</strong>osce una cospicua diffusi<strong>on</strong>e superandole moto e gli scooter.Trainata dall’industria dell’auto, l’ec<strong>on</strong>omia torinese corre velocemente. Due s<strong>on</strong>o i momenti cruciali che ne scandisc<strong>on</strong>o letappe: il lancio, nel 1955, della Fiat 600 e quello, nel 1957, della nuova Fiat 500, eventi che fanno della motorizzazi<strong>on</strong>e dimassa il perno dello sviluppo ec<strong>on</strong>omico dell’ec<strong>on</strong>omia cittadina e nazi<strong>on</strong>ale. Nel 1963 è superata la soglia del mili<strong>on</strong>esimoautoveicolo, mentre tre anni più tardi, nel 1966, venne infranta la barriera del mili<strong>on</strong>e di sole autovetture. La produzi<strong>on</strong>edell’auto costituisce lo sbocco di bu<strong>on</strong>a parte dell’industria metallurgica, chimica (gomma e vernici) e delle materie plastiche:l’80% delle attività industriali torinesi ruota quindi intorno alla Fiat, che tra il 1953 e il 1971 vede quasi triplicare i propridipendenti. Oltre alla Fiat, il panorama industriale torinese c<strong>on</strong>ta altre aziende di grande livello: le Officine di Savigliano, laCimat, la Nebiolo e la Elli Zerb<strong>on</strong>i, marchi leader nella produzi<strong>on</strong>e di macchine utensili e operatrici, la Magnadyne, la Castor,l’Aspera-Frigo e la Indesit nel campo della produzi<strong>on</strong>e di elettrodomestici, la Wamar e la Venchi Unica nel settore alimentare,la Incet, la Michelin, la Ceat e la Superga nel comparto della lavorazi<strong>on</strong>e della gomma e dei cavi elettrici.DA SUD A NORD: LA CITTÀ E I MOVIMENTI MIGRATORIA partire dal primo dopoguerra, Torino è al centro di un c<strong>on</strong>sistenteflusso migratorio che, iniziato nei primi anni Cinquanta,raggiunge il suo apice nel periodo del miracolo ec<strong>on</strong>omicoproseguendo per tutti gli anni Settanta del Novecento. A partires<strong>on</strong>o soprattutto uomini e d<strong>on</strong>ne residenti nel sud Italia,sui quali Torino, città dell’industria e capitale dell’auto, esercitauna forte capacità di richiamo. Ogni giorno sulle banchinedella stazi<strong>on</strong>e di Porta Nuova si riversa un numero sempre più12


c<strong>on</strong>sistente di pers<strong>on</strong>e arrivate a bordo del Treno del Sole, un c<strong>on</strong>voglio che in ventitre ore attraversa l’Italia, dalla Siciliaal Piem<strong>on</strong>te. Un flusso migratorio che si traduce in una crescita immediata della popolazi<strong>on</strong>e torinese, passata dai 753.000abitanti del 1953 ai 1.114.000 del 1963, molti dei quali costituiti da immigrati, che portano il saldo migratorio cittadino aessere quello più elevato di tutte le altre città italiane. I nuovi arrivati mutano lo scenario cittadino: pugliesi, calabresi, lucani,siciliani e sardi, prend<strong>on</strong>o il sopravvento sugli immigrati dell’Italia settentri<strong>on</strong>ale e su quelli arrivati dai territori del vicinoPiem<strong>on</strong>te, che fino ad allora rappresentano la maggioranza assoluta. Nel 1971 risied<strong>on</strong>o in città 77.589 siciliani, 106.413pugliesi, 44.723 calabresi, 35.489 campani e 22.813 lucani: Torino diventa così una città meridi<strong>on</strong>ale di dimensi<strong>on</strong>i parag<strong>on</strong>abilia Palermo. La comunità più numerosa è quella dei pugliesi. Una presenza che acquista presenze e spazi ben definiti,come avviene nel quartiere della Barriera di Milano, dove a partire dalla fine degli anni Quaranta si stabilisce una foltacomunità di uomini e d<strong>on</strong>ne provenienti da Cerignola, la città italiana che più di ogni altra ha dato immigrati alla città diTorino. Una comunità che porta c<strong>on</strong> sé usanze e tradizi<strong>on</strong>i, come la celebrazi<strong>on</strong>e della Festa della Mad<strong>on</strong>na di Ripalta, lacui effige è presente in una porzi<strong>on</strong>e di piazza For<strong>on</strong>i. Lo stesso spazio urbano, per ricordare la presenza di tanti cerignolani,ha preso il nome nel 1983 di piazzetta Cerignola. Anche il Veneto rappresenta un c<strong>on</strong>sistente serbatoio migratorio.Un’immigrazi<strong>on</strong>e, quest’ultima, risalente ai primi anni del Novecento e che prosegue negli anni seguenti, come dimostranoi 65.741 immigrati veneti residenti in città nel 1971. Molti di essi proveng<strong>on</strong>o dalle z<strong>on</strong>e bracciantili di Rovigo e del Polesine,messe in ginocchio nel 1951 dall’alluvi<strong>on</strong>e del Po. Vi è infine la comunità sarda, che ha a Torino radici antiche, dal momentoche i primi flussi migratori dall’isola risalg<strong>on</strong>o al periodo sabaudo. Una lunga tradizi<strong>on</strong>e migratoria, che nel 1971 raggiungela quota di 19.858 individui.L’arrivo in città si trascina dietro problematiche e difficoltà di n<strong>on</strong> facile superamento. Differenze culturali e identitarie trasformanol’inc<strong>on</strong>tro tra i torinesi e gli immigrati, specialmente quelli giunti dal sud, in un momento dai c<strong>on</strong>torni frastagliatie spigolosi. Una discriminazi<strong>on</strong>e che assume le sembianze dei cartelli affissi ai port<strong>on</strong>i delle case arrecanti la frase n<strong>on</strong>si affitta ai meridi<strong>on</strong>ali, oppure quella dell’attuazi<strong>on</strong>e di dinamiche esclusive che passano attraverso epiteti carichi di astio(napuli, terr<strong>on</strong>i, mau mau) c<strong>on</strong>iati dalla popolazi<strong>on</strong>e locale per definire, identificare, screditare e deridere gli individui natividelle regi<strong>on</strong>i del sud. Un fenomeno diffuso, inerente molti comparti della vita quotidiana e che sembra essere accettato ancheda «La Stampa», principale testata cittadina, l<strong>on</strong>tana dallo svolgere un ruolo di avvicinamento tra torinesi e immigrati, eimpegnata ad alimentare sulle proprie pagine, attraverso articoli, annunci e servizi, stereotipi e pregiudizi nei c<strong>on</strong>fr<strong>on</strong>ti degliimmigrati del sud Italia, ampiamente c<strong>on</strong>solidati tra i lettori torinesi. Si crea così una situazi<strong>on</strong>e di emarginazi<strong>on</strong>e, superataattraverso una progressiva c<strong>on</strong>divisi<strong>on</strong>e di spazi ed esperienze nella sfera pubblica, privata e lavorativa, che c<strong>on</strong>sente discalare il muro che divide i torinesi dagli immigrati incanalando il rapporto sui binari di un’integrazi<strong>on</strong>e oramai pienamenteavvenuta.Il caso di San SalvarioNUOVOA partire dagli ultimi decenni del Novecento, si riversano sul territorio italiano c<strong>on</strong>sistenti flussi di immigrati stranieri. Unprocesso che, iniziato nella prima metà degli anni Settanta, assume dimensi<strong>on</strong>i importanti negli anni successivi: tra il 1990e il 1995 l’Italia si colloca al ventesimo posto nella graduatoria m<strong>on</strong>diale, c<strong>on</strong> un saldo migratorio di 300.000 unità. Tra il1994 e il 1996 il numero di immigrati aumenta del 7% , fino a raggiungere la cifra di 1.240.721 individui nel 1 gennaio 1998.13


Uomini e d<strong>on</strong>ne provenienti da ogni parte del m<strong>on</strong>do, portano nel nostro Paese un intreccio di culture, tradizi<strong>on</strong>i e costumidiversi: il 40% dei nuovi arrivati proviene da un Paese comunitario, gli africani sfiorano il 30% (due terzi dal Nord Africa),la parte restante proviene dai Paesi dell’Est e da quelli balcanici (nei quali si era frantumato il blocco sovietico). Tra questiultimi occorre citare il caso della ex Jugoslavia, teatro a partire dal 1991 di una sanguinosa guerra civile, che riversa sulterritorio italiano masse di profughi in fuga, la cui accoglienza in Italia p<strong>on</strong>e problemi di c<strong>on</strong>vivenza e di inserimento neltessuto sociale del nostro paese.Torino è una tra le città italiane maggiormente toccata da questi fenomeni migratori. I dati statistici evidenziano come la presenzadi cittadini stranieri in città sia notevolmente aumentata negli ultimi dieci anni, passando dalle 41.665 unità del 2001alle 61.223 del 2003, per poi giungere alle 84.843 del 2006, alle 115.809 del 2008 fino alle 129.067 del 2010. Le comunitàpiù rappresentative s<strong>on</strong>o quella romena (52.196), albanese (5.710) e moldava (4.146) per quanto riguarda i Paesi europei;marocchina (19.424), egiziana (4.024), nigeriana (3.256) e tunisina (1.633) per il c<strong>on</strong>tinente africano; peruviana (8.808),brasiliana (2.073) ed ecuadorena (1.540) per il Sudamerica; cinese (5.518) e filippina (3.189) per l’Asia.San Salvario è una delle aree cittadine maggiormente coinvolte dall’immigrazi<strong>on</strong>e straniera. Quartiere difficile, ghetto cittadino,luogo di microcriminalità e delinquenza: così, fino a pochi anni San Salvario appariva nell’immaginario collettivo dimolti Torinesi. Un quartiere che a partire dai primi anni Novanta vede aumentare notevolmente la percentuale di popolazi<strong>on</strong>eimmigrata, la cui presenza provoca esasperazi<strong>on</strong>e sociale e focolai di tensi<strong>on</strong>e, tesi a identificare nell’immigrato il resp<strong>on</strong>sabiledella situazi<strong>on</strong>e di degrado e illegalità venutasi a creare sul territorio. Una realtà l<strong>on</strong>tana, perché oggi nel quartiere sirespira un’aria nuova e vitale. Le vie e le piazze di questo antico ri<strong>on</strong>e s<strong>on</strong>o diventate un esempio di integrazi<strong>on</strong>e, uno spaziomulticulturale, un simbolo della c<strong>on</strong>vivenza tra italiani e stranieri. Un percorso tracciato a fatica, che è riuscito a mutare radicalmenteil volto a uno degli spazi urbani più degradati, trasformandolo in un quartiere laboratorio, vivace e in fermento,dove fiorisc<strong>on</strong>o iniziative, nasc<strong>on</strong>o associazi<strong>on</strong>i, botteghe artigiane e attività commerciali, si organizzano e si sperimentanoiniziative culturali ed eventi di grande portata che hanno gettato una ventata di creatività per le strade del borgo.LE FABBRICHEFiat Grandi MotoriFin dal 1884 sorg<strong>on</strong>o nel cuore della Barriera di Milano le OfficineMeccaniche Michele Ansaldi, complesso deputato allacostruzi<strong>on</strong>e di macchine utensili, che impiega circa 300 operai.Nel 1905 Michele Ansaldi, f<strong>on</strong>datore della fabbrica, siglaun accordo c<strong>on</strong> Giovanni Agnelli: nasce la Fiat Ansaldi che sispecializza nella produzi<strong>on</strong>e di vetture leggere a quattro cilindri.Un passaggio legato a una precisa strategia di mercato,che vede la Fiat, attraverso procedimenti associativi, legare alla propria orbita altre società. Una di queste è il cantiere navaleSan Giorgio di Muggiano, nel Golfo di La Spezia, assorbito dall’azienda torinese nel 1905: nasce la Fiat San Giorgio,che ha nella costruzi<strong>on</strong>e di torpediniere e sommergibili le sue lavorazi<strong>on</strong>i principali e che produce nello stabilimento torinesemotori marini e tubi di lancio. Nel 1908 esce dai reparti dello stabilimento il primo motore diesel. Nel 1916 la Fiat San14


Giorgio è ceduta alla genovese Ansaldo. Durante la prima guerra m<strong>on</strong>diale, dalla fabbrica esc<strong>on</strong>o più di 100 motori, seguitisubito dopo il c<strong>on</strong>flitto da motori per le mot<strong>on</strong>avi c<strong>on</strong> una potenza che arriva a toccare i 1.400 cavalli. Nel 1923 lo stabilimentoè riacquistato dalla Fiat, che inaugura la sezi<strong>on</strong>e Grandi Motori, destinata alla costruzi<strong>on</strong>e di motori diesel perqualsiasi applicazi<strong>on</strong>e, in particolare per uso marino. Nasce così il più grande stabilimento della Barriera di Milano, uncuore pulsante il cui battito roboante arriva a farsi sentire in ogni spazio del territorio, soprattutto durante le prove, quandosi sent<strong>on</strong>o ruggire il motore e tremare i vetri delle finestre. Tra il 1923 e il 1928 il complesso è al centro di un ampliamento,che porta la Grandi Motori, dove nel 1935 s<strong>on</strong>o occupati 5.000 dipendenti, a svilupparsi su una superficie di 115.000 metriquadrati. Durante la sec<strong>on</strong>da guerra m<strong>on</strong>diale l’azienda, vittima delle bombe alleate, lega il proprio nome a quello dellaResistenza: tra i lavoratori, molto attivi nelle agitazi<strong>on</strong>i operaie c<strong>on</strong>tro il fascismo e la guerra, agisc<strong>on</strong>o fin dal 1944 le SAPinterne allo stabilimento. Terminata la guerra, i primi segnali di ripresa si registrano a partire dal 1948, mente tra il 1951 eil 1954 la fabbrica è al centro di un ampliamento che c<strong>on</strong>sente di aumentare le capacità produttive. Un periodo coincidentec<strong>on</strong> un incremento delle commesse portando l’azienda, che nei primi anni Sessanta impiega circa 4.000 addetti, allo splendoredi un tempo. Nell’ottobre del 1966, Fiat e Iri siglano un accordo per la creazi<strong>on</strong>e a Trieste della Società Grandi Motoridi Trieste. Il nuovo complesso è inaugurato nel 1971, e assorbe, tra operai, impiegati, tecnici e dirigenti, circa 3.000 dipendenti,molti dei quali provenienti dalla Grandi Motori di Torino, che cessa in questi anni la propria attività. Oggi l’area exGrandi Motori è destinata ad essere abbattuta.SNIA - ViscosaNel 1917 Riccardo Gualino e Giovanni Agnelli f<strong>on</strong>dano la Società di Navigazi<strong>on</strong>e Italo-Americana (SNIA), che si occupa ditrasportare combustibile dall’Italia agli Stati Uniti. Dopo la prima guerra m<strong>on</strong>diale, l’attività dell’azienda c<strong>on</strong>osce una bruscafrenata, inducendo la società a orientarsi su altri obiettivi. Il ramo sul quale c<strong>on</strong>centrare l’attenzi<strong>on</strong>e è quello delle fibretessili e artificiali la cui richiesta c<strong>on</strong>osce nel periodo post bellico una notevole impennata. Sull’<strong>on</strong>da della nuova strategiaimprenditoriale, la SNIA acquista nel 1920 la Società Viscosa di Pavia, proprietaria del sec<strong>on</strong>do stabilimento italiano difibre chimiche a Venaria Reale, della Società Italiana Seta Artificiale a Cesano Maderno e di altri complessi minori dislocatiin varie località dell’Italia settentri<strong>on</strong>ale. La SNIA muta così la propria denominazi<strong>on</strong>e in SNIA-VISCOSA, irrompendo nelmercato della produzi<strong>on</strong>e di fibre artificiali e recitando un ruolo di primo piano: nel solo 1927, ad esempio, produce oltre13 mili<strong>on</strong>i di chilogrammi di filati artificiali, la gran parte dei quali trova sbocco verso mercati nazi<strong>on</strong>ali ed esteri. Nel 1935,a quindici anni dalla sua f<strong>on</strong>dazi<strong>on</strong>e, la SNIA-VISCOSA è un vero e proprio colosso capace di impiegare nei suoi dodicistabilimenti circa 20.000 operai.Tra gli stabilimenti principali vi è quello di Torino, ubicato nel territorio dell’Abbadia di Stura, ai margini della Barriera diMilano, la cui costruzi<strong>on</strong>e inizia nel 1925. Una struttura dalla superficie di oltre due mili<strong>on</strong>i di metri quadrati, che iniziala produzi<strong>on</strong>e nel 1926. La scelta di Abbadia di Stura è dovuta alla vicinanza al complesso Snia di Venaria, all’adiacenzaalla già programmata autostrada Torino-Milano e alla vol<strong>on</strong>tà di isolare la fabbrica per evitare ai lavoratori, in gran parteimmigrati dal veneto, i c<strong>on</strong>tatti c<strong>on</strong> quelli delle altre industrie cittadine. Nel 1927 la società c<strong>on</strong>solida la propria presenzain città, impiantando in Borgo San Paolo, una struttura adibita alle lavorazi<strong>on</strong>i meccaniche. Dopo aver superato gli effettidella grave crisi del 1929, la SNIA inizia nel 1931, prima in Italia, la fabbricazi<strong>on</strong>e del fiocco, fibra corta che può essere filata15


anche dalle imprese tessili, la cui produzi<strong>on</strong>e passa dagli 11,5 mili<strong>on</strong>i di chilogrammi del 1930 ai 47 mili<strong>on</strong>i di chilogrammidel 1936. Alla vigilia del c<strong>on</strong>flitto m<strong>on</strong>diale la SNIA impiega a Torino poco meno di 2.000 dipendenti: 1.350 nello stabilimentodi fibre tessili ed artificiali e 620 in quello per lavorazi<strong>on</strong>i meccaniche. Nel 1954 lo stabilimento di produzi<strong>on</strong>e fibree tessuti chiude, mentre quello meccanico, che nel 1961 occupa 496 lavoratori, c<strong>on</strong>tinua la sua attività ancora per qualcheanno. Dopo la chiusura, la SNIA cede la struttura di Torino Stura alla Michelin, che la utilizza fino ai primi anni Ottanta. Oggisulla stessa area sorge un ipermercato.Villaggio SNIANel 1925, in prossimità dello stabilimento di Abbadia di Stura,lungo la direttrice dell’attuale corso Vercelli, la SNIA costruisceun villaggio dove alloggiare i propri dipendenti. Affidatoall’architetto Vittorio Tornielli, il progetto prevede la costruzi<strong>on</strong>edi un complesso destinato a ospitare, in ordine gerarchico,tutti i dipendenti: 11.000 vani in grado di accogliere icirca 15.000 lavoratori che la società intende inizialmente impiegarenel proprio stabilimento. Le cose però andranno diversamente.Infatti, in fase di costruzi<strong>on</strong>e, il progetto è oggettodi un drastico ridimensi<strong>on</strong>amento: s<strong>on</strong>o costruiti 576 vani, al cui interno trovano spazio 800 dipendenti. Le abitazi<strong>on</strong>i,isolate dal resto della città, s<strong>on</strong>o povere di infrastrutture e servizi, ad eccezi<strong>on</strong>e di una chiesa, un lavatoio e pochi negoziadibiti alla vendita dei generi di prima necessità. Lasciato per anni in c<strong>on</strong>dizi<strong>on</strong>i di degrado, il complesso è stato da pocooggetto di un’opera di restauro curata dalla Città di Torino.SupergaNata a Torino nel 1916, la Superga si specializza fin da subito nella produzi<strong>on</strong>e di materiale in gomma alla quale affiancalavorazi<strong>on</strong>i di tipo calzaturiero: stivali in gomma, suole e tacchi per calzaturedi cuoio, pantofole in panno e, soprattutto, calzature da tennis (il notomodello 2.750 prodotto per la prima volta nel 1925) che caratterizzerannola storia del marchio, c<strong>on</strong>tribuendo in maniera rilevante al suo successo suscala nazi<strong>on</strong>ale e internazi<strong>on</strong>ale.Se gli anni Venti e Trenta n<strong>on</strong> fanno registrare mutamenti nelle strategieproduttive, l’entrata in guerra dell’Italia imp<strong>on</strong>e alla Superga una diversificazi<strong>on</strong>edelle lavorazi<strong>on</strong>i: accanto a quella dei tradizi<strong>on</strong>ali articoli in gomma,inizia così la produzi<strong>on</strong>e di maschere antigas. Dichiarata industria ausiliariae danneggiata pesantemente dalle incursi<strong>on</strong>i alleate, al termine del c<strong>on</strong>flittol’azienda elabora un programma di rilancio della produttività che culmina,nel 1951, c<strong>on</strong> l’acquisto della società da parte del gruppo milanese Pirelli,16


che diventa proprietario a tutti gli effetti del marchio Superga. A partire dalla sec<strong>on</strong>da metà degli anni Cinquanta, la Supergaraggiunge livelli produttivi significativi. Un successo suggellato dall’apertura, nel 1964, di un nuovo complesso produttivoa Triggiano (Bari), all’interno del quale s<strong>on</strong>o impiegati 439 lavoratori che, uniti ai 1.371 (1.210 operai, 161 impiegati e 9dirigenti) dislocati in quello di Torino, portano il gruppo ad avere una forza occupazi<strong>on</strong>ale di 1.800 dipendenti, la gran partedei quali, elemento comune a tutto il settore calzaturiero, è costituito da manodopera femminile.Verso la fine degli anni Sessanta il periodo di espansi<strong>on</strong>e subisce una netta flessi<strong>on</strong>e portando a una diminuzi<strong>on</strong>e dellamanodopera impiegata nello stabilimento di Torino, passata dai 1.371 addetti del 1969 ai 1.234 del 1970, fino ad arrivareai 1.148 dipendenti del 1971. È l’inizio di una lunga crisi, testim<strong>on</strong>iata da una nuova riduzi<strong>on</strong>e dei dipendenti, il cui numero,nel 1976, amm<strong>on</strong>ta a 751 unità. Una situazi<strong>on</strong>e alla quale n<strong>on</strong> si riesce a far fr<strong>on</strong>te nemmeno c<strong>on</strong> la sostituzi<strong>on</strong>e di antichelavorazi<strong>on</strong>i (stivali e pantofole) c<strong>on</strong> calzature per sport e tempo libero: nel 1981 il bilancio è in attivo di poche decine dimili<strong>on</strong>i, mentre nel 1985 chiude lo stabilimento di Triggiano. Nello stesso periodo i vertici aziendali decid<strong>on</strong>o di ampliare ilprocesso di terziarizzazi<strong>on</strong>e della produzi<strong>on</strong>e assegnando le lavorazi<strong>on</strong>i ad imprese dislocate soprattutto in Asia (Ind<strong>on</strong>esia,Malesia, Taiwan, Sri Lanka e Cina) e nell’Est Europeo (Jugoslavia e Cecoslovacchia).Nel 1992, la Superga è rilevata da una società di venture capital, la Sopaf, che annuncia la vol<strong>on</strong>tà di trasferire all’esteroil totale delle produzi<strong>on</strong>i lasciando nello stabilimento di Torino (dove nel 1995, i 301 dipendenti c<strong>on</strong>tinuavano a svolgereappena il 13,4% delle produzi<strong>on</strong>i) le lavorazi<strong>on</strong>i più particolareggiate. Nel 1998 l’azienda attraversa un nuovo periodo didifficoltà che rende indispensabile la vendita del patrim<strong>on</strong>io immobiliare dell’area di via Verolengo e il trasferimento a Rivolidell’attività produttiva. Nel 2004 il gruppo BasicNet acquista la licenza m<strong>on</strong>diale per produrre e distribuire i prodotti Superga,c<strong>on</strong>tribuendo in maniera significativa al rilancio che lo storico marchio torinese ha c<strong>on</strong>osciuto in questi ultimi anni. Attualmentesull’area ex Superga sorg<strong>on</strong>o edifici residenziali, mentre la palazzina dirigenziale di via Verolengo e il magazzinodi via Orvieto s<strong>on</strong>o stati c<strong>on</strong>servati e destinati a nuovi usi.Società Nazi<strong>on</strong>ale Officine di Savigliano (SNOS)F<strong>on</strong>data nel 1880, la Società Nazi<strong>on</strong>ale Officine di Savigliano,nel cui stabilimento lavorano circa 640 operai, orienta la propriaattività verso la produzi<strong>on</strong>e di materiale rotabile. Nel 1881assorbe la Società An<strong>on</strong>ima Italiana Ausiliare di strade ferrate,tramvie e lavori pubblici, azienda torinese di capitale belga,ereditand<strong>on</strong>e la forza lavoro (circa 700 dipendenti) e lostabilimento di corso Mortara. Un passaggio che c<strong>on</strong>sente diaffiancare alle tradizi<strong>on</strong>ali lavorazi<strong>on</strong>i di materiale rotabile quelle di macchinari elettrici, costruzi<strong>on</strong>i impiantistiche ed elettromeccaniche,portando a un aumento della manodopera nello stabilimento di Savigliano e in quello di Torino, dove nel1914, lavorano 978 dipendenti. Durante la prima guerra m<strong>on</strong>diale l’azienda modifica le proprie strategie orientandosi versola costruzi<strong>on</strong>e di materiale bellico: dai reparti di corso Mortara esc<strong>on</strong>o infatti bombe, pezzi per artiglieria, apparati motoriaere<strong>on</strong>autici e navali. Una produzi<strong>on</strong>e affidata in gran parte a manodopera femminile che, chiamata a sostituire gli uominiimpegnati al fr<strong>on</strong>te, registra tra il 1915 e il 1918 il maggior numero di presenze nella lunga storia della società (nel 1914, ad17


esempio, nel complesso torinese lavorano soltanto 4 uomini).Al termine della guerra il governo italiano affida alle Officine la costruzi<strong>on</strong>e di locomotori, cui segue, nel corso degli anniVenti, la realizzazi<strong>on</strong>e di opere infrastrutturali e impianti idroelettrici. Alla vigilia del sec<strong>on</strong>do c<strong>on</strong>flitto m<strong>on</strong>diale, la societàsi presenta come una realtà adatta a sostenere lo sforzo richiesto dalla nuova produzi<strong>on</strong>e di guerra, che vede impegnata unaforza lavoro altamente qualificata, composta, a Torino, da 300 impiegati e 1.300 operai, chiamati a produrre granate, portasiluri, carri ferroviari trattori, telef<strong>on</strong>i militari da campo, apparecchi radio e vari tipi di macchinari elettrici. I bombardamentialleati, le mine tedesche e gli sc<strong>on</strong>tri insurrezi<strong>on</strong>ali dell’aprile 1945 lasciano allo stabilimento di Torino un’eredità pesante,che però n<strong>on</strong> impedisce la ripresa dei lavori già nel maggio 1945, quando le Ferrovie dello Stato commissi<strong>on</strong>ano alla SNOSla ricostruzi<strong>on</strong>e di quattro locomotori elettrici danneggiati dagli eventi bellici. Negli anni successivi, l’attività dell’aziendariprende attraversando fasi alterne fino al 1960, quando a seguito di una prof<strong>on</strong>da crisi la SNOS, che impiega circa 4.000dipendenti, è costretta a un ridimensi<strong>on</strong>amento che vede la cessi<strong>on</strong>e alla Fiat del comparto ferroviario, che c<strong>on</strong>tinua laproduzi<strong>on</strong>e nello stabilimento di Savigliano fino al 2000, anno in cui il complesso è ceduto alla Alstom, azienda franceseleader nell’ingegneria ferroviaria. Il complesso di Torino c<strong>on</strong>osce invece un destino differente. La presenza dell’ENEL comeprincipale committente orienta la produzi<strong>on</strong>e aziendale verso la fabbricazi<strong>on</strong>e di alternatori, trasformatori e impianti elettrici.Il 1975 segna l’ultima fase di ric<strong>on</strong>versi<strong>on</strong>e dell’azienda: acquisita dalla statunitense General Electric, passa dall’attivitàdi produzi<strong>on</strong>e a quella di manutenzi<strong>on</strong>e. Ridotto a 80 dipendenti, lo stabilimento di Torino chiuderà definitivamente i battentinel 2005. Oggi, sull’area ex SNOS, sorg<strong>on</strong>o un centro commerciale e dei complessi residenziali.LanciaIl 29 novembre 1906 Vincenzo Lancia, figlio di Giuseppe, imprenditoredell’industria c<strong>on</strong>serviera, f<strong>on</strong>da insieme a ClaudioFogolin, ex collaudatore Fiat, la società in nome collettivo Lanciae C. Inizialmente lo stabilimento si insedia nei locali dellaex fabbrica automobilistica Itala, nell’isolato compreso tra levie D<strong>on</strong>izetti e Ormea, nel quartiere di San Salvario. Dopo illancio, nel 1907, del suo primo modello, l’HP 12, l’aziendac<strong>on</strong>osce un periodo di espansi<strong>on</strong>e culminato c<strong>on</strong> l’acquisizi<strong>on</strong>e di uno stabile in corso Dante, utilizzato per il collaudodei veicoli. Due anni più tardi la Lancia, che c<strong>on</strong>ta un ingente patrim<strong>on</strong>io immobiliare (e cioè l’intero isolato compresotra le vie D<strong>on</strong>izetti, Petrarca, Ormea e Pietro Giuria), appare una realtà produttiva ampiamente c<strong>on</strong>solidata, sebbene lasua vocazi<strong>on</strong>e fosse più artigianale che industriale: 131 autovetture nel 1908, 150 nel 1909 e 258 nel 1910, c<strong>on</strong>tro le1.698 uscite, nello stesso anno, dagli stabilimenti Fiat. A partire dal sec<strong>on</strong>do decennio del ‘900, grazie alla maggiordiffusi<strong>on</strong>e dell’elettricità che scioglie il vincolo della dipendenza dall’energia idraulica, la Lancia getta le basi per il propriodefinitivo c<strong>on</strong>solidamento. Nel 1911 Vincenzo Lancia acquista tre lotti di terreni tra i corsi Peschiera, Racc<strong>on</strong>igi el’attuale via Envie, in borgo San Paolo, tessendo così un legame c<strong>on</strong> il quartiere destinato a diventare molto prof<strong>on</strong>do ea caratterizzare l’intera parabola aziendale: nel 1920, ad esempio, un dipendente su due proviene dal borgo, e un altro37,8% abita poco più l<strong>on</strong>tano. Un rapporto che resta forte anche negli anni successivi: nel 1954, ad esempio, il 45%18


del pers<strong>on</strong>ale Lancia risiede in un territorio compreso nel quadrilatero tra i corsi Brunelleschi, Rosselli, Francia e Li<strong>on</strong>e.Il trasferimento in borgo San Paolo coincide c<strong>on</strong> una fase di crescita della Lancia che passa dai 390 operai del 1911 ai469 del 1914, anno in cui la produzi<strong>on</strong>e annuale di veicoli si attesta sulle 457 unità. Durante il primo c<strong>on</strong>flitto m<strong>on</strong>diale,la Lancia si c<strong>on</strong>centra soprattutto sulla produzi<strong>on</strong>e di veicoli militari, in particolar modo autocarri, abband<strong>on</strong>ando quasitotalmente quella di autovetture, come evidenziano i dati sulla produzi<strong>on</strong>e: tra il 1915 e il 1917 le automobili prodotte s<strong>on</strong>o400, scese ad appena 35 nel 1918, quando aumentano sensibilmente gli autocarri, passati a 859 unità a fr<strong>on</strong>te dei 118 del1915. Negli stessi anni l’azienda tenta anche di dedicarsi alla produzi<strong>on</strong>e di motori aerei, senza però ottenere risultati soddisfacenti.Al termine del c<strong>on</strong>flitto, la Lancia c<strong>on</strong>solida la propria presenza sul territorio ampliando i reparti produttivi di viaM<strong>on</strong>ginevro che arrivano a occupare una superficie di 60.000 mq, e inaugurando, nel 1919, un nuovo stabilimento (visibileancora oggi), ubicato tra i corsi Racc<strong>on</strong>igi e Peschiera. Tra il 1922 e il 1925 la Lancia, impegnata in una produzi<strong>on</strong>ecaratterizzata da elevati standard qualitativi che nel 1923, c<strong>on</strong> il lancio della Lambda tocca probabilmente il punto più alto,c<strong>on</strong>osce una cospicua crescita degli utili. Una situazi<strong>on</strong>e che, a partire dagli anni Trenta, porta l’azienda ad affiancare allaproduzi<strong>on</strong>e di autovetture, quella di autocarri, autobus urbani e veicoli industriali, come il Pentajota, il Tetrajota e l’Omicr<strong>on</strong>.È in questo periodo che l’azienda adotta come denominazi<strong>on</strong>e per le proprie vetture le lettere dell’alfabeto greco (tendenzache c<strong>on</strong>tinua ancora oggi) per poi sostituirle c<strong>on</strong> nomi di torri dell’antichità classica, come dimostrano l’Aurelia, l’Augusta,l’Aprilia e l’Artena. Nel 1935, lo scoppio della guerra d’Etiopia e il c<strong>on</strong>seguente aumento di richieste di commesse militariportano l’azienda a c<strong>on</strong>centrarsi soprattutto sulla produzi<strong>on</strong>e di autocarri, che ha nel governo italiano uno dei maggioricommittenti. L’anno successivo, su precisa richiesta del regime fascista che intende “favorire l’incremento industriale nelleregi<strong>on</strong>i redente”, l’azienda inaugura un nuovo stabilimento a Bolzano all’interno del quale sorg<strong>on</strong>o i reparti di f<strong>on</strong>deria equelli di produzi<strong>on</strong>e di veicoli industriali.C<strong>on</strong> lo scoppio della sec<strong>on</strong>da guerra m<strong>on</strong>diale, la produzi<strong>on</strong>e bellica c<strong>on</strong>tinua a rappresentare la principale attività dellostabilimento che a partire dal 1942, quando occupa 7.026 dipendenti, inizia a essere vittima dei bombardamenti alleati,che danneggiano pesantemente immobili e macchinari. Nell’immediato dopoguerra, la stagnazi<strong>on</strong>e del mercato dei veicoliindustriali apre un periodo di difficoltà per c<strong>on</strong>trastare il quale n<strong>on</strong> s<strong>on</strong>o sufficienti i primi modelli costruiti in tempo di pace,come l’Ardea, l’Appia e, soprattutto, l’Aurelia, uscita per la prima volta dai cancelli di via M<strong>on</strong>ginevro nel 1950. Nel 1956,nell’ottica di un accorpamento degli uffici aziendali, viene ultimata la produzi<strong>on</strong>e del grattacielo Lancia, una costruzi<strong>on</strong>edi oltre settanta metri di altezza destinata a c<strong>on</strong>notare lo spazio urbano circostante. L’anno precedente Adele Lancia, chedopo la morte del marito Vincenzo rileva la presidenza dell’azienda, cede l’intero assetto azi<strong>on</strong>ario della società al gruppoPesenti, che negli anni seguenti provvede all’ammodernamento delle unità produttive di Torino e Bolzano e alla costruzi<strong>on</strong>edell’imp<strong>on</strong>ente stabilimento di Chivasso. Nel 1968 la Lancia occupa complessivamente 10.182 operai e 1.940 impiegati,distribuiti nei tre complessi di Torino, Chivasso e Bolzano che produc<strong>on</strong>o annualmente 37.065 vetture e 2.432 autoveicoliindustriali. Numeri che n<strong>on</strong> evitano all’azienda un progressivo declino sia nel mercato delle autovetture, sia in quello deiveicoli industriali. Nel 1969 l’azienda è acquisita dalla Fiat che, nell’ottica di una ristrutturazi<strong>on</strong>e aziendale, chiude lo stabilimentodi borgo San Paolo, c<strong>on</strong>centrando l’intera produzi<strong>on</strong>e nella struttura di Chivasso. Due anni più tardi cessa la produzi<strong>on</strong>eanche il complesso di Bolzano, deputato esclusivamente alla produzi<strong>on</strong>e di veicoli industriali. Nel 1993 la Fiat cede laLancia alla Carrozzeria Maggiora, che c<strong>on</strong>tinua la produzi<strong>on</strong>e fino al 2003, anno della definitiva cessazi<strong>on</strong>e delle attività.19


Manifattura TabacchiNella prima metà dell’Ottocento, c<strong>on</strong> le due sedi di via della Zecca (attuale via Verdi) e di corso Regio Parco, la ManifatturaTabacchi, f<strong>on</strong>data nel 1768, è una delle maggiori realtà produttive cittadine. Negli anni immediatamente successivi all’unitàd’Italia, c<strong>on</strong> i suoi 600 dipendenti, 400 d<strong>on</strong>ne e 200 uomini, di cui 350 in via della Zecca e 250 al Regio Parco, è la sec<strong>on</strong>damanifattura italiana. Nel 1869 il numero complessivo di pers<strong>on</strong>ale impiegato nelle due sezi<strong>on</strong>i di Regio Parco e Via dellaZecca raggiunge la ragguardevole quota di 2.140 unità. Nel 1873 i dipendenti s<strong>on</strong>o 2.246 (408 uomini e 1.838 d<strong>on</strong>ne), ma èdue anni più tardi, nel 1875, che la fabbrica raggiunge la punta massima per numero di addetti: 2.500 tra operai e impiegati.L’aumento della produzi<strong>on</strong>e rende necessario unificare gli impianti: nel 1890 i processi produttivi s<strong>on</strong>o trasferiti nel complessodel Regio Parco, mentre quello di via della Zecca cessa ogni attività nel 1895. Dagli inizi del Novecento, nella Manifatturadel Regio Parco si produc<strong>on</strong>o spagnolette (l’attuale sigaretta), trinciati da pipa, estratto di tabacco e, soprattutto,sigari, la cui lavorazi<strong>on</strong>e è affidata alle mani delle sigaraie, che diventano così la figura professi<strong>on</strong>ale più rappresentativa. Idati relativi agli organici testim<strong>on</strong>iano come la prep<strong>on</strong>deranza di manodopera femminile costituisca il tratto distintivo dellafabbrica nel corso della sua intera parabola: 793 d<strong>on</strong>ne su un totale di 946 operai nel 1907, 728 su 1.917 nel 1913, 1.027su 1.993 operai nel 1921, 1.087 su 1.300 nel 1931, 774 su 996 nel 1934 e 1.088 su 1.320 nel 1939. Alla diminuzi<strong>on</strong>e dellaforza lavoro verificatasi negli anni Venti, segue, nella sec<strong>on</strong>da metà degli anni Trenta, una crescita di occupati coincidentec<strong>on</strong> l’aumento della lavorazi<strong>on</strong>e delle sigarette. La produzi<strong>on</strong>e di sigari resta l’attività principale della fabbrica che nel 1946occupa 1.526 lavoratori, di cui 1.141 s<strong>on</strong>o d<strong>on</strong>ne. Una cifra che si riduce negli anni successivi quando inizia una fase dideclino che porta, nel 1960, alla chiusura del reparto del trinciato da pipa e dei sigari, lasciando in funzi<strong>on</strong>e soltanto quelliper la fabbricazi<strong>on</strong>e di sigarette. Esce così dal sistema produttivo la figura della sigaraia, caratterizzante fino ad allora levicende dell’azienda. In fabbrica restano così poche centinaia di dipendenti: 400 negli anni Ottanta e 180 nel 1996, quandosi chiud<strong>on</strong>o i cancelli. Dopo essere stato utilizzato come set cinematografico per alcune produzi<strong>on</strong>i girate a Torino, l’edificioè oggi di proprietà dell’Università di Torino che lo utilizza come ufficio immatricolazi<strong>on</strong>i.Le industrie di San SalvarioNUOVOA partire dalla fine dell’Ottocento San Salvario assume unruolo di primo piano nel processo di industrializzazi<strong>on</strong>e torinese.Alle aziende di piccolo e medio livello, si affiancanole prime industrie, in particolare quelle del settore automobilistico.Tra il 1899 e il primo decennio del Novecento, SanSalvario diventa il quartiere dell’auto: da qui muov<strong>on</strong>o i primipassi i fratelli Ceirano, pi<strong>on</strong>ieri dell’industria italiana dell’automobilee f<strong>on</strong>datori di storici marchi quali Itala, Junior e Scat,e industrie famose come la Lancia e la Fiat. La storia dell’automobile italiana inizia in un cortile di corso Vittorio EmanueleII 9. Qui Giovanni Battista Ceirano f<strong>on</strong>da un’officina per la costruzi<strong>on</strong>e di biciclette. Dieci anni dopo dà vita alla Società AccomanditaCeirano & C. che un anno dopo produce la prima vettura italiana. Un modello a due posti denominato Welleyes,che riscuote notevole successo, tale da avviarne la produzi<strong>on</strong>e in serie. Se ne occuperà la Fabbrica Italiana Automobili,20


costituita nel 1899 da Giovanni Agnelli, alla quale Giovanni Battista Ceirano cede brevetti, progettisti, tecnici e maestranza.Le automobili s<strong>on</strong>o però la grande passi<strong>on</strong>e di Giovanni Battista Ceirano, che nel 1901 torna nei locali di corso Vittorio EmanueleII per f<strong>on</strong>dare c<strong>on</strong> il fratello Matteo la Fratelli Ceirano avviando la produzi<strong>on</strong>e di un centinaio di vetture. L’azienda restain vita fino al 1903. In quest’anno anche Matteo tenta una nuova avventura, costituendo in via Guastalla 5, nel popolareri<strong>on</strong>e di Vanchiglia, la Matteo Ceirano & C. L’anno seguente l’azienda muta denominazi<strong>on</strong>e in Matteo Ceirano & C.- VettureMarca Itala, trasferendo la produzi<strong>on</strong>e in via Petrarca 29/31, all’angolo c<strong>on</strong> via Ormea. Fin dagli albori, l’Itala si dedica allecorse sportive, ottenendo risultati prestigiosi (vittoria della Coppa Fiorio nel 1905 e primo posto alla Pechino – Parigi nel1907) che c<strong>on</strong>tribuisc<strong>on</strong>o ad accrescere il successo del marchio, l’incremento delle vendite e l’aumento della produzi<strong>on</strong>e,che lo stabilimento di via Petrarca n<strong>on</strong> è più in grado di sostenere. Nel 1906 l’azienda si trasferisce in un nuovo complessoin Barriera di Orbassano, dove resta fino al 1935.La famiglia Ceirano lega il proprio nome a quello della Junior, i cui stabilimenti sorg<strong>on</strong>o in corso Massimo D’Azeglio 56.Nata nel 1904 grazie a Giovanni Ceirano, si specializza nella produzi<strong>on</strong>e di automobili affidabili, robuste e semplici da manovrare.I risultati s<strong>on</strong>o immediati, anche se l’azienda ha una breve durata, poichè fallirà nel 1909.L’ultima vicenda alla quale la famiglia Ceirano lega il proprio nome è datata 1906. Il protag<strong>on</strong>ista è ancora una volta Giovanniche f<strong>on</strong>da la Società Ceirano Automobili Torino (SCAT). Lo stabilimento, che ha una capacità produttiva di circa 100vetture annue, sorge all’angolo tra via Madama Cristina 66 e corso Raffaello 17, occupando 150 operai. Nel 1907 la SCATc<strong>on</strong>solida la propria presenza nel territorio di San Salvario, costruendo in corso Massimo d’Azeglio 58, di fr<strong>on</strong>te al parcodel Valentino, il Reparto Carrozzeria, vicino al quale sorg<strong>on</strong>o altri locali destinati alla vendita delle auto. Dal 1910 l’aziendasi dedica alla fabbricazi<strong>on</strong>e di automobili sportive, riportando successi nelle edizi<strong>on</strong>i della Targa Florio, come attestano levittorie del 1911, 1912 e 1914, anno che segna il trasferimento delle lavorazi<strong>on</strong>i nello stabilimento di Barriera di Francia.Un’altra figura di rilievo nelle vicende dell’automobile torinese è rappresentata da Luigi Storero, che nel 1912 f<strong>on</strong>da in viaMadama Cristina 55 la Storero Fabbrica di Automobili. Nel 1913 l’azienda produce i suoi primi modelli di successo: la25/30 Hp, una vettura a quattro cilindri, e la Tipo B, di cilindrata minore. Le lavorazi<strong>on</strong>i c<strong>on</strong>tinuano fino al 1916, anno in cuila fabbrica chiude i battenti.Differente invece appare la parabola tracciata da un’altra grande azienda destinata a scandire in maniera indelebile la storiadella nostra città. L’11 luglio 1899 un gruppo di investitori, tra i quali spicca Giovanni Agnelli, f<strong>on</strong>da la Fabbrica ItalianaAutomobili Torino (FIAT). L’azienda, il cui capitale sociale amm<strong>on</strong>ta a 800.000 lire, n<strong>on</strong> possiede un proprio stabilimentoe inizia l’attività nei locali della fabbrica Ceirano, dai quali uscirà la prima auto: la Fiat Tipo 3 ½ HP. Trascorso qualchemese, la Fiat decide di costruire un proprio stabilimento. Dopo aver acquistato un’area di circa 10.000 metri quadrati tra gliisolati compresi tra le vie Marengo, M<strong>on</strong>ti, Chiabrera e il corso Dante, affida all’ingegner Enrico Marchesi il progetto diedificare la nuova struttura. I lavori terminano in tempi rapidi: il 19 marzo 1900 entrano in funzi<strong>on</strong>e le officine Fiat di corsoDante. Nei primi tre anni di vita aumentano sia la produzi<strong>on</strong>e (da 50 esemplari nel 1900 a 268 nel 1904) sia gli operai, il cuinumero passa dalle 50 unità del 1900 alle 500 del 1904. Il crescente successo porta la Fiat ad ampliare lo stabilimento,che nell’aprile del 1906 occupa una superficie di 50.000 metri quadrati. L’espansi<strong>on</strong>e riguarda anche il complesso di corsoDante, al centro di interventi c<strong>on</strong>tigui eseguiti dagli ingegneri Giuseppe Velati Bellini e Alfredo Premoli, al quale si dev<strong>on</strong>ola progettazi<strong>on</strong>e dell’officina per le riparazi<strong>on</strong>i e della palazzina degli uffici, oggi sede dell’Archivio e <str<strong>on</strong>g>Centro</str<strong>on</strong>g> Storico Fiat.21


Tra il 1907 e il 1911 la Fiat prosegue la sua espansi<strong>on</strong>e, inaugurando uno stabilimento a New York (1909) ed esportandoautovetture in Francia, Austria, Regno Unito e Australia. Nel 1909 la fabbrica impiega 2.500 dipendenti e produce 1.215autovetture all’anno. Si tratta di cifre destinate a crescere, come testim<strong>on</strong>iano i dati relativi al 1911, che ved<strong>on</strong>o aumentarea 5.000 il numero di veicoli prodotti. Il 24 maggio 1915, l’Italia dichiara guerra all’Austria facendo il proprio ingresso nellaprima guerra m<strong>on</strong>diale. Lo scoppio del c<strong>on</strong>flitto coincide per la Fiat c<strong>on</strong> un incremento della produzi<strong>on</strong>e: s<strong>on</strong>o 4.644 gliautomezzi prodotti nello stabilimento di corso Dante, dove nel 1915 lavorano 5.000 dipendenti. L’aumento delle maestranzee dei ritmi lavorativi rende necessaria la costruzi<strong>on</strong>e di una nuova struttura produttiva. L’incarico è affidato all’ingegnerGiacomo Matté Trucco che inizia in via Nizza la costruzi<strong>on</strong>e del Lingotto, la cui inaugurazi<strong>on</strong>e avviene nel 1923. Nella nuovafabbrica s<strong>on</strong>o spostate le lavorazi<strong>on</strong>i svolte nel complesso di corso Dante, che diventa sede della Scuola Centrale AllieviFiat. Nel 2007 la Fiat cede l’edificio a un’impresa immobiliare, che dopo averne restaurato le parti interne, provvede allamessa sul mercato del complesso residenziale.A fare da c<strong>on</strong>torno alla storia industriale del quartiere n<strong>on</strong> vi è il solo comparto automobilistico, le cui aziende a partire dalsec<strong>on</strong>do decennio del Novecento, iniziano a trasferire i propri stabilimenti in altre aree cittadine. A San Salvario nasc<strong>on</strong>o alcunidei marchi destinati a lasciare un segno nella storia industriale torinese: in via Belfiore è f<strong>on</strong>data la Nebiolo, impegnatanella fabbricazi<strong>on</strong>e di macchine utensili, seguita dalla Schiaparelli, azienda farmaceutica i cui uffici si affacciano in viaSant’Anselmo, dalla Fispa, acr<strong>on</strong>imo di Fabbrica Italiana Specialità Parti Auto, c<strong>on</strong> sede in corso Raffaello, specializzatanella produzi<strong>on</strong>e di fari per auto, e dalla Microtecnica che c<strong>on</strong>tinua ancor oggi la sua attività produttiva.Specializzata nella meccanica di precisi<strong>on</strong>e, la Microtecnica nasce nel 1929. Dichiarata fabbrica ausiliaria, nel sec<strong>on</strong>doc<strong>on</strong>flitto m<strong>on</strong>diale impiega una manodopera qualificata che passa dalle 1.200 unità del 1940 alle 3.000 del 1945. Nel periodobellico la fabbrica di via Madama Cristina orienta la produzi<strong>on</strong>e verso commesse militari, specializzandosi nella fabbricazi<strong>on</strong>edi bussole, piloti automatici per aerei, apparati guida per siluri e micrometri. Colpita dai bombardamenti dell’aviazi<strong>on</strong>ealleata, al termine del c<strong>on</strong>flitto riprende l’attività c<strong>on</strong>centrandosi sulla costruzi<strong>on</strong>e di apparecchiature per l’industriacinematografica. Nel 1983 l’azienda è acquistata dal gruppo statunitense Hamilt<strong>on</strong> Sundstrand – United TechnologiesCorporati<strong>on</strong>, che ne detiene la quota di maggioranza fino al 2008, quando la società diventa indipendente. Un passaggiopreceduto nel 2000 dall’assorbimento della Magnaghi di Brugherio, che rafforza la presenza della fabbrica torinese neisettori degli equipaggiamenti idraulici di bordo e dei c<strong>on</strong>trolli di volo primari. Attualmente la società, impegnata in segmentidi produzi<strong>on</strong>e civile e militare, è attiva anche nel campo delle applicazi<strong>on</strong>e aerospaziali, e impiega una manodopera di circa700 dipendenti, dislocati tra lo stabilimento torinese e quello lombardo.22


Le f<strong>on</strong>ti e il loro uso nella ricercaLe f<strong>on</strong>ti per racc<strong>on</strong>tare la storia della città, del lavoro, dello sviluppo industriale tra Ottocento e Novecento, s<strong>on</strong>o plurime ediversificate. Un approccio multidisciplinare, come quello offerto nel percorso <str<strong>on</strong>g>didattico</str<strong>on</strong>g> presentato, permette di avere unosguardo complesso e articolato delle storie che prendiamo in c<strong>on</strong>siderazi<strong>on</strong>e. Nella nostra città abbiamo a disposizi<strong>on</strong>emolti archivi fotografici (istituzi<strong>on</strong>i pubbliche, archivi privati, aziendali) ai quali possiamo attingere, sia per la ricchezza delpatrim<strong>on</strong>io c<strong>on</strong>servato, sia per il bu<strong>on</strong>o stato di c<strong>on</strong>servazi<strong>on</strong>e. Più strumenti di lettura e interpretazi<strong>on</strong>e abbiamo più losguardo può offrire prof<strong>on</strong>dità nuove e talvolta inaspettate.In particolare le f<strong>on</strong>ti visive, fotografiche e filmiche, documentano la complessità e l’ambivalenza dell’evento che vogliamoosservare, anche se talvolta deformano o ampliano il suo significato. La f<strong>on</strong>te fotografica è racc<strong>on</strong>to, narrazi<strong>on</strong>e, rappresentazi<strong>on</strong>e,interpretazi<strong>on</strong>e del reale; la didascalia che talvolta la accompagna può offrire uno sguardo più ampio, così cheil documento assume il valore di f<strong>on</strong>te e di testo, permettendo di leggere il c<strong>on</strong>tenuto, cercare gli indizi, c<strong>on</strong>testualizzarel’evento, interpretare i segni che vuole indicare.L’approccio alla fotografia come f<strong>on</strong>te richiede da parte di chi ne fa uso, allo storico in particolare, una corretta critica dellaf<strong>on</strong>te, riflettendo sull’attendibilità del documento e sulla possibilità di utilizzare quante più immagini si hanno a disposizi<strong>on</strong>e,sulla capacità di c<strong>on</strong>fr<strong>on</strong>tare l’immagine c<strong>on</strong> altre f<strong>on</strong>ti, porre ad essa specifiche domande, studiare i codici di rappresentazi<strong>on</strong>ee autorappresentazi<strong>on</strong>e, e individuare i generi fotografici.Le immagini, sia fisse sia in movimento, ci permett<strong>on</strong>o di stabilire un rapporto tra il racc<strong>on</strong>to della realtà e le tracce cheesse evidenziano. Ci offr<strong>on</strong>o l’opportunità di ric<strong>on</strong>oscere, ric<strong>on</strong>oscerci, dandoci la possibilità di captare la storia individualee collettiva, rappresentand<strong>on</strong>e i segni di mutamento e di c<strong>on</strong>tinuità del passato. Le immagini s<strong>on</strong>o in grado di ricostruire illavoro, lo sviluppo industriale, i luoghi della memoria, le figure di protag<strong>on</strong>isti o semplici lavoratori che insieme, e da puntidi vista differenti, hanno c<strong>on</strong>tribuito a realizzare quella storia. <strong>Storia</strong>, identità, fattualità e rappresentazi<strong>on</strong>e si intrecciano esosteng<strong>on</strong>o c<strong>on</strong> forza una visi<strong>on</strong>e complessa e articolata, suggellando altresì i tempi della città, segnati da piccoli e grandieventi che l’hanno resa, più di altre, capitale del lavoro e dell’innovazi<strong>on</strong>e in molti settori produttivi.Fotografie di fabbriche, di d<strong>on</strong>ne e uomini al lavoro, rare fotografie di interni di opifici, c<strong>on</strong> le macchine, immagini di lavoratoriin posa, fieri e orgogliosi, di distruzi<strong>on</strong>e provocata dalle bombe nel sec<strong>on</strong>do c<strong>on</strong>flitto m<strong>on</strong>diale, di immigrati dal sud,soli o accompagnati dalla famiglia, che arrivano a Torino c<strong>on</strong> “il treno del sole”, n<strong>on</strong> s<strong>on</strong>o che un parte del ricco corpus diimmagini presentate, che attraversano un secolo e più della storia della nostra città.Le immagini cinematografiche, dietro le storie che racc<strong>on</strong>tano, c<strong>on</strong> il trascorrere del tempo si arricchisc<strong>on</strong>o di un valore ditestim<strong>on</strong>ianza per la loro capacità di tramandare, al di là delle differenti chiavi di lettura.Le f<strong>on</strong>ti di memoria, in particolare le testim<strong>on</strong>ianze orali, di cui presentiamo nel nostro percorso ampi stralci, tratti dainterviste o storie di vita raccolte nel corso degli anni a testim<strong>on</strong>i, uomini e d<strong>on</strong>ne di differenti generazi<strong>on</strong>i, appartenenze regi<strong>on</strong>ali,posizi<strong>on</strong>i lavorative, che hanno vissuto a Torino e nei quartieri presi in c<strong>on</strong>siderazi<strong>on</strong>e, fanno emergere un percors<strong>on</strong>arrativo e di memoria suggestivo e pregnante, denso di notizie, ricordi, aneddoti, carichi di capacità affabulativa, capacidi trasmettere alle generazi<strong>on</strong>i storia e memoria di un passato spesso rimasto in ombra. Dobbiamo inoltre ric<strong>on</strong>oscere che23


ormai il dibattito storiografico sull’uso delle f<strong>on</strong>ti orali, anche nel nostro paese, si è assestato essenzialmente su un ric<strong>on</strong>oscimentodi esse come f<strong>on</strong>ti di memoria, di autorappresentazi<strong>on</strong>e e rappresentazi<strong>on</strong>e del passato, tenuto in c<strong>on</strong>siderazi<strong>on</strong>edel costante rapporto c<strong>on</strong> il presente, che ne influenza il ricordo e la capacità di racc<strong>on</strong>tare e rielaborare il passato, acquisendola caratteristica di essere una sorta di “inventario della memoria collettiva di un luogo”. Ogni racc<strong>on</strong>to diventa cosìun tentativo e una ricerca di costruzi<strong>on</strong>e di uno specifico ordine temporale che rispetta una propria gerarchia cr<strong>on</strong>ologica,incrociata strettamente c<strong>on</strong> una gerarchia di rilevanze che ogni individuo stabilisce rispetto alla propria esistenza.Nel nostro caso le f<strong>on</strong>ti orali si rafforzano attraverso la descrizi<strong>on</strong>e e l’utilizzo delle fotografie che abbiamo scelto per racc<strong>on</strong>tareil lavoro, sostenendo il racc<strong>on</strong>to, rafforzand<strong>on</strong>e i c<strong>on</strong>tenuti e le tematiche affr<strong>on</strong>tate, in particolare facendo emergereil forte rapporto fra fabbrica e territorio, i legami di solidarietà e aiuto tra le famiglie, i lavoratori, pur di diverse appartenenzeregi<strong>on</strong>ali, religiose, politiche e ideologiche, segno di una costruzi<strong>on</strong>e di un territorio che si è radicato su un tessutosociale coeso e forte, anche se n<strong>on</strong> privo di c<strong>on</strong>flitti e c<strong>on</strong>trapposizi<strong>on</strong>i, che ne segnano la ricchezza e la complessità.Nelle testim<strong>on</strong>ianze citate, si avrà modo inoltre di cogliere la complessità delle forme linguistiche emerse; le parlate deitestim<strong>on</strong>i anziani in particolare offr<strong>on</strong>o narrazi<strong>on</strong>i in italiano intrecciate da termini, frasi, modi di dire, mutuati dalle provenienzeregi<strong>on</strong>ali di ognuno, pressoché scomparsi, e proprio per questo di notevole interesse per noi oggi.Dalle f<strong>on</strong>ti che presentiamo emerge una storia del lavoro capace di far emergere i percorsi degli uomini e delle d<strong>on</strong>ne chehanno partecipato, ognuno c<strong>on</strong> le proprie competenze al percorso produttivo, diversificato ma forte, di una città come Torino,che può essere a pieno titolo narrata come tra le città italiane che maggiormente hanno c<strong>on</strong>tribuito alla storia industrialedel nostro paese, ieri come oggi.24


Per saperne di più…LA CITTÀMaurizio Gribaudi, M<strong>on</strong>do operaio, mito operaio. Spazi e percorsi sociali a Torino nel primo Novecento, Einaudi, Torino, 1987Daniele Jalla, Stefano Musso, Territorio, fabbrica e cultura operaia a Torino (1900-1940), Regi<strong>on</strong>e Piem<strong>on</strong>te, Torino, 1981Stefano Musso, Sergio Scamuzzi, Torino nel Novecento: la memoria della città industriale. Guida alle f<strong>on</strong>ti per ricerche,mostre, musei, F<strong>on</strong>dazi<strong>on</strong>e Istituto piem<strong>on</strong>tese Ant<strong>on</strong>io Gramsci, Torino, 2006Stefano Musso (a cura di), Torino al lavoro. Dalla ricostruzi<strong>on</strong>e alla sviluppo, Catalogo della mostra, Città di Torino, Torino,2006Fabio Levi, Bruno Maida (a cura di), La città e lo sviluppo: crescita e disordine a Torino, 1945-1970, Franco Angeli, Milano,2002Luciano Boccalatte, Giovanni De Luna, Bruno Maida (a cura di), Torino in guerra 1940-1945. Catalogo della mostra,Gribaudo,Torino, 1995I QUARTIERIBarriera di MilanoAssessorato per la <strong>Cultura</strong> della Città di Torino, La costruzi<strong>on</strong>e della memoria a Barriera di Milano (1900-1950): esperienzeumane e fatti storici, Assessorato per la <strong>Cultura</strong> della Città di Torino, Torino, 1983Giuseppe Beraudo, Angelo Castrovilli, Carmelo Seminara, <strong>Storia</strong> della Barriera di Milano dal 1946, Associazi<strong>on</strong>e culturaleOfficina della memoria, Torino, 2006Angelo Castrovilli, Carmelo Seminara, <strong>Storia</strong> della Barriera di Milano : 1852-1945, Associazi<strong>on</strong>e culturale Officina dellamemoria, Torino, 2004Angelo Castrovilli, Luca Biddau, Cristina Terzolo, Torino z<strong>on</strong>anord: frammenti di storia della circoscrizi<strong>on</strong>e 6, Città di Torino,Circoscrizi<strong>on</strong>e VI, Torino, 2001Città di Torino, Circoscrizi<strong>on</strong>i, Circoscrizi<strong>on</strong>e VI: Regio Parco, Barriera di Milano, Falchera, Città di Torino, Torino, 2000Piero Morini, D<strong>on</strong>atella Scampolini, Carmelo Seminara, Aspetti della storia di Barca Bertolla-Regio Parco-Barriera di Milano,Città di Torino, Circoscrizi<strong>on</strong>e VI, Torino, 1980Borgo San PaoloCittà di Torino, Circoscrizi<strong>on</strong>i, Circoscrizi<strong>on</strong>e III: San Paolo, Pozzo Strada, Cenisia, Cit Turin, Borgata Lesna, Città di Torino,Torino, 2000Federica Calosso, Luisella Ordazzo, Borgo San Paolo: storie di un quartiere operaio, Graphot, Torino, 2009Giovanni Levi, <strong>Cultura</strong> operaia e vita quotidiana in borgo San Paolo, in Giovanni Bertolo (a cura di), Torino tra le due guerre:cultura operaia e vita quotidiana in borgo San Paolo, organizzazi<strong>on</strong>e del c<strong>on</strong>senso e comunicazi<strong>on</strong>i di massa, l’organizzazi<strong>on</strong>edel territorio urbano, le arti decorative e industriali, le arti figurative, la musica e il teatro, Catalogo della mostra, Città di TorinoAssessorato per la <strong>Cultura</strong>, Musei Civici, Torino, 1978)Borgo VittoriaCittà di Torino, Circoscrizi<strong>on</strong>i, Circoscrizi<strong>on</strong>e V: Borgo Vittoria, Lucento, Mad<strong>on</strong>na di Campagna, Città di Torino, Torino, 2000F<strong>on</strong>dazi<strong>on</strong>e Vera Nocentini, Torino che cambia. Dalle Ferriere alla Spina 3: una difficile transizi<strong>on</strong>e, Edizi<strong>on</strong>i Angolo Manz<strong>on</strong>i,Torino, 2009Laboratorio di ricerca storica sulla periferia urbana della z<strong>on</strong>a nord-ovest di Torino (a cura di), Soggetti e problemi di storiadella z<strong>on</strong>a nord-ovest di Torino dal 1890 al 1956, Università degli studi di Torino, Facoltà di scienze della formazi<strong>on</strong>e, Torino,200125


<str<strong>on</strong>g>Centro</str<strong>on</strong>g> di documentazi<strong>on</strong>e storica della Circoscrizi<strong>on</strong>e 5 (a cura di), Il ritorno in fabbrica delle d<strong>on</strong>ne: nascita di BorgoVittoria e Borgata Cer<strong>on</strong>da: 1877-1915. Invito ad un percorso storico nella Circoscrizi<strong>on</strong>e V, <str<strong>on</strong>g>Centro</str<strong>on</strong>g> di documentazi<strong>on</strong>e dellacircoscrizi<strong>on</strong>e V, Torino, 2001Regio ParcoLuca Angeli, Angelo Castrovilli, Carmelo Seminara, La Manifattura Tabacchi e il suo borgo, 1860-1945, Città di Torino,Associazi<strong>on</strong>e culturale Officina della memoria, Torino, 1999Angelo Castrovilli, Luca Biddau, Cristina Terzolo, Torino z<strong>on</strong>anord : frammenti di storia della circoscrizi<strong>on</strong>e 6, Città di Torino,Circoscrizi<strong>on</strong>e VI, Torino, 2001Città di Torino, Circoscrizi<strong>on</strong>i, Circoscrizi<strong>on</strong>e VI: Regio Parco, Barriera di Milano, Falchera, Città di Torino, Torino, 2000Piero Morini, D<strong>on</strong>atella Scampolini, Carmelo Seminara, Aspetti della storia di Barca Bertolla-Regio Parco-Barriera di Milano,Città di Torino, Circoscrizi<strong>on</strong>e VI, Torino, 1980Carmelo Seminara (a cura di), 25 luglio 1943-25 aprile 1945, Regio Parco e Barca, due borghi nella Resistenza, La GraficaNuova, Torino, 1987San SalvarioMario Bianco, Massimo Scagli<strong>on</strong>e, San Salvario, Graphot, Torino, 2011Città di Torino, Circoscrizi<strong>on</strong>e 8: San Salvario, Lavoretto, Borgo Po, Città di Torino, Torino, 2001Enza Cavallero, San Salvario: un quartiere di Torino sorto a cavallo dell’unita d’Italia, ma già proiettato verso una modernaec<strong>on</strong>omia liberale, Tipolitografia Noire, Torino, 2001LE FABBRICHEFiat Grandi MotoriFiat, FIAT Grandi Motori, FIAT, Torino, 1963Archivio Storico Fiat, Fiat: le fasi della crescita. Tempi e cifre dello sviluppo aziendale, Scriptorium, Torino, 1996Fiat, I Cinquant’anni della Fiat: 1899-1949, M<strong>on</strong>dadori, Milano, 1950Liliana Lanzardo, Sindacalismo e politica alla Grandi Motori di Torino (1936-1954), in Movimento operaio e socialista, 1990,n. 1-2.Liliana Lanzardo, Grandi Motori: da Torino a Trieste culture industriali a c<strong>on</strong>fr<strong>on</strong>to, 1966-1999, Franco Angeli, Milano, 2000Elio Vitt<strong>on</strong>etto, Torino, forme e colori: Grandi Motori Fiat e Manifattura Tabacchi, Elede, Torino, 2003Snia ViscosaUffici Stampa Snia Viscosa, Mezzo secolo di Snia Viscosa, Milano, Pan editrice, 1970Uffici stampa e propaganda Snia Viscosa, Snia Viscosa, Milano, Bertieri, 1958Marcella Spad<strong>on</strong>i, Il gruppo SNIA dal 1917 al 1951, Giappichelli, Torino, 2003LanciaFranco Amatori, <strong>Storia</strong> della Lancia: impresa, tecnologie, mercati, 1906-1969, Fabbri, Milano, 1992Archivio Storico Fiat, Le carte scoperte: documenti raccolti e ordinati per un archivio della Lancia, Franco Angeli, Milano,1990Servizio stampa Lancia, <strong>Storia</strong> della Lancia dal 1906, Torino, Zappegno, 1974Carlo Ossola (a cura di), Scritture di fabbrica: dal vocabolario alla società: documenti inediti dagli archivi: Alfa Romeo, Fiat,Istituto piem<strong>on</strong>tese Ant<strong>on</strong>io Gramsci, Lancia, Vera Nocentini, Massimo Olivetti, Scriptorium, Torino, 199426


Società Nazi<strong>on</strong>ale Officine di SaviglianoGianni Alasia, Chi e che cos’erano i c<strong>on</strong>sigli di gesti<strong>on</strong>e? La SNOS di Torino e Savigliano: una c<strong>on</strong>creta esperienza di fabbrica(1949-1952), Fim, Fiom, Uilm, Città di Savigliano, Savigliano, 2006Enrico Miletto, Società Nazi<strong>on</strong>ale Officine di Savigliano, in F<strong>on</strong>dazi<strong>on</strong>e Vera Nocentini (a cura di), Uomini in guerra, d<strong>on</strong>ne allavoro. Immagini fotografiche di d<strong>on</strong>ne al lavoro nelle fabbriche della Società Nazi<strong>on</strong>ale Officine di Savigliano durante la guerra,Catalogo della Mostra, Provincia di Torino, Torino, 2010Società Nazi<strong>on</strong>ale delle Officine di Savigliano, Officine in Savigliano e Torino: 1911, S.T.E.N., Torino, 1911Lidia Arena, Michele Sisto, L’Archivio della Società Nazi<strong>on</strong>ale delle Officine di Savigliano: un s<strong>on</strong>daggio, in <str<strong>on</strong>g>Centro</str<strong>on</strong>g> Ricerche StoricaCircoscrizi<strong>on</strong>e V, Quaderni del CDS, Città di Torino, a. 3, n.5, 2004SupergaEnrico Miletto, Di tela e di gomma: la Superga di Torino. D<strong>on</strong>ne, uomini, quartiere, in F<strong>on</strong>dazi<strong>on</strong>e Vera Nocentini, Torino checambia. Dalle Ferriere alla Spina 3: una difficile transizi<strong>on</strong>e, Edizi<strong>on</strong>i Angolo Manz<strong>on</strong>i, Torino, 2009Pietro Balla, Enrico Miletto, L’odore della gomma, Italia, 2005, DvCam, 32’, ColoreManifattura TabacchiLuca Angeli, Angelo Castrovilli, Carmelo Seminara, La Manifattura Tabacchi e il suo borgo, 1860-1945, Città di Torino, Associazi<strong>on</strong>eculturale Officina della memoria, Torino, 1999Elisabetta Benenati, Maria Carla Lamberti (a cura di), Impresa e lavoro in un’industria di Stato: la Manifattura Tabacchitra Ottocento e Novecento, Trauben, Torino, 1999Saverio Colella, Mauro Guglielminotti, Stefano Roggero, La manifattura tabacchi di Torino, Lai Momo, Torino, 1997Elio Vitt<strong>on</strong>etto, Torino, forme e colori: Grandi Motori Fiat e Manifattura Tabacchi, Elede, Torino, 2003Enrico Miletto, C<strong>on</strong> il mare negli occhi. <strong>Storia</strong>, luoghi e memorie dell’esodo istriano a Torino, Franco Angeli, Milano, 2005MicrotecnicaEzio Bechis, Un caso di ristrutturazi<strong>on</strong>e aziendale: Microtecnica Torino, <str<strong>on</strong>g>Centro</str<strong>on</strong>g> Stampa CGIL, Torino, 1993Pierandrea Servetti, Torino tra guerra e Resistenza: 1940-1945 : c<strong>on</strong> riferimenti alla Circoscrizi<strong>on</strong>e San Salvario-Cavoretto-BorgoPo, Circoscrizi<strong>on</strong>e VIII, Torino, 1997AutomobiliD<strong>on</strong>atella Biffignandi, Itala: splendore e declino di una marca italiana di automobili che poteva essere «l’altra Fiat», Stampa,Torino, 2006Ant<strong>on</strong>io Carella, I fratelli Ceirano, Registro Fiat Italiano, Torino. 1990Valerio Castr<strong>on</strong>ovo, Fiat 1899-1999: un secolo di storia italiana, Rizzoli, Milano. 1999Valerio Castr<strong>on</strong>ovo, Giovanni Agnelli: la Fiat dal 1899 al 1945, Einaudi, Torino. 1977Archivio Storico Fiat, Fiat: le fasi della crescita. Tempi e cifre dello sviluppo aziendale, Sciptorium, Torino. 1996SITOGRAFIAwww.istoreto.it/to38-45_industria/index.htmTorino 1938-1945: la città delle fabbriche, Istoreto, Torino, 2002www.museotorino.itMuseo Torinowww.storiandustria.it<str<strong>on</strong>g>Centro</str<strong>on</strong>g> <strong>on</strong> <strong>line</strong> <strong>Storia</strong> e <strong>Cultura</strong> dell’Industria27


LE FONTIAAVV, Introduzi<strong>on</strong>e alla storia c<strong>on</strong>temporanea, in part. Peppino Ortoleva, La fotografia, Luisa Passerini, Le testim<strong>on</strong>ianze orali,La Nuova Italia, Firenze, 1984Gabriele D’Autilia, L’indizio e la prova. La storia nella fotografia, La Nuova Italia, Firenze, 2001Giovanni De Luna, La passi<strong>on</strong>e e la ragi<strong>on</strong>e. F<strong>on</strong>ti e metodi dello storico c<strong>on</strong>temporaneo, La Nuova Italia, Firenze 2001, enuova ediz. Bruno M<strong>on</strong>dadori, Milano, 2004Marcella Filippa, L’attimo catturato: immagini per una storia sociale, in AAVV, 1944-1956. Le relazi<strong>on</strong>i industriali alla Fiat. Saggicritici e note storiche, Fabbri Editori, Milano, 1992Marcella Filippa, La ricerca e l’uso delle f<strong>on</strong>ti orali, in David Forgacs - Stephen Gundle, <strong>Cultura</strong> di massa e società italiana.1936-1954, il Mulino, Bologna, 2007Marcella Filippa, Fot<strong>on</strong>arranti. Il sindacato e il lavoro attraverso le fotografie, (in corso di pubblic.), Edizi<strong>on</strong>i Lavoro, Roma,2011Susan S<strong>on</strong>tag, Sulla fotografia. Realtà e immagine nella nostra società, Einaudi, Torino, 197828

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!