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Mark Tobey poeticamente astratto - Galleria Agnellini Arte Moderna

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AGNELLINI ARTE MODERNA<strong>Mark</strong> <strong>Tobey</strong> <strong>poeticamente</strong> <strong>astratto</strong>A cura di Philippe Daverio e Dominique StellaAl di là della forma e dell’essereTesto in catalogo di Dominique Stella<strong>Mark</strong> <strong>Tobey</strong>, nato nel 1890 a Centerville nel Wisconsin, nel Midwest degli Stati Uniti, trascorreun’infanzia felice lungo le rive del Mississipi. Disegnatore di talento, nel 1911 si stabilisce a New Yorkdove si avvia alla carriera di illustratore di moda. La sua vera vocazione si rivela nel corso del decennioseguente, quando si converte alla fede Bahá’íe che da allora trasforma la sua visione del mondo e lasua pratica artistica. La sua vita è caratterizzata da numerosi viaggi e prolungati soggiorni in Europa,Oriente e Asia. Dopo aver divorziato, nel 1922 si trasferisce a Seattle dove, nel 1923, incontra TengKuei, studente e pittore cinese che lo inizia alla calligrafia. Insegna arte fino al 1925, poi compie viaggi inFrancia (Parigi, Châteaudun), in Catalogna (Barcellona), in Grecia, a Costantinopoli, Beirut, Haïfa, doves'interessa alla scrittura persiana e a quella araba. Nel 1927 <strong>Tobey</strong> torna a Seattle e partecipa, nel 1928,alla fondazione della « Free and Creative Art School ». Nel 1929, Alfred Barr presenta le sue opere alMuseum of Modern Art di New York. Tra il 1930 e il 1937 si stabilisce nel Devonshire, dove insegnapresso la Dartington Hall School; compie alcuni viaggi in Europa ma anche in Messico, nel 1931, e inPalestina, nel 1932.La sua arte evolve nel corso degli anni passando da una raffigurazione accademica e diligente, checaratterizza le sue opere degli anni ’20 e dei primi anni ’30 (come Still life on a table, in catalogo,oppure Man with closed eyes, 1925, anch'esso in catalogo, o Exécution, 1932), a una forma espressivae gestuale che egli svilupperà a partire dal 1934-35, al suo ritorno dai soggiorni in Cina e soprattutto inGiappone. <strong>Tobey</strong> diventerà allora l’artista brillante e libero il cui talento sbocciò realmente alla fine deglianni ’30, quando raggiunse quell’immaginario infinito, libero dai principi concreti e costruttivi cheinquadrano un'arte occidentale di cui egli percepisce i limiti. Di ritorno dall’Inghilterra, nei mesi dinovembre e dicembre del 1935, dipinge numerose tele (Broadway, Welcome Hero, Broadway Norm)utilizzando una « scrittura bianca » che sarà la caratteristica principale della sua opera e che costituisceuno dei punti di riferimento dell'arte informale americana. <strong>Tobey</strong> la descrive così: « Il tratto prevale sullamassa, ma io provo a compenetrarlo con un’esistenza spaziale. « Scrivere » la pittura, sia essa coloratao in toni neutri, diventa una necessità. Spesso ho pensato che il mio modo di lavorare fosse unaperformance, nel senso che il mio quadro doveva essere realizzato tutto in una volta o non essererealizzato affatto. Era esattamente il contrario del « costruire », principo al quale mi ero attenuto tempoaddietro. »1Conversione alla fede Baha’iéInformale fuori della norma, <strong>Mark</strong> <strong>Tobey</strong> è un artista totalmente a parte nel panorama dell’arteamericana del XX secolo. La sua pittura ci offre una visione di una grande sensibilità e, al pari di artisticome Masson in Francia o Pollock suo compatriota, ci propone un’opera che si concentra nello sviluppodel segno, al di là della sua interpretazione o perfino della sua lettura. L’espressione visiva di <strong>Mark</strong><strong>Tobey</strong> segue un progetto di ricerca che va oltre qualsiasi soluzione grafica o estetica, e raggiunge unaricerca che si ricollega a problematiche filosofico-religiose alle quali l’artista fa realmente riferimento. Lasua appartenenza alla fede Bahá’íe, alla quale aderì nel 1918, lo condusse a uno studio approfondito deisuoi insegnamenti che sarebbe durato sino alla fine della sua vita, trasformando radicalmente il suoessere e la sua arte. La fede mondiale Baha'ie è una dottrina universale. Essa accompagna l’umanitàverso una coscienza profonda della propria condizione, nel rispetto dell’essere e della natura. L’unità è ilsuo principio fondamentale. Per raggiungerla, essa auspica la fondazione di una comunità universale in1Citato in <strong>Mark</strong> <strong>Tobey</strong>, catalogo della mostra omonima presso il Palais du Louvre, ed. Musée des Arts Décoratifs,Parigi, 1961


cui tutte le nazioni, razze, classi e religioni siano strettamente e inderogabilmente unite, in cuil’autonomia degli Stati membri e la libertà personale, così come l’iniziativa degli individui che lacompongono, siano pienamente e per sempre tutelate. Essa aspira all’abolizione dei pregiudizi, intendestabilire l’uguaglianza dei sessi, lottare contro la schiavitù e distribuire equamente le ricchezze di questomondo. Questa comunità universale comporta una legislatura universale i cui membri, in quantorappresentanti della razza umana, hanno il controllo supremo su tutte le risorse delle nazioni che lacompongono ed emanano le leggi necessarie a regolamentare la vita, rispondere alle necessità earmonizzare le relazioni di tutti i popoli e di tutti le razze. I baha’ié credono in un Dio universale e a-temporale, che avrebbe eletto fra gli uomini alcune guide spirituali appartenenti a diversi credo. Che sitratti di Gesù, Maometto, Buddha o Confucio, tutti i profeti rappresentano un medesimo spirito, unamedesima forza divina superiore, la cui conoscenza e rivelazione è accessibile a tutti. Sin dai suoiesordi, la fede Baha’ié professa insegnamenti rivoluzionari per l’epoca: essa richiama all’uguaglianza frai sessi, alla compatibilità della scienza e della religione, alla relatività della verità (compresa quellareligiosa) e all’unicità assoluta del genere umano. Se questi principi costituivano una sfida - alliberalismo europeo del XIX secolo, tra gli altri - che dire dello shock risentito dal mondo islamico alloraripiegato sul proprio assolutismo. Tre personaggi illustri hanno condotto questa rivoluzione natadall’Islam. Il primo si chiamava ’Ali-Muhammad Shirazi (1819-1850), noto come « il Bab » (la Porta,intendendo “la porta aperta sulla nuova era”). Ci fu poi Mirza Husayn-’Ali (1817-1892), che avrebbepreso il titolo di « Baha’u’llah » (Gloria di Dio), e a cui subentrò il primogenito ’Abdu’l-Baha (Servo diDio, 1844-1921). Tutto ha inizio nel 1844, nella città persiana di Shiraz. Il Bab dichiara di essere il Mihdi(Colui che è guidato da Dio). Il suo insegnamento, in un primo tempo, si limita a un gruppo di diciottodiscepoli. Grazie alla diffusione dei suoi scritti, tuttavia, esso raggiunge un numero sempre più grande dipersone, di ogni estrazione sociale, sino a coinvolgere il grande pubblico. Il grottesco procedimento cuisarà sottoposto a Tabriz, nel 1848, per « deviazione religiosa » - alla conclusione del quale egli vieneseveramente bastonato - non farà che accrescere la sua notorietà.Questa nuova religione avrebbe esercitato un forte impatto sull'opera dell'artista: « Fu davvero un biviospirituale cruciale nella vita di <strong>Tobey</strong> e nella sua opera », scriveva William Seitz, in un articolo delcatalogo alla mostra di <strong>Mark</strong> <strong>Tobey</strong> presso il Museo d'<strong>Arte</strong> <strong>Moderna</strong> di New York (1962). Il mondo di<strong>Tobey</strong> è soggettivo e la sua arte è essenzialmente legata a un atteggiamento mentale che presiede allacostruzione della sua pittura, forma manifesta di una contemplazione interiore e di un’esperienza di vita.Domina nella sua opera il concetto di unicità, in riferimento alla sua credenza che auspica l’unione di tuttii popoli e di tutte le religioni. Anche i suoi viaggi, soprattutto in Cina e in Giappone, dove trascorsediversi mesi in un monastero zen, conferirono al suo lavoro un respiro particolare ben lontano dalleforme espressioniste di un’arte americana già segnata dall’agitazione del mondo artistico. Ilraccoglimento costituisce il principio fondamentale della sua arte e questo stato d’animo, che guida ilgesto e l’azione, è molto lontano dalle irrequietudini mediatiche coltivate dai suoi compatrioti, i qualifecero dello spettacolo un principio di creazione. Come Kandinsky, Klee o Mondrian, anche <strong>Tobey</strong> traeispirazione da una realtà più spirituale che fisica, e i suoi riferimenti sono teologici quanto estetici. Lafilosofia Baha’ié modifica i suoi concetti estetici quanto i suoi principi sociali e religiosi. « La fede di<strong>Tobey</strong> traspare dalla densità, intensità e luminosità delle sue tele », sostiene M. Ottenbrite. « I suoiquadri sono estremamente umani. » Lo stesso <strong>Mark</strong> <strong>Tobey</strong> è stato esplicito riguardo all'influenza dellasua fede sulla sua opera. Nel 1962 affermava: « Devo dire che mi ha dato una forza straordinaria e io hocercato di utilizzarla senza fare propaganda. È vero che oggi si parla di stili internazionali, ma credo chenell'avvenire si parlerà di stili universali... l'avvenire del mondo deve essere la materializzazione dellasua unicità, questo è l'insegnamento principale della fede Bahá’íe come la intendo io, e a partire daquesta unicità emergerà un nuovo spirito nell'arte ».L’Estremo Oriente e la sua influenzaAttorno al 1920 <strong>Tobey</strong> intraprende le sue prime realizzazioni di ritmo nello spazio, la cui ispirazione gliderivò dalla riflessione sul volo di una mosca, e che alcuni anni dopo Max Ernst, senza saperlo, avrebberipreso nel suo quadro Jeune homme intrigué par le vol d’une mouche non euclidienne (1942-47). È labase di un concetto che, molto più avanti, avrebbe portato al dripping. Vi è, in queste due ricerche, untentativo di liberarsi dell'ascendente razionale e di appropriarsi dei territori inesplorati legati allaconquista dello spazio, che diviene elemento inconscio del quadro ma anche elemento di costruzione edi riferimento. Questa riflessione è evocata dall’artista: « Una notte ero nel mio atelier e stavo facendo ilmio autoritratto. Sul soffitto era accesa una luce. A un tratto mi sono detto: supponiamo che io sia unamosca; potrei volare sul cavalletto, volteggiare tutto intorno, camminare sottosopra, arrivare fino al muroetc… In quello spazio chiuso, proiettavo il percorso compiuto dalla mosca: non vi era più alcuna cornice,non vi era più alcun Rinascimento. » <strong>Tobey</strong> scopre in quel momento la via del suo « spazio multiplo, incui la profondità è un elemento più sensibile che visivo ». Qui risiede il fondamento della sua riflessionee questo pensiero racchiude il preludio di un'arte che egli svilupperà realmente dopo il suo soggiorno in


Cina e in Giappone nel 1934. L’arte e gli oggetti artigianali del mondo orientale lo affascinano. <strong>Tobey</strong>studia la calligrafica e la tecnica del pennello praticata in Cina. L’attenzione al dettaglio e laconcentrazione dello spirito che egli apprende, influenzano la sua opera. Il suo lavoro acquisisce undinamismo e una capacità di ricostruzione fuggevole ed espressiva di scene di vita, personaggi, natura;il suo tratto diventa più rapido, probabilmente per influenza della pratica dell’arte calligrafica, della qualeacquisisce le basi in Oriente. Il suo lavoro contiene anche le caratteristiche di un'intensa meditazione,alla quale si avvicinò in Giappone in occasione di un soggiorno di un mese in un monastero zen. Aseguito di una lunga conversazione con un monaco, pittore che gli insegna l’alfabeto giapponese, <strong>Tobey</strong>scrive: « Un giorno mi trovavo sulla terrazza della mia camera, che dava su un piccolo giardino, unangolino intimo, pieno di boccioli in fiore sui quali planavano danzando le libellule, e ho sentito chequesto piccolo mondo, quasi al di sotto dei nostri piedi, ha il proprio valore e che noi dobbiamorealizzarlo e apprezzarlo al suo livello nello spazio. D’un tratto ho sentito che troppo a lungo non avevofatto altro che rimanere al di sopra dei miei piedi. » Da questa rivelazione nasce in <strong>Tobey</strong> la coscienza diun mondo sensibile. Egli scopre la linea che si dispiega nello spazio, senza confine, che esclude ognicarattere di costruzione e di razionalità. Contano solo l’immaginario, l’infinito dello spazio e l’energianecessaria a catturarlo. In Asia orientale il tratto è fondamentale. Esso rappresenta la strutturadell’espressione umana. Laddove, nella cultura occidentale, il « verbo » caratterizza l’espressionefondamentale del nostro essere e del nostro sentire, incorniciato da una struttura di parole e di frasinecessarie all’espressione concettuale, i paesi orientali hanno adottato un universo di carattericomplessi, in grado di esprimere concetti astratti, realtà materiali o mondi immaginari. La scrittura e lalettura di questi segni comporta un fatto d’interpretazione soggettiva, una necessità di trasposizionevisiva attraverso tracciati figurativi, chiamati pittogrammi, o segni più astratti, come gli ideogrammi.Questa necessità trascende ogni idea, concetto o oggetto in una forma astratta, che s’identifica con untratto il cui sviluppo costituisce l’espressione. Il tratto, così, è il veicolo principale della conoscenza edella trasmissione, ecco perché in Estremo Oriente la calligrafia fu considerata l’arte più riuscita di tutti itempi. L’Europa e gli Stati Uniti hanno da tempo riconosciuto l’importanza dell’influenza della calligrafiasull’arte occidentale, in particolare sull’action painting negli Stati Uniti e sull'astrazione lirica in Francia,benché concettualmente l'approccio occidentale e quello orientale siano completamente diversi. Infatti,l’estetica del gesto occidentale dipende da un movimento in cui il corpo occupa uno spazio fisico,determinando un segno la cui espressione risulta più dal caso che dalla conoscenza. Lo spirito sidisperde nell’azione. La separazione fra corpo e spirito, pensiero e materia, è evidente nell’approcciooccidentale della pittura gestuale. In Oriente, l’unità dei sensi e l’armonia dell’essere presiedono allarealizzazione dell’opera. L’emozione, il pensiero e l’azione devono unirsi per raggiungere lo statod’illuminazione (Satori) che permettere di giungere alla conoscenza zen. <strong>Tobey</strong> si è accostato a questepratiche e, senza parlare di conversione, possiamo sottolineare l’influenza, su di sé e sulla sua opera, diquesto soggiorno in Giappone. Lo sottolinea egli stesso nel corso di un'intervista con Katharine Kuh: « Almonastero zen mi fu dato un dipinto sumi su cui riflettere; si trattava di un grande cerchio vuoto, eseguitocon il pennello. Che cosa rappresentava? Lo guardavo ogni giorno. Indicava l'altruismo? Rappresentaval'Universo – nel quale avrei potuto perdere la mia identità? Forse non riuscivo a cogliere l'estetica e laraffinatezza del tratto, che ad un allenato sguardo orientale avrebbe invece rivelato molto sul caratteredell'uomo che lo aveva dipinto. Dopo quel soggiorno, tuttavia, mi accorsi di avere nuovi occhi; ciò cheprima mi appariva di poca importanza diveniva amplificato, e le riflessioni non erano più basate sul mioprecedente modo di vedere. Osservando un grande drago dipinto con il pennello sul soffitto di un tempioa Kyoto, pensai alla stessa forza ritmica di Michelangelo – la rappresentazione delle forme era diversa,le nuvole vorticose che accompagnavano il suo maestoso volo nella sfera celeste erano diverse, ma viera la medesima forza spirituale… “Lascia che la natura assuma il controllo del tuo lavoro” queste paroledel mio amico Takïzaki in un primo momento mi disorientarono, ma poi si esemplificarono nel concetto di“Lasciar libero il passaggio.” Oggi alcuni artisti parlano dell'atto del dipingere. Questo, nel migliore deisuoi significati, potrebbe comprendere ciò che il mio vecchio amico intendeva. Ma la preparazioneprincipale è lo Stato d'Animo e l'azione procede da questo. La Pace interiore è un altro ideale, forse lostato ideale da ricercare nella pittura, e certamente è preparatorio all'atto del dipingere.»2<strong>Mark</strong> <strong>Tobey</strong> e la storia dell'InformaleIn questa lettera <strong>Tobey</strong> fa riferimento agli artisti americani dell’action painting. Certe forme della sua artepossono suggerire una similitudine con alcune opere di Pollock ma, come egli stesso sottolinea, lospirito che guida la creazione è completamente diverso, addirittura antinomico. I drippings di Pollocksono costruiti a partire da proiezioni di pittura sulla tela. I quadri prendono la forma di arabeschi colorati,realizzati su una tela posta direttamente per terra, in cui non prevale alcun senso di lettura. Jackson2Kuh, Katharine, « Conversation avec <strong>Mark</strong> <strong>Tobey</strong> » in <strong>Mark</strong> <strong>Tobey</strong>, catalogo della mostra alla WhitechapelGallery , Londra, 1962.


Pollock è uno dei rappresentanti di ciò che il critico Harold Rosenberg ha definito action painting, unapittura gestuale che richiede un coinvolgimento fisico dell'artista con la superficie dell'opera. E, comesottolinea <strong>Tobey</strong>, la pace interiore e la meditazione non presiedono alla creazione; al contrario, alla basedell'azione creatrice vi è un'irrequietudine corporea e un'esaltazione mentale lontane dai precetti ai quali<strong>Tobey</strong> aderisce. In Europa, alcuni rappresentanti dell'astrazione lirica mostrano parallelismi più evidenticon i suoi concetti fondamentali. Georges Mathieu, in particolare, ha arricchito la sua opera con laconoscenza della calligrafia e dell'arte giapponese. Tramite i suoi amici Imaï e Teshigahara, egli si eraavvicinato a questa filosofia di cui comprendeva l'interesse superiore, definendo se stesso un« calligrafo intuitivo ». Nella Abstraction prophétique Mathieu sottolinea i legami profondi che unisconol'Oriente e l'Occidente, e affronta l'aspetto di complementarità dei pensieri occidentale e orientale: «LoZen, via dell'illuminazione repentina, ci invita a cogliere la Verità come un'intuizione diretta e non comeun'astrazione intellettuale. Non derivando dal ragionamento, essa appare come una presenza, unavisione nel vuoto, che suscita una morale dinamica vicina (…) a queste parole del Maestro Eckart: « Piùche me stesso, io sono ciò che mi assorbe »3. Così, l'Astrazione Lirica integra la nozione di rischio esuggerisce una disciplina e un'ascesi ignote alle estetiche anteriori del nostro Occidente. Nel 1957,Georges Mathieu compì un viaggio decisivo in Giappone, che confermò le sue intuizioni ma che gli rivelòanche « la grande distanza che ci separa da questo popolo, forse il più raffinato del mondo ». Perché, ineffetti, è difficile raggiungere i principi millenari di una civiltà così complessa. Si può solamente sfiorarnegli aspetti più immediatamente accessibili, avendo la coscienza di una forza che, per noi occidentali,resta misteriosa e incredibilmente lontana. Sia Mathieu che <strong>Tobey</strong> sono stati apprezzati in Giappone. Ilriconoscimento delle astrazioni occidentali da parte degli artisti giapponesi ha contribuito a determinareun'influenza reciproca. Del resto, nel 1937 Saburō Hasegawa pubblicò un libro intitolato l’<strong>Arte</strong> Astratta,nel quale sottolineava già i legami fra l'arte astratta e la calligrafia. Nel 1951, in una rivista specializzatadella regione di Kyoto - Bokubi (estetica dell'inchiostro) - presentò alcuni artisti occidentali fra cui FranzKline, Pierre Tal Coat e <strong>Mark</strong> <strong>Tobey</strong>, preconizzando futuri progetti condivisi. Fu così che nella primametà degli anni '50 nacque in Giappone una calligrafia non figurativa, che non rappresentava uncarattere avente un significato letterale. Come gli oggetti di ceramica privi di ogni funzione pratica ecome le mostre di ikebana in cui non vengono utilizzati vegetali « viventi », questa calligrafia fece parlaredi sé come di una creazione rivoluzionaria.Sottolineiamo anche il ruolo svolto da Michel Tapié, critico francese autore di « Un art autre » (« Un'artealtra ») e promotore dell'arte Informale attraverso l'accostamento di artisti europei, americani egiapponesi quali <strong>Tobey</strong>, Kline, Francis, Dubuffet, Fautrier, Mathieu, Wols, Hartung, Capogrossi, Fontana,Burri, Accardi, i Lettristi francesi, Domoto, Arai, Imai, Onishi, Suzuki, Teshigahara e il gruppo Gutaï. Nelcorso degli anni 1950-1960, Michel Tapié si dedica essenzialmente alla promozione culturale di questaart autre, corrente identificata nel 1952 all'interno del movimento Informale, della quale assicurerà ladiffusione nell'ambiente artistico e dei collezionisti durante tutto il decennio. A partire dal 1946, eglisostiene questi giovani artisti informali, che altri non sono che Dubuffet, Hartung, Mathieu, Wols,Michaux, Riopelle, Bryen, Pollock e gli italiani Capogrossi e Burri. Si reca a Torino per organizzare lamostra internazionale "<strong>Arte</strong> Nuova" nel 1956 e presentare per la prima volta, nel 1959 al Circolo degliArtisti, l'action painting americana, la Scuola del Pacifico e il gruppo giapponese Gutaï. Al di là di questaalleanza universale proposta dal critico francese, <strong>Tobey</strong> è più spesso associato ad alcuni artistiamericani fra cui in particolare Morris Graves, Kenneth Callahan e Guy Anderson, con i quali costituiscequella che si decise di chiamare « Northwest School ».1938-1950: gli anni a Seattle, la « White Writing »Nel 1939, dopo un viaggio in Turchia, <strong>Tobey</strong> torna a Seattle, pensando di rimanervi solo per un breveperiodo. A causa degli eventi internazionali, tuttavia, egli è costretto a rimandare il suo ritorno a Londra.Questo imprevisto della storia lo blocca in una regione che egli ha lasciato da sette anni e lo obbliga aricominciare da zero. Nonostante le difficoltà economiche che lo tormentano, <strong>Tobey</strong> trae grandisoddisfazioni dal suo lavoro e dalla scoperta della musica. Studia pianoforte e teoria della musica,approfondisce le sue ricerche sulla « scrittura bianca », che egli ha adottato dal 1935, e sviluppa nel1942 la sua esperienza calligrafica. Questo periodo è segnato da numerose esposizioni: a New York, nel1944 e nel 1951, a Parigi, presso la Galerie Jeanne Bucher, nel 1955. Nel 1956 riceve il GuggenheimInternational Award; nel 1958 presenta una retrospettiva presso il Seattle Art Museum e riceve il GranPremio Internazionale per la Pittura alla Biennale di Venezia.Il periodo di Seattle è ricco di composizioni pittoriche ispirate alla città e alla vita cittadina: scene dimercato, temi religiosi, eseguiti con la tecnica della « white writing ». Uno dei primi esempi è latempera Atmosphère de Broadway (1936, New York, M.o.M.A.), seguita da una serie di dipinti della3Citato in L’aventure prométhéenne de Georges Mathieu, di Jacqueline Aimé, pag. 59, ed. du Garde-temps,Parigi 2005.


stessa ispirazione, gli uni descrittivi, gli altri puramente ritmici. Sempre nello stesso periodo, <strong>Tobey</strong> ebbel'intuizione del all over, la tela interamente ricoperta di segni senza centro né profondità, in cui laleggibilità del motivo scompare. Ciononostante egli rimane fedele alla figurazione fino al 1945, comedimostra Torse balafré del 1945 (Parigi, M.N.A.M.) o Bearded man with hat, 1948, presente in mostra.Egli scrive: « Sentivo di aver trovato un'equivalenza tecnica che mi permetteva di catturare ciò che miinteressava in modo particolare. Le luci, i cavi elettrici dei tram, quel flusso umano diretto che passaattraverso e attorno, tracciano delle linee in fondo non molto diverse da quelle della clorofilla tra lenervature di una foglia. (…) Come i primi cubisti, non osavo utilizzare il colore perché i problemi eranogià abbastanza complicati così. Il colore, naturalmente, torna in un secondo momento. »4 La lineabianca disegna un movimento di luce, un messaggio dinamico che ispira una lettura globale e, più cheuna lettura, un sentire che va oltre la costruzione e la rappresentazione sino a raggiungere una visionenello spazio. <strong>Tobey</strong> spiega: « Striature di luce: i movimenti delle linee bianche simboleggiano la lucecome concetto unificante che scorre attraverso unità vitali separate, restituendo agli intelletti umani unadinamica che espande continuamente la loro energia verso una relatività più grande ». In linea generale,queste linee bianche sono applicate su uno sfondo scuro che fa risaltare la moltiplicazione delle linee,suggerendo una struttura che può richiamare alla mente l'immagine di un'architettura, una natura morta,un paesaggio... Queste opere sono eseguite su carta, a pastello o a tempera; alcune fra essemescolano la sottigliezza della linea allo spessore del tratto realizzato con il pennello, che diconseguenza è più largo e modulato.Presto <strong>Tobey</strong> rinuncia alla scrittura bianca per adottare una nuova maniera, scura, che egli approfondiràfino al 1953, anno in cui il bianco riappare come elemento dominante. Se egli si ispira sempre alla suaosservazione della natura e rifiuta l'« <strong>astratto</strong> », che non avrebbe alcuna affinità con la vita, prediligedifferenziare i mezzi e gli stili della sua scrittura pittorica per scoprire le più recondite corrispondenze fra isuoi impulsi interiorizzati e i ritmi dell'universo.L'arte di <strong>Mark</strong> <strong>Tobey</strong> cerca di abolire i confini spaziali e temporali dell'opera. Lo spazio è un concettovisivo che <strong>Tobey</strong> può suggerire attraverso la densità dei fili intrecciati, ma anche attraverso il vuoto.Perché l'arte di <strong>Tobey</strong> rinuncia alla terza dimensione e all'illusione della prospettiva che l'umanesimo delRinascimento - ancorato ad un materialismo che <strong>Tobey</strong> intende evitare - ci insegna. L'arte di <strong>Tobey</strong>supera la vocazione visiva dell'opera per raggiungere l'immaterialità e il vuoto che ha appreso daicalligrafi cinesi e giapponesi, i quali nel vuoto vedono il grado più elevato della forza creativa. Lo spazioè un concetto che supera il visivo e che lo interessa più della sfera materiale della tela. Al di là dellarappresentazione tridimensionale, egli ricerca ciò che « potrebbe davvero toccare ». In questo, è moltovicino alle idee sviluppate in Europa, in particolare da Fontana nella sua teoria dello Spazialismo. Laricerca di una quarta dimensione, di un'energia immateriale, più suggerita che tangibile, deriva daldesiderio di raggiungere tutti i sensi al di là della visione analitica e razionale.Il periodo della maturitàDopo il 1950 i quadri di <strong>Mark</strong> <strong>Tobey</strong> evolvono. Egli abbandona « la scrittura bianca » a vantaggio dellatonalità scura. La sua pittura fluttua tra una « rappresentazione » relativa (il suo attaccamentoall'elemento umano che egli esprime in alcuni ritratti, autoritratti e scene religiose) e opere più informalinelle quali i paesaggi sono trattati con tecniche lineari secondo un disegno tattile e percepibile. La suatecnica è basata su piccoli gesti ben controllati della mano e del polso; egli dipinge, disegna o graffia lasuperficie della carta e della tela. Nel 1952 <strong>Tobey</strong> s'immerge nella maniera scura, poi, nel 1953, il biancotorna ad essere dominante. Le composizioni diventano verticali e si ordinano attorno all'elemento unicoche suggerisce una sagoma, un elemento naturale, un totem. Dancer (1954), presente in mostra, èalquanto caratteristico di questo periodo.Nel 1957 realizza una serie di « Sumi » (alcuni presenti in mostra) secondo la tecnica giapponese. IlSumi-e è un disegno eseguito a inchiostro, secondo una tecnica monocroma nata in Cina e poi ripresa,grazie ai monaci buddisti zen, dagli artisti giapponesi nel XIV secolo. Il Sumi-e rappresenta una formad'arte a se stante e corrisponde ad una filosofia. Il Sumi-e è l'espressione della percezione dell'artista etrasmette l'essenza di ciò che rappresenta, pianta, animale, etc. Contrariamente a ciò che accade nellapittura occidentale, il suggerimento sostituisce il realismo. <strong>Tobey</strong> utilizza quindi solo l'inchiostro nero che,secondo l'insegnamento dei maestri zen, corrisponde alla più elevata semplificazione del colore. Questapratica gli permette di affinare la propria ricerca della struttura e del ritmo, sublimando la sua arte inun'esperienza mentale e metafisica.Durante questo periodo, <strong>Tobey</strong> vive a New York, viaggia in Svezia, soggiorna a Nizza e a Parigi dove haluogo la sua prima esposizione parigina presso la galleria Jeanne Bucher (1955), trascorre un breve4Citato in <strong>Mark</strong> <strong>Tobey</strong>, catalogo della mostra omonima presso il Palais du Louvre, ed. Musée des Arts Décoratifs,Parigi, 1961, biografia.


periodo a Seattle per poi tornare a New York. Nel 1958 riceve il Gran Premio della Biennale di Venezia.Nel 1959 soggiorna nuovamente a Parigi e nel 1960 si stabilisce definitivamente a Basilea. Sembra chequesto eterno vagabondo abbia infine raggiunto un porto, dove trova il sostegno incondizionato dellagalleria Beyeler. Intraprende allora una vita solitaria, ritirata dal mondo, situazione privilegiata che glipermette di sperimentare, nella calma e nel silenzio, molteplici tecniche sempre nuove. Lavora condiversi materiali, dall'olio all'acquerello, dalla carta fabbricata a mano alla pelle di camoscio, dalla fogliad'oro alla pittura a colla. Sperimenta la stampa litografica in un desiderio di rinnovamento e di ricercacontinua. Si lascia distrarre solamente dalla sua passione per la musica, alla quale dedica diverse ore algiorno. Bach, Beethoven, Schumann, Debussy, Gershwin e naturalmente il Blues. I musicisti jazzdiventano oggetto di una serie di disegni nei quali la vitalità e il ritmo accompagnano una musicaimpercettibile ma presente nella vivacità e nello slancio del tratto.Le opere di questo periodo, numerose delle quali sono presenti in mostra, illustrano la molteplicità dellericerche e dei supporti. Così, ad esempio, Untitled (buste de femme) è un pastello misto su cartapregiata. Eseguita nel 1960, quest'opera trasmette una sensazione leggera, quasi umoristica. Alcunelinee tracciate delicatamente, a forma di onde, permettono di intravvedere i vortici obliqui e la grana dellacarta. Trees in autum, tempera su papier froissé, utilizza anch'esso la superficie della carta peraggiungere all'opera dettagli e struttura. È una composizione astratta di blu, grigio e bianco, la cuiluminescenza - benché l'immagine scaturisca piuttosto dal titolo - evoca la forma dei rami spogli sullosfondo di un cielo autunnale sbiadito.<strong>Mark</strong> <strong>Tobey</strong> riceve numerosi riconoscimenti internazionali. Nel 1961 riceve il Primo Premio del CarnegieInstitute di Pittsburgh ed espone a Parigi al Musée des Arts Décoratifs. Nel 1962 il Museum of ModernArt di New York organizza una nuova retrospettiva della sua opera. Nel 1966 <strong>Tobey</strong> compie un viaggioad Haïfa e a Madrid, dove la visita al Prado lo segna profondamente, turbando il suo spirito eamplificando le sue esigenze. La sua vita e la sua arte sono indissociabili, secondo quella caratteristicadi unità alla quale il suo universo religioso esorta. Nella filosofia di <strong>Tobey</strong> non c'è alcun confine fral'estetica e gli imperativi materiali e spirituali. Ogni divisione deve essere superata e ogni antagonismorisolto. La sua ricerca si manifesta sia nella sua arte sia nella sua pratica religiosa e mistica. Questo lorese una persona difficile ed esigente, poco incline a scendere a compromessi con la società, il cheforse spiega la sua prolungata assenza dalla scena internazionale. La sua opera, malgrado il postoindiscutibile che essa occupa nella storia, non ha dato luogo alle speculazioni che determinano laposterità di un'opera attraverso i profitti che ne risultano. Benché sempre presente nelle gallerierinomate (Beyeler, Jeanne Bucher…), i suoi ultimi anni in Europa lo hanno escluso dal predominantemercato americano, che stabilisce le quotazioni e la notorietà e che mai gli perdonò di aver abbandonatogli Stati Uniti.<strong>Mark</strong> <strong>Tobey</strong>, definito « il vecchio maestro della giovane pittura americana », muore a Basilea il 24 aprile1976, lasciando un'opera di un'importanza internazionale che resta ancora da scoprire.

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