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Cassazione: illegittimo il licenziamento disciplinare se nella ... - Ospol

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<strong>Cassazione</strong>: <strong><strong>il</strong>legittimo</strong> <strong>il</strong> <strong>licenziamento</strong> <strong>disciplinare</strong> <strong>se</strong> <strong>nella</strong> contestazionedell'addebito le motivazioni sono insufficientiIn materia di sanzioni disciplinari, "la previa contestazione dell'addebito ha lo scopo di con<strong>se</strong>ntire allavoratore l'immediata difesa e deve con<strong>se</strong>guentemente rivestire <strong>il</strong> carattere della specificità,integrato esclusivamente qualora vengano fomite le indicazioni necessarie ed es<strong>se</strong>nziali perindividuare, <strong>nella</strong> sua materialità, <strong>il</strong> fatto o i fatti nei quali <strong>il</strong> datore di lavoro abbia ravvisatoinfrazioni disciplinari."E' quanto affermato dalla Corte di <strong>Cassazione</strong> che, con ordinanza n. 14880 del 13 giugno 2013, harigettato <strong>il</strong> ricorso pre<strong>se</strong>ntato da un Comune che, relativamente al requisito della specificità dellecontestazioni addebitate al lavoratore, sosteneva che <strong>il</strong> complessivo contenuto della lettera dicontestazione degli addebiti fos<strong>se</strong> del tutto idoneo ad assolvere alla funzione sua propria dicon<strong>se</strong>ntire al lavoratore di e<strong>se</strong>rcitare <strong>il</strong> proprio diritto di difesa, <strong>se</strong>nza dover rispettare rigidi canonidi specificità, pari a quelli che presiedono la formulazione dell'accusa nel processo penale.La Suprema Corte ha precisato che "<strong>nella</strong> specie, esaminato <strong>il</strong> contenuto delle contestazionidisciplinari, i Giudici di appello hanno r<strong>il</strong>evato come la presunta scorrettezza da cui è sorta tutta lavicenda non fos<strong>se</strong> stata nemmeno contestata, ma "del tutto tardivamente ripresa comemotivazione es<strong>se</strong>nziale dell'atto con cui è stata inflitta la sanzione"."La Corte territoriale ha poi r<strong>il</strong>evato che in nessuna delle contestazioni si è fatto riferimento a eventispecifici, e che, di con<strong>se</strong>guenza, considerato come "<strong>nella</strong> lettura delle contestazioni disciplinari nonè con<strong>se</strong>ntito proceder per tentativi, scandagliando le possib<strong>il</strong>i intenzioni di chi ha redatto l'atto", nonsi sarebbe potuto concludere che per l'accoglimento dell'appello.Trattasi - <strong>se</strong>condo i giudici di legittimità - di una motivazione congrua, che sottolineal'inadeguatezza dell'atto di contestazione rispetto allo scopo suo proprio di precisare e di delinearesin da subito l'ambito del contrasto. A tale interpretazione della lettera di contestazione la partericorrente si limita ad opporre una diversa lettura, <strong>se</strong>nza evidenziare veri e propri vizi di valutazionedei Giudici del merito.<strong>Cassazione</strong>: diminuzione del carico di lavoro e giusta causa di <strong>licenziamento</strong>di Licia Albertazzi - Corte di <strong>Cassazione</strong> Civ<strong>il</strong>e, <strong>se</strong>zione lavoro, <strong>se</strong>ntenza n. 14319 del 6 giugno2013. In tema di legittimità della giusta causa addotta dall'impresa nel licenziare un propriodipendente <strong>il</strong> giudice deve valutare le motivazioni caso per caso, valutando nel concreto <strong>il</strong> realeas<strong>se</strong>tto aziendale nonché <strong>il</strong> ruolo che <strong>il</strong> dipendente ha all'interno dell'azienda. Nel caso in oggetto <strong>il</strong>lavoratore licenziato ha promosso ricorso avverso la <strong>se</strong>ntenza del giudice d'appello che ha ritenutolegittimo <strong>il</strong> <strong>licenziamento</strong>, statuizione intervenuta in riforma ad una prima <strong>se</strong>ntenza di merito cheaveva invece visto prevalere le ragioni del privato. Il <strong>licenziamento</strong> sarebbe infatti derivato daunanotevole riduzione dell'attività amministrativa di registrazione e di caricamento delledichiarazioni e delle ricezioni dal pubblico a cui era addetto <strong>il</strong> dipendente, con con<strong>se</strong>guente nettadiminuzione dei ricavi.A ciò si è sommata la circostanza che al dipendente sarebbe stata proposta una trasformazionedell'orario di lavoro da full a part time, ma questa soluzione sarebbe stata rifiutata. In <strong>se</strong>condogrado la società avrebbe dunque dimostrato come, in tali circostanze, <strong>il</strong> <strong>licenziamento</strong> dellavoratore sarebbe stato inevitab<strong>il</strong>e. La <strong>Cassazione</strong> ribadisce come essa non possa entrare nelmerito della decisione assunta dal giudice d'appello, es<strong>se</strong>ndo la soluzione adottata ragionevole ela motivazione logica e priva di vizi di sorta. La Suprema Corte si è limitata ad accertare che "<strong>il</strong><strong>licenziamento</strong> della ricorrente, lungi dall'es<strong>se</strong>re stato arbitrariamente adottato, era causalmentecollegato ad un'effettiva sopravvenuta riduzione dell'attività aziendale nel <strong>se</strong>ttore amministrativo".Circa l'eventuale integrazione da parte del datore di <strong>licenziamento</strong> ritorsivo la <strong>Cassazione</strong>esclude l'integrarsi di tale fattispecie; infatti "in tema di provvedimento del datore di lavoro acarattere ritorsivo, l'onere della prova su tale natura dell'atto grava sul lavoratore, potendo essoes<strong>se</strong>re assolto con la dimostrazione di elementi specifici, tali da far ritenere con sufficientecertezza l'intento di rappresaglia". Gli elementi che <strong>il</strong> lavoratore deve produrre in corso di giudizionon possono limitarsi a mere considerazioni astratte ma deve dimostrare "la sussistenza di unrapporto di causalità tra le circostanze pretermes<strong>se</strong> e l'as<strong>se</strong>rito intento di rappresaglia". Requisitoche <strong>il</strong> lavoratore non ha saputo integrare.Vai al testo della <strong>se</strong>ntenza 14319/2013


<strong>Cassazione</strong>: <strong>se</strong> sussistono conflitti fam<strong>il</strong>iari è legittima la nomina di unamministratore di sostegno esternodi Licia Albertazzi - Corte di <strong>Cassazione</strong> Civ<strong>il</strong>e, <strong>se</strong>zione prima, <strong>se</strong>ntenza n. 14190 del 5 giugno2013. E' legittima la nomina ad amministratore di sostegno di un professionista estraneo e nonlegato di rapporti di parentela con <strong>il</strong> beneficiario. Lo ha stab<strong>il</strong>ito la Suprema Corte <strong>nella</strong> <strong>se</strong>ntenza inoggetto, confermando la decisione già espressa dal giudice di merito. La <strong>Cassazione</strong> ha infattiaccertato che questa sarebbe la soluzione più idonea a tutelare l'interes<strong>se</strong> dell'amministrata,poiché è stata accertata la pre<strong>se</strong>nza di conflittualità interna ai fam<strong>il</strong>iari della stessa. Conflittualitàche non con<strong>se</strong>ntirebbe neanche a congiunto convivente di assumersi l'incarico mantenendo ladovuta imparzialità. Pur es<strong>se</strong>ndo stato <strong>il</strong> libero professionista successivamente sostituito con unfam<strong>il</strong>iare dell'assistita, la pronuncia in oggetto espone un principio di diritto molto importante.L'amministratore di sostegno di cui all'art. 407 cod. civ. è quella figura istituita dal legislatoreche si affianca giuridicamente all'individuo la cui capacità di agire sia carente. Ciò al fine di tutelarela gestione patrimoniale dei soggetti "deboli". Nel caso in oggetto <strong>il</strong> giudice di primo grado harigettato la domanda proposta dai fam<strong>il</strong>iari dell'amministrato circa la sua interdizione oinab<strong>il</strong>itazione, provvedendo contestualmente alla nomina di un amministratore di sostegnoprovvisorio individuato <strong>nella</strong> persona di un libero professionista. Gli interessati propo<strong>se</strong>roreclamo avverso <strong>il</strong> decreto di nomina, reclamo rigettato successivamente in <strong>se</strong>de d'appello. Ladecisione del giudice del merito è fondata sull'accertata esistenza tra i fam<strong>il</strong>iari del tutelato di ungrave conflitto che avrebbe impedito la normale collaborazione richiesta tra amministrato eamministratore. Inoltre, gli interessati non avrebbero adeguatamente provato di es<strong>se</strong>re i soggettipiù idonei ad accollarsi la responsab<strong>il</strong>ità d'amministrare <strong>il</strong> patrimonio del soggetto amministrato.La Suprema Corte, dopo aver rigettato la richiesta di pronuncia di nullità del decreto impugnatopoiché non pre<strong>se</strong>nte <strong>nella</strong> sua intestazione l'indicazione di tutte le parti del giudizio principale (taleomessa indicazione non sarebbe infatti motivo di nullità del provvedimento) es<strong>se</strong>ndo la suafunzione meramente indicativa - purchè venga instaurato correttamente <strong>il</strong> contraddittorio - nonravvisa alcun difetto di motivazione della <strong>se</strong>ntenza di merito: <strong>il</strong> giudice avrebbe correttamenteesaminato gli elementi a disposizione, tenendo anche adeguatamente conto delle richiestedell'interessata, pur <strong>se</strong>mpre applicando <strong>il</strong> principio che impone <strong>il</strong> primario interes<strong>se</strong> della tutela delpatrimonio dell'amministrato. Inoltre la doglianza dei fam<strong>il</strong>iari "è inammissib<strong>il</strong>e perché privo diautosufficienza e concretezza <strong>il</strong> motivo di ricorso per omessa, insufficiente o contraddittoriamotivazione in cui non siano specificamente indicati i fatti controversi in relazione ai quali lamotivazione si assume carente, né siano indicati i prof<strong>il</strong>i di r<strong>il</strong>evanza di tali fatti".Vai al testo della <strong>se</strong>ntenza 14190/2013<strong>Cassazione</strong>: la decisione assunta aliunde dal giudice d'appello, <strong>se</strong> adeguatamentemotivata, non può es<strong>se</strong>re sindacata in <strong>se</strong>de di legittimitàdi Licia Albertazzi - Corte di <strong>Cassazione</strong> Civ<strong>il</strong>e, <strong>se</strong>zione prima, <strong>se</strong>ntenza n. 14336 del 6 giugno2013. Nel caso di specie la ex moglie ricorre in <strong>Cassazione</strong> impugnando la <strong>se</strong>ntenza d'appellostatuente l'insussistenza dell'obbligo di versamento dell'as<strong>se</strong>gno di mantenimento da partedell'ex coniuge. Il giudice di merito ha ritenuto non es<strong>se</strong>re necessario disporre indagini patrimonialiapprofondite a carico dell'ex marito poiché, dagli elementi emersi in corso di causa, non sarebbeemersa alcuna disparità patrimoniale tra i due soggetti. Durante <strong>il</strong> periodo di <strong>se</strong>parazionecon<strong>se</strong>nsuale l'ex marito avrebbe fornito alla moglie i mezzi necessari per avviare un'attivitàcommerciale autonoma, e fornirle dunque adeguato sostentamento. Le parti avevano poisottoscritto accordo regolante i rispettivi rapporti patrimoniali, contratto che era stato rispettato sinoal giudizio di divorzio.La situazione economica della ricorrente, durante <strong>il</strong> giudizio di divorzio, non è mutata; ciò èbastato a convincere <strong>il</strong> giudice d'appello a non ritenere sussistenti le condizioni di inadeguatezzapatrimoniale fondamentali per l'attribuzione dell'as<strong>se</strong>gno divorz<strong>il</strong>e. "Non era pertanto necessariodisporre le indagini patrimoniali richieste (...) non avendo r<strong>il</strong>ievo, alla luce del complesso deglielementi di fatto accertati, <strong>il</strong> rigoroso accertamento delle rispettive situazioni economicopatrimonialiai fini della decisione". La Corte d'Appello ha riscontrato che "le condizioni economicopatrimoniali degli ex coniugi non pre<strong>se</strong>ntavano disparità es<strong>se</strong>ndo (...) peggiorate" quelle dell'exmarito, rimanendo invece stab<strong>il</strong>i quelle dell'ex moglie.


"Il giudice del merito, ove ritenga aliunde raggiunta la prova dell'insussistenza dei presupposti checondizionano <strong>il</strong> riconoscimento dell'as<strong>se</strong>gno di divorzio, può procedere al rigetto dell'istanza <strong>se</strong>nzadisporre preventivamente accertamenti officiosi attraverso la polizia tributaria, atteso che l'e<strong>se</strong>rciziodi tale potere rientra <strong>nella</strong> discrezionalità del giudice, non trattandosi di un adempimento impostodall'istanza di parte". La Suprema Corte non ha riscontrato vizi di motivazione né <strong>il</strong>logicità nelragionamento del giudice di merito; di con<strong>se</strong>guenza ha rigettato <strong>il</strong> ricorso.Vai al testo della <strong>se</strong>ntenza 14336/2013<strong>Cassazione</strong>: contratto atipico di parcheggio ed eccezioni all'obbligo di custodia delmezzo da parte del gestoredi Licia Albertazzi - Corte di <strong>Cassazione</strong> Civ<strong>il</strong>e, <strong>se</strong>zione terza, <strong>se</strong>ntenza n. 14067 del 4 giugno2013. Nel caso in oggetto un privato subisce furto del veicolo posteggiato presso un parcheggioa pagamento, area di posteggio concessa in gestione dal Comune di M<strong>il</strong>ano ad un ente privato.Egli agisce avverso <strong>il</strong> gestore del parcheggio al fine di ottenere <strong>il</strong> risarcimento del danno subito. Ilgiudice di primo grado rigetta la domanda basandosi sulla circostanza che <strong>il</strong> contratto atipico diparcheggio concluso tra le parti contemplas<strong>se</strong> soltanto <strong>il</strong> godimento dello spazio messo adisposizione dal parcheggiatore e non anche un correlato vincolo di custodia. Il giudice d'appello,al contrario, accoglie la successiva impugnazione condannando l'ente gestore al risarcimento deldanno: <strong>il</strong> contratto di parcheggio godrebbe delle medesime caratteristiche del contratto dideposito, es<strong>se</strong>ndo irr<strong>il</strong>evanti eventuali clausole di esclusione della responsab<strong>il</strong>ità apposte dalgestore (ad e<strong>se</strong>mpio, cartelli attestanti la qualità di parcheggio non custodito) <strong>se</strong> non approvate periscritto dalle parti.In realtà alcune zone di parcheggio, come nel caso di specie, sarebbero state costruite inottemperanza alla legge 122/1989 e della successiva 285/1992, in corrispondenza di determinatisnodi stradali, al fine di decongestionare <strong>il</strong> traffico cittadino. Per tali tipologie non sarebbeapplicab<strong>il</strong>e la disciplina di cui agli artt. 1776 e <strong>se</strong>guenti cod. civ., con con<strong>se</strong>guente esonero dicustodia dei veicoli parcheggiati. La Suprema Corte afferma infatti che "l'istituzione da parte deiComuni, previa deliberazione della Giunta, di aree di sosta a pagamento (...) non comportal'assunzione dell'obbligo del gestore di custodire i veicoli su di es<strong>se</strong> parcheggiati <strong>se</strong> l'avviso diparcheggio incustodito è esposto in modo adeguatamente percepib<strong>il</strong>e prima della conclusione delcontratto (...) e l'univoca qualificazione contrattuale del <strong>se</strong>rvizio, reso per finalità di pubblicointeres<strong>se</strong>, normativamente disciplinate, non con<strong>se</strong>nte, al fine di costituire l'obbligo di custodia, <strong>il</strong>ricorso al sussidiario criterio della buona fede ovvero al principio della tutela dell'affidamentoincolpevole sulle modalità di offerta del <strong>se</strong>rvizio stesso". "Ne con<strong>se</strong>gue che <strong>il</strong> gestoreconcessionario del Comune di un parcheggio <strong>se</strong>nza custodia non è responsab<strong>il</strong>e del furto delveicolo in sosta nell'area all'uopo predisposta". Né le caratteristiche di "parcheggiomeccanizzato" valgono a qualificare come custodita la sosta dei mezzi in queste zone particolari.Il ricorso viene dunque respinto.Vai al testo della <strong>se</strong>ntenza 14067/2013<strong>Cassazione</strong>: discriminazione del personale femmin<strong>il</strong>e e strumenti processualiattivab<strong>il</strong>i dalla danneggiatadi Licia Albertazzi - Corte di <strong>Cassazione</strong> Civ<strong>il</strong>e, <strong>se</strong>zione lavoro, <strong>se</strong>ntenza n. 14206 del 5 giugno2013. Nel corso del tempo sono stati diversi gli interventi normativi succedutesi in temadi principio di uguaglianza e divieto di discriminazione sui luoghi di lavoro, in particolare inrelazione al genere <strong>se</strong>ssuale. Tra questi, la legge 20 maggio 1970, n. 300, <strong>il</strong> quale dedica l'interoart. 15 all'individuazione ed alla sanzione dei c.d. "atti discriminatori" in os<strong>se</strong>quio al principiodella parità dei rapporti di lavoro. Tale normativa mira a colpire con la nullità "qualsiasi patto oatto diretto a discriminare un lavoratore, tra l'altro, nell'as<strong>se</strong>gnazione di qualifiche o mansioni, neitrasferimenti e nei provvedimenti disciplinari". Importanti anche le fonti rappre<strong>se</strong>ntate dagli artt. 3,37 e 51 della Costituzione e da alcuni interventi in ambito CEE, nonché della legge n. 903 del 9dicembre 1977 (parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro). Sulla ba<strong>se</strong> diquest'ultima legge è possib<strong>il</strong>e ricorrere all'autorità giudiziaria per denunciare discriminazione delpersonale femmin<strong>il</strong>e soltanto in merito alle fattispecie di eccesso di carico di lavoro edi as<strong>se</strong>gnazione di orari notturni.


Nel caso di specie una dipendente lamenta in primo grado la mancata as<strong>se</strong>gnazione al ruolo difunzionario - posizione a cui da tempo aspirava - per motivi discriminatori basati sul genere<strong>se</strong>ssuale, sussistendo all'epoca tutti i requisiti necessari, di fatto e contrattuali, per permetterne lapromozione. Ad un rigetto di primo grado è <strong>se</strong>guito un accoglimento del gravame da parte dellaCorte d'Appello. Promuove ora ricorso <strong>il</strong> datore di lavoro lamentando vizio di motivazione della<strong>se</strong>ntenza del giudice di legittimità, fondata su elementi probatori non precisi né concordanti; lapromozione di alcuni colleghi di <strong>se</strong>sso masch<strong>il</strong>e sarebbe infatti avvenuta non singolarmente manell'ambito di una tornata di promozioni collettive e l'autorità giudicante non avrebbe fornito alcunamotivazione valida volta a dimostrare la sussistenza di discriminazione nel trattamento dellaresistente rispetto al trattamento ri<strong>se</strong>rvato agli altri candidati.La Suprema Corte afferma come sia possib<strong>il</strong>e per la lavoratrice discriminata agire ex l. 903/1977soltanto nei due casi sopra citati; "per qualunque altra condotta discriminatoria (...) l'unicostrumento processuale ut<strong>il</strong>izzab<strong>il</strong>e continua ad es<strong>se</strong>re l'azione ordinaria di nullità di cui all'art. 15dello Statuto dei Lavoratori". Pro<strong>se</strong>gue poi la <strong>Cassazione</strong> <strong>il</strong>lustrando come in dottrina e ingiurisprudenza si siano delineate le due figure della discriminazione diretta e indiretta,intendendosi con la <strong>se</strong>conda "ogni trattamento pregiudizievole con<strong>se</strong>guente alla adozione di criteriche svantaggiano in modo proporzionalmente maggiore i lavoratori dell'uno o dell'altro <strong>se</strong>sso eriguardino i requisiti non es<strong>se</strong>nziali allo svolgimento dell'attività lavorativa". L'onere di provare talediscriminazione resta tuttavia a carico della presunta danneggiata; prova che nel caso di specienon è stata raggiunta, non avendo gli elementi prodotti nel corso del giudizio di merito i caratteridella gravità, della precisione e della concordanza. Per questo motivo la <strong>Cassazione</strong> accoglie <strong>il</strong>ricorso e cassa la <strong>se</strong>ntenza impugnata, decidendo nel merito col rigetto della domanda inizialedella lavoratrice.CASS. ord. 14329/2013 - Viola la Costituzione imporre <strong>il</strong> DIVORZIO per <strong>il</strong>MUTAMENTO DI SESSO (dr. Marco GATTUSO, Trib. Bologna)I lettori di Studio Cataldi conoscono già <strong>il</strong> Dott. Marco Gattuso, Magistrato ora in <strong>se</strong>rvizio presso<strong>il</strong> Tribunale di Bologna, per i contributi di <strong>se</strong>ntenze, note, analisi.Ricordiamo, in particolare, quanto pubblicato sotto la data del 19 marzo 2012 quando era ancorapresso <strong>il</strong> Tribunale di Reggio Em<strong>il</strong>ia; <strong>il</strong> contributo era dedicato alla rivoluzionaria <strong>se</strong>ntenzadella <strong>Cassazione</strong> n. 4184/2012, mentre <strong>il</strong> 5 apr<strong>il</strong>e 2012, in margine ad una significativa pronunciadella sua Collega dell'epoca, Dott.ssa Tanasi, richiamammo le considerazioni del Dott. Gattusounitamente al dettagliato articolo dell'Avv. Ilaria Corridoni dell'8 febbraio 2010, sv<strong>il</strong>uppato inprevisione della nota pronuncia della Corte Costituzionale n. 138/2010.Ora riceviamo e ben volentieri pubblichiamo un lavoro dedicato all'ordinanza interlocutoriadella Corte di <strong>Cassazione</strong>, Sez. I Civ<strong>il</strong>e, n. 14329/2013, 6 giugno 2013 - Pres. Maria GabriellaLuccioli, Est. Maria Acierno, con Maria Rosaria Cultrera, Pietro Campan<strong>il</strong>e ed AntonioLamorge<strong>se</strong> a completare <strong>il</strong> collegio degli Ermellini - che ha ritenuto la legge n. 164 del 1982 sulmutamento di <strong>se</strong>sso sospetta di legittimità costituzionale <strong>nella</strong> parte in cui contemplerebbelo scioglimento automatico del matrimonio in caso di mutamento di <strong>se</strong>sso di uno dei coniugi.Nel collegio di difesa dei ricorrenti figura, con l'Avv. Anna Maria Tonioni, Francesco B<strong>il</strong>otta,insigne giurista; <strong>il</strong> S.C. ha disposto la trasmissione immediata degli atti e dell'ordinanza alla CorteCostituzionale ed ha sospeso <strong>il</strong> giudizio.Va ricordato che <strong>il</strong> Tribunale di Modena aveva accolto la domanda di rettificazione delleannotazioni di stato civ<strong>il</strong>e e la loro cancellazione; poi, la Corte di Appello di Bologna ha recepito<strong>il</strong> reclamo del Ministero dell'Interno, risultato vittorioso e che ora riveste in <strong>Cassazione</strong> <strong>il</strong> ruolo dicontroricorrente.<strong>Cassazione</strong>: avviso di accertamento tributario e motivazione degli atti perrelationemdi Licia Albertazzi - Corte di <strong>Cassazione</strong> Civ<strong>il</strong>e, <strong>se</strong>zione quinta, <strong>se</strong>ntenza n. 14189 del 5 giugno2013. La legge 212/2000 all'art. 7 (statuto dei diritti del contribuente) prescrive l'obbligo dimotivazione degli atti dell'amministrazione finanziaria. Nel caso di specie, un privato proponericorso avverso <strong>se</strong>ntenza di merito contemplante la legittimità dell'avviso di accertamento notificatoal ricorrente, relativo ai versamenti IVA per l'anno 2000, lamentando carenza di motivazionedell'atto stesso.


Il privato ricorre in <strong>Cassazione</strong> denunciando difetto ed <strong>il</strong>logicità di motivazione della <strong>se</strong>ntenzaimpugnata, nonché violazione di legge. Pronunciandosi sul punto ricorda la Suprema Cortecome "l'obbligo di motivazione degli atti tributari può es<strong>se</strong>re adempiuto anche per relationem,ovverosia mediante <strong>il</strong> riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, acondizione che questi ultimi siano allegati all'atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca <strong>il</strong>contenuto es<strong>se</strong>nziale, per tale dovendosi intendere l'insieme di quelle parti (oggetto, contenuto edestinatari) dell'atto o del documento che risultino necessarie e sufficienti per sostenere <strong>il</strong>contenuto del provvedimento adottato". L'importante è che dall'avviso di accertamento siapossib<strong>il</strong>e, per <strong>il</strong> contribuente e per <strong>il</strong> giudice in caso di controversia, "individuare i luoghi specificidell'atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi dellamotivazione del provvedimento". Di fatto tale allegazione è venuta a mancare, anche <strong>se</strong> <strong>il</strong>contribuente è venuto comunque in pos<strong>se</strong>sso di elementi ut<strong>il</strong>i a predisporre la propria difesa; la<strong>se</strong>ntenza viene dunque cassata con rinvio.Vai al testo della <strong>se</strong>ntenza 14189/2013<strong>Cassazione</strong>: legittimo <strong>il</strong> <strong>licenziamento</strong> <strong>se</strong> <strong>il</strong> dipendente perde i requisiti di leggedi Licia Albertazzi - Corte di <strong>Cassazione</strong> Civ<strong>il</strong>e, <strong>se</strong>zione lavoro, <strong>se</strong>ntenza n. 13239 del 28 Maggio2013. Tra le giuste cau<strong>se</strong> di <strong>licenziamento</strong> ex art. 2119 cod. civ. si annovera anche la perditadel titolo necessario allo svolgimento di una determinata mansione. E' ciò che ha statuito laSuprema Corte <strong>nella</strong> <strong>se</strong>ntenza in oggetto, confermando la legittimità del recesso del datore d<strong>il</strong>avoro nei confronti della dipendente, una massokinesiterapista che, a <strong>se</strong>guito dell'introduzionedella riforma delle professioni sanitarie, non risulta più dotata dei requisiti di legge. Lasopravvenuta mancanza dell'attestato di frequenza del corso triennale richiesto dalle nuove normecostituisce inoltre inadempimento parziale ai <strong>se</strong>nsi dell'art. 1464 cod. civ., integrando altresìgiusto motivo di recesso contrattuale per <strong>il</strong> datore, parte non interessata a ricevere unadempimento solo parziale.Al fine di stab<strong>il</strong>ire la possib<strong>il</strong>ità di recesso ex art. 1464 cod. civ. occorre "stab<strong>il</strong>ire di volta in volta <strong>se</strong>vi sono elementi in grado di rendere oggettivamente prevedib<strong>il</strong>e la cessazione dell'impossib<strong>il</strong>ità ed<strong>il</strong> tempo occorrente" per ricollocare la risorsa priva dei rispettivi requisiti; "potendo, in tale contesto,le ragioni organizzative dell'impresa giustificare l'interes<strong>se</strong> alla risoluzione del rapporto di lavoroanche in caso di as<strong>se</strong>nza prevedib<strong>il</strong>mente di breve durata, come, al contrario, escludernel'interes<strong>se</strong> in caso di as<strong>se</strong>nza prevedib<strong>il</strong>mente prolungata, ma pur <strong>se</strong>mpre entro i confini dellaragionevolezza". Le ragioni organizzative aziendali sono dunque interes<strong>se</strong> es<strong>se</strong>nziale meritevoledi tutela e, <strong>se</strong> adeguatamente motivate, prevalgono sull'interes<strong>se</strong> del lavoratore "irregolare" almantenimento dell'impiego.Inoltre, non es<strong>se</strong>ndo stata la ricorrente in grado di provare di detenere i requisiti per poterespletare altre funzioni all'interno dell'azienda, la <strong>Cassazione</strong> avalla così la decisione del giudice dimerito, respingendo <strong>il</strong> ricorso e confermando <strong>il</strong> <strong>licenziamento</strong>.Vai al testo della <strong>se</strong>ntenza 13239/2013<strong>Cassazione</strong>: <strong><strong>il</strong>legittimo</strong> <strong>il</strong> <strong>licenziamento</strong> per superamento del periodo di comporto <strong>se</strong>le as<strong>se</strong>nze dal <strong>se</strong>rvizio sono dovute a mobbingLa Corte di <strong>Cassazione</strong>, con <strong>se</strong>ntenza n. 14643 dell'11 giugno 2013, ha dichiarato l'<strong>il</strong>legittimità del<strong>licenziamento</strong> per superamento del periodo di comporto nel caso in cui lo stato di malattia (nelcaso di specie, la depressione) sia dovuto al mobbing subito all'interno dell'azienda.La dipendente di una società, con mansioni di impiegata di <strong>se</strong>condo livello, veniva licenziata persuperamento del periodo di comporto; sosteneva però che la malattia per la quale aveva superato<strong>il</strong> periodo di comporto (frequenti stati depressivi, ansie e crisi di panico) era stata causata dademansionamento <strong><strong>il</strong>legittimo</strong> e da altri comportamenti datoriali integranti la condotta dimobbing.Tale impostazione era accolta dal Giudice di primo grado, che aveva anche riconosciuto <strong>il</strong>risarcimento del danno alla persona; la Corte d'appello confermava la pronuncia ravvisando laresponsab<strong>il</strong>ità della Società datrice <strong>nella</strong> lesione della salute della dipendente che ne avevadeterminato <strong>il</strong> superamento del periodo di comporto per malattia e la con<strong>se</strong>guente <strong>il</strong>legittimità del<strong>licenziamento</strong>.


La Suprema Corte, rigettando <strong>il</strong> ricorso della Società, afferma come <strong>il</strong> convincimento dei Giudici dimerito sia sorretto da adeguata motivazione, immune da vizi di contraddittorietà o <strong>il</strong>logicità.In particolare nei confronti della lavoratrice vi fu un vero e proprio svuotamento di mansioni al fine"di rendere la vita impossib<strong>il</strong>e alla dipendente e di costringerla a dimettersi"; in tale contestooppositivo per la lavoratrice "i giudici, sia di primo grado che d'appello, hanno ritenuto, con tipicavalutazione di merito ad essi devoluta, che le as<strong>se</strong>nze per malattia della lavoratrice fos<strong>se</strong>ro dovuteall'<strong><strong>il</strong>legittimo</strong> e discriminatorio comportamento datoriale e che quindi non fos<strong>se</strong>ro da computare aifini del periodo di comporto".I Giudici di legittimità hanno poi ricordato <strong>il</strong> principio di diritto, al quale si è correttamente attenuta laCorte territoriale, <strong>se</strong>condo cui "per "mobbing" si intende comunemente una condotta del datore d<strong>il</strong>avoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti dellavoratore nell'ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ost<strong>il</strong>i chefiniscono per assumere forme di prevaricazione o di per<strong>se</strong>cuzione psicologica, da cui puòcon<strong>se</strong>guire la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suoequ<strong>il</strong>ibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità. Ai fini della configurab<strong>il</strong>ità dellacondotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto, r<strong>il</strong>evanti: a) la molteplicità di comportamenti dicarattere per<strong>se</strong>cutorio, <strong>il</strong>leciti o anche leciti <strong>se</strong> considerati singolarmente, che siano stati posti ines<strong>se</strong>re in modo miratamente sistematico e prolungato contro <strong>il</strong> dipendente con intento vessatorio;b) l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; e) <strong>il</strong> nesso eziologico tra lacondotta del datore o del superiore gerarchico e <strong>il</strong> pregiudizio all'integrità psico-fisica dellavoratore; d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento per<strong>se</strong>cutorio."<strong>Cassazione</strong>: as<strong>se</strong>gno di divorzio a carico dell'eredità e vizio giudiziale diultrapetizionedi Licia Albertazzi - Corte di <strong>Cassazione</strong> Civ<strong>il</strong>e, <strong>se</strong>zione prima, <strong>se</strong>ntenza n. 14195 del 6 giugno2013. Nel caso di specie l'ex marito, a <strong>se</strong>guito di passaggio in giudicato della <strong>se</strong>ntenza nondefinitiva di divorzio, muore in pendenza di giudizio di primo grado vertente circa <strong>il</strong> dirittoall'as<strong>se</strong>gno di mantenimento. La causa viene riassunta dall'ex moglie nei confronti degli eredidell'ex coniuge, i figli e la <strong>se</strong>conda moglie. La domanda di as<strong>se</strong>gno di divorzio posto a caricodell'eredità è stata accolta in primo grado e confermata anche nel <strong>se</strong>condo.Avverso tale statuizione ha promosso ricorso per <strong>Cassazione</strong> la <strong>se</strong>conda moglie del defunto,affermando che la domanda di as<strong>se</strong>gno a carico dell'eredità non sarebbe mai stata formulata infa<strong>se</strong> di riassunzione, es<strong>se</strong>ndo incorso <strong>il</strong> giudice di merito in vizio di ultrapetizione; l'ex moglieavrebbe in effetti agito per l'ottenimento dell'as<strong>se</strong>gno nei soli confronti dell'ex marito, decedutoin corso di causa. In ogni caso, l'onere di versamento dell'as<strong>se</strong>gno di divorzio nonsarebbe trasmissib<strong>il</strong>e agli eredi. "Soltanto una pale<strong>se</strong> forzatura con<strong>se</strong>ntirebbe di attribuire alriferimento all'avvenuto decesso del sig. (...) e alla formulazione della domanda nei confronti delleeredi del medesimo (...) <strong>il</strong> significato di introduzione in giudizio di una pretesa di as<strong>se</strong>gno a caricodell'eredità".La Suprema Corte riscontra sufficienti elementi per procedere alla decisione nel merito. Accoglie <strong>il</strong>ricorso ed as<strong>se</strong>gna all'ex moglie un as<strong>se</strong>gno divorz<strong>il</strong>e <strong>il</strong> cui importo deve es<strong>se</strong>re calcolato "condecorrenza dalla data del passaggio in giudicato della <strong>se</strong>ntenza di cessazione degli effetti civ<strong>il</strong>i delmatrimonio concordatario alla data della morte dell'obbligato".Vai al testo della <strong>se</strong>ntenza 14195/2013<strong>Cassazione</strong>: infortuni sul lavoro, rischio elettivo e obbligo del committente diinformare i singoli lavoratori dell'impresa appaltatricedi Licia Albertazzi - Corte di <strong>Cassazione</strong> Civ<strong>il</strong>e, <strong>se</strong>zione lavoro, <strong>se</strong>ntenza n. 14207 del 5 giugno2013. In tema di infortuni sul lavoro importanti fonti normative di riferimento sono l'art. 2087 cod.civ. e l'art. 7 d. lgs. 19 <strong>se</strong>ttembre 1994 n. 626. Il primo è espressione del principio del neminemlaedere per l'imprenditore, mentre <strong>il</strong> <strong>se</strong>condo, che disciplina l'affidamento di lavori inappalto all'interno dell'azienda, prevede l'obbligo per <strong>il</strong> committente, <strong>nella</strong>cui disponib<strong>il</strong>ità permane l'ambiente di lavoro, di adottare tutte le misure necessarie a tutelarel'integrità e la salute dei lavoratori. Non r<strong>il</strong>eva dunque la circostanza che i lavoratori impiegatisiano dipendenti di un'impresa appaltatrice; resta comunque a carico del committente l'onere difornire un'informazione adeguata ai singoli lavoratori e non soltanto all'azienda appaltatrice nel


suo complesso, sia in materia di cooperazione con l'appaltatrice per l'attuazione degli strumenti diprevenzione e protezione dei rischi connessi, sia alla disposizione dei luoghi di lavoro e circa lapre<strong>se</strong>nza di macchinari pericolosi.La Suprema Corte si pronuncia sul punto rigettando <strong>il</strong> ricorso promosso dall'azienda committente,affermando che l'omissione di tali cautele da parte dei lavoratori non è idonea ad escludere <strong>il</strong>nesso causale tra condotta ed evento lesivo, es<strong>se</strong>ndo comunque ritenuto colposo <strong>il</strong>comportamento del committente che non abbia provveduto ad onorare <strong>il</strong> vincolo d'informazione,così come stab<strong>il</strong>ito per legge. La circostanza che <strong>il</strong> lavoratore abbia dimenticato o volontariamenteomesso di adottare le cautele necessarie non può es<strong>se</strong>re considerata anomala né eccezionale; nelcaso di specie quindi non si configurerebbe <strong>il</strong> c.d. rischio elettivo.Vai al testo della <strong>se</strong>ntenza 14207/2013

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