dell’impresa
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Eventi | Assemblea<br />
La relazione del presidente<br />
Le imprese<br />
e il coraggio<br />
Se non ricostituiamo il tessuto<br />
manifatturiero del Paese<br />
le prospettive di crescita dell’intera<br />
economia rimarranno modeste<br />
negli anni a venire. E le implicazioni<br />
sul contesto sociale non saranno<br />
di poco conto. Dall’industria<br />
di trasformazione prende origine<br />
gran parte dell’innovazione applicata<br />
al sistema produttivo<br />
di cambiare<br />
Lo scenario economico e politico internazionale<br />
presenta numerosi fattori<br />
di complessità e di rischio con inevitabili<br />
ricadute sul mondo delle imprese. La<br />
prospettiva della Brexit, con le implicazioni<br />
del risultato del voto dei britannici che<br />
hanno scelto di uscire dall’Unione europea,<br />
desta parecchie preoccupazioni. Così come<br />
le enormi difficoltà che dimostra la Ue nell’elaborare<br />
una politica comune di regolazione<br />
degli enormi flussi migratori, con i<br />
singoli Stati che tornano a dettare l’agenda<br />
sulla base della loro forza e peso specifico.<br />
Per non parlare poi dei timori e delle grandi<br />
incertezze che generano gli avvenimenti<br />
sempre più frequenti legati al terrorismo<br />
fondamentalista islamico.<br />
E poi la frenata consistente delle cosiddette<br />
economie emergenti. Con la parziale<br />
eccezione dell’India, i Brics sono diventati i<br />
principali responsabili del rallentamento<br />
della crescita mondiale. Il Brasile è precipitato<br />
nell’abisso di una delle peggiori recessioni<br />
della sua storia per una combinazione<br />
di errori politici ed economici. La Russia è<br />
andata pesantemente in crisi a causa del<br />
crollo dei prezzi del petrolio che hanno inciso<br />
in maniera drammatica sulla sua economia,<br />
basata quasi esclusivamente sulla<br />
esportazione di idrocarburi, e a causa delle<br />
Tra i temi trattati da Valter Caiumi<br />
il quadro dell’economia<br />
internazionale, le necessità<br />
delle imprese modenesi<br />
per continuare nella crescita<br />
e l’importanza della digitalizzazione<br />
sanzioni occidentali per il conflitto ucraino<br />
e per le spese militari per l’intervento in<br />
Siria. La Cina è oggi al centro di tutte le<br />
discussioni: saprà gestire la sua crisi o<br />
diventerà il fattore scatenante di una<br />
nuova recessione mondiale? Il suo tasso di<br />
crescita è il più basso degli ultimi 25 anni.<br />
Il rallentamento del commercio mondiale<br />
ha presentato il conto anche all’Italia,<br />
che nei primi quattro mesi dell’anno ha<br />
perso sui mercati Brics, il 4,8 per cento,<br />
vale a dire 2,9 miliardi di vendite in meno<br />
per le nostre aziende. Si tratta del peggior<br />
risultato dalla fine del 2009. Nonostante<br />
questo quadro poco confortante il nostro<br />
Paese, grazie a una buona tenuta sui mercati<br />
europeo e statunitense, nel 2015 è riuscito<br />
a mettere a segno una prestazione di<br />
tutto rispetto, +3,8 per cento; con l’Emilia-<br />
Romagna che si è contraddistinta con un<br />
risultato migliore, +4,4 per cento e Modena,<br />
invece, abbastanza lontana dalle prestazioni<br />
elevate a cui eravamo abituati, che si è<br />
fermata a un +3,5 per cento.<br />
La situazione italiana<br />
e il rischio stagnazione<br />
Come sempre le esportazioni si sono<br />
dimostrate l’ancora di salvezza di un’economia<br />
che si avvicina sempre più alla stagnazione.<br />
Nel primo trimestre la produzione<br />
industriale ha gelato le previsioni di ripresa<br />
fissando l’incremento a un modestissimo<br />
0,7 per cento. Di questo passo, se non avremo<br />
una decisa inversione di tendenza,<br />
anche l’obiettivo di crescita del Pil dell’1,2<br />
per cento quasi certamente non verrà raggiunto.<br />
È pur vero che usciamo da una tremenda<br />
recessione che ci ha fatto perdere il<br />
25 per cento della produzione, ma la risalita,<br />
cominciata lo scorso anno, appare troppo<br />
lenta e incerta.<br />
Nemmeno condizioni esterne abbastanza<br />
favorevoli, come il basso costo del denaro,<br />
la svalutazione dell’euro nei confronti<br />
del dollaro e il basso prezzo del petrolio,<br />
hanno dato una scossa significativa. Il<br />
recupero sta mantenendo un ritmo troppo<br />
blando. Stiamo procedendo a forza di zero<br />
virgola. Troppo poco per parlare di ripresa.<br />
Il presidente<br />
di Confindustra<br />
Modena<br />
Valter Caiumi<br />
Se poi andiamo ad analizzare i motivi di<br />
tutto ciò, sicuramente troviamo che un peso<br />
rilevante lo ha avuto l’andamento stentato<br />
della domanda interna, ma probabilmente<br />
sono ancora più rilevanti i cambiamenti<br />
strutturali avvenuti durante gli anni di<br />
crisi e l’evoluzione dei mercati internazionali.<br />
Perché l’export non basta<br />
È fuor di dubbio che la lunga crisi che<br />
abbiamo vissuto ha determinato una sorta<br />
di frattura nei vari settori dell’industria,<br />
tra chi è riuscito a stare con successo sui<br />
mercati internazionali e chi ne è rimasto<br />
escluso. A questa frattura corrisponde<br />
anche una collocazione territoriale, in<br />
quanto le imprese che fanno da traino sono<br />
concentrate in poche regioni del Nord,<br />
Lombardia, Emilia, parte del Veneto e del<br />
Piemonte. Mentre nelle altre regioni prevale<br />
l’industria tradizionale con mercato prevalentemente<br />
interno. Se poi analizziamo il<br />
segmento delle imprese di successo sui<br />
mercati internazionali osserviamo anche<br />
qui un «bipolarismo» su cui occorre riflettere<br />
a fondo e che è perfettamente speculare<br />
alla situazione fisiologicamente fragile dell’economia<br />
del nostro Paese.<br />
Un bipolarismo, e lo ha illustrato bene<br />
una indagine recente di Prometeia, che si<br />
può esemplificare nello schema «20-80»: in<br />
Italia su cinque milioni di imprese, di cui<br />
550.000 manifatturiere, solamente<br />
220.000 si possono definire esportatrici;<br />
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