degli elementi costituenti e <strong>di</strong> autoassorbimento delle loro emissioni caratteristiche,l’intensità dei picchi <strong>di</strong> fluorescenza non è strettamente correlabilealla concentrazione, nel campione, dell’elemento a cui si riferiscono; <strong>di</strong>conseguenza è possibile ottenere solo informazioni qualitative. Per ottenereinformazioni <strong>di</strong> carattere semiquantitativo o ad<strong>di</strong>rittura quantitativo si puòricorrere a una variante della tecnica XRF, che si basa su <strong>analisi</strong> <strong>di</strong> fluorescenzain riflessione totale (Total X-Ray Fluorescence o TXRF) e consente<strong>di</strong> raggiungere precisioni sulle concentrazioni relative dell’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> qualcheparte su cento.La spettrofotometria fornisce, invece, una caratterizzazione della superficiedel materiale in <strong>analisi</strong>, misurando il rapporto tra l’intensità della ra<strong>di</strong>azioneriflessa e incidente, in funzione della lunghezza d’onda <strong>di</strong> quest’ultima:nel nostro caso si è considerata la porzione dello spettro che si estende tra leregioni del visibile e del vicino infrarosso (da 380 nm a 1000 nm circa).La curva <strong>di</strong> riflettanza così ricavata è caratteristica del pigmento, anche aparità <strong>di</strong> colore.Si noti che, mentre l’indagine XRF dà informazioni sugli elementi dell’interostrato pittorico fino alla preparazione, la spettrofotometria permette <strong>di</strong>riconoscere i pigmenti presenti alla superficie. È quin<strong>di</strong> possibile <strong>di</strong>stinguere,per confronto tra le due misure, quelli appartenenti agli strati sottostanti.Nel corso del lavoro <strong>di</strong> tesi si sono effettuate misure preliminari su singolipigmenti (sia stesi che in polvere) per identificarne la riposta alle varie tecniche<strong>di</strong> <strong>analisi</strong> XRF e spettrofotometriche. È stato così possibile realizzareun database <strong>di</strong> riferimento relativo a pigmenti stesi e in polvere e a <strong>di</strong>fferentileganti utilizzati.In tal modo si è chiarito quali pigmenti siano identificabili con certezza me<strong>di</strong>antel’applicazione congiunta delle due tecniche e per quali, invece, le misureconsentano <strong>di</strong> arrivare solo ad ipotesi da confermare con <strong>analisi</strong> basate sumicro<strong>prelievi</strong>. Nel caso <strong>di</strong> <strong>analisi</strong> su stesure multiple, si è in<strong>di</strong>cato, dove possibile,una ricostruzione della successione stratigrafica.Si è quin<strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrata l’applicabilità <strong>di</strong> questo metodo d’indagine allostu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> <strong>di</strong>pinti, con particolare riferimento a opere eseguite con la tecnicaper velature successive <strong>di</strong> pigmenti puri, o al più schiariti con biacca, cometipico della scuola veneta e fiamminga del Quattrocento. In particolare sonostate analizzate opere <strong>di</strong> Hans Memling e <strong>di</strong> scuola belliniana e montagnesca(Cima da Conegliano, Bartolomeo Montagna, Giovanni Bonconsiglio, MarcelloFogolino). Per verificare i limiti della tecnica si sono successivamentestu<strong>di</strong>ate opere del Seicento e Settecento (Anton Van Dyck, Giambattista2
Tiepolo, Francesco del Cairo).Il lavoro ha contribuito alla realizzazione del primo tomo del catalogo dellaPinacoteca Civica <strong>di</strong> Vicenza, recentemente pubblicato.3