I materiali da costruzione di Pompei - Vesuvioweb
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I I <strong>materiali</strong> <strong>materiali</strong> <strong>materiali</strong> <strong>da</strong> <strong>da</strong> <strong>costruzione</strong> <strong>costruzione</strong> <strong>di</strong> <strong>di</strong> <strong>Pompei</strong>:<br />
<strong>Pompei</strong>:<br />
provenienza, provenienza, estrazione,<br />
estrazione,<br />
tecniche tecniche e<strong>di</strong>lizie<br />
e<strong>di</strong>lizie<br />
Di Monica Giuliano<br />
2010<br />
Nona parte<br />
www.vesuvioweb.com
Università degli Stu<strong>di</strong><br />
Suor Orsola Benincasa<br />
Napoli<br />
FACOLTA' DI LETTERE<br />
CORSO DI LAUREA<br />
IN<br />
CONSERVAZIONE DEI BENI CULTURALI<br />
TESI DI LAUREA<br />
in<br />
Metodologia e tecnica della ricerca archeologica<br />
I <strong>materiali</strong> <strong>da</strong> <strong>costruzione</strong> <strong>di</strong> <strong>Pompei</strong>:<br />
provenienza, estrazione, tecniche e<strong>di</strong>lizie<br />
Relatore Prof. Antonio De Simone<br />
Can<strong>di</strong><strong>da</strong>to Monica Giuliano<br />
Correlatore Prof. Giolj Gui<strong>di</strong><br />
Matricola 002000836<br />
Anno Accademico 2009- 2010<br />
2
3. LE TECNICHE EDILIZIE<br />
3.1. INTRODUZIONE<br />
Nell’articolo del Lugli del 1959 <strong>da</strong>l titolo Opus Incertum,156 nei Ren<strong>di</strong>conti<br />
dell’Accademia Nazionale dei Lincei, in risposta alle critiche del<br />
Lamboglia riguar<strong>da</strong>nti il suo volume La Tecnica E<strong>di</strong>lizia Romana, espresse<br />
sulla “Rivista <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong> Liguri” del 1958 nell‟articolo intitolato Opus Certum,157<br />
in cui il Lamboglia allude a “quegli elementi intrinseci, spesse volte<br />
matematici ed infallibili, che nascono <strong>da</strong>l contatto fra il monumento ed il<br />
terreno e che derivano <strong>da</strong>l riconoscimento attento della stratigrafia”, il Lugli<br />
mostra come cosa del tutto “elementare che la ceramica, le monete ed<br />
ogni altro elemento che presenti una <strong>da</strong>tazione sicura, rinvenuto negli strati<br />
sottostanti le fon<strong>da</strong>zioni -e mai rimossi- <strong>di</strong> un e<strong>di</strong>ficio offrano un terminus<br />
post quem per la <strong>da</strong>tazione dell‟e<strong>di</strong>ficio stesso”. Il Lugli sottolinea, inoltre,<br />
quanto sia <strong>di</strong>fficile per una mole enorme <strong>di</strong> monumenti, scavati<br />
“scientificamente” e completamente, tirare delle conclusioni <strong>da</strong> inserire in<br />
un manuale <strong>di</strong> carattere generale, pur esistendo, per quelli romani in particolare,<br />
una cospicua letteratura (passi <strong>di</strong> autori o epigrafi); per cui l‟unico<br />
in<strong>di</strong>zio che può <strong>di</strong>rci qualcosa è la loro struttura e tecnica muraria. E continua<br />
<strong>di</strong>cendo: “E allora i casi sono due: o stu<strong>di</strong>are questa struttura e questa<br />
tecnica col metodo comparativo, partendo <strong>da</strong>gli e<strong>di</strong>fici in qualche modo <strong>da</strong>tati<br />
(e qui entra anche la loro stratigrafia) per arrivare a quelli interamente<br />
anonimi; oppure abbandonare qualunque stu<strong>di</strong>o topografico che non sia<br />
accompagnato <strong>da</strong> uno scavo in profon<strong>di</strong>tà, e cambiare mestiere”.<br />
È sulla base <strong>di</strong> queste considerazioni che nasce La Tecnica E<strong>di</strong>lizia Romana,<br />
con lo scopo precipuo <strong>di</strong> “stabilire alcuni criteri cronologici - base<br />
che servano <strong>da</strong> gui<strong>da</strong> a tutti coloro che si accingono ad esplorazioni archeologiche<br />
<strong>di</strong> territori poco noti (…)”. Alle spalle del Lugli c’è un‟ampia letteratura,<br />
il Nibby (1838) e la Blake (1947), il Maiuri (1942), il Mau (1899)<br />
e il Carrington (1936) per <strong>Pompei</strong>, il Durm (1910) e lo<br />
156 LUGLI 1959, pp. 321-330.<br />
157 LAMBOGLIA 1958.<br />
3
Choisy (1873), per citarne solo alcuni, ed è <strong>da</strong> questi ultimi due, in particolare,<br />
<strong>da</strong> cui lo stesso Lugli prende le <strong>di</strong>stanze perché analizzarono i problemi<br />
legati all‟e<strong>di</strong>lizia romana più <strong>da</strong>l punto <strong>di</strong> vista della tecnica in rapporto<br />
alla statica, che non in rapporto alla cronologia.158<br />
Nel presente lavoro, pur tenendo conto dell‟opera del Lugli e della letteratura<br />
sull‟argomento, verranno analizzate le tecniche e<strong>di</strong>lizie attendendosi<br />
alla più recente sintesi <strong>di</strong> A<strong>da</strong>m, L‟arte <strong>di</strong> costruire presso i Romani (2003),<br />
sicuramente più vicina al Durm e allo Choisy, prescindendo <strong>da</strong> rigide griglie<br />
cronologiche che finiscono per imprigionare <strong>materiali</strong> e tecniche in uno statico<br />
schematismo.<br />
3.2. TERMINOLOGIA DEGLI ANTICHI SISTEMI<br />
COSTRUTTIVI159<br />
Presso gli archeologi è invalso l‟uso <strong>di</strong> chiamare le murature antiche con<br />
la parola opus, seguita <strong>da</strong>gli aggettivi: quadratum, reticulatum, incertum,<br />
latericium o testaceum, mixtum etc.<br />
Vitruvio è naturalmente la fonte primaria alla quale bisogna attingere<br />
quando si tratta <strong>di</strong> architettura, anche se la sua opera si arresta all‟età <strong>di</strong> Augusto<br />
e risulta notevolmente più vecchia dell‟età in cui fu scritta o almeno<br />
pubblicata. Più volte egli parla nei primi due libri dei mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> costruire al<br />
suo tempo in Italia e particolarmente a Roma (De Arch. I, 5, 8): “De ipso<br />
autem muro e qua materia struatur aut perficiatur, ideo non est praefiniendum<br />
quod in omnibus locis quas optamus copias, eas non possumus habere.<br />
Sed ubi sunt saxa quadrata sive silex seu caementum aut coctus later sive<br />
crudus, his erit utendum”.160<br />
In questo brano Vitruvio passa in rassegna tutti i sistemi <strong>di</strong> murature in uso<br />
verso la fine della repubblica, e osserva che essi erano scelti in base alla<br />
materia che si trovava sul posto: comincia con i saxa quadrata, il sistema<br />
preferito fino all’età <strong>di</strong> Augusto, <strong>da</strong>ndoci non il nome della materia, ma il<br />
modo con cui essa veniva tagliata, cioè la pietra squadrata a regola d‟arte,<br />
come il tufo vulcanico, che ben si prestava al taglio isodomo e alla collocazione<br />
a piani orizzontali paralleli. Il tufo (semilitoide o litoide) è<br />
158 LUGLI 1959, p. 17.<br />
159 A cura <strong>di</strong> LUGLI 1957, pag. 40-49.<br />
160 VITRUVIO, De Arch., I, 5, 8.<br />
4
detto <strong>da</strong> Vitruvio (cfr. II, 7) lapis o semplicemente saxum, che si può tradurre<br />
con “pietra <strong>da</strong> taglio”,161 oppure “pietra a<strong>da</strong>tta a essere squadrata” (saxum<br />
quadratum) e perciò in contrapposizione con silex che significa “pietra dura”<br />
e che comprende tanto la lava basaltica <strong>di</strong> natura vulcanica, quanto la<br />
roccia calcarea e il travertino162 <strong>di</strong> natura se<strong>di</strong>mentaria. Il silex è appunto il<br />
secondo modo <strong>di</strong> costruire in<strong>di</strong>cato <strong>da</strong> Vitruvio, altrimenti detto lapis durus.<br />
Adoperato particolarmente nei paesi a fondo roccioso, è il sistema comunemente<br />
chiamato ciclopico, pelasgico o poligonale sul quale Vitruvio non si<br />
sofferma perché quasi del tutto abbandonato al suo tempo per gli e<strong>di</strong>fici urbani,<br />
ma ancora usato in campagna, nei terrazzamenti agricoli, nei basamenti<br />
<strong>di</strong> ville, nei ponti, nelle sostruzioni <strong>di</strong> strade e in qualche caso spora<strong>di</strong>co<br />
nelle mura <strong>di</strong> città provinciali (Ampurias).<br />
Per finire, con la parola silex gli antichi intendevano designare la muratura<br />
fatta integralmente <strong>di</strong> pietra dura a gran<strong>di</strong> blocchi, <strong>di</strong>fformi per volume<br />
e per taglio, l‟opera poligonale detta appunto opus siliceum.<br />
Dopo le opere quadrata e poligonale, Vitruvio parla <strong>di</strong> caementum. Altrove<br />
più ampiamente lo chiama caementicium saxum (II, 8, 16), oppure structura<br />
caementorum (V, 5, 7), o semplicemente caementorum ae<strong>di</strong>ficia (II, 7,<br />
I).<br />
È il sistema <strong>di</strong> costruire mescolando frammenti <strong>di</strong> pietra – generalmente<br />
il tufo – <strong>di</strong> varia grandezza (coagmenta) insieme con malta in modo <strong>da</strong> formare<br />
un nucleo compatto e solido. Vitruvio non dà molta importanza alla<br />
maniera in cui il muro si presentava in facciata e solo in un luogo (II, 8, I)<br />
parla <strong>di</strong> opus incertum e <strong>di</strong> opus reticulatum, i due mo<strong>di</strong> usati per rifinire e<br />
pareggiare i muri cementizi all‟esterno.<br />
Mentre l‟opus reticulatum è <strong>di</strong> ovvio riconoscimento, l‟opus incertum<br />
appare in facciata costituito <strong>da</strong> piccoli blocchi poliedrici con i lati più o meno<br />
regolari e talvolta<br />
161 Lapi<strong>di</strong>cinae o lapici<strong>di</strong>nae (<strong>da</strong> lapis e caedo) sono dette le cave <strong>da</strong>lle quali viene estratto il materiale.<br />
162 Che Vitruvio inten<strong>da</strong> per silex anche il calcare e il travertino si ricava <strong>da</strong>l passo II, 5, I, dove <strong>di</strong>stingue<br />
due generi <strong>di</strong> saxa <strong>da</strong>i quali ricavare la calce me<strong>di</strong>ante cottura; quello bianco, più compatto e più duro,<br />
detto cristallino o più comunemente calcare, preferito per l‟interno dei muri, e quello fornito <strong>di</strong> profonde<br />
cavità e più poroso, <strong>di</strong> origine se<strong>di</strong>mentaria, detto zoogenico o alocalcare, come il travertino, preferito per<br />
gli intonaci. Al suo tempo sembra non fosse ancora in uso, per la malta <strong>da</strong> rivestimento, la calce ottenuta<br />
<strong>da</strong>lla macinazione del marmo bianco statuario, che era la migliore. Questa denominazione è corroborata <strong>da</strong><br />
due versi <strong>di</strong> Ovi<strong>di</strong>o nelle Metamorfosi (VII, 107 sg.), dove i silices polverizzati nella fornace non possono<br />
essere altro che le pietre calcaree e <strong>da</strong> Plinio (Nat. Hist., XXXVI, 171). Il nome silex è usato spesso anche<br />
per la pavimentazione delle strade.<br />
5
solo con la superficie esterna levigata (nella <strong>Pompei</strong> della c.d. età Sannitica<br />
le tabernae in opus caementicium avevano il rivestimento in opus incertum<br />
lasciato grezzo).<br />
Vengono infine le due murature laterizie, quella <strong>di</strong> mattoni seccati al sole<br />
(later crudus) e quella <strong>di</strong> mattoni cotti in fornace come le tegole (later coctus),<br />
ambedue abbastanza frequenti nell’età fra Cesare ed Augusto.<br />
In un secondo passo, Vitruvio (II, 8, 16) classifica in quattro le maniere<br />
principali <strong>di</strong> costruire: “Cum ergo tam magna potentia reges non contempserint<br />
latericiorum parietum structuras, quibus et vectigalibus et pre<strong>da</strong> saepius<br />
licitum fuerat non modo caementicio aut quadrato saxo sed etiam<br />
marmoreo habere, non puto oportere inprobare quae sunt e latericia structura<br />
facta ae<strong>di</strong>ficia, dum modo recte sint tecta”.163<br />
Le quattro maniere <strong>di</strong> costruire le pareti sono dunque: struttura laterizia,<br />
struttura cementizia, tutta pietra tufacea, tutto marmo. Quantunque le ultime<br />
tre fossero assai più nobili della prima, tuttavia questa non doveva essere<br />
<strong>di</strong>sprezzata, tanto che “perfino i re la usarono”. Delle maniere precedenti<br />
manca solo il silex; il later coctus rientra probabilmente nella structura latericia,<br />
quantunque Vitruvio per lateres inten<strong>da</strong> prevalentemente i mattoni<br />
cru<strong>di</strong>. Il dubbio viene eliminato leggendo il paragrafo 17 dello stesso capitolo,<br />
dove Vitruvio conclude: “Itaque pilis lapideis structuris testaceis parietibus<br />
caementiciis altitu<strong>di</strong>nes exstructae contignationibus crebris coaxatae<br />
coenaculorum ad summas utilitates perficiunt despectationes”.164 Testa<br />
è infatti il mattone cotto in fornace o meglio la tegola <strong>da</strong> tetto che veniva<br />
usata in frammenti spezzati anche in paramento (lorica testacea).<br />
Nel passo ora citato, Vitruvio vuol <strong>di</strong>mostrare che, nonostante la ristrettezza<br />
delle aree, Roma aveva delle ottime case, le quali si estendevano prevalentemente<br />
in altezza, essendo costituite <strong>da</strong> robusti muri maestri formati<br />
in tre mo<strong>di</strong>: <strong>da</strong> pilae lapi<strong>da</strong>e, cioè <strong>da</strong> pilastri <strong>di</strong> blocchi <strong>di</strong> pietra squadrata;<br />
<strong>da</strong> pareti fatte <strong>di</strong> mattoni cotti o cru<strong>di</strong>; e <strong>da</strong> pareti <strong>di</strong> opera cementizia, rivestita,<br />
nella maggior parte dei casi, con blocchetti poligonali (opera incerta) o<br />
con tessere pirami<strong>da</strong>li tronche (opera reticolata).<br />
163 VITRUVIO, De Arch., II, 8, 16.<br />
164 VITRUVIO, De Arch., II, 8, 17.<br />
6
Vitruvio (II, 8, 17) ci informa inoltre che a Roma i lateres (cru<strong>di</strong>) erano<br />
poco usati, perché richiedevano muri <strong>di</strong> un considerevole spessore (46-60<br />
cm), cosa non possibile a causa dello spazio assai limitato, fu per questo che<br />
le case civiche venivano costruite con la tecnica dell’opus craticium che era<br />
però assai fragile e soggetta a crolli.<br />
I pavimenti dei vari piani erano fatti in legno (contignationes) e le pareti<br />
<strong>di</strong>visorie delle varie stanze, fra i muri maestri, erano costruite in opus craticium<br />
(Vitr., II, 8, 20), cioè a traliccio ligneo col riempimento degli spazi<br />
vuoti eseguito me<strong>di</strong>ante creta e sassi: tale sistema è detto <strong>da</strong> Vitruvio anche<br />
opus intestinum, in quanto il legno aveva la parte principale ed era molto<br />
usato per le cornici, per i tramezzi, per le transenne, oltre che per le porte e<br />
per gli infissi. Si ricor<strong>di</strong>no la “Casa del tramezzo <strong>di</strong> legno” <strong>di</strong> Ercolano.165<br />
Per preservare i muri craticii <strong>da</strong>llo sgretolamento si rivestivano con una<br />
miscela <strong>di</strong> calce e arena (opus tectorium), in 3 o 4 strati sovrapposti, sempre<br />
più sottili e flui<strong>di</strong>: l‟ultimo strato, più fine e <strong>di</strong> colore bianco, si chiamava<br />
opus albarium ed era formato <strong>da</strong> calce e gesso. Nei locali che contenevano<br />
acqua (cisterne) o soggetti all‟umi<strong>di</strong>tà (terrazze), i pavimenti e le pareti si<br />
ricoprivano con uno spesso strato <strong>di</strong> frammenti <strong>di</strong> coccio e malta, ben battuto<br />
e compatto, detto opus signinum, o anche opus figlinum, perché fatto con<br />
pezzi <strong>di</strong> tegole, coppi, olle, vasi, ecc., materiale fabbricato nelle figlinae laterizie.<br />
Una speciale forma <strong>di</strong> opus figlinum consisteva nel ricoprire i pavimenti<br />
dei cortili e delle terrazze scoperte con mattoncini rettangolari posti<br />
per taglio, con <strong>di</strong>segno a spina <strong>di</strong> pesce o a spiga, detto perciò opus spicatum.<br />
In un terzo passo Vitruvio (VI, 8, 9) precisa i mo<strong>di</strong> con cui si costruivano<br />
le case private: “Quibus autem copiarum generibus oporteat uti, non est architecti<br />
potestas, ideo quod non in omnibus locis omnia genera copiarum<br />
nascuntur, ut in primo volumine est expositum. Praeterea in domini est potestate<br />
utrum latericio an caementicio an saxo quadrato velit e<strong>di</strong>ficare”.166<br />
Già si è detto che per genus latericium Vitruvio intende prevalentemente la<br />
muratura <strong>di</strong> mattoni <strong>di</strong>sseccati al sole con un coronamento <strong>di</strong> tegole (lorica<br />
testacea), sporgenti a guisa <strong>di</strong> cornice (proiectura coronarum); questo sistema,<br />
nonostante i suoi<br />
165 GUIDOBALDI 2006, pp. 199 sgg.<br />
166 VITRUVIO, De Arch., VI, 8, 9.<br />
7
<strong>di</strong>fetti, era ancora usato a Roma verso la fine della repubblica e Vitruvio lo<br />
<strong>di</strong>ce ottimo se bene protetto <strong>da</strong>lle intemperie; seguono poi l‟opera cementizia<br />
e la quadrata, ormai note. Manca l‟opera poligonale perché non più adoperata<br />
nelle fabbriche urbane.<br />
Infine, descrivendo i teatri, lo stesso Vitruvio (V, 5, 7) ci informa, a proposito<br />
della loro acustica, che i più sonori erano quelli fatti <strong>di</strong> legno, dei<br />
quali se ne e<strong>di</strong>ficavano molti ogni anno a Roma e assai meno quelli fatti ex<br />
structura caementorum, lapide, marmore, quae sonare non possunt. A causa<br />
della mole <strong>di</strong> tali e<strong>di</strong>fici e del peso che dovevano sostenere, viene esclusa la<br />
muratura laterizia nel genere detto sopra, e vengono invece usati il cemento,<br />
la pietra e il marmo; in quest‟ultimo caso Vitruvio allude chiaramente alla<br />
Grecia, essendo l‟arte <strong>di</strong> e<strong>di</strong>ficare il marmo in Italia, prima dell‟impero <strong>di</strong><br />
Augusto, appena all‟inizio.<br />
Sui mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> costruire durante l‟impero ci informa un epigramma <strong>di</strong> Marziale<br />
(Epigr., IX, 75):<br />
“Non silice duro, structilive caemento,<br />
nec latere cocto, quo Samiramis longam<br />
Babylonia cinxit, Tucca balneum fecit;<br />
sed strage nemorum pineaque conpage…”<br />
Dunque, sotto la <strong>di</strong>nastia dei Flavi si usava ancora costruire a gran<strong>di</strong><br />
blocchi <strong>di</strong> pietra dura, cioè selce, calcare e travertino in particolare, con<br />
blocchi squadrati a regola d‟arte; inoltre, in opera cementizia con i vari paramenti<br />
rocciosi; in opera laterizia con mattoni cotti che avevano ormai<br />
completamente sostituito i cru<strong>di</strong>; e infine in legno, con il quale si facevano<br />
persino i bagni.<br />
Bisogna a questo punto fare alcune riflessioni sul valore che Vitruvio dà<br />
alle parole opus e structura, le quali si incontrano in ogni passo della sua<br />
Architectura.<br />
Opus viene accoppiato <strong>di</strong> preferenza con signinum (VIII, 6, 14), figlinum<br />
(V, 10, 3), intestinum (V, 2, 2; II, 9, 17; IV, 4, I; VI, 3, 9; VI, 7, 3),167 albarium<br />
(V, 2, 2; VII, 2, 1-2), tectorium (II, 8, 20)168 e craticium (II, 8, 9).<br />
Structura si trova con testacea (II, 7, 5; V, 5, 7), latericia (II, 8, 16-18), spicata<br />
(VIII, I, 4),169 reticulata (V, 8, I) e antiqua o<br />
167 Cfr. PLINIO, Nat. Hist., XVI, 225 e VARRONE, De re rust., III, I, 10.<br />
168 Cfr. PLINIO, Nat. Hist., XXXVI, 176-177, 183.<br />
169 Cfr. PLINIO, Nat. Hist., XXXVI, 187: similiter fiunt spicata testacea.<br />
8
incerta (ibid.) . Queste ultime due sono, secondo Vitruvio, le structurae per<br />
eccellenza, collegate con l‟opera cementizia.<br />
Opus è in generale un lavoro complesso e designa un muro tanto nel suo<br />
nucleo interno quanto nel suo paramento esterno, oppure, come nei casi <strong>di</strong><br />
signinum, figlinum, albarium, la manipolazione <strong>di</strong> alcuni <strong>materiali</strong> che servivano<br />
per copertura o per rivestimento, o anche una muratura mista <strong>di</strong> legno,<br />
creta e sassi, come nei tramezzi a graticcio e nelle pareti <strong>di</strong>visorie<br />
(opus craticium o muri craticii).<br />
Structura rappresenta invece il nucleo interno del muro e il modo in cui<br />
esso è collegato con il suo paramento esterno, il quale può essere fatto della<br />
stessa materia, come nelle structurae latericia e testacea, oppure in altra<br />
materia, come nella structura caementicia, la quale era rivestita all‟esterno<br />
con cubilia in forma <strong>di</strong> pirami<strong>di</strong> tronche (reticulatum), oppure con caementa,<br />
blocchetti informi <strong>di</strong> pietra (antiquum o incertum); ambedue i sistemi erano<br />
considerati al tempo <strong>di</strong> Vitruvio <strong>di</strong> scarsa resistenza e <strong>di</strong> breve durata<br />
(circa ottanta anni). In tali casi il nome <strong>di</strong> structura passa <strong>da</strong>ll‟amalgama<br />
del nucleo interno, che i Greci chiamavano έµπλεκτον, al paramento esterno.<br />
La parola opus si trova in prevalenza nelle iscrizioni170 per qualunque<br />
modo <strong>di</strong> costruire, il che mostra che era preferita nel linguaggio comune e<br />
artigiano, in luogo della parola structura, <strong>di</strong> carattere piuttosto dotto.<br />
In considerazione degli antichi testi sopra citati, i vari sistemi costruttivi<br />
si possono designare con i nomi seguenti:<br />
Silex o lapis durus = muratura poligonale.<br />
Saxum quadratum = muratura quadrata.<br />
Structura caementicia = muratura a sacco <strong>di</strong> malta e sassi.<br />
Structura antiqua o incerta = paramento <strong>di</strong> piccoli sassi sfaccettati.<br />
Structura reticulata = paramento in reticolato regolare.<br />
Later crudus = muratura <strong>di</strong> mattoni seccati al sole.<br />
Later coctus<br />
Opus doliare = paramento <strong>di</strong> mattoni o tegole cotti in fornace.<br />
Structura testacea<br />
170 Cfr. Corpus Inscr. Lat., VIII, 9026-27, 9109, 20745, 20743=Dessau, 3801, 8096, 5460, 4431.<br />
9
Per uniformare la nomenclatura antica e facilitare l’identificazione dei<br />
vari sistemi costruttivi nelle moderne descrizioni, l‟ampia letteratura<br />
sull’argomento si è attenuta all‟uso già invalso <strong>da</strong> tempo <strong>di</strong> chiamarli col<br />
sostantivo opus, con riferimento al paramento esterno, detto anche cortina e<br />
in latino corium o lorica.<br />
Così, ad esempio, con opus quadratum verrà designato sia il sistema costruttivo<br />
formato interamente <strong>di</strong> blocchi parallelepipe<strong>di</strong>, sia quello costituito<br />
<strong>da</strong> un nucleo interno <strong>di</strong> opera cementizia, rivestito all‟esterno con blocchi<br />
parallelepipe<strong>di</strong>, qualunque sia la pietra adoperata; e così ancora con opus<br />
reticulatum, opus incertum e opus testaceum verrà in<strong>di</strong>cata l‟opera cementizia<br />
con il paramento formato o <strong>di</strong> cubilia (tessere a base quadrata), o <strong>di</strong> caementa<br />
simili a quelli dell’interno, o <strong>di</strong> tegulae (tegole o mattoni); e così via.<br />
Di seguito saranno passate in rassegna le varie tecniche e<strong>di</strong>lizie sud<strong>di</strong>vise<br />
in: strutture a gran<strong>di</strong> blocchi, strutture miste e strutture con pietre <strong>di</strong> piccole<br />
<strong>di</strong>mensioni. Prima <strong>di</strong> analizzare ciascuna tecnica è opportuno fare delle riflessioni<br />
sull‟opera cementizia che è alla base <strong>di</strong> quelle sopra citate.<br />
3.3. L’OPUS CAEMENTICIUM<br />
La structura caementicia, o opus caementicium, in italiano opera a sacco,<br />
prende il nome <strong>da</strong>i caementa, cioè <strong>da</strong>i frammenti <strong>di</strong> pietra o <strong>di</strong> altro materiale<br />
simile (terracotta e marmo) che la compongono, insieme con la malta,<br />
in un unico amalgama, che la coesione perfetta dei due elementi rende <strong>di</strong><br />
grande soli<strong>di</strong>tà e durata. L’opus caementicium si usa tanto per le fon<strong>da</strong>zioni<br />
quanto per il sopraelevato dei muri, ma in questo secondo caso, solo per eccezione,<br />
rimane isolato e più comunemente è rivestito con altro tipo <strong>di</strong> muratura,<br />
che gli fa <strong>da</strong> crosta, o paramento, o cortina, per proteggerlo <strong>da</strong>llo<br />
sgretolamento causato <strong>da</strong>gli agenti atmosferici.<br />
Vitruvio la definisce (V, 12, 5) structura ex caementis calce et harena,<br />
precisando tutti e tre gli elementi costitutivi e li ripete a proposito della pozzolana<br />
(II, 6, 1): genus pulveris (= harena) (…) mixtum cum calce et caemento;<br />
altrove la chiama<br />
10
structura e molli caemento (II, 8, 5), structura caementicia, caementorum,<br />
caementicium opus (II, 4, 1; II, 8, 16; V, 5, 7; VI, 8, 9; ecc.).171<br />
I Romani introdussero la malta <strong>di</strong> calce nella loro architettura in un‟epoca<br />
che si può solo genericamente situare alla fine del III secolo a.C. Sembra<br />
che l‟influsso orientale o ellenistico, che il Lugli172 nega in base a una <strong>di</strong>fferenza<br />
<strong>di</strong> impasto della malta <strong>di</strong> produzione orientale rispetto a quella italiana,<br />
abbia interessato innanzitutto l‟Italia meri<strong>di</strong>onale e centrale, e precisamente<br />
la Campania e il Lazio, due regioni in cui non soltanto si trova il calcare<br />
a<strong>da</strong>tto alla preparazione della calce, ma anche abbon<strong>da</strong>nte pozzolana<br />
per la preparazione delle malte migliori.<br />
Catone testimonia l‟adozione <strong>di</strong> questa tecnica intorno al 160 a.C.,173<br />
raccoman<strong>da</strong>ndo <strong>di</strong> costruire ex calce et caementis, come faranno dopo <strong>di</strong> lui<br />
Varrone,174 ovviamente Vitruvio, Plinio e, nel IV secolo, Palla<strong>di</strong>o, autore come<br />
Varrone <strong>di</strong> un trattato intitolato De re rustica molto <strong>di</strong>ffuso in età me<strong>di</strong>evale.<br />
In<strong>di</strong>pendentemente <strong>da</strong> questi autori, alcune iscrizioni menzionano la<br />
<strong>costruzione</strong> legata alla malta <strong>di</strong> calce, come quel testo <strong>di</strong> Pozzuoli175 che ricor<strong>da</strong><br />
un e<strong>di</strong>ficio in opus structile, composto <strong>di</strong> calx mista a caementa.<br />
Le più antiche testimonianze <strong>di</strong> utilizzazione delle murature concrete sono<br />
relative alla Campania e più precisamente a <strong>Pompei</strong>, perché la città possiede,<br />
tra l‟altro, il privilegio <strong>di</strong> aver conservato le vestigia <strong>di</strong><br />
un‟architettura prevalentemente <strong>di</strong> età sannitica, la cui struttura, a <strong>di</strong>spetto<br />
delle <strong>di</strong>struzioni e dei conseguenti restauri successivi al terremoto del 62<br />
d.C. e a tutti quelli che si susseguirono in maniera ininterrotta fino ai giorni<br />
precedenti l‟eruzione del 79,176 è rimasta inalterata.177<br />
171 LUGLI 1957, pag. 363.<br />
172 LUGLI 1957, pag. 383.<br />
173 CATONE, De agricoltura, XIV, I, 5, XVIII, 7.<br />
174 VARRONE, De re rustica, I, 14, 4.<br />
175 CIL, X, 1781, I, r, 16-22.<br />
176 Quando l‟eruzione del 79 d.C. segnò la sua definitiva fine, <strong>Pompei</strong> era ancora in piena opera <strong>di</strong> ri<strong>costruzione</strong><br />
e ristrutturazione, determinata anche <strong>da</strong> altre violente scosse sismiche che si erano abbattute su<br />
<strong>di</strong> essa proprio pochissimo tempo prima della catastrofe eruttiva, delle quali non si fece più in tempo a<br />
riparare i <strong>da</strong>nni. La consapevolezza che ormai negli ultimi anni si è an<strong>da</strong>ta acquisendo grazie ad una serie<br />
<strong>di</strong> evidenze archeologiche circa violenti <strong>da</strong>nni dovuti ad una sequenza <strong>di</strong> scosse sismiche che debbono<br />
inquadrarsi come prodromi dell‟evento eruttivo e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> poco precedenti ad esso è destinata a mutare<br />
ra<strong>di</strong>calmente le nostre conoscenze circa l‟ultimo periodo <strong>di</strong> vita <strong>di</strong> <strong>Pompei</strong>, che in gran parte riposavano<br />
sull‟opera <strong>di</strong> Amedeo Maiuri de<strong>di</strong>cata a L‟ultima fase e<strong>di</strong>lizia <strong>di</strong> <strong>Pompei</strong>. Un fenomeno sismico <strong>di</strong> considerevole<br />
portata, o, meglio, uno sciame sismico localmente <strong>di</strong> rilevante portata specifica, dové interessare<br />
il territorio solo poco tempo prima (verosimilmente in termini <strong>di</strong> giorni) dell‟eruzione vesuviana. Esso dà<br />
inoltre piena ragione dell‟abbandono in cui vengono trovate molte ricche <strong>di</strong>more,<br />
11
Basandosi sugli stu<strong>di</strong> del Maiuri sulle mura pompeiane178 e su quel particolare<br />
tipo <strong>di</strong> case sannitiche dette ad atrio calcareo,179 il Lugli colloca<br />
l‟inizio dell‟opera cementizia a <strong>Pompei</strong> fra il 300 e il 250 a.C., considerando<br />
la città campana come una delle prime in Italia. Da <strong>Pompei</strong> la structura<br />
caementicia si sarebbe rapi<strong>da</strong>mente estesa a tutta Italia, in un‟epoca in cui i<br />
rapporti fra nord e sud, e specialmente fra Roma e la Campania, erano molto<br />
sviluppati, come <strong>di</strong>mostra la <strong>costruzione</strong> della via Appia avvenuta quasi<br />
un secolo prima.<br />
Dobbiamo ancora ricor<strong>da</strong>re che nella Campania era assai rinomato il lapis<br />
puteolanus, prodotto <strong>da</strong>i giacimenti <strong>di</strong> cenere eruttata <strong>da</strong>i crateri Flegrei,<br />
che formava una perfetta coesione con la calce ricavata <strong>da</strong>i se<strong>di</strong>menti calcarei<br />
della valle del Sarno e con la cruma vesuviana.180<br />
Nelle case più antiche, come la casa del Chirurgo (fine IV secolo<br />
a.C.),181 <strong>di</strong> Sallustio (III secolo a.C.), del Menandro (III secolo a.C.), del<br />
Fauno (inizi del II secolo a.C.), del Centenario (metà II secolo a.C.), per citarne<br />
alcune, i muri laterali e quelli interni (poiché le facciate erano in gran<strong>di</strong><br />
blocchi <strong>di</strong> calcare o <strong>di</strong> tufo) sono in muratura <strong>di</strong> pietra o in opus africanum,<br />
con riempimento <strong>di</strong> pietrisco legato con una malta molto terrosa, recante<br />
però anche alcuni noduli <strong>di</strong> calce, segno che <strong>di</strong> quest‟ultima si conosceva<br />
l‟uso, ma al tempo stesso segno anche <strong>di</strong> una preparazione scadente<br />
del materiale.182 Nei gran<strong>di</strong> monumenti eretti alla fine dell‟in<strong>di</strong>pendenza<br />
della città, come il tempio <strong>di</strong> Giove costruito intorno al 150 a.C., le terme<br />
Stabiane ricostruite alla fine del<br />
come scaturito <strong>da</strong> un fenomeno <strong>di</strong> emergenza effettivamente stavolta “temporaneo”. Alcune spie <strong>di</strong> questo<br />
sciame sismico ci sono state fornite <strong>da</strong>lle fonti, che peraltro ancora ricor<strong>da</strong>no puntualmente un terremoto<br />
che fece crollare nel 64 a Napoli il teatro dove si era esibito Nerone. Su alcune iscrizioni riferite a restauri<br />
effettuati su e<strong>di</strong>fici (teatro <strong>di</strong> Nocera, orologio <strong>di</strong> Sorrento, monumento imprecisato <strong>di</strong> Napoli, tempio del<br />
Genio della Colonia a Nola) si parla <strong>di</strong> interventi effettuati dopo i “terremoti”e, d‟altra parte, Plinio il Giovane<br />
proprio nel <strong>da</strong>rci il racconto dell‟eruzione vesuviana, esor<strong>di</strong>sce <strong>di</strong>cendo che c‟erano stati a Miseno e<br />
per alcuni giorni ripetuti movimenti sismici, dei quali tuttavia non ci si era preoccupati molto, essendo il<br />
terremoto alquanto solitus in Campania. Per il terremoto del 62 cfr.: MAIURI 2001; ANDREAU 1984; ADAM<br />
1986, pp. 67-87. Sull‟attività sismica a <strong>Pompei</strong> tra il 62 e il 79 d.C. cfr.: AA.VV., Archäologie und Seismologie.<br />
La regione vesuviana <strong>da</strong>l 62 al 79 d.C. Problemi archeologici e sismologici, München 1995, in<br />
particolare i contributi <strong>di</strong>: SCHEFOLD, pp. 15-16; JACOBELLI, pp. 17-21; MARTURANO-RINALDIS, pp. 131-<br />
135; RENNA, pp. 195-199; PAPPALARDO, pp. 191-194.<br />
177 ADAM 2003, pp. 82 sgg.<br />
178 MAIURI 1930, pp. 113-256.<br />
179 MAIURI 2001; MAIURI 1949, p. 85.<br />
180 LUGLI 1957, pp. 379-385.<br />
181 C. Chiaramonte Treré, Sull‟origine e lo sviluppo dell‟architettura residenziale <strong>di</strong> <strong>Pompei</strong> sannitica, in<br />
Acme, XLIII, 3, 1990, pp. 5-34.<br />
12
II secolo a.C. e la grande basilica del Foro del 120 a.C. circa, troviamo<br />
murature legate con una malta <strong>di</strong> eccellente qualità, specialmente nelle colonne<br />
in laterizio della basilica (Figg. 67, 68).<br />
Figura 67. Opus caementicium con<br />
malta terrosa e <strong>materiali</strong> molto eterogenei<br />
(<strong>Pompei</strong>, VIII, 5, 24).<br />
Figura 68. Opus caementicium con malta <strong>di</strong> buona qualità<br />
e ottima coesione fra gli elementi (<strong>Pompei</strong>, tempio<br />
dei Lari Pubblici)<br />
È interessante notare che questa tecnica e<strong>di</strong>lizia, che non ricorreva più ai<br />
blocchi squadrati <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni – ancora in uso ma riservati alle parti<br />
nobili degli e<strong>di</strong>fici –, bensì a minuti frammenti <strong>di</strong> pietra sommariamente tagliati,<br />
comincia ad affermarsi proprio nel momento in cui l‟Italia, con le vittoriose<br />
campagne condotte contro i Cartaginesi ( tra la fine della secon<strong>da</strong> e<br />
l‟inizio della terza guerra punica), contro i Greci (vittoria su Filippo V nel<br />
197 a.C., su Antioco III nel 190 e nuovamente sui macedoni nel 146) e contro<br />
la Spagna (vittoria <strong>di</strong> Numanzia nel 133), può beneficiare <strong>di</strong> un considerevole<br />
apporto <strong>di</strong> manodopera servile.<br />
Questa manodopera poteva essere rapi<strong>da</strong>mente addestrata al lavoro <strong>di</strong><br />
preparazione dei <strong>materiali</strong> <strong>da</strong> <strong>costruzione</strong>, e in<br />
13
particolare all‟estrazione e al taglio delle pietre, compiti che richiedevano<br />
un brevissimo appren<strong>di</strong>stato. Allo stesso modo la messa in opera dei cantieri<br />
poteva essere effettuata <strong>da</strong> operai non specializzati, gui<strong>da</strong>ti <strong>da</strong> un capomastro<br />
che <strong>di</strong>rigeva il lavoro. Grazie a questa rigorosa <strong>di</strong>visione del lavoro,<br />
fon<strong>da</strong>ta sull‟uso <strong>di</strong> <strong>materiali</strong> prefabbricati a<strong>da</strong>ttabili a e<strong>di</strong>fici <strong>di</strong> qualsiasi <strong>di</strong>mensione<br />
e destinazione (come accadrà anche con i mattoni), i Romani si<br />
avviano a fare dell‟architettura, fino ad allora riservata prevalentemente ai<br />
santuari e alle fortificazioni, un‟arte universale, con tempi d‟esecuzione<br />
straor<strong>di</strong>nariamente brevi.183<br />
3.3.1. LA PREPARAZIONE DELLA CALCE<br />
Dei tre elementi costitutivi dell’opus caementicium, la calce (<strong>da</strong>l latino<br />
calx) è il più importante e quello che richiede una maggiore lavorazione. Si<br />
ottiene cuocendo in fornace a circa 1000º C. la pietra calcarea, minerale formato<br />
prevalentemente <strong>di</strong> carbonato <strong>di</strong> calcio, con una percentuale più o meno<br />
grande <strong>di</strong> materie accessorie, quali l‟argilla, la silice, la magnesia, ecc.<br />
Quanto minore è la percentuale delle sostanze estranee, tanto più pura e pregiata<br />
è la calce. La cottura avviene in forni stabili o posticci, <strong>di</strong> forma conica,<br />
con materiale infiammabile – <strong>di</strong> preferenza legno secco <strong>di</strong> quercia – introdotto<br />
<strong>da</strong>l basso; un‟apertura in alto permette la fuoriuscita dell‟anidride<br />
carbonica, me<strong>di</strong>ante un sistema <strong>di</strong> aereazione che favorisce la rapi<strong>da</strong> eliminazione<br />
del gas pesante.184 È questa una con<strong>di</strong>zione essenziale per una buona<br />
calcinazione della pietra calcarea la cui reazione chimica può essere espressa<br />
in questo modo:<br />
Il prodotto che resta, un ossido <strong>di</strong> calcio, è la calce viva. Si ottengono allora<br />
delle pietre polverulente in superficie, le quali vengono idratate per ottenere<br />
un legante.<br />
183 ADAM 2003, pp. 82-84.<br />
184 LUGLI 1957, p. 392.<br />
14
Questa idratazione, o spegnimento, si fa immergendo nell‟acqua le pietre,<br />
che a questo punto iniziano a sciogliersi, rigurgitano e liberano un forte<br />
calore, trasformandosi infine in una pasta che è la calce spenta. Questa calce<br />
viene mischiata con gli aggregati (o inerti) e si ottengono le malte.<br />
La reazione chimica <strong>di</strong> questa secon<strong>da</strong> operazione si esprime in questo<br />
modo:<br />
Va tuttavia notato che la presenza <strong>di</strong> altri corpi sensibili alla reazione chimica,<br />
in particolare l‟argilla contenente silicato <strong>di</strong> alluminio, può provocare<br />
qualche mutamento sia nello spegnimento che nella cristallizzazione e rendere<br />
<strong>di</strong>versa la natura del prodotto finito.<br />
Per quanto riguar<strong>da</strong> i forni a calce, se Vitruvio de<strong>di</strong>ca appena qualche<br />
riga alla preparazione <strong>di</strong> questa, Catone, che scrive intorno al 160 a.C., proprio<br />
nel momento in cui le costruzioni in muratura legate con malta <strong>di</strong> calce<br />
cominciavano a svilupparsi maggiormente, nel suo trattato De agricultura<br />
descrive minutamente la <strong>costruzione</strong> <strong>di</strong> un forno per la cottura della calce<br />
(XLIV, 38 De fornace calcaria):<br />
“Il forno a calce sia largo 10 pie<strong>di</strong> e alto 20; sulla sommità riducete la<br />
larghezza <strong>di</strong> 3 pie<strong>di</strong>. Se per cuocere usate una sola bocca, allora sistemate<br />
una grande cavità all‟interno, tale <strong>da</strong> contenere la cenere, così che non ci<br />
sia bisogno <strong>di</strong> tirarla fuori; fate in modo che la suola occupi interamente la<br />
superficie inferiore del forno. Se cuocete con due bocche non c‟è bisogno<br />
della cavità; quando occorrerà tirar fuori la cenere lo potrete fare attraverso<br />
una delle bocche, e nel frattempo il fuoco si sarà conservato nell‟altra.<br />
Fate in modo che il fuoco non si spenga mai, né <strong>di</strong> notte né in qualsiasi altro<br />
momento. Caricate il forno con pietre <strong>di</strong> buona qualità, le più bianche e<br />
meno macchiate possibile. Quando costruite il forno, <strong>da</strong>te ai pozzetti una<br />
forte inclinazione; quando avete scavato a sufficienza, sistemate il focolare<br />
in modo che sia il più profondo e meno esposto al vento possibile; se non<br />
<strong>di</strong>sponete <strong>di</strong> un posto a<strong>da</strong>tto per fare un forno molto profondo, allora costruite<br />
la parte alta in mattoni o in pietra, con malta, e rivestitela<br />
15
esternamente. Acceso il fuoco, se vedete che le fiamme escono altrove che<br />
<strong>da</strong>ll‟apertura circolare sulla sommità, chiudete i fori con malta. Evitate<br />
che il vento entri <strong>da</strong>lla bocca e soprattutto il vento del Sud. Ecco in che modo<br />
vi accorgerete che la calce è cotta: è necessario che le pietre più alte<br />
siano cotte, allora quelle in basso, cotte anch‟esse, cederanno e la fiamma<br />
farà meno fumo”185 (Fig. 69).<br />
A <strong>Pompei</strong> l‟entità dei <strong>da</strong>nni provocati <strong>da</strong>i terremoti precedenti l‟eruzione<br />
(cfr. nota 176) aveva trasformato la città in un cantiere <strong>di</strong> ri<strong>costruzione</strong> e,<br />
nonostante i forni per la calce si trovassero nelle imme<strong>di</strong>ate vicinanze della<br />
città (Monti Lattari, catena calcarea <strong>da</strong> Nola a Nocera), la calce veniva prodotta<br />
sul posto, come testimonia il forno ritrovato nella casa del Sacello Iliaco<br />
(I, 6, 4), che doveva provvedere alle necessità dei vari quartieri intorno<br />
a via dell‟Abbon<strong>da</strong>nza. In questa stessa casa gli scavi <strong>di</strong> Spinazzola186 hanno<br />
liberato tre notevoli riserve <strong>di</strong> blocchi <strong>di</strong> gesso destinati ad essere tritati e<br />
incorporati agli intonaci, probabilmente per la fabbricazione <strong>di</strong> stucchi bian-<br />
chi.187<br />
185 CATONE, De Agricoltura, XLIV, 38<br />
186 SPINAZZOLA 1953, pp. 446-447.<br />
187 ADAM 2003, pp. 69-76.<br />
16<br />
Figura 67. Restituzione schematica<br />
della fornace a calce <strong>di</strong><br />
Catone (Fonte: A<strong>da</strong>m 2003).
3.3.2. LE MALTE<br />
La preparazione delle malte usate <strong>da</strong>i Romani è sempre stata profon<strong>da</strong>mente<br />
ammirata e considerata un misterioso segreto tecnico. In realtà, gli<br />
unici e<strong>di</strong>fici in muratura concreta (cioè legati con malta <strong>di</strong> calce) che ci siano<br />
pervenuti in buono stato <strong>di</strong> conservazione senza mai essere stati protetti<br />
<strong>da</strong>ll’interramento sono quelli che furono costruiti con una cura estrema, ricorrendo<br />
a un tipo <strong>di</strong> calce <strong>di</strong> ottima qualità (con cottura omogenea) che entrava<br />
in composizione con malte perfettamente dosate e mischiate in un e<strong>di</strong>ficio<br />
staticamente equilibrato. Non sappiamo se gli e<strong>di</strong>fici <strong>di</strong> fattura me<strong>di</strong>ocre<br />
fossero numerosi, poiché quelli che rimasero esposti all’aria sono an<strong>da</strong>ti<br />
perduti proprio a causa della loro vulnerabilità.<br />
Tuttavia, per avere un’idea più esatta <strong>di</strong> quella che era la me<strong>di</strong>a delle<br />
murature, è sufficiente prendere atto dell’estrema fragilità <strong>di</strong> molti e<strong>di</strong>fici<br />
liberati <strong>da</strong>gli strati <strong>di</strong> terra che li avevano protetti, e il cui consoli<strong>da</strong>mento<br />
appariva imme<strong>di</strong>atamente problematico. A questo proposito <strong>Pompei</strong> è altamente<br />
illuminante; i muri delle case risultano quasi tutti molto me<strong>di</strong>ocri al<br />
<strong>di</strong> sotto <strong>di</strong> un rivestimento <strong>di</strong> livello altissimo, e anche le malte usate<br />
nell’ultima fase e<strong>di</strong>lizia della città risultano poco accurate e terrose.188<br />
Vitruvio ci fornisce chiare raccoman<strong>da</strong>zioni per l‟uso e precise in<strong>di</strong>cazioni<br />
che rappresentano una smentita all’idea che esistesse un segreto gelosamente<br />
conservato <strong>da</strong>i costruttori romani, e le analisi effettuate hanno ampiamente<br />
<strong>di</strong>mostrato che le sue prescrizioni corrispondono a una realtà pratica ampiamente<br />
applicata.189<br />
Vitruvio propone le seguenti “ricette” <strong>di</strong> malte (II, 5, 1): “Cum ea (calx)<br />
erit extincta, tunc materia ita misceatur ut si erit fossicia, tres harenae et<br />
una calcis infun<strong>da</strong>ntur, si autem fluviatica aut marina duo harenae et una<br />
calcis coiciatur. Ita enim erit iusta ratio mixtionis temperaturae. Etiam in<br />
fluviatica aut marina si qui<br />
188 ADAM 1983a; ADAM 1983b.<br />
189 In tutti i <strong>di</strong>eci libri del De architectura ricorrono riferimenti alle malte, riguardo sia alla loro composizione<br />
sia all‟uso: II, 4, le sabbie; II, 5, preparazione della calce, composizione delle malte; II, 6, la pozzolana;<br />
II, 8, i generi <strong>di</strong> muratura, paramenti e riempimenti, uso <strong>di</strong> una malta con cocci <strong>di</strong> tegole; V, 12, fon<strong>da</strong>zioni<br />
e murature in acqua; VII, 1, cementi e malte per pavimenti; VI, 2, preparazione della calce destinata<br />
agli intonaci e agli stucchi; VI, 3, preparazione delle cornici in stucco, delle volte e dei soffitti; VI, 6,<br />
preparazione degli stucchi in marmo; VIII, 7, la muratura delle cisterne.<br />
17
testam tunsam et succretam ex tertia parte a<strong>di</strong>ecerit, efficiet materiae tamperaturam<br />
ad usum meliorem”.190<br />
Vitruvio considera la sabbia <strong>di</strong> mare la più me<strong>di</strong>ocre e pericolosa ad usarsi<br />
a causa del sale che si <strong>di</strong>ssolve e fa sciogliere tutto e consiglia, per<br />
questo, l’aggiunta <strong>di</strong> cocci pestati e setacciati.<br />
Più avanti egli raccoman<strong>da</strong> l‟uso <strong>di</strong> sabbia vulcanica, la pozzolana<br />
(pulvis puteolanus), che definisce in questo modo (II, 6, 1): “Est etiam genus<br />
pulveris quod efficit naturaliter res admiran<strong>da</strong>s. Nascitur in regionibus<br />
Baianis in agris municipiorum quae sunt circa Vesuvium montem. Quod<br />
commixtum cum calce et caemento non modo ceteris ae<strong>di</strong>ficiis praestat firmitates,<br />
sed etiam moles cum struuntur in mari, sub aqua solidescunt”.191<br />
È quella che viene definita la qualità pozzolanica dell’aggregato, che<br />
permetteva alla malta <strong>di</strong> resistere all’acqua e ad<strong>di</strong>rittura <strong>di</strong> rapprendere anche<br />
in ambiente molto umido, caratteristica dovuta alla presenza <strong>di</strong> una<br />
grande quantità <strong>di</strong> silicato d‟alluminio. In altre parole, aggiungendo alla<br />
calce aerea della pozzolana, essa viene artificialmente trasformata in calce<br />
idraulica. La stessa trasformazione si ha mescolando alla malta della ceramica<br />
in frantumi un composto che veniva utilizzato <strong>da</strong>i Romani per impermeabilizzare<br />
le strutture.<br />
Si possono dunque riassumere le principali composizioni delle malte antiche:<br />
18
La percentuale d’acqua <strong>da</strong> usare nell’impasto viene stabilita in funzione<br />
del clima, e quin<strong>di</strong> del tasso <strong>di</strong> evaporazione, e dell’uso che si deve fare della<br />
malta. Se essa deve essere impiegata nelle fon<strong>da</strong>zioni o in un riempimento,<br />
allora sarà meno bagnata, perché meno ventilata rispetto a una malta usata<br />
per giunzioni e rivestimenti. Allo stesso modo la percentuale <strong>di</strong> sabbia<br />
e la sua granulosità varieranno a secon<strong>da</strong> che si tratti <strong>di</strong> una malta <strong>di</strong> connessione<br />
o <strong>di</strong> pavimentazione o <strong>di</strong> rivestimento; nei primi due casi sarà mischiata<br />
a grosse schegge, mentre se si tratta <strong>di</strong> una malta <strong>di</strong> rivestimento sarà<br />
realizzata con sabbia finissima.<br />
La malta deve la sua bontà non soltanto alla cottura uniforme della pietra,<br />
alla qualità e alla percentuale degli aggregati, ma anche all’accuratezza<br />
dell’impasto <strong>di</strong> calce grassa, sabbia e cocci <strong>di</strong> tegole, che deve essere il più<br />
omogeneo possibile. Questa operazione va effettuata in prossimità del cantiere<br />
<strong>di</strong> <strong>costruzione</strong>, su uno spiazzo <strong>di</strong> terra battuta dove viene <strong>di</strong>sposta la<br />
sabbia a forma <strong>di</strong> cratere (<strong>di</strong>ametro <strong>da</strong> 1 a 3 metri), al centro del quale viene<br />
posto il grassello <strong>di</strong> calce – in genere trasportato <strong>da</strong>lla fossa <strong>di</strong> spegnimento<br />
entro anfore alle quali è stata rotta la metà superiore,192 talvolta entro un<br />
secchio metallico, un‟impronta del quale è stata trovata nella casa del Sacello<br />
Iliaco a <strong>Pompei</strong> (I, 6, 4); qui infatti è stato rinvenuto in mezzo alla<br />
pozzolana, il cumulo <strong>di</strong> calce non ancora impastata abbandonato al momento<br />
dell’eruzione del Vesuvio.<br />
Sempre a <strong>Pompei</strong> (casa del Moralista, della Calce e villa dei Misteri) si è<br />
potuto verificare che la calce grassa veniva ammucchiata in un corridoio o<br />
in qualche altro luogo riparato (Fig. 70).<br />
192 In molte case <strong>di</strong> <strong>Pompei</strong> sono state trovate ancora piene <strong>di</strong> calce: V, 3, 4, o VII, 3, 17.<br />
19<br />
Figura 68. Muccchio <strong>di</strong> calce<br />
nella villa dei Misteri a <strong>Pompei</strong>.
Per ottenere la malta, il muratore mescola a lungo gli aggregati e il legante<br />
aggiungendo a poco a poco l‟acqua; per far questo si serve <strong>di</strong> una<br />
zappa <strong>da</strong>l manico molto lungo (in me<strong>di</strong>a m 3,50), la marra (<strong>di</strong> cui abbiamo<br />
un esemplare trovato a <strong>Pompei</strong>): con la lama dell‟attrezzo viene effettuato<br />
un movimento <strong>di</strong> sfregamento per eliminare i grumi e far penetrare la sabbia<br />
nella massa elastica della calce. Per questo la lama forma un angolo acuto<br />
con il manico, mentre la zappa usata per assicurare il movimento nella fossa<br />
<strong>di</strong> spegnimento ha la lama ad angolo retto con il lungo manico. Questa operazione,<br />
detta impasto, deve protrarsi fin quando il composto non appaia<br />
perfettamente omogeneo e privo <strong>di</strong> grumi.193<br />
3.3.3. LA MESSA IN OPERA<br />
La malta, dopo essere stata impastata, viene trasportata in un trogolo fino<br />
al luogo <strong>di</strong> messa in opera, dove il muratore la mischierà con frammenti lapidei<br />
entro un massiccio <strong>di</strong> riempimento a formare il nucleo dell’opus caementicium,<br />
oppure la userà per legare i giunti <strong>di</strong> pietre o <strong>di</strong> mattoni, o ancora<br />
la getterà sulla parete per creare il rivestimento. A questo punto inizia il<br />
lento fenomeno <strong>di</strong> cristallizzazione o presa, che consiste nella concrezione<br />
dell‟insieme (donde il nome <strong>di</strong> muratura concreta) sotto forma <strong>di</strong> una crosta<br />
<strong>di</strong> carbonato <strong>di</strong> calcio che fissa i granelli <strong>di</strong> sabbia e i cocci <strong>di</strong> tegole e<br />
aderisce alle pietre o ai mattoni.<br />
In<strong>di</strong>pendentemente <strong>da</strong>l tipo <strong>di</strong> paramento, la <strong>costruzione</strong> in muratura può<br />
avvenire in mo<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi che si possono analizzare guar<strong>da</strong>ndo in sezione il<br />
muro in rovina. Qualunque sia l‟aspetto della parete (opera quadrata, mattoni<br />
ecc.), si nota che la parte interna della <strong>costruzione</strong> è formata <strong>da</strong> elementi<br />
<strong>di</strong> qualsiasi forma, <strong>da</strong> scarti o <strong>da</strong> frammenti <strong>di</strong> tegole o <strong>di</strong> mattoni, legati<br />
con malta e contenuti tra i due paramenti accuratamente realizzati. Appare<br />
evidente, dunque, che questi paramenti costituiscono una cassaforma permanente<br />
per una massicciata che occupa la maggior parte del muro e che<br />
funge <strong>da</strong> elemento portante; ciò spiega anche come mai gli elementi impiegati<br />
nelle facciaviste siano stati molto spesso riutilizzati senza peraltro nuocere<br />
alla stabilità dell‟e<strong>di</strong>ficio. È ciò che Vitruvio chiama émpleckton (II, 8,<br />
7), usando evidentemente il<br />
193 ADAM 2003, pp. 76-79.<br />
20
termine greco: “Altera est quam εµπλεκτον appellant, qua etiam nostri rustici<br />
utuntur. Quorum frontes poliuntur, reliqua ita uti sunt nata cum materia<br />
conlocata alternis alligant coagmentis. Sed nostri celeritati studentes,<br />
erecta conlocantes frontibus serviunt et in me<strong>di</strong>o farciunt fractis separatim<br />
cum materia caementis. Ita tres suscitantur in ea structura crustae, duae<br />
frontium et una me<strong>di</strong>a farturae”.194<br />
Questa definizione dell’opus caementicium, inteso come incrollabile muro<br />
portante, va comunque sfumata; esistono infatti molti e<strong>di</strong>fici nei quali i<br />
muri presentano la suddetta struttura tripartita, ma il riempimento dei quali,<br />
lungi <strong>da</strong>ll’essere il supporto essenziale, è costituito <strong>da</strong> un miscuglio <strong>di</strong> pietrame<br />
sommariamente legato <strong>da</strong>ll’argilla (cfr. Fig. 68). È questo il caso della<br />
maggior parte degli e<strong>di</strong>fici <strong>di</strong> <strong>Pompei</strong>, l‟architettura dei quali è in prevalenza<br />
anteriore all‟età imperiale: i compatti paramenti rivestiti <strong>da</strong> un triplice<br />
intonaco <strong>di</strong> eccellente qualità fungono <strong>da</strong> armature rigide permanenti e impermeabili<br />
per l‟assai me<strong>di</strong>ocre muratura interna. Quest’ultima si deteriora<br />
solo se crollano le coperture, che a loro volta provocano la caduta degli intonaci,<br />
con la conseguente infiltrazione <strong>di</strong> umi<strong>di</strong>tà.<br />
Nei muri <strong>di</strong> scarso spessore il composto <strong>di</strong> malta e pietrisco è relativamente<br />
omogeneo, e il muratore può <strong>di</strong>stribuire agevolmente a mano le pietre<br />
nel legante; quando la struttura è <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni maggiori, il muratore inserisce<br />
alternativamente malta e pietre, costipando poi il tutto per renderlo<br />
coerente. Allora sono visibili all’interno dei muri gli strati regolari risultanti<br />
<strong>da</strong> questa messa in opera alternata (si ve<strong>da</strong>no ad esempio i casi <strong>di</strong> II, 1, 2;<br />
VI, 14, 44; VIII, 22, dove peraltro l‟orizzontalità degli strati è piuttosto approssimativa).<br />
È ragionevole supporre che nel corso <strong>di</strong> queste operazioni <strong>di</strong><br />
costipazione i muratori avessero l‟accortezza <strong>di</strong> far uso <strong>di</strong> casseforme, per<br />
contenere i paramenti la cui presa non era ancora ultimata. Tale uso risultava<br />
però costoso e complicato insieme, e perciò sembra che i costruttori abbiano<br />
fatto ricorso alla pestatura interna soprattutto per i monumenti <strong>da</strong>i<br />
muri molto spessi, contenuti entro paramenti in opera quadrata o in mattoni<br />
<strong>di</strong> una certa lunghezza, che potevano resistere ai colpi e alle compressioni<br />
delle operazioni <strong>di</strong> costipazione. Il risultato, qualunque<br />
194 VITRUVIO, De Arch., II, 8, 7.<br />
21
fosse il sistema <strong>di</strong> messa in opera, era una concrezione <strong>da</strong>ll’aspetto <strong>di</strong> un<br />
calcestruzzo,195 in cui si <strong>di</strong>stinguono tre elementi:<br />
1) il legante, sotto forma <strong>di</strong> calce, mischiato con l‟aggregato prima della<br />
messa in opera e costituente la malta;<br />
2) gli elementi lapidei o scapoli, pietre o frammenti ceramici introdotti nella<br />
malta al momento della <strong>costruzione</strong>;<br />
3) i paramenti realizzati con <strong>materiali</strong> ben squadrati che potevano ricevere a<br />
loro volta un rivestimento superficiale.<br />
Pur essendoci una <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> preparazione tra il calcestruzzo romano e<br />
quello moderno, certe qualità dei <strong>materiali</strong> romani possono, tuttavia, essere<br />
paragonate a quelle dei prodotti moderni: le malte che si trovano nei rivestimenti<br />
dei piani <strong>di</strong> calpestio o nelle volte, nelle quali si vedono frammenti<br />
ceramici e lapidei <strong>di</strong> una certa grandezza, che erano stati mischiati alla calce<br />
al momento dell’impasto. Esse formano rivestimenti molto soli<strong>di</strong>, come <strong>di</strong>mostrano<br />
la resistenza dei marciapie<strong>di</strong> pompeiani così rivestiti e le coperture<br />
<strong>di</strong> molti e<strong>di</strong>fici a volta con cupola priva <strong>di</strong> tetto.196<br />
3.4. LE STRUTTURE A GRANDI BLOCCHI<br />
3.4.1. L’OPUS SILICEUM (OPERA MEGALITICA O POLIGONALE)<br />
In questa parte della tesi si è preferito, per una questione <strong>di</strong> completezza,<br />
analizzare anche questo tipo <strong>di</strong> tecnica muraria, sebbene non sia attestata a<br />
<strong>Pompei</strong> <strong>da</strong>ll’ampia e autorevole letteratura, il che non esclude un suo utilizzo<br />
che potrebbe essere chiarito <strong>da</strong> successive ricerche.<br />
L’origine e la <strong>da</strong>tazione dell’opera poligonale hanno sempre appassionato<br />
gli archeologi, i quali, già <strong>da</strong>ll’ottocento, <strong>di</strong>scutevano intorno al popolo che<br />
inventò o meglio introdusse per primo nel bacino del Me<strong>di</strong>terraneo, e particolarmente<br />
in Italia,<br />
195 In francese béton, <strong>da</strong> bitumen, cioè il miscuglio <strong>di</strong> malta e ciottoli, <strong>di</strong>venuto poi sinonimo <strong>di</strong> malta o <strong>di</strong><br />
legante per in<strong>di</strong>care il bitume, utilizzato come colla per i mattoni e rivestimento impermeabile<br />
nell‟architettura orientale.<br />
196 ADAM 2003, pp. 79-82.<br />
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questo sistema <strong>di</strong> costruire a gran<strong>di</strong> blocchi poligonali <strong>di</strong> pietra dura sovrapposti<br />
senza malta.<br />
Le mura in opera poligonale non si trovano in tutta l’Italia; sono più frequenti<br />
nell’Etruria Marittima, nella Sabina, nella Marsica, nei paesi degli<br />
Ernici, dei Volsci e dei Sanniti; sono rare sui colli Albani e Tusculani, in<br />
Umbria e nel Piceno; sono quasi del tutto sconosciute nell’Italia Settentrionale,<br />
a Roma, in Campania, nella Magna Grecia; si ritrovano saltuariamente,<br />
e in forma un po’ <strong>di</strong>versa, in Lucania e in Sicilia.197<br />
È tuttavia con le rozze fortificazioni delle alture del Lazio meri<strong>di</strong>onale<br />
che inizia la tipologia delle costruzioni realizzate con gran<strong>di</strong> blocchi <strong>di</strong> pietra.<br />
Come i Micenei, gli Italici cingevano le loro città d‟altura con mura megalitiche<br />
in tutto simili nell’aspetto alle cinte <strong>di</strong>fensive <strong>di</strong> Micene, Tirinto o Midea,<br />
tanto che ad esse verrà attribuito il nome <strong>di</strong> pelasgiche. Ovviamente<br />
non esiste alcun tipo <strong>di</strong> rapporto tra queste mura costruite tra il V e il III sec<br />
a. C. e le realizzazioni micenee, più antiche <strong>di</strong> almeno mille anni; l‟unica<br />
cosa in comune è il desiderio <strong>di</strong> opporre a un potenziale aggressore la concreta<br />
imponenza <strong>di</strong> una muraglia massiccia e l‟effetto psicologico <strong>di</strong> una<br />
realizzazione a<strong>da</strong>tta a colpire l‟immaginazione: un proposito che è alla base<br />
<strong>di</strong> qualsiasi <strong>costruzione</strong> in opera megalitica che dovrà essere vista <strong>da</strong>gli uomini<br />
o <strong>da</strong>gli dei.<br />
Il taglio sommario dei blocchi messi in opera nelle mura in opus siliceum<br />
è in<strong>di</strong>ce della loro antichità e della rozzezza delle metodologie costruttive;<br />
tale tecnica continuerà ad essere usata nelle città dell‟interno<br />
quando sulla costa e nelle zone <strong>di</strong> influenza etrusca e greca si va già affermando<br />
una bella architettura a blocchi parallelepipe<strong>di</strong> <strong>di</strong> etrusca <strong>di</strong>sciplina<br />
o isodomum (come la cinta <strong>di</strong> Perugia, per esempio).<br />
I paramenti si contrad<strong>di</strong>stinguono per l‟aspetto del taglio dei blocchi le<br />
cui facce esterne risultano tagliate molto accuratamente, mentre quelle interne<br />
sono molto rozze e appena sbozzate. Il Lugli198 <strong>di</strong>stingue quattro maniere<br />
nell’opera poligonale; in realtà tali <strong>di</strong>stinzioni non sono così nette come<br />
l‟autore propone, perché in ogni realizzazione intervengono molteplici<br />
fattori che rendono ogni opera <strong>di</strong>versa <strong>da</strong>ll’altra, e si arriverebbe al punto <strong>di</strong><br />
definire tante categorie quante sono le realizzazioni note.<br />
197 LUGLI 1957, pp. 55 sgg.<br />
198 LUGLI 1957, pp. 65 sgg.<br />
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