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educare, educarsi, essere educati

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propri egoismi, con concessioni che ne rovinano la crescita.Perché una collana?Così il tradimento non solo è tollerato ma è anche sfoggiato con disinvoltura, facendo falsamente credereche a tutti capita di tradire. Ma le conseguenze, tra cui il fatto che in primo luogo si tradisce sé stessi,sono nascoste e così il tradimento, come una malattia che distrugge le radici di una pianta e alla fine lauccide, uccide l’amore. Non a caso solo un numero minimo di unioni risulta capace di rinvigorire il propriorapporto dopo un tradimento.Un esempio è questa testimonianza presentata dal dott. Roberto Cavaliere:Ho tradito un marito perfetto. Ho vissuto il mio tradimento come un forte sentimento. Ho conosciutol'altro senza cercarlo e senza volerlo. L'ho conosciuto, semplicemente, per caso, per una seriedi circostanze fortuite, e sono caduta nel suo abbraccio. Ma quello non è un abbraccio che tiospita e ti desidera, non lo hai cercato e non ti ha cercato, semplicemente ci cadi dentro e nonvuoi vedere.Non vuoi vedere perché il tuo cuore non deve vedere quello che piace al tuo corpo. Perché a volteè bello lasciare il possesso della volontà solo al tuo corpo, spegnere il cuore, gioire di sensazionifisiche, vibrare di pienezza e di appagamento fisico, perdersi e liberarsi, gridare al tuo corpo che tifa stare bene.Poi, passato quel momento, ritorni a vedere e non ti ritrovi, ricordi quel che c'è stato, ma non essendocollegato al cuore ti manca il senso di quello che è stato e vuoi solo andare via. Saluti e vaivia.E non rimane segno, perché sai che la tua felicità passa da altre braccia.Quando invece il tradimento è un forte sentimento che colpisce il cuore, ne diventi schiava.Quando dell'altro rimane il segno, i suoi occhi, i suoi lineamenti, i suoi movimenti, la sua voce nonti liberi più di tutto questo. Puoi scollegare il corpo dal cuore, il tuo corpo può continuare come unburattino a rimanere lì, obbligato dagli impegni presi, ma il cuore vola di là. La forza del sentimentofa sì che vicini o lontani, presenti o assenti, il filo del legame sia sempre ben teso e vibricontinuamente. Desideri l'altro, respiri l'altro, vivi l'altro e perdi la pace.E in casa ti senti sola. Senti d'impazzire. Vorresti non aver mai conosciuto l'altro.Luciano Folpini


IndiceEducare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>1 Prefazione..............................................................................................42 Introduzione - Che cosa significa <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>? ....................................53 La paura del fallimento...........................................................................73.1 L'angoscia di Emilia...............................................................................................73.2 I dubbi <strong>educati</strong>vi ...................................................................................................73.3 Il dialogo <strong>educati</strong>vo...............................................................................................73.4 L’affermazione di sé..............................................................................................83.5 Educare alla responsabilità ...................................................................................93.6 Educandosi insieme ..............................................................................................93.7 Come agire?........................................................................................................ 103.8 Come andarono le cose? .................................................................................... 113.9 Crescere educandosi........................................................................................... 124 Autorità e trasgressione .......................................................................144.1 La sensazione di non <strong>essere</strong> ascoltati. Il caso di Salvatore e Agata ..................... 144.2 La volontà di comprendersi ................................................................................ 154.3 Il desiderio di trasmettere .................................................................................. 164.4 Il punto di riferimento ........................................................................................ 174.5 Per <strong>essere</strong> <strong>educati</strong> .............................................................................................. 184.6 Comprendere la propria realtà ........................................................................... 194.7 Amicizia e Amore................................................................................................ 205 Il bisogno di sicurezza...........................................................................225.1 La ricerca di conferme. Il caso di Samanta .......................................................... 225.2 Un rapporto sconnesso....................................................................................... 235.3 La possibilità di una ripartenza ........................................................................... 245.4 Trasmettere sicurezza......................................................................................... 255.5 Educare al dono.................................................................................................. 265.6 Co<strong>educarsi</strong> con gli altri........................................................................................ 275.7 Che cosa si può raccogliere?............................................................................... 286 L’abbandono e la solitudine dis<strong>educati</strong>va .............................................306.1 La testimonianza di Erminia................................................................................ 306.2 I punti di riferimento <strong>educati</strong>vi ........................................................................... 316.3 I desideri irrealizzati............................................................................................ 326.4 I principi <strong>educati</strong>vi sicuri ..................................................................................... 336.5 Essere <strong>educati</strong>..................................................................................................... 356.6 I nuovi rapporti <strong>educati</strong>vi genitoriali................................................................... 357 Solitudine e incomunicabilità, difficile <strong>educare</strong> .....................................37


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>7.1 L’urgenza di una misura. Il caso di Viviana.......................................................... 377.2 Il messaggio <strong>educati</strong>vo........................................................................................ 387.3 Il messaggio <strong>educati</strong>vo........................................................................................ 397.4 Il valore del tempo per dialogare........................................................................ 407.5 Costruire relazionalità......................................................................................... 417.6 Il nuovo cammino ............................................................................................... 427.7 A proposito della solitudine <strong>educati</strong>va................................................................ 437.8 Aprirsi al futuro................................................................................................... 438 Come <strong>educare</strong> i bambini da piccoli?......................................................458.1 La percezione dei bisogni. Il caso di Gino e Maria............................................... 458.2 La collaborazione con i nonni.............................................................................. 468.3 Il differente approccio <strong>educati</strong>vo........................................................................ 478.4 Il rapporto con il mondo esterno ........................................................................ 488.5 Il tempo per i figli................................................................................................ 498.6 Il messaggio della sicurezza ................................................................................ 508.7 La speranza per il domani ................................................................................... 519 Trasgressività e scelte fuori dal coro: come <strong>educare</strong>?............................529.1 La lotta contro i valori <strong>educati</strong>vi. Il caso di Laura e Manolo ................................ 529.2 La volontà di dare per amore.............................................................................. 539.3 Permissivi e trasgressivi...................................................................................... 539.4 Dialoganti e ricostruttivi o difesi senza dialogo................................................... 549.5 Il dubbio <strong>educati</strong>vo ............................................................................................. 559.6 La scontro con la diversità. Il caso di Susanna..................................................... 579.7 L’evoluzione del progetto donna ........................................................................ 589.8 Le rivalità femminili ............................................................................................ 599.9 La ricerca del bene.............................................................................................. 609.10 Il contesto sociale............................................................................................ 619.11 Educare ai valori etici e religiosi ...................................................................... 6210 Le attese disattese.............................................................................6410.1 Il desiderio irrealizzato. Il caso di Giovanni e Donato ...................................... 6410.2 Il dialogo interrotto ......................................................................................... 6410.3 Il desiderio di capire ........................................................................................ 6610.4 Andare oltre l’inganno..................................................................................... 6710.5 La fiducia riaccordata ...................................................................................... 6810.6 Le rivendicazioni e le motivazioni.................................................................... 6811 Guida pratica per l’educazione...........................................................7111.1 Raccogliamo gli spunti..................................................................................... 7111.2 Prendersi cura del soggetto............................................................................. 7111.3 Tenere ben presente la propria storia personale............................................. 72


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>11.4 Non limitarsi a far coincidere educazione con trasmissione di principi e belleparole 7411.5 Saper stabilire contatti con ambienti esterni, specie con influsso mediatico... 7511.6 Darsi una linea <strong>educati</strong>va tendente all’unità ................................................... 7611.7 Accettare la persona, nonostante quello che non si vorrebbe......................... 7811.8 Saper correggere col superamento di rabbie e ansie....................................... 7911.9 Il senso religioso, l’educazione al valore del divino.......................................... 8011.10 Pedagogia della testimonianza: la propria credibilità ...................................... 8111.11 Rendere libera la persona: guidare ogni scelta, dare ogni mezzo .................... 8311.12 A proposito di educazione morale................................................................... 8411.13 Raccomandazione finale.................................................................................. 8612 Testimonianze...................................................................................8812.1 Nonna Lea come Gesù..................................................................................... 8812.2 Il cammino <strong>educati</strong>vo di Antonio e Camilla...................................................... 8812.3 Superare se stessi nella sfida <strong>educati</strong>va: la bellezza di dare amore ................. 8912.4 La testimonianza della famiglia Bossi: l’arte di inventarsi una vita nuova........ 9013 La pedagogia divina ...........................................................................9413.1 Il padre che crea.............................................................................................. 9413.2 Il padre che dona libertà ................................................................................. 9413.3 Il padre che vuole <strong>educare</strong> i suoi figli............................................................... 9513.4 Il padre che si dona per i suoi figli ................................................................... 9613.5 L’educazione di un’immensa famiglia.............................................................. 98


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>1 PrefazioneDon Paolo Liggeri, il sacerdote cui è dedicato questo libro, patì lunghi anni di prigionia in vari campi diconcentramento europei.Ne vide e soffrì tutti gli orrori, ma, come altri suoi compagni di sventura, non se ne lasciò schiacciare.Il lager funzionò per lui come per altre anime elette: un luogo dove, nella macerazione dell'anima, oltreche del corpo, occorreva maturare un nuovo posizionamento di sé all'interno della società, per ovviarealle piaghe e ferite di cui era coperta.Tornò forte di una nuova vocazione, di un nuovo mandato morale: dedicarsi al consolidamento dellafamiglia, non soltanto del singolo individuo!Per farlo era ormai imprescindibile una vasta opera di educazione alla famiglia: questa non era più ingrado di costruirsi da sola, come cosa semplicemente spontanea, né avrebbe retto alle infinite nuovepressioni sociali e culturali.Nel 1948 fondò il primo consultorio matrimoniale italiano.A fondamento la chiara percezione che l'educazione alla famiglia non può avvenire senza il suo concorso,senza l'esame e il confronto delle sue esperienze, della disparata casistica in cui emergono le sue crisio i suoi successi.Don Gessaga si muove con questa stessa convinzione: confrontarsi con singoli casi concreti per fare e-mergere quanto di fragile, di bisognoso di formazione culturale e morale alla vita familiare, questi casievidenzino.Il tono, e tantomeno il proposito, non è però quello di insistere sul precario stato di salute della coppia,con o senza figli; quanto di mostrare come, con opportune riflessioni sui casi presentati, ciascuno possatrovare vie solutive per la propria felicità familiare.In questo senso l'Autore non tiene a presentarsi come uno "specialista" del settore, ma come chi intendesemplicemente accompagnare, con le sue riflessioni e il suo incoraggiamento, il difficile viaggio dellacoppia nel mondo odierno.don Pier Luigi BoraccoDocente di teologia spirituale4


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>2 Introduzione - Che cosa significa <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>?È assai attuale l'argomento dell'educazione soprattutto rivolto verso le giovani generazioni che a dettadi molti non seguono quanto era invece direttamente trasmesso e raccolto dalle generazioni precedenti.Da questo rilievo più di cronaca, possiamo estrarne i contenuti per un testo che prima di tutto vuole <strong>essere</strong>un contributo sull'argomento non tanto un insieme di soluzioni (ammesso che ve ne siano) per risolverele parecchie questioni sull'educazione che interpellano oggi più che mai un po' tutte le personedalle famiglie, alla scuola, alle altre agenzie <strong>educati</strong>ve, gli Oratori e gli ambiti della vita cristiana con tuttol'associazionismo rivolto alla gioventù, nonché il vasto spazio dello sport e tempo libero.Parlare di educazione significa prima di tutto farne una specie di analisi del termine stesso che prendeconsistenza da ex-ducere, l'arte di estrarre, “tirare fuori” qualcosa di positivo da una persona. Un'arteche si affina nel tempo ma che richiede prima di tutto la pazienza di attendere con l’osservazione dellapersona che cresce per farne rilevare ogni minimo comportamento in ordine alle proprie scelte esistenziali.Educare esige volontà, tenacia, capacità di instaurare un rapporto autentico e sincero. Non si trattadi una semplice trasmissione di contenuti con lunghi discorsi, piuttosto che di pressioni psicologiche affinchévengano osservate delle norme o leggi stabilite. L'educazione necessita certamente di strumenticorrettivi e verifiche continue, ma non vuole esaurirsi nell'assunzione di regole e disposizioni quasi “piovuti”dall'alto dell'autorità. No, <strong>educare</strong> porta a credere nella bontà della persona, nel suo valore unicoe originale con la propria dinamica e mediazione. Anzi esige lo sviluppo delle capacità individuali al puntoche ciascuno sia mediatore tra i principi in cui crede e si riconosce e le proprie scelte. Per <strong>educare</strong> nonsi rende necessario immediatamente un controllo e nemmeno una concessione, <strong>educare</strong> vuole <strong>essere</strong> (elo dimostreremo lungo il testo) un percorso di arte dove creatività, intelligenza, elasticità e determinazionetrovano il punto edificante nell'amore. Amare educando, educandosi per <strong>essere</strong> <strong>educati</strong> è la piùalta e edificante scienza che si possa scoprire, è la vera scienza della vita. Ci soffermeremo del testo sulrapporto <strong>educati</strong>vo principale: la famiglia, quale ambito nel quale i genitori curano il rapporto <strong>educati</strong>vocon i figli elaborando un progetto e verificandone il percorso insieme con figli e gli altri educatori internied esterni alla famiglia.Qual è il ricordo che ciascuno di noi lascia agli altri? La capacità di aver trasmesso, o di averci provatocredendoci, dei valori che ne hanno costituito la propria esistenza, anzi che hanno conferito dignità e diremmopiena felicità. La coerenza tra quanto ciascuno afferma e ciò che poi in realtà riesce a portareavanti, dà la certezza che ogni persona è nella sua originalità irripetibile. E’ un dono, un messaggio, l'incarnazionevisibile di valori inesprimibili. Pensiamo come si può conoscere il senso di giustizia, onestà,servizio se non attraverso persone che ne hanno manifestato con la propria vita l'effettiva consistenza?O meglio ancora come sarebbe possibile fare delle proposte di vita rivolte alla coppia se non attraversomodelli coerenti tra l'azione e il pensiero?Abbiamo esaminato nel precedente testo il tema del corpo relativamente al desiderio di donarsi piuttostoche al piacere di consumarsi. Ebbene la scelta etica ed esistenziale su questi principi non sarebbepossibile senza una presa di visione di come poter vivere secondo un tipo di principio piuttosto che unaltro. Si tratta di educazione alla vita ed alla scelta che ciascuno in modo libero e consapevole vuole operare.Per scegliere è però indispensabile avere di fronte la possibilità di altre scelte valutandone ognipregio e limite e imparando a percorrere la via del bene per se stessi e per gli altri ed evitando quantopuò <strong>essere</strong> di negativo e rischioso.Conoscere se stessi in ordine a tali decisioni costituisce certamente la base per ogni percorso <strong>educati</strong>voe ciò non avviene solo quando si è fanciulli, è un cammino che inizia con l'infanzia e accompagna tutta lapropria esistenza.5


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>Educarsi coniuga gli altri verbi conoscersi e comprendersi per questo è necessaria la mediazione deglialtri, delle persone con le quali si vive insieme e ci si confronta proprio perché l'educazione dipende dallavolontà di saper raccogliere ogni spunto, provocazione e diremmo correzione che gli altri, ed in particolarela coppia genitoriale, possono offrire. Da qui il verbo coniugato educandosi, tutti siamo in camminoe dobbiamo imparare l'arte di vivere crescendo, migliorando, creando legami che siano d’intesa ecomprensione. Non è possibile pensare ad una vita nella quale ci si senta così dissoluti da non aver minimamentebisogno degli altri. Si rinuncia a un dono unico ed in ogni caso elevato: la possibilità di qualificarese stessi apprendendo dalla scuola della vita la volontà di raccogliere quanto esiste di buono, apprezzabile,vero e giusto che ci viene proposto.In altre parole il testo è un invito a riflettere sull'educazione a partire dal vissuto di alcune persone nelcontesto <strong>educati</strong>vo familiare nel quale ciascuno forma le proprie radici e pone le basi per la propriacrescita integrale. Certamente non si tratta di voler dare delle indicazioni incontrovertibili, quanto dicercare di comprendere la dinamica di scelte e comportamenti che ciascuno opera quasi senza accorgersenema che denotano la propria educazione ricevuta, raccolta e a propria volta trasmessa.6


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>3 La paura del fallimento3.1 L'angoscia di EmiliaOggi è assai facile incontrare genitori che affermano di aver fallito o in ogni caso mancato nel trasmetterel'educazione morale ai propri figli. È facile imbattersi in persone che dopo aver insegnato la via dell'onestà,dell'impegno a favore degli altri e della dedizione generosa alle persone, sono delusi dal fatto chei figli spesso disattendono tali valori. Entra la delusione si accompagna al senso di colpa come se avesserocommesso chissà quali gravi errori che hanno portato verso un apparente “fallimento” <strong>educati</strong>vo.È la situazione della signora Emilia, mamma di Gianni, un giovane di diciannove anni che improvvisamentese n'è andato senza dare una localizzazione, con una donna di quasi trent'anni già sposata e separata.Per la madre, venuta a chiedere aiuto, accompagnata dalla sorella c'è uno stato di profonda angoscia,delusione pesante e sensazione di impotenza di fronte ad una scelta così grave. Il fatto di cui nonsa darsi pace è la fuga senza alcun preavviso, una vera e propria “tegola” caduta addosso che ferisce epesa notevolmente senza darle la possibilità di capire e intervenire sul giovane sempre più fuori controllo.Che fare? Come mettersi in contatto con lui ed eventualmente farlo ritornare in famiglia?Sono le domande tremende che attanagliano la signora e la sorella, le rendono amareggiate e in preda auna profonda angoscia. Inutili le parole di conforto dei parenti. Emilia si trova in uno stato di profondacrisi prima di tutto esistenziale, oltre che familiare e materna.3.2 I dubbi <strong>educati</strong>viEmilia si domanda dove possa aver sbagliato e descrive la propria linea <strong>educati</strong>va:dire dove ho sbagliato non mi è facile. Diciamo che ho seguito da vicino il ragazzo, figlio unico, mamio marito, assai impegnato con il lavoro professionale, non ha potuto dedicare tutto il tempo necessarioa Gianni. Fin da bambino l'ho sempre accompagnato alla scuola, in palestra e nei vari luoghiche ha frequentato. Mai ho smesso di seguirlo soprattutto, quando diventando grande, ha volutoun po' più di libertà. Gli sono stata vicino, ho sempre avuto paura che potesse accadergli qualcosa,mi sono trovata a passare con lui tanto tempo anche per conoscere i suoi amici e capire cosafaceva fuori casa. Che dire? Forse che l'ho “stressato”, gli ho impedito di fare qualcosa? Non credo.Ogni suo desiderio l'abbiamo sempre assecondato. Perfino quando voleva andare in vacanza almare con un gruppetto di amici glielo abbiamo permesso, quando aveva appena raggiunto i diciottoanni, così come gli abbiamo acquistato la macchina. Non credo che non gli abbiamo dato tuttoquanto era necessario per una vita dignitosa e simile a quella dei suoi compagni.7Dove posso aver sbagliato? Nelle mie paure, è vero ho sempre temuto che potesse mettersi neiguai non per altro, ma per il fatto che essendo figlio unico si facesse trascinare dagli altri arrivandoa pensare con la testa altrui. Forse aveva bisogno di una maggior attenzione e di farsi più liberamentela sua vita. Io però ho cercato di capire tutto quello che sceglieva e faceva.3.3 Il dialogo <strong>educati</strong>voÈ difficile intuire perché un giovane ventenne se ne va con una signora maggiore di dieci anni e senzadarne notizia ai genitori se non con un sms. I dubbi di Emilia sono legittimi. La signora continua a rifletteree a una domanda sul come era il rapporto con il figlio così risponde:Con Gianni non è sempre stato facile discorrere, anzi da qualche tempo a questa parte si era chiusosu se stesso e parlava in modo breve e senza tante spiegazioni. Mi sono chiesta spesse volte lamotivazione, ma lui mi rispondeva che nulla aveva da dire perché non aveva problemi. A scuolaandava bene, è stato promosso con una media elevata e mai ha dato difficoltà con i professori. Incasa più di tanto non aveva comportamenti mal<strong>educati</strong>. Il suo divertimento preferito è lo studiodei motori, di cui è appassionato conoscitore, pensi che sa le caratteristiche tecniche di tutte le


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>toristica. Lì Emilia è fuori dal suo raggio d'azione e Gianni spazia, anzi dimostra capacità ed erudizioneeccessiva. È però il segnale eloquente della propria volontà di distacco e di libertà al sicuro da ogni interferenza.Così i silenzi, imbarazzanti per una persona che vuole conoscere e dominare, ma significativiper un giovane che richiama il suo bisogno di privatezza, per costruirsi un mondo relazionale dove puòagire a suo piacimento e trovare esperienze ed emozioni nuove ed interessanti.In altre parole Gianni è davvero conosciuto e valutato per quello che è o per quello che Emilia vuole farediventare? Fino a che punto la realtà viene quasi “distorta” dalle sue insicurezze e paure?3.5 Educare alla responsabilitàSiamo al punto chiave della nostra trattazione: <strong>educare</strong> quale trasmissione di principi e valori insiemealla responsabilità del soggetto che agisce e cresce interiorizzando quanto gli viene trasmesso. È ilpunto più delicato che comprende il carattere e la personalità di Gianni ma anche la sua volontà di crescerecome persona che manifesta, alla sua maniera, nella dialettica tra quanto riceve e quanto desidera.Che significa tutto ciò? Che cosa ha trasmesso Emilia e potremmo dire suo marito? Lei afferma:Mai abbiamo tra noi litigato di fronte a Gianni, anzi gli abbiamo insegnato il rispetto e la sinceritàcome base per poter costruire qualsiasi rapporto. Non solo, in casa io ho fatto sempre il mio doveredi moglie e di madre mettendomi a servizio. Ho dato credo il buon esempio di lavoro e dedizionealla famiglia perché anche lui imparasse a <strong>essere</strong> serio e impegnato. Parlando della famiglia,abbiamo sempre detto a Gianni di evitare ragazze superficiali e poco serie per evitare facendocoppia di cadere nella realtà di molti che si fanno e disfano in un momento. Il valore della famigliaunita glielo abbiamo sempre trasmesso anche con la nostra unione di quasi venticinqueanniUna voce giusta, ma la responsabilità di Gianni è stata seguita con lo stesso zelo <strong>educati</strong>vo con il quale sisono trasmessi questi valori morali e potremmo dire civili? Qui con Emilia il dialogo si fa più difficile. Nonritiene Gianni poco responsabile, ma crede che <strong>educare</strong>, oltre che con il buon esempio, necessiti anchedi un insegnamento continuo e insistente sui valori basilari della vita. Gianni che cosa ha percepito ditutto questo? Pensiamo alla sua fuga, se n'è andato con una donna senza avvertire e confrontarsi minimamentecon i suoi genitori, e ha fatto una scelta precoce e poco responsabile lontana dall'insegnamentoetico che Emilia e il marito gli hanno trasmesso. Tra poco poi termina il Liceo e deve frequentarel'università, ma non avrà un sostegno economico.Ed allora perché è così lontano dai valori ricevuti? Il suo senso di responsabilità è divenuto coraggio diuna decisione personale, completamente libera al punto che non ha esitato a lasciare tutto per iniziareun nuovo percorso di vita. Ma allora non è stato educato a <strong>essere</strong> responsabile? Difficile dare una risposta.Emilia ha trasmesso tanti valori ma, nella paura di una sua trasgressione, ha voluto più “controllare”che favorire nel giovane l'indipendenza affettiva e personale. In tal modo da un clima diremmo soffocanteè scaturita una scelta imprevedibile dove responsabilità e libertà sono diventate il coraggio di sceglierein totale libertà e, per il timore del giudizio e del condizionamento della madre, senza trasmetterealcun segnale. Una decisione di cui Emilia non credeva fosse capace il figlio.Si può affermare che questo è un “fallimento” della linea <strong>educati</strong>va? Crediamo di no, per il fatto cheEmilia inizia ora a riflettere e a perdere la sua più grande difesa: la direttività con la quale aveva condottonon solo Gianni ma la stessa famiglia. Era convinta di avere una sorte di “mandato” <strong>educati</strong>vo del padre,poco presente e non coinvolto nelle scelte del e per il figlio.3.6 Educandosi insiemeÈ mancata nella nostra triade: <strong>educare</strong>, educando, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>, la coniugazione del secondo verbo.Emilia ha fatto diventare l'educazione un atto unilaterale di proposta, ha verificato l'applicazione dei9


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>suoi principi <strong>educati</strong>vi senza tenere conto della realtà dell'altro, senza mettersi lei stessa in discussionecredendo, in quanto adulta e madre, di non aver più nulla da imparare, anzi di poter insegnare. Qui entral'<strong>educarsi</strong> insieme, saper dialogare con il figlio Gianni. Non si tratta di fargli fare quello che si ritienegiusto, bensì confrontarsi con i suoi reali bisogni, con la sua necessità di realizzarsi.Perché se n'è andato con un'altra donna, che guarda caso è assai più avanti negli anni di lui? Perché?Forse sta cercando nella donna una figura che rassomigli in parte alla madre direttiva e tutto fare neisuoi confronti? Oppure vuole semplicemente provare un altro modo di vivere differente rispetto allafamiglia dove forse si sentiva troppo legato e controllato? Gianni è davvero innamorato di questa donna,persona matura ed esperta nella vita, o ricerca una sicurezza affettiva per sfuggire ad una pressione anchepsicologica materna troppo eccessiva? Emilia con il suo stile direttivo e spesso ansioso ha “allontanato”il figlio portandolo, senza volerlo, ad andare via come gesto di provocazione <strong>educati</strong>va verso unanuova definizione del suo rapporto con la madre?E la stessa figura paterna forse non emerge perché Emilia, pur affermando il non coinvolgimento del padre,è stata quasi gelosa e possessiva nei confronti dell'educazione del figlio. Sono domande alle qualiEmilia non può sottrarsi per compiere il proprio cammino <strong>educati</strong>vo educandosi ad accogliere e accompagnareil figlio non solo con delle dichiarazioni. Nel suo rapporto, più intenso sul piano emozionale, anchelei deve imparare a crescere conoscendo maggiormente se stessa.Non è detto che l'uscita di Gianni sia un fallimento, ma forse potrebbe diventarlo se si trasforma in unrapporto nel quale una persona “subisce” le pressioni dell'adulto senza una vera reazione spontanea incui esprima le proprie idee e si apra al dialogo. Andarsene è stata certamente una scelta sofferta, maanche di coraggio e determinazione nella ricerca di quello che gli è sembrato il suo bene. Su queste questioniil confronto deve avvenire non con la categoria del bene e male, ma con la categoria dell'incontrovero e profondo tra le persone.3.7 Come agire?È certamente la domanda che guida i comportamenti di Emilia. Qui vorremmo prendere in considerazionela sorella di Emilia che dopo diversi colloqui ha parlato di come lei stessa vede la situazione. Da unlato comprende la sorella nella sua angosciosa preoccupazione per il futuro del ragazzo quasi “catturato”dalla signora trentenne, ma dall'altro lato nota le mancanze di Emilia. Sono le sue parole:Emilia ha tanto desiderato il figlio, ne aveva perduto uno nei primi tre mesi di gravidanza e temevadi non poter più rimanere incinta. Da quando è nato l'ha seguito da vicino. Quando era piccolodifficilmente lo affidava ad altre persone. Nemmeno a me, di cui ha tanta fiducia, dava volentieriil bambino.Mi ricordo che anche quando era diventato grandino gli stava accanto, lo assillava, aveva pauradi tutto, temeva che si facesse male giocando piuttosto che si prendesse qualche malattia. Oranegli ultimi anni frequento meno casa sua, anche perché io stessa sono impegnata con la mia famiglia.Sono certa però che ha sempre messo il figlio prima di ogni altra cosa. Mio cognato le rinfacciadi pensare solo al bene di Gianni e di ritenere che il mondo finisca lì.Sono convinta che il ragazzo ha fatto una bravata, forse non è innamorato di questa donna, magià qualche tempo fa mi aveva confidato di avere una ragazza compagna di scuola con cui stavainiziando una storia ma che la mamma era piuttosto invadente anche in questo campo e volevasapere.Lui si è limitato a dire che era solo amicizia, Gianni sta cercando un rapporto affettivo vero e intenso,sono convinta che ne senta il bisogno. Ora si tratta di aiutare mia sorella a comprenderequesta realtà e mettersi il cuore in pace, il figlio non è perduto semmai è cambiato. Ora deve an-10


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>che lei imparare a stare con lui in altra maniera, non lo può sempre assediare con domande. Iostessa glielo ricordo.Certamente la presenza della sorella diveniva uno stimolo a Emilia per comprendere la sua impostazione<strong>educati</strong>va troppo accentratrice, anzi paurosamente attaccata al figlio per la paura di perderlo. Stava diventandodi un'altra donna. Non si rassegnava all'idea che venisse guidato verso un altro modo di vivere.Siamo all'inizio di un cammino che lei stessa diceva necessario compiere, non solo perché Gianni tornassea casa e non dovesse più “difendersi” dalle sue invadenze. Diciamo che il tempo della lontananza divenivaoccasione per una purificazione interiore, una ricomprensione del vissuto per trarne nuovi spuntianche per la crescita di Emilia nel saper perdere infondate ansie e paure, spesso solo emotive.3.8 Come andarono le cose?Non lo sappiamo con esattezza, ma emergeva chiaramente che la fuga altro non era se non un allontanamento,poiché i due non volevano fare una vita insieme, ma forse solo una breve storia. In ogni casola donna trentenne era decisa a continuare il suo legame con Gianni, ma senza vivere insieme. Trovavain lui il fascino di una bontà e semplicità che forse aveva cercato invano nell'altro partner. Da quel giovanegentile e appassionato riceveva tanta tenerezza. In lui invece la relazione lo faceva diventare piùresponsabile, maturo ed imparava ad atteggiarsi nei confronti della madre, evitando il suo monopolioaffettivo ed <strong>educati</strong>vo.Diciamo che per tutta la famiglia iniziava un nuovo percorso, usciva da una situazione di paura e timoreverso l'esterno, per immergersi con spontaneità nel mondo attuale per una nuova situazione esistenziale,non dominata dalle pressioni materne bensì orientata a nuovi traguardi.Non è che si potesse dire un fallimento <strong>educati</strong>vo. Il giovane aveva ben compreso il valore della lealtà edel rispetto al punto che l'altra donna ne apprezzava le qualità morali e lo stimolava a proseguire in questopercorso <strong>educati</strong>vo. Avvertiva la consistenza di un ragazzo serio e motivato che non ingannava nelmanifestare i suoi sentimenti.La stessa tenerezza manifestata attraverso il linguaggio del corpo e l'attenzione alle parole, lasciava intendereuna buona maturazione. Sul piano della comunicazione non vi erano elementi bloccanti la suavolontà di <strong>essere</strong> spontaneo e vero nei confronti della persona che amava. Non si può non dire cheGianni non abbia recepito i contenuti <strong>educati</strong>vi della madre, sulle regole fondamentali della vita. Ha o-perato scelte a personali differenti da quelle attese dalla madre, dimostrando autonomia e decisionalità.Emilia aveva verso il figlio un eccessivo attaccamento, l’ansia incontrollata di voler capire tutto quelloche faceva e pensava e un'enorme paura per tutte le sue scelte in ordine agli amici e, in questo caso, allacompagna. La paura che si facesse del male o lo ricevesse dagli altri era il filo conduttore della sua linea<strong>educati</strong>va. Lei stessa quando si accorse che i fatti non avevano la gravità degli inizi diceva:Riconosco che Gianni è un giovane che sa comportarsi con gli altri. L'educazione che io e mio maritogli abbiamo trasmesso è positiva. Solo mi fa paura la sua arrendevolezza, temo che possanoincastrarlo, metterlo facilmente in qualche guaio e provocargli delle delusioni. È buono, ma ancheingenuo, almeno secondo me, perché non pensa che gli altri possano ingannarlo. Ha un concettodel mondo sempre al bene, ma non è così. Ha in fondo solo vent’anni, molto ha ancora da imparare.Anch'io del resto sto imparando a conoscerlo con le persone che frequenta.Certamente questa donna sono certa che lo domina forse perché con un uomo di età maggioreteme il confronto. Mio figlio è sicuramente sincero e appassionato. Credo che io debba impararea rispettare le sue scelte pur pensando che sarebbe meglio che lui si fosse messo insieme con unaragazza di età simile, magari per fare le cose senza troppo impegno.11


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>12È ancora troppo giovane. Mi devo però aspettare che le sue scelte siano autonome e non quelleche io desidero da lui. Per me è difficile accettare fino in fondo che lui sia adulto, che possa decidereindipendentemente da me. Mi accorgo che si chiude su se stesso e non mi parla, o meglio midice quello che vuole io conosca. Questo non va bene, non è l'atteggiamento con cui si può dialogare.Educare non è facile, ma ora è necessaria la trasparenza, la lealtà affinché tra noi ci sia intesae possiamo mantenere una buona relazione.Era certamente un avanzamento nella linea <strong>educati</strong>va, non più concentrata solo su se stessa, ma in gradodi comprendere le esigenze del giovane in crescita con il quale rapportarsi con un metodo differentedal semplice stargli vicino per capire e “controllare” ogni sua decisione. Emilia stava facendo un lavorod’introspezione e di verifica di se stessa, iniziava a capire il valore del rapporto personale senza la volontàdi dirigere il figlio. Educare prima di tutto esige capacità di mettersi in relazione, di entrare nella vitadi un'altra persona con discrezione, ma anche nella consapevolezza che seguire e accompagnare abbisognanodi dialogo e paziente ascolto.L'esperienza della “fuga” se non altro aveva convinto Emilia a cercare aiuto e a iniziare un percorso sustessa per rimettersi in discussione. Nessuno è educatore completo e arrivato. Anzi un eventuale smacco<strong>educati</strong>vo come aveva ricevuto dal figlio “uscito” con la trentenne, la portava a riflettere sulla necessitàdi saper rivedere il proprio atteggiamento, dall'emotività di sapere, al desiderio di mettersi in relazione.3.9 Crescere educandosiÈ l'argomento che più ci preme: <strong>educare</strong> non va inteso come una semplice trasmissione di contenuti eregole, quanto come uno sforzo comune per mettersi in relazione con la persona. Richiede la volontà disaper estrarre dall'altro il positivo. Non ci si deve limitare a dire, ripetere, correggere e magari pure puniresenza aver fatto ogni sforzo per conoscere, aprirsi e consentire all’altro di esprimersi liberamente.Un dialogo aperto e sincero, ma anche chiaro e comprensivo delle possibilità e capacità proprie perchési possa stabilire con l'educatore un rapporto di armonia e di fiducia reciproca, unica premessa per unastabile relazione. Riprendendo Emilia, tale dialogo è stato percepito come necessario solo dopo un'esperienzache l'ha profondamente scossa e dalla quale ha capito che l'unico modo per <strong>educare</strong> e quindimantenere la sua autorevolezza verso il figlio era la capacità di mettersi in relazione senza la paura diimporre o semplicemente di non contare a livello affettivo.Quando Gianni percepisce la madre meno pesante nei suoi confronti, iniziava una nuova fase del dialogo<strong>educati</strong>vo. Emergeva la necessità per ciascuno di crescere insieme nella comune volontà di condividerele scelte, ma anche di voler realizzare i principi appresi dalla scuola della vita. Potremmo dire che sì èimportante fornire dei contenuti sottoforma di regole e disposizioni, ma è altrettanto essenziale staredalla parte del soggetto, di colui che va formato e seguito passo a passo nel cammino della sua crescitapersonale specialmente nell'età di passaggio dall’adolescenza all'<strong>essere</strong> adulto. Una realtà che occorrepercepire e sulla quale verificarsi, anche se tale verifica avrebbe dovuto <strong>essere</strong> condotta nella coppiagenitoriale piuttosto che dalla singola persona come nel caso di Emilia sia pur aiutata dalla sorella.Riguardo al marito, dove si trova, perché è così assente a livello <strong>educati</strong>vo? Non vi sono tutti gli elementiper una risposta, è chiara però la dinamica di una coppia dove la donna è la sola protagonistadell’educazione del figlio ed il padre è informato, ma sostanzialmente estraneo forse da sempre. Se inveceavesse avuto un ruolo più sostanzioso, la madre avrebbe assunto una posizione così rigidamentedirigenziale e monopolizzante?Non lo sappiamo, è però evidente che l’educazione monopolizzata in senso materno è un legame tropposoffocante per un giovane desideroso di uno spazio di libertà sul piano delle sue scelte. “Difendersi”


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>dalla madre non è certamente la forma migliore per <strong>essere</strong> <strong>educati</strong> e lasciarsi <strong>educare</strong>.13


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>4 Autorità e trasgressione4.1 La sensazione di non <strong>essere</strong> ascoltati. Il caso di Salvatore e AgataUno dei punti sui quali oggi si percepisce la difficoltà <strong>educati</strong>va è la mancanza di autorità prima di tuttoda parte dei genitori e poi da parte di altri educatori. Si lamentano insegnanti e operatori sportivi che iragazzi spesso fanno quello che non dovrebbero nonostante le chiare indicazioni ricevute soprattutto ascuola. Così come ci si lamenta in altri ambiti della scarsa volontà di ubbidire, anche in presenza di educatorireligiosi, come negli Oratori, dove si incontrano non poche resistenze anche sul piano morale. C'èforse un'insofferenza verso ogni autorità? Oppure è semplicemente la segnalazione di un disagio? E qualepotrebbe <strong>essere</strong> questo disagio? Forse che farsi ascoltare e poter “comandare” o quanto meno dirigereun'altra persona sia necessaria un'autorità che riceve un incarico dal basso così come una genitorialitàquasi accettata dai figli stessi? In altre parole sembra occorra anche un'accettazione dell'educatore daparte dell'educando?A questo proposito esponiamo la situazione di una coppia di genitori: Salvatore e Agata sposati da ventisetteanni e con due figli: Paolo di ventitre anni e Patrizia di ventuno. Una famiglia benestante con unaposizione economica sicura che ha seguito i figli nel cammino <strong>educati</strong>vo, ora ben inseriti nel contestodegli studi universitari, ai quali non è mai mancato nulla soprattutto sul piano dei mezzi materiali. Nonche siano mancati quelli a livello <strong>educati</strong>vo, anzi Agata ha seguito praticamente a tempo pieno i due figli,un piccolo lavoro a casa, ma con tanto tempo da dedicare alla loro educazione e poterli accompagnarein ogni età della vita.Sembrerebbe che la loro educazione familiare abbia ottenuto buoni risultati se non altro perché i ragazzisono ben inseriti nella scuola e fino ad ora non hanno dato problemi sul piano dei loro comportamenti.Allora in che cosa consiste la difficoltà che con sofferenza faticano ad esporre? Affrontano insieme l'argomentoma non hanno facilità di comunicazione perché frenati dall'emozione e dalla fatica di quantoprovano nei confronti dei figli e di se stessi.Inizia Agata la quale così si esprime:Mio marito è una persona generosa con tutti, ha una buona posizione professionale ed è stimatoper il suo lavoro e la sua precisione. Non c'è nulla da ridire, anzi io imparo da lui la calma, la compostezzae la razionalità nel saper affrontare ogni argomento senza mai perdersi d'animo o diventaretesi e troppo preoccupati. Il problema consiste che lui vorrebbe mettere tutto nei suoischemi mentali, ma i ragazzi non ci stanno e lo lasciano parlare anche a lungo, si stufano e poi glirispondono o freddamente come fa Paolo, oppure gli dicono che stressa ed è ripetitivo come invecefa Patrizia. Lui poi se la prende con me perché dice che io li proteggo sempre e ne giustifico ilcomportamento irrispettoso nei suoi confronti. Lui è maggior di me di dodici anni e ha più di sessant'anni,ma dall'altra parte dovrebbe tener conto che i ragazzi oggi non sono più della generazionedi chi ascolta e obbedisce o quanto meno discute ammettendo di aver sbagliato. Non è faciledialogare, anzi più che parlare, si fa un monologo è lui che magari per lungo tempo parla, dicetante cose, ma alla fine non se ne fa nulla. I ragazzi restano sulle loro posizioni e io mi trovo inmezzo criticata da lui e poco ascoltata dai figli che davvero vivono in un mondo differente daquello della nostra generazione. Questo mi reca difficoltà e mi mette in crisi, dov'è finita la nostraautorità?A questo punto il marito che aveva ascoltato in silenzio l'introduzione della moglie, prendeva la parola.Non si smentiva, in modo calmo e riflessivo senza scomporsi nel linguaggio e senza lasciarsi prenderedall'emotività diceva:Non posso smentire quello che ha detto mia moglie, sì per la mia professione di avvocato sono14


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>portato a voler tutto comprendere nei miei schemi, è vero spesso parlo troppo ai figli, ma ho l'impressioneche mi ascoltino perché devono star lì presenti in casa, non perché vogliano davveromettersi in relazione. Ho la paura di non saperli capire, soprattutto il maschio Paolo sono convintoche non ha buone amicizie, è un contestatore ad iniziare dal come si veste e si mette tra me emia moglie. Vuole provocare, non è semplicemente la moda, lui contesta. Ha legato con gruppi diamici che sono politicizzati e credono di aver scoperto la soluzione per tutti i problemi del mondo.Sono solo degli illusi e per giunta anche poco informati, quando parla dice cose non documentate,sono idee certamente non sue.Che dire? È vero io non so forse mettermi in buona relazione con lui, pur non arrabbiandomi, allafine divento rigido nei miei principi e non so come fare per correggerne i comportamenti. Sonoconvinto che ora stia provando anche a farsi degli spinelli visto che tutti i suoi amici si vantano diquesta pratica e come dice lui non c'è niente di male. Non solo ma riguardo alla ragazza è veroche è più tranquilla, ma non mi piace che si sta legando a un ragazzo che non ha arte né parte, hagià quasi trent'anni e non trova ancora un lavoro. Sembra che sia interessato a Patrizia più per lasua posizione che per la sua persona. Che cosa posso fare se non ammonirla, farla riflettere e aiutarlaa capire i valori della vita come ad esempio la professione, un lavoro sicuro, l'onestà morale.Ma lei non so fino a che punto queste cose le comprende oppure mi ascolta e finge di condividere.Come padre non mi sento capace di instradare questi ragazzi sulle linee <strong>educati</strong>ve che ho ricevutoda ragazzo dai miei genitori.Non solo ma anche il senso religioso, io e mia moglie ogni domenica andiamo alla Messa e in casamai abbiamo criticato la chiesa o usato parole sconvenienti. Ebbene i nostri figli, specialmente Paolonon ne vogliono sapere anzi dicono che sono tutte cose del passato e che non serve a nulla la nostrapratica, loro ci credono ma alla loro maniera. Che cosa possiamo fare, mi sembra che la miaautorità non conti gran che? Mi confronto con il mio lavoro dove quanto dico viene eseguito e sonoricercato da clienti e colleghi spesso per consigli e indicazioni che poi vedo puntualmente applicate.Come mai in casa faccio tutta questa fatica?"4.2 La volontà di comprendersiIl racconto di Salvatore e Agata era chiaramente impostato su due differenti modi di concepire l'educazionedei figli con una accentuata difficoltà di comunicazione in coppia. Dai loro racconti, pur manifestandoamore e attenzione reciproca, emergeva la scarsa intesa in coppia sia a livello di linguaggio chenon verbale. La relazione tra loro era alquanto pesante e a tratti s’interrompeva specialmente quandoAgata, più emotiva e ansiosa, esternava le sue paure a Salvatore che non sapeva in che modo potesserisolvere i suoi problemi. Lei lo sentiva lontano, in un mondo composto prima di tutto dalla sua professionee per le preoccupazioni di casa s’illudeva di risolverle semplicemente con la dichiarazione di principie regole per lui molto chiare o di soluzioni percorribili.Manifestava la sua indole razionale e schematica con la quale tutto voleva affrontare e far ruotare ognirealtà attorno a sé, come se avesse una specie di soluzione pronta per qualsiasi caso. Il primo problemanon erano i figli, quanto la loro difficoltà a intendersi. Così per il non verbale, la comunicazione intima,erano arrivati a vivere in due camere separate perché durante la notte Agata diceva che il marito “russava”e non la lasciava dormire. Non c'era nemmeno il desiderio d’intimità e ciò portava ad un allontanamentodella loro relazione, apparentemente stabile, ma in realtà lontani l'uno dall'altra.Risultava difficile in questo contesto affrontare l'educazione dei figli. Certamente erano animati dalla volontàdi comprendere e dialogare con loro, ma i loro orizzonti e gli interventi <strong>educati</strong>vi troppo differenti,ciascuno esternava il proprio disagio di fronte all'altro. Che cosa dire? Ascoltiamo il racconto di Salvatore:15


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>16È vero che mi sento sicuro quando parlo di ciò che conosco bene. Non sono solo la giurisprudenza,ma i principi <strong>educati</strong>vi, i valori morali, in generale quanto è necessario per una buona educazionedei figli. Non posso dire di <strong>essere</strong> solo, altri condividono tutto ciò. Solo in casa, come ha fattocomprendere mia moglie, fatico a mettermi in discussione. Quasi ho paura di parlare, di dire ciòche penso. Ad esempio comprendo che Patrizia voglia stare più tempo con me per gustare insiemela gioia di <strong>essere</strong> coppia. Troppe volte però ho pensato al mio lavoro e non mi sono accortodel suo bisogno o non ho voluto accorgermi. Di questo sono convinto si possa ancora fare molto,in fondo la relazione con i figli risente del nostro tirare avanti senza litigare, ma anche senza manifestarcisentimenti. Mi riconosco bisognoso di migliorare.Aveva già effettuato un passo avanti, il loro impegno prima che verso l'educazione dei figli si concentravasulla ridefinizione della vita di coppia. Avevano trasmesso qualcosa che non era vissuto da loro, comepotevano farsi ascoltare dai ragazzi, quando non erano uniti, quando mancavano della necessaria tenerezzae comprensione per dialogare? Stavano più “recitando” una parte anziché trasmettere la testimonianzadi vita trascorsa insieme e in perfetta armonia; di questo sicuramente i ragazzi si erano accorti! Illoro impegno diveniva comunicare, trovare nella quotidianità un tempo, magari anche breve di una decinadi minuti, per potersi confrontare sulla giornata e soprattutto sentirsi vicini. Ciò valeva anche a livellonon verbale prendendosi qualche tempo solo per loro. Vivevano come due “soci” di un’azienda piuttostoche due coniugi nel desiderio di amarsi e saperlo comunicare.4.3 Il desiderio di trasmettereIl cammino di Salvatore e Agata non era immediatamente facile, partivano da un disagio <strong>educati</strong>vo e dovevanoora affrontare una rinnovata comunicazione di coppia e in famiglia. Si poteva proporre un confrontoaperto verso altre coppie di genitori con cui stabilire un rapporto fruttuoso e fraterno. Inquell'occasione s’inserirono in un gruppo di famiglie adulte e trovarono senza dubbio l'occasione peruna rinnovata vita di coppia. Anzi comprendevano di aver perduto del tempo prezioso, specialmenteAgata, troppo preoccupata dei figli e incurante del marito di cui aveva perso progressivamente passionee vicinanza. Restava la realtà dei due ragazzi, il tempo passava ma i loro comportamenti erano sostanzialmentegli stessi. Che fare? Che cosa trasmettere loro? Una realtà era evidente: la trasgressione.Sia Paolo che Patrizia con i loro comportamenti si allontanavano dal progetto di vita trasmesso dai lorogenitori che dicevano entrambi:Noi non gli abbiamo trasmesso che la vita è solo divertimento, rovinarsi con amici che non pensanoche a passare il tempo con ogni mezzo pur divertirsi stordendosi perfino con le droghe leggere.Non solo ma con quale nozione del futuro si pensa che una relazione in coppia possa durare senzal'impegno di un lavoro onesto e sicuro? Ai nostri figli abbiamo trasmesso il senso del servizio, delsacrificio, del dominio di se stessi iniziando proprio da noi. Non ci siamo mai permessi di vivere soloper divertirsi nonostante abbiamo buone risorse economiche. Così non abbiamo mai tralasciatodi lavorare con tanto impegno per garantire un futuro sicuro a noi e ai nostri figli. Che ne è diquesto nostro esempio?Non va diminuita la trasmissione per contagio, come a dire che quando si offre un esempio credibile divita qualcosa passa sempre anche nelle persone più refrattarie e contestatrici, occorre solo la pazienzadi attendere e la volontà di continuare a donare la positività del messaggio di vita. In altre parole i ragazziora più che mai dovevano rilevare la volontà di trasmettere i valori morali ed esistenziali non solamenteda parte di uno di loro, ma della coppia che faceva da punto di riferimento costante per l'educazione.Iniziava un tempo nuovo: divenivano più capaci di confronto non sulle paure o gli schemi, quantosulla realtà dei ragazzi che li interpellavano a uscire da se stessi e saperli comprendere nel tempo chestavano vivendo. Difficoltà enorme per Salvatore che non riusciva a capire i motivi per i quali Paolo dovessesempre “contestare” mettendosi chiaramente in posizione provocatoria. Una cosa però era certa,


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>la sua reazione non si esauriva nella bella “predica” quanto nel saper stare con lui senza più di tanto reagire.Perché Paolo era così e la ragazza aveva questa storia con lo “sfaticato” di turno? Era una svolta che trovavala sua collaborazione anche in Agata che finalmente avvertiva il marito presente nell'educazionedei figli. In tal modo perdeva il suo ruolo di “mediatrice” e si sentiva chiamata in causa come colei chepoteva favorire la comprensione dei ragazzi in linea con Salvatore. Entrambi si rendevano conto di volertrasmettere non delle cose da fare o dei rimproveri verso i figli, ma la loro relazione, la loro comune volontàdi <strong>educare</strong> ponendosi dalla parte dei ragazzi. I problemi restavano, così come la preoccupazioneper la compagnia negativa del figlio, nonché per la difficoltà a saper unire le persone in un comune progettodi vita. Ma erano diventati più forti, più capaci di combattere insieme per il bene della famiglia.4.4 Il punto di riferimentoQuale era il punto di riferimento per i figli? Certamente non più l'autorità genitoriale, dal momento cheil gruppo di “amici” trascinava Paolo e la relazione affettiva allontanava la ragazza. Diveniva difficile dialogaree conoscere. Ma un giorno Agata trovò una specie di diario del figlio nel quale, scrivendo come adun amico, dichiarava apertamente di voler prendere le distanze da un modo borghese e spento di vivere,come quello dei suoi genitori, e pensava a una vita propria, indipendente dove poter realizzare il suosogno: dedicarsi agli altri battendosi per la pace e l'uguaglianza di tutta l'umanità. Una scoperta che aumentavaansia ad Agata che si sentiva superata dal figlio che credeva di conoscere se non altro perchécon lei aveva una maggiore disponibilità al dialogo. Capiva che lentamente il figlio stava in casa per “necessità”non per convinzione e considerava la stessa famiglia troppo pesante, qualcosa che ne impediva iliberi movimenti. Confermava i suoi sospetti: i ragazzi specie Paolo erano lontani da loro, erano apparentementegentili, ma il loro sguardo andava oltre la famiglia.Constatazione di una mancanza <strong>educati</strong>va? C'era però la certezza di una rivitalizzata vita in coppia, orapiù che mai i due genitori non erano in competizione, potevano verso i ragazzi dimostrare unità e compattezzaanche in questa circostanza.La coppia imparò a non reagire in modo emotivo e istintivo con rimproveri o inutili scenate. Il fatto, purdoloroso, non sminuiva la voglia di dialogo nell'ascolto e nella spontaneità verso i figli che stavano riprendendouna comunicazione sciolta e simpatica. Ad esempio Paolo non avvertendo la pressione psicologicadi Patrizia riusciva a parlare delle sue idee, a manifestare i suoi progetti umanistici con tranquillità.Diciamo che s’iniziava a parlare delle persone e non solo a lasciar parlare il padre come una specie diconferenziere. C'era un clima decisamente rinnovato ed una delle conseguenze fu anche l'accoglienzadel “ragazzo” di Patrizia, perché solo conoscendolo si poteva capirne meglio la tipologia del personaggio(come diceva Salvatore).Ritornava l'orizzonte familiare come primo ambito della relazione tra le persone mettendo bene in evidenzala necessità, di momenti privilegiati per confrontarsi e quale occasione migliore se non la cenadove tutti si erano impegnati, ad iniziare dal padre, alla puntualità sapendo mettere da parte gli “affari”personali!Un altro tassello del grande mosaico dell'<strong>educare</strong>, educandosi per <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>. Non è pensabile unafamiglia, una realtà <strong>educati</strong>va dove non si sappiano trovare momenti comuni in cui scambiarsi opinioni eascoltare le ragioni di tutti al fine di poter <strong>essere</strong> davvero uniti. Regola base è il tempo per la famiglia, lavolontà di studiare ambiti dove ciascuno si esprima liberamente e trovi partecipazione e condivisione daparte degli altri membri. All'inizio monologo paterno, ma poi lentamente ciascuno aveva preso il coraggiodella comunicazione, si riusciva perfino a ridere e scherzare senza doversi sforzare. Si aveva raggiuntoun'intesa in coppia che davvero portava il risultato di una rinnovata carica <strong>educati</strong>va e relazionale.17


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>4.5 Per <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>La famiglia di Salvatore e Agata, nonostante le non poche difficoltà comunicative aveva stabilito una regolabase, indispensabile per <strong>educarsi</strong> alla vita comunitaria: ciascuno sappia pensare agli altri mettendoda parte qualcosa di se stesso. Avevamo esaminato insieme come avvenivano i pasti, raramente si riuscivaa stare a tavola mezz'ora, perché ciascuno era preso dai propri impegni “inderogabili e non superabili”.Lo stesso Salvatore, sempre in ritardo arrivava quando gli altri o avevano quasi terminato oppureera di fretta perché dopo cena metteva appuntamenti con clienti importanti. Certamente il buon esempioviene da chi esercita l'autorità in casa e fermare la propria attenzione sulla tavola diveniva occasioneper un confronto sulla giornata e sulle idee circolanti del momento. Occorreva <strong>educarsi</strong> a questo appuntamentoe rimanervi fedeli.Non è stato facile anche per i figli specialmente Paolo sempre svogliato nelle relazioni, più chiuso sul suomondo ed attento magari proprio all'ora dei pasti alla telefonata dell'amico piuttosto che a restare bloccatodi fronte alla comunicazione mediatica. Uno stile che iniziava a dare un risultato: la voglia di parlarsi,di mettersi a confronto rinunciando a posizioni troppo individualiste. Agata stessa confermava lanuova linea <strong>educati</strong>va della famiglia:Quando iniziammo il nostro cammino per capire la situazione dei nostri figli ero preoccupata dicosa e come dir loro che stavano sbagliando le loro scelte soprattutto mio figlio troppo attaccatoa una compagnia negativa dove ho sempre temuto si facesse gli spinelli e imparasse solo a contestareogni nostra indicazione oltre che a mettersi in disparte dalla vita sociale. Ora dopo un annodi cammino vedo un'altra possibilità che allora non valutavo, l'unione della famiglia, la rinnovatavolontà di parlarci. Non avrei creduto che mio marito riuscisse a stare in tranquilla conversazionecon loro. Forse lui stesso non ci ha mai creduto, autorità era per lui comando, direzione, far ruotaretutto attorno a se stesso. Ora mi accorgo che invece le cose stanno cambiando e che riusciamoa stare insieme senza sbuffamenti e senza continue discussioni per ridire sempre le stesse cose.Prima dovevo si può dire preparare tre volte la cena perché alla fine ciascuno mangiava un po'come e dove voleva, non vi erano più regole comunitarie, io ero a servizio di tutti ma non c'era lospirito di una famiglia che desidera stare insieme. Non solo, ma personalmente avevo subito peranni la pressione di mio marito che da un lato mi accusava di <strong>essere</strong> debole e lasciare che i figlifacessero quello che volevano. Ora mi sento più considerata nel mio compito di aiutare a farli parlare,a mettersi in buona sintonia tra loro e con noi. Certo temo ancora per qualche momento ditensione che scatta quando Paolo in particolare contraddice mio marito, ma vedo che poi si riescea riprendere il rapporto e a dialogare con maggiore cordialità.Non avevano risolto tutti i problemi di casa, ma certamente si era riusciti a mantenere un livello di comunicazionepiù elevato, premessa per ogni intervento <strong>educati</strong>vo finalizzato a correggere, accompagnaree verificare il comportamento dei figli. Le stesse paure materne rivestite più di emotiva ansietà che direale gravità ora venivano a diminuire nella condivisione generale della vita familiare. La responsabilitàsui figli, pur profonda e coinvolgente, lasciava spazio al dialogo con il quale ci si poteva meglio intenderesenza la necessità di creare un clima di sospetto e di controllo minuzioso su ogni loro comportamentoalla ricerca di qualche “pezzo” che potesse provarne trasgressività.Non avevano tutto risolto, ma iniziava una strada nella quale al centro vi era la volontà di aprirsi, di vincereil timore di parlare e la sfiducia di non <strong>essere</strong> ascoltati. Prima di tutto era migliorato il rapporto dicoppia, avevano raggiunto un livello più elevato di comunicazione, si sentivano più vicini, pronti per affrontareinsieme e con il massimo di fiducia reciproca il percorso genitoriale. Le differenti visioni sui figlie relative soluzioni <strong>educati</strong>ve non erano più motivo di scontro e di contesa quasi per “scaricarsi” le colpe,divenivano occasioni per ripensare alla lunga storia personale e familiare e riflettervi insieme.18


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>4.6 Comprendere la propria realtàChiediamoci come erano arrivati a vivere in modo isolato e sofferto la realtà <strong>educati</strong>va dei loro ragazzi?Quando avevano deciso di farsi aiutare di fronte ai figli che erano secondo loro ingovernabili, entrambinon avevano ancora effettuato una verifica sulla loro pedagogia verso i ragazzi. Nulla avevano loro fattomancare, per loro avevano sacrificato molto per un loro tenore di vita e un futuro tranquillo e sicuro, mastavano mancando nella linea dell'unitarietà. La loro condotta di coppia e conseguentemente gli interventi<strong>educati</strong>vi riflettevano lo scarso dialogo costruttivo. Ognuno andava si può dire per conto proprio equesto non era un fatto recente. Dalla ricostruzione della loro storia <strong>educati</strong>va emergeva il fatto dellamancanza di momenti aggregativi della famiglia.Già quando i ragazzi erano adolescenti per un motivo o per l'altro ciascuno faceva la sua vita. Patrizia erapresa allora dalla passione per la danza e Agata spesso e volentieri era impegnata a portarla e riprenderlain palestra, così come Patrizia stava tanto tempo con le amiche di scuola e anche qui la madre a suoservizio. I momenti per parlare con gli altri membri della famiglia erano alquanto trascurati. La ragazzaera seguita, ma alla fine il rapporto era prevalentemente con la madre preoccupata per tutti i pericolinei quali avesse potuto incorrere. Un rapporto all'insegna del controllo e del servizio alla persona, masenza dialogo e confronto.Quante concessioni e quanti “sì” detti alla ragazza, si chiedeva Agata:Ogni suo desiderio era quasi sempre realizzato perché non le mancasse nulla e potesse “<strong>essere</strong> allapari” con le sue compagne. Così valga per Paolo più taciturno, ma anche nel periodo dell'adolescenzamolto aiutato per sostenerlo nelle difficoltà specialmente a scuola. Sostegno continuo diinsegnanti privati e tanta attenzione a lui sostanzialmente pigro, sempre da motivare nei suoi doveri.Ecco forse abbiamo troppo insistito sui risultati da raggiungere piuttosto che sulla sua responsabilizzazioneper una maggior autonomia scolastica e personale. Io stessa ho fatto di tuttoperché Paolo non facesse troppa fatica, diciamo che gli abbiamo costruito un mondo troppo semplice,troppo protetto contro ogni pericolo.Quante volte ho controllato il suo telefonino per vedere i messaggi, i suoi e-mail e frugato nelletasche. Paure? È vero ma spesso mi sono sentita sola nel compito di <strong>educare</strong>, di prevenire, di potercapire quali pericoli stavano correndo i nostri figli.Certamente una riflessione sul passato va ad aggiungersi alla necessità di costruire il presente sul temadella ritrovata fraternità, sul valore dell'unità in coppia e con i figli e sullo stile di un dialogo meno preoccupatodei “pericoli” e più attento alla realtà personale dei ragazzi che si hanno di fronte.Educare va coniugato con avvicinare, stare accanto alla persona, in questo caso ai figli con attenzione e“tatto”, senza divenire né pesanti, né concessivi, la linea <strong>educati</strong>va consiste nella volontà di percorrereinsieme l’itinerario <strong>educati</strong>vo mettendosi in ascolto e partecipando alla vita dell'altro.Non si tratta di fare chissà quali cose, quanto di sapersi ascoltare con animo sereno nel desiderio di potersicapire. Per una famiglia quale ambito <strong>educati</strong>vo di base con forte impatto affettivo, è la prima realtà,altrimenti tutto diviene un insieme di indicazioni e di belle parole che non trovano il giusto spazio pervenire accolte e per produrre il risultato della revisione dei propri comportamenti. Proprio questo il puntodi arrivo di Salvatore e Agata, non far cambiare immediatamente idea ai ragazzi, quanto permettereloro di pensare, riguardare e modificare il proprio modo di vivere a partire da rilievi <strong>educati</strong>vi elaboratiinsieme.Pensiamo al ragazzo, lui stesso doveva rielaborare il rapporto troppo intenso con i suoi amici, non sitratta di rimproveri e nemmeno di ammonimenti continui, quanto di favorire in lui una pacata riflessio-19


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>familiari. Anche questa una provocazione? Diremmo di no, è differente il fattore motivazionale e sentimentale.Ci troviamo di fronte alla realtà dell’innamoramento e del bisogno d’<strong>essere</strong> amati da qualcunoche desidera costruire una relazione, magari non ancora sicura, ma effettiva.Come fermare o quanto meno ostacolare tale rapporto da parte dei genitori? Il sospetto gettato sul giovanesenza un mestiere sicuro e con scarse prospettive future è certamente argomento interessante, u-tile da approfondire, tuttavia nella stagione di vita attraversata da Patrizia era del tutto inadatto a fardesistere la ragazza dalla sua relazione. Amore non significa resa incondizionata all’altra persona, quantovolontà di costruire un rapporto che nell’immediato genera affetto, tenerezza e senso di appartenenza.Una tappa determinante nella crescita di una giovane animata da tanta volontà di dare come Patrizia.Tutto negativo questo rapporto? Certamente no, ma inserito nel clima dialogante e costruttivo di unafamiglia che non vuole limitarsi alla critica sul soggetto, ma stabilire una relazione che possa permettereanche a lui di crescere e responsabilizzarsi. Così valga per il futuro sbocco della loro relazione, non segnatadal solo affetto e passione, ma nella prospettiva di acquisire un lavoro professionale sicuro.Troppo la giovane veniva guardata e misurata con una mentalità adulta e distaccata dal contesto realenel quale viveva Patrizia con il proprio bisogno essenziale d’<strong>essere</strong> amata e sentirsi capace di trasmettereamore. Una sfida alla quale non poteva mancare e un richiamo assai esigente per i genitori troppopreoccupati per un futuro che la giovane avvertiva ancora lontano e certamente da far maturare. Lepreoccupazioni degli adulti erano troppo “adulte”, la ragazza avvertiva solo la bellezza e la sicurezza didare amore e riceverlo.Come dire che la scadenza dell’amore esige la disponibilità ad accettare l’incognita di colui-lei del qualeci si innamora, nella volontà di costruire insieme un rapporto di fiducia nel reciproco scambio e senzapregiudizi.21


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>5 Il bisogno di sicurezza5.1 La ricerca di conferme. Il caso di SamantaChe cosa significa <strong>essere</strong> sicuri di se stessi? A volte si tratta solo di una conferma di scelte che ciascunoliberamente opera, a volte è invece la necessità di ascolto e partecipazione alla propria vita da parte diun altro. In ogni caso <strong>essere</strong> sicuri non significa non avere dubbi o incertezze, quanto poter facilmentemuoversi nella realtà senza temere né il giudizio altrui, né i propri sensi di colpa fino a farsene condizionare.Risulta difficile dire esattamente in cosa consista la propria sicurezza. In ogni caso è un obbiettivo cui<strong>educarsi</strong> per poter affrontare le scadenze della vita motivati e pronti ad andare avanti con le proprieconvinzioni. In questa direzione presentiamo la situazione di Samanta una giovane poco più che ventenneassai legata alla madre Mirella fino a dipenderne.Era stata la ragazza a venire a parlarne mettendo bene in evidenza il suo disagio, la paura dei giudizi altruiuniti a esperienze anche recenti di delusione da parte di amiche e di amici, troppo superficiali. Il suoracconto prendeva spunto dall'infanzia dove era stata molto seguita dalla madre e con la quale avevasempre avuto un rapporto confidenziale e aperto chiedendole consiglio un po' su tutto prima di prenderequalsiasi decisione. Diceva:Ora mi trovo in un ambiente di lavoro dove tutti pensano alla posizione più importante e meglioretribuita, fanno a gara per mettersi al primo posto e non ti puoi fidare, anzi è bene non dire maiquello che pensi, altrimenti in un modo o nell'altro ti fregano. Non mi posso fidare, non possoprendere per amici queste colleghe, sono false e pettegole, non mi sento sicura. Così valga pertante altre persone che ho conosciuto, anzi in particolare un ragazzo con il quale avrei anche volutoiniziare una storia, ma lui dopo un po' mi ha fatto capire che non ero il suo tipo perché tropposeria e d’idee tradizionali. Soprattutto voleva che mi concedessi così senza un impegno preciso daparte sua, solo perché sentiva il bisogno di unirsi a me.22Davvero mi sto accorgendo che forse non ce la faccio ad allacciare dei rapporti con gli altri in modotranquillo e sicuro e questo mi fa star male. Qualche tempo fa non gli davo importanza, ora miaccorgo che ho bisogno degli altri, desidero legami veri e sinceri e mi rendo conto che è difficileoggi trovare persone così, ciascuno pensa solo a se stesso o se ti guardano è perché gli devi farequalche favore e poi ti lasciano andare... non so davvero che cosa possa fare. Mi sono anche chiestase per caso io non sia capace di legare con le persone. Ebbene non mi sembra che manchi disincerità, di cordialità e nemmeno di gentilezza, è che forse si approfittano di me perché ho semprecreduto alle “chiacchiere”, alle parole degli altri ed ho dato fiducia alle persone che non se lameritavano. Il risultato: in certi momenti la mia solitudine, la mia voglia di amici e di comunicazionemi porta allo sconforto e allora sento la necessità di mangiare in modo sbagliato, di consumarecibo senza una regola e poi sto male, anzi mi faccio schifo, ho vergogna di me stessa. Sembrache il mondo mi crolli addosso.Ecco in certi momenti l'unica persona che mi capisce e con la quale posso trovare appoggio ecomprensione è mia mamma che con pazienza mi sta accanto, mi ascolta e consigliandomi mi dàsicurezza, non mi fa sentire né sola né abbandonata da tutti. Anzi proprio perché c'è lei, io voglioandare avanti convinta che prima o poi potrò incontrare persone differenti più serie e con le qualistabilire un solido rapporto. Devo dire che anche sul lavoro, quasi ogni giorno sento la necessità diconfrontarmi con mamma nonostante che viviamo insieme. La sua voce mi fa sentire meglio e mipermette di affrontare con più decisione le situazioni della vita di tutti i giorni.Il disagio di Samanta era evidente, non si sentiva sicura, aveva timore degli altri e ne rilevava solo i limiti


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>dilatandoli con il suo stato d'animo sostanzialmente negativo e deluso. Fino a che punto la realtà nellaquale viveva corrispondeva a quella da lei descritta, oppure si trattava solo dei suoi dubbi, le sue angosce,le sue paure a <strong>essere</strong> dominata da altri? Al di là di una risposta precisa, Samanta stava male e lanciavail suo appello affinché ricevesse una sorte di aiuto per uscire dalla sua situazione. Diveniva delicatoil percorso perché la ragazza aveva paura un po' di tutto e di tutti, temeva il giudizio altrui e dall'altraparte cercava consensi e sicurezza.Samanta, forse per la prima volta, trovava coraggio di uscire allo scoperto, di dire la verità su se stessaaffinché, sostenuta, potesse raggiungere uno stato d'animo più positivo. Lei stessa valutava eccessivo ilrapporto instaurato con la madre dalla quale dipendeva fino ad avvertirne la necessità di un continuoconfronto. Il suo legame correva il rischio di formare una dipendenza quasi simbiotica come se non potesseaffrontare la realtà e i rapporti con gli altri al di fuori dell'appoggio e della direzione materna. Eranecessario il confronto con la madre e possibilmente con il padre, figura quasi assente dai discorsi diSamanta.Ci riuscì a incontrarli per iniziare un percorso interessante sul piano della relazione di coppia e dell'educazionedella figlia.5.2 Un rapporto sconnessoMirella volentieri aveva accettato di parlare dell'educazione alla figlia Samanta e venne accompagnatadal marito Gilberto, una coppia apparentemente unita, cordiale nell'esposizione e attenta alla ragazza increscita. Prima di affrontare l'argomento di Samanta lasciavano però emergere un grave disagio nellacomunicazione tra loro: da molto tempo erano freddi e senza alcun gesto di affettuosità. Anzi si può direche vivevano come “fratello e sorella”, semplicemente perché Mirella era assai gelosa di Gilberto e loaccusava di avere una relazione troppo amichevole addirittura con una loro parente che per motivi dilavoro vedeva in continuazione. Vero o non vero, il fatto è che condizionava fortemente la loro relazioneimmettendo in Mirella una carica di ansia notevole, sia verso il marito come verso la stessa figlia da leivalutata persona poco preparata ad affrontare da sola le situazioni riservate dalla vita stessa.Mirella aveva tante paure, anzi quasi ossessioni aumentate dal fatto di sentirsi sola e non trovava in Gilbertoun valido sostegno. Le sue parole:Può dare l'impressione che io voglia <strong>essere</strong> troppo protettiva nei confronti di mia figlia, la vedocosì ingenua, semplice, un po' troppo credulona nei confronti degli altri. Anzi a dire il vero Samantanon sa mentire a nessuno, ma dall'altra parte è andata incontro a tante delusioni, non sa difendersi,forse non ha ancora imparato a conoscere gli altri. È vero che mi chiama spesso a volteanche per scegliere il vestito da mettersi per uscire o per fare qualche acquisto. Da una parte questomi fa piacere perché la sento vicina, so che ha tanta fiducia in me e resta legata alla famiglia.Temo però per la sua autonomia, desidera avere un ragazzo perché crede nel valore della famiglia,l'abbiamo educata ai valori cristiani ed ha potuto seguire fino a pochi anni or sono il camminodegli scouts. Io però mi sento sola, mio marito troppo preso dal lavoro e queste cose più ditanto non le vuole sapere. Lui dice che la ragazza è seria, ha la testa sulle spalle e sa quello chevuole. Per me Samanta manca di sicurezza, è troppo piena di paure che forse ha ricevuto ancheda me, dalle mie ansie e dal timore che possa succederle qualcosa di brutto con gli altri. Sentosempre dire che molte ragazze deluse da relazioni affettive sono diventate anoressiche o sono cadutein depressione. Samanta vuole ricevere affetto e attenzione dagli altri, ma fino ad ora ha vissutoesperienze poco adatte per lei.Dal racconto della madre si coglieva il suo bisogno di avere accanto la figlia per trovare conferma allapropria capacità di amare. Samanta aveva bisogno di lei, si metteva a confronto con la madre su ogni ar-23


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>gomento, non la lasciava mai, ne dipendeva. È vero che poteva dare “fastidio”, ma altrettanto vero cheera una compensazione al suo bisogno d'<strong>essere</strong> amata, di trovare attenzione e fiducia. In Mirella era venutomeno il rapporto d'amore con Gilberto il quale diceva a proposito della situazione:Mi accorgo che da troppo tempo non riusciamo a parlare e quando faccio per dire qualcosa miamoglie si agita, reagisce in modo aggressivo e spesso mi blocca fino a farmi cambiare discorso o afarmi reagire con rabbia. Non possiamo dire di esserci messi a confronto, specialmente sul lavoroche occupa una grossa parte della nostra giornata e, visto che lavoriamo praticamente insieme, avolte le cose del lavoro si mischiano con quelle di casa. Non siamo in buona sintonia, sì io le vogliobene, ma non riusciamo a stabilire un bel rapporto di coppia. Ho qualche sguardo eccessivo versonostra cugina? Io sono solo me stesso e cerco con gentilezza e affabilità di collaborare anche peril lavoro familiare che svolgiamo come artigiani, non mi pare di avere mancato nei suoi confronti,io sono legato a Mirella e non c'è nessuna altra donna.24Con mia figlia Samanta che cosa dire? Vedo anch'io che è un po' imbranata nei rapporti che instauracon gli altri, ma è anche vero che è giovane e deve fare le sue esperienze. Personalmentel'ho sempre seguita e le ho insegnato la sincerità e la fedeltà alla parola data agli altri dove occorre<strong>essere</strong> leali e onesti anche se non tutti lo sono nei nostri riguardi. Forse ho affermato questiprincipi con molta insistenza e Samanta è sensibile e permalosa, può avere preso troppo sul seriole cose, deve imparare a vivere anche da qualche esperienza negativa. Mia moglie poi si può direche la assedia, è troppo attaccata a lei e in certi momenti non ne vedo il perché. La ragazza è responsabile,non può <strong>essere</strong> diretta dalla mamma come fosse ancora una bambina.Erano evidenti le due linee <strong>educati</strong>ve, non tanto sulle “cose” da fare ma sulla percezione della realtà.Mirella bloccata dalle paure e dal bisogno di <strong>essere</strong> partecipe alla vita della figlia trovandovi affetto ecomprensione. Gilberto invece voleva lasciare più spazio a Samanta affinché vivesse la sua vita convintodella necessità di ogni esperienza per crescere. Non riteneva necessario farne il monitoraggio dei comportamentie delle scelte, voleva conoscere il suo cammino ed era solo lei responsabile di se stessa.Non avevano solo dei punti di vista differenti, quanto il frutto dell'elaborazione personale delle proprieconvinzioni nel contesto di una relazione di coppia sbiadita, fredda e spesso conflittuale. Molto probabilmenteil rapporto tra loro due era incrinato da lungo tempo ed entrambi si erano come rassegnati auna relazione senza trovarvi più di tanto stimoli e motivazioni per riprendere con più vigore la loro intesa.Non solo ma proprio nel parlare di Samanta si notava la contraddizione tra Gilberto e Mirella, lui dicevachiaramente che tutti i problemi esistenziali della figlia erano dovuti allo stress della madre. La moglierimandava al marito ogni addebito dicendogli che solo lei fino ad ora aveva condotto la famiglia el'educazione dei figli, lui pensava solo al lavoro e forse anche alla cugina. Era una situazione di stallo, nonse ne usciva, anzi il continuare nella conversazione non faceva che aumentare lo stato di disagio in coppiae la mancanza di una linea chiara nei confronti della figlia.5.3 La possibilità di una ripartenzaSembrava un rapporto <strong>educati</strong>vo compromesso nel quale ciascuno non si muoveva dalla propria posizione.La ragazza temeva prima di tutto gli altri, in particolare gli uomini, dal momento che non aveva ricevutosicurezza affettiva dal padre con il quale non aveva stabilito un rapporto confidenziale. L'attaccamentomorboso alla madre le lasciava il senso di una dipendenza dalla quale lei stessa voleva svincolarsi,ma non ci riusciva. Che fare? La coppia era assai chiusa nel proprio ambito lavorativo e in generalein una rigida cerchia di amici e parenti. Occorreva aprirli ad altri.S’iniziò così la frequentazione di un gruppo di famiglie adulte, accoglienti e in grado di favorire in loro ildialogo in coppia e con i figli, sulla vita famigliare. Sul momento sembravano poco interessati, ma il climad’intensa fraternità e di riscoperta della relazione in coppia furono un buon stimolo per una ripartenza.Il primo impegno che i due coniugi assunsero fu il dialogo da condurre in modo chiaro e sincero


List of Country Codes(For details, see page 22.)Abbreviation Code CountryAD 6568 AndorraAE 6569 United Arab EmiratesAF 6570 AfghanistanAG 6571 Antigua and BarbudaAI 6573 AnguillaAL 6576 AlbaniaAM 6577 ArmeniaAN 6578 Netherlands AntillesAO 6579 AngolaAQ 6581 AntarcticaAR 6582 ArgentinaAS 6583 American SamoaAT 6584 AustriaAU 6585 AustraliaAW 6587 ArubaAZ 6590 AzerbaijanBA 6665 Bosnia and HerzegovinaBB 6666 BarbadosBD 6668 BangladeshBE 6669 BelgiumBF 6670 Burkina FasoBG 6671 BulgariaBH 6672 BahrainBI 6673 BurundiBJ 6674 BeninBM 6677 BermudaBN 6678 Brunei DarussalamBO 6679 BoliviaBR 6682 BrazilBS 6683 BahamasBT 6684 BhutanBV 6686 Bouvet IslandBW 6687 BotswanaBY 6689 BelarusBZ 6690 BelizeCA 6765 CanadaCC 6767 Cocos (Keeling) IslandsCD 6768 Congo, the DemocraticRepublic of theCF 6770 Central African RepublicCG 6771 CongoCH 6772 SwitzerlandCI 6773 Cote dílvoireCK 6775 Cook IslandsCL 6776 ChileCM 6777 CameroonCN 6778 ChinaCO 6779 ColombiaCR 6782 Costa RicaCU 6785 CubaCV 6786 Cape VerdeCX 6788 Christmas IslandCY 6789 CyprusCZ 6790 Czech RepublicDE 6869 GermanyDJ 6874 DjiboutiDK 6875 DenmarkAbbreviation Code CountryDM 6877 DominicaDO 6879 Dominican RepublicDZ 6890 AlgeriaEC 6967 EcuadorEE 6969 EstoniaEG 6971 EgyptEH 6972 Western SaharaER 6982 EritreaES 6983 SpainET 6984 EthiopiaFI 7073 FinlandFJ 7074 FijiFK 7075 Falkland IslandsFM 7077 Micronesia, FederatedStates ofFO 7079 Faroe IslandsFR 7082 FranceGA 7165 GabonGB 7166 United KingdomGD 7168 GrenadaGE 7169 GeorgiaGF 7170 French GuianaGH 7172 GhanaGI 7173 GibraltarGL 7176 GreenlandGM 7177 GambiaGN 7178 GuineaGP 7180 GuadeloupeGQ 7181 Equatorial GuineaGR 7182 GreeceGS 7183 South Georgia and theSouth Sandwich IslandsGT 7184 GuatemalaGU 7185 GuamGW 7187 Guinea-BissauGY 7189 GuyanaHK 7275 Hong KongHM 7277 Heard Island andMcDonald IslandsHN 7278 HondurasHR 7282 CroatiaHT 7284 HaitiHU 7285 HungaryID 7368 IndonesiaIE 7369 IrelandIL 7376 IsraelIN 7378 IndiaIO 7379 British Indian Ocean TerritoryIQ 7381 IraqIR 7382 Iran, Islamic Republic ofIS 7383 IcelandIT 7384 ItalyJM 7477 JamaicaJO 7479 JordanJP 7480 JapanKE 7569 KenyaKG 7571 KyrgyzstanKH 7572 CambodiaAbbreviation Code CountryKI 7573 KiribatiKM 7577 ComorosKN 7578 Saint Kitts and NevisKP 7580 Korea, DemocraticPeople’s Republic ofKR 7582 Korea, Republic ofKW 7587 KuwaitKY 7589 Cayman IslandsKZ 7590 KazakstanLA 7665 Lao Peopleís DemocraticRepublicLB 7666 LebanonLC 7667 Saint LuciaLI 7673 LiechtensteinLK 7675 Sri LankaLR 7682 LiberiaLS 7683 LesothoLT 7684 LithuaniaLU 7685 LuxembourgLV 7686 LatviaLY 7689 Libyan Arab JamahiriyaMA 7765 MoroccoMC 7767 MonacoMD 7768 Moldova, Republic ofMG 7771 MadagascarMH 7772 Marshall IslandsMK 7775 Macedonia, The formerYugoslav Republic ofML 7776 MaliMM 7777 MyanmarMN 7778 MongoliaMO 7779 MacauMP 7780 Northern MarianaIslandsMQ 7781 MartiniqueMR 7782 MauritaniaMS 7783 MontserratMT 7784 MaltaMU 7785 MauritiusMV 7786 MaldivesMW 7787 MalawiMX 7788 MexicoMY 7789 MalaysiaMZ 7790 MozambiqueNA 7865 NamibiaNC 7867 New CaledoniaNE 7869 NigerNF 7870 Norfolk IslandNG 7871 NigeriaNI 7873 NicaraguaNL 7876 NetherlandsNO 7879 NorwayNP 7880 NepalNR 7882 NauruNU 7885 NiueNZ 7890 New ZealandOM 7977 Oman30-EN


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>tava di una “terapia” di gruppo quanto di un incontro che portava ciascuna coppia a sapersi “mettere indiscussione”.Il suggerimento consisteva nel saper scrivere le proprie sensazioni ed esperienze per meglio condividerlein gruppi più ristretti. Ben lontana la curiosità del saper quanto gli altri fanno, prevaleva la volontà di favorirela ripresa della vita coniugale e, per coniugi come Gilberto e Mirella sposati con il sacramento delmatrimonio, la possibilità di rivitalizzare la santificazione di coppia e personale.Il loro gruppo non aveva nulla di straordinario, costituiva solamente un sostegno continuo e ben accettato.Col tempo desideravano questi incontri dove avevano stretto amicizia con le altre coppie, convintidella necessità di sapersi confrontare. Avevano saputo scegliere nuove amicizie dopo aver capito lamancanza di validità di altre compagnie più evasive.Oggi è assai delicata l’educazione dei figli e trovare gruppi di famiglie ben impostati nei quali ci si sentesostenuti come coppia e come genitori è certamente una grande risorsa che permette di poter riscoprireil valore degli altri quali fratelli con cui percorrere insieme il cammino della vita in spirito di autenticasolidarietà e vera amicizia.5.7 Che cosa si può raccogliere?Certamente la storia di Samanta pone degli interrogativi e ne vorremmo sviluppare tre:a) Che cosa fare per tenere vicini i figli quando sono giovani e indipendenti? È evidente il comportamentospinto all’eccesso di Mirella persona insoddisfatta della relazionalità in coppia. Per <strong>educare</strong>,per trasmettere sicurezza affettiva e saper dialogare con i figli è necessaria la libertà interiore. Più sitende a fare “pressioni” sui figli che crescono e più costoro o assumono atteggiamenti difensivi neiconfronti dei genitori oppure, come Samanta, cedono per la loro debolezza strutturale. È necessariol’equilibrio nella libertà che da un lato esige distacco affettivo, e dall’altro impegno per stabilire unrapporto confidenziale e di fiducia verso i figli per non far pesare loro le scelte che fanno. Il figlio èvicino non perché viene diretto, ma perché assume da solo la giusta direzione che gli si è trasmessacon l’esempio e le parole;b) Come intervenire sui figli quando presentano delle difficoltà esistenziali? Nella storia che abbiamosviluppata, si prospettava una lenta ma continua assistenza prima di tutto sul piano emotivo e relazionale.Occorreva stabilire un dialogo sincero e aperto affinché la ragazza sentendosi accettata nellapropria fragilità, avvertisse nella famiglia un punto di riferimento costante per la crescita. Altrettantoreale la necessità di rispettare le sue scelte, spesso i genitori più di tanto non possono intervenire sugiovani che prendono decisioni in modo autonomo.L’intervento prima di tutto va calibrato sulla realtà senza mai pretendere di imporre i propri punti divista. È questo il principio cardine della conduzione <strong>educati</strong>va: il rispetto per le scelte dei figli, cheanche se differenti da quelle trasmesse dai genitori, sono in ogni caso la base sulla quale innestare larelazione e farla evolvere;c) Quale sicurezza saper trasmettere? Stando alla situazione della coppia di Gilberto e Mirella il primorisultato era la diffusa mancanza di tranquillità <strong>educati</strong>va, Samanta si sentiva insicura perché mai a-veva percepito l’unità affettiva tra i suoi genitori. In questa coppia tale rapporto era ridotto allo stareinsieme, senza alcuna volontà di confronto e manifestazione di affetto. Da qui il disagio e la paurache Samanta portava con sé. Quante volte si chiedeva se poteva con le proprie capacità avvicinarealtri, amarli, comprenderne i bisogni o se il suo pessimismo fosse solo la paura di mettersi in gioco.28


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>Ne derivava il senso del disagio comunicativo vissuto nel contesto di una famiglia nella quale vi era lasicurezza economica e del lavoro (oggi assai importante), ma veniva però meno quella dell’affetto edel dialogo che danno spessore <strong>educati</strong>vo alla vita familiare. In altre parole <strong>educare</strong> non è dire dellebelle parole, ma trasmettere ai figli la credibilità di un comportamento in grado di renderli forti affettivamentee capaci di mettersi in gioco con gli altri senza timore.d) Più c’è unità e sintonia tra i genitori e meglio si favorisce l’apertura dei figli verso il mondo esterno.Da coppia a genitori ed educatori il passo può <strong>essere</strong> breve e quasi automatico. Mai si potrà evitare ilpericolo di trasmettere solo il proprio disagio relazionale. Necessaria è la verifica con coraggio e sincerità,come hanno effettuato Mirella e Gilberto senza nascondersi e far finta di nulla. Più semplicee sbrigativo addossare colpe e responsabilità ai figli.Se pensiamo a Samanta, il padre se la cavava fin troppo bene affermando che era “imbranata”,cosìla madre a cui faceva “comodo” il legame affettivo e direttivo anche se percepiva la sua mancanza diautonomia.La situazione di una coppia divisa può portare verso un esito ancora peggiore come nella realtà diErminia, la storia del prossimo capitolo.29


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>6 L’abbandono e la solitudine dis<strong>educati</strong>va6.1 La testimonianza di ErminiaA riprova di una realtà oggi assai diffusa portiamo a conoscenza la testimonianza di Erminia una giovaneventicinquenne figlia di genitori separati fin dalla sua infanzia. Una storia come tante, magari più positive,ma con alla base una separazione talvolta quasi inspiegabile. La separazione non deve far venir menola chiamata principale e non abdicabile: non ci si separa mai dall’<strong>essere</strong> genitori ed educatori.Erminia non sapeva <strong>essere</strong> se stessa in modo spontaneo e libero. Portava dentro di sé la paura dei giudizialtrui, non sapeva come comportarsi per piacere agli altri o per riuscire a realizzare quello in cui credeva.Viveva in modo potremmo dire diviso tra il dover <strong>essere</strong> e la sua realtà di persona. Questo le davafastidio e la faceva sentire da un lato inadeguata alla realtà e dall’altro incapace di esprimersi in tuttoquello che desiderava realizzare. È però utile raccogliere una parte di un lungo scritto nel quale analizzavai suoi comportamenti alla luce di quanto ricevuto dalla propria famiglia:La mia infanzia me la ricordo in maniera positiva. Ho avuto all’inizio due genitori sempre presenti,pronti a capire e tentare di spiegare piuttosto che sgridarmi o impormi regole senza un reale motivo,in particolare mia mamma. Ho sempre avuto un bel rapporto con lei, mi ha permesso di scoprireil valore dei miei nonni materni per i quali sono stata la prima nipote sino a quando non è arrivatomio fratello Pietro. Poi la nascita di mio fratello è stata causa di una gelosia spesso immotivatache finiva spesso in pianti isterici e sceneggiate inutili. Sono sempre stata molto gelosa e attaccatain maniera eccessiva verso tutto ciò che ritenevo mi appartenesse, gelosa in modo assurdo nontanto di cose materiali ma delle persone che sentivo mie, lì apposta per me.Ricordo che a sette anni conobbi un’amica che divenne subito punto di riferimento: eravamo inseparabili,e, perfino in compagnia con altre, volevo sempre che lei stesse con me che giocasse solocon me tentando perfino di mettere le altre in cattiva luce ai suoi occhi, solo lei esisteva. Volevo <strong>essere</strong>al centro dell’attenzione sia dei miei genitori e sia dei miei parenti. Fu in quegli anni che notavofreddezza e distacco tra i miei genitori, ci volevano bene, anzi facevano di tutto per non farcimancare nulla, ma notavo che loro si parlavano il puro necessario per le cose di casa. Non vi era intesae nemmeno affetto, il sintomo di una crisi che lungo il tempo è andata allargandosi fino a divenireseparazione e allontanamento. Non avvertivo più di <strong>essere</strong> la “reginetta” di casa, come primami facevano credere e io m’illudevo di esservi diventata. Era il segnale di un’assenza sempre piùreale dei miei genitori che separandosi non avevano più la possibilità di seguirmi e farmi sentireimportante. Quante volte ho chiesto a mamma perché papà se ne andava via e lei per tutta rispostami diceva di volermi sempre bene che lui mi amava ancora e si interessava a noi, anche se nonriuscivano più a vivere insieme. Forse anche per questa situazione di ”vuoto” iniziai a fare più piantie capricci di prima, convinta che con sorrisi e un po’ di pazienza avrei ottenuto quanto desideravo.Allora mi ricordo che chiedevo molti giocattoli e poi non contenta volevo andare, uscire a passeggiarea divertirmi, magari al luna park, ma stare con i miei era il mio desiderio. Così di mio papà hosentito spesso la presenza come di una persona che deve prendersi cura della mia educazione.Era diventato serio, sorrideva poco e si preoccupava che non mi mancasse niente. Era una presenzagradevole, ma allo stesso tempo non po’ formale. Non sono mai riuscita a giocare veramente conlui, bisognava stare attenti a non sporcare, a non farsi male e a non urlare. Papà ci tenevaall’ordine, all’inquadramento mio e di mio fratello anche perché dovevamo andare a casa sua enon era la stessa cosa. Mio papà è una persona buona, generosa, non ho mai capito fino in fondo ilmotivo per il quale si è lasciato con mamma. In ogni caso non ne ha mai parlato male, anzi dicevadi apprezzare la dedizione alla famiglia e di ascoltarne gli insegnamenti. In ogni caso ho notato dipapà la formalità di cui ho già detto: non mi ha mai preso, stretto e baciato in modo caloroso, ho30


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>avvertito un po’ di distacco dovuto, credo, alla sua educazione. Un po’ sento di assomigliare a miopapà, anch’io non riesco a lasciarmi andare troppo con le persone come per non disturbare e darefastidio. La situazione di vederlo solo senza mamma e la sua volontà di imporsi su di me non mihanno permesso di stabilire negli anni della mia crescita un rapporto di fiducia e di facile spontaneità.Ho avuto parecchie discussioni, spesso pesanti.S’iniziava una discussione e magari entrambi si sosteneva la medesima idea, ma in modi differentie nessuno mollava la propria posizione finché non si arrivava a urlare e discutere come pazzi senzamai ammettere i propri errori. Credo che dentro di me si era accumulata tanta rabbia per la suaseparazione e tanta delusione per non avere i miei genitori lì in casa assieme per darmi il confortodella loro presenza. Mi ha sempre infastidito, soprattutto da adolescente, il suo modo di raggirare iproblemi, di non prenderli mai di petto, ma di parlarci sopra per ore e ore senza concludere nulla.Che cosa avrei voluto da lui? Che entrasse di più nel mio mondo, che mi facesse sentire che mi volevabene non a parole, ma con un atteggiamento disponibile e paziente mettendoci più scioltezza.Era troppo chiuso, formale, perché secondo me doveva solo salvare apparenze, dimostrare forsesolo a se stesso che sapeva fare il padre prendendosi cura ogni tanto dei suoi figli. Era per me comesu un piedistallo da cui faceva fatica a scendere, e una volta sceso, sentivo che non si trovava poicosì a suo agio di fronte al nostro mondo di bambini e ragazzi in crescita.Purtroppo però mi accorgo di assomigliargli in tante piccole cose: la sua freddezza, il suo non buttarsimai nella mischia, il tentare di restare nel proprio mondo, la sua poca pazienza, così come lasuperficialità nel non capire le cose degli altri. Riconosco che anche oggi, che sono adulta, ho sempreuna forte componente di gelosia verso gli altri a cui le cose vanno meglio, e verso mio padre hosenso di detestazione anche se mi accorgo di aver preso molto di lui e non mi accetto per questecose. La mia sofferenza resta quella di non riuscire ad avere dei rapporti stabili e duraturi con gli altriforse perché, a lungo andare, ho sempre paura del loro giudizio. È una cosa che mi pesa molto.Sento spesso che la vita è come un esame ed ho una grande paura delle critiche altrui anche se a-mici.Spesso mi piacerebbe lasciarmi andare, dare tutto e togliermi la maschera da “perfettina” a tutti icosti. È la mia difesa che m’impedisce incontri profondi e duraturi con le altre persone e con ragazzi.Di storie ne ho avute, ma mi sono accorta che sono finite perché io ho voluto fare la prima donna,quella che critica, rompe, vuole dirigere. È una mia paura, o meglio il mio modo tipico di presentarmi.Credo di dover trovare un equilibrio che ancora non ho, mi piacerebbe credere un po’ dipiù in me stessa e nella persona che ho accanto.Mi capita spesso di non stare bene in nessun luogo e con nessuna persona, allora mi viene voglia dicambiare gente e luoghi e alla fine mi rendo contro che sono io che non vado, che dentro ho confusionee insoddisfazione. Ho il rimpianto di non aver ricevuto un amore completo, vero e totale daparte dei miei, specie del padre, e questo mi fa star male con me stessa. Sono spesso nervosa e vivonella tensione e preoccupazione di non saper fare le cose che devo fino a subire i giudizi negativi esqualificanti degli altri. Ma così vivo male e non sono felice.6.2 I punti di riferimento <strong>educati</strong>viLa testimonianza della giovane rifletteva una realtà decisamente negativa: si sentiva abbandonata dalpadre. Non che fosse assente, ma presente solo come diceva “formalmente”, per salvare un’apparenza,lontano dalla sua vita. Tutta colpa del padre? Era davvero così freddo e distaccato da lei? Non c’è datoconoscere in modo diretto la realtà, ma dal racconto sofferto e preciso di Erminia se ne comprende ildramma: lei sentiva la necessità di un confronto, il bisogno di una conferma, il desiderio di una relazioneaffettuosa e costante con lui e non l’ha trovata. Resta significativo il fatto da lei raccontato di non avere31


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>stabilito con il padre nemmeno un minimo di gestualità, per quale motivo? Semplice non riusciva a comunicarecon lui e si era chiusa come un riccio. Notava solo la sua volontà di “dirigere” di mettere tuttoa posto con qualche buon consiglio senza stabilire una relazione <strong>educati</strong>va significativa. In altre parolenon era punto di riferimento per l’educazione di Erminia, affidata praticamente solo alla madre, con laquale ha mantenuto un rapporto costruttivo e sicuro.Questa realtà l’ha infastidita rendendola sempre più vittima, prima di tutto di se stessa, rinchiusa neipropri limiti caratteriali e senza la possibilità di un confronto allargato con il padre che avrebbe dovutodiventare costante guida per la sua crescita in ordine ai rapporti umani con gli altri. Lui però era lontanodal suo mondo troppo preso da altre preoccupazioni o forse incapace di stabilire un feeling <strong>educati</strong>vocon la figlia in crescita. Da qui il potenziale di rabbia, tensione e agitazione che Erminia covava dentro disé e riversava sul padre sempre più impacciato e diremmo come “bloccato” sui propri schemi di vita. Leiera chiusa nella sua forma eccessiva, a suo dire di gelosia, con la paura di non contare e non avere nessunoche si prendesse davvero cura di lei.Se ne potrebbe dedurre che la situazione di separazione dei coniugi-genitori sia di fatto portatrice digrave insicurezza <strong>educati</strong>va. Sì può <strong>essere</strong> una facile risposta, ma non del tutto adeguata alla realtà daanalizzare. Come a dire che se anche il padre fosse rimasto unito alla madre in una vita coppia, sotto lostesso tetto, forse non sarebbe cambiato gran che. In questa realtà risulta troppo evidente la distanzaaffettiva tra padre e figlia, con il ruolo materno diretto non semplicemente all’educazione della figlia,ma alla responsabilizzazione del padre. Stimolare in lui il compito di educatore verso la figlia, avrebbegiovato al suo percorso <strong>educati</strong>vo. La distanza affettiva ed effettiva tra i due genitori non ha favorito lacrescita nella capacità di <strong>educarsi</strong> propria di una coppia che anche se separata doveva agire educandosiper poter trasmettere il messaggio <strong>educati</strong>vo.La ragazza ha poi letto il tutto come un evento a lei nettamente sfavorevole, una situazione nella qualenon sapeva come comportarsi. La separazione ha significato confusione <strong>educati</strong>va e mancanza di riferimentistabili. Non è comunque un evento facilmente comprensibile in una bambina di sette-otto anni larealtà dei genitori non più insieme, e che non si prendono cura di lei in modo unitario Vedeva la nuovacasa del papà nella quale non avvertiva il senso della famiglia, ma solo di <strong>essere</strong> ospitata e forse anchesopportata.Sensazioni o realtà? Non cambia gran che, Erminia ha vissuto anni nel timore di non <strong>essere</strong> adeguatamenteamata, come fosse un “peso” da dover tenere senza avvertire la bellezza, la dolcezza e diremmola sicurezza di un amore stabile e complice degli eventi che segnavano la propria esistenza. Il “vuoto” dicui parla la ragazza diveniva la realtà con la quale doveva misurarsi e il confronto con altre amichette larendeva ancor più isolata. Tutto questo che conseguenze ha avuto sulla sua capacità relazionale, nelproprio cammino di vita?6.3 I desideri irrealizzatiÈ vero Erminia, come tutte le persone, specialmente giovani, aveva dentro di sé una serie di desideri darealizzare e faticava non solo a esprimerli, ma anche a provare a metterli in pratica. Raccogliamo sempredai suoi scritti:Vorrei poter offrire sempre un sorriso anziché, spesso, tensione e nervosismo. Vorrei riuscire a capiree cogliere i momenti belli della mia vita, senza pensare a cose eclatanti in tutti i giorni e momentinormali che la vita offre, senza aspettarmi chissà quali cose. Vorrei diventare più semplice eaccontentarmi di più della mia vita. Una famiglia e dei bambini rimangono sempre e comunqueun bel pensiero per me: prima non avevo mai pensato a dei figli, ma credo che siano il reale completamentodi un amore. Un amore vero a cui poter donare i miei pregi, i miei difetti e tutto quelloche posso dare. Ho delle aspettative normali, ma per me sono così difficili da raggiungere in32


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>questo momento. Credo di aver dato eccessiva importanza ai giudizi estetici degli altri nei mieiconfronti e ciò mi ha portato a una cura eccessiva del mio aspetto. Esistevo solo per quello.L’<strong>essere</strong> carine dà notevoli vantaggi ma ora, sempre di più mi rendo conto di come le mie amiche,magari meno belle di me, siano persone più interessanti, mature e complete di me. Mi accorgoche, a lungo andare, non riesco a stabilire con le persone rapporti duraturi. Ho sempre paura difarmi vedere per quello che sono, non sono mai sicura di come mi prenderà la gente una volta conosciutamimeglio. Di me apprezzo soprattutto il fatto di <strong>essere</strong> molto schietta, di apparire comesono: non riesco a crearmi un personaggio, delle maschere ed è per questo che ho paura che lagente se ne approfitti.Erminia viveva nell’incubo di fallire, di vedere ancora una volta naufragare il sogno di una famiglia unitanella quale poter trovare sicurezza nell’affetto del marito e la dolcezza e bellezza dei bambini attorno.Nel discorrere venivano alla luce le situazioni di altre persone che avevano subìto l’amarezza della separazionee la durezza di rapporti traumatici. Lei stessa ripeteva che ancora dopo tanti anni non riusciva acomprendere le vere motivazioni della separazione dei suoi genitori pur notando che il padre era assairigido nei suoi schemi di vita e la madre piuttosto esigente sul piano affettivo. Non poteva dare unaspiegazione logica alla loro separazione. La madre spesso le ripeteva che tra loro era subentrata una pesanteincomunicabilità, perché il marito la accusava di <strong>essere</strong> troppo esigente verso di lui soffocandolocon continue sceneggiate, per lavoro ed era poco presente in casa. Forse poi ha influito anche il fattoche lui voleva farsi un’altra vita e aveva conosciuto nell’ambiente di lavoro una nuova compagna, ma ciòarrivò qualche tempo dopo la separazione. In ogni caso la freddezza e la litigiosità nella coppia eranomolto frequenti, al punto che la stessa bambina e il fratellino percepivano che in casa c’era “burrasca” eche era meglio non disturbare papà e mamma.Il ricordo della separazione equivaleva a ridestare in Erminia tanta sofferenza avvertiva un enorme bisognodi affetto e sicurezza e non aveva accanto a sé i genitori uniti e in sintonia tra loro.Erminia voleva combattere la battaglia della vita e sapersi porre nei confronti degli altri con maggiore sicurezza,pur sapendo che non tutti sono seri nelle loro intenzioni. Il rapporto affettivo è in ogni caso un“investimento” che è bene voler realizzare con l’impegno di amarsi e restare insieme nel tempo, spintidal desiderio di superare gli altri che non vi sono riusciti.6.4 I principi <strong>educati</strong>vi sicuriIl percorso di Erminia si apriva verso un traguardo: non perdere la speranza nelle persone, anzi arrivarea potersi fidare di qualcuno. La sua sfiducia, sicuramente alimentata dalla storia personale e familiare,la rendeva alquanto pessimista e insicura. La giovane voleva però uscirne a testa alta e non <strong>essere</strong> vittimadi se stessa per le proprie insicurezze. Da questa realtà scaturiva il cammino per realizzare in se stessala capacità di andare avanti senza più recriminazioni. Erminia nel suo profondo amava il padre, nepercepiva la sofferenza interiore e la sua incapacità a darle tutto quello che lei desiderava. La sua stessarigidità, la non volontà di coinvolgersi nel percorso <strong>educati</strong>vo della ragazza “tenuta a distanza” dal suoeccessivo formalismo, erano difese psicologiche dettate dalla sua paura a muoversi. La ragazza raccoglievail messaggio di una persona incapace di un amore stabile, vero e spontaneo forse a sua volta“bloccato” dalle paure o da altri eventi negativi della sua storia passata. In ogni caso Erminia stava facendoun’operazione d’intelligente ripresa dell’educazione ricevuta nella quale notava ben cinque principiben trasmessi nonostante la complessità della propria storia:1) Il senso dell’onestà e sincerità. È vero che mai aveva potuto conoscere in modo preciso le ragionidella separazione dei genitori, altrettanto vero che la madre le aveva trasmesso il gusto personaleper la verità delle cose. Non sapeva mentire, non aveva timore di raccontare se stessa per paura del-33


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>le conseguenze. Lei era divenuta troppo gelosa e permalosa, ma in nome della verità delle cose, nondella loro mistificazione. Del padre apprezzava l’indubbia onestà morale, anche perché non avevamai parlato negativamente della madre e non ne aveva sminuito il valore della persona el’importanza della sua figura <strong>educati</strong>va.2) La dedizione alla famiglia, a lei e al fratello minore, non era mai mancata da parte di entrambi, nonostantela separazione. Recuperava del padre lo spirito di servizio, con senso di obbligatorietà, svoltocon dedizione e impegno. Come non ricordare di averlo visto più volte andare a domandare a maestree insegnanti il suo andamento scolastico o <strong>essere</strong> presente alle sue gare di nuoto, sport di cuiera ancora appassionata e che aveva svolto in modo quasi agonistico e notare la sua fierezza per i risultatinelle gare e i sostegni economici per le sue spese. No, la sua dedizione alla famiglia non eramai venuta meno. Così come la madre che si era messa a totale disposizione dei figli non facendo loromai pesare la separazione come limite.3) La volontà di correzione nell’età evolutiva. È bello risentire le parole di Erminia:Il mio carattere portato anche ora a mettermi in mostra ed evidenziare le mie qualità nascondendoqualche mio limite, è stato uno scoglio per la mia educazione. Lo ammetto, molte volte mammami sgridava perché volevo averla vinta su tutto e papà lasciava perdere, non si intrometteva.Non ricordo che abbia mai smentito mamma nel prendere decisioni su di me. Anche quando dapiccola mi dava qualche castigo, o mi negava un permesso, papà non hai commentato. Forse eraarrendevolezza, ma anche lui però mi ha sempre rimproverato l’eccessiva manifestazione dellemie capacità. Anzi in più di un’occasione, anche ora che sono adulta, mi fa capire quanto sia difficilepoter legare rapporti con una persona iperattiva che sempre vuole fare, rifare e spesso disfarequello che è stato fatto. Direi che su questa linea <strong>educati</strong>va mi hanno sempre seguito per correggermi.Sono io che spesso ho interpretato le azioni in modo negativo quasi per evitare di mettermiin discussione.Educare esige, non può <strong>essere</strong> altrimenti, determinazione e precisione nell’individuare e correggereogni comportamento, azione e parole che allontanino un giovane in crescita dalla linea <strong>educati</strong>va volutadalla famiglia. È evidente nel caso di Erminia la sua esuberanza con tendenza a voler debordarein ogni sua iniziativa dalla linea <strong>educati</strong>va, per lei freno, misura e attenzione che non vuole non lasciarlaandare avanti senza guida;4) Il senso di rispetto e stima verso gli altri. Erminia lentamente fa emergere la positivitàdell’educazione ricevuta nel saper stabilire con le altre persone stima, affetto e amicizia. Ricorda chei suoi, cercavano di trasmetterle una valutazione costruttiva degli amici, parenti e vicini di famiglia. Ilpadre, sicuramente lontano dal parentado della moglie, raramente elevava critiche verso gli zii, inonni o i cugini. Si limitava a raccontare qualche fatto, ma niente di più. Il messaggio era chiaro: saperapprezzare quanti vivevano accanto. Erminia, di carattere estroverso, legava facilmente con lepersone.5) La motivazione religiosa alle scelte di vita. I suoi genitori, anche se separati, soprattutto mamma,frequentavano la chiesa e le avevano trasmesso i contenuti della fede cristiana. Riguardo a suoi diceva:papà era più scrupoloso che religioso e mamma spesso andava in chiesa spinta a volte da nonnaperché la domenica non si poteva non santificarla. In ogni caso mi hanno dato l’impostazione diun’educazione al valore cristiano della carità: fare qualcosa per gli altri, non pensare solo a sestessi. Forse anche loro non sono stati esemplari, ma ci hanno provato, hanno almeno insegnatoin modo serio quello di cui erano convinti.34


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>Erminia, dopo le sue iniziali critiche ai genitori, stava recuperando i valori espressi non solo a parole, maanche dai loro comportamenti. Aveva appreso un’esperienza di vita davvero unica di cui era riconoscente.Com’era differente il suo modo di impostare la realtà rispetto a qualche tempo prima quando c’eravamoconosciuti!6.5 Essere <strong>educati</strong>Come Erminia si poteva dire educata? Una domanda alla quale lei stessa dava una risposta. Si era educatanella sua esperienza familiare dove, pur avendo percepito l’abbandono dell’unità genitoriale e lamancanza di un vero dialogo con il padre, non aveva smesso di credere ed amare la vita.Essere <strong>educati</strong> significa prima di tutto credere in se stessi, non avere paura di affrontare la vita d’ognigiorno nella consapevolezza delle proprie possibilità e in dialogo con gli altri. Erminia non era pienamenteeducata a sapersi fidare delle persone, bloccata vuoi dalle esperienze vissute e dal timore di <strong>essere</strong>inadeguata, troppo legata alle valutazioni altrui soprattutto nel suo portamento, nel suo modo di presentarsiagli altri. Perché cercava ancora di affermarsi nella cura quasi ossessiva per l’estetica? Perchéci teneva che gli altri le dicessero che era piacevole se non molto bella? Quale insicurezza portava dentrodi sé? Erano domande che non trovavano un’immediata e semplice risposta. La giovane viveva conuna certa apprensione la mancanza di punti <strong>educati</strong>vi sicuri di riferimento e pur desiderandolo, non riuscivaa sostenere un rapporto davvero intenso e sicuro sul piano affettivo. Che fare? Era evidente il percorsodi riscoperta della propria identità nella rivisitazione della sua storia personale da cui far emergereil proprio impegno a superare quei tanti disagi derivanti dalla separazione dei genitori.In questa linea iniziava per Erminia una fase che chiamavamo di “abbandono sereno” prima di tutto aglieventi quotidiani e alla persona che le dava una certa disponibilità per costituire una storia. Vincerel’irrequietezza, quasi insofferenza, per tutto ciò che avviene, e riuscire a solidificare i rapporti con gli altriper ottenere pace interiore. Essere <strong>educati</strong> si coniugava con l’<strong>essere</strong> pronti a scrivere una storia differenteda quella vissuta, meno condizionata dalla paura di sbagliare o di mancare l’obiettivo di formareuna famiglia stabile. Le sue rabbie si superavano nel rinnovato slancio per continuare a lottare per unavvenire migliore di quello dei suoi. In fondo nessuno è vittima al punto da non potersi distaccare dalproprio passato, così come nessuno ha la propria storia come fosse una catena invisibile dalla quale nonsi può distaccare. Occorre, per una giovane matura, la consapevolezza del distacco per una ripartenzaall’insegna della positività. Il suo stesso obiettivo di fondo: lasciarsi andare per lasciarsi amare per quelloche si è e non per quello che si vuole fare credere agli altri, costituiva spunto principale dal quale trovarela volontà di lottare per lasciare una realtà ed inventarne un’altra.6.6 I nuovi rapporti <strong>educati</strong>vi genitorialiMa con i genitori, e il padre in particolare, come costruire il rapporto <strong>educati</strong>vo? Nella sofferenza perquello che avrebbe voluto ricevere, senza la “rivendicazione” del passato e nella rinnovata fiducia, ristabilireun rapporto. Il medesimo padre, persona sensibile anche se “bloccato”, andava spronato a recuperarela propria volontà di donarsi, di credere che la sua presenza racchiudesse ancora una potenzialità dibene e di utilità per la figlia stessa. Non aveva assolto il suo “obbligo” di partecipazione, anzi si aprivaora lo scenario dell’adulto che accompagna la giovane figlia in un percorso nuovo, magari con meno responsabilità,ma con altrettanta volontà di starle accanto per condividere gli eventi che si andavano profilando.Ora era lei a credere in lui per restituirgli quella fiducia che lui non aveva saputo meritarsi mache forse avrebbe voluto. In altre parole se davvero Erminia voleva trovare pace dentro di sé e guardarecon speranza il suo futuro doveva rinnovare nel padre la volontà di esserle davvero vicina, e non farglipagare conti oramai superati, perché finalmente credeva nel suo impegno. Così per la madre, con maggiorriconoscenza e nello slancio di chi sa apprezzare la dedizione unita in un dialogo aperto. Essere sestessa con loro, senza mettere nessuna maschera, ma anche scrollandosi il passato, ormai troppo lontanoper incidere nella sua storia.35


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>Solo obbiettivo o realtà possibile? Non sappiamo come la vicenda sia poi evoluta nel tempo, sappiamosoltanto che la giovane era diventata più sicura di sé, iniziava a vivere senza più piangersi addosso e stavaperdendo il vizio di difendere la propria posizione mettendo quella altrui in cattiva luce. Ci immettevamolta determinazione nel voler realizzare il bene che aveva percepito e riteneva basilare per la propriavita. Nella sua storia personale portava iscritta quella genitoriale al punto che era inscindibile. Camminarecon loro diveniva però occasione per uno slancio e stimolo a una qualità di vita meno vittimistica conun orientamento alla gioia di amare credendo nella piena realizzazione di se stessa.Erminia stava liberandosi non dai genitori, ma dalle sue rabbie covate per anni nei loro confronti. Certolei ha avuto il coraggio, la volontà e soprattutto la forte motivazione a fare chiarezza a non continuare avivere mettendo sugli altri i propri disagi. Molte persone purtroppo inseguono per una vita si può dire, lecolpe altrui per non affrontare la propria responsabilità di crescere senza accusare, senza recriminarema solo fidandosi finalmente di qualcuno che ti sa amare e quel qualcuno è prima di tutto il proprio io,la propria speranza di vita.Andare avanti dove ci porta il cuore che ama e la volontà di costruire i bene che solo può rendere realizzatanel bene una persona. Certamente la positività della linea <strong>educati</strong>va è fondamentale, ma ancor piùelevata deve <strong>essere</strong> la determinazione a superare se stessi per ritrovarsi trasformati dalla potente azionedell’amore. Erminia vi aveva creduto, aveva capito le sofferenze altrui insieme con le proprie, ma nonaveva accusato e basta, aveva scelto la via della bontà che comprende, perdona e rinnova l’esistenza. E’forse una “mosca bianca”? Non ne siamo convinti, è solo una persona che ha avuto il coraggio di aprirsie la tenacia di credere alla verità che rende liberi di amare, accettando e superando se stessi.36


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>7 Solitudine e incomunicabilità, difficile <strong>educare</strong>7.1 L’urgenza di una misura. Il caso di VivianaLa situazione di mamma Viviana è la realtà di molte signore che per complessi motivi restano sole nellaconduzione della famiglia. In questo caso la solitudine è dovuta alla scomparsa prematura del marito peruna grave malattia che la lasciava sola con due figli in età di quindici e diciotto anni. Alla pesantezza perla perdita del marito si univa l’impegno nell’educazione dei figli, con la necessità di assicurare loro unnormale tenore di vita.Viviana era assai scossa, amareggiata e confusa quando venne a raccontare la propria realtà familiare. Ilsuo racconto per buona parte era scritto sia pure in modo poco preciso:Mio marito Rodolfo è scomparso da cinque anni, i bambini erano piccoli, soprattutto il secondo egli erano molto attaccati, mio marito era assai attento alle loro esigenze e s’impegnava spessonel gioco, nei compiti e nel tempo libero con loro. Certamente ne hanno provato la mancanza. Ilpiù grande spesso dice sempre “se ci fosse qui papà penso che mi avrebbe detto di sì”, quandodesidera qualcosa che io non posso o non credo sia giusto acquistargli. I ragazzi ora sono grandi esanno bene quello che vogliono: maggiore libertà. Il criterio è quello di voler fare quello che fannoi loro compagni. Soprattutto Lucio, il più grande, è assai esigente e mi rinfaccia che non può faretutto quello che vuole, come rientrare oltre la mezzanotte il sabato sera e poter uscire ogni giornocon gli amici anche nel dopo cena. Non solo ma è spesso maleducato, mi dice che sono all’anticae non mi ascolta quando cerco di farlo riflettere soprattutto sugli amici che frequenta. Ragazziche un po’ conosco anch’io. Poco studiosi e sempre pronti a divertirsi, a fare i loro comodi, achiedere soldi ai genitori per comprarsi sigarette, telefonini, capi firmati ed altre cose.Che cosa debbo fare? Ogni volta che parlo è una battaglia. Io non voglio perdere la calma, anzimio marito mi ha insegnato a ragionare e valutare bene le cose senza lasciarmi andareall’emotività del momento. Sono in difficoltà perché con Lucio non so che cosa fare. Non solo maè di cattivo esempio anche per il fratello Paolo il quale, essendo più piccolo, non ha ancora dellepretese così elevate, ma nelle discussioni è spesso dalla parte del fratello e mi fa capire che è giustoche lui sia più libero e possa farsi la sua vita. Ho provato a parlargli anche con l’aiuto di miocognato che è sempre rimasto legato a noi dopo la morte del fratello. Lui qualche volta l’hannoalmeno ascoltato, ma si sono poi rimessi a contestare il mio operato come se io non capissi nulladella loro situazione. Sento anche altre mie amiche che con figli adolescenti hanno le stesse difficoltànel parlare loro. Non hanno mai tempo, presi come sono dalle loro cose come stare connessiall’internet ed incapaci di distaccarsene. E poi ho notato la difficoltà nel conversare, basta unaparola di troppo e subito si bisticcia. Lucio poi si chiude nel silenzio con atteggiamento strafottentee provocatorio, come a dire “prova a cambiarmi se ci riesci.Che cosa posso fare, ora Lucio dovrà affrontare l’ultimo anno dello scientifico, va bene a scuola,nonostante il suo comportamento con me, fuori si controlla e studia, senza stancarsi, fa il necessarioper arrivare alla sufficienza e poter andare avanti. Ora come comportarmi con lui? Che cosainsegnargli perché abbia un comportamento più responsabile e non si lasci così tanto influenzaredai compagni e pensi soltanto a divertirsi? Cosa mi sostiene? Ho tanta fede in Dio che mi ha messoalla prova togliendomi mio marito e ora vuole che non rinunci a <strong>educare</strong> i nostri figli. Sento cheè Lui che mi dà la forza per sopportare e andare avanti nonostante le umiliazioni che subisco.La prima tentazione era quella di suggerire alla signora, assai provata dalla sua situazione, dei comportamentipratici quali ad esempio non reagire in modo istintivo alle provocazioni dei figli i quali sicuramentequasi ci godono nel far arrabbiare la mamma per poterla manovrare come vogliono. Sanno che37


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>se da un lato se la prende, dall’altro poi, passata l’arrabbiatura, “concede” quanto richiedono. Così comesaper controllare i “consigli” perché servano loro per migliorarsi e non risultino stressanti.7.2 Il messaggio <strong>educati</strong>voSi poneva una domanda a Viviana: cosa aveva trasmesso nel corso degli anni ai suoi due figli? La rispostacostituiva parte delle sue riflessioni sul passato per capire le motivazioni dei comportamenti di Lucioe Paolo. Sembrava una perdita di tempo di fronte all’urgenza di fornire delle risposte, ma era la stradapiù qualificata per comprendersi, educandosi a partire dal proprio vissuto e poter <strong>essere</strong> in grado di e-ducare i figli. Non fu immediatamente facile favorire nella signora la discussione sul suo passato. Si facevasensi di colpa per la sua inadeguatezza di fronte alla società cambiata in pochi decenni e di fronte aragazzi che ne sapevano più di lei su tutto ciò che fa parte della vita moderna. Era impacciata, non sapevaorientarsi in modo costruttivo.Finalmente scrisse qualcosa d’interessante sulla sua educazione:… Eravamo in una famiglia numerosa con ben tre fratelli e mia madre comandava dirigendo tuttocome fosse il comandante di una nave. Personalmente mi sono sempre sentita diretta. Anchequando avevo raggiunto la maggior età, mia madre controllava dove andavo e chi frequentavo.Sapeva benissimo che volevo andarmene al più presto di casa non appena avessi trovato la personagiusta. Non mi ha mai fatto mancare nulla, ma non mi permetteva di vivere alla mia manierasenza sentirmi il suo fiato sul collo come avesse paura che mi potesse accadere sempre qualcosadi male.Ebbene avvenne proprio così. M’innamorai di un uomo maggiore di me dieci anni e a ventuno losposai. Non vi avevo pensato troppo. Volevo farmi casa mia, <strong>essere</strong> indipendente, volevo dei figlia cui dedicarmi e far crescere senza ansie eccessive. Il mio matrimonio avvenne in fretta, senzagrandi feste. Non ne avevamo neanche i mezzi. Però ho sempre voluto bene a mio marito, non homai subito la sua maggior età e la sua volontà di “dirigere” tutto come fosse nella sua piccola a-zienda familiare.Il racconto di Viviana si faceva poi meticoloso nell’andare a ricordare i momenti lieti della loro unione,ma anche la preoccupazione perché i figli non nascevano subito. Vennero dopo quasi sette anni di matrimonioa completare il progetto di famiglia per il quale si erano impegnati. Certamente il primo messaggio<strong>educati</strong>vo ricevuto dai suoi genitori e continuato nel marito era la sottomissione a persone dotatedi carattere più forte e maggior senso del dominio. Prima Viviana era controllata dalla madre e poidal marito, così si era sentita diminuita nella propria volontà di dare, di mettersi a servizio. Troppo lesembrava di dover solo ubbidire ad altri che la “comandavano”, quasi fosse una bambina da dover dirigereperché non preparata ad una vera autonomia.Era uscita di casa per sposarsi e come per “incanto” aveva scelto un tipo di persona che ricalcava le ormedella madre comandante, anche se il marito aveva una dose assai maggiore di tenerezza e gentilezzache l’aveva conquistata. Gli aveva dato il segnale della sua indole, coriacea e pronta alla dedizione versoaltri, ma anche arrendevole quando trovava persone determinate e apparentemente sicure di quelloche volevano. Al marito Rodolfo aveva lasciato l’educazione dei ragazzi, ed era lui il loro punto di riferimento.Ogni permesso o correzione passava dal marito. Lei stessa l’aveva eletto responsabile degli interventipiù <strong>educati</strong>vi, e lui si era impegnato e aveva l’appoggiava nei suoi sacrifici per la famiglia.La coppia potremmo dire che era ben disposta e sapeva destreggiarsi nell’educazione dei figli, se non altroperché il padre riusciva a legare bene con loro, a farli riflettere prima di prendere qualsiasi decisione.A Viviana stava bene così, non era mai stata una decisionista, preferiva che “altri” decidessero rispettandoil suo punto di vista, e ciò avveniva molto bene con Rodolfo.38


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>7.3 Il messaggio <strong>educati</strong>voPurtroppo non potendo programmare ogni cosa, il marito era mancato dopo lunga sofferenza lasciandoViviana sola ad affrontare la difficoltà più grossa: dover prendere decisioni in prima persona sulla famigliae sull’educazione dei figli.Quale messaggio aveva trasmesso? Difficile dirlo ma la signora da cinque anni a questa parte viveva conla paura di perdere il contatto con i figli ai quali aveva concesso molto, forse troppo. La prima concessionenon era stato il motorino, assai desiderato da Lucio, da lei negato proprio a partire dal grave luttofamiliare. Non poteva pensare fuori casa il ragazzo in sella ad un motorino con tutte le tragedie che sivedono e conoscono, no questo non era praticabile. Ebbene negata questa concessione la sua debolezzaera stata la lenta ma inesorabile chiusura mentale del ragazzo più abituato a navigare in internet e giocarecon vari aggeggi che a comunicare con la madre.Si era rinchiuso nel suo mondo, diveniva difficile, molto impegnativo stanarlo, riportarlo a una normalitàrelazionale di famiglia. Inizialmente Viviana aveva permesso a Lucio di giocare un po’ di più con la playstation, poi quasi senza accorgersene il ragazzo, e così anche il fratello, passavano lì ore. I momenti delpranzo e della cena divenivano assai complessi, toglierli dal loro “mondo” non era facile. Non era nemmenopiù di tanto riunita la piccola famiglia, ciascuno pensava alle proprie “cose”, non vi era intesa; atavola quasi non si parlava, o si diceva qualcosa ma senza mai riuscire a costruire dei discorsi seri.Erano monosillabiche anche tante risposte fatte di “sì, no, va bene, lo so già, me l’hai già detto, non loripetere, sappiamo cosa fare” e via dicendo, a dimostrazione della notevole difficoltà ad allacciare undialogo costruttivo. Viviana si rendeva conto che il messaggio trasmesso per tanto tempo era sostanzialmenteil soggettivismo dei figli i quali, pur impegnandosi minimamente a scuola e pur non facendonulla di così grave, non erano in sintonia con lei. La madre aveva solo il ruolo di “quella” che lava, stira,cucina, prepara, una specie di “serva” da sfruttare non una persona con la quale stabilire un rapporto. Infondo era lei stessa che aveva lasciato andare le cose senza fare nulla per impedirlo.Tutto sommato a lei poteva anche far comodo questa situazione. I ragazzi non facevano nulla di cui preoccuparsi,non frequentavano cattive compagnie e mai aveva ricevuto rimproveri dalla scuola o dagli altriluoghi da loro frequentati. Il rapporto <strong>educati</strong>vo però stava sfuggendo di mano e si delineaval’incapacità di Viviana a gestire la relazione, specialmente con Lucio, troppo indipendente ed aggressivonei suoi confronti. Questi atteggiamenti venivano sostenuti anche dal gruppo di amici dove era unanormalità squalificare i genitori perché ritenuti incapaci di comprendere i figli di oggi. C’era stataun’abdicazione del ruolo materno, e un po’ anche paterno, nel dare e fare rispettare le regole basilariper la vita. Senza tutto ciò, si perde in credibilità e i ragazzi poi sanno che possono ottenere quello chevogliono.Viviana comprendeva di aver sempre agito per il bene dei figli ma, ora sola, anche con la paura di nonsaperli dominare e correggere. Una persona come lei abituata ad agire in seconda battuta dopo il marito,era ora impacciata nel suo nuovo e definitivo ruolo materno. Non bisognava però farsi prendere dalpanico e dall’ansia di non saper affrontare la realtà che sembra più grande delle proprie forze. Non potevadire di non avercela messa tutta per educarli. Si era impegnata a loro totale servizio affinché sicomportassero in modo responsabile, ma non bastava e Lucio faceva quel che voleva e rispondeva male.Che fare? Viviana si ricordava di aver messo già da qualche anno la sua volontà di lottare col figlio che sipermetteva di rispondere. Lei taceva, qualche volta piangeva e, se rispondeva, lo faceva in un modotroppo istintivo che poi il ragazzo bollava come “isterico”. Alla fine sembrava più il giovane a guidare lamadre che il contrario. Nella conduzione della relazione familiare mancava l’autorità. Tutto addebitabilesolo alla scomparsa di Rodolfo? Pensiamo di no, e lo pensava anche lei perché ammetteva di aver per-39


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>messo e lasciato correre troppo quando avrebbe dovuto imporsi, far sentire la fermezza della voce e lasicurezza di qualche posizione più diretta a far riflettere i ragazzi.7.4 Il valore del tempo per dialogareIl dialogo esige la regola d’oro nel tempo da trovare solo per stare insieme, per parlare, per dirsi le cose,anzi andrebbe desiderato questo tempo come il più prezioso per la famiglia. Purtroppo questo tempolentamente, ma inesorabilmente era venuto meno, sembrava che Viviana facesse comodo una posizioneabbastanza decentrata e tranquilla, ma alla fine bloccante ogni intervento <strong>educati</strong>vo. La stessa madre siera troppo accontentata di una direzione esterna senza incidere nelle scelte dei figli, lasciati al loro soggettivisticomodo di vita, dove tutto era adatto a evadere e non creare l’ambiente per dialogare.A volte fa perfino comodo “tirare avanti” così riducendo la vita domestica a un dominio personale sullacasa e le sue strutture senza più di tanto entrare in sintonia con gli altri considerati “pesi” e ostacoli allapropria personale realizzazione. Il giovane Lucio percepiva la madre non più come suo riferimento, macome fonte di stress, colei che gli metteva il “bastone nelle ruote”, impedendogli quelle scelte che lui ritenevaassai importanti per la propria integrazione. Cosa potevano avergli detto e fatto i compagni perindurlo a ragionare sempre in antagonismo con la madre? Senz’altro nulla di male, ma una cosa era certa,i compagni lo coinvolgevano e lui sentiva il bisogno di loro, anzi diveniva “qualcuno” proprio perchéloro lo facevano sentire tale.Tutto questo ora Viviana iniziava a capirlo, così come comprendeva l’insolenza di Lucio di fronte ai suoigiusti rilievi <strong>educati</strong>vi. Lui non temeva la madre e pensava soltanto al fatto che lo voleva far sentire unbambino. I suoi compagni invece gli davano l’impressione che lui fosse grande. Con loro era finalmentecome diventato “adulto”. Per superare le troppe paure di non farcela, Viviana doveva vincere prima ditutto la propria pigrizia, la rinunciataria volontà di intervenire sui ragazzi, specie su Lucio. Aveva delegatoal marito il compito della correzione ora lei per correggere si arrabbiava, cambiava atteggiamento equel che peggio non riusciva ad entrare in sintonia con Lucio e a volte nemmeno con Paolo.La sua rabbia durava poco, le sue presunte minacce: “non ti faccio più uscire, non voglio che vai conquelli, non ti do più un soldo…” erano sterili dichiarazioni senza conseguenze. Questo Lucio e Paolo losapevano bene. Diciamo che Viviana aveva omesso di prendere in mano la situazione quando i ragazzierano più piccoli e quindi facilmente guidabili. Adesso diventava più difficile e pesante questo compito.La sua volontà di rimettersi in relazione ora portava alla conflittualità nei loro confronti. Certamente ilmondo comodo e irresponsabile del computer faceva più presa delle osservazioni della madre, così comela compagnia dei coetanei era certamente più persuasiva di ogni consiglio materno. Educare esigeperò volontà, tenacia, combattività affinché il messaggio <strong>educati</strong>vo avvenga nel dialogo condiviso e siesprima con delle regole di vita.Ci si trovava in un percorso in salita, troppo tempo concesso ai ragazzi senza dar loro il senso bello, unicoe irripetibile della comunicazione affettuosa, serena e costruttiva della propria famiglia. Diciamo chenon avevano respirato l’aria di familiarità dello scambio fraterno, ma solo di una casa luogo di residenzae ambito per esprimere solo se stessi e pretendere uno spazio senza più di tanto “dover qualcosa” allamadre e tanto meno imparare a condividere con lei le esperienze quotidiane. La famiglia veniva ridotta apura prestazione di servizi da parte di Viviana e a pretesa dei figli, specie il maggiore, di voler gestire lerelazioni in una libertà il più possibile ampia e senza limiti. Se frutto dell’educazione è la voglia di libertàsenza freni per il desiderio di agire solo alla ricerca di divertimento ed evasioni, c’è da chiedersi che cosaquesto giovane ha interiorizzato sul compito dell’educazione in generale.Su questa linea Viviana doveva far ragionare Lucio anche se non aveva saputo come prenderlo e si eralimitata a rimproverarlo per le sue presunte o reali trasgressioni. Certamente era venuto a mancare nel-40


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>la vita familiare un dialogo franco, costruttivo e piacevole, limitandosi nella fase <strong>educati</strong>va a delle “concessioni”piuttosto che a una linea di totale “permissivismo”, per non guastare i rapporti con il giovane.Ora era più complessa la fase dell’ascolto e della partecipazione reciproca alla vita familiare. Si dovevapassare da una linea di quasi totale estraneità del ragazzo rispetto alla famiglia per vivere in modo dignitosoe tranquillo in un ambiente educante. Mancava la partecipazione <strong>educati</strong>va, il desiderio di confronto,la necessità di uno scambio per verificare il proprio cammino. C’è da chiedersi nella situazione di Viviana:è in crisi la famiglia o lei incapace di sviluppare il dialogo <strong>educati</strong>vo?7.5 Costruire relazionalitàSu questa domanda riflettemmo a lungo portando tanti fatti concreti quali l’ossessione di Viviana di volertutto conoscere a proposito della scuola e degli amici. Era evidente l’apprensione con la quale la madredomandava ai figli una cosa piuttosto che un’altra senza lasciarli nemmeno parlare. Avvertiva dentrodi sé la frenesia di sapere e dall’altra parte quasi l’obbligo di dire tutto e subito in casa. Non era certamenteun buon metodo per stabilire una relazione <strong>educati</strong>va. Dall’altra parte se non faceva così i ragazzisi sarebbero rinchiusi in una specie di “mutismo” o di frasi monosillabiche per non dire quasi niente. AnchePaolo aveva imparato questa tecnica dal fratello maggiore e diventava un “riccio” quando ritenevache Viviana non dovesse sapere qualcosa.Quanto delle sue “pressioni” per conoscere: bisogno reale di <strong>educare</strong> o solamente ansia incontrollata disapere, per sentirsi “sicura” di se stessa? Difficile una risposta, una cosa era certa, lei non frenava la suavoglia di tutto controllare. Lei doveva trasmettere più di gentilezza e cordialità in modo da favorire il circuitocomunicativo. Quante volte li ha messi in condizioni di doversi difendere dalla madre troppo “invadentee pesante” nei loro confronti?Emergeva un’ulteriore riflessione dalla quale lei comprendeva di aver subito il dovere di <strong>educare</strong> piuttostoche averlo condiviso con i figli. Certamente comprendeva che la maleducazione di Lucio era si condizionatadalle compagnie che frequentava, ma anche da lei, dal proprio modo di comunicare nervoso esoffocante. Lei stessa ammetteva:io lavoro e faccio un’attività di commessa in negozio che mi obbliga ad orari a volte non sempreadatti alla vita familiare. Rientro spesso con troppo stress e non sono nelle migliori disposizioniper mettermi in ascolto dei ragazzi, specialmente quando erano più piccoli. Mia madre mi ha aiutato,e anzi si è presa cura dei bambini alleggerendomi il carico familiare, ma è anche vero, non liho molto ascoltati, spesso preferivo sapere cosa avevano fatto e se necessario rimproverarli perqualcosa di sbagliato soprattutto a scuola e con i loro amici. Diciamo che ho guardato di più aipericoli che potevano incontrare soprattutto con le cattive compagnie e alla pigrizia scolastica.Non ho preso in seria considerazione il loro bisogno di parlare delle “loro cose”, la necessità di sapersimettere a confronto con me. Forse non sono più stata il loro punto di riferimento specie perLucio che tutto dice e fa con gli amici, io mi accorgo devo <strong>essere</strong> diventata più un peso che un aiuto.Mi rendo conto che spesso mi provoca anche con le parole e i modi che sa io non posso approvareper vedere le mie reazioni, quasi ci gode quando mi arrabbio sembra che lui abbia vinto cel’abbia fatta a mettermi in difficoltà. Ed è questa la mia sofferenza: perdere lentamente contattocon i miei figli; diventare solo la servetta che fa tante cose materiali; ma non l’educatrice che lisegue e li aiuta a crescere.Non si trattava di consolare Viviana, la quale viveva il tempo della verifica della propria crescita per usciredal suo stato di crisi esistenziale e di vita familiare. Il percorso era un altro: aiutare la signora a recuperareun metodo <strong>educati</strong>vo improntato su ascolto, dialogo, correzione e condivisione della condottadei figli. Era quanto lei non aveva in mente in modo immediato perché identificava <strong>educare</strong> con interveniresulle scelte di Lucio e fermarle, o quanto meno farne comprendere l’erroneità. Non si trattava di la-41


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>sciarlo andare per la sua strada e basta, ma di entrare in sintonia con lui. Non si doveva sentire colpevole,aveva agito come aveva ritenuto giusto, si dava da fare per il ragazzo. Ne conseguiva l’impegno a sapersiriconquistare spazio e credibilità anche mettendo meno energie nel rimprovero e più energie nellostare amichevolmente accanto ai figli.Le sue paure condizionavano assai gli interventi così come una spiccata direttività che andava modificata.Si prendeva l’impegno a non continuare nel domandare informazioni sulla giornata dei ragazzi, malasciarsi andare a qualche battuta, a imparare a scherzare con loro creando un clima e per loro nuovo,imprevedibile e più simpatico. Inoltre si proponeva di fare non più solo la “servetta” ma anche colei checerca di trasmettere affetto, tenerezza al di là di ciò che fanno e di quanto dicono e perché non richiederemaggiormente la loro collaborazione nelle faccende di casa?Quando si ama, l’intensità del rapporto è proporzionata al reale bisogno d’<strong>essere</strong> amato e aiutato a crescere.Certo non erano immediati questi bisogni, non venivano ammessi e confessati dai ragazzi, semplicementeesistevano. Lucio manifestava attenzione ai suoi amici e ne dipendeva, perché temeva il lorogiudizio e le figuracce col gruppo. In altre parole la qualità del rapporto era nettamente differente tra gliamici e la famiglia, la famiglia sola permetteva al giovane spontaneità e comprensione al di là di altri interessiche non fossero il proprio bene. La madre, nonostante le difficoltà d’intesa lo accettava, lui sapevache su di lei poteva contare, mentre del gruppo aveva un certo timore dell’esclusione. Con la madre sisentiva sicuro anche se non lo dava a vedere.Di questo ora Viviana era consapevole, è vero che famiglia avrebbe dovuto voler dire coppia, ma lei stessadoveva rendersi conto di <strong>essere</strong> un dono unico, esclusivo e affidabile come nessun altro nei confrontidei suoi figli. Certamente aveva desideri su Lucio diversi dal suo modo di comportarsi, ma per questo occorrevatempo e pazienza. L’importante era un rapporto vero e profondo. Il principio ispiratore: ciascunoè dono per l’altro e che ciò che il figlio dice o fa non è l’ultima parola, esiste ancora uno spazio per ildialogo e il confronto. Non bisogna abbassare la “guardia”, riducendo l’educazione al controllo dell’altroo semplicemente ai tanti consigli sottoforma di ammonimenti ed esortazioni. Questa è la via che nonconduce alla sola sopportazione, allo stressare. Certamente era venuto meno il significato della famigliaambito principale per la realizzazione affettiva e sociale. Essere <strong>educati</strong> non si limita a una ricezione dinorme e disposizioni da eseguire. Significa invece percorrere insieme il cammino di crescita nella reciprocavolontà di donarsi, di mettersi a camminare creando ascolto e fiducia.Ora la signora Viviana viveva con sofferenza la sua apparente “inutilità” perché Lucio faceva e sceglievaal di là delle sue indicazioni, come se lei non contasse nulla. Prima di contestare qualsiasi comportamentoo rimproverare occorre stabilire un rapporto solido e condiviso, in questo la signora, pur con la suabuona volontà aveva mancato, troppo preoccupata di dirigere i figli e ansiosa nel temere gravi trasgressionialle regole sociali basilari, caricando eccessivamente il rapporto con i due giovani, più sulla difensivache sulla dialogicità.7.6 Il nuovo camminoViviana stava assumendo una nuova visione della sua situazione familiare, erano passati mesi dal primoincontro, la sua tenacia nel voler recuperare il senso di autorità genitoriale insieme alla volontà di capirsimettendosi in discussione l’avevano molto aiutata. Era riuscita a superare la sua paura d’inadeguatezzae di mancanza di decisionalità. Lei si portava dentro la figura materna, eterna direttrice della casa, maincapace di dare valore alle persone lasciandone esprimere le loro migliori qualità. Se <strong>educare</strong> significaprima di tutto estrarre, tirare fuori il meglio dalle persone, allora da Lucio il meglio era favorire la suacrescita decisionale in contrapposizione ai condizionamenti degli amici per una ritrovata spontaneità.Doveva trovare il tempo per dialogo piuttosto che lasciarlo solo col computer o play station. La sua coeducazioneconsisteva prima di tutto nel dialogo fraterno con lui, imparando ad ascoltarne i silenzi, ad42


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>interpretarne le provocazioni per entrare in sintonia in modo che si aprisse con fiducia e ritrovasse in leiun forte riferimento.Riguardo alla linea passata delle concessioni date, che fare? Occorreva una riflessione pacata per capireil vero bene bandendo l’atteggiamento rinunciatario al dialogo per altre concessioni e sviluppare unaimpostazione <strong>educati</strong>va verso la responsabilità del figlio in crescita. Occorreva realizzare insieme una verificadelle situazioni determinate da decisioni emotive e non pensate nell’ambito di un progetto di crescita.Lei stessa notava come fosse stato più facile dargli il computer e quant’altro perché se ne “stessebuono” e non facesse altre richieste che lui quasi pretendeva come “premio” per i suoi brillanti risultatiscolastici.“Concessioni” che lentamente aprivano verso altre pretese, quasi fossero “indispensabili” per il suo inserimentosociale. La misura non era dire si o no quanto saper riflettere per comprendere il valore diquesti beni, la loro importanza o l’inutilità nell’ambito di un rapporto che non più limitato al consenso odiniego. Si profilava un’altra linea <strong>educati</strong>va iniziata dal marito quando i bambini erano più piccoli, manon più continuata per la sua scomparsa. Il tempo perduto era ancora recuperabile a condizione che Vivianacredesse nella possibilità di esercitate l’arte di <strong>educare</strong> col cuore che ama, della mente che pensae dell’esperienza che insegna ad amare e pensare insieme.7.7 A proposito della solitudine <strong>educati</strong>vaNella storia di Viviana era evidente la solitudine nella quale agiva, non aveva altri alleati sicuri su cui potercontare per <strong>educare</strong> i suoi due figli. Certamente vi erano i genitori materni, ma vuoi per l’età, vuoiper la loro inadeguatezza si limitarono al compito di assistere i bambini quando crescevano durante laloro infanzia. La nonna religiosa ricordava a Lucio i vari principi di morale familiare e gli rimproverava, illinguaggio, l’indifferenza e la mancanza di rispetto per i valori morali propri della fede. Lucio nemmenola ascoltava, quando diceva qualcosa, la prendeva in giro e metteva tutto in ridicolo come se si trattassedi “consigli” inutili.Lo stesso trattamento per il nonno, ancora più anziano e impreparato per seguire il giovane nipote. Ilcognato, fratello di Rodolfo, le era stato vicino ma non poteva aiutarla più di tanto. Lucio gli dava importanza,se non altro perché serio, composto, aperto e col quale si poteva parlare di computer e di pallonee andare qualche volta insieme allo stadio. In un certo senso era la persona cui dava maggior ascolto,ma con cui parlava solo di cose esterne alla vita familiare. Inoltre lo zio tendeva a minimizzare le preoccupazionimaterne dicendo che oggi sono molti i ragazzi che “rispondono” in casa e che fuori hanno ilgruppo di amici dai quali dipendono. Come a dire che se la prendeva troppo. Lui non faceva nulla di maleed era solo agitato e vivace per la sua età. Così lo zio non lo faceva ragionare sul rapporto con la madre.Si trattava di una rinuncia o un chiaro messaggio a Viviana, che essendo madre, doveva prendersida sola la direzione <strong>educati</strong>va dei due figli, in particolare di Lucio? Difficile risposta, restava la sua solitudinenella vita familiare. Lui non era di grande aiuto anche perché le vere tensioni interiori di Viviana,nessuno le ascoltava e nessuno sapeva darle sicurezza e aiuto nell’educazione del giovane, così lei “tiravaavanti” senza altri punti di riferimento ai quali potersi attaccare.I colloqui e la riflessione sul proprio vissuto avevano favorito nella signora una maggior consapevolezzadel compito <strong>educati</strong>vo con la rinnovata volontà di affrontare i figli per aiutarli a crescere. Aveva percepitoche <strong>educare</strong> è l’arte di amare un figlio con la potenzialità affettiva di una madre, ma anche con la volontàdi percepirne i limiti, i problemi e sostenerne il cammino della vita. Occorrevano dolcezza e disponibilitàinteriore per favorire l’intesa piuttosto che il rimprovero per i suoi comportamenti.7.8 Aprirsi al futuroCome vedere il futuro dei ragazzi e il suo ruolo di madre? Domanda non tanto difficile o complessa43


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>quanto misteriosa perché fino a poco tempo prima Viviana avrebbe risposto che i ragazzi sarebbero diventatiautonomi e insofferenti alla sua autorità tanto da ignorarne la presenza e negarle ogni riferimento.Ma nella vita le cose cambiano e la realtà spesso impone una nuova rigenerazione. Così deve <strong>essere</strong>stato per lei. Ora percepiva il figlio Lucio meno lontano dal suo mondo, meno distaccato dalla sua necessitàdi affetto e sicurezza e più pronto a riprendere un rapporto di collaborazione.Il segnale diveniva positivo. Per <strong>educare</strong> occorre sempre credere nella bontà della persona malgrado a-zioni e momenti di trasgressione. Vi era ancora qualche dubbio su cosa fosse davvero sbagliato? Vivianarispondeva che erano molto pesanti le frasi con le quali Lucio si poneva nei suoi confronti in una la totalemancanza di rispetto usando parolacce apprese dal linguaggio volgare dei compagni. Questo per lei erainaccettabile così come l’enorme tempo trascorso dal ragazzo a chattare sul computer e navigare ininternet. Ne era come ipnotizzato, non si riusciva a distoglierlo, sembrava l’unico suo divertimento epassatempo. Ora questi comportamenti, uniti alla richiesta continua di maggiore libertà, costituivano icontenuti <strong>educati</strong>vi sui quali misurarsi. Certamente non erano scelte fatte adesso, ma affondavano leradici in comportamenti datati e divenuti nel tempo consolidati e fin troppo tollerati.Bisognava operare un cambiamento, ma prima di tutto nel modo di porsi nei suoi confronti piuttostoche nelle singole scelte comportamentali. Il futuro si costruiva ora nel presente quotidiano segnato inprimo luogo dal dialogo rinnovato e dalla volontà di mettersi in discussione. Per insegnare è necessarioimparare, per <strong>essere</strong> <strong>educati</strong> è necessario <strong>educare</strong> educandosi, immettendosi nel reciproco cammino dicrescita. Come intervenire su un giovane se non camminando con lui per condividere la stagione che vive?Avrà Viviana proseguito il proprio itinerario <strong>educati</strong>vo dopo aver percepito e raccolto con convinzionequesti principi? Siamo sicuri di sì, era passata la fase della confusione e del disorientamento alla chiarezzaper una programmazione <strong>educati</strong>va ed educante, aveva compreso il suo insostituibile ruolo e con fiduciain se stessa lo voleva svolgere in pienezza.44


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>8 Come <strong>educare</strong> i bambini da piccoli?8.1 La percezione dei bisogni. Il caso di Gino e MariaVogliamo prendere in considerazione la realtà di una giovane coppia di genitori: Gino e Maria con duebambini, una di quattro anni, Alice e l’altro di quattordici mesi, Sergio. I genitori, aiutati dalle rispettivefamiglie d’origine, seguivano i bambini nella loro crescita affrontando quattro scogli <strong>educati</strong>vi:a) Il differente approccio tra loro due e i nonni, specie quelli paterni, molto più concessivi verso i duebambini;b) La diversa sensibilità <strong>educati</strong>va tra i due genitori. Molto più tenero il papà con la figlia, che versoquello piccolo, mentre la madre era più attenta a regolare la vita della figlia. Così si generavano continuediscussioni tra loro.c) Il rapporto con il mondo esterno, da un lato temuto per i tanti pericoli verso i bambini e dall’altroassai desiderato specie da Alice bisognosa di confrontarsi con le compagne.d) La distribuzione del tempo da dedicare ai figli, che doveva tenere conto dei tanti impegni lavorativie sociali che entrambi sostenevano.Gino e Maria vivevano un rapporto troppo teso e spesso conflittuale che non permetteva di trasmettereai due bambini la piacevole tenerezza di amarli. Temevano che i loro stati emotivi lasciassero delle conseguenze,specie ad Alice, molto sensibile e comunicativa. Spesso diceva a papà di non arrabbiarsi e allamamma di <strong>essere</strong> più allegra. Si erano posti la domanda principale: qual è il bisogno dei nostri piccoli figli?La risposta, sia pure parziale era quella che entrambi avessero bisogno di trovare unità <strong>educati</strong>va epartecipazione alla loro crescita. Bisogni magari “scontati”, ma difficili da far emergere e realizzarequando loro erano troppo tesi e con tanti interrogativi. Certamente era necessaria una verifica ma anchela domanda: il loro bisogno principale qual era?La prima risposta, quasi istintiva di Gino è bene riportarla:da quando è nato il secondo figlio Sergio, mia moglie mi ha come dimenticato. Esistono solo lui eAlice, con loro gioca, anzi passa e giustamente tutto il tempo che può. Tra noi quando si parla, èsolo dei figli, mai che una volta siamo riusciti da più di un anno ad uscire insieme anche solo perandare a trovare qualche amico o farci una passeggiata. Non pretendo nulla ma la sento troppolontana, anche nell’intimità, sembra sempre stanca, quasi che le dia fastidio. Ora che ha i figli mipercepisce in un altro modo. Ho però bisogno del suo affetto, della sua presenza, di sentirmi amatoe cercato da lei. In fondo siamo genitori perché uniti nel legame matrimoniale.Gino espose le proprie ragioni, come se per l’educazione dei figli, lei dimenticasse la realtà e il suo bisognodi <strong>essere</strong> anch’egli amato e sostenuto nel delicato impegno di <strong>educare</strong> i bambini e di vivere la coniugalità.Maria esternava il proprio bisogno sulla scia della confessione aperta del marito:è vero, io dalla nascita di Sergio mi sono lasciata prendere dall’ansia di non <strong>essere</strong> in grado dibadare alla casa, ai due bambini e al lavoro che ho ripreso da poco. Spesse volte la sera, quandometto a letto Alice sono a pezzi, percepisco solo il mio bisogno di riposare, di stare tranquilla, dimettermi a mio agio. Forse ho trascurato Gino, gli voglio bene, ma in questo momento sono troppoassorbita dalle preoccupazioni e poi ho i suoi ed anche i miei che mi guardano tutto. Perfinonegli scomparti della cucina e negli armadi si permettono di controllare e se trovano qualcosafuori posto iniziano le critiche. Non possono rispondere male perché ho anche bisogno che miguardino i bambini, ma davvero a volte sono esasperata dalle troppe invadenze, certo per aiutarmi,ma anche per mettermi in difficoltà.45


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>Contenuti a parte, il tono di Maria lasciava trasparire troppa preoccupazione, il timore di non sapercelafare a sostenere il gravoso compito di madre e donna di casa. È vero che il secondo bambino l’avevanovoluto, anzi il fatto che fosse maschio li rendeva ancor più felici, erano assorbiti dai tanti compiti e senzadubbio troppo arrendevoli nei confronti dei rispettivi genitori.8.2 La collaborazione con i nonniL’argomento si presentava delicato, la stessa Maria portava una certa dose di rabbia nei loro confronti,troppo impiccioni, retaggio della stagione matrimoniale. Si erano intromessi nell’arredo della casa e nellascelta di biancheria e vestiti. Davvero nonni zelanti, forse troppo! Da qui la loro facile intromissionenella conduzione dei bambini. Dominante la nonna paterna che unita al nonno permetteva ad Alice unpo’ di tutto. La bambina spesso insisteva per andare a dormire dai nonni, per stare un po’ con loro, dicevache erano carini, belli, sempre contenti. Il confronto li vedeva “perdenti” perché troppo severi e prontia dire dei “no”. Chissà perché la nonna comprava tanti giocattoli ad Alice mentre i genitori gliene limitavanol’uso e l’abuso e chissà perché la nonna la portava a spasso specialmente sulle giostrine, mentreloro un po’ meno, e così via, il confronto diveniva pesante. Che fare? Che cosa dire ai nonni ai quali bastavauna telefonata per venire subito a prendersi la bambina da curare? E poi Alice ne era felice! Nonche fossero gelosi dei nonni, semplicemente riconoscevano in loro i classici “benefattori” mentre lorofacevano la figura dei “cattivi” verso la bambina, e sicuramente nel tempo che passava l’avrebbero fattoanche al piccolino. Diceva Maria:Da piccola mia madre non mi permetteva nemmeno di correre troppo perché poi sudavo e prendevola tosse, così come se mi vedeva con il vestito imbrattato di terra erano guai, ora invece allanipote anche lei concede di tutto perfino di tirare fuori i pentolini dagli scaffali per giocarci, quasinon la riconosco. Non parliamo poi di mia suocera, secondo me lo fa anche per farmi dispetto, èconvinta che noi non sappiamo <strong>educare</strong> i nostri figli e che li sgridiamo troppo, e mio marito è lìimpalato non parla, in certi momenti credo abbia soggezione dei suoi.Veniva ammessa una linea <strong>educati</strong>va troppo all’insegna del buonismo e sentimentalismo che lasciavasempre più soli i due genitori nei confronti di Alice alla quale occorreva insegnare regole precise e verificarneil rispetto. Ammettevano che dopo la nascita di Sergio era diventata più responsabile, ma anchepiù gelosa e si era ancor più attaccata ai nonni. Lei diceva: “Sergio è bello, ma io sono più bella e buona”.Un altro segnale. Era necessario gestire la gelosia di Alice senza diventare permissivi nei suoi confronti esenza lasciarsi andare al confronto tra loro. Entrambi vanno amati con la stessa intensità, sia pure informe differenti. Veniva alla luce la faticosa relazione con i nonni, desiderosi di prendersi i nipotini il piùpossibile e la facile arrendevolezza a loro, di Gino e Maria. A volte sembravano come bloccatidall’intraprendenza dei loro rispettivi genitori e qui si poneva l’altra realtà: Come mai i nonni erano diventatiuna sorta di “secondi genitori”?La risposta viene dai fatti concreti: entrambi avevano fin dall’inizio della loro vita matrimoniale richiestoil “solido aiuto” delle loro famiglie. Un aiuto che di fatto diventava “occupazione” del loro spazio con lagiustificazione di dare una mano. Di questo se ne erano accorti e riflettendo Gino diceva:Io lo sapevo che prima o poi i nonni sarebbero diventati pesanti da inserire nella nostra famiglia.Però fin da subito mia moglie chiamava mamma ogni volta che doveva staccare le tende o lavaree stirare i panni e mia suocera gentilmente accorreva e diceva sempre anche a me: “se non vi aiutiamonoi poi come fate. State insieme, parlate, uscite, non preoccupatevi per queste cose”. E viadicendo ci siamo troppo appoggiati a loro, prima alla suocera e poi con i bambini anche a miamadre, sempre pronta a guardarli ma anche a intromettersi. Ora è difficile staccare questa spina,dobbiamo imparare a dare dei limiti ai nostri rispettivi genitori. Non se ne può più, alla fine cifanno sentire come i cattivi di turno verso i bambini e specialmente Alice che ha una venerazioneper i nonni dai quali ottiene tutto. Lei è diventa così viziata al punto che fa il broncio ogni volta46


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>che la sgridiamo per qualche cosa, come se le nonne fossero la sua difesa e protezione contro igenitori. Davvero è una situazione nella quale io e Maria dobbiamo pensare ad un certo distacco.La posizione di Gino era sostanzialmente condivisa da Maria la quale ammetteva di aver utilizzato mammae papà perché all’inizio della vita familiare non si sentiva sicura e aveva timore di non farcela da solaa sbrigare tutte le faccende. Ora si accorgeva che dare le “chiavi” ai propri genitori equivaleva a dar loroun potere eccessivo nella propria casa.Troppo tardi? Forse no, solo che prendere la posizione di un chiarimento costava più fatica di un contenimentodelle loro “eccessive” richieste. Percorrevano una buona e condivisa strada per la medesima lineadi azione: non frenare, non trattenere, ma deresponsabilizzare i nonni per un loro maggior coinvolgimento.La tensione viene soprattutto da ciò che dà fastidio e che si vorrebbe rimediare ma non si riesce.Esistono i lavori manuali che vanno eseguiti, ma bisogna evitare lo stress e trasformarli in una “corsa”.La pulizia di casa, pesa è faticosa, ma non così pesante quanto una discussione o un forzato silenzioverso genitori e suoceri divenuti insopportabili perché invadenti.La maturazione dell’identità di coppia esige una giusta tutela del proprio vissuto e della propria impostazione<strong>educati</strong>va. Si tratta di riconoscere e far rispettare il diritto di ogni genitore a seguire i figli anchenell’eventualità di commettere “errori” <strong>educati</strong>vi. Chi ha in mano la “bacchetta magica” per trovare ognisoluzione, perfetta e indiscutibile di fronte alle tante istanze che provengono dai bambini in crescita?Succedeva che la nonna tenesse in braccio il piccolino e comprasse di tutto ad Alice. La mamma non volevaagire così, ma allora chi sbaglia e chi è dalla parte giusta? Certamente non si tratta di “errori” gravi,semplicemente si deve concordare una linea <strong>educati</strong>va da rispettare insieme genitori e nonni pur condifferenti modalità. Una cosa è tenere un bambino qualche ora o giorno e un’altra averlo sempre in casa,è differente l’approccio e la direzione. Se ne deve <strong>essere</strong> consapevoli.In questa linea Gino e Maria iniziavano a dialogare con i rispettivi genitori per trovare punti in comunesui quali convergere nell’educazione dei due bambini e imparare a darsi un programma di marcia evitandodi cadere in una competitività del tutto fuorviante l’educazione dei piccoli.8.3 Il differente approccio <strong>educati</strong>voL’uomo ha un approccio più bonario e aperto verso la bambina piuttosto che la donna che vuole fin dapiccola inquadrare insegnandole ordine e precisione! Vale al contrario per la donna più tollerante colbambino dell’uomo che pretende un comportamento responsabile e regole ben precise. Gino era sempresorridente con la piccolina, anzi vi giocava e raramente faceva rimproveri pesanti, quando si trattavadi darle un piccolo castigo, negarle qualcosa, Maria interveniva. Lo stesso Gino ammetteva che la bambinariusciva con il suo sorriso e le sue moine a fargli cambiare idea ed a metterlo in situazione di doverledire di “sì”. Era capace di persuadere e di convincere per quello che voleva. Lui ne era consapevole emai contraddiceva Maria quando giustamente prendeva provvedimenti nei suoi confronti o le imponevadi ordinare i giochi, di andarsi a lavare o di cambiare vestito. Capiva che una bambina di quattro anni ègià abbastanza forte sul piano emotivo e affettivo per poter condizionare la sua sensibilità ed ottenere ilproprio comodo.Era qui il punto chiave, a che cosa dobbiamo educarla? La risposta era immediata: a responsabilizzarsi,a saper capire le proprie azioni e a mettersi nella situazione di imparare anche dai piccoli errori checommetteva. Si trattava di saperla <strong>educare</strong> in modo continuo, a farla riflettere prendendo per spunto isuoi giochi, i suoi interessi e i suoi capricci. Ad esempio Alice voleva mangiare gelati, caramelle e cioccolatobianco. Erano piccole abitudini, potremmo dire “vizi” che gli stessi nonni alimentavano con frasi deltipo: “ma che male c’è, per un gelatino, oh non esageriamo, poi è così contenta”. I genitori volevano insegnarleuna misura, una regola anche perché poi magari non mangiava i cibi più adatti, oppure li con-47


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>sumava solo se c’era la promessa del dolcetto. S’ingaggiava una piccola battaglia per difendere la lorolinea <strong>educati</strong>va. Si erano poi accorti che più insistevano e stavano uniti, senza scomporsi o arrabbiarsinel tenere una linea <strong>educati</strong>va e meglio la bambina non insisteva nelle proprie richieste, migliorando lostesso accordo <strong>educati</strong>vo tra i genitori. Certo entrambi dovevano mantenersi coerenti e non cedere, ciòdiveniva ormai parte della loro rinnovata vita di coppia, e in più occasioni li favoriva nel saper mantenersivicini e condividere, con la volontà di <strong>educare</strong>.Maria, certamente più determinata, era troppo stanca e distratta dalle preoccupazioni per le cose da fareanche se parlava e ascoltava. Per guidare bene i bambini occorre calma interiore e qui era necessarioche lei ricevesse da Gino qualche gesto affettuoso, parole dolci, piuttosto delle sterili discussioni e del“tirare avanti” meccanicamente senza quasi capire cosa si sta facendo. Era elevato il rischiodell’abitudine, il pigro lasciarsi andare a una vita senza stimoli, senza mai ragionare e capire i messaggiche si trasmettono e la loro influenza sui processi <strong>educati</strong>vi. Si rende più che mai necessario <strong>essere</strong> unacoppia unita, in piena relazione per poter <strong>educare</strong> i bambini bisognosi soprattutto di sicurezza e punti diriferimento certi.Del resto che cosa inconsapevolmente cercano Alice e Sergio, sia pure di pochi mesi? Certezze con la sicurapresenza di genitori capaci di prendere decisioni in modo stabile. Così valga per le regole, non ordinidettati dall’alto, quanto disposizioni utili per responsabilizzare. Qui entra in gioco il senso di colpa cheun genitore può provare per la paura di aver sbagliato. L’appoggio dei nonni, può forse aiutare a decideremeglio, perché più esperti, ma può anche creare nel bambino, insicurezza per mancanza di stabilitàaffettiva ed emotiva. Ne consegue la necessità di un’intesa tra loro in grado di comunicare la bellezza ela tenerezza di volersi bene. Gino e Maria capivano che per <strong>educare</strong> occorre <strong>essere</strong> veri, spontanei, nonrecitativi della parte del genitore.8.4 Il rapporto con il mondo esternoIl mondo fuori dalla vita familiare fa paura, spaventa e Maria temeva che i suoi bambini corressero il pericolodi imparare cose cattive dagli altri. Aveva in mente Alice quando iniziò a frequentare la scuola materna,subito imparò brutte parole che mai aveva imparato in casa, non solo ma ripeteva i gesti di sfidache aveva visto dalle altre bambine. Il rapporto con il mondo veniva mediato anche dall’aspetto aggressivodi bambini spesso maneschi che Maria avvicinava ogni volta che accompagnava a scuola la figlia.Certamente aveva la paura che Alice subisse qualche lite e avesse delle conseguenze. Inoltre il mondoesterno condizionava le richieste di Alice per il tempo libero come il voler a tutti i costi il game boy cheaveva visto dalle sue amichette.Ma come negarlo visto che i nonni erano molto generosi! Poteva andare bene per un uso limitato, ma lasera era bello farla giocare da sola coi suoi balocchi e giocare insieme magari anche con il piccolino cherideva e cercava con il sorriso la sorella più grande. Non farsi condizionare da questi aggeggi elettroniciche vengono dati come “indispensabili” per la vita di un bambino, era il motto di Maria e Gino. Lui peròera più ottimista e diceva che da ragazzo aveva ricevuto sicurezza dagli amici con i quali aveva trascorsoallegramente molte ore nel gioco e nell’organizzare qualche dispetto. Stare con gli altri non era negativo,anzi Alice si era abituata a giocare con i bambini al punto che aveva perduto una eccessiva possessivitàper i suoi giochi che prima riteneva incedibili. Stare con gli altri bambini le faceva bene, anche se occorrecomprendere chi sono e come agiscono le maestre che devono assisterli.Il compito della famiglia sosteneva Gino non è certamente solo scaricare i figli, bensì collaborare, cercaresempre una linea con la quale comprendere in che modo educano le persone a cui sono affidati i figli.Il piano d’inserimento nel mondo esterno va preso con il massimo impegno e i genitori devono accompagnareil figlio per favorire il confronto con gli altri.48


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>Gino faceva notare come il bambino piccolo cercasse la sorella, anche se lei non mancava di fargli qualchedispettuccio fino a farlo piagnucolare. Lui sentiva il bisogno di incontrarla, il desiderio di averla vicino,perché ogni bambino cerca un altro bambino. È una necessità naturale spesso bloccata da troppepaure. Si veniva delineando la linea di apertura verso gli altri in modo guidato, condivisa con altre coppiedi amici e bambini della stessa età. Potremmo dire finalmente, perché in tal modo anche per Gino e Mariainiziava la possibilità di uscire un po’ più di casa, di stare con gli altri e imparare a conoscere nuovepersone con le quali allacciare amichevoli relazioni.Ricordava come lei avesse corretto Alice su un’imprecazione che mai papà o mamma avevano dettoperché è “brutta, ci rende sciocchi e non serve per volersi bene”. Erano le parole che dette più volte convincevanola bambina sulla necessità di lasciar cadere quanto non doveva imparare dalle altre compagne.Certamente una lotta quotidiana, ma sostenuta in coppia e con l’esempio che “viene dall’alto edall’altro”. Non c’è mezzo migliore per convincere che la testimonianza credibile di comportamentichiari e precisi. Il rischio dell’impegno con gli altri fa parte della normalità della crescita, anzi è esigenzaintrinseca per poter <strong>essere</strong> davvero capaci di relazionalità e inserimento.8.5 Il tempo per i figliLa giornata di Gino e Maria era intensa, con la sveglia di buon ora per accompagnare Alice alla scuolaMaterna e Sergio o dai nonni o al Nido visto stava avvicinandosi il suo inserimento. Di corsa poi al lavoro,specialmente Gino che spesso doveva viaggiare per la Regione facendo l’installatore d’impianti termoidraulicicon ritmo faticoso. Poi il lavoro spesso era segnato da imprevisti, come le telefonate che avvertivanoche la bambina non stava bene e bisognava riaccompagnarla a casa. E qui spesso i nonni erano digrande aiuto. A fine lavoro bisognava riaccompagnare i bambini a casa, o portare Alice in palestra o inpiscina o dal medico o trovare il tempo per la spesa o altre eventuali altre incombenze. La sera poi: lefaccende, la preparazione della cena e dopo cena mettere a riposo i bambini. Era il ritmo di ogni giornoacutizzato a volte da qualche inconveniente come scioperi, traffico, maltempo, ecc.Cosa vogliamo dire? Semplice non mancava lo stress, la tensione, il nervosismo che assaliva i coniugi e lirendeva facilmente irritabili di fronte alle tante cose da fare. Era quasi inevitabile l’alleanza con i nonniper dare una mano sostanziosa alla loro situazione.Chiediamoci in ogni caso, Gino e Maria sono una coppia fuori dal contesto attuale o rappresentano lanormalità di vita di molte altre famiglie? Certamente la risposta è la seconda, ma a differenza del soloagire, avevano lo svantaggio di “somatizzare” troppo la realtà. Maria diceva chiaramente:mi accorgo che il mio umore è direttamente proporzionale alla mia giornata, basta un inconveniente,una perdita di tempo e subito sono in difficoltà, non so accettare che qualcosa non funzioni,che vi siano dei contrattempi. Penso all’ufficio, se inizio ad arrivare tardi o mi impegna un lavoroimprevisto se ne va della mia tranquillità. Così con i bambini, specie Alice, se inizia a fare icapricci fin dalla mattina ho la giornata rovinata, mi arrabbio, perdo la pazienza e il primo su cuimi sfogo è Gino. Non solo ma il ritmo intenso m’impedisce a volte di trovare qualche tempo perme. Da mesi vorrei leggere qualche libro o andare a conferenze che m’interessano, ma non trovoil tempo e questo m’irrita, non lo accetto volentieri. Forse sono anch’io una che trasmette ansia aibambini, perché la giornata è davvero una corsa per fare in tempo troppe cose, ma la vita è così.Il tempo per i figli diviene occasione per una vita familiare all’insegna della volontà di impegnarsi per ilbene di tutti ma del proprio, prima di tutto. Ora Gino e Maria pur impegnandosi con generosità e spiritodi servizio, mancavano, oltre che di esperienza, della capacità di prendere ogni attività con maggior calmainteriore e compostezza caratteriale. È vero che alcune attenzioni si conquistano con il tempo, maaltrettanto vero che tutto funziona nella misura in cui si accettano i propri limiti, le proprie mancanze ela propria inadeguatezza. Nella mente di entrambi vi era un ideale di genitore e coniuge irrealizzabile, o49


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>quanto meno troppo elevato. Bisognava pur coi propri limiti, esercitare al meglio il compito di educatoridei figli. Solo così non diveniva pesante e troppo dura la vita quotidiana.Quante volte l’arrabbiatura di Maria o di Gino era dovuta, non a qualche piccolo guaio operato da Aliceo ai pianti di Sergio, ma solo alla loro eccessiva tensione, all’incapacità di metterci maggior pazienza etenerezza coi figli. Ma anche la ricerca troppo affannosa dei nonni, era dettata non dall’incapacità a farequesto o quello, ma dallo stress che faceva pesare eccessivamente ogni piccolo lavoretto. Ci si eraproiettati troppo sulle cose da fare, piuttosto che sulle persone chiamate ad agire, ma prima di tutto ad<strong>essere</strong> dono l’una per l’altra. Stavano riconquistando la casa non come secondo “ufficio o laboratorio”,ma come scelta di vita, fatta di tante cose ma carica di un affetto capace di far superare ogni fatica. Occorrevapuntare sulla qualità dei rapporti piuttosto che sull’agire. Stavano iniziando a percepire in modonuovo la loro realtà meno preoccupati dell’attivismo e più della loro relazione. E se poi “mia mamma,quando viene vede che le tende non sono pulite o non è stato fatto bene l’ordine in casa e si mette lei afarlo perché non ce la facciamo?” Semplice era la risposta, non se ne deve più occupare, perché il tempoè per la famiglia, non per correre dietro a scadenze dettate solo da eccessi di zelo domestico e schemifissati solo dalla rigidità di ruoli da svolgere.Nuova linea? Sì nuova realtà di vita. Dal momento che lo stress condizionava non poco la quotidiana esistenza,occorreva una ricarica estratta da una mentalità nuova. In altre parole si trattava di procedereverso un cammino di libertà interiore, di maggior distacco dalla paura assurda di giudizi o valutazioni e-sterne e da una flessibilità da ritrovare. Ciò che conta è mantenere unità e trasmettere pace piuttostoche <strong>essere</strong> presi in faticose rincorse quotidiane. Stava delineandosi un nuovo rapporto tra loro, i figli e iparenti, che poteva solo arrecare giovamento e restituire alla vita di coppia una maggior motivazione adandare avanti consapevoli della bontà delle loro scelte etiche ed esistenziali.8.6 Il messaggio della sicurezzaAll’inizio del loro cammino Gino e Maria erano dubbiosi, temevano che il ritmo stressante e il temposempre ridotto per stare con i figli divenisse causa di tanti malumori, discussioni e conflittualità. Gino poiguardandosi in giro pensava che i tanti suoi amici arrivati alla separazione lo dovevano al loro ritmo pesantee ai rapporti troppo tesi che non permettevano di ricaricarsi. Ebbene dopo un certo percorso diriflessione e verifica sul loro vissuto la situazione era decisamente migliore. Entrambi avevano maturatola consapevolezza di una responsabilità: amarsi senza troppo legarsi alle cose da fare. Solo se eranomotivati interiormente e carichi di affetto e attenzione l’uno verso l’altro potevano reggere, anzi intensificarela loro attività quotidiana.Non solo, ma la sicurezza che trasmettevano ai bambini era quella di una coppia che sa affrontare insiemele varie scadenze imposte dal ritmo quotidiano. Il tempo che si passa con bambini è sempre poco,andava migliorata la loro efficacia. Il vero scopo è dare loro la certezza di seguirli passo passo, condividendola loro evoluzione. Gino ricordava quanto Alice parlasse volentieri della scuola materna, dellemaestre, delle compagne, oramai facevano parte del suo mondo. Non si poteva soltanto ascoltarla brevemente,si doveva approfittare dell’occasione per un coinvolgimento e una partecipazione che la facessesentire importante. Forse avrebbe fatto meno capricci o richiesto meno oggetti. Avere un affetto sicuroe tanta attenzione, non richiedeva soltanto tempo, ma anche la giusta concentrazione. Questo eral’obbiettivo da non mancare. In un certo senso la famiglia è la prima scuola per <strong>educarsi</strong> ed <strong>essere</strong> ingrado di <strong>educare</strong>, trasmettere positività e amore, i principi che danno sicurezza e permettono di crescere.Si stava operando una sfida verso una scelta improntata meno al fare e più orientata allo spirito diservizio. Certamente un cambiamento minimo alla loro vita, troppo si erano trascurati, soprattutto Mariache presa dalle mille cose aveva dimenticato il valore e l’importanza della comunicazione affettuosae intensa per fa divenire un cuor solo e un’anima sola. Soltanto in un incontro per uno scambio di confidenzapermette il rilancio di un’intesa, capace di elevare la qualità dei loro rapporti con ricaduta positi-50


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>va verso i due bambini. Non basta dirsi genitori, è la tonalità dell’intesa che va curata per <strong>essere</strong> qualificatieducatori, trasmettitori di pace, portatori di affetto per <strong>educare</strong> educandosi. L’arte non è immediatamentefare o creare, quanto saper valorizzare ogni risorsa della propria personalità per divenire donoe offerta.8.7 La speranza per il domaniSempre quando si educa ci si pone l’interrogativo del come sarà il domani, costruito nell’oggi? Gino eMaria si portavano dietro le vicende <strong>educati</strong>ve delle loro famiglie di origine ciò non andava sottovalutato.Il fatto che ciascuno vivesse nella volontà di dare il meglio faceva sì che fossero conosciute anche leproprie paure, insicurezze, il retaggio dell’educazione ricevuta.Chiediamoci perché i nonni erano così protettivi verso Maria fino al punto da introdursi in casa e svolgeretutti i lavori domestici possibili ed immaginabili? Vedevano in lei la ragazza bisognosa d’<strong>essere</strong> guidata,la persona non ancora in grado di farcela da sola perché inesperta e poi la sua arrendevolezza e il bisognodi conforto facevano sì che lei cercasse in modo eccessivo la compagnia dei genitori. Non ci volevamolto a capire che le “ingerenze” portano nel tempo a pesantezze ed atteggiamenti difensivi.Nell’itinerario <strong>educati</strong>vo vi era confusione tra figure genitoriali e nonni, troppo attaccati ai bambini etroppo distaccati da un percorso <strong>educati</strong>vo concordato con i genitori. Occorreva chiarezza nel definireruoli, compiti e percorsi comuni. Il domani comincia con l’oggi quando si ha l’idea precisa del domani.Gino era desideroso di restare più tempo con i bambini e conversare a lungo con Alice, ma doveva anchededicare alla moglie maggior affetto e serenità interiore.Educare è una scelta di vita per <strong>essere</strong> dono d’amore verso i propri figli nella spontaneità, semplicità,sincerità di una relazione che va educata a <strong>educare</strong>. Vi è il pericolo della spersonalizzazione dei bambinitroppo intenti a computer, video game, ecc., come fare? Il domani si prepara nell’oggi mettendo in gradole persone di parlare di sé, di comunicare, di aprire il proprio animo agli altri per mettersi in sintonia etrovare amicizie e sostegno. Il mondo virtuale è troppo lontano e differente da quello reale e comportadiseducazione alla comunicazione non tenendo conto della realtà personalizzata di ogni bambino. Bisogna<strong>educarsi</strong> a stare insieme anche solo per sorridere, giocare, sentire il calore della presenza gli uni deglialtri, valorizzando la comunicatività del linguaggio di ogni persona. Anzi favorire tale linguaggio verbalee non è il vero obbiettivo di ogni percorso <strong>educati</strong>vo e l’ambito migliore per questo esercizio rimanela relazione familiare. Quale sicurezza di se stessi si può ottenere se non mettendosi a confronto con glialtri e imparando a farsi capire per trasmettere le proprie sensazioni, il proprio mondo interiore?L’assenza di tempo o il tempo dato in fretta o con tensione, non serve per comunicare valori.51


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>9 Trasgressività e scelte fuori dal coro: come <strong>educare</strong>?9.1 La lotta contro i valori <strong>educati</strong>vi. Il caso di Laura e ManoloSiamo di fronte ad una situazione assai complessa a livello di conduzione <strong>educati</strong>va, tra due giovani seguitida due famiglie differenti, ma con una simile realtà: andare completamente contro quanto i genitorihanno trasmesso e si aspettano da loro.Laura è una ragazza di quasi diciassette anni, si presenta bene, studia, è comunicativa e molto educata,raffinata nei modi e nei gesti. Ebbene la ragazza si è messa insieme a un giovane di ventitre anni completamentediverso da lei perché di fatto vive sulla strada e va avanti con espedienti non sempre adatti allalegalità, e ha modi rozzi di porsi anche nei confronti dei genitori di Laura che lo rifiutano. Manolo è carino,sa gestire bene i rapporti con il suo gruppo e se la cava bene nel disbrigo di ogni piccolo “affare”, hauna moto e oltre le cose dette è anche un vero centauro perché trasgressivo a ogni regola. Come a dire:finché mi va bene vado avanti così, che cosa volete, a me sta bene e quindi lasciatemi in pace.Questa la situazione e ovviamente di fronte non vi sta il giovane, ma la ragazza con la mamma Gianna, laquale è assai preoccupata per l’evolversi di questo rapporto, dice con molta chiarezza:Io e mio marito abbiamo trasmesso a nostra figlia il valore del lavoro per guadagnare onestamenteda mangiare. Mio marito lavora spesso fino a tarda sera come professionista per dare sicurezzaeconomica alla famiglia. Anch’io l’aiuto e m’impegno perché crediamo nel primo valore:l’onestà di vita. Questo giovane non mi dà fiducia, è troppo disinvolto, parla come se sapesse tuttolui e non credo che abbia grande voglia di lavorare, al massimo fa qualche breve e semplice lavoretto,so che seguiva dei traslochi e niente di più. Non ha la voglia, l’impegno e la preparazioneper un lavoro sicuro e onesto, non mi piace. Mia figlia però stravede, anzi è innamorata di lui e dicesempre che lo vuole aiutare perché ha problemi di famiglia e suo padre ha minacciato più voltedi andarsene di casa lasciandolo solo con la madre che non sta bene in salute. Lui dice vero o nonvero, di volersene far carico lui. Laura lo sente spesso, anzi alla sera so che restano al cellulare alungo perché lui dice che ha bisogno di sfogarsi, se no va in crisi.52Ma qui in crisi ci andiamo io e mio marito, del resto questo giovane, secondo me, racconta anchetante bugie, mentre per mia figlia mai abbiamo tollerato la menzogna o la mezza verità. Le abbiamosempre insegnato a <strong>essere</strong> sincera con tutti, a non imparare la brutta abitudine di arrangiarsiper non sostenere la verità fino in fondo. Come ha fatto a innamorarsi di questo ragazzo,che pure chiuso su se stesso, non credo capisca qualcosa di come il mondo va avanti. Anche il suolivello culturale è assai basso mentre Laura: sta frequentando con discreti risultati il liceo artistico;è portata per l’arte figurativa e sta facendo progressi.Ma, dico io che cosa gli può interessare di questo ragazzo così diverso da lei e trasgressivo alle piùelementari norme per una sicura vita di famiglia in un domani. Che affidabilità può dare e che cosaha da insegnarle? Sono solo convinta che Laura sia come la salvatrice di Manolo o tale lei si ritiene,ma la situazione del giovane rischia di trascinarla. Più di una volta l’ho vista piangere perchédiceva che non sapeva come fare ad aiutare Manolo specialmente quando va in crisi con gliamici o quando qualcosa va storto. Allora inizia a lamentarsi e lei lo ascolta e poi sta male. Davveronon so come se ne possa uscire.Evidente dal racconto materno una quasi dipendenza di Laura dal ragazzo che forse sfrutta una situazionepiù che collaborare per migliorarla. In ogni caso emergeva la trasgressività, non tanto della ragazza,ma del suo ragazzo che, cosa strana per loro, era un tipo da evitare e invece la figlia se n’era innamorata.L’attesa genitoriale per il ragazzo della figlia doveva <strong>essere</strong> ben differente e sicuramente entrol’entourage di una famiglia di fascia medio-alta. Invece ecco che cosa aveva trovato, un giovane inaffi-


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>dabile se non addirittura ambiguo, maleducato e con il sospetto di agire in modo losco. La madre, di làdalle parole dette, era delusa e si chiedeva che cosa avesse sbagliato nell’educazione di Laura che si allontanavadai valori <strong>educati</strong>vi ricevuti. È vero che non si comportava male, ma aveva preso un ragazzopoco serio che sicuramente l’avrebbe trascinata verso qualcosa di non buono. Occorreva quindi agireper vedere di migliorare la situazione. Sì, ma che fare?9.2 La volontà di dare per amoreL’unica risposta che si poteva raccogliere dalla buona fede della ragazza, ancora giovane e al suo primovero e proprio innamoramento, contava di poter sostenere il ragazzo. In fondo un valore <strong>educati</strong>vo certoera presente: la volontà di dare. Laura aveva impostato il rapporto sulla disponibilità nei suoi confrontisia per ascoltarne le esternazioni, sia per stargli accanto con consigli e indicazioni utili a migliorare. Laurasosteneva che Manolo non aveva un atteggiamento scorretto, anzi con il tacito assenso della madre,Manolo aveva trovato in questa ragazza una persona su cui contare, lo accettava anche con i suoi limiti ecercava di motivarlo verso una condotta migliore.Laura nel proprio racconto calmo e a tratti emotivamente coinvolta dal sentimento diceva:È vero che Manolo è un ragazzo particolare, rispetto a quello che i miei vorrebbero. Ha una famigliapiena di problemi e lui soffre per il padre che vorrebbe andarsene ma non ci riesce, è comebloccato dalla moglie, che anche se non vanno d’accordo, vive in una dimensione differente, hatanta tristezza dentro di sé e prova momenti di rabbia. Manolo si chiede che cosa può fare per a-iutare la sua famiglia e si sente abbattuto e deluso. Io che cosa posso dargli? Solo essergli accanto,ascoltarlo ad andare avanti dandogli un po’ più di speranza per meglio affrontare la realtà.Manolo, mi vuol bene, non è nemmeno tanto possessivo, anche se mi cerca spesso.Mi dimostra affetto, non mi contraddice mai e qualche volta è perfino imprevedibile in quanto adattenzioni. Mi ha addirittura regalato dei fiori per festeggiare i sei mesi che eravamo insieme.Forse non si è mai sentito così tanto amato e vuole ricambiare alla sua maniera. Io faccio soloquello che sento dentro di me, sono giovane per una storia impegnativa, ora vogliamo solo conoscercimeglio e capire quello che possiamo fare insieme. Anch’io sono alla prima esperienza. Questorapporto è così intenso e mi dà tanto. È vero, penso spesso a lui, il pensiero che lui mi sta pensandoe che mi cerca mi dà tanta gioia, mi fa sentire importante. I miei dicono che è negativo, rispondemale, non ha una prospettiva per il futuro. Sì, ma è vero che soffre, ha bisogno di trovareaffetto, maggiore attenzione perché il suo animo è buono e generoso, va aiutato a tirare fuori ilmeglio di sé ed io sto cercando di fare così e gli voglio bene, lo sento vicino.Il racconto della ragazza era scorrevole e chiaro, ma altrettanta chiara era la madre assai preoccupatadal fatto che erano troppo attaccati, quasi che la figlia non potesse vivere senza di lui e passare la giornatasenza continuamente sentire la necessità di parlarsi, di mandarsi messaggini. Insomma si pensavanotroppo. Laura era serena, non vedeva questo come un problema, semmai era sempre lui che la cercavaperché aveva bisogno di comunicare e di aprirsi, sostenendo che nei primi tempi quasi Manolo nonparlava, aveva paura a tirare fuori le proprie cose e voleva solo stare insieme per divertirsi.Certamente Laura lo amava, cercava di capire come amarlo, non bastava dire che era innamorata o chedoveva stargli accanto, era chiaro che insieme dovevano crescere e imparare a capirsi. Questo era ilmessaggio principale nel quale Laura mostrava di desiderare una maggiore frequenza, anche se contrastatadai genitori.9.3 Permissivi e trasgressiviGianna in ogni caso messa anche a confronto con la figlia si chiedeva dove avesse sbagliatonell’educazione della ragazza e si faceva una specie di colpa per averle dato troppo spazio per uscire con53


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>le amiche e con il gruppetto della scuola. È vero che erano brave persone, ma è altrettanto vero cheproprio lì nel mezzo di una festa in un locale aveva conosciuto Manolo e subito aveva trovato modo etempi per frequentarsi. Si chiedeva se avesse fatto bene a lasciare tutto questo spazio libero alla figlia,mentre il padre era dell’idea che era troppo giovane per stare fuori la sera anche se solo il sabato e andavapiù controllata nella sua vita privata. La relazione con il giovane era andata avanti almeno tre oquattro mesi senza che loro ne avessero il minimo presentimento.Che cosa dire, erano stati troppo permissivi? E che significa permissività? Certamente la concessione dispazi di libertà per Laura era una scelta consequenziale alla sua età e ai rapporti instaurati con le altreragazze, per lo più compagne di scuola. Essere permissivi significa forse lasciare il massimo di spazi liberisenza alcun controllo o alcuna verifica da parte dei genitori? Non solo ma permissività, come l’intendevaGianna, era non prendere parte alla crescita della ragazza come se fosse una questione solo sua, magaridelegata alla scuola piuttosto che agli amici esterni. No, questa permissività, non era stata la loro, tuttaviail risultato era per lei la trasgressività perché, stare con un ragazzo così, voleva dire imparare o prestoo tardi a comportarsi in modo maleducato e disonesto.Verità o solo paura? La realtà è come la vede Laura o come l’analizzano la madre e il padre. Anzi il padreda quando conosce l’esistenza di questa “storia” si è rinchiuso in se stesso e non ne vuole parlare. Per luiè una sconfitta: la figlia è legata ad un “poco di buono” dal quale non può che ricevere guai. Gianna stessadice che le risulta difficile parlare di Manolo con il marito, è argomento tabù, afferma di aver raccoltoinformazioni negative sul suo conto e sulla sua famiglia. In ogni caso trasgressività diviene sinonimo diarrendevolezza perché è questa la situazione che descrive Gianna dicendo:a Laura abbiamo insegnato a pensare con la sua testa. Quante volte l’abbiamo fatta ragionaresui fatti anche di famiglia cercando di capire come lei davvero pensava una cosa al di là del parerenostro o dei nostri parenti. Non solo, ma in questi anni da quando frequenta il Liceo, spessoabbiamo commentato le storie delle sue compagne ed io ho dato a mia figlia dei principi chiarisulla morale, sul senso civico e direi sui valori che una persona deve avere per una vita onesta, serenae sicura. Ad esempio quante volte abbiamo parlato con Laura sui rapporti sbagliati di altrepersone che andavano addirittura a convivere per poi lasciarsi dopo breve tempo o sui ragazziche volevano la ragazza solo per fare sesso. Così come abbiamo altre volte discusso e lei condividevasul fatto della scuola come palestra di vita per imparare una professione per il futuro. E orami è andata a prendere un ragazzo maleducato, che non ha fatto nulla a scuola e che vive nonsappiamo in quale modo, che cosa può darle, quale desiderio ha nei confronti di Laura?.La paura più grossa è quella della fragilità di una giovane fagocitata da un apparente innamorato, mentrein realtà la allontana dai suoi e dall’insegnamento ricevuto. Sempre nello stesso filo rosso: è davverorealtà o solo sospetto e paura? Difficile una risposta, una cosa è certa, cambia poco, anche se realmentele cose non stanno così per i genitori, l’interpretazione è la medesima: la figlia la stanno perdendo.9.4 Dialoganti e ricostruttivi o difesi senza dialogoErano trascorsi ancora tre mesi e i ragazzi continuavano a vedersi all’uscita di scuola ed in qualche spezzonedi tempo libero, la comunicazione e l’intesa tra loro erano solide. Laura diceva che non provavasentimenti negativi verso i genitori, anzi capiva le loro preoccupazioni, ma dall’altra parte era consapevoledella sua scelta libera e onesta e quello che faceva con Manolo era del tutto pulito, il giovane avevanecessità di altro sostegno oltre al suo. Aveva addirittura provato a buttargli l’idea dello psicologo, piuttostoche di un bravo insegnante che l’aiutasse anche a recuperare il suo percorso scolastico interrottodopo le Medie Inferiori. La sua tenacia nel mantenere il dialogo con lui, unita alla buona volontà di trovargliqualche soluzione, alimentava la speranza, anche se ogni tanto lui era deluso e non sapeva che cosafare e non aveva un lavoro fisso e sicuro. Mancava sicuramente di un percorso <strong>educati</strong>vo con una famigliaunita e tranquilla e lo si notava nella stessa maniera di atteggiarsi. È vero che i genitori di Laura54


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>affermavano di udire da lui delle parole volgari e modi alquanto “primitivi”, ma la stessa idea di educazionerisentiva in Manolo del carattere di soggettività, per lui quel modo di fare, quegli atteggiamentiche prendeva, erano considerati “normali”, mentre urtavano alquanto con i genitori della ragazza.Qui si apre lo spazio per il dialogo <strong>educati</strong>vo, ed emerge la realtà di un cammino percorso in un modopiuttosto che in un altro. Evidentemente l’ambito <strong>educati</strong>vo principale di Manolo non era stata la famiglia,ma la piazza, il muretto, il gruppetto degli amici con il motorino piuttosto che la birreria o la discoteca.Ambienti non in sé negativi, ma dai quali non si può pretendere l’accom-pagnamento, l’attenzionee la correzione ai comportamenti della famiglia.Manolo era più figlio della strada, ma era certamente ancora possibile favorire in lui un cammino <strong>educati</strong>voa condizione però di accettarlo per quello era e presentava, convinti che la bontà intrinsecanell’animo di ciascuno può portare a brillanti risultati. Sarebbe stata auspicabile la collaborazione deigenitori di Laura, piuttosto che la loro ostinata critica nei confronti del giovane. Non solo ma la loro stessaesperienza faceva sì che il ragazzo avvertisse la necessità di un confronto più aperto rispetto a Laura,più in grado di trovare nel calore di una famiglia l’opportunità di una verifica ai propri comportamenti.Perché si dimostrava a tratti ostile se non chiuso su se stesso? Che cosa voleva tutelare di sé, quali eranole sue paure? Laura in questa direzione era riuscita a capire il suo enorme bisogno di ricevere affetto, attenzione,di trovare un punto di riferimento per aprire il proprio animo e confidarsi trovando il coraggiodi fare verità su di sé. La sua paura era quella di non avere amici, di <strong>essere</strong> messo fuori dal gruppo dovea volte trasgressività e bullismo caratterizzavano le gesta dei ragazzi. Fino a che punto Manolo ne eraprotagonista attivo o semplice strumento senza altre alternative? Domanda assai importante che Laurainiziava a farsi per capire se con il suo impegno e la sua volontà di amarlo riusciva a dargli l’opportunitàdi un nuovo modo di vivere superando se stesso e le sue abitudini. Certo occorreva dargli fiducia, farglicapire che poteva e doveva cercare una differente qualità di vita, affrontare il passo con la sicurezza diqualcuno pronto sempre ad esser di sostegno. Laura diveniva la persona adatta a costruire insieme unfuturo migliore.Reale poteva dirsi il rischio che fosse lui a trascinare lei verso una condotta di vita disordinata e senzavalori? Esiste certamente, ma a questo punto l’impegno era anche quello di stare dalla parte della ragazzanon per criticarne le scelte, ma per valutarne le ragioni che la motivavano nel rapporto con Manolo.Prima della constatazione di un fallimento <strong>educati</strong>vo, occorreva una valutazione reale e costruttiva.Si ritorna a una domanda <strong>educati</strong>va di primaria importanza: nella delineazione dell’analisi genitoriale suLaura si stava valutando la realtà oppure vi era una carica di emotività e delusione che facevano diventarela realtà solo nella visione negativa e limitante piuttosto che in un’apertura più dialogante?I genitori erano delusi e spaventati per quello che avevano constatato: la loro figlia innamorata di un ragazzoda strada senza prospettive, un potenziale malvivente. Mancando il dialogo con entrambi i ragazzisi “tiravano le somme” senza aver ben capito le persone che stavano di fronte. Era la chiara posizione diuna difesa del proprio modo di vivere e degli schemi <strong>educati</strong>vi trasmessi, senza ammettere scelte differentida quelle da loro pensate e che invece Laura, nella sua libertà decisionale, aveva operato. Non accettareequivale a lasciare cadere la possibilità di ulteriori sviluppi.9.5 Il dubbio <strong>educati</strong>voIl tempo passava e il rapporto tra i due giovani fidanzati cresceva, si intensificava e qualche piccolo risultatosul piano comportamentale di Manolo si profilava, come l’idea di riprendere gli studi e quella di a-dattarsi a un lavoro, anche se umile, come il facchinaggio per i traslochi. Erano un segnale di speranza inuna vita finalmente all’insegna dell’onestà e dell’impegno. Ma era ancora poco, occorrevano segni piùconvincenti, in ogni caso Laura non si era fatta “mettere sotto” dal ragazzo, anzi era davvero lei la regi-55


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>sta del rapporto.Con i genitori, in particolare la madre ci si poneva un dubbio che si può esplicitare in una frase:“siamo sicuri che Laura stia sbagliando tutto? E se sbaglia dov’è e com’è l’entità dell’errore?”La risposta veniva elaborata a tre livelli: Sbagliare significa agire senza capire o causando danni notevoli alla persona o ad altri. Ciò non avveniva,forse era un sospetto dell’inizio, ora tutto procedeva e questo era anche riconosciuto daGianna. L’errore, se si deve così chiamare, in ogni caso si può dire non gravissimo e non causante pesantidanni a Laura o ad altri; La linea del dono, la ragazza si stava davvero mettendo a servizio di Manolo senza secondi fini, il ragazzonon era né ricco, né brillante e nemmeno affascinante, era solo bisognoso di affetto ed attenzione,desiderava una guida. Laura era più un’educatrice che una vera fidanzata, ma nel tempo trascorsoManolo cresceva e si responsabilizzava e questo non era un risultato da poco. Laura avevacompreso bene il valore del lavoro, dello studio e di una vita corretta e onesta e per stare con lui volevacondividere tutto questo. Sicuramente positivo il risultato dell’educazione ricevuta in famiglia,lei lo stava spingendo ad altre scelte; L’impegno nel dialogo aperto e sincero. È quanto i genitori dovevano riprendere con la determinazionenon di squalificare Laura, ma di aiutarla a riflettere su un rapporto nel quale vi aveva immessouna forte carica di sentimento. Anzi lungo il tempo si coniugava con la determinazione più razionaleper mettere Manolo in grado di crescere, di vivere in una migliore qualità di vita. Dialogare esige a-scolto senza schemi pregiudiziali e senza pressione per far cambiare idea alla figlia. Questo era piùdifficile, ma lentamente comprendevano che amare è prima di tutto rispettare e permettere cheun’altra persona cresca con le sue capacità e qualità. Realmente Laura stava maturando come personache finalmente ama, si sente riamata e si mette a servizio motivata solo dalla carica di grandegenerosità e passione e questo era il punto sul quale occorreva int<strong>essere</strong> un rinnovato dialogo <strong>educati</strong>vo.Il ruolo dei genitori assumeva il contorno della fiducia da accordare alla ragazza, per la quale avrebberovoluto ben altro legame, ma dovevano imparare ad accettare questa scelta nella consapevolezza che leiera contenta, aveva trovato la propria dimensione affettiva, almeno per il momento, e viveva nella tranquillità.Educare in questa situazione esige il ridimensionamento di schemi prefigurati come fossero ilvero ed unico bene per una persona. I valori trasmessi avevano lasciato in Laura il segno della dedizione.Lei s’impegnava affinché fosse lui, il giovane a raggiungere la sua qualità di vita.È però anche necessario accompagnare nel percorso <strong>educati</strong>vo la persona attraverso una vicinanza conla partecipazione al proprio vissuto e qui viene tirata fuori la capacità non solo di dire belle e giuste parole,ma la volontà di instaurare con la figlia in crescita un rapporto all’insegna di fiducia e confidenza, lesole prerogative per un dialogo <strong>educati</strong>vo non limitato alla precisazione del “bene e male” etico ed allaesecuzione di comandi o divieti. Troppo poco, anzi improponibile nel tempo perché limitato da un autoritarismoesterno che non va a toccare l’esistenza della persona e a suscitare in lei il desiderio di dialogarespontaneamente e sinceramente.Il dubbio proviene proprio dalla rivisitazione storica del cammino <strong>educati</strong>vo dove troppo spazio si eradato alla direzione della ragazza, all’insistenza sui principi morali e religiosi, al controllo sul proprio vissutoe poco spazio al dialogo diretto.Il padre ne era consapevole e ammetteva una sorta d’impreparazione ad affrontare la ragazza a visoaperto, qualche imbarazzo e l’aver sottovalutato l’importanza di questa scelta davvero prioritaria. Perpoter avere un peso sull’educazione e mantenerne costante il valore, è necessario effettuare la scelta di56


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>dialogare a cuore aperto, dove anche i genitori educatori si lasciano <strong>educare</strong> a loro volta, in questo casodalla figlia. Laura era chiamata a diventare adulta nelle scelte certamente libere e discutibili che andavaoperando.Nessun giovane è così sicuro di sé da escludere i propri genitori in modo radicale dalle proprie scelte. Ilbisogno di conferma, la volontà di confronto e la vicinanza affettiva danno sicurezza e offrono il tessutofamiliare basilare per ogni scelta. Laura stava crescendo non perché aveva trovato un probabile fidanzato,ma per il fatto che finalmente e in modo pure contrastato, sceglieva nella massima libertà, sceglievaper il proprio bene, intravedeva nel giovane uno sviluppo positivo della propria capacità di amare e trasmetteresicurezza. Non solo, sentiva anche la vicinanza di Manolo che la cercava perché credeva in lei,ne era divenuta guida e riferimento e questo le dava una notevole carica per affrontare la vita. I genitorinon li aveva mai esclusi, erano semplicemente lontani dal condividere questa sua scelta e ora lentamentestavano riprendendo il rapporto <strong>educati</strong>vo per farle sentire la gioia di starle accanto con partecipazione.Cambiava anche per loro il modo di proporsi come educatori e guide. Stavano vivendo un camminodi crescita familiare come comunità educante.9.6 La scontro con la diversità. Il caso di SusannaLa vicenda che prendiamo in considerazione è differente dalla precedente, ci si trova in una famiglia nellaquale si hanno due sorelle di venti e sedici anni con i genitori uniti e in buona armonia. La sorella minoreSusanna viene ripresa più volte dalla madre Alda per i suoi atteggiamenti eccessivamente maschili.Sul momento si fatica a comprendere cosa ciò significhi. La signora racconta in modo articolato la vicendadi Susanna:Da almeno quattro anni mia figlia si è messa in testa che vuole diventare una campionessa nelgioco del pallone. Prima faceva qualche partitella, così tanto per stare insieme con gli amici delgruppetto che si è formato in Oratorio, poi si è messa a frequentare una vera scuola di calciofemminile. Io non le davo grande importanza, ma il padre ne era assai contento. Da un lato la vedevagiocare anche bene e segnare goal e credeva di avere un maschio che tanto aveva desiderato.Io non sono mai neanche andata a vedere una partita e davvero non mi interessava. Quelloche però ho notato sono cinque cose che mi preoccupano parecchio, specialmente in questi ultimimesi:Mia figlia non vuole assolutamente mettersi da due anni in qua le gonne neanche quando andiamodai nonni che ci tengono all’eleganza della nipote. Non solo ma rifiuta il trucco, orecchini,bracciali e altri piccoli monili tipici delle ragazze della sua età. Si pettina in modo sbrigativoed è sciatta anche nel portamento, non ha un minimo di estetica, è molto diversa dallasorella che ci tiene al suo look, anzi se ne vanta e spende pure parecchio in vestiti.Ha interessi prevalentemente sportivi, di calcio se ne intende, conosce a memoria giocatori esquadre e ne parla con mio marito che ne è contento visto che da anni è tifoso e frequenta lostadio con gli amici tutte le domeniche pomeriggio. Non solo ma gli altri interessi comincianoa <strong>essere</strong> i motori e mi chiede da almeno sei mesi di acquistare il motorino così è più libera dimuoversi anche per allenamenti e partite.Le sue amiche sono prevalentemente quelle del calcio, del gruppetto dell’oratorio, di qualcheanno or sono, si è riservata solo qualche conoscenza con cui si vede raramente e non rispondeagli inviti per i vari incontri e adunanze. Dice che è stanca e non ha tempo, è troppo presa dallasquadra.Ha un modo di fare poco adatto a una ragazza, l’ho vista quasi prendersi a botte per il calcio amotivo di errori di gioco, così come parolacce e gesti volgari non le mancano con modi di fare57


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>piuttosto primitivi che normalmente una ragazza non dovrebbe avere.Quel che è peggio, io più volte le ho detto se ha il ragazzo, visto che le sue compagne hanno incorso delle storie, e la sorella è già da due anni fidanzata. Lei mi ha detto che non ha tempo eche non le interessa. Io non ci ho fatto caso, ma in più di un’occasione ho ascoltato telefonatesentimentali con amiche un po’ troppo coinvolgenti anche nel linguaggio fino a che l’ho propriosorpresa sul divano di casa in atteggiamenti chiaramente troppo effusivi con una suacompagna di squadra, una ragazza maggiore tre anni rispetto a lei. Ho fatto finta di non averleviste, ora però mi chiedo che cosa debbo fare? Ha davvero una “storia”, è una specie di cotta,può <strong>essere</strong> solo infatuazione, che cosa debbo pensare? Ecco perché aveva lasciato il suogruppo e continuava a voler vedere solo le compagne di gioco e perché è così attaccata allasquadra.Che cosa debbo fare con Susanna di fronte a questi atteggiamenti chiaramente compromettenti etendenti ad un rapporto affettivo e esclusivo con un’altra ragazza come lei? Quali posizioni assumere?Ho accennato la cosa a mio marito e per tutta risposta ha detto che è una fase di attaccamento,sì morboso, ma anche comprensibile visto che nella squadra sono molto unite e se lo dimostranoanche con qualche gesto d’affetto e tenerezza. Non c’è da preoccuparsi, Susanna è una ragazzacome le altre e guarda i ragazzi, anzi è contenta quando a fine partita l’applaudono e qualche ragazzole fa pure i complimenti, lei sorride e accetta volentieri, invitandoli a far festa quando conla squadra festeggia qualche partita o torneo importante. A questo punto non so proprio comecomportarmi? Mi sento sola, mia madre capisce la situazione e si preoccupa per il futuro di Susanna,che sarà di lei se va avanti così? Ci siamo chieste, la ragazza accetta di <strong>essere</strong> donna con lecaratteristiche proprie della femminilità o desidera fare di tutto per <strong>essere</strong> uomo, rifiutando difatto la propria femminilità a iniziare dal vestire, dai modi di parlare e di ragionare, fino a chiarigesti affettivi con un’altra ragazza, gesti avvenuti addirittura sul divano di casa mentre stavanoguardando la TV, che cosa significa tutto ciò?L’analisi della situazione condotta da Alda evidenziava una tendenza in Susanna verso le persone delproprio sesso e una spiccata volontà di assumere modi di vivere tipicamente maschili. Tutto questo avevadue risvolti <strong>educati</strong>vi: da un lato era approvata dal padre che la incoraggiava per i buoni risultati sportivie la sua capacità di manifestarsi all’esterno nella passione calcistica. Riguardo alla parte affettiva conun’altra ragazza, il padre minimizzava l’accaduto mettendolo in una sorte di evoluzione dei rapporti neiquali aveva ancora una volta un certo peso lo stesso evento sportivo che faceva incontrare e fraternizzaretra ragazze. Come muoversi in questa vicenda <strong>educati</strong>va?9.7 L’evoluzione del progetto donnaEra necessario esaminare il percorso <strong>educati</strong>vo condotto da Susanna negli anni della sua crescita. Vi eranostate delle difficoltà d’intesa, nei problemi inerenti a fatti o circostanze che avevano influitosull’educazione della ragazza? Sul momento Alda non ricordava, anzi affermava di aver seguito alla stessamaniera le due ragazze. Entrambe collaboravano nell’assunzione delle “regole” che venivano loroconsegnate, in particolare per le uscite e gli incontri con amici e compagne. Non aveva mai notato comportamentitrasgressivi o forme di contestazione di Susanna, da bambina era affettuosa con tutti, curavail proprio portamento e le piacevano vestiti colorati e ovviamente portava senza far storie la gonna. Orache cosa le è accaduto, si chiedeva la madre:dove ha preso questa tendenza così diversa da quello che una ragazza dovrebbe avereLa sua paura era quella che Susanna divenisse nel tempo dipendente dal gioco del calcio e dal rapporto58


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>eccessivo e ossessivo con l’altra ragazza Manuela. Solo una paura o un sospetto ben radicato?Emergeva però un particolare interessante, Susanna nel tempo in cui divenne come si dice “signorina”,visse questa sua nuova condizione psico-fisica non con la gioia di sviluppare la propria femminilità, maquasi volendolo nascondere, come se ne avesse timore o non si sentisse sufficientemente sicura di sestessa. Fu in quell’epoca attorno ai dodici anni che imparò a giocare a calcio, quasi come un ragazzo,immettendovi una notevole dose di combattività e d’impegno per dimostrare anche a se stessa di <strong>essere</strong>in grado di competere addirittura con i maschi. Le sue prime partite avvenivano nel gruppetto del catechismopresso l’Oratorio e lei ne parlava con soddisfazione, specialmente quando le riusciva di superarequalche ragazzo nel gioco e nel fare goal. Sul momento la competitività sembrava assolutamente tranquilla,anziché praticare danza, o volley, più tipicamente femminili, Susanna si era buttata nel calcio. Neltempo però evidenziava una cura eccessiva per mostrare di se stessa non immediatamente le caratteristichedi un corpo femminile in crescita, vedi il discorso dei capelli e del trucco, ma le prestazioni più atletichetipiche di un ragazzo.La madre ricordava come andava fiera del fatto che quando facevano le corse per allenamento lei riuscivaa superare anche tanti ragazzi, così come nel correre in bicicletta, altra sua piccola passione, arrivavaprima dei suoi compagni. Di questo si vantava e il padre ne era soddisfatto e le diceva chiaramente: “Èmeglio di un maschio”. Proprio quello che Susanna voleva sentirsi dire. In parallelo lasciava i vestiti tipicidella ragazza per indossare jeans, camicie e magliette senza alcun bracciale o altro segno estetico. Anzi avolte criticava le compagne perché erano troppo attaccate a queste cose come se dovessero mettersi inmostra per farsi piacere.Nel suo progetto di vita come aveva fatto a incontrare Manuela fino a esserne così attaccata? Difficileuna risposta, certamente Manuela era di carattere e personalità molto forte. Aveva teorizzato, anchemediante qualche interesse culturale, che quello che più conta non è avere una persona dell’altro sessoper costituire vita di coppia, ma una persona a cui voler bene, una persona che ti faccia sentire importantee che sia in grado di ascoltare, partecipare e comunicare alla tua vita. Anzi si comportava in modomolto arrendevole e bisognoso di ricevere affetto e tenerezza e questo faceva scattare in Susanna il desideriodi starle accanto, di <strong>essere</strong> la sua compagna con la quale int<strong>essere</strong> una profonda relazione.A Susanna andava bene Manuela con la quale non vi erano solo le “effusioni” del divano, ma anche lunghidialoghi sia telefonici sia via internet con i quali si comunicavano le proprie esperienze quotidiane ele confidenze tipiche dell’età. Certamente ringraziava Manuela perché le dava tanta attenzione el’aiutava ad affrontare la vita con maggiore carica specialmente a scuola. Tra l’altro Susanna frequentavail liceo psicopedagogico con discreti risultati ma anche dimostrando incostanza negli studi e nei propridoveri casalinghi. Chiara dimostrazione dell’instabilità caratteriale e umorale della ragazza con la necessitàdi trovare sicurezza affettiva e partecipazione alla sua vita. Manuela, di qualche anno maggiore, ledava consigli e spiegazioni sulle vicende della vita dimostrando padronanza di sé, scioltezza nel discorreree preparazione culturale.9.8 Le rivalità femminiliChe cosa legava Susanna a Manuela di cui ora conoscevamo molto più di qualche gesto di eccessiva intimità?La domanda assillava Alda e non riusciva a ben comprendere. Lei si chiedeva perché la ragazzanon parlasse delle sue situazioni extra sportive in casa, non riusciva a darsene una spiegazione. Sicuramentenel rapporto con Manuela molto intenso il bisogno di confidenza, la necessità di un confrontocon una ragazza, tra l’altro più adulta, che offriva conferma e protezione contro ogni avvenimento econdizionamento, verso una condotta di vita negli schemi della femminilità in evoluzione. Non c’eradubbio, Manuela era entrata nella vita di Susanna interpretandone il bisogno principale: trovare un affettosicuro in una persona che non giudica ma incoraggia a proseguire il cammino intrapreso. La forte59


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>personalità di Manuela, dimostrata anche nella squadra di cui era capitano, faceva sì che avesse una notevolecredibilità nei confronti delle altre ragazze. Si presentava come la persona giusta cui attaccarsiper sentirsi sicura. Del resto Susanna era convinta di voler sviluppare la propria affettività secondo unalinea tendente al lesbismo o semplicemente si era lasciata andare alla compagna perché la rendeva piùimportante e le confermava le proprie scelte?Da qui la rivalità di Alda verso Manuela e la conseguente presa di posizione a tutela della figlia, come dicevalei, di vederla il meno possibile e non in casa, come se l’effusività non si potesse esprimere anche aldi fuori. Era chiara la sfida, Alda si convinceva che la ragazza era solo bloccata dalla paura di <strong>essere</strong> donnacon tutte le conseguenze intrinseche alla sua evoluzione. Lo stesso apparato sportivo ed il legamemorboso divenivano come delle “corde” che andavano sciolte per recuperare la propria libertà interioreed esteriore. Aveva per altro provato a parlarne con Manuela da sola, ma la ragazza aveva semplicementedetto di esserle amica, forse la migliore, niente di più, anzi lei lasciava libera Susanna di fare tutte lescelte affettive che voleva. Alda non ne era convinta e a prova delle sue teorie chiese spiegazioni sullascena del divano. Al che Manuela, rispondeva che era solo un gioco, niente di più che un momento dieuforia, senza conseguenze. Verità o difesa? Volontà di affrontare a viso aperto la questione o solo tentativodi nascondere la relazione? Questi continuavano ed <strong>essere</strong> i dubbi di Alda, la quale faticava a tenereun minimo rapporto con Manuela e stava pensando di fare pressioni sul marito affinché diradassegli impegni calcistici della figlia.9.9 La ricerca del beneTentammo di rispondere alla domanda di fondo: qual è il bene di Susanna nella situazione attuale? Riuscimmo,dopo lunga conversazione a intravedere quattro punti sui quali lavorare, possibilmente in coppiacon il marito per <strong>essere</strong> forse un po’ meno sportivo e più padre ed educatore:Evitare la demonizzazione del calcio femminile e dei portamenti troppo maschili. Indirettamente eraquello che voleva: <strong>essere</strong> vittima del sistema e ancora una volta di più attaccarsi all’unica personache la comprendeva, le dava aiuto concreto. Semmai si poteva diradare qualche impegno e non faretroppo chiasso per i buoni risultati raggiunti sul piano degli incontri e dei successi in campo. Come adire: sono argomenti da campo, stadio e bar con gli amici, non da famiglia. Lì occorre ritrovareun’apertura verso il quotidiano andata perduta da tempo, in casa c’era ben altro di cui parlare e confrontarsiche non la calciomania!Evitare di assegnare un’importanza eccessiva alla “relazione” con Manuela, come gestualità e relazionalità.Più che inimicarsi l’altra ragazza occorreva darle modo di comunicare, di mettersi lei stessain situazione di sostenere le sue teorie e magari anche davanti al padre che apprezzava in lei solol’ottima regista della squadra, senza andare oltre. Da qui la rivalutazione di un rapporto in ogni casodi crescita per Susanna, chiamata a integrarsi con una squadra e con un’amica che apprezza sicuramentecome un ideale da raggiungere e una persona sicura di sé, pronta a dedicarsi a lei con tenerezzae benevolenza. Per vincere un amore come questo, se ne deve creare un altro ma nella libertàdi Susanna di decidere, non mettendosi contro, altrimenti si diviene subito perdenti perché Manuelaaveva fatto breccia nell’animo di Susanna le era vicino e la voleva accanto in ogni decisione che puntualmentecomunicava.Favorire nella ragazza una riflessione sulle scelte delle sue compagne, sui desideri e progetti tipicidelle ragazze adolescenti con la prospettiva di un buon ragazzo, di una famiglia, del valore dei sentimentilegati al desiderio di sentirsi amate e accompagnate. Occorreva non giudicare e squalificareSusanna come se avesse fatto una scelta inaccettabile e negativa a tutti gli effetti, quanto invecemetterla in condizione di capire, ragionare in modo anche critico sulle scelte altrui per capire di piùse stessa. Non era il caso di vedere più nero del nero e considerare un’ipotetica relazione con l’altra60


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>ragazza alla stregua di una disgrazia o di un enorme errore a livello <strong>educati</strong>vo. Permettere a Susannadi parlarne, di trovare ragioni e opinioni per mettere in discussione se stessa e le altre ragazze, costituivaobiettivo primario per la consapevolezza di una scelta che andasse solidificata dentro di sé.Una scelta da realizzarsi però con la sua mente senza farsi portare dall’altra ragazza più convinta ecapace di sostenere le proprie ragioni.Capire la ragione, forse blocco o paura consapevole o semplicemente realtà subìta di diventaredonna nella crescita delle caratteristiche tipiche della femminilità. In quegli anni Susanna aveva iniziatoa non voler più vestirsi e atteggiarsi come una ragazza.Cos’era avvenuto in lei, aveva subito un trauma, oppure temeva qualche pericolo per i suoi rapidi e consistenticambiamenti? Non si capiva, certo forse Susanna non era in grado di argomentare, ma occorrevaaspettare, creare le condizioni familiari e relazionali affinché la ragazza maturasse nella chiarezza su sestessa e le proprie scelte. Non favoriva tale introspezione l’ansia della madre e i suoi sensi di colpa e soprattuttoil timore di non aver ben educato la ragazza fino a renderla orgogliosa della propria femminilitàe ricercare una maggior raffinatezza nel vestire, parlare, presentarsi agli altri. Il risultato della trascuratezzanel portamento Alda lo interpretava come una sconfitta personale e quasi invece una vittoria delmarito che, attraverso la passione calcistica, riproduceva nella ragazza il maschio mai nato, e certamenteben compensato dalle sue qualità mascoline.Riprendeva il percorso della vita familiare con una specie programma, Alda ne era convinta, ma altrettantostava convincendo il marito a non sottovalutare un fatto: l’identità di una ragazza in crescita, i suoidesideri, la sua volontà di realizzarsi attraverso esperienze e incontri positivi. Forse impedirle di muoversicome prima era un provvedimento ingiusto e sterile, occorreva invece sapersi distaccaredall’entusiastica approvazione di tutte le sue manifestazioni sportive come se fosse solo la parte atleticaa prevalere dentro di sé a discapito dell’educazione alla vita molto più allargata alle altre qualità umane.9.10 Il contesto socialeL’educazione di una ragazza come Susanna portava il ragionamento degli stessi educatori al contesto socialenel quale si è immersi. Certamente la promiscuità dei rapporti fin da bambini e la facile disponibilitàal gioco per socializzare fanno sì che quasi non esistano più giochi per ragazzi e ragazze e che il calcioda competizione sportiva divenga occasione aggregativa sia per i maschi e sia per le ragazze, senza alcunadistinzione. È un’opportunità che oggi più che mai favorisce l’incontro e la crescita insieme soprattuttoin ambienti atti al dialogo <strong>educati</strong>vo quale l’Oratorio. Proprio in quel contesto era maturata in Susannala passione per il pallone con la constatazione delle proprie capacità messe a confronto con quelle deimaschi della medesima età.Il valore <strong>educati</strong>vo di un ambiente aperto, aggregante e seguito da educatori esterni aveva favoritol’incontro tra le persone e messo in evidenza la possibilità di sviluppare rapporti ben al di là dello stessoluogo. Da lì era nata la voglia di mettersi in una squadra più organizzata, di fare il salto dal gioco per stareinsieme, al gioco agonistico per competere con altri e passare dalle amicizie del gruppetto del catechismoalla squadra dove l’amicizia è anche intesa per scambi e favori legati alla concorrenza sportiva. Ilcontesto sociale della squadra aveva sviluppato in Susanna il rapporto con Manuela o era Manuela eforse altre ragazze che avevano utilizzato quel tipo di rapporti e di intese femminili per sviluppare tendenzepiù possessive verso approcci affettivi “impegnati”?Una domanda che occorreva elaborare attraverso l’azione educante degli stessi genitori, per comprenderenella cultura attuale il superamento di tabù e paure verso rapporti con persone dello stesso sessoe la possibilità di trovare dialogo e approfondimento anche culturale su questi argomenti. In altre parolela chiusura mentale sulla relazione instaurata da Susanna era davvero negativa, così come la mentalità61


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>tendente a un permissivismo dove ciò che conta è fare tutto ciò che ci si sente incuranti sia delle conseguenzecome dei risvolti personali nel proprio cammino evolutivo. Dialogare con il mondo in cambiamentoa livello di costumi, mentalità e influsso mediatico e culturale, è sfida ed invito ai genitori a nonlimitarsi ad atteggiamenti di superficiale tolleranza o di ansiosa paura per il domani.Abbiamo chiamato arte di <strong>educare</strong>, ora vorremmo dire arte di <strong>educarsi</strong>, di mettersi in discussione, di effettuareuna verifica su se stessi, convinti che mai si avrà imparato a comprendere, intervenire e guidarei giovani in rapidissima evoluzione. Spesso genitori come Alda non comprendono e confondono amicizia,gruppo, intesa, magari anche eccessi di possesso affettivo con fenomeni più patologici se non totalmentenegativi e moralmente inaccettabili. È altrettanto necessario comprendere le reali ed effettive intenzionidelle persone e favorire il dialogo per metterle in grado di realizzare in ogni caso scelte pienamentelibere e consapevoli al di là delle convinzioni e idee dei genitori. Più influisce il fattore paura di sceltesbagliate e maggiore diviene la rigidità sui principi e sui valori <strong>educati</strong>vi trasmessi. In questo caso il valoredella vita in coppia etero sessuale rispetto all’altra coppia che Susanna stava costruendo. La proclamazionedei principi e la loro esecuzione alle situazioni contingenti allontanava la giovane anziché aiutarlain una riflessione su se stessa ed il suo futuro. Lì occorrevano impegno e costanza per un accompagnamentodialogato e puntuale in una nuova linea <strong>educati</strong>va.9.11 Educare ai valori etici e religiosiSi potrebbe riproporre una domanda che Alda spesso poneva a se stessa: Come si fa a trasmettere i valorireligiosi e morali quando la società è così lontana e condiziona i ragazzi? Semplice la risposta, complessoil cammino, si risponde con la credibilità della propria condotta e la coerenza della linea <strong>educati</strong>vaper una lenta assimilazione di ogni principio nella mentalità di ciascuno con i propri tempi e con gliinevitabili momenti di stanchezza e disorientamento. In questo caso la linea di condotta era esemplareper davvero? Non si poteva dire che i genitori si amassero al punto da <strong>essere</strong> contagiosi nella capacità ditrasmettere sicurezze affettive e attenzioni alle figlie. C’era una chiara sopportazione tra i due più che unlegame forte e gioioso. Alda era la prima a considerare il marito troppo patito per il calcio e poco appassionatoalla famiglia. Diceva:se avesse un terzo della passione per il pallone per me e potessimo parlare ascoltandoci e mettendocimaggior cura per il nostro rapporto, le cose senza dubbio migliorerebbero.Non si può dire che la loro relazione di coppia trasmettesse sicurezza e desiderio di ricostruirla tale equale con un’altra persona, come avrebbe dovuto imparare la figlia. Così come l’argomento del gruppo,mai più di tanto se ne erano interessati, sostanzialmente contenti che frequentava l’Oratorio, ma nonchiedevano, come a dire “ci sta bene così e basta” e questo allontanava la figlia anziché avvicinarla, cosìsembrava strana la “visione del divano”, come era possibile che fosse arrivata a questo. Davvero incomprensibile.Ma allora il cammino <strong>educati</strong>vo era solo enunciazione di principi, certamente buoni e giusti, el’accompagnamento e la vicinanza dove erano andati a finire? Si è fin troppo capaci poi di affermare ilprincipio della coppia eterosessuale e dell’immoralità di gesti eseguiti con persone dello stesso sesso,ma la vicinanza e la partecipazione verso la ragazza adolescente nella delicata sfera affettiva era solobuona intenzione o effettiva disponibilità al confronto senza pregiudizi? Provocazioni <strong>educati</strong>ve da riflettere,così come il discorso della fede, per Alda credente e collaboratrice della Caritas. Il messaggio chearriva alla ragazza: altruismo, servizio, disponibilità, fedeltà al proprio credo, va bene ma la trasmissioneè solo dire e insistere su delle pratiche o favorire il rapporto con Dio insegnando fin da piccola il desideriodi pregare, di rapportarsi con Lui direttamente? Di far maturare una coscienza ispirata ai principi dellamorale per poter capire le proprie scelte, solo desiderio o realtà?Una religione che stimoli l’amore per Dio e Gesù diviene fonte continua di verifica per il proprio vissuto62


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>e apertura verso la meta del miglioramento della propria esistenza nella capacità d’amare come ci amaDio. Qui è l’obiettivo da raggiungere non nell’applicazione di norme, ma nell’interiorizzazione del messaggioproprio del cristianesimo attraverso la pedagogia divina della misericordia e quella umana dellacomprensione e della positività del proprio credere. Così valga per la relazione con l’altra ragazza, instauraresolo il senso del peccato, metterci quasi la condanna di una pratica inaccettabile equivale ad allontanareuna giovane dal senso positivo e dal desiderio di comprendere la bellezza dell’amore. Dio fontedell’amore e della gioia di amarsi è guida con il suo insegnamento attraverso la Chiesa per disegnare ilpercorso di coppia con la volontà di amarsi in modo responsabile e rispettoso della natura, ma anchedella stabilità di ogni rapporto che tenda al completamento, al confronto aperto e sincero per realizzarsinell’amore.Eravamo all’inizio di un percorso <strong>educati</strong>vo, la mediazione genitoriale in un dialogo franco e sinceropermettevano la lettura dei bisogni reali di Susanna e la solidificazione di un rapporto in grado di responsabilizzarlaper la propria crescita. Ora le migliorate condizioni lo consentivano, iniziava una nuovafase <strong>educati</strong>va.63


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>10 Le attese disattese10.1 Il desiderio irrealizzato. Il caso di Giovanni e DonatoGiovanni, padre di Donato, era fino a pochi anni prima brillante calciatore, abbastanza famoso e consideratotra i migliori. Ora era diventato allenatore di una squadra giovanile, vivaio per formare i giocatoriadatti a divenire professionisti. Aveva molte attese per l’unico figlio maschio di quindici anni, ben avviatoa divenire anch’egli professionista. Si trovava nell’età più adatta per il primo salto verso la metadell’agonismo. Tuttavia il ragazzo, pur mettendoci tutta la sua buona volontà e con la guida sapiente delpadre, non aveva la “stoffa”, nonostante un buon fisico e una intensa preparazione atletica. Giocava conimpegno, ma non gli riusciva d’andare avanti nella categoria e ciò lo amareggiava, considerate anche leattese elevate di Giovanni.Fin qui la storia sembrerebbe tranquilla, almeno nei comportamenti, ma il padre era piuttosto insistentee voleva Donato maggiormente impegnato nel gioco e negli allenamenti per verificare se proprio non vierano possibilità di migliorarsi. Giunse l’anno scolastico, la seconda superiore della ragioneria e il giovanea scuola andava male, o meglio non trovava tempo e concentrazione sufficiente per dare risultati piùincoraggianti. Come dirlo ai genitori, come comunicare il suo scarso rendimento? Era per lui un incubo,temeva di dare un'altra brutta notizia al padre dopo che già gli faceva pesare il fatto di non rendere nelcalcio, malgrado fosse un ottimo palleggiatore e avesse fisico e preparazione atletica e tecnica adeguati.Donato pensò bene di “inventarsi” l’arte della contraffazione e riscrisse con il metodo fotocopia la pagellaprendendo spunto da quella di un compagno di classe che andava bene. Non solo aveva abilmentefalsificato i suoi voti, ma addirittura scrisse una lettera imitando a perfezione le lettere di comunicazionescuola-famiglia nella quale esprimeva parere positivo sul suo rendimento dicendo chiaramente ai genitoridi stare tranquilli per l’andamento dell’anno scolastico. Una tranquillità che poi si rivelò pesantequando a fine anno sui quadri apparsi di fronte alla segreteria Donato risultava non promosso con parecchieinsufficienze.Solo a quel punto la madre venne a chiarire la sua posizione difendendo il buon operato del figlio con laprova della pagella del primo quadrimestre e la lettera “pasquale” di totale tranquillità per la famiglia. Aquesto punto veniva però a cadere il castello costruito da Donato perché era facilmente rilevabile la falsificazionee quel che peggio la sfiducia nel ragazzo che ora rischiava anche una sanzione in vistadell’anno scolastico successivo. Troppo evidente erano i fatti e ugualmente l’ammissione degli stessi daparte di Donato, il quale invocava una specie di comprensione per un anno dove aveva dovuto seguiretroppi allenamenti fino a tre per settimana oltre la partita domenicale per cercare di dimostrare le suecapacità. Così non aveva potuto rendere al meglio nella scuola che aveva trascurato non colmando lacuneprecedenti e non sviluppando una collaborazione adatta a un proficuo lavoro <strong>educati</strong>vo con gli insegnanti.Era disatteso non solo il suo futuro calcistico e professionale, ma anche l’affidabilità di studentedi fronte ai deludenti risultati e all’incapacità di stabilire fin da subito una sincera ammissione delle sueresponsabilità. Adesso che cosa occorreva fare? Come agire?10.2 Il dialogo interrottoDonato era chiaramente in crisi, nel calcio si era dimostrato mediocre, al massimo adatto per una squadradi dilettanti delle serie inferiori, per la mancanza di grinta e determinazione sufficiente. In campobloccato dalla paura o semplicemente non gli riusciva a metterci maggior combattività anche con chi a-vesse un fisico meno robusto e minor qualità atletiche, ma che lo superava in volontà negli inevitabilicontrasti tipici del gioco. Ci metteva impegno, ma non riusciva a competere con gli altri giocatori. Cosìnella scuola, aveva buona condotta ed attenzione, ma gli mancava metodo di studio adeguato e la volontàper raggiungere risultati sufficienti. Che fare? Il giovane si era chiuso in un silenzio dissociante,64


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>non voleva vedere nessuno, aveva un rifiuto del pallone e non seguiva la squadra. Temeva il giudizio deicompagni e non voleva iscriversi alla stessa scuola dove aveva ricevuto una valutazione così negativa.Sembrava più che urgente giungere ad un chiarimento con tutti e due i suoi genitori per il suo percorso<strong>educati</strong>vo e l’immediato futuro. Diceva Giovanni rimproverato dalla moglie Sabrina che lo riteneva troppopretenzioso di risultati sportivi dal ragazzo:È vero in quest’ anno ho messo Donato in una squadra non guidata da me, ma da un collega dicendoglichiaramente che doveva <strong>essere</strong> l’anno in cui o sfondava oppure si metteva a giocare soloper divertimento. Il collega mi ha detto fin dall’inizio che le capacità ci sono e che bisognava credercied io ho fatto di tutto per stimolarlo e fargli venire più orgoglio e voglia di fare di meglio. Sicuramenteho visto in lui me stesso quando avevo la sua età quando altri mi passavano avantiperché più bravi o più fortunati perché qualcuno gli dava una mano. Ho capito allora quanto fosseimportante mettercela tutta e crederci perché la professione diventa poi la tua vita, il tuomondo. Donato non ce l’ha fatta perché non ha la mia stessa determinazione, anzi mi ha delusosul piano dell’impegno, mi aspettavo di più. Che dire per la scuola? Mi dispiace che abbia fattocarte false, la paura di dire le sue reali condizioni l’ha frenato e pensare che non mi sarei certo arrabbiatose andava male, anzi avrei cercato un rimedio con qualche lezione privata e magari gliavrei ridotto gli allenamenti. Ora che cosa si può fare, credo che anche il dialogo e la fiducia conlui siano in difficoltà, vedo che mi guarda con l’aria di chi si aspetta una punizione, una sanzione,non mi parla riesce solo a dire che lui ha fatto quello che gli era possibile. Dall’altra parte io e miamoglie siano sicuri di avergli dato tanto, anche sul piano della sincerità. In casa non ci siamo maimentiti e ogni cosa l’abbiamo discussa insieme, sì io sono di poche parole, sono più abituato adagire, ma non riseco a comprendere il suo modo di fare nei nostri confronti, ha nascosto tutto,non ha avuto fiducia di noi. Penso che sia stato pigro, visto che le capacità ci sono e avrebbe dovutodare in meglio quello che ha.La signora Sabrina rispondeva al marito:Per me è un fallimento. In quest’anno scolastico ci siamo informati poco della scuola, lo scorsoanno era andato tutto sommato bene ed era stato promosso. Dopo aver visto la pagella, mi sonoconfortata e lui stesso mi assicurava che funzionava bene. Qualche insufficienza l’ho vista, maDonato diceva che studiava con un amico e che stava riprendendosi, gli ho dato fiducia, mai avreipensato a questo esito scolastico. Per il resto dico solo che ciascuno ha la sua strada e le sue possibilità.A nostro figlio abbiamo dato l’opportunità di una buona preparazione nel calcio, convintiche potesse <strong>essere</strong> una professione per il suo futuro, ma ci accorgiamo che abbiamo lasciato in luiinsoddisfazione e preoccupazione.65Mi ricordo che tante volte non voleva andare agli allenamenti, credevo fosse stanco, ma più volteDonato mi ha risposto che non riusciva a realizzare quello che il mister gli domandava, si sentivainferiore alle attese e temeva il giudizio di papà. Non si può pretendere da un giovane quello chemagari potrebbe anche fare ma che non riesce, anche se ci mette impegno, perché bloccato. Laprima preoccupazione è il suo bene, il suo sviluppo, la crescita serena mettendo insieme il calcioma anche la scuola e la famiglia. Anche il dialogo in casa si era ridotto, non avevamo mai tempo,Donato tornava a casa alle 14, mangiava in fretta e poi via dall’altra parte della Città per gli allenamenti.La sera era stanco e aveva i compiti, così a tavola quasi mai siamo riusciti a mangiareinsieme con calma parlando di come andavano le cose. E per tutto l’anno si tirava avanti così, nonci siamo più di tanto verificati e guardati di fronte per capire come andavano effettivamente lecose.Due racconti simili in un punto: l’incomunicabilità, il dover “tirare avanti” perché tutto deve procederecosì senza alternative come se fosse fissato in una specie di programma generale da mettere in esecu-


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>zione. Diciamo che si era costretti a vivere, non che si rifletteva sul vissuto, sulla realtà, sui fatti e sullepersone che agivano. La famiglia era diventata una specie di “azienda” di servizi con degli operatori chedovevano fare certe cose, farle bene e alla fine ricevere una specie di “premio”.10.3 Il desiderio di capireIniziava con Giovanni e Sabrina un itinerario per mettere in evidenza due nodi della loro opera <strong>educati</strong>vanei confronti di Donato:Entrambi, ma forse più il padre, avevano pensato per lui una specie di carriera, di sicurezza economicae professionale basata sull’esperienza paterna, ma senza la presa di contatto reale su quelloche il giovane era in grado di dare ed effettivamente poteva dare con le proprie motivazioni.Si erano limitati a un rapporto <strong>educati</strong>vo basato sui risultati mettendo in secondo piano il soggettoagente, Donato, il quale aveva mancato a dei traguardi, ma aveva utilizzato un metodo alquantoscorretto per evitare il contatto diretto e immediato con i genitori con i quali il rapporto si era ridottoal semplice agire secondo schemi prefissati.Era venuta meno la fiducia reciproca, il dialogo aperto, leale e sincero.Su questi punti era necessario ora cercare di capire le posizioni nel desiderio di fare chiarezza e comprendersimeglio. Riguardo al padre emergeva da altri colloqui la sua indole sportiva, il suo mondo eraproprio lì sul campo, anzi i suoi stessi amici erano tutti ex compagni di squadra e dirigenti sportivi. Luistesso passava il tempo libero nel club degli amici sportivi e parlava ovviamente di sport con competenza.Tutto questo l’aveva trasmesso al figlio, che guarda caso non poteva non tenere alla stessa squadranella quale aveva militato il padre. Poi Giovanni aveva lasciato fare a Sabrina per l’educazione del ragazzo,un po’ perché era piuttosto assente, dovendo andare in trasferta per l’Italia e all’Estero anche per gliimpegni con la Nazionale.Lui era ben poco a casa. Nella fase infanzia la moglie aveva seguito direttamente e quasi totalmente ilragazzo e verso di lei aveva un più intenso trasporto, quasi naturale e spontaneo. Era la madre quellacon cui si confidava maggiormente; verso il padre invece nutriva un senso di rispetto e di timore se nonaltro perché campione sportivo fino a pochi anni prima. Giovanni ricorda poco di aver avuto grandichiacchierate con Donato al di fuori del gioco del calcio, lui stesso riconosceva che su altri argomenti nonsi sentiva preparato e che la sua stessa vita fin da ragazzo è stata assorbita dal pallone e a scuola avevacombinato poco. Lui ora è convinto che Donato abbia raccontato e falsificato la pagella per la paura divenire ripreso dal padre e per non arrecagli un dispiacere, dopo i già deludenti risultati calcistici. TroppoDonato ha vissuto all’ombra del padre campione. Lui fragile psicologicamente, temeva il confronto ed ilgiudizio anche degli altri. Lui stesso ammetteva che spesso i compagni di squadra gli dicevano:Ma con il padre così forte, perché oggi non hai segnato, tuo padre non avrebbe sbagliato, non sisarebbe lasciato scappare quel pallone, lo metteva dentro senza dubbio, vedi di svegliarti.L’<strong>essere</strong> figlio del mister non era per lui un aiuto, bensì un ostacolo per dover apparire quello che nonera e non poteva diventare, un altro campione. Giovanni faceva fatica a convincersi di questo e i ragionamentiche portava erano tutti pensati e ben discussi, ma dentro di sé aveva ancora forte il desiderio dipoter vedere il figlio almeno giocare nella massima categoria e nella sua vecchia squadra. Era troppo?No, ma i figli non sono come delle macchine che basta programmarle perché funzionino in un certo modo.Donato doveva seguire la sua strada che era un’altra: il gioco per divertimento, il calcio come passatemposenza altre mire se non una tranquilla squadra di paese nella quale si sarebbe sentito accolto einserito come gli altri senza altre attese. Quanto di tutto questo ha influito sulla crescita del ragazzo, diventatotaciturno e preoccupato di fronte agli allenamenti degli altri ragazzi che invece non ne vedonol’ora per giocare e dimostrare il loro valore?66


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>Lui non aveva la volontà di giocare per rilassarsi, divertirsi o per fare carriera. Per lui la partita della domenicasembrava un incubo, doveva vincere e ben figurare, per dimostrare di <strong>essere</strong> in grado di poterandare avanti. Anche Giovanni forse ragionava in questo modo e gli aveva trasmesso un’eccessiva attesaper coronare una specie di sogno nel “cassetto”: riprendere al meglio l’attività paterna e magari riuscirein quello che a lui non era andato bene. Era il momento più delicato, Giovanni iniziava a capire che dovevalasciare i suoi schemi, le sue attese, per imparare ad accettarlo anche con la sua lentezza nel gioco.Ora era necessario un altro percorso segnato non dalle pressioni per il carrierismo calcistico ma dal dialogosereno per mettere a fuoco e comprendere i suoi reali sogni e desideri.10.4 Andare oltre l’ingannoSabrina pensava al fallimento del dialogo <strong>educati</strong>vo per averle mentito per tutto l’anno scolastico nascondendooltre che i risultati negativi, la sua impreparazione ad affrontare la scuola? Perché si era datoun’immagine così lontana dalla realtà e aveva architettato un inganno che poi si sarebbe pochi mesi dopo?Erano domande che la assillavano e non le permettevano una valutazione serena del percorso <strong>educati</strong>vo.Su un punto ora finalmente si trovava in pieno accordo con Giovanni, il figlio non poteva e nondoveva seguire le orme del padre, anche se la strada sembrava aperta e percorribile. Si trattava di riprendereil ragionamento di fondo e capire dove e in quale modo Sabrina aveva mancato verso Donato.La signora rifletteva a lungo e aveva compreso di aver troppo insistito con lui sul buon andamento scolastico,come a dire che “ti devi meritare il tempo che passi per il pallone”.Purtroppo nella realtà altro che meritare il calcio, per lui era una fatica maggiore dello studio. Da lì il nonsaper mettere bene insieme scuola e pallone. Ammettere questo era segno di debolezza e cedimentocon esposizione a rimproveri del padre per il pallone e della madre per la scuola. Anche lei pretendeva ilrisultato, mancava di comprendere la persona che aveva di fronte, un ragazzo bravo e buono, ma profondamentediviso tra calcio e doveri scolastici. Donato da tempo si era chiuso in una specie di mutismoanche con la madre, a cui prima era pronto a confidare i suoi piccoli segreti. La madre sapeva che il calcioera impegno, ma anche soddisfazione, e lui fino a poco tempo prima, giocava con impegno e si trovavabene con i compagni, al punto che alcuni gli erano amici e gli telefonavano o comunicavano.Tutto questo però era venuto a mancare nell’ultimo anno quando Donato si era inserito nel gruppo“primavera” con una disciplina di gioco molto più severa ed esigente e con meno amici e occasioni perstare insieme. Aveva capito che è bene non fidarsi troppo degli altri perché nell’ambiente circolava unospirito di rivalità e di competitività per arrivare a <strong>essere</strong> in prima squadra, giocare la domenica. Donatoesprimeva un senso di paura per tutte le attese che avevano riposto in lui. Aveva un senso d’inferioritàsoprattutto nei confronti con gli altri ragazzi, non lo ammetteva direttamente, ma lo viveva come un limitenon solo calcistico ma anche sociale e di inserimento. Lei in questo aveva notato come Donato a-vesse diradato le proprie presenze a feste e incontri con gli amici di scuola e dello sport.Aveva timore del confronto e paura di ammettere di non <strong>essere</strong> in grado di arrivare a brillanti risultati. Intal senso, ecco la pensata sulla scuola, dove il pericolo era quello di sfigurare, di non condurre nel miglioredei modi il proprio percorso verso il diploma di ragioniere. Da queste conseguenze ne derivava lapropria insicurezza, temeva di non farcela, di non poter competere con gli altri. Tutto questo lo rinchiudevamaggiormente nel suo mondo. Ora la madre doveva, non solo metterlo sotto con gli studi, ma aiutarloa trovare dentro di sé il coraggio per andare avanti accettandosi per le proprie qualità.Quale impegno più urgente? Stare accanto al figlio senza giudicarlo e fargli pesare l’anno perduto e lebugie rifilate, difese del proprio io. Non solo ma la madre in questa delicata fase di ripresa del dialogodoveva assolutamente accompagnarlo anche nel disbrigo dei compiti partecipando con lui al camminoculturale. Certamente costa fatica, ma è la via attraverso la quale si riesce a dare fin da piccoli i parametridi una vita onesta e laboriosa. Per Donato era necessaria una riflessione affinché lui si sentisse non in67


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>colpa, nell’atteggiamento debole di chi vuol difendere se stesso. Non bisogna dimenticare che pocotempo prima erano avvenuti cambiamenti del nuovo contesto di squadra che lo aveva assai agitato immettendola frenesia per il risultato a tutti i costi.10.5 La fiducia riaccordataLa madre ora iniziava a parlare con lui lasciandolo libero di esprimere sensazioni, riflessioni, preoccupazioniper superare la sua emotività e timidezza. Forse era anche questa la concausa della sua scarsa grintaagonistica. Sabrina voleva comprendere bene le ragioni dell’inganno, in fondo lei era disposta ad accettarele sue scelte anche quella di non realizzare buoni risultati scolastici. Donato però faceva fatica aconfidarsi, a lasciare uscire le proprie ragioni, si limitava ad affermare che non ce la faceva e aveva volutoprendere un po’ di tempo sperando di migliorare entro fine anno il proprio rendimento. Vogliamo riportarele sue parole dopo il confronto con i genitori e avere avuto la rassicurazione del perdono e dellaritrovata fiducia:Non mi sono organizzato, ma ho avuto timore a dirlo, temevo non solo la delusione dei miei, maanche che forse non avrei più giocato. In fondo il calcio mi piace, anche se con tutti gli allenamentie con i compagni di gioco non ho un grande rapporto. Lì vedo preoccupati solo del risultato epoco socievoli, questo mi ha dato fastidio. Così a scuola speravo di riprendermi, di tornare ai votisufficienti dello scorso anno ma poi il tempo per studiare era poco, ero stanco e ho iniziato a lasciarmiandare, a studiare poco. Non mi sono distratto con tante cose, solo non ho avuto piùtempo per studiare con calma ed esercitarmi nelle varie materie. È vero ho imbrogliato, ma hoavuto paura delle reazioni, mi sono accorto che i miei avevano attese su di me e volevo riuscirci.Il giovane dal suo racconto lasciava trasparire una sorte di ubbidienza passiva ai suoi doveri in funzionedell’approvazione dei genitori, non perché lui ne fosse convinto. Questa doveva diventare la linea <strong>educati</strong>vada seguire con costanza e determinazione: capire ciò di cui Donato era convinto e pronto a realizzaresolo così si formava la motivazione del proprio agire, nella volontà di “tirare fuori” il meglio di sestesso. La madre lo faceva parlare dei suoi progetti, del suo tempo libero ipotizzando che non vi fossepiù il calcio e voleva scoprire le sue motivazioni per la scuola prima di iscriverlo o cambiargli istituto.Quello che era accaduto non era imputabile al corpo docenti, ma a negligenze genitoriali e al suo rifiutodi farsi aiutare per riconquistare voti dignitosi. Si stava su una posizione dialogante, Sabrina aveva decisodi venire a casa un’ora e mezza prima per seguire da vicino il giovane anche attraverso la presa in caricodei suoi compiti per non lasciarlo troppo solo nel suo impegno. Sicuramente Donato seguito da vicinorendeva il massimo, superava la propria insicurezza specialmente nell’orale, dove era costretto a parlarein modo articolato delle varie materie.Andava incoraggiato e sostenuto nei compiti e nelle interrogazioni da preparare. Il carattere timido el’indole sostanzialmente passiva non favoriva in lui la volontà di impegnarsi con maggior determinazionesia per la scuola e sia nel calcio. Donato con la sua fragilità era spesso alla ricerca di conferme e punti diriferimento che faticava a trovare nel contesto sportivo, troppo agonistico e competitivo. Non aveva a-vuto quasi mai tempo per coltivare amicizie, troppo aveva trascorso l’anno scolastico precedente nella“corsa” per poter trovare gli spazi adatti per seguire studio e calcio. Se la sentiva di riprendere gli studi,lui lo prendeva con orgoglio per impegnarsi a fondo nella scuola e dimostrare a se stesso la capacità diriprendersi e poter terminare gli studi. E per il calcio che cosa occorreva fare? Riprovare con un nuovomister, cambiar squadra o lasciare perdere l’eccessivo agonismo?10.6 Le rivendicazioni e le motivazioniSi stava profilando una buona linea <strong>educati</strong>va Donato sembrava tranquillo e soddisfatto del risultatoraggiunto, quando parlando insieme con i genitori emerse una realtà che si poteva sospettare e che erarestata non espressa fino a poco tempo prima: le differenze di valutazione sul giovane e le presunte responsabilitàper il suo stato attuale. Giovanni diceva chiaramente:68


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>Lentamente mi sto facendo l’idea che mio figlio, pur giocando con impegno è mediocre e più in làdi questo sarà difficile portarlo anche perché o ci sei a quest’età, oppure è ben difficile che diventiun grande giocatore dopo di diciotto o venti anni. Io ci avevo contato, mi sembrava così naturaleche si continuasse la tradizione di famiglia e invece mi devo accontentare di un risultato nettamenteinferiore alle attese. In questo devo dire che non ho trovato una collaborazione adeguatain mia moglie.Lei l’ha sempre protetto, anzi forse lui si è sentito difeso da Sabrina specialmente quando io avreivoluto che giocasse da qualche anno in qua già in formazioni giovanili dove poteva <strong>essere</strong> meglioinquadrato e diretto. Sabrina iniziava a dire che era troppo piccolo, che lo stress del gioco poi diventavapesante e che era meglio avviarlo allo sport competitivo quando era più grande e intantoperdevamo tempo. L’aveva addirittura iscritto a una piscina perché diceva che quando sono piccolisugli 8-10 anni devono fare uno sport completo che li educhi a un corretto uso del corpo.Non solo ma quando io lo riprendevo per qualche cosa mi ricordo che raramente mi ha dato laragione totale, tendeva a giustificare il bambino perché va trattato con attenzione e tenerezza altrimentipoi si spaventa. Mi diceva che pretendevo troppo da lui, che non era il caso di <strong>essere</strong>troppo severi. In altre parole Sabrina ha tenuto il monopolio <strong>educati</strong>vo su Donato e sono certoche la troppa attenzione nei suoi confronti non l’ha aiutato a <strong>essere</strong> più risoluto, deciso e motivatonelle cose che ha fatto. Sapeva che dietro aveva mamma, lo sosteneva e gli toglieva le piccoleresponsabilità che doveva assumersi.L’esternazione di Giovanni non trovata Sabrina impreparata, sicuramente da tempo avevano parlato diquesti argomenti e ora c’era l’occasione propizia per chiarirli o quanto meno di cercare un confronto difronte alle evidenti difficoltà della scuola e del calcio emerse nell’ultimo anno. Sabrina, senza più di tantoscomporsi o prendere un tono aggressivo nei confronti del marito, così si esprimeva:Partiamo da un’altra realtà, da quando ci siamo sposati certamente il rapporto tra noi è stato sostanzialmentebuono, ma non possiamo dirci una coppia in piena sintonia. A parte i nostri caratterie l’educazione ricevuta. Per un verso o per l’altro non siamo quasi mai riusciti a confrontarci atutto campo. Le poche volte che l’abbiamo fatto tu ti chiudi in una specie di mutismo e dopo averdetto tante cose su ogni argomento fai finta di niente, incassi il colpo e vai avanti. Così tante volte,hai detto dello sport, è vero ho voluto mandarlo per qualche anno in piscina perché volevo chefacesse lo sport più completo, ma anche per toglierlo dalla calciomania che stava prendendo.Troppo in casa nostra da anni non si fa altro che commentare partite e fare pronostici, sembra unclub sportivo più che una famiglia. Anche con i tuoi amici quando ci si vede più che parlare di calcionon fate, specialmente tra voi uomini. Sembra che tutto il mondo inizi e finisca lì, è vero hocercato di proteggerlo, forse anche di difenderlo dal tuo modo troppo personale di metterlo dappertuttopotesse fare carriera, arrivare a grandi risultati.Ma ti sei mai chiesto che il vero ed unico risultato su cui puntare è la sua realizzazione, la dimostrazionedelle sue vere qualità, fossero anche quelle di non voler più vedere un pallone per tuttala vita. E se pensasse così perché non stargli accanto? Troppo ho combattuto contro questa mentalitàe non voglio che Donato diventi una macchina da gioco. Ha mentito, ma ha anche avutopaura di noi e questo mi ha creato confusione. Perché deve temere i suoi genitori e ingannarli?Vuol dire che non si accetta o teme che noi non l’accettiamo con i suoi limiti e le sue qualità. Nondeve vivere in funzione di fare quello che noi vogliamo da lui. Deve <strong>essere</strong> più responsabile dellasua vita e per questo ora dobbiamo tutti e due farlo parlare, ascoltare le sue preoccupazioni, lesue paure, i desideri che ha per il suo futuro. Dobbiamo stargli accanto con il massimo rispetto emettendo in primo piano l’impegno per la scuola, quello è il futuro che gli permette di vivere e69


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>trovare un lavoro, il calcio viene dopo. Che possa giocare per star meglio non per fare risultato.Non si poteva dire che non si fossero parlati con chiarezza, anche con fermezza e onestà. Lo stesso Giovannistavolta non batteva in ritirata come avesse perso una partita, era convinto che il discorso di Sabrina,pur con la durezza dei contenuti emersi centrava l’argomento e poneva serie domande circa ilpercorso <strong>educati</strong>vo del ragazzo. Si poteva riassumere in tre punti sui quali convergere in una comune linea<strong>educati</strong>va:Priorità al dialogo non per le cose da fare. Donato doveva capire che i genitori non avevano una parteda fargli recitare, una specie di copione, no era lui il protagonista della sua storia. Dialogare volevadire farlo sentire sicuro di se stesso, metterlo in condizione di capire le responsabilità di quindicennedi fronte alle prove della vita a iniziare dal cammino scolastico.Trasmettergli il bene della fiducia. Nonostante il fatto grave delle pagelle falsificate e dei poco brillantirisultati calcistici. Lui non aveva bisogno di rimproveri e stimoli continui, così come non dovevaproseguire con una squadra dove la competitività e l’agonismo erano al primo posto. Forse era necessariaun’altra scelta sportiva più adatta a fargli stabilire amicizie e sentirsi tranquillo nonostantequalche limite nel gioco.Confrontarsi in coppia per una dinamica <strong>educati</strong>va più educante. Il primo che si stava educando erail padre, ora capiva di lasciare cadere i suoi desideri di campione per il figlio. Senza dubbio era un suosogno, certamente alimentato ai circoli sportivi e dagli amici, ma Donato era Donato e non il padre epur mettendocela tutta era “troppo fragile”, mancava di qualcosa, quel qualcosa che è un carismapersonale non trasmissibile e forse nemmeno insegnabile. Giovanni però doveva vivere questo comeil bene per suo figlio, non un ripiego e uno smacco per il suo desiderio di emergere. Ora più che maiDonato andava accompagnato da entrambi nel nuovo corso sportivo e sociale, era la “normalizzazione”il nuovo cammino.Come andò avanti il cammino <strong>educati</strong>vo? Non lo sappiamo, era acquisita la chiarezza tra i due genitori el’impegno ad accettare le reali qualità di Donato, per crescere insieme, <strong>educarsi</strong>, educandosi con lui perraggiungere la vera educazione: ciascuno sia se stesso e possa dirsi contento e soddisfatto del propriopercorso.70


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>11 Guida pratica per l’educazione11.1 Raccogliamo gli spuntiEducare, come ogni attività del cuore, della mente e del braccio esige passione e volontà in un crescendod’impegno e dedizione alle persone alle quali si vuole trasmettere amore. Più che mai <strong>educarsi</strong>, artedel saper “tirare fuori” il positivo che esiste in ciascuno, richiede tenacia, costanza e creatività. Dopo a-ver analizzato diverse storie nelle quali la parte <strong>educati</strong>va esercitata per lo più dai genitori, raccogliamoqualche suggerimento per farne una specie di prontuario per addentrarsi nel delicato, ma indispensabileservizio <strong>educati</strong>vo. Ne vorremmo ricavare una specie di piccolo manualetto in dieci punti per lo più e-stratti dalle esperienze di vita riportate. Non esaurisce una materia vasta come questa, perché <strong>educare</strong>non è altro che donare se stessi ad una persona che si ama. In particolare un adulto nei confronti di unbambino che cresce, vorrebbe donare il meglio di sé, non trascurare nulla di quanto può essergli utileper diventare adulto e imparare la delicata arte della vita in modo responsabile e convincente.I punti da riprendere sono i seguenti:1. Prendersi cura del soggetto da <strong>educare</strong>2. Tenere ben presente la propria storia personale3. Non limitarsi a far coincidere educazione con trasmissione di principi e belle parole4. Saper stabilire contatti con ambienti esterni specie con influsso mediatico5. Darsi una linea <strong>educati</strong>va tendente all’unità in coppia6. Accettare la persona, nonostante quello che non si vorrebbe7. Saper correggere con superamento rabbie e ansie8. Dare il senso religioso, l’educazione al valore del divino9. Esercitare la pedagogia della testimonianza: la propria credibilità10. Rendere libera la persona guidare ogni scelta: dare ogni mezzo11.2 Prendersi cura del soggettoOgni persona, e in particolare ogni giovane in crescita, è unica e irripetibile. La vera educazione consistenel sapersi mettere a servizio favorendo al massimo lo sviluppo delle capacità di ogni persona. Prendersicura non consiste solo nella somministrazione di quanto è indispensabile per vivere a livello fisico e sociale,ma si articola in una serie di attenzioni per mettere il soggetto nella condizione di potersi esprimerenella propria originalità e senza il timore di mancare in qualcosa. Ciascuno è dono, ed espressionedella bellezza, verità e bontà che ogni persona porta iscritta dentro di sé. Come si dice spesso “nessunoè uno scarto”, il Creatore non può che portare alla vita solo la propria immagine e somiglianza. È veroche vi sono soggetti più dotati di altri a livello di possibilità e di capacità operative, come in natura vi sonomontagne più elevate di altre piuttosto che fiumi più ricchi di acqua o fiori con più petali e colori.L’armonia non consiste nell’erigere una competitività fuorviante, quanto nell’accettarsi in modo serenoe armonico.Ciascuno deve <strong>essere</strong> se stesso con quello che porta con sé. Da qui il compito indispensabile e insostituibiledell’educazione, quale arte dell’estrazione dal di dentro affinché ognuno possa esprimere il meglio.La cura va intesa come partecipazione, apertura all’altra persona in dialogo per comprendernel’originalità e le reali possibilità di sviluppo. A questo riguardo vale il principio più volte ribadito della libertàinteriore, più l’educatore, spesso il genitore, è libero e non ha schemi prefissati, meglio riesce acomprendere la consistenza dell’educando.Nelle esperienze di vita riportate, quante volte c’è stata la mancanza di una conoscenza profonda e veradel soggetto, causa di sofferenza per la poca chiarezza. Prendiamo la situazione di Donato, perché pretendereun così elevato rendimento calcistico senza realmente guardare le sue vere possibilità? Preten-71


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>dere, chiedere, volere ma senza creare il dialogo <strong>educati</strong>vo con la persona equivale a imporre e dirigerela persona spesso al di fuori della propria realtà. Ciò non significa, e l’abbiamo presentato, non insegnaredelle regole morali, non dare un senso di misura nelle cose che uno compie e ancor meno lasciare tuttonel clima del più assoluto permissivismo. No, l’impegno primario è quello di curare la relazione, mettereil soggetto in crescita nella condizione di comunicare, di aprirsi con fiducia.Va curata la conduzione <strong>educati</strong>va in un clima quotidiano di fraternità e sincerità nel quale ciascunodeve sentirsi libero di esprimersi e guidato a “tirare fuori” il meglio delle proprie qualità individuali dicarattere e di originalità. Prima di imporre dei comportamenti specialmente al fanciullo che cresce è benecomprenderne le reali possibilità al fine di modulare ogni intervento <strong>educati</strong>vo sulla sua specifica originalità.Riprendendo Salvatore e Agata, <strong>educare</strong> veniva a coincidere con dirigere, insistere, immettere,come da un “copione” una serie di raccomandazioni, lasciando però il ragazzo passivo, non coinvolto. Latroppa insistenza genera non poche volte il rifiuto di comportamenti anche buoni e giusti dettatidall’esperienza e dal senso civico morale. L’eccessiva ansia <strong>educati</strong>va nella pretesa di voler realizzati nellapratica principi e regole, dettate a volte con molta insistenza, conduce, al risultato della delusione e-ducativa tipica di Emilia con il figlio Gianni, sfuggito di mano (in tutti i sensi) anche per la troppa pressionematerna.La cura esige che ogni persona da <strong>educare</strong> sia motivata verso gli obbiettivi che si ritengono utili per lacrescita. Favorire il dialogo <strong>educati</strong>vo e l’intesa è basilare per ogni sviluppo specialmente nel contestosociale attuale dove la comunicazione tra persone è alquanto in crisi, condizionata com’è dall’invasionemediatica dal dirsi le cose utilizzando apparecchi elettronici o di telefonia, evitando il colloquio diretto.11.3 Tenere ben presente la propria storia personaleÈ il senso e la base costituita dalla storia di ciascuna persona, chiamata al compito <strong>educati</strong>vo. Facendosila domanda: come si fa a <strong>educare</strong> un figlio, da dove si inizia e soprattutto da chi si impara? Sembra ancheovvia la risposta: dalle proprie esperienze di vita raccolte dalla famiglia di origine e dall’esempio apropria volta avuto dai rispettivi genitori e allargandosi ai nonni, zii, fratelli ecc. La storia personale è depositatadentro la propria vita interiore e senza accorgersi viene come estratta nel gravoso compito ditrasmettere l’educazione. Sono i genitori che con i loro insegnamenti e la testimonianza, costituiscono labase per ogni altro e successivo intervento.Nelle stesse situazioni riportate, perché alcuni genitori erano così rigidi e diremmo un po’ troppo bloccati?Pensiamo a Viviana: aveva alle spalle un’educazione improntata al “dirigismo” materno e un vuotoaffettivo pesante da accettare. Tutto questo ne condizionava l’intervento <strong>educati</strong>vo sui figli. Da questo siconstata come un’educazione improntata ad autoritarismo e spesso passiva ubbidienza ai comandi, nonpermette di maturare nella scelta responsabile. Ora è certo che qualcuno vuole prendere le distanze daquel modo di agire, ma poi di fatto si porta dietro, come una zavorra, un peso che non sa di avere ed inmodo consequenziale riviene in qualche modo ancora fuori. Riflettiamo sugli atteggiamenti eccessivamenteautoritari, vedi Alda verso Laura, o il troppo permissivismo quasi per “contestare” il passato, vediViviana con i figli per tenerli tranquilli. Così valga per le paure che abbiamo riportato un po’ in tutte lestorie, paure che spesso affondano le radici nelle insicurezze ricevute nell’infanzia dagli stessi genitori.Valga per tutti la paura di trovare cattive compagnie piuttosto che di farsi male perché si sbagliano gliincontri, o di perdere il controllo della situazione dei propri figli. Ricordiamo la paura di Emilia, la sua i-perprotezione nei confronti del figlio, “fuggito” con la trentenne. Una delusione, una crisi tremenda cheminacciava il suo equilibrio psichico. Ed allora come si reagisce? Spesso impedendo o quasi che i proprifigli possano costruire una loro vita privata, con un controllo fatto col “microscopio” del timore e con la“telecamera” dell‘interrogatorio. Una possibilità che poi conduce inevitabilmente a scontri e a reazioninegative come silenzi e bugie per “nascondere” verità definite scottanti. Nella conduzione <strong>educati</strong>va va72


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>anche tenuta presente la storia di chi ha ricevuto poco affetto per la trascuratezza dai propri genitori.Non sono poche le famiglie divise dalla separazione che quasi puntualmente porta con sé la sofferenzadell’“abbandono” avvertito dai figli come mancanza di attenzione nei loro riguardi. Abbiamo riportato larabbia e la delusione di Erminia, ora adulta, ma ancora incapace di comprendere la separazione dei suoigenitori. Si cresce con i due genitori che magari si guardavano in cagnesco se non proprio s’ignoravano etutto questo poi diviene eccesso anche di attenzione nei confronti dei propri figli, come se temessero unnuovo abbandono.La stessa possessività dettata dalla paura di eventi negativi verso i figli è reazione se stessi per evitarel’errore opposto: il soffocamento affettivo ed effettivo. Un “controllo” speciale per prevenire gravi e incombentipericoli. Alla stessa stregua la scelta di trasmettere affetto subordinato ai risultati, rende la disponibilitàverso i figli una questione di meritocrazia. C’è dietro la storia dei premi e castighi, spesso gestitain modo quasi ragionieristico. Manca il senso di responsabilità c’è solo una forma di paternalismobenefico che non educa al valore dell’impegno e della passione per un ideale che va condiviso più cheimposto dall’esterno. Questo vale ad esempio per il settore dell’educazione scolastica o per la vita socialedove l’apprendimento di regole e comportamenti non è solo questione di imporre dei costumi, ma diuna graduale responsabilità nella crescita.A volte la storia personale porta con sé la mancanza di dialogo aperto, spontaneo e sincero perché allespalle ci si è trovati a ubbidire a delle disposizioni o si è voluto cercare di strappare qualche concessionein più, ma senza dare valore al dialogo. Non dimentichiamo che nelle precedenti generazioni vi era unasorte di capo famiglia che impartiva dei veri “ordini” per tutti e un’altrettanta capacità di controllarel’esecuzione dei comandi. Il valore del dialogo e del confronto tra genitori e figli, è conquista familiaredegli ultimi decenni quando si riconosce nell’interlocutore, anche se giovane, un soggetto interpellante,con la conseguenza che <strong>educare</strong> diviene <strong>educarsi</strong>, imparare insieme a cercare il bene per tutti. Questacrescita non può <strong>essere</strong> data per “scontata”, esige confronto continuo e ferrea volontà di stabilire unrapporto vero che superi la pura ubbidienza passiva e divenga collaborazione attiva nell’ascolto dellereciproche ragioni. Com’è difficile questa linea d’azione quando ci si porta dietro una storia personale efamiliare dove il dialogo non è mai esistito e occorre “inventarselo”?Spesso occorre superare se stessi, uscire da schemi e mentalità che apparentemente danno sicurezza,quali l’autoritarismo, per approdare verso la volontà di dialogare, nel pieno rispetto del loro modo di <strong>essere</strong>,agire e pensare. I figli anche se piccoli, sono già in grado di sostenere il dialogo e dire le proprie ragionianche se in modo da affinare. Su questa lunghezza d’onda occorre concentrarsi permettendogli diesprimersi nel miglior modo possibile e senza erigere sterili “difese” dall’adulto che parla loro.Da ultimo nella propria storia personale a volte ci si porta dentro una certa conflittualità con i genitoriche poi raggiunge il livello di tensioni e poca stima dell’età più adulta. Come se si volesse criticare neipropri cari soltanto i loro limiti e le loro quasi inevitabili contraddizioni <strong>educati</strong>ve, spesso rilette alla lucedell’età adulta e non sempre contestualizzate nel loro tempo storico.Ora tutto questo viene riversato sui propri figli senza coinvolgere più di tanto i nonni, spesso limitati alla“distribuzione” dei beni di conforto verso i nipotini e dal timore che i figli a loro volta, diventino implacabilicritici dell’operato diretto dei genitori. Un rischio che va corso nella consapevolezza che <strong>educare</strong> èarte del cuore che ama e in amore se si sbaglia è comunque per il bene. Può ritornare la stessa conflittualitàcome se si applicasse il principio dei corsi e ricorsi storici? Non si può dire un assoluto sì e neppureun no. Resta la realtà di genitori che per evitare conflitti e freddezze concedono a più non posso fin dabambini senza mettere né freni né remore morali. Siamo nella dialettica <strong>educati</strong>va di Gino e Maria con irispettivi genitori e la piccola Alice. Nell’esperienza si notava la base conflittuale tra la “concessione” be-73


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>nefattrice (nonni) e la direzione <strong>educati</strong>va della piccola (genitori). Ebbene questa condotta rischia di diventaresinonimo di concedere per paura di perdere i figli. È quanto di meno <strong>educati</strong>vo si possa pensare.Di che cosa hanno necessità i figli che crescono? Di trovare figure di riferimento, valori e principi neiquali credere e impostare le proprie scelte di vita. Tutto questo diviene possibile quando amando i figli sidà loro la possibilità di riprendersi accettandoli per quello che sono e non quello che vogliono gli altri.Più c’è pressione esterna e non assunzione di princìpi, più c’è la dispersione tra le persone incapaci diincontrarsi. La preoccupazione è proprio questa: non riuscire a mettere i figli a loro agio, quando il mondodegli adulti è di fatto lontano dal loro.11.4 Non limitarsi a far coincidere educazione con trasmissione di principi e belle paroleIn quasi tutte le famiglie che abbiamo riportato si rilevava la delusione per la mancanza di presa deiprincipi etici che i genitori volevano veder concretizzati nei loro figli. Come non rilevare la delusione diViviana piuttosto che di Alda di fronte ai figli che facevano tutt’altro rispetto a quanto loro avevano insegnato?Così come la rabbia di Giovanni di fronte al ragazzo che nonostante tutti i mezzi forniti e lechiare spiegazioni non riusciva a rendere nel gioco del calcio? Quanta sofferenza nei genitori che si sentivanocome sconfitti, facendosi tante domande e sensi di colpa.a) Educare è arte di estrarre il positivo, ma è anche vero che ogni arte abbisogna di una giusta e opportunaguida. Le tante spiegazioni unite alla volontà di trasmettere esperienze della vita di ciascunoformano in ogni giovane la mentalità di chi cresce e si confronta sui valori. Qui sta il senso del fallimentoo il senso della paura di aver perso una battaglia, una sfida <strong>educati</strong>va. Aver detto, proclamato,spiegato anche nel miglior modo possibile tanti principi e norme di vita e non aver apparentementeraccolto nulla, dà l’impressione dell’errore, mentre invece è spesso un segnale di un obbiettivoraggiunto e ben consolidato. Si pensi a quanta parte dell’insegnamento ricevuto dai genitori vieneconservato nei figli, e ricordato nel momento giusto, nell’occasione opportuna quasi senza accorgersene,perché coloro che hanno dato prova di fedeltà, dedizione ed impegno ad <strong>educare</strong> rimangonosempre presenti nell’animo della persona educata.b) Occorre superare il facile e quasi istintivo binomio tra dire, insegnare e voler vedere subito i risultati.Forse sarebbero più misurabili nel contesto scolastico piuttosto che lavorativo dove è più unaquestione di “cose pratiche”. Che cosa rimanga dell’educazione ricevuta in famiglia è difficile determinarlo,una cosa è certa, molto viene depositato nella “banca” dei ricordi e nel laboratorio interioredelle decisioni. Questo è impossibile misurarlo o rilevarlo dall’esterno, il messaggio trasmesso conpassione, tenacia e insistenza passa, o meglio resta. Per quanto riguarda il valore della presa in caricodegli insegnamenti genitoriali, il vero banco di prova è la vita, l’evoluzione nel tempo della personache prende coscienza delle responsabilità che gli eventi riservano. Come “dimenticare” il sensodel sacrificio, la dedizione spesso eroica e il valore del servizio permanente di tanti genitori nei confrontidei loro figli?c) A volte è più eloquente l’impegno e l’esempio fattivo diretto che ogni discorso pur ben elaborato. Inquesta direzione non possiamo far finta di non scorgere la linea <strong>educati</strong>va da condurre sviluppando ilsenso della verifica comune. Non è detto che chi detiene l’autorità abbia sempre ragione e non possané sbagliare, né <strong>essere</strong> messo in discussione dagli altri. Da qui il concetto di coeducazione legataalla vicenda di persone bisognose di un confronto. Quanto incide a livello <strong>educati</strong>vo la proposta diprincìpi promossa dagli adulti, ma verificata insieme con i ragazzi ai quali viene data la possibilità diesprimersi, di dire il proprio parere e di contribuire alla costruzione di una famiglia educante perchéeducata a cercare insieme il positivo.d) Nessuno ha il monopolio della verità, tutti devono cercare nel confronto aperto e sincero di com-74


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>prendere il valore di ogni singola persona. Qual è il bene per ognuno? Non di certo l’inquadramentocome un’applicazione diretta di leggi, norme, regolamenti di cui ogni famiglia è promotrice. Certamenteci vuole anche la parte propositiva, accompagnata dalla volontà di crescere insieme, perchéesercitare l’autorità per i genitori non è mettersi in cattedra, quanto camminare insieme, come si fafin da piccoli, con i figli che crescono e affrontano le varie stagioni della vita. Unica certezza è saperestare loro accanto condividendo il loro vissuto, illuminandoli con l’educazione e salvaguardandoli,con l’attenzione alla loro unicità. Ovviamente l’investimento è nel tempo della dedizione verso i figli;<strong>educare</strong> richiede la disponibilità del proprio tempo donato con amore e passione perché si instauri ilrapporto di fiducia reciproca, premessa per ogni intervento <strong>educati</strong>vo.11.5 Saper stabilire contatti con ambienti esterni, specie con influsso mediaticoArgomento non di facile soluzione calcolando il rapido cambiamento sociale e culturale rispetto anchesolo alla precedente generazione.Quanto aveva influito nell’educazione di Gianni o di Lucio, i ragazzi di cui abbiamo riportato le storie,l’influsso dei media in particolare internet e le tante ore passate tra computer, tv e altre forme mediatiche.Quando tali mezzi, uniti al divertimento tipico dei ritrovati elettronici, vengono a sostituire la normalecomunicazione familiare, la situazione risulta assai complessa. In alcune delle famiglie riportatedalle nostre esperienze, il dialogo si era ridotto a ben poca cosa, anzi era quasi del tutto spento, cosìcome il tempo dedicato alla cena piuttosto che a un tranquillo incontro familiare, era fortemente ostacolatodalla mancanza di tempo a favore del divertimento personale. Se anche i genitori sono presi dailoro interessi è molto complesso ricomporre la famiglia e stare insieme. Non è rara la realtà dove lamamma in cucina prepara buoni piatti, il papà deve mangiare in fretta perché ha degli impegni, i figli sonopresi e alla fine tutto si riduce a pochi minuti, magari di tensione anche in tavola, vissuti più come un“obbligo”, quasi un “peso”, anziché una preziosa occasione per stabilire momenti di confronto.Che significa prendere questi contatti con il mondo esterno?a) Mettere al primo posto il bene della famiglia, di tutti coloro che ne fanno parte tenendo presente iloro effettivi bisogni e l’importanza del dialogo, dell’intesa e comprensione reciproca per formarenella concordia affetti di solidità dell’unione.b) Saper assumere impegni, specialmente quelli non costretti da ragioni di lavoro o di forze maggiori,con lo stile della serenità interiore piuttosto che dello stress esterno che poi va a influire sul vissutoquotidiano. Quante persone fanno una vera e propria “corsa a ostacoli” quotidiana per andare dietroalle mille attività che volontariamente e a volte eccessivamente hanno voluto assumere. Impegnipresi, spesso solo per imitare i vicini o gli amici o perché spinti dall’effetto pubblicità del momento.Si pensi alla moda: tutti debbono frequentare la palestra piuttosto che la piscina, il club, il teatro, iconcerti, ecc., ottime opportunità, che però non devono arrecare pesantezza alla relazione familiarefino a non metterla al primo posto per il bene dei suoi componenti. Si diviene troppo affannati dagliimpegni a cui non si può mancare. Ripensiamo alla famiglia di Gino e Maria, non avevano più tempoper se stessi, erano diventati simili a “macchine” programmate a orario, come se al posto del cervelloavessero una scheda elettronica programmata.c) Non diventare vittime o meglio dipendenti dei tanti (troppi) beni di conforto. Sembra che se in unacasa venga a mancare il telefonino per tutti piuttosto che il televisore in ogni locale o tutti gli aggiornamentimediatici, non si possa trovare pace e tranquillità.d) Ci si potrebbe domandare: rispetto a quello che abbiamo, di che cosa potremmo fare a meno permigliorare la qualità della vita, anche a livello economico? Tra l’altro la stessa economia familiarespesso risente di spese voluttuarie davvero incomprensibili se non attribuite alla pubblicità del momentoche fa passare indispensabili oggetti nemmeno tanto utili? Pensiamo ai bambini “coperti” di75


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>76giocattoli e spesso scontenti perché annoiati, così come adulti pieni d’ogni genere di oggetti, ma ancoradesiderosi di altri acquisti per non “restare indietro”. Nei dialoghi familiari occorre verificarsi suquesti punti davvero significativi per la crescita delle relazioni umane senza il condizionamento limitantedel mondo esterno.e) Discorso a parte merita l’uso della televisione e in generale dei media. La positività di questi è fuoridiscussione, il fenomeno della cultura di massa proviene anche da un corretto utilizzo dei media. Madi fronte alla realtà della media di quattro o cinque ore al giorno trascorse da un bambino davanti altelevisore, c’è da pensare. Non è escluso che il mondo virtuale veicolato da computer e televisori,possa influire negativamente sul mondo reale costituito prima di tutto di esperienze e conoscenzedirette della realtà. È necessario far opera <strong>educati</strong>va per portare la realtà al suo vero peso e non costruire“castelli” incantati e mondi fuori da ogni fondamento. Solamente il dialogo <strong>educati</strong>vo del genitoreed educatore che mette al primo posto il bambino che cresce e favorisce il discernimento,consente la distinzione e la comprensione di ogni fenomeno. Non vanno demonizzate queste straordinarieconquiste, ma nemmeno diventarne dipendenti come se tutto ruotasse attorno a quanto daloro detto o non detto. Gioca qui un ruolo decisivo la competenza genitoriale, magari meno aggiornatarispetto ai figli, ma in ogni caso in grado di poter sostenere utili dibattiti casalinghi, allargati allascuola.f) Certamente scuola o palestra, Oratorio o piazzetta, non vanno trascurati, anzi la preoccupazioneprincipale è creare una sorta di ponte tra la famiglia e questi ambiti <strong>educati</strong>vi e aggregativi assaipreziosi, senza lasciare deleghe in bianco e senza trasformarli in parcheggi dei figli. Nei casi riportatimolti figli e figlie lamentavano che i genitori poco s’interessavano a quello che facevano nello sportpiuttosto che nel gruppo di amici. Una storia per tutte era quella di Samanta, per anni aveva frequentatogli Scouts, ma la madre, pur interessata alla figlia in modo eccessivo, non l’aveva lasciataesprimere sulle sue esperienze. Ai genitori bastava la sicurezza, l’ambiente era protetto e si sentivanoa posto perché non mancava nulla ai loro ragazzi, ma la condivisione nella quale i figli raccolgonostimoli, messaggi, e condizionamenti non può <strong>essere</strong> ignorata. Davvero decisivo il gruppo degli adolescentinella crescita dopo i quattordici anni. Non per mettere divieti e blocchi, quanto per avviare esostenere quel dialogo <strong>educati</strong>vo che consenta di formare e seguire i figli passo dopo passo in uncammino di crescita di tutta la famiglia. Occorre perdere l’ansia di alcune mamme come Alda o Vivianache volevano tutto sotto controllo mediante “interrogatori”. E’ necessario invece arrivare allaspontanea comunicazione dei figli nel rispetto delle loro scelte, ma anche nella necessità di aiutarli avisionarle insieme per il bene di tutti.11.6 Darsi una linea <strong>educati</strong>va tendente all’unitàNon si può dare per scontato che una famiglia abbia come sfondo <strong>educati</strong>vo permanente l’unità tra idue genitori. Sono molte purtroppo le situazioni come quella di Erminia, che tanto aveva sofferto per laseparazione dei genitori quando era ancora in giovane età. Nel tempo che avanza, sono oramai parecchiele coppie che vivono il distacco affettivo ed effettivo, con la conseguenza della conduzione <strong>educati</strong>vadei figli lasciata spesso o al padre o il più delle volte alla madre e con notevoli disagi per stabilire unalinea <strong>educati</strong>va comune.Conseguenza immediata è la perdita della sicurezza affettiva base per ulteriori scelte <strong>educati</strong>ve da svilupparenel mondo del bambino che cresce e desidera incontrare solide figure educanti, in grado di tessergliattorno una rete <strong>educati</strong>va. Non è un caso che fin da piccoli i bambini si alleano, come faceva Alice,con i nonni perché più concessivi e pronti a dire e dare il loro assenso per ogni richiesta. Entra il giocodella comodità e della deresponsabilizzazione del bambino che gioca e fa capricci, certo di averla vinta,invece di adattarsi alle regole che consentano una crescita. In primo piano viene così posta la linea <strong>educati</strong>vacon la possibilità di un percorso stabilito insieme a livello di coppia per uniformare gli interventi in


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>modo adatto a far loro percorrere un itinerario di crescita. Difficile dire come si attua la linea, ma è certamenteauspicabile l’unità e la tenuta del rapporto a due per esprimere con efficacia l’impegno <strong>educati</strong>vo.Ne conseguono cinque regole dettate dalle esperienze raccolte e dal desiderio di trasmettere untimbro <strong>educati</strong>vo frutto dell’intesa tra genitori che eviti sterili compromessi:a) Non si può abdicare al ruolo che è missione <strong>educati</strong>va del genitore. Può cessare il rapporto di coppiaper una separazione o anche per un divorzio. È vero, ma non deve e non può finire l’innata e continuamentegenerante volontà di <strong>educare</strong> i propri figli. Genitori si è tutta la vita e oltre la vita stessaper gli effetti che vanno ben oltre la scomparsa fisica delle persone. Sono i contenuti e le mediazioniche restano iscritte per sempre nella crescita di ogni persona, anche quando i propri genitori naturaliscompaiono e nel tempo che passa.b) Sarebbe fuorviante e assai negativa la linea del contraddirsi tra genitori nelle decisioni <strong>educati</strong>veverso i figli, e ancor peggio la critica che squalifica l’altro di fronte ai bambini stessi. Il fatto di non <strong>essere</strong>coerenti nel dare punti fermi, a volte mediante dinieghi piuttosto che assensi, porta inevitabilmenteverso la deriva della linea <strong>educati</strong>va con la conseguenza che alla fine il bambino che cresce,finisce con l’allearsi con la posizione più confacente, assunta spesso solo per la comodità o la scontrositàtra i genitori. Questa linea è perdente a lungo andare, come era il caso della famiglia di Samanta,dove la madre si era legata morbosamente a lei proprio per il fatto della mancanza di condivisionedel rapporto con il padre, lasciato solo sia dalla madre che dalla figlia. Non si può combattereuna battaglia tra coniugi utilizzando come “armi” i bambini, con effetti diseducanti e destabilizzanti.Spesso non è necessario arrivare alla separazione legale per vivere divisi.c) Stabilire una linea <strong>educati</strong>va esige confronto, dialogo, dedizione vissuta insieme per il bene dei figli.Entra qui quanto abbiamo descritto per Gino e Maria, il servizio alla vita che nasce, si sviluppa, cresce,va accompagnato con amore, passione e competenza. Non si può dare quello che non si possiede.Se mancano idee e progetti chiari è ben difficile <strong>educare</strong>, al massimo ci si accontenta di qualche“correzione”. Educare è impostare una linea fondata prima di tutto sul rispetto, l’interiorizzazione diregole e la volontà di far crescere il bene della persona. Su queste basi diviene preminente il dialogo<strong>educati</strong>vo e gli intereventi da concertare insieme e non solo tra padre e madre, ma anche coi nonni eparenti vicini alla famiglia. Quanto sono positivi e utili i fratelli maggiori, educatori collaboranti con lalinea stabilita non più dai soli genitori, ma dalla famiglia stessa!d) Mettere al primo posto il bene dei bambini su ogni altra preoccupazione. È quanto risultava difficilea tutte le coppie che abbiamo esaminato soprattutto per i numerosi impegni e le tante preoccupazioniche assillano la quotidianità. È proprio su questo banco di prova che occorre mediare, cercareun’intesa, metterci il meglio di se stessi per arrivare a dare un tempo disteso e senza affanni, per starecon i bambini specialmente quando da piccoli sentono il calore e la sicurezza della presenza deigenitori, prima come compagni di gioco e poi figure stabili e capaci di prendersi carico di tutto il lorovissuto. È in gioco la stessa maturità delle persone, la domanda di fondo: l’uomo e la donna che sisposano o che desiderano avere un figlio sono maturi per <strong>essere</strong> genitori? Sono disposti a lasciarequalcosa di sé per assumersi la responsabilità di <strong>essere</strong> a servizio di una nuova vita? Amare è offrirela sicurezza del dono pieno e completo di se stessi perché un altro cresca e possa dare il meglio di sé.Se l’<strong>essere</strong> genitore diviene una menomazione della propria libertà, un “peso eccessivo” da portare èperché non vi è ancora la presa di coscienza della grandezza e dell’importanza di questo meravigliosodono.e) Evitare il più possibile interventi istintivi e aggressivi. Se <strong>educare</strong> è l’arte di trasmettere gli insegnamentidella vita, il modo migliore per farli passare è portare ogni persona, anche quando si trattadel bambino, dalla fase del passivo subire alla fase dell’attivo agire. In mezzo vi sta la mediazione77


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>dell’educatore. Ora è facile dire con veemenza un’affermazione e poi manifestare il proprio disappuntocon eccessi d’ira o ansia. Ciò però non educa, al massimo ”spaventa”, e il giovane si difende,non si apre, non intreccia un dialogo <strong>educati</strong>vo. Calma, compostezza, pazienza e ponderazionenell’agire e nel parlare sono qualità indispensabili per trasmettere una linea <strong>educati</strong>va. Occorrel’autocorrezione unita alla verifica del metodo adottato. In ogni caso l’istintività: alzare il tono di voce,utilizzare la minaccia, castigare o usare mezzi troppo persuasivi, non deve diventare normalità. Avolte l’aggressione diviene la scorciatoia per non affrontare il dialogo.11.7 Accettare la persona, nonostante quello che non si vorrebbeCiascuna coppia di genitori ha un progetto, sia pure solo abbozzato, per i propri figli che sono normalmentedesiderati, voluti e accolti. Ora in questa stagione della vita non sono molti quelli che trovano larealizzazione perfetta dei propri “piani” spesso pensati da lungo tempo, ricordiamo la vicenda di Giovannie del figlio Donato.Accettare la persona esige la volontà di saper amare con intensità e disponibilità d’animo nonostante leviolazioni a norme e la mancanza di impegno che si aspetta.Accettare equivale a ringraziare per il dono unico e insostituibile ricevuto da Dio, accettato e portatoavanti con coraggio e determinazione.Accettare esige anche collaborare nonostante che i figli non corrispondano alle attese dei genitori. Nonera facile per Emilia, Salvatore e Agata accettare i loro figli piuttosto indipendenti e trasgressivi. Certonon seguivano gli insegnamenti da loro impartiti, ma accettare richiede di continuare a credere in loro ealle loro qualità che possiedono e potranno in seguito sviluppare.Accettare la persona porta all’impegno di saperne riconoscere i limiti. Prendiamo gli insuccessi scolasticidi Donato, lui era certamente stressato, ma anche limitato dal non riuscire a tenere il piede in duescarpe. Ebbene, solo quando i genitori hanno capito e si sono convinti della sua realtà, ha potuto riprendereil dialogo <strong>educati</strong>vo, evitando paure, semplificazioni e mistificazioni. La passione <strong>educati</strong>va è comel’arte della musica, un artista ha a disposizione solo sette note e magari una semplice chitarra, ma con ilgenio e la creatività ne fa scaturire infinite melodie. Così vale per l’arte di <strong>educare</strong> con infinite possibilitàdi intervenire per formare alla bellezza e consapevolezza del bene per la propria vita.Accettare la realtà del soggetto educante, è comporre le sue qualità nella determinazione genitoriale diseguirlo affinché impari a dare il meglio, credendo in lui. Ogni figlio è dono irripetibile, unico ed originaleaffidato ad una famiglia affinché ne sviluppi ogni potenzialità personale e sociale. Non bisogna aver timoredi assumere la realtà di ciascuno,metterla al centro per quello che è, e con l’amore e la passionefavorirne la crescita.Pensiamo nelle storie riportate, alla speranza e tenacia di Laura verso Manolo. Lottava contro tutti soprattuttocontro i genitori ostili a questa relazione, ma la ragazza convinta che l’amore e la volontà didare superano tutto, perseverava nel suo intento di aiutare il giovane a crescere, a mettersi in una condizionenuova di esistenza. Certo i risultati non sono spesso né brillanti, né immediati, ma la fedeltà allalinea <strong>educati</strong>va e la determinazione nel condurla avanti portano senza dubbio alla crescita della persona.Non si dimentichi che ogni individuo è buono, ha delle qualità positive, educarlo significa spesso crederecontinuamente in lui e sostenerlo nel proprio percorso individuale perché dia il meglio, lo faccia sempree sia lui stesso a crederci.Accettare la realtà è anche riuscire a perdere il senso di rabbia, disgusto e amarezza per quello chel’altra persona non è. Non si può intervenire mettendoci il meglio di se stessi se non quando una personaè accolta con la sua identità. Spesso il sentimento di rabbia o paura non permette una visione chiara78


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>e distinta, e distorce il reale. Ci basti constatare l’angoscia di Emilia per il figlio Gianni. È vero, era andatosenza lasciare traccia, ma è altrettanto vero che la madre vedeva tutto al negativo senza comprenderedella realtà la parte positiva, senza analizzare il fatto più importante: la motivazione che aveva condottoil figlio a una scelta così “fuori dagli schemi”. Educare esige comprendere il reale con la volontà di accettarloe per porsi nuove mete.11.8 Saper correggere col superamento di rabbie e ansieRiprendiamo il punto precedente aggiungendo il valore della correzione che può avere differenti sfaccettature,ne elenchiamo tre:a) Correzione quale impegno alla chiarezza e sincerità nel dialogare. Spesso si fa uso di eufemismi, diallegorie, di battute per non affrontare direttamente il problema di voler correggere il giovane perqualche suo comportamento sbagliato. Peggio ancora se non si è chiari, perché divisi tra genitori, eciascuno vede una parte, che l’altro critica. Correggere è prima di tutto capire realmente i fatti e parlaresenza mezze misure, ma anche senza fraintendimenti. Era quello che mancava ad Alda, parlavacon la ragazza, con il marito, ma era nell’ambiguo, nelle mezze verità. Meglio un richiamo magaritroppo severo, ma chiaro e conciso, che “tirare avanti” nella confusione senza una effettiva presa incarico dei comportamenti dell’educando e delle conseguenze dirette.b) Correggere implica la volontà decisa e ferma di intervenire sul soggetto, spesso il figlio che sbagliao commette qualche violazione. Intervenire ha senso e valore se avviene in modo puntuale, condivisodalla coppia e proporzionato all’errore e senza eccessi. In questa direzione punizioni eccessive,come si credeva di meritare Donato per aver perso l’anno, non hanno senso e nemmeno educano, almassimo frenano i comportamenti peggiori, ma non entrano nel profondo della persona. In tal casola correzione produce il suo effetto desiderato: penetrare nell’intimo, non fermarsi a una pura negazionedi qualche comportamento piacevole o qualche divertimento desiderato. Non basta questoper poter dire che una persona è corretta, significa invece andare oltre, giungere alla persuasione,alle decisioni e far comprendere le motivazioni contrarie a ciò che è avvenuto.Deve <strong>essere</strong> puntuale e precisa per abbracciare sia i fatti concreti sia le intenzioni che forse vengonomeno espresse, ma di fatto influiscono nella realtà di ogni soggetto. Correggere è la parte più esecutivae di immediata percezione del cammino <strong>educati</strong>vo. Non deve provocare rabbia o generare rancore,ma favorire un cambiamento e motivare per andare avanti consapevoli che ogni esperienza sefatta oggetto di verifica, è utile. Non si deve neanche prendere posizioni sterili di paventati castighicome nella storia di Viviana. Castigare è una scelta <strong>educati</strong>va non una “minaccia” che poi se viene“graziata” fa perdere credibilità.c) Correggere è in un certo senso l’arte di applicare la verità con carità e sensibilità. Troppo facile ergersigiudici degli altri quando si è certi che hanno sbagliato. La tentazione è di prendere una facile eistintiva via per imporsi e quasi schiacciare chi è più debole, magari perché ritenuto come un bambinoincapace di sostenere le proprie ragioni. In ogni caso il figlio è sempre in un cammino <strong>educati</strong>voanche se il genitore s’illude di stare dalla parte della verità solo perché adulto e più esperto nella vita.Qui sta la capacità di unire la verità delle parole con la mediazione semplice, spesso non verbale,per farsi capire e lasciare entrare davvero il rimprovero ma anche la fiducia e la spinta per andareavanti. Non basta una bella sgridata per dire di aver corretto qualcuno, così come non bisogna diveniretroppo dolci, fino quasi ad aver paura di “offendere”. Correzione è riuscire a comunicare con affetto,tenerezza, sensibilità umana dei contenuti anche spiacevoli a dirsi, ma dando la dimostrazionedi amare. Anzi un figlio proprio in quel momento è più amato perché si dimostra di credere in lui finoal punto da prenderlo sul serio e comprendere i suoi comportamenti per favorirne la crescita nel bene.79


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>Correggere è imitare il Maestro e Padre nostro, che prima del rimprovero ha insegnato ad usare la dolcezzadell’amore che perdona, per ristabilire la fiducia e donare nuove opportunità per dimostrare amoree fedeltà. Diretta conseguenza è il valore della pazienza e, come l’agricoltore attende la crescita delseme fino a quando diventa frutto, così l’educatore deve sapere aspettare il giusto tempo perché il figlioed il giovane sappia e voglia dare i risultati sperati e promessi. Forse non sarà in grado di raggiungerli,ma ci avrà provato lo stesso perchè qualcuno gli ha dato fiducia.11.9 Il senso religioso, l’educazione al valore del divinoEducare al rapporto con Dio costituisce un impegno e una risorsa straordinaria. Qui è il caso di dire chela fede si trasmette attraverso la credibilità del proprio vissuto. In quasi tutte le esperienze riportate eradiscontinua l’esperienza di fede. Credere nel bene e nella positività della vita è già l’inizio del camminoche porta a scoprire nelle vicende del mondo la presenza del Divino esistente in tutti noi. Educare significaprima di tutto richiamare al valore della presenza di Dio nell’animo di ciascuno. Non si tratta di unatrasmissione semplice e neppure scontata, anzi il senso del divino è misterioso. Credere è un rapportointimo e personale spesso difficile da descrivere, comprendere e trasmettere. Si può presentarlo secondotre dinamiche:a) Fede quale rapporto di fiducia nella Divinità e nella Provvidenza. Dio è Colui che guida ciascunoverso la meta dell’incontro definitivo con Lui dove non occorrerà far altro che affidarsi con fiducia totalealla sua Parola e alla sua Presenza. Ne deriva il senso dell’abbandono che ben si sviluppa nellafase <strong>educati</strong>va infantile quando il bambino si abbandona tra le braccia dei genitori, certo che lì trovaprotezione, aiuto e sostegno in ogni situazione. Questo atteggiamento seguito per tutta la vita, costituiscela base per l’incontro con Dio, per far riscoprire il valore di una paternità più allargata di quellanaturale e un amore così intenso che riesce ad abbracciare l’universo e divenire fonte di salvezza perl’umanità.80Potremmo dire dal padre terreno a quello celeste. Una volta che il bambino comprende la bellezza,dolcezza, affidabilità del proprio papà viene spontaneo pensare a Dio, “Babbo” di tutti, così vasto,che non si può contenere in una casa, così buono, che non si può descrivere, e così grande, che nonsi può nemmeno disegnare. Il senso dell’apertura al Divino fa comprendere che siamo inseritinell’Amore senza fine. Si tratta di una fiducia illimitata e va più che mai fatta evolvere per divenirefonte inesauribile di bene, aperta alla pace universale. Certamente alla base occorre la positività dellapropria famiglia, dove amore, pace ed unità formano il perno dell’unione tra le persone. Fede inDio equivale in questa direzione all’impegno per il bene e la bontà da sviluppare nella propria quotidianità.Cercare e far evolvere negli ambienti nei quali si vive. In questa linea <strong>educati</strong>va è assai preziosala conduzione del bambino all’interno della scuola piuttosto che del gruppo di amici. Credere inDio non è una semplice devozione da esternare nel culto d’immagini o riti, quanto da coniugare conl’impegno per vincere il male e costruire il bene. Superare con la carità e l’amore il proprio egoismoe la superba concezione del proprio io individualista. La paternità divina verso tutti permette di percepiregli altri, bambini in questo caso, non solo come amichetti e compagni di giochi, ma fratelliperché figli dello stesso Padre.b) Fede è cammino verso un Incontro che diviene modello di vita. A chi ci si deve ispirare? È difficiledirlo e spiegarlo al bambino in crescita, una cosa è però certa, ogni bambino ama le storie, l’aperturaverso un mondo fantastico, al di là delle proprie attese, il mondo dei sogni. Credere significa far percepirela meravigliosa storia d’amore tra Dio e l’umanità, il dono della Sua presenza tra noi, nel Figliodivenuto uomo per <strong>essere</strong> avvicinabile e alla stessa stregua di ciascuno, non un sogno ma unarealtà. Ne conseguono tutti i racconti contenuti nel libro Sacro della Bibbia quale rivelazione di Dioper gli uomini, così come il racconto della nascita di Gesù, la coreografia del presepe, piuttosto che ilsuo prezioso insegnamento tra le persone, i miracoli verso i malati, fino al dono della sua vita per


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>amore e la sua Risurrezione. La volontà di mediare la storia dell’Alleanza tra Dio e gli uomini diventaoccasione per dare alla fede fin da piccoli dei contenuti per renderla stabile e ispiratrice di comportamentivoluti da Dio e adatti a realizzarsi nell’Amore che Lui e solo Lui ci ha insegnato. La Divinitàviene così percepita in modo familiare, Dio non è Qualcuno “lontano” che giudica e da “premi e castighi”,è nostro fratello in Gesù, nostro Amico per accompagnare il cammino della vita. Diventa cosìfacile insegnare ai bambini quello che Dio ha fatto e sta facendo per tutti gli uomini.c) Fede offerta dalla propria testimonianza di vita. Chiediamoci chi deve insegnare a credere ai proprifigli? Un tempo la risposta sarebbe stata scontata: la madre, o in generale la donna, in quanto piùportata e disponibile a dare spiegazioni e buon esempio. Non è un caso che le preghiere ai bambininormalmente sono sempre state insegnate dalla nonna piuttosto che dalla mamma. Ora si suggerisceche tale insegnamento venga trasmesso insieme dal padre e dalla madre. Chissà perché oggi alcuniquasi si “vergognano” di pregare in casa o semplicemente di tracciare il segno di croce. Perchénon c’è lo stesso atteggiamento di vergogna quando si litiga di fronte ai figli o si dicono parole sconvenientiche è bene non sentano? Così valga per il papà stesso, sarebbe ottimo segno se fosse disponibilea fornire spiegazioni ai figli che crescono, rispondendo alle domande a livello di fede. Questoperché? Semplicemente per dare credibilità a una coppia che dona, coinvolge il bambino, il ragazzoe il giovane nella fede, altrimenti rischia di mostrare bigottismo o puro formalismo. Significa unaqualità di vita e di apertura a Dio capace di contagiare positivamente. Dall’apprezzamento per i genitori:i figli sono spinti a credere, voler vivere la bellezza e la gioia interiore di una fede convinta e ingrado di elevare la qualità di vita con la scelta della bontà e della disponibilità. Inutile raccomandaredi recitare le preghiere se poi in casa e nelle scelte quotidiane non ci s’ispira ai valori cristiani quali ilperdono, il servizio generoso agli altri, la pazienza nell’ascolto, la tenerezza e la gentilezza nel sapersiaccogliere e accettare. Così come poco resta della fede se ci si riduce all’obbligatorietà di parteciparealle funzioni in chiesa senza comprenderne il valore e senza una riflessione affinché quanto si ascoltae si celebra sia interiorizzato. Il percorso non riguarda solo i figli, ma l’intera famiglia che si lascia asua volta <strong>educare</strong> dalla potente azione dello Spirito divino che vive ed agisce nell’animo di ciascuno.Educazione alla fede non va quindi misurata sul semplice dire ai figli “va a Messa piuttosto che in Parrocchia”,è la capacità di immettere il divino nella propria esistenza e comprendere che oltre alla volontàumana, alle scelte dettate dai fini immediati di interesse personale, esiste la volontà divina per scelteispirate alla carità, consequenziali alla fede e spinte dalla volontà di imitare il Maestro che ha lasciato unmodello di vita per ogni credente di ogni epoca.11.10 Pedagogia della testimonianza: la propria credibilitàI genitori che abbiamo descritto vivevano in un dubbio, o meglio in una situazione generalizzata: qualemessaggio abbiamo o stiamo trasmettendo ai nostri figli?Si tratta di un messaggio credibile, siamo portatori solo di idee, princìpi, belle affermazioni o davveroriusciamo a testimoniare con la condotta di vita quello che ciascun figlio dovrebbe apprendere e metterein pratica? Si dà il valore della credibilità al proprio agire solo attraverso fatti concreti. Siamo nella verificache andrebbe condotta in coppia sul dire, agire, proclamare, realizzare e soprattutto sul sapersiguardare dentro, insieme e di fronte ai figli. È l’autentico cammino di crescita nell’<strong>educare</strong>, educandosi,per poter <strong>essere</strong> tutti insieme <strong>educati</strong> alla vita. Su questo importante principio si possono suggerire tresemplici regole basate sull’esperienza:a) La testimonianza nella fedeltà ai doveri. Spesso con i bambini s’insiste su tanti doveri da mettere inpratica per l’ordine, la pulizia, il portamento, la gestualità, le parole, il gioco nella lealtà e rispetto,trattar bene ogni oggetto di casa, prendere seriamente la scuola e i compiti, e via dicendo. E’ vero ildovere diviene la forma tipica con la quale si educa, si trasmettono i valori mediante regole e norme81


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>che debbono venire aggiornate e fatte applicare. Sì va bene, ma i grandi sono fedeli ai propri doveri?Prendiamone due: la presenza in casa e la coerenza con la parola data. Sulla presenza vi sono faciliimpegni a volte inderogabili e a volte molto pesanti, come il lavoro, le responsabilità sociali e altro,ma il bambino è il primo ad accorgersi se qualcuno dei genitori sta fuori perché deve o perché vuoleevadere dalla vita casalinga.Il senso della famiglia si trasmette con la gioia e la passione di stare in casa per dare credibilità allafamiglia, ambito principale sul quale ruota ogni altra attività. Si deve dare credibilità alla propria u-nione familiare. Così valga per la parola data, spesso i genitori promettono per tenere buoni i figli,ma poi mantengono? Siamo di fronte al valore dell’affidabilità, altrimenti lo stesso bambino comepotrà fidarsi e assumere ogni impegno con puntualità e precisione? C’è spesso divisione tra prometteree mantenere. Basti ricordare che delle illusioni i più piccoli si ricordano in modo preciso e dettagliatoal punto che possono rivendicare quando vogliono all’adulto sbadato le proprie mancanze.b) Testimoniare la volontà di chiarire ogni dubbio in un dialogo realizzato, oltre che con le parole, conla mediazione del non verbale da curare in ogni minima attenzione. Davvero è la più importantescuola nella quale i figli imparano a vivere e non ci dovrebbe <strong>essere</strong> necessità di aggiungere tante parole.Pensiamo a Salvatore ed Agata, alla qualità del loro rapporto nella conduzione della figlia, assaisensibile e bisognosa di sentirsi amata e trovare un esempio e un modello di vita nei propri genitori.Non si può recitare la parte del marito e della moglie che si amano, quando non lo si dimostra oquando la comunicazione si è ridotta solo alle cose indispensabili per far funzionare la casa. La volontàdi confronto deve <strong>essere</strong> rinnovata ogni giorno nella comune intesa a cercare il bene di ciascunoe in generale della famiglia, senza far venire meno la stabilità e l’unità dei genitori.Come potrebbero dei figli, dopo aver assistito a litigi, offese e freddezze tra loro, aver voglia e desideriodi riprendere quel tipo di rapporto come esemplare per la loro futura e successiva vita familiare?La credibilità è messa a dura prova specialmente se in famiglia entra il tarlo della superficialità el’indifferenza per l’altro. Ripensiamo alla relazione tra Giovanni e Sabrina, ciascuno aveva i suoi interessie poco se non quasi mai si parlava con il cuore aperto di se stessi, delle proprie sensazioni, deipropri desideri futuri. Così Donato aveva iniziato a sua volta a non parlare di sé, a tirare avanti addiritturacon la mistificazione e la falsità per salvare una faccia di un perbenismo lontano dalla realtàche si deve affrontare a viso aperto.c) Testimoniare la credibilità degli insegnamenti mettendoli in pratica ad iniziare dalle scelte familiari.È troppo facile affermare che la famiglia è un valore e che bisogna voler bene a tutti i parenti, a-mici, vicini e poi chiudere la porta di casa e aprire alle “chiacchierate” da non riportare, sugli altri percriticare i loro limiti, difetti, errori soprattutto se sopportati con i parenti dell’altro coniuge. Anchequesto produce un effetto devastante sui figli che imparano la brutta arte della critica e della bella“faccia diplomatica”. Troppo comodo e troppo semplicistico, non si tratta di non mandare fuori messaggigià decodificati, quanto di lasciare un altro messaggio: la mancanza di rispetto e di valorizzazionedelle persone che ruotano attorno all’ambiente familiare e con le quali è bene collaborare perla crescita di tutti. Questo vale anche per i figli con i loro compagni, per evitare che si arrabbino, dicanobugie o cattiverie verso di loro.È giusta la correzione, ma anche la necessità di scoprire nel mondo degli adulti la volontà di capirsi,di <strong>essere</strong> in relazione per cercare insieme ciò che unisce, ed evitare liti interessate, spesso per ereditào confini, con parenti e amici. I figli magari non capiscono i contenuti, ma i contenitori sì, perchéavvertono tensione, rabbia, delusione, freddezza e quel che peggio scontrosità. Come poi si potrannocorreggere quando a loro volta mancheranno nei rapporti con gli altri? Si tratta qui di sapersi controllaree mediare con più attenzione soprattutto nei riguardi dei più piccoli.82


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>Ma credibilità è anche la capacità di esser positivi in ogni comportamento perché il messaggio sia la volontàdi bene col desiderio di insegnare ai figli anche quello che non si è riusciti a fare per se stessi, ossiasviluppare in modo armonico e completo le proprie qualità.11.11 Rendere libera la persona: guidare ogni scelta, dare ogni mezzoIl principio della libertà prende consistenza sul principio di lasciare libero il figlio, la persona che si educadi operare scelte e decisioni in modo autonomo senza <strong>essere</strong> condizionato dai genitori e dalle loro attesespesso oltre la sua giusta autonomia. Se pensiamo a Susanna o Laura, certamente desideravano il benedei genitori, non volevano che stessero preoccupati, ma non potevano scegliere la persona con cuistare solo per assecondarli. Siamo nella direzione che tende alla responsabilizzazione dei giovani. Certamentelibertà non deve significare lasciar fare quello che si vuole senza tener conto delle attese e deiconsigli a cui ci si deve ispirare, ma lasciare al massimo la libertà d’azione e decisione. I genitori sono ilpunto di riferimento per un confronto, per una continua ripresa delle proprie decisioni che in ogni casovanno rispettate e favorite nella loro manifestazione.Ma come fare per rendere libera una persona di decidere?a) Fornire il mezzo più importante, la capacità di ragionare, di formarsi delle idee e convinzioni nelmassimo del rispetto degli elementi che un giovane può acquisire. Anzi è bello che i genitori abituinoa pensare, riflettere insieme, avere una certa logica di ragionamento affinché, quando una personaagisce, sappia bene che cosa sta facendo, come lo sta vivendo e dove vuole arrivare. È la linea dellavolontà di crescere, imparando a vivere le esperienze vissute e basilari, per favorire la riflessionesu se stessi e sulle proprie esperienze. Come sarebbe stato bello e salutare favorire in Laura da partedi Gianna e del marito, la comprensione del suo rapporto con Manolo! Magari è vero non era il ragazzo“giusto”, ma era lei a doverci arrivare. Laura andava messa in grado, facendo tesoro delle e-sperienze acquisite e della sua generosa dedizione, di giungere a quelle conclusioni che magari i genitoriavevano anticipato. Solo lei è protagonista della propria storia. Favorire la crescita significamettere in grado i figli, di riflettere sul vissuto, nel massimo rispetto e con tanta passione <strong>educati</strong>va.Non è negativo sentire qualche genitore che dichiara che i figli “vogliono fare di testa loro”, anche acosto di sbagliare. Si deve però comprendere il segnale: ora hanno acquisito la capacità di ragionare,di mettersi in discussione, di agire, di assumere responsabilità e impegni in modo diretto e confacentealla loro età. Non convinceva la ricerca affannosa di Samanta nei confronti della madre perché insicurae bisognosa di conferme e suggerimenti per ogni sua decisione. Doveva ancora solidificare ilsenso di responsabilità e di sicurezza di se stessa.b) Sarebbe fuorviante subordinare ogni aiuto al fatto che un giovane agisca e pensi come gli viene quasi“imposto”. Più che educazione si dovrebbe intendere vessazione, una sorta di “ricatto” affinchéuno riceva solo se sceglie e agisce in un certo modo. L’amore che si trasmette nell’<strong>educare</strong>, conducea un rapporto distaccato dalla pretesa dei risultati. Il genitore ama e dona perché crede nel figlio oltreogni scelta che possa operare. Qui si devono perdere quelle attese che sono solo frutto di propridisagi e desideri irrealizzati. Sarebbe assai sbagliato ad esempio per un genitore, con una posizionesocio-economica elevata, quale un grosso imprenditore piuttosto che un abile professionista, dire alfiglio, che avendo lavoro e posizione garantita, dovrebbe solo imitare le gesta paterne. Certamentesi, ma solo se il giovane lo desidera, lo vuole per davvero e si appassiona, altrimenti deve avere la libertàdi prendere altre decisioni, che non solo vanno rispettate, ma sostenute. Era il caso soprattuttodi Donato così come quello di Samanta, che i genitori o la madre volevano aiutare e favorire, maal di sopra della scelta libera dei giovani. Mettere in condizioni di scegliere e fornire i mezzi adatti aoperare tale scelta per un’autentica realizzazione è la linea <strong>educati</strong>va capace di farsi <strong>educare</strong> dallestesse esigenze dei figli. Ne deriva il concetto, oggi diffuso di coeducazione, tutti si educano insiemenella condivisione reciproca.83


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>c) Libertà come superamento delle rivendicazioni per eventuali errori, sbagli e delusioni procurate. Éinutile insistere ricordando gli errori commessi ad un giovane che abbia mancato. É la scelta dellasuperiorità piuttosto che dell’accompagnamento. É facile dire continuamente al figlio dove ha mancato.Siamo nella linea della coppia di Salvatore e Agata nei confronti di Paolo e Patrizia. Tropposemplicistico continuare a ricordar loro i doveri e rimproverarli per gli sbagli, magari attuando formedi pressione psicologica o facendo venire sensi di colpa per presunte gravi mancanze. Non è il modoper <strong>educare</strong> alla libertà di scelta nel rispetto anche del diritto di sbagliare. Non è assolutamente necessariala rivendicazione e riedizione del proprio errore, utilizzato come arma per bloccare ogni altramanifestazione. Certo riprendendo Susanna qualcosa si poteva dire sulle sue scelte di “maschilismo”femminile, magari nel tempo avrebbe anche accettato di dialogarne, ma non bloccandola conrimproveri dettati più dalla paura materna che dalla reale gravità dei fatti. Ribadiamo l’importanza disaper leggere la realtà nella sua vera e precisa manifestazione distaccandola da ogni interpretazionespesso frutto degli stati d’animo con i quali ci si accosta e non in grado di distinguere il bene dellapersona dalle proprie insicurezze e paure.Ma qual è a questo punto il vero bene? La piena responsabilizzazione dei figli che crescono e devono<strong>essere</strong> seguiti per comprendere la realtà e le situazioni della vita. Mai una persona in formazione, specialmentese bambino va posta nella condizione di “difendersi” dai genitori. Semmai occorre confrontarsicon loro invogliandoli a esternare le proprie ragioni dimostrando di <strong>essere</strong> pronti ad ascolto, partecipazione,condivisione o discussione, in un clima di totale rispetto e incoraggiamento. Troppo bella la vitaper rischiare di farsi bloccare dalla paura di non saper scegliere…11.12 A proposito di educazione moraleOggi è diffusa la delusione di parecchi genitori verso le scelte di morale personale e familiare dei proprifigli. Come non sentire discorsi dove viene chiaramente affermato:a mio figlio o mia figlia ho insegnato il rispetto del proprio corpo e di quello degli altri, come maivive da dissoluto e non ha un ordine nelle sue scelte affettive? Non solo ma pur di divertirsi spendesomme enormi e quel che peggio mette a rischio la propria salute ed anche l’incolumità deglialtri? Così come io o mio marito viviamo il matrimonio da decenni, gli abbiamo insegnato il valoredella fedeltà al vincolo matrimoniale. Nostro figlio però si è separato, vive con un’altra personasenza sposarsi, non crede anzi critica le nostre scelte familiari. Ed ancora mai abbiamo detto otrasmesso ai figli la stortura e la gravità dell’infedeltà. Anzi abbiamo insegnato il valoredell’onestà morale e della chiarezza nei rapporti di coppia. Come mai si è dimostrato infedele, erasposato e si era fatto una compagna con la quale è andato avanti per anni fino a quando non hapiù potuto tenere nascosta la scelta. Che cosa gli è preso, non ha mai detto che intendeva viverein questo modo, dove abbiamo mancato?Discorsi come quelli riportati sono all’ordine del giorno e feriscono causando sofferenza in molte famiglieadulte di fronte a scelte non condivise dei loro figli. Siamo di fronte al fenomeno che sempre più diallarga di figli nati fuori dal matrimonio e di unioni di fatto che diventano famiglie alla stessa stregua diquelle sposate. Spesso sono seconde o terze unioni a volte dopo la separazione dal primo matrimonio.Che cosa si può fare, come <strong>educare</strong> al valore del matrimonio nella sua unicità, fedeltà ed indissolubilità?E in generale al dono del proprio corpo piuttosto che al consumo del piacere.Argomento molto vasto e complesso ci limitiamo a tre suggerimenti raccolti da esperienze nel costumeche rapidamente evolve:a) <strong>educare</strong> alla positività dell’amore, non si tratta di formulare grandi discorsi di carattere filosoficopiuttosto che teologico. No, ad amare si impara per contagio. Rimane davvero iscritto nell’interioritàdi ciascuna persona l’esperienza affettiva ricevuta dai propri genitori. Come sarebbe bello poter dire:84


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>quanto si sono amati, quanta sensibilità, tenerezza e volontà di venirsi incontro reciprocamentehanno dimostrato! E’ la miglior scuola dalla quale si apprende l’arte di amarsi. Anzi potremmo aggiungereche la generazione di un figlio è il culmine dell’amore di coppia, la sua proiezione nellasperanza di un futuro nel quale voler donare al figlio stesso la consegna del proprio amore della continuitàdi esso nel tempo che passa inesorabilmente. Ciascuno di noi porta iscritto nel proprio animol’amore ricevuto come segno incancellabile di un dono meraviglioso, unico e forgiante la propriapersonalità.La conseguenza di questo principio consiste proprio nella cura della propria dinamica relazionale,con la volontà mai spenta di amarsi corpo ed anima e lasciare il messaggio della sicurezza d’<strong>essere</strong>amato al figlio che nasce e cresce.b) mettersi in relazione con la società che evolve, è la diretta conseguenza dell’amore di coppia. Ci siama e si vive in un contesto sociale sempre in evoluzione nel quale la gioia di <strong>essere</strong> coppia si coniugacon la necessità di formare una famiglia stabile e sicura in sintonia con il proprio tempo. E’ assaiimportante curare i rapporti con tutte le agenzie <strong>educati</strong>ve che dovrebbero collaborareall’educazione dei figli in modo attivo e partecipe. Non dimentichiamo nel testo l’attenzione all’Asilonido ed alla Scuola materna di Gino e Maria, giustamente preoccupati delle insegnanti che seguivanoi loro figli. Così valga per altri ambiti quali lo sport, il tempo libero vissuto spesso nel parco piuttostoche in spiaggia o altrove e la formazione religiosa propria di parrocchie ed oratori. Lì occorre attivarsia creare una rete di collegamento per una presa in carico del bambino che si evolve e diviene adolescente,giovane e poi adulto.Non può credersi la sola famiglia unica depositaria di ogni insegnamento etico soprattutto in questionidi morale personale e familiare. Si pensi solamente a quanto i bambini imparano a contattocon i loro coetanei fin nell’ingresso alla Scuola materna: parole prima mai pronunciate e spesso volgari,battute anche pesanti già riguardanti la sessualità senza ovviamente capirne la portata e atteggiamentiprovocatori. Che significa questo? Semplice l’enorme influenza esercitata dal gruppo, dagliamici, ed in generale dall’ambiente sull’educazione familiare. Non si può non tenerne conto o minimizzarnel’impatto. Così valga per l’età che si evolve poi nelle scuole elementari, medie e superiori.Assai determinante resta l’influsso sui ragazzi che necessitano di trovare in famiglia dialogo, ascolto,competente riflessione sul loro vissuto. Troppo spesso c’è da parte dei genitori un pigro “tirare a-vanti”, senza documentarsi e comprendere pienamente il costume e la mentalità in cambiamentoproprio a partire dall’ambiente scolastico dei propri figli. Non si può delegare o peggio dimenticare.Sottovalutare tutto questo non è certamente adatto ad un progetto <strong>educati</strong>vo che cerchi il bene integraledel proprio figlio. In ogni caso mai demonizzare o diventare coscienza critica di ogni evento,quanto int<strong>essere</strong> con il figlio che cresce una sorte di dialogo <strong>educati</strong>vo aperto e intelligente perchési operi il discernimento, la scoperta progressiva di ciò che è buono e utile e quanto invece è dannosoe va allontanato nel cammino di crescita <strong>educati</strong>va.c) rendersi conto del bisogno di amare ed <strong>essere</strong> amati. E’ normale che in ogni età della vita questavitale necessità venga realizzata ed giustamente con ogni mezzo. Qui si tratta di saper condurre <strong>educati</strong>vamenteil delicato passaggio dalla pubertà all’adolescenza e da questa alla prima giovinezza.Quante idee sono in evoluzione nel proprio figlio che cresce? Quante volte succede di notare che ilbambino una volta ricevuta la Prima Comunione, piuttosto che la Confermazione abbia come unacrisi di fede ed addirittura i valori morali che prima riteneva importanti vengano tralasciati dalle propriescelte.Influenza del gruppo di amici piuttosto che impatto assai intenso dei media? Sì, senza dubbio, ma85


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>anche normale evoluzione della persona. Ovviamente la famiglia di origine non basta più, è necessariocercare altre amicizie, contatti e rapporti vari magari anche attraverso l’ausilio dei moderni socialnetwork; e la famiglia che fa, i genitori stanno a guardare? No senz’altro ancora il figlio che cresce habisogno del confronto con loro, è solo cambiata la dinamica del rapporto, ma il bisogno d’<strong>essere</strong> a-mato, guidato, accompagnato e corretto esiste. Certo non è immediatamente percepibile, ma è realee consistente al punto che quando si trovano delusi da incontri e rapporti affettivi naufragati, c’è ilriflusso nella famiglia.Qui occorre saper condurre il figlio verso una meta: la propria identità con la conoscenza di se stessoche solo i genitori e nessun altro possono davvero realizzare. Chi possiede una miriade di dati sul figlioper favorire la piena conoscenza nella volontà di crescere e scegliere per il proprio bene? Solo i genitori,e chi meglio di loro possono richiamarlo a comportamenti e scelte in linea con il progetto <strong>educati</strong>vo trasmessoe testimoniato dalla propria condotta di vita? Non bisogna dimenticare questa realtà unica e incisivanel processo <strong>educati</strong>vo. Certo il giovane resta libero di operare scelte in discordanza conl’insegnamento familiare ricevuto o farsi influenzare dagli altri.La famiglia e in specie i genitori sono in ogni caso il suo punto di riferimento etico, sono parte integrantedella propria personalità e come tali sono entrati nella sua vita. Ciò non va dimenticato ne è prova avolte la stessa rabbia con la quale il figlio rinfaccia una certa linea <strong>educati</strong>va ricevuta che non condivide,con la quale senza dubbio deve ancora lottare interiormente. Segnale evidente dell’immenso lavoro e-ducativo che una famiglia ha lasciato nel giovane figlio. Potrà inventarsi altre storie, cercare altre personeda amare ed <strong>essere</strong> amato, ma i propri genitori e familiari formano la base esistenziale ed etica dellapropria personalità ispirandone decisioni, progetti e scelte successive. Occorre <strong>essere</strong> convinti di tuttoquesto e continuare a credere nell’<strong>educare</strong>, educandosi insieme per trasmettere contenuti etici chepermettano di <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>. Maestri nell’estrarre semi di bontà per la propria personale realizzazionesenza venir meno alla chiamata di amare, <strong>essere</strong> amati e saper trasmettere amore con le proprie sceltea volte sofferte, ma in ogni caso miranti alla crescita.11.13 Raccomandazione finaleNon si deve dimenticare l’educazione ricevuta dalla propria famiglia d’origine, questa indicazione è giustoriprenderla come stile ed impegno a saper far tesoro nel bene e nel male delle proprie esperienze.Non è escluso che coppie come Salvatore e Agata o Giovanni e Sabrina o Gianna e marito avessero ricevutoun’impronta <strong>educati</strong>va assai differente da quella cui erano chiamati nei confronti dei loro figli matutti si dimostravano in difficoltà. Inoltre Viviana era restata sola e avvertiva la propria inadeguatezza.Ciascuno porta con sé il retaggio dell’educazione ricevuta e deve a sua volta impegnarsi affinché tale e-redità venga ripresa e messa a confronto col tempo che cambia e con gli influssi sociali condizionanti lamentalità attuale.Che dire? Semplicemente che è necessario dialogare prima di tutto con se stessi e in seguito in coppiaper svolgere il delicato lavoro di discernimento, di comprensione tra i valori immutabili e riproponibili, dimediazioni culturali, storiche e tradizionali per superarle in nome della ritrovata armonia familiare enell’indispensabile dialogo <strong>educati</strong>vo con i figli.Prendiamo solo un’esperienza: Laura si era messa insieme a Manolo, che non era il ragazzo per lei, sicuramentetempi indietro i genitori avrebbero posto molti ostacoli, e via dicendo. L’aiuto <strong>educati</strong>vo veronon è però questione di dibattiti su norme e convenzioni sociali, ma l’accompagnamento da offrire allagiovane. In una fase delicata, la qualità di un rapporto vero, profondo e unico che proviene dalla propriafamiglia. Solo i genitori sono coloro che fanno di tutto per venire incontro e capire. La qualità di questorapporto unico, risulta vincente su ogni altro rapporto umano. Si tratta di una qualità differente, più e-sclusiva rispetto ad altre, e fa si che ogni figlio, comprenda il valore unico e insuperabile di genitori in86


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>grado di <strong>educare</strong> perché capaci di <strong>educarsi</strong> a loro volta imparando dagli stessi figli.Educarsi comporta camminare insieme alla ricerca della verità da capire, scoprire e servire nella consapevolezzadi cercare il Bene. Non sono princìpi da dettare e far applicare come fossero “ordini” dall’alto,ma la qualità di un rapporto di stima, affetto, partecipazione e sostegno ritrovabile solo in famiglia. Questopatrimonio <strong>educati</strong>vo non si può “svendere” o barattare con altri. Deve <strong>essere</strong> la vittoria dell’arte di<strong>educare</strong> con amore, per amore e per insegnare ad amare la vita, nella scoperta della propria identità enel coraggio di andare avanti credendoci sempre. Ed allora ciascuno sia… artista.87


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>12 TestimonianzeVorremmo corredare il testo con alcune testimonianze raccolte dal vissuto di genitori e nonni. La delicatae meravigliosa arte di <strong>educare</strong> si esprime nel condividere esperienze di vita e di dedizione agli altri,mossi principalmente dal desiderio di donare se stessi mettendoci impegno e passione per portare altrialla gioia di crescere nella bontà che diviene principio di amore e sorgente di pace.12.1 Nonna Lea come GesùÈ la prima testimone, un’anziana signora che ancora scrive poesie e racconti, spinta dal desiderio di comunicarepreziose esperienze della sua vita e della sua riflessione sul valore della famiglia per la volontàdi solidificarla e trasmetterla a figli, nipoti e pronipoti.A poco più di quarant'anni sono diventata nonna. Questo ha comportato di dovermi occupare di bambinidi ogni età e l'ho sempre fatto con grande disponibilità e con smisurato affetto. Mia madre mi raccontavache, fin da piccola amavo stare con quelli più piccini di me e mi piaceva insegnare loro a parlare e acompitare e il mio desidero era sempre stato quello di fare la "Maestra giardiniera" come si chiamavanoallora le insegnanti di scuola materna. La scuola che avevo iniziato allo scopo di conseguire questo diploma,non ebbi modo di portarla a termine perché prima dell'esame e del tirocinio mi sposai.Di figli ne ho avuti quattro che ho sempre seguiti durante i compiti seguitando a imparare anch'io insiemea loro. I figli poi sono cresciuti e, a tempo giusto, si sono formati le loro famiglie. Io continuavo ascrivere favole e racconti per bambini perché non fu mai vanificato quanto avevo prima appreso di pedagogiae di puericultura e, di questo, figli e nipoti se ne sono avvantaggiati. Amavo più di tutto narrarealle giovani anime favolette morali che lasciano motivi per meditare sui valori sacri dell'esistenza. Ricordocon dolcezza le riunioni di festività familiari quando io mi estraniavo con accanto i miei piccoli nipotiper tenerli buoni mentre i loro genitori conversavano o si intrattenevano giocando alle carte o alla tombola.Erano otto i miei nipotini che mi si mettevano attorno in circolo nel grande salotto della casa dei mieigenitori (loro bisnonni), allorché per le festività ci si radunava e, mai sazi dei miei racconti, restavano rapitiad ascoltarmi. Sono stati quelli, sempre, i miei momenti di felicità perché mi permettevano di sentirmicome Gesù quando richiamava i bambini accanto a sé e ognuno reclamava il suo racconto preferito.Su questa base, poi si passava al gioco che consisteva nel tirare a sorte un titolo inventato, sul qualepoi, si costruiva una favola nuova e inedita e, a turno, ognuno di loro era accontentato nel sentire la suastoria preferita sentendosi pure gratificato.Erano storie di animali e di fate, ma anche di varia umanità che insegnavano principi umanitari che ancoraoggi narrano ai loro figli. Se io davo loro briciole di sapere, essi senza saperlo, mi davano la gioia di assaporarela purezza dei loro occhi ingenui e sinceri. Ancora oggi quella generazione che è divenuta adultae responsabile di famiglie proprie, mi da la soddisfazione di aver saputo inculcare nelle giovani mentiquei valori che spesso tanta gente ha dimenticato e che, forse, con le mie favole hanno fatto presa neiloro teneri cuoricini.12.2 Il cammino <strong>educati</strong>vo di Antonio e CamillaOgni testimonianza è un dono, anzi uno squarcio di luce nel complesso universo <strong>educati</strong>vo che attraversal’esistenza di ogni persona. Questi amici hanno scelto di condividere il loro vissuto in modo sempliceed essenziale. Non sono che due genitori appassionati dei valori <strong>educati</strong>vi, hanno cercato di trasmetterlinella semplicità del loro vissuto e con tanto impegno. Nella loro vicenda possono rispecchiarsi molti altrigenitori ritrovando sempre smalto, energia e motivazione per saper <strong>educare</strong> in ogni istante del camminodella vita, non solo quando i figli sono in tenera età. Educatori lo si è in ogni stagione perché <strong>educare</strong> èl’arte di amare trasmettendo preziosi insegnamenti capaci di incidere nella mentalità e nelle scelte di88


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>quanti ricevono il dono dell’educazione.Parliamo ora dell’esperienza di Camilla e Antonio. Con l’arrivo di Andrea è cominciato il cammino <strong>educati</strong>vo.Un percorso difficile in quanto questo figlio è nato dopo una precedente gravidanza non portata atermine, ma nonostante tutto, non ci si è fatti condizionare da questa triste circostanza. Per procederesu questo cammino si sono mixate le proprie esperienze personali considerando quelle di Camilla, cresciutacon quattro fratelli, quindi più esposta a possibili condizionamenti caratteriali, con quella di Antonio,figlio unico.Il cammino intrapreso per l’educazione di Andrea è sempre stato basato sulla volontà di far crescere nostrofiglio basandosi su concetti reali e dimostrabili, mettendoci sempre come esempio, mai parlando disani principi lontani dal nostro vivere quotidiano. Abbiamo educato anche grazie a un esempio concreto:avevamo un vicino di casa agli arresti domiciliari, Nonostante l’agiatezza della sua vita è stato abbastanzadifficile far capire ad Andrea che la sua mancanza di occupazione, il suo linguaggio e quanto da luicommesso erano il frutto di una mancata corretta educazione.In questo frangente, come in altri, è stato di primaria utilità l’unità della linea educatrice di Antonio eCamilla perché solo con la sintonia si riescono a raggiungere gli obiettivi prestabiliti, non discriminandola persona “con problemi” da quelle degli altri con una vita più normale e educata con sani principi morali.Purtroppo tra le difficoltà riscontrate rientra anche la debolezza che ogni <strong>essere</strong> vivente attraversa, soprattuttoin periodi di stanchezza, rabbia o ansia, dove tende a prevalere l’imposizione, con urla o peggioancora con schiaffi, che causano un inevitabile distacco. Solo il dialogo calmo, propositivo e mai dispregiativoo punitivo, riesce produrre un cammino di crescita personale, nella consapevolezza che tutticommettono errori spesso facilmente rimediabili.Un ruolo importante spetta alla religione. Con la preparazione alla prima Comunione e alla Cresima, igenitori possono avere un valido aiuto dal Sacerdote che prepara i giovani ad affrontare passi importantidella vita e lascia un segno indelebile nella vita di ognuno. In conclusione, nonostante i giovani abbiamocome modello di vita la mancanza di regole, bisogna sempre dare fiducia ai propri figli, spiegare loroche quando una persona vive nel giusto, riesce a riprendersi dagli incidenti di percorso e camminando atesta alta conquista la giusta armonia di sé stesso con gli altri.12.3 Superare se stessi nella sfida <strong>educati</strong>va: la bellezza di dare amoreAssai interessante è l’esperienza testimoniata dalla famiglia Bossi con i loro problemi, difficoltà e imprevisti.La loro vicenda, raccontata con sincerità e fiducia nella vita, costituisce per tutti l’invito a guardarsidentro. Ognuno di noi è portatore dell’insegnamento ricevuto dalla famiglia d’origine sia nel bene comenel male. È sterile e non edificante colpevolizzare i genitori o il contesto familiare, per gravi mancanze<strong>educati</strong>ve. I due coniugi hanno creduto nella vita, nella possibilità di costituire una nuova famiglia immettendotanta carica, nutrita dalla saldezza del loro amore coniugale.Ne è derivata questa splendida testimonianza, sicuramente coraggiosa e volitiva. La volontà di credere eagire nel bene nonostante la mancanza di esso derivante dalla propria educazione infantile. Non rassegnarsimai alla sconfitta della propria esistenza. Aver fede nel valore della vita comporta la decisione diamare credendo nell’amore, con il desiderio di trasmettere questa carica soprattutto ai figli, al di là diquanto una persona possa aver ricevuto dai propri genitori naturali. Si supera se stessi nel donarsi,quando si crede che questo permetta la realizzazione piena della propria umanità. Dilatare le propriecapacità relazionali e mettersi a servizio dei propri figli, considerati una vera “scuola”, permette di riprenderedi vivere e solidificare la famiglia con gioia e passione. La loro testimonianza la potremmochiamare un inno alla dignità della persona e una vittoria del donarsi oltre ogni egoismo. Non si pensi89


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>che Carlo e Penelope siano delle persone super dotate, sono semplicemente molto motivate ed essendocoppia molto unita, sanno affrontare le scadenze della vita unitariamente completandosi a vicenda.Vorremmo che molti genitori leggendo questa testimonianza riflettessero sui tanti doni che hanno a disposizioneper non sprecare con le proprie mani e la propria scontentezza quanto a ciascuno è donatodall’Infinito Amore che tutti guida. Amare è sempre una scelta che ripaga, anzi rigenera ciascuno motivandoload andare avanti al di là dei risultati conseguiti. Educare è arte, sì, ma è anche un cammino puòtrasmettere la gioia di vivere e di amarsi per tutta una vita e costituire una fonte inesauribile di insegnamentoanche per i posteri.12.4 La testimonianza della famiglia Bossi: l’arte di inventarsi una vita nuovaNoi siamo la famiglia Bossi e vogliamo raccontare la nostra esperienza <strong>educati</strong>va affinché chiunquesi senta in difficoltà all’interno del proprio nucleo, possa trovare un interlocutore che vive lestesse esperienze, a volte dolorose, nelle quali riconoscersi e da cui trarre consigli. Così potrà vedereche anche quando si cade, ci si può rialzare.La nostra famiglia è composta da Carlo (padre 42 anni), Penelope (madre 39 anni) Raoul (figlio 13),Marco (figlio 9) e Sofia (figlia 6) e siamo una famiglia normale con momenti di serenità e momentidove bisogna affrontare le difficoltà che la vita ci pone. E di difficoltà ne abbiamo incontrate tantee ne troveremo ancora… Parte delle nostre difficoltà hanno caratterizzato le nostre famiglied’origine e di conseguenza la nostra infanzia e adolescenza.Io, Penelope, provengo da una famiglia povera; ricordo le litigate tra i miei genitori, che spessosfociavano nella violenza e in questo contesto litigioso noi figli ci schieravamo a favore di mammao di papà in base a quelle che potevano <strong>essere</strong> i benefici del momento e i tornaconti personali. Inquesta anarchia io soffrivo dentro e lo manifestavo somatizzando fisicamente, infatti ero dimagritaun sacco, quasi 10 kg e mi era venuta una forte gastrite. Provavo un gran senso di solitudine, inquesta famiglia dove vinceva il più forte. Nessuno dei miei genitori mi ha mai chiesto come stavo,se la scuola andava bene, se avevo un fidanzatino; mia madre non si è mai preoccupata del miocorpo che cambiava, che diventavo donna, se mi era arrivato il ciclo mestruale e tante altre coseche di solito le madri cercano di capire dai propri figli. Sono stata lasciata sola anche in ospedaleper un intervento all’appendicite, e in tutta questa situazione io mi sentivo sbagliata, una bruttapersona inadeguata.In casa mia non si mangiava mai insieme, tutti intorno al tavolo, dove ci si poteva raccontarecom’era andata la giornata; nessuno ti chiedeva neppure se avevi mangiato, perché c’era anche ilrischio di non trovare più nulla da mangiare, nonostante ci fossero in casa due frigoriferi: uno dimia madre e uno di mio padre, simboli di questa netta divisione coniugale.Spesso mio padre, in modo strumentalizzato, mi diceva che mia madre avrebbe voluto abortire,con la finalità di mettermi contro, ma io ho sempre cercato di capire il perché di tutto questo e,ancora oggi, cerco di insegnare ai miei figli di capire il motivo più profondo e radicato per cui succedonodelle cose, oppure si reagisce in un preciso modo, anche se l’apparenza lascerebbe intravederegiustificazioni più superficiali.Un’altra situazione dolorosa che ho dovuto affrontare è stata quella di una possibilità di una miaadozione decisa dall’assistente sociale. Oggi mi viene spontaneo trasmettere ai miei figliquell’amore che li fa sentire frutto di un profondo desiderio d’amare.Io voglio che tra me e mio marito e i miei figli percepiscono quel sentimento d’amore e di affettoche ci unisce, e che non ho mai potuto vedere nei miei genitori. In maniera consapevole cerco di in-90


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>segnare loro un rapporto fraterno incondizionato, di condivisione perché non sperimentino mai unadinamica d’invidia, violenza e litigiosità come io l’ho vissuta con i miei fratelli; addirittura doposposata sono venuta a conoscenza di avere un altro fratello, che non avevo mai conosciuto perchéera stato lasciato a mia nonna che non vedevo mai.I miei figli devono sapere che possono contare l’uno sull’altro All’età di 17 anni ho deciso di scapparedi casa per “salvarmi”; io non ero come loro che per sopravvivere dovevo usare la forza, io eroe sono diversa. Così con l’aiuto di Carlo, andai a vivere a casa sua e con i suoi genitori, ma anche lìincontrai tanti ostacoli e soprusi. Di lì a poco decidemmo di sposarci e di creare la nostra famiglia,con quelli che erano i nostri principi e ideali.Carlo: Si, proprio con i nostri principi, maturati da quel senso di mancanza d’amore da parte deinostri genitori, abbiamo creato la nostra famiglia, dalla quale ogni giorno traiamo quella gioia checi fa superare ogni momento.Anche io, come Penelope, provengo da un contesto difficile: mio padre era sempre fuori casa,quindi posso dire di non aver avuto quelle occasioni che ogni figlio dovrebbe avere per conoscerlo,anzi di lui avevo timore e momenti di gioco e spensieratezza trascorsi insieme non ne ricordo proprio.Mia mamma invece aveva problemi depressivi e quindi i suoi sbalzi di umore ricadevano sunoi figli; io ero molto vivace e scapestrato e, per questo mio caratterino, mi attiravo l’ira di miamamma che sfociava sempre con il picchiarmi.Durante la mia infanzia e adolescenza sono stato poco seguito dalla mia famiglia; mia madre nonmi ha mai accompagnato a scuola, ma ha sempre delegato questo compito alle mie nonne o a miazia Elena, della quale ho proprio un bel ricordo e che con certezza posso dire di essermi sentito a-mato veramente; ma loro non erano la mia mamma, per cui, una volta arrivato a scuola con loro,aspettavo che andassero via per poi scappare e marinare la scuola, anche perché in classe non eroproprio l’alunno che ogni maestra avrebbe voluto incontrare tra i banchi… Non andavo per nientebene, non studiavo mai e questo mi costò la bocciatura in terza media.A casa mia non c’erano molti soldi e io ho sempre fatto qualche lavoretto fin da piccolo. Poi peròho deciso di fermarmi in terza media e così mi misi a lavorare seriamente per contribuire maggiormentealla vita economica della mia famiglia, dove mia madre era molto venale.In questa situazione di completa assenza della mia famiglia, ho frequentato anche compagniesbagliate. Avevo amici che rubavano, altri che si drogavano… Alcuni di loro sono morti per overdose,ma io sono riuscito ad uscirne perché sentivo di non <strong>essere</strong> come loro, di <strong>essere</strong> diverso. La miaindole è tranquilla, buona; sono sempre stato sensibile verso le persone che avevano delle difficoltà,infatti ricordo che anche a scuola ero uno dei pochi che passava del tempo con un compagnodisabile, per cui non potevo proprio rimanere in quei giri e dai miei errori ho sempre cercato di trarredegli insegnamenti per potermi migliorare e questo cerco di trasmetterlo anche ai miei figli.A 17 anni ho conosciuto Penelope e, quando mi sono reso conto della sua situazione familiare, hocercato di aiutarla facendola venire a vivere a casa mia, ma come è poi andata a finire lo ha giàraccontato lei. Io e lei ci capiamo al volo, ci amiamo e, dopo tanti anni, dopo tante difficoltà, nonsiamo mai stufi l’uno dell’altra. La nostra vita insieme è stata caratterizzata da tanti sacrifici cheabbiamo dovuto affrontare per riparare ai “ casini” della mia famiglia, che era diventata talmenteintrusiva, soprattutto nelle faccende economiche, a tal punto da compromettere la nostra stabilitàe unione. Posso dire che grazie a lei, alla sua pazienza e al nostro amore ne siamo usciti più affiatatidi prima e ora non riusciamo a stare un giorno senza parlarci, se abbiamo qualche discussione.Per fortuna o per sfortuna, delle nostre storie, siamo diventati quelli che siamo ora che forse nes-91


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>suno avrebbe mai scommesso su di noi, conoscendo i nostri trascorsi, ma noi abbiamo avuto il coraggioe la forza di cambiare.Abbiamo avuto 3 magnifici figli, tutti desiderati. Anche quando è nato Marco, il nostro secondo figlioabbiamo dovuto affrontare dei momenti difficili perché è un bambino con un’importante disabilitàfisica e intellettiva. Per un padre non è facile accettare che il tuo bambino non sarà mai ugualeagli altri, che non potrà mai giocare come fanno tutti i bambini. La paura che ti assale quandonon puoi prevedere cosa ti aspetterà e soprattutto cosa gli aspetterà, sono stati tutti pensieri chemi hanno portato a vivere un periodo di depressione: io non riuscivo a sopportare il dolore che provavoquando vedevo Marco soffrire. È solo grazie a mia moglie che sono riuscito ad attraversarequesto difficile momento della mia vita.Con l’aiuto di una figura professionale, Emilia, incontrata nel centro dove portavamo Marco a farefisioterapia, ho modificato la mia visione riguardo la disabilità di Marco. Mi sono reso conto chenon dovevo guardarlo come un bambino che non avrebbe potuto fare delle cose, ma dovevo pensarlocome un bambino che ogni cosa che farà sarà una grande conquista. A lui probabilmentenon interesserà mai guidare una macchina, ma vorrà fare un giro con me sulla mia macchina e saràcontento perché siamo insieme, i suoi bisogni saranno diversi e tutto questo mi ha fatto crescere,cambiare, diventare l’uomo e il papà che sono.Da questo momento difficile ne sono uscito rafforzato e insieme a mia moglie abbiamo deciso diavere un terzo figlio, perché non ci spaventava più nulla, anche la possibilità di avere un altro figliodisabile non ci ha bloccati, perché il nostro Marco non lo cambieremmo con nessuno.Così è arrivata Sofia. Tutti e tre ci riempiono di gioia, amore ed emozioni che i miei genitori nonhanno mai potuto provare anche perché da parte mia e dei miei fratelli non hanno mai avuto moltoamore. Ai nostri figli vogliamo far capire che dai nostri sbagli abbiamo imparato a rialzarci dasoli, ma loro possono sempre contare su di noi e proprio per questo possono parlare dei loro problemie insieme risolvere tutto. Vogliamo che diano sempre il meglio qualunque cosa decidano difare, e noi cercheremo di non riversare su di loro le nostre aspettative.Anch’io nel mio piccolo, sul posto di lavoro, ho fatto in modo di crescere sempre di più per non faremancare nulla a loro. Imparare a fare sacrifici significa apprezzare di più ciò che si ottiene ma anchesentirsi soddisfatti di sé stessi, proprio come facciamo io e mia moglie. Ai nostri figli motiviamosempre le nostre scelte <strong>educati</strong>ve fatte in modo condiviso. Diamo loro delle regole perché non sianoallo sbaraglio. Non ha senso punire corporalmente un bambino quando sbaglia, come accadevacon me. Occorre far capire loro il motivo e le conseguenze dei loro sbagli. Tutti è tre hanno regoleadeguate alla loro età.Ci rendiamo conto, come genitori, che per <strong>educare</strong> i figli non bisogna predicare bene e razzolaremale, dire una cosa, imporre un divieto, e poi fare l’opposto. Proprio perché ogni genitore è unmodello per i propri figli, bisogna che dia il buon esempio e sia sempre coerente con ciò che dice.Proprio quest’anno ci siamo confrontati con fatica con questo aspetto. Il nostro Raoul è cresciuto esi trova nella delicata fase di dover scegliere la scuola superiore più adatta a lui, quella che incideràsul suo futuro. Noi lo vedevamo più in un liceo scientifico, perché, alcune insegnanti, avevano notatole sue potenzialità e così, quando ci ha comunicato che era propenso per la scuola professionaleper meccanici, col groppo in gola, abbiamo dovuto accettare questa sua decisione, proprio perchégli avevamo insegnato che sempre saremmo stati disponibili a comprendere i suoi bisogni.Lo abbiamo solo portato a riflettere sulla sua decisione in modo che fosse il più possibile consapevole.Così se la strada che ha scelto lo renderà felice, noi saremo felici con lui e lo aiuteremo co-92


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>munque a dare il meglio di sé. Ora per genitori come noi non è facile lasciare a un ragazzo fare lesue scelte diverse da quelle che vorrebbero. È questo il momento in cui si deve insegnare, prima diprendere una decisione, a riflettere e usare sempre la testa, anche se poi è difficile accettare cheun figlio diventi diverso da quello che si era idealizzato da piccolo.Invece Marco ci ha aiutato ad affrontare questo punto e accettare uno diverso come lui che forsenessun genitore desidererebbe avere. Ma l’amore incondizionato, fa imparare a vedere le potenzialitàe non solo i limiti di un bambino come lui che con la sua serenità, ci fa accettare con piùsemplicità anche il percorso di crescita di Raoul e, un domani, di Sofia.Noi non siamo molto religiosi, perché le nostre esperienze e le sofferenze che abbiamo visto patireda Marco e da altri bambini in ospedale con lui, ci hanno fatto chiedere più volte se potesse esistereun Dio che accetta questo, tuttavia abbiamo indirizzato i nostri figli verso un insegnamento cristianocattolico, che un domani potranno decidere di continuare a professare. Non abbiamo volutoche la nostra mancanza di fede potesse far mancare a loro quelle risposte che solo il credere inqualcosa di superiore può dare. Nelle nostre famiglie d’origine non c’è stato mai un insegnamentoreligioso, che ci è mancato per scelta dei nostri genitori. Noi vogliamo fare il contrario, visto checondividiamo alcuni valori con la religione, facciamo partecipare i nostri figli al catechismo e riceverei sacramenti, con la consapevolezza dei significati che hanno e che consentiranno loro di fareun domani scelte consapevoli.Fare i genitori è il mestiere più difficile del mondo e non c’è scuola che ci faccia imparare comecomportarci, ma abbiamo chiaro lo scopo dell’educazione dei figli: fornire loro gli strumenti per a-vere una vita felice e noi sperare di avere in un futuro la possibilità di trasferire il nostro amore anchesui nostri nipotini e di dare loro quei vizi tipici dei nonni che a noi sono mancati.93


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>13 La pedagogia divina13.1 Il padre che creaL’educazione nel suo significato etimologico quale “tirare fuori”, estrarre da ogni persona il bene, il positivoesiste perché Qualcuno prima di ogni altro ha creato, ha immesso dentro un germe, un seme dibontà infinita che va riscoperta e favorita nella sua evoluzione. Ci dobbiamo riferire al mistero grande emeraviglioso della creazione, nella quale più volte viene ripetuto: “e Dio vide che era cosa buona”(Gn.1,12,18.25),fino alla creazione dell’uomo e della donna quando viene detto: “e Dio vide quantoaveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona” (Gn.1,31).Il significato della creazione di ogni realtà e dell’uomo stesso è la bontà, derivante dalla fonte inesauribiledel Bene. Immagine e somiglianza divina nell’esprimere il Bene universale, nel cercare la verità, la positività,la bellezza e la pienezza di amore propria del piano creativo. Straordinaria la chiamata alla vitadell’uomo e della donna, non solo vivere e agire, ma collaborare con Dio affinché tutto il creato sia rispostaalla bontà originaria del suo Creatore. Soltanto all’uomo, somiglianza di Dio, viene affidato questocompito elevato, importante, ma nel quale non sarà mai solo. Dio gli è alleato, anzi il creatore è inrealtà il padre che affida al figlio la cura di tutti i doni nel quale egli vive e deve realizzarsi estraendo dasé il meglio.Si comprende da questo racconto biblico la radice dell’educazione: riscoprire la bellezza interiore originariadi ogni creatura affinché renda gloria al Padre e Creatore in un crescendo di impegno per rendereil mondo regno del Bene nel rispetto della natura e della pacifica, giusta e unificante convivenza degliuomini.13.2 Il padre che dona libertàOra di fronte allo spettacolo di una natura splendida e grandiosa l’uomo è posto di fronte ad una scelta:il massimo rispetto per la natura stessa e l’elaborazione di una condotta di vita all’insegna dell’amoreuniversale secondo il piano originario del Padre Creatore. L’altra scelta è assai differente: seguirel’istinto del dominio e dell’affermazione di se stessi incuranti degli altri e mossi dallo spirito di sottomissionedel più debole. È la vita secondo l’orgoglio, l’egoismo e la volontà di imporsi anche con violenza.È purtroppo la storia dell’umanità presentata fin dalle prime pagine della Bibbia, la scelta di una libertàcapace di sfidare il Padre per una volontà di potenza e autonomia nella scelta tra bene e male con lapossibilità di scegliere anche il gesto più tremendo, per affermare se stesso. Ne è prova la prima uccisionetra fratelli, ciò che emerge è l’istinto di supremazia unito anche alla menzogna per negare la realtàdei fatti. L’amore tra fratelli diviene lotta con i coltelli (a mo’ di slogan):Mentre erano in campagna, Caino, alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise. Allora il Signoredisse a Caino: “Dov’è tuo fratello?”. Egli rispose: “Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?”.Riprese: “La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! (Gn.4,8-10).Una oscura minaccia era scesa sui primi uomini e poi sui loro successori: vivere dimenticando l’Autoredella vita, il generatore della loro libertà. Da creatura libera di esprimere con la propria creatività e originalitàla bontà divina, a creatura segnata dalla volontà di affermare se stessa incurante di ogni riferimentoalla Bontà originaria. Ne deriva la storia di un’umanità nella quale grandi lotte e pesanti contesesegnano negativamente il percorso. Esiste parallelamente l’impegno per la liberazione dal male, un difficiletraguardo che sembra irraggiungibile. Libertà viene spesso confusa con licenza di agire in nome dise stessi e di un indomabile bisogno di dominio sugli altri uomini e sul creato. La storia insegna che i brevitempi di pace erano spesso solo preludio a lunghi periodi di guerre e violenze che insanguinavanol’umanità, smarrita la sua chiamata originale ad incarnare la Bontà del Creatore e Padre.94


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>13.3 Il padre che vuole <strong>educare</strong> i suoi figliA volte, anche di fronte alle tante situazioni di degrado a cui assistiamo, specialmente per la mancanzadi rispetto della vita perfino nelle mura domestiche, ci si chiede, ma Dio, il Creatore e Padre dell’umanitàdove si trova, e se c’è come ci è vicino? Domande indubbiamente lecite e opportune, ma di fronte allequali la risposta è lasciata solo alla fede motivante l’azione pedagogica di chi vuole non distruggere, macorreggere e dialogare con i propri figli. È l’insegnamento della Bibbia circa il percorso che Dio ha propostoal suo popolo mediante l’opera continua dei suoi inviati, uomini di Dio, patriarchi, profeti, sacerdoti eapostoli, e della sua Legge. Non che gli uomini non sapessero che cosa fare o come orientarsi. Posti difronte a una scelta ben precisa, sapevano benissimo che cosa Dio chiedeva loro e quello che contraddicevaquesta scelta.Dio insegna a <strong>educare</strong> come arte rivolta al cuore della persona, alla sua interiorità, e prima di suggerirecomportamenti, richiede l’ascolto e la verifica del proprio vissuto. Come non ascoltare la voce che parlaal cuore e richiama a comportamenti capaci di sprigionare la bontà di cui ogni persona è investita? Proponiamoun solo esempio tratto dal profeta Osea. Egli parla a un popolo ribelle che preferisce svendersia divinità pagane tradendo perfino il prezioso santuario della propria famiglia. Ebbene Dio non solo nonl’abbandona, ma richiama il popolo con la metafora splendida dello Sposo che parla alla sua Sposa. Essaè infedele e per il proprio comportamento non lo merita, tuttavia egli l’ama di un amore straordinario emeraviglioso in grado di farla risorgere, di ridonarle dignità, rispetto e una vita nuova. Ascoltiamo questeparole come miglior indicazione per la pedagogia, <strong>educare</strong> significa saper “tirare fuori” il seme dellabontà originaria:“Perciò, ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. Ti farò mia sposa persempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell’amore, ti fidanzeròcon me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore (Os.2,16,21-22).Una pagina di grande intensità, nella quale più forte del male della disobbedienza all’originale chiamataalla bontà dell’uomo, risulta l’amore divino capace di trasformare la persona, di restituirle la dignità perdiventare portatrice del perdono e dell’amore divino. A cui segue la risposta corale del popolo, che a-vendo compreso l’azione pedagogica della divinità aderisce con piena fiducia:Venite ritorniamo al Signore: egli ci ha straziato ed egli ci guarirà. Egli ci ha percosso ed Egli ci fascerà.Dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare e noi vivremo alla sua presenza.Affrettiamoci a conoscere il Signore, la sua venuta è sicura come l’aurora. Voglio l’amore e non ilsacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti (Os.6,1,2.6).Aver fede in Dio non si esaurisce in una celebrazione rituale di sacrifici e olocausti, quanto invece nellarinnovata volontà di aderire a un progetto di vita dove l’amore universale, il perdono, la pace fondatasulla giustizia e sul rispetto di tutti sono la base della civiltà dell’amore. Siamo nella riscoperta della originalebontà divina immessa in ogni persona. Una chiamata da parte del Padre verso i figli che quandone scoprono il valore e la fiducia, accordata nonostante le infedeltà, si aprono a Lui con l’atteggiamentodi abbandono e disponibilità. Il popolo, come fosse un figlio disobbediente ed ingrato, riscopre la Divinitàvicina e comprende che quando si è amati si desidera solo rispondere con altrettanto amore a unaPresenza sicura e rigenerante.È lo stesso profeta che riprende l’immagine divina ora nell’altra metafora del genitore (padre e madre)che accompagna il figlio nel percorso della vita accettandolo nei suoi limiti, ma continuando a credere inlui perché solo dandogli fiducia si può riprendere fino a cambiare la propria condotta di vita:Dall’Egitto ho chiamato mio figlio. Ma più lo chiamavo, più si allontanavano da me. Ad Efraim io95


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>insegnavo a camminare tenendolo per mano, ma essi non compresero che avevo cura di loro. Io litraevo con legami di bontà, con vincoli d’amore. Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimofreme di compassione. Non darò sfogo all’ardore della mia ira, non tornerò a distruggere E-fraim, perché sono Dio e non uomo, non verrò nella mia ira (Os.11,1-2.4.9).Quando si ama con tutto se stessi si vuole partecipare alla vita della persona amata affinché con la potenteazione dell’amore divino l’altro possa cambiare e comprendere che <strong>essere</strong> amati e sostenuti dauna passione smisurata trasforma l’animo, è principio di vita nuova. Pedagogia divina significa prima ditutto azione continua del Padre verso i suoi figli affinché comprendano la dedizione e il sacrificio di sestessi perché il figlio o i figli trattandosi del popolo, mettano in pratica il suo insegnamento: credere nellabontà in forza del perdono rigenerante e della fedeltà testimoniata con i fatti.13.4 Il padre che si dona per i suoi figliLa storia del popolo di Israele, emblema degli uomini di tutti i tempi, è storia segnata dagli interventi divinia suo favore, ma anche dalla discontinuità del popolo verso Dio stesso che, nonostante i suoi suggerimenti,gli educatori inviati, leggi e norme offerte e ben spiegate; non vuole seguire la via della bontàpreferendo quella dell’orgoglio personale. Dio, quale Padre che ama sempre e con tanto coraggio, nonabbandona il suo proposito di Educatore e manda delle “prove”, situazioni nelle quali il popolo stesso èrichiamato ad una condotta differente. Si arriva perfino alla schiavitù babilonese con la distruzione dellosplendido tempio di Gerusalemme e alla deportazione della classe dirigente del tempo. Una prova dolorosissimache sicuramente fa riflettere sulla lontananza da Dio per seguire altri idoli che non amano, masolo ingannano il popolo facendolo deviare verso percorsi dove la sete di guadagno o il godimento dissolutodei sensi, conducono lontano dal progetto di bontà originario. Sembra più facile, e quasi “naturale”non percorrere la via della bontà lasciandosi prendere da altre tentazioni che non rendono ogni uomoimmagine della Divinità.La chiusura su se stessi, la mancanza d’ideali conducono ognuno verso un vincolo cieco, dove non esistealtro se non il proprio io bisognoso solo di dominio e godimento massimo. Ora Dio non abbandona il suoproposito iniziale: restituire all’uomo la dignità originaria, la sua immagine e somiglianza per il quale l’hacreato e, nonostante infedeltà, cadute e ingratitudine continua ad amarlo, anzi lo ama donando tutto sestesso, divenendo anch’Egli uomo tra gli uomini. È il dono misterioso e meraviglioso dell’incarnazione, lapiena rivelazione della Divinità, il Padre che invia in mezzo ai suoi figli il Figlio, la sua immagine e somiglianzaperfetta perché l’umanità possa ravvedersi e raccogliere il suo insegnamento di vita. Siam giuntialla seconda parte, quella che noi chiamiamo secondo Testamento. Dopo aver insegnato con i suoi educatorie le sue leggi, ora diviene Lui stesso dono e modello di vita perché l’umanità possa ritrovare la viadella bontà, dell’amore vero e totale che aveva smarrito.Inizia così il tempo favorevole per la salvezza, il principio di una nuova era. L’Educatore è il Figlio stessoGesù il quale non agisce da solo, ma con un’azione divina potente in grado di penetrare in quanti aderisconoa Lui e si lasciano <strong>educare</strong> dall’azione del suo Spirito. Ciascuno è invitato a compiere tre movimentifar crescere l’uomo interiore, come ricorda Gesù stesso nei Vangeli:“Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo” (Mc.1,15).1) Comprendere l’urgenza del tempo finalmente realizzato – è la prima educazione: saper capire chi civuole davvero bene ed è disposto a donarsi. Gesù entra nella storia degli uomini, per mostrarci che ilPadre è davvero tale e come un educatore fa giungere un messaggio non più di sole parole o di buonipropositi. Entra Lui stesso nella nostra storia, nella vicenda della vita di tutti giorni, in un tempoche finalmente è maturo per il suo ingresso. Ogni figlio che davvero ami i genitori, ne comprende iloro sforzi, la loro dedizione nel tempo che passa, anzi in certi momenti ha la percezione di aver rice-96


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>97vuto così tanto e di aver dato così poco. Dio vuole condividere il destino degli uomini, li vede lontanidalla bontà che ha loro immesso creandoli e “compie” il suo ingresso, viene in mezzo a loro per restarecon loro, vi porta il Regno, l’annuncio di un’opportunità meravigliosa nella quale le personepossono vivere come figli dello stesso Padre ed agire in piena unità di intenti a servizio di tutti. Il Regnoè la prospettiva di un progetto che non si esaurisce nelle deboli energie umane, ma vuole <strong>essere</strong>proclamazione della grandezza divina, della Sua infinita misericordia in grado di rigenerare in ognipersona la propria dignità;2) convertirsi, cambiare mentalità di vita, <strong>educare</strong> il proprio modo di pensare ed agire secondo Dio enon secondo se stessi – siamo al centro del processo <strong>educati</strong>vo, non solo belle parole, richiami, correzionied educatori che agiscono per conto della Divinità. Ora è in gioco direttamente Lui, il Signoreche vuole presentare nell’animo di ogni figlio la possibilità di un cambiamento radicale del propriomodo di pensare, scegliere e agire in ordine al servizio per il Regno di Dio di bontà e pace o per sestessi, perseguendo finalità limitate dai propri interessi egoistici e da una possessività illimitata.L’offerta della conversione è dono d’amore, anzi Gesù stesso ha dimostrato quale grande amore haanimato il Padre fino a donare la propria vita per riprendere l’umanità peccatrice e attestare con ilsuo perdono la volontà di recuperare in ciascuno l’immagine originale di figlio dell’unico Padre. Piùche conversione si dovrebbe dire ritorno al Padre, ritrovare la strada che porta ciascuno verso la vicinanzacon il Padre che da sempre l’ha amato, sostenuto e guidato nel cammino della vita e ora nelFiglio lo perdona, gli dà la possibilità di una vita nuova solo per Amore, senza nulla domandare, vuoleoffrirgli un principio di vita che vada oltre la stessa vita umana. Rendere ciascuno come il Figlio, partecipedella sua divinità, capace di amare come Lui ci ha insegnato, testimoniando chiaramente che ilmale è sconfitto dal bene e che miglior scelta di vita è donare senza misura, senza altro interesse senon la bellezza e la profondità dello stesso amore divino. Il suo progetto è ben delineato da un Apostolo,uno dei primi credenti nel Figlio di Dio morto e risorto per tutti gli uomini: San Paolo il qualescrivendo ai Colossesi afferma:Rivestitevi dunque, come eletti di Dio, santi e amati, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà,di mansuetudine, di pazienza, sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, sequalcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri. Come il Signore ci ha perdonato, così fateanche voi. Al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è vincolo della perfezione, e la pace di Cristo regninei vostri cuori perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E siate riconoscenti (Col.3,12-15).Convertirsi significa configurare la propria esistenza su questo progetto, cercare di realizzarsinell’amore, sorgente per una qualità di vita differente, per una qualità nella quale occorre sapersiporre come figli che intendono imparare dal Padre a credere nell’Amore senza temere e senza nulladomandare, solo fidando in Lui, fonte infinita di quella bontà che proprio l’Apostolo Paolo ha ben delineatoin una sorte di programma di vita che affascina per la sua grandezza e al quale ci si educa nellasua gradualità d’amore;3) credere, aderire fidandosi al Padre che chiama i suoi figli – è la risposta del figlio di fronte all’offertadel Padre attraverso il proprio Figlio. Credere non è immediatamente obbedire quasi senza nullacomprendere, esige invece la volontà di lasciarsi amare da colui che amandoti da sempre entra dentrodi te e ti dà fiducia. È il solo che permette la liberazione dal male dell’orgoglioso vivere come se ilPadre con ci fosse, per divenire invece il figlio guidato dal Padre verso il traguardo dell’amore vero etotale. È qui che il Figlio Gesù offre il dono della sua presenza, anzi della sua piena manifestazione: loSpirito Santo, l’azione invisibile, ma reale che agisce nell’animo di ciascuno e rende ogni credente figlionel Figlio. Credere inizia dalla volontà di aderire all’insegnamento di Gesù: l’incarnazione storicadel messaggio della bontà divina entrato nella vita degli uomini. Credere è comprendere che Dio agi-


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>sce per mezzo degli stessi uomini che si lasciano guidare dal suo Spirito e danno fiducia al suo messaggio,se ne fanno portatori nel mondo per vincere davvero il male con il bene e disarmare ogni spiritodi vendetta con il perdono. Essere figli comporta l’impegno a seguire un insegnamento per ilproprio bene, la propria piena realizzazione in un progetto verso l’universalità redenta dal male echiamata al bene della civiltà dell’amore. L’uomo comprende di non <strong>essere</strong> più solo, di non <strong>essere</strong> néabbandonato, né giudicato, ma accettato anche con le proprie mancanze dal Padre che ti ama, tivuole restituire dignità e donandoti il suo Spirito ti richiama alla battaglia della vita: vincere il malecon il bene.13.5 L’educazione di un’immensa famigliaQuanto abbiamo riportato sembra un ideale irraggiungibile, quante violenze, contese, ingiustizie ancoraesistono nella città degli uomini figli di Dio. Il male è ancora presente sembra che questa proposta nonsia stata sufficientemente messa in pratica, anzi nel tempo che passa si ha addirittura la sensazione cheil male sia sempre più potente e la mancanza di fede e di ideali di bontà, dilagante. Può <strong>essere</strong> una lineadi lettura ma vorremmo rimarcarne un’altra. Credere nel progetto di Dio, aderire a Lui e cambiare vitalasciandosi guidare dall’azione dirompente dello Spirito per realizzare il Vangelo, il programma che il Figlioha donato e rimane programma ispiratore per ogni scelta positiva. Non è ancora nella sua piena realizzazione,anche se qualche risultato si percepisce, quel che conta è <strong>educarsi</strong>, ancora una volta saper“tirare fuori” il positivo che c’è in ciascuna persona, non farsi prendere dallo scoraggiamento e dallarassegnazione, come se il male fosse invincibile.Siamo inseriti nella pedagogia della grande famiglia dei figli di Dio, la sua chiesa, l’insieme dei figli cheaderendo agli insegnamenti del Padre intendono unirsi, cercarsi, mettersi in cammino perché sia solo ilPadre, il Signore l’unica guida per le proprie scelte. Ne consegue la storia di questo immenso popolo diffusoin ogni luogo del pianeta dove ciò che conta è aderire con fede e camminare con spirito di servizionel Regno di Dio. Ci si educa non facendo o organizzando chissà quali cose, ma mettendosi nella giustadirezione di persone desiderose del Padre, che perdona quando si manca al suo Progetto, del Figlio, chedà la certezza di una presenza unificante, e dello Spirito, che agisce nell’animo di ciascuno quando lo siinvoca con fiducia. Ne deriva il ritratto di una famiglia praticamente perfetta:si ha un progetto unificante: il Vangelo, l’insegnamento della bontà infinita divina;si ha un dono trasformante: il Padre proprio attraverso la Chiesa, i suoi educatori, perdona le mancanzedi ciascuno, continua a dare fiducia ai suoi figli al di là dei loro meriti, li ama e basta, vuole tenerliaccanto a sé;si ha un educatore permanentemente presente: lo Spirito, la potenza d’amore della divinità che entrandonell’animo di ciascuno come un fuoco accende il desiderio di bene e brucia ogni egoismo ecattiveria;si è inseriti in una grande famiglia e si avverte un’appartenenza in grado di superare ogni barriera dirazza, cultura, lingua e popolo per divenire un cuor solo ed un’anima sola nella ricerca del Bene chetutti accomuna nella fede;ci sente amati dal Padre fonte perenne di amore e di pace, il solo che dà a tutti l’opportunità di unanuova vita, non vuole altro che la felicità nell’amore vero e totale dei suoi figli. Lui educa attraversola condotta di vita di ciascuno cui dà fiducia e assistenza e non lo abbandona, nonostante la sua infedeltào addirittura il suo disprezzo. Quale immagine di paternità potremmo non solo conoscere,ma prendere a modello per realizzare la nostra, per <strong>essere</strong> messi in condizione di poter rendere lostesso amore con il quale siamo amati in modo straordinario, unico e originale?98


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>A questo punto è evidente che la grande famiglia dei figli di Dio non può restare chiusa in se stessa, madeve aprirsi, far conoscere a tutti la grandezza e bellezza della pedagogia divina che guida ogni suo figlioverso il traguardo in un Amore eterno e meraviglioso: <strong>essere</strong> con Lui per sempre.Quale altra miglior prospettiva ci può <strong>essere</strong> data, quale altra immagine di educazione alla vita potremmoricevere?La pedagogia divina è paradigma, fondamento e guida per esaminare ogni altra realtà familiare e per fardiventare il percorso dell’educazione, una scuola di vita all’amore vero e autentico, unica via per realizzarela persona e renderla davvero felice. Donare non è solo dire, manifestare delle buone e belle intenzioni,è invece trasmettere la credibilità della propria vita offrendo una qualità di rapporto <strong>educati</strong>vo ingrado di <strong>educare</strong> in un dinamismo d’amore che abbraccia il bene di tutta la persona.Ogni storia di famiglie educatrici dei loro figli o in generale di educatori chiamati al delicato compito ditrasmettere i contenuti <strong>educati</strong>vi, costituisce esemplificazione pratica e storica di questa ricerca tra ilpadre e la madre che amano i figli e la loro libertà di aderire e lasciarsi plasmare dal progetto <strong>educati</strong>vooppure di prenderne le distanze ed iniziare un altro percorso. In mezzo l’arte di <strong>educare</strong>, certamentecon l’originalità, la creatività e l’esperienza propria di ciascun educatore, ma anche nella volontà di trasmetterela positività del bene e la sicurezza di una presenza che costituisce legame inscindibile per portareuna persona verso la crescita della propria umanità.Dilatare la bontà originaria attraverso la maturazione dei germi di bene propri di ogni individuo, è ciòche costituisce l’itinerario <strong>educati</strong>vo. Si tratta di trovare stimoli, aiuti per divenire solida guida finché o-gnuno esprima, nella propria esistenza, la grandezza di bene donata dall’altro Padre unico e vero educatoredi ogni figlio.Così per ogni disposizione, norma, legge e regola morale in fondo altro non si affonda se non il desideriodi bene proprio di ogni persona, fiduciosi nel fatto di poter contare sulla collaborazione più o meno attivadi ciascun figlio chiamato a scoprire e realizzare l’immagine divina posta in lui, somigliante nella bontàe nell’amore senza fine.99


Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>Itinerari d’amore è una collana sull’amore e sulla sessualità che si mostra insolita se nonaltro perché scritta da un sacerdote, don Paolo Gessaga, che non vuole fare del catechismoma aiutare a comprenderne significati e conseguenze delle scelte di vita in un momentoin cui sembra predominare la precarietà.Nella collana sono già stati pubblicati: Scoprirsi e farsi scoprireCammini personali e di coppia. Vivere il distaccoTestimonianza di vita di coppia Dalle coppie alla coppiaRacconti biblici di vita in coppia Corpo: volontà di donarsi o piacere di consumarsiLa sessualità anche fuori della vita di coppiaL’idea è partita da una riflessione sull’imponente documentazione che don Paolo avevaraccolto nella sua attività in un centro di consulenza familiare, dove si erano presentatenumerose coppie alla ricerca di aiuto per trovare una via di uscita da situazioni insostenibili.La ripetitività delle storie, pur nella loro specificità, ha fatto pensare che farle conoscerepotesse <strong>essere</strong> d’aiuto, sia a chi vuole affrontare una vita di coppia e sia a chi deve<strong>educare</strong> i giovani a costruire il proprio futuro.Questo libro: Educare, <strong>educarsi</strong>, <strong>essere</strong> <strong>educati</strong>, rilievi, esperienze riflessioni, sull'artedell'educazione, è soprattutto rivolto verso le giovani generazioni che a detta di moltinon seguono quanto era invece direttamente trasmesso e raccolto dalle generazioni precedenti.Da questo rilievo più di cronaca, possiamo estrarne i contenuti per un testo cheprima di tutto vuole <strong>essere</strong> un contributo sull'argomento non tanto un insieme di soluzioni(ammesso che ve ne siano) per risolvere le parecchie questioni sull'educazione cheinterpellano oggi più che mai un po' tutte le persone dalle famiglie, alla scuola, alle altreagenzie <strong>educati</strong>ve, gli Oratori e gli ambiti della vita cristiana con tutto l'associazionismorivolto alla gioventù, nonché il vasto spazio dello sport e tempo libero.100

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