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mimesis 2016 libro

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www.associazione<strong>mimesis</strong>.com<br />

https://www.youtube.com/watch?v=GvwWNDisDn8<br />

Copertina dell’antologia del Mimesis, Edizioni Stravagario, disegnata dal Maestro Massimo<br />

Patroni Griffi.


Gabriele Sparagna e Giorgia Tommasino ricevono il premio per “ i piccoli poeti” Con<br />

Giovanna La Vigna, Mariano Dinacci e il Presidente dell’Associazione Mimesis Nicola<br />

Maggiarra


Si comincia, il pubblico è straordinario.


Stefano Fucili e la sua band Piazza Grande per l’omaggio a Lucio Dalla: “L’ultima luna”<br />

Il M° Fabrizio Martone alla chitarra commenta le liriche interpretate


MIMESIS: da sinistra Mariano Dinacci, Giovanna La Vigna, Nino Fausti, Nicola Maggiarra,<br />

Patrizia Stefanelli, il segretario Giovanni Martone, Stefano Fucili e il musicista Fabrizio<br />

Martone. Manca in foto la redazione di Mimesis con il Dott. Marco Martano e la Dott.ssa<br />

Barbara Scudieri che in questo momento fanno le riprese video.


POESIA INEDITA<br />

I CLASSIFICATO Rodolfo Vettorello. Premiato dall’assessore alla cultura<br />

Dott.ssa Paola Soscia e dal Sig. Sindaco Dott. Antonio Fargiorgio.<br />

Dammi lavoro Dio, dammi lavoro<br />

Dammi lavoro Dio,<br />

dammi il dolore<br />

del corpo che si piega alla fatica,<br />

dammi la fame che mi fa capire<br />

che il pane costa lacrime e sudore.<br />

Non devi darmi giorni di sereno<br />

se non mi dai le piaghe sulle mani..<br />

Domani avrò il coraggio di parlarle,<br />

di dirle che ho perduto il mio lavoro.<br />

Quest’oggi fingerò che non sia stato<br />

e partirò col treno del mattino.<br />

Il giorno passerò sulla panchina<br />

d’una sala d’aspetto, alla stazione.<br />

Domani forse le dirò ogni cosa:<br />

la donna capirà che sono un uomo<br />

che pregherebbe Dio di avere in dono<br />

la morte certa al posto di lavoro


piuttosto che la morte per vergogna.<br />

Si muore tutti e alcuni sulla scena.<br />

Vorrei morire, Dio dei disperati<br />

come muoiono i santi sulle croci,<br />

coi ferri del mestiere alla cintura<br />

e nelle mani<br />

il fuoco del sudore che le brucia.


II CLASSIFICATA Caterina Cellotti. Premiata dal Poeta giurato<br />

Prof. Pasquale Balestriere.<br />

Nei sereni giardini della sera<br />

Danza nell’aria un fremito d’aurora<br />

un’alchimia di luci e di presagi: è l’età<br />

dei vent’anni, l’età degli anni nei boccioli<br />

un guizzo ardito tra pensieri e sogni.<br />

Mi dici – Vorresti ripercorrere quegli ani?<br />

Tornare indietro, vivere quel mono<br />

cullando attese, passioni, ansie, germogli?<br />

- No, grazie – non ho esitazioni.<br />

La vita ha già scritto sulle pagine bianche<br />

del mio <strong>libro</strong>, tra ossimori del troppo<br />

o quasi niente, tra fragili scintille e meraviglie<br />

tra poche primavere e lunghi inverni<br />

la pelle che scolora o che sfavilla.<br />

E poi, a cosa è valso riempire il mio<br />

bagaglio che a volte tanto pesa di fatica<br />

a volte lo sospingo in braccio al vento?<br />

Un bagaglio che ho colmato di tenera<br />

memoria, di voci accarezzate dal sorriso,<br />

dell’amore donato a piene mani<br />

di lacrime sigillate nelle tasche


di preghiere, d’idee… Se torno indietro,<br />

tutto svanisce nel sentiero nascosto<br />

di un viaggio tra cenere di giorni arrugginiti<br />

e fossili di cieli già ammansiti.<br />

E parlano le rughe a custodire trepide<br />

memorie di ciò che non si è più e<br />

a spiegare il senso vero di ogni cosa.<br />

Forse mi piacerebbe la magia di un attimo<br />

soltanto: al tempo dolceamaro scivolato<br />

tra le dita, al rapido invecchiare lento<br />

della vita, mescolare un riverbero d’aurora<br />

quando il sole appare e accende<br />

il cuore, ricamando profumi e voli e canti<br />

e poi… sostare nei sereni giardini<br />

della sera.


III CLASSIFICATO Mauro Corona. Premiato dal Poeta giurato Prof. Candido Meardi.<br />

Ti sia certo l’istante che non vivi<br />

Ti sia certo l’istante che non vivi<br />

e delle piume il vento<br />

se cogli attimi d’incanto nella pioggia<br />

o se la nebbia curva la parola<br />

e la dissimula dal vero<br />

Ti sia pena allora o vanto se il vento<br />

allontana da te<br />

le nostre varie umanità e ricerca<br />

lo spento fulgore che ti nasconde<br />

al canto<br />

Tu sei una natura dalla materia densa<br />

e indecifrata, mutevole traccia<br />

degli eventi e muta come i colli a sera<br />

di pioggia e d’alberi percorsi nei sentieri<br />

Ti sopravvive l’estro o la penuria greve<br />

dei pensieri se basta chiudere le mani<br />

per trattenere il fiato che non torna<br />

Un’alchimia lieve ti resta<br />

dove muti silenzio in canto<br />

e la perduta voce delle cose<br />

Il non essere e l’essere erano suono<br />

(Lorenzo Calogero)


IV CLASSIFICATO Giovanni Caso<br />

Sulla scacchiera dell’eternità<br />

Ci resta poco ormai del nostro giorno<br />

che volge al suo crepuscolo dorato,<br />

ci consegniamo al miele del silenzio,<br />

come fiumi volteggiano i pensieri.<br />

Se potessimo insieme riascoltare<br />

il canto dei gabbiani, se sapessimo<br />

disegnare la luna dell’infanzia,<br />

tutto sarebbe bello come allora.<br />

Ma la luna già cala oltre le siepi.<br />

Eppure custodiamo nel respiro<br />

il profumo dei primi aspri germogli.<br />

Non siamo più i fanciulli che salivano<br />

sui muri dei giardini, il fiato in gola,<br />

il tempo ormai accompagna i nostri passi<br />

verso le rive dell’autunno, all’acqua<br />

delle memorie<br />

– ma non manchi il fuoco<br />

per vincere l’inverno, né un’altana<br />

per afferrarci al vento delle stelle.<br />

C’è un’alba di trifoglio sul cuscino<br />

quando ci risvegliamo<br />

– ed ogni volta<br />

andiamo col sorriso sulle labbra<br />

a filare coi grilli i nostri panni.<br />

Ognuno è un universo nel suo corpo<br />

di fragile farfalla, ognuno ha forza<br />

per non fermarsi al sasso della soglia.<br />

Il cuore è in viaggio e non si ferma ancora.<br />

Eppure siamo lembi di un sussurro<br />

sulla scacchiera dell’eternità.


V CLASSIFICATO Giuseppe Barba<br />

Mare di ieri, mare di oggi<br />

Seduto a meriggio fra piccole dune,<br />

nascosto alla strada da due tamerici,<br />

rivedo la vita, le ormai troppe lune,<br />

i giorni più tristi, le ore felici.<br />

Un sole di sangue mi invoglia a pensare,<br />

e nel vento che palpita come il mio cuore<br />

s’accendono e spengono scaglie di mare,<br />

lampi d’un tempo, ricordi d’amore.<br />

Ricordi di lune su campi di grano,<br />

papaveri e spighe a vegliare sospiri,<br />

il silenzio del mondo, concerti d’arcano,<br />

le Pleiadi e l’Orsa, i loro respiri,<br />

capelli a ventaglio fra i trifogli e le viole,<br />

occhi di sogno tra mimose e asfodèli,<br />

due labbra corallo più calde del sole,<br />

un alcova di muschio tra i fiori e gli steli.<br />

E memorie di notti su letti di sabbia,<br />

fra lingue di mare a lambire la pelle,<br />

fra giunchi ondeggianti a fare da gabbia,<br />

e lassù San Lorenzo a incendiare le stelle;<br />

e sul carro dell’Orsa viaggiava l’ebbrezza,<br />

viaggiavano l’anima e mille chimere,<br />

e il mondo era un volto, una dolce carezza,<br />

e tutto era lì, in quelle magiche sere.<br />

Adesso da vecchio, in qualche notte di luna,<br />

ti cerco, mare che muovi il mio cuore,<br />

anche se oggi, allo scoglio e alla duna,<br />

tu porti pezzi di un mondo che muore,<br />

putridi resti di sogni e speranze<br />

di bimbi che han perso i loro domani,<br />

e narri storie di orrore e mattanze<br />

e di un Dio che non vede inferni lontani.


VI CLASSIFICATA Carla Baroni<br />

La stria e il partigiano<br />

La stria venne, con la scura pelle<br />

nere le lunghe vesti e tra i capelli<br />

un qualche filo bianco. Via via<br />

brutta stria che rechi la magia<br />

cantavano i bambini che abitavano<br />

le case in riva al Po andando a letto.<br />

E si imputava a lei ogni malanno<br />

che capitasse a caso sul podere,<br />

la mucca senza latte, la mal bianca<br />

che faceva cader le foglie al pero<br />

e se il fiume ingrossava, maledetta,<br />

era lei che faceva la fattura.<br />

Venne di notte, aveva mani lunghe<br />

capaci di frugare in mezzo all'erbe<br />

e trovarvi l'aneto e la cicuta<br />

e il tarassaco e il latte di gallina<br />

tutti a guarire, tutti a far unguenti<br />

o tisane che fanno addormentare.<br />

E invece trovò lui il partigiano<br />

ferito ad una gamba da un moschetto<br />

forse di un suo compagno un po' sbadato.<br />

Lontani spari a sbalzi sopra l'argine<br />

e a tratto a tratto un luccichio nel buio.<br />

L'uomo gemeva, gli occhi come brace,<br />

la bella bocca tumida socchiusa<br />

e lei, di nuovo, si sentì una donna<br />

non più la fattucchiera disprezzata.<br />

E lo trascinò quasi alla sua casa<br />

fatta di pietre e frasche, una capanna<br />

nascosta tra le foglie degli ontani.<br />

E sciolse sulle spalle i bei capelli<br />

e gli guidò la mano sopra i colli<br />

turgidi dei suoi seni sitibondi.<br />

Tempesta fuori, tra gli spari e i tuoni<br />

si udivano le raffiche del vento<br />

ma più grande tempesta era nei cuori.<br />

E fu così per giorni, notti e giorni<br />

poi il vento si acquietò, il fiume pure...


Quando le nacque un figlio, tutti dissero<br />

che il diavolo l'aveva posseduta,<br />

ma quel bimbo così tanto voluto<br />

le rischiarò il sentiero della vita.<br />

Nessuno seppe mai del partigiano<br />

che attraversò di notte il fiume a nuoto.


VI A PARI MERITO Roberto Benatti<br />

Potrà mai finire l’amore?!<br />

Non l’egoismo d’un volto,<br />

né il vibrar d’una voce;<br />

un alone intorno al ricordo,<br />

l’amore,<br />

una lama fra le palpebre<br />

a tagliare l’ombra,<br />

a ferire l’illusione.<br />

E’ un guado l’attesa<br />

sul fiume di zelo<br />

che non prova vergogna,<br />

perché l'amore è eterno:<br />

l’avanti e indietro<br />

d’un barcollar di cimase.<br />

I semi d’amore<br />

germogliati nella paura<br />

aspettano inerti<br />

che il vento li strappi.<br />

Chi potrà fermare<br />

le parole ormai dette?<br />

E chi sa dirmi di lei?<br />

Se parla<br />

del ragazzo dai capelli bianchi<br />

che la insegue nei sogni,<br />

se sussulta il suo petto<br />

all’udire il suo nome.<br />

Il dubbio è a spaglio<br />

stasera,<br />

sulle dita lunghe delle ombre,<br />

fra i rami e nel frascare delle foglie.<br />

Forte la tentazione<br />

di chiudere gli occhi<br />

e di non riaprirli.<br />

Forse l’amore<br />

è negli alberi capovolti,<br />

fra i raspi ossuti<br />

e ritorti


di malinconiche radici<br />

intrecciate e confuse<br />

come l’età dei ricordi bambini.<br />

E’ notte,<br />

e i grilli non consolano il buio.<br />

Il vento ha lingue di lupo,<br />

il viso s’imperla di pensieri.<br />

Tuoni sordi e tamburi di rane<br />

implorano scrosci,<br />

s’oscura il cielo delle stagioni.<br />

Il naso è schiacciato<br />

contro i vetri di pioggia,<br />

lo sguardo perso<br />

in follie di fughe,<br />

tra le impronte sull’erba,<br />

su quanto è ancora lontano,<br />

domani.


VII CLASSIFICATA Franca Cavallo . Ritira il premio, con delega, Caterina Cellotti.<br />

Gioisce il merlo sopra il bagolaro<br />

A me sospira lungamente il giorno<br />

al rosseggiar del cielo sopra i sassi<br />

tra basole di pietra senza tempo<br />

e vecchi bagolari canterini.<br />

Ha smesso di bussare alla finestra<br />

la vecchia luna che rotola sull’erba<br />

ed è rimasta lì , come aquilone<br />

impigliato alle fronde degli ulivi.<br />

Non altro mi consola che il silenzio<br />

di quest’autunno che rapina i sogni<br />

e saccheggia le vigne inaridite.<br />

Gioisce il merlo sopra il bagolaro.


VII A PARI MERITO Pompeo Mattioli. Premia il Prof. Pasquale Balestriere.<br />

Il nonno<br />

Il nonno<br />

aveva un vecchio somaro<br />

di mosche<br />

E la luna che a sera<br />

condiva di biacca<br />

le stoppie.<br />

Amava<br />

d’identico amore<br />

le voci<br />

che il vento portava<br />

Scalando<br />

ansante la valle;<br />

le piccole stelle<br />

con le quali vantarsi,<br />

il mezzo toscano<br />

che marciva tra i denti,<br />

i pochi<br />

denti rimasti.<br />

E amava<br />

ancora la neve<br />

sciolta


nella vecchia gavetta,<br />

le notti all’addiaccio<br />

Col canto dei grilli<br />

che come<br />

una vecchia mitraglia<br />

sminuzzava il silenzio,<br />

tossiva, increspava e moriva<br />

ma poi ripigliava<br />

sgranando lo stesso rosario…<br />

Allora<br />

contavano i morti<br />

sepolti nel fango<br />

o impigliati<br />

come bioccoli di lana nei voci,<br />

ai cavalli di frisia,<br />

allora<br />

Contava le poche<br />

monete di rame rimaste,<br />

le ciocche ormai marce,<br />

le stelle<br />

Invecchiate d’un tratto.<br />

“Al paese…” diceva ogni tanto.<br />

Ma il paese<br />

era un’ombra lontana<br />

Ed i vecchi<br />

le facce stupite<br />

e un po’ sciocche<br />

d’una foto gualcita.<br />

“Al paese…”<br />

diceva sommesso,<br />

e pensava<br />

che un paese ci fosse davvero<br />

laggiù dove i monti<br />

vestivano l’azzurro<br />

E che ancora ci fosse<br />

la bruna Maria<br />

con occhi di pianto,<br />

nascosta<br />

Oltre il nuovo pagliaio<br />

dove una sera,<br />

piangendo e soffiando<br />

come una giumenta…<br />

Al paese…<br />

Le ore bastavano appena<br />

per le cose d’un giorno,


per la rabbia e la fame,<br />

per l’orto<br />

La stalla e la vigna,<br />

per le storie d’amore<br />

contate<br />

Sotto il lume a petrolio.<br />

Al paese<br />

c’era un Cristo di legno<br />

e sua madre,<br />

la sera,<br />

parlava con esso,<br />

della vacca malata<br />

e delle quattro galline<br />

ormai vecchie.<br />

Ogni giorno al paese<br />

il sole nasceva<br />

cuocendo nei campi<br />

la spiga<br />

e cullando nell’ombra<br />

la loro stanchezza,<br />

ma certo non era<br />

Lo stesso, non certo<br />

lo stesso di neve<br />

che nasceva d’un tratto<br />

e poi tramontava<br />

Portandosi<br />

i poveri morti<br />

contati ogni giorno.


VIII CLASSIFICATA Rosanna Di Iorio. Premia il Poeta giurato<br />

Prof. Pasquale Balestriere.<br />

NUMERO QUATTROCENTOOTTANTATRE,<br />

MASCHIO, APPENA TRE ANNI E FORSE MENO<br />

Tu non c’eri tra le onde quella sera<br />

mentre si scatenava la bufera.<br />

No, tu non hai provato la paura,<br />

il gelo che l'assenza di una luce<br />

nelle viscere getta al fuggitivo.<br />

Tu non eri nel panico, travolto,<br />

alla ricerca ostile di un riparo<br />

improbabile col passar del tempo.<br />

Non hai visto le mani disperate,<br />

bagnate e gonfie sussultare, uscire<br />

sotto la pioggia dell’Indifferenza,<br />

di un mattino feriale uguale ad altri<br />

e dove un nome è un nome e niente più.<br />

NUMERO QUATTROCENTOOTTANTATRE,<br />

MASCHIO, APPENA TRE ANNI E FORSE MENO<br />

In riva tanti corpi e poche facce


ancora calde nel precario stato<br />

tra la vita e la morte. Tu non c'eri.<br />

Tu eri dentro l’angolino d’ombra<br />

tranquillo, e cavalcavi le stesse onde,<br />

gli intrecci. Sotto un sole illuminato.<br />

Oggi anche gli uccelli, indaffarati,<br />

ai tralicci non sanno cosa fare.<br />

Mentre tu sempre là nel tuo cantuccio<br />

sospeso aspetti il seguito di un sogno<br />

con carovane misere che vanno<br />

lentamente in attesa di una Voce<br />

Come Odisseo per cedere Speranza.<br />

Una voce che circola dabbasso,<br />

il volto nudo senza mai vergogna<br />

e che nasconde il sole tra le pieghe<br />

dell’Incoscienza. Come sempre. Vaga.<br />

Inutilmente vana. Come sempre.<br />

E dici che non è successo niente.<br />

Eppure sai che le sirene più<br />

sanno cantare ormai. Ma non fai niente.


IX CLASSIFICATO Angelo Taioli<br />

Di tutte le sentinelle<br />

Di tutte le sentinelle di polvere<br />

lasciate a contare anni sulle vene<br />

dei mobili, a tremare sulle cenge<br />

ridenti dei ricordi incorniciati,<br />

confidi ancora almeno una<br />

abbia vegliato attenta nelle notti<br />

di ciglia della bambola sul letto?<br />

Nel vai e vieni dei fantasmi, qualcuno<br />

abbia segnato in eterei libri<br />

mastri, il resoconto dell’assenza?<br />

dell’erba alta nel cortile, dell’edera<br />

che allunga occhi<br />

nello scuro di crepe di lucertole?<br />

O anche tu sei rimasta, con le spalle<br />

contro un angolo di vento, confusa<br />

nel mite di un natale? Assieme al pino<br />

che mettemmo a dimora nell’abbraccio<br />

di una fioriera di cemento? (uguale<br />

a quelli che vedemmo in fila, appena<br />

fuori il parcheggio a pagamento in piazza<br />

duomo, davanti al velluto deserto<br />

della porta della misericordia<br />

- spruzzati di neve sintetica -<br />

che imploravano sguardi sotto i portici<br />

degli ultimi saldi,<br />

alla gente senza peccato,<br />

che camminava svelta e sicura<br />

nelle scarpe con l’acca.)


X CLASSIFICATA Antonio Colandrea<br />

“Cave d’autunno”<br />

Cave d’autunno, covi di ricordi<br />

di rovi e mandorle, capponi<br />

di uomini chini a spingere vagoni<br />

lungo binari in fuga verso il mare.<br />

Amigdala dorata la memoria<br />

s’apre e m’inonda<br />

di schizzi d’arso sale<br />

nessun ricordo affonda<br />

bensì ogni cosa adesso affiora, sale.<br />

Con schianti di granata partoriva<br />

la candida montagna i suoi graniti<br />

rosseggiava al tramonto la tua casa<br />

da un frastaglio di mandorli parata<br />

E ci portavi in dono meraviglie:<br />

le verdi asprigne drupe<br />

i ruspanti introvabili castrati<br />

dai muscoli di marmo…<br />

Canto il rimpianto, cerco l’armonia<br />

per via perduta, ai cardini del tempo<br />

m’impongo di provare a rattoppare…<br />

mi pungo ai cardi dell’è troppo tardi!<br />

Da pietra incandescente a nano spenta<br />

al gioco torno degli antichi incastri<br />

ma gli angoli smussati più non hanno<br />

punte che vanno ad ancorarsi al cuore.<br />

Figlio d’autunno anch’io come calcare<br />

dovevo transitare in altra forma<br />

e frantumarmi, farmi dilavare.<br />

L’onda che monta adesso è una marea<br />

da pietra viva a riva mi riporta<br />

come pomice sasso calcinato<br />

al cuore abbacinato del calcare.<br />

Ispirata da “Cave d’autunno” di Montale


MENZIONE DI MERITO Saverio Cristiani<br />

50 ANNI<br />

Campo di concentramento di Mauthausen, aprile 1995<br />

Tre giorni di vento<br />

Signore<br />

tre giorni soltanto<br />

Il primo in coro a pregare<br />

in ginocchio a pregare<br />

i soldati a pregare<br />

quest’ultima croce<br />

da sola<br />

a spezzarci la voce<br />

Tre giorni di vento<br />

Signore<br />

tre giorni soltanto<br />

Il secondo a guardare<br />

con gli occhi sbarrati<br />

in silenzio a guardare<br />

le file accorciarsi sul prato<br />

ed il fumo salire<br />

lontano nel cielo velato<br />

Tre giorni di vento<br />

Signore<br />

tre giorni soltanto<br />

Il terzo da soli a salire<br />

la scala più dura<br />

la scala che porta a morire<br />

il fiato più corto ogni momento<br />

quel fiato diventi<br />

soltanto tre giorni di vento


MENZIONE DI MERITO Maricla Di Dio<br />

Se questa è pace<br />

Ti allontani e con te cade un giorno<br />

che somiglia a quello di domani<br />

Un fascio di bruma dietro la porta del sole<br />

L’ora del respiro bianco, delle cose ripassate<br />

e stese ad un filo di luna<br />

In un fosso del giardino moscerini e foglie<br />

Poi, nell’oscuro, cresce il silenzio<br />

Manca un grano d’amore<br />

Un brivido, una carezza sul cuore<br />

Se questa è pace, ha il sapore del sorbo<br />

E gocciola e s’annida negli incavi un gelo d’alto autunno<br />

Anche i muri perdono calore<br />

Mi abbraccio. Il freddo scopre la fragilità dell’osso<br />

Dorme Siena di profondo blu<br />

Case di carta<br />

Lontane. Oltre i vetri.


MENZIONE DI MERITO Adriana Lozza<br />

Amato figlio<br />

Da prima che tu fossi ti ricordo<br />

A tingermi la vita di chimere<br />

A dare voce e forma ai miei silenzi<br />

Per non più inganni di parole vuote.<br />

Ricordo il tuo albeggiare in desideri<br />

Contro il delirio del mio triste assenso (*)<br />

Contro foschie di cieli tumultuosi<br />

Verso una gioia luminosa e grande.<br />

Io ti trovai potente nei miei sogni<br />

Ancora informe a dirmi della vita<br />

A fare dei miei dubbi una speranza<br />

Per il mio amore ancora da pensare.<br />

Ma il mondo intero si faceva opaco<br />

Nei giorni in cui svaniva la mia attesa (**)<br />

E un flusso oscuro mi graffiava il cuore<br />

Lasciandomi il dolore dei miei errori.<br />

Stordirmi ancora in una nuova attesa<br />

Stravolta da disprezzi e incomprensioni<br />

Lungo un sentiero senza direzione<br />

A ritrovar la traccia del mio amore.<br />

Ma ancora tu a tessere il mio tempo (***)<br />

In trame di pensieri già pensati<br />

In giochi di memorie mai svanite<br />

Per nuove aurore ancora da guardare.<br />

Amato figlio, è il suono inesplorato<br />

D’intenso pronunciar di sentimenti<br />

Quando all’inerzia ed al clamore antico<br />

Ho dato un volto ed un valore nuovo.<br />

E andammo insieme oltre le barriere<br />

Ad abbracciar la vita in altri modi<br />

A ritrovar sentieri mai tracciati<br />

Tra i varchi informi dei perduti amori.


Ricordi amari a dare peso ai giorni<br />

E nuove lontananze da esplorare<br />

Per la malia di un vuoto menzognero<br />

Lasciato al suo destino disperato.<br />

Ma il nostro camminare negli affanni<br />

Si fece storia in cieli misteriosi<br />

Tra ombre e luci e sguardi tempestosi<br />

Lungo distanze ancora da colmare.<br />

E poi l’abisso buio, e ancora buio<br />

Dentro i silenzi al giorno irrivelati<br />

Tra le volute delle antiche sfere<br />

Per le stagioni ancora da inventare.<br />

Tutto lasciammo al vento della vita<br />

Oltre le alture ai passi consumate<br />

Tra le maree dei tuoi albeggianti anni<br />

E i fuochi fatui delle mie passioni.<br />

Non più parole a dirci del destino<br />

Ma echi di silenzi sconosciuti<br />

E il suono greve ai passi solitari<br />

A calpestar speranze ormai perdute.<br />

Ma un orizzonte ancora abbacinante<br />

Ci viene incontro al chiaro dell’aurora<br />

E porta antiche mete alla coscienza<br />

Ormai accesa di una luce nuova.<br />

E adesso noi avvinti dall’amore<br />

Che non sa fingersi finito<br />

Perché il mistero di cui siam fatti dono<br />

Riveli la sua logica immortale.<br />

Amato Figlio ancora voglio dire<br />

Ti sia la vita fonte di ogni bene.<br />

* Avevo votato a favore dell’aborto ma poco dopo mi sono pentita amaramente.<br />

** Avevo avuto delle cospicue perdite ed il ginecologo mi aveva detto che avevo perso il bambino.<br />

*** Ero di nuovo in stato interessante ma ad un esame ecografico il bambino risultava essere più<br />

grande di diverse settimane. Era lo stesso bambino che non avevo mai perso, grazie a Dio!


MENZIONE DI MERITO Elena Varriale. Premiano Il Presidente di Mimesis Prof. Nicola<br />

Maggiarra e la direttrice del Premio Dott.ssa Patrizia Stefanelli.<br />

Sibilla<br />

Dark lady della predizione o<br />

Vergine nera maledetta da Apollo<br />

sono Amaltea, Sibilla di antro fumante.<br />

Nella carne invecchio, tra rughe mi dispero<br />

ma di morte non conoscerò liberazione.<br />

Nella terra d’Averno e del fuoco<br />

destino scritto è il mio vaneggio<br />

farnetico, sobbalzo, ansimo, prevedo:<br />

sono la perenne veggente vecchia!<br />

Sentite l’eco di voce che ferisce l’antro?<br />

Rimbalza dalla pietra sulla pelle<br />

è un sibilo di viscere in fiamme<br />

lava incandescente che entra nelle vene<br />

rantolo di roccia rovente è l’inferno<br />

che accende l’orrore delle visioni.<br />

Col ventre gravido di oracoli<br />

mi consumo nel dolore, mi dilanio<br />

nelle veggenze: tremo, sussulto, arranco.<br />

A confortarmi c’è la pietas che stringo<br />

con foga tra i mille perché invocati.


Domande e quesiti, istanze e preghiere<br />

riesco a contenere tutto, ma è nella luce<br />

che ferisce gli occhi bui della morte<br />

ed illumina tortuose strade della profezia<br />

che trovo le risposte che dispenso.<br />

Ferita che sfibra in eterno è il mio tormento:<br />

conoscere tutto e non poter vivere niente.


POESIA EDITA<br />

I CLASSIFICATO Carmelo Consoli .Riceve il premio consistente in una pubblicazione in 100<br />

copie dall’editrice Dott.ssa Irene Sparagna. In queste foto riceve anche il premio Speciale<br />

stampa dalla giuria dei giornalisti-critici-editori.<br />

Lampedusa<br />

Potessi addolcirla questa terra amara,<br />

restituirla al profumo antico delle zagare,<br />

allo stupore dorato delle maree lontane,<br />

fanciullo perso tra calanchi neri di schiume,<br />

capperi e ginestre sgomente d'infinito tra le rocce.<br />

Potessi ritornare alla dolcezza degli approdi,


di quattro vele all'orizzonte,<br />

nel canto sereno della risacca,<br />

all'isola cara che mi fu madre di odorosi silenzi,<br />

speranze d'amore tra albe dorate e rosati tramonti.<br />

Nei bianchi sentieri, nelle fumide campagne<br />

adesso ho perso la mia ombra solitaria<br />

tra polvere e mare nelle controre assolate,<br />

per unirmi a vite sconosciute in un grido<br />

di fame e libertà.<br />

Ho lasciato nel legno marcio dei barconi,<br />

nelle misere spoglie alla deriva<br />

il canto di marine luccicanti,<br />

gli orizzonti colmi di stelle e l'illusione<br />

che oltre il filo azzurro dei confini ci fossero<br />

mondi favolosi, uomini uniti da un sogno di pace e dignità.<br />

E ora potessi addolcirla questa terra amara,<br />

con la fragranza antica delle piane,<br />

l'odore buono del pane, del fumo dei camini.<br />

Renderla l'Itaca preziosa<br />

che spunta dalle acque della morte e sorride di vigne,<br />

ulivi, piane colme di grano e di pietà.<br />

Potessi tornare al tempo dei cieli immensi<br />

senza guerre, mescolare la meraviglia che sorgeva<br />

allora dalle onde con il coro di dolore<br />

di infinite processioni a un passo ormai dall'isola felice,<br />

la prua in vista del candore dei gelsomini.


II CLASSIFICATO Valerio Di Paolo. Riceve il premio dal poeta e giurato Prof. Candido<br />

Meardi.<br />

… quello che resta … (per Anna)<br />

Non ci sarà più l’acciottolio dei piatti<br />

in quei dopopranzo d’estate,<br />

né ci sarà l’ultima fetta di anguria<br />

sul tavolo della cucina.<br />

Sarà inutile dire ai ricordi di mettersi in posa e sorridere ancora.<br />

Spenti i papaveri non crescerà più neanche il grano.<br />

Dopo il fischio del treno che passa<br />

rimane il suono che man mano si spegne<br />

poi, resti sola.<br />

Sarà come abitare il destino, passerai le giornate<br />

a incartare quel che resta dei sogni<br />

nel giornale di ieri.<br />

Sarà come guardare un vassoio di frutti di cera


posato sul tavolo della cucina<br />

là, dove c’era la fetta di anguria.<br />

La voce non troverà più la bocca<br />

nemmeno per mettere un “mio”<br />

dopo una parola o un pensiero d’amore.<br />

Il silenzio che resta non possiamo dividerlo mai<br />

con nessuno, ognuno avrà il suo.<br />

Rimarrai in quelle vecchie stazioni<br />

dove i treni non fermano più,<br />

con i ricordi che ronzano in testa,<br />

segmenti di voli di mosche<br />

sotto una lampada spenta da tempo.<br />

Ti farà compagnia solo un vento di treno<br />

che trascina davanti ai tuoi oggi<br />

le pagine del giornale di ieri,<br />

dentro un dialogo fitto<br />

tra la neve e la neve.


III CLASSIFICATA Giusy Frisina. Riceve il premio dal Prof. Candido Meardi e dal Presidente di<br />

Mimesis Prof. Nicola Maggiarra.<br />

Visione greca<br />

Luna d’oro sul blu<br />

Jonico imbrunire<br />

Moneta inestimabile<br />

Da non dimenticare<br />

Vedo<br />

L’alba d’oro che si accende<br />

Sulla fiaccola attenta dei miei occhi<br />

Olimpiade sognata sulle strade d’Oriente,<br />

Tu antico padre dalle spalle larghe,<br />

Tu risvegliami sul teatro del cosmo<br />

Aperto all’entusiasmo delle stelle -<br />

Solo per me e solo per chi insegue<br />

L’armonia antica nelle notti scure<br />

Solo per chi - leonessa di Micene -<br />

Attende quella luce e non si stanca<br />

Tu aprimi le porte dei ghiacciai<br />

Vedo<br />

Un giorno puro ed assolato<br />

Immerso dentro la città svenduta<br />

Sui muri di cemento senza nome<br />

Che pure abbraccia i profughi pietosa


E annida fiabe di vecchi e di bambini<br />

Nelle pagine nude dei condomini<br />

E salva sulle colline la sua Storia<br />

Vedo<br />

Il mare brillare eterno nel denso pomeriggio<br />

Nell’azzurra stregata primavera<br />

Dove ogni cosa è ferma o in movimento<br />

In estasi o in tormento<br />

Secondo come la guardi<br />

Vedo<br />

Il papavero e la pietra<br />

Contendersi la gloria<br />

In silenzioso dialogo nel verde<br />

Sull’abissale inquieta rotta del tempo<br />

Ora rimasto a trattenere il fiato<br />

Per questa strana luce che lo avvolge<br />

Ma senza più aspettare una risposta<br />

Se la domanda può bastare a se stessa<br />

Vedo<br />

La vita che s’inebria del suo cielo<br />

Mentre divento farfalla dalla mente quantica<br />

Che entra dalle finestre e resta fuori<br />

Per poter contemplare la bellezza<br />

Delle alte colonne del tempio<br />

Come del filo d’erba e della brezza<br />

Vedo<br />

Le commosse lanterne della Plata<br />

Sospese nell’incanto del tramonto<br />

Dipinto sull’Acropoli<br />

Che di colpo s’illumina di giallo<br />

Lottando con la notte che ora scende<br />

Sulla cima di una memoria remota<br />

Nascosta solo dagli alberi<br />

Vedo<br />

L’agorà che si alza all’improvviso<br />

Più dolcemente sull’ orlo della sera<br />

E tu sali solenne magistrato<br />

Saggio filosofo – poeta - visionario<br />

Su per le strade polverose e bianche<br />

Di una città salvata solamente<br />

Dal grande desiderio di rinascere<br />

E chiami Atena e arriva Poseidone


Dalle vele sul mare che ritorna<br />

Vedo<br />

Che non sono più chi sono<br />

Quando ritrovo le mie radici in un mondo<br />

Cancellato da secoli<br />

E non so più se arrivo o sto partendo<br />

Se la danza delle Tìadi sul Parnaso<br />

Sia sacra a Dioniso e cara anche ad Apollo<br />

E l’uno vada ancora verso l’altro<br />

Nel sacro cerchio dell’eterno ritorno<br />

E vago<br />

Ancora là dove mi appare<br />

La scintilla più viva della mente<br />

E penso ancora a te<br />

Che non dici più niente<br />

Nel silenzio che ora mi risponde<br />

E sarà nulla e resta solo il dubbio<br />

Eppure volo anche se resto a terra<br />

Più umana e più divina finalmente<br />

Con sullo sfondo il volto della Sfinge<br />

Che chi sa come ci sorride sempre


IV CLASSIFICATA Maddalena Leali<br />

Bisso di mare (Byssus)<br />

A Kevin<br />

Il piccolo cancello aperto dall’alba<br />

e Clementina la gatta a fare la guardia<br />

dei miei pochi gradini di ogni mattina.<br />

Girata la toppa, ricordi? spingevo la porta.<br />

Un sussurro il tuo nome,<br />

uno scoppio la tua risata. Eri là.<br />

Dolce, l’ansia si disperdeva<br />

sotto i pini marittimi,<br />

fra gli aghi secchi e le processionarie.<br />

Il tempo disperso nei ritmi diversi,<br />

convulsi, gioiosi, tristi, complicati,<br />

seppure amorevoli, giochi complessi<br />

per le anime cieche, algoritmi<br />

ogni giorno sconnessi,<br />

percezioni semplici soltanto<br />

ai sensi dei bimbi.<br />

Ricordi? l’anno dei no, l’anno dei sì,<br />

i giochi del su, la paura del giù.<br />

E il buio… E quel tuo camminare<br />

restando seduto alla conquista<br />

del complice nido dell’amico<br />

come te sfortunato.<br />

Breve, questa piccola ombra<br />

che lasci a me che continuo a vivere.<br />

Mi vedi? Malinconica e muta, non triste.<br />

Perché non sei nella memoria trapassata,<br />

precipitoso e lieve, come tela di rado<br />

ordito e inesistente trama, preziosa,<br />

però, e protetta come bisso di mare,<br />

sconosciuto e nascosto alle menti dei più.<br />

Il tempo sempre raggiunge<br />

e s’indossa a qualcuno lacerandone i giorni,<br />

Stupido tempo: nella sua inconsapevole<br />

erranza tralascia il bisso di mare<br />

dei giorni del sì e del no,<br />

dei giochi del giù e del su.<br />

E io che so di averti amato tanto<br />

riparo di seta lo strappo … e ti trattengo.


IV CLASSIFICATO A PARI MERITO Rodolfo Vettorello. Riceve il premio<br />

dal Prof. Pasquale Balestriere.<br />

Elogio dell’imperfezione<br />

Aride stelle in cielo;<br />

geometrie<br />

senza emozione, senza luce, senza<br />

una semplice nota dissonante,<br />

una parvenza minima che parli<br />

della bellezza dell’imperfezione.<br />

Questo universo immobile ci incanta<br />

e l’ordine perfetto ci seduce<br />

ma vivere è tutt’altro.<br />

E’ il fango che produce<br />

le fioriture magiche del cuore.<br />

Si vive male, a volte, ma si vive<br />

malgrado la follia degli assoluti.<br />

Si spera il sole e intanto ci si appaga<br />

del freddo di un inverno senza luce.<br />

Il vento cresce<br />

e porta neve all’uscio delle case,<br />

risale le colline addormentate<br />

nell’infinito sonno senza luna.<br />

Come in letargo, la natura tace<br />

e un tempo impercettibile trascorre<br />

sull’orologio, al muro di cucina.


Non farei cambio della mia fortuna<br />

di vivere una vita irrazionale<br />

con l’equilibrio inutile dei saggi.<br />

La geometria perfetta dei solstizi<br />

genera mostri.<br />

Solo il cuore,<br />

la sua tachicardia disordinata,<br />

dà il giusto ritmo al vivere una vita<br />

di un’unica certissima nozione:<br />

la meraviglia dell’imperfezione.


V CLASSIFICATO Saverio Cristiani<br />

Il pozzo<br />

C’è un pozzo profondo nascosto<br />

tra le righe che leggi<br />

Ogni tanto mi ci fermo a pensare,<br />

e pescando a casaccio nel buio<br />

attingo quel po’ di dolore che basta<br />

a tirar sera col fiato di sempre.<br />

Poi sciolgo la mano al saluto e riparto<br />

lasciandomi dietro una polvere antica<br />

e tanta corda<br />

come rimpianto<br />

a penzolare.


VI CLASSIFICATA Franca Donà. Durante la lettura della sua poesia ad opera dell’attore e regista Nino<br />

Fausti e nel momento di premiazione con la poeta Carmela Esposito<br />

Quando i fiori cantavano<br />

Per quei fiori rossi mai fermi<br />

all’aria che sa di cielo e di campane<br />

per quei ricordi nel fazzoletto bianco<br />

pronti a far piangere se penso<br />

a mio padre e la sfilata dietro la bandiera<br />

lo stemma senza corona che è più regale<br />

nel campo vermiglio la falce e il martello<br />

e tu con un garofano sulla giacca buona<br />

la musica che rimbomba dentro al cuore<br />

i capelli indietro lucidi e gli occhi ancor di più<br />

a costruire l’Italia del lavoro e la famiglia.<br />

A quei fiori rossi, al fremito del cuore<br />

a quella musica che il vento ha catturato<br />

a mio padre, al suo bicchier di vino<br />

all’uomo che è stato … io dico “grazie”<br />

per quei garofani che porto dentro al cuore.


VII CLASSIFICATA Carmela Esposito<br />

La casa del sole<br />

Le carte dell’avvenire<br />

chiusero un anno<br />

sulle cose di dicembre<br />

Stesero un velo<br />

sullo smagrito cipresso del camposanto<br />

conta in quel luogo<br />

il silenzio dei taciturni<br />

che tengono tutto dentro.<br />

Anche la mente<br />

ha un suo lutto<br />

lavato via da una mimosa di marzo<br />

o dai passi incerti del primo pettirosso<br />

non tutti sanno volare<br />

non tutti sanno partire.<br />

Già la pioggia nel giardino<br />

spolvera foglia a foglia<br />

cycas nell’aiuola<br />

scrosta calce dai muri<br />

la casa di sole<br />

diventa triste per sempre<br />

le rose respirano a fatica<br />

i tarli scavano buchi<br />

larghi una vita.


MENZIONE DI MERITO Carla Maria Casula<br />

Pennellate di me<br />

Dischiusa a vita incerta<br />

- otto mesi di cova trafelata -<br />

ho respirato il rosso delle fragole<br />

quel maggio capriccioso<br />

che bagnava la pioggia col calore<br />

nei viali della luce<br />

tra le rose spettinate dal vento<br />

e i respiri materni sillabati<br />

Voce nebbiosa e stanca<br />

sul giaciglio di vetro<br />

- pulsava il cloroformio -<br />

vestivo attese bianche stropicciate<br />

nella corsa grinzosa contro il tempo<br />

che con gli artigli muti<br />

smorzava i vagiti<br />

dietro la bocca implume a spine alterne<br />

senza il velluto in fiore<br />

- poi mi coprì l’aroma della vita –


MENZIONE DI MERITO Domenico Pisana<br />

NOTTE DI SAN LORENZO 2014<br />

Consegnami o cielo<br />

al mio canto di libertà,<br />

sguardo dell’anima sul mare,<br />

ridonami l’aria e le stelle,<br />

che danzano come numi dell’olimpo,<br />

la tenue carezza di sangue e di miele,<br />

l’odore salmastro della sabbia,<br />

il sussurro di una brezza di vento,<br />

il sogno amato non sognato<br />

che sversa nelle trafitte delle fibre<br />

foglie verdi destinate ad ingiallire.<br />

Cielo, restituiscimi i tuoi germi d’infinito,<br />

le trasparenze ricamate di voci sibilanti<br />

che parlano lingue di pensieri indecifrabili:<br />

voglio riascoltare ciò che i poeti sanno ascoltare,<br />

imparare la lingua del cuore<br />

che l’impercettibile luccichio delle stelle<br />

possa riflettersi o negarsi: non importa<br />

essere un granello di più, il granello calpestato,<br />

il granello leggero che l’onda si porta via.


MENZIONE DI MERITO Fernando Della Posta<br />

City frame Blues<br />

La città che sgombra, s’ingombra s’inonda.<br />

Mi chiedo le persone sul far della sera<br />

che cosa si dicano in strada<br />

tra il sole che canta l’abisso<br />

e la luna che risponde a dispetto.<br />

Un’ala di fuoco s’andrà celando nel vespro<br />

come un cataclisma nascosto;<br />

avrà pochi cantori invece del sonno<br />

cui rinnovare ogni sera il suo pianto:<br />

pazzi innamorati e bimbi di passo,<br />

da sprazzi di cielo e finestre di specchio,<br />

che s’aprono di smania tra bave di vento<br />

dall’urlo dell’ultimo isolato violento.<br />

Vorrei, sotto i portici inanellati di gelo<br />

dal mio bicchiere di bourbon al banco del mondo<br />

disegnarti gli sguardi a calmare la sera<br />

come il baco nel bozzolo a filare la seta.


MENZIONE DI MERITO Annalisa Rodegherio<br />

ANNA<br />

Era un coro d’angeli<br />

a intonare melodie<br />

per la chiarità del seme<br />

che s’aggrappava al grembo.<br />

Il tuo, Anna, non a caso, scelto.<br />

Intorno adesso s’alzano colonne,<br />

arcate e volte<br />

a colmare spazi antichi<br />

mentre in piena luce<br />

con sguardo dolce avanzi,<br />

ora figlia, al braccio di tuo padre.<br />

Sposa avvolta in veli di magnolia<br />

incanti gli occhi<br />

mentre esibisci grata,<br />

il frutto-dono, la grazia del Disegno:<br />

essere figlia del figlio che ti è nato,<br />

essere madre che se lo stringe al petto.<br />

“ E’ questa<br />

la notte in cui si genera al bambino<br />

la madre”<br />

(Nascita di Maria) Rainer Maria Rilke<br />

(Dedicata a mia nipote Anna, diventata prima madre e poi sposa, dopo anni di anoressia)


POESIA DIALETTALE<br />

I CLASSIFICATO Luciano Gentiletti<br />

ER MISTERO DE LA VITA<br />

Quanno che vojo scappà via dar monno<br />

me vado a rifuggià de sopra a 'n monte:<br />

ce sò li boschi... l'acqua de 'na fonte...<br />

'na pace che te scenne ner profonno.<br />

Sortanto si vai immezzo a la natura<br />

ritrovi quer te stesso soffocato,<br />

riacchiappi li valori c'hai scordato,<br />

t'accorgi che stai drento a un'avventura.<br />

T'abbasta guardà 'n fiore... l'animali...<br />

e scopri che ce sta 'na vita sola:<br />

c'è chi striscia... chi cammina... chi vola,<br />

ma in fonno semo fatti tutti uguali.<br />

Vorebbe da sapé perché ce stamo...


perché ce sta la pianta e l'animale...<br />

perché c'è chi fa er bene e 'n artro er male...<br />

da 'ndove semo usciti e 'ndove annamo.<br />

Quanno ch'è sera, attorno ar focolare,<br />

guardo quer foco e fò volà er penziero:<br />

l'anima mia se sperde ner mistero<br />

come un fiume ch'affoga drento ar mare.<br />

IL MISTERO DELLA VITA<br />

Quando voglio fuggire dal mondo / vado a rifugiarmi sopra un monte:/<br />

ci sono i boschi... l'acqua di una fonte.../ una pace che ti scende nel profondo./<br />

Soltanto se sei immerso nella natura/ puoi ritrovare te stesso,/<br />

riprenderti i valori che hai dimenticato/ accorgerti che stai dentro un'avventura./<br />

Ti è sufficiente guardare un fiore... un animale.../ per renderti conto che la vita è una sola:/<br />

c'è chi striscia... chi cammina... chi vola,/ ma nel profondo siamo tutti uguali./<br />

Vorrei sapere perché esistiamo.../ perché esiste la pianta e l'animale.../<br />

perché c'è chi è propenso a fare il bene e chi il male.../ da dove veniamo e dove andiamo./<br />

Scende la sera e accanto al focolare/ la mente è affollata di pensieri:/<br />

l'animo mio si perde nel mistero/ come un fiume che annega nel mare./


II CLASSIFICATA Daniela Gregorini<br />

Dal muntiròzz<br />

Adè sin machì, su l’alt, no’ dó,<br />

indulcìt’ da quell che vdén.<br />

Guarda ma sta terra<br />

ndó c’avén l’ ràich:<br />

è ‘l crìn ‘ndó sinn cresciùt.<br />

Guarda l’ pòrch ‘nti càmp<br />

domesticati dai contadìn,<br />

còm i capéi dla pupa<br />

che tu hai petnàt.<br />

Guarda i colór, giù giù fin da piéd<br />

‘ndó cmìnc’n l’ càs ricamàt<br />

su l’òréll del tappèt c’lèst, l’ mar,<br />

che tira ‘l ròccl<br />

ma cla strisciulìna d’ réna.<br />

Guarda ma ‘l maés, l’ vìgn,<br />

i ulìv, ‘l gràn ch’ verdéggia…<br />

anicò inscén par na cuperta<br />

ch’ t’ha fatt nònnta a scàcch,<br />

sa l’uncinét… e l’autostrada<br />

è na piega ‘ntél mèzz.<br />

Fermt. Fermt a sentì i passr ch’ cantn,<br />

l’ gagg’ ch’ sgàgg’n, ‘l tord ch’ zìrla<br />

o ‘l mèrl ch’schocc’la…<br />

fra càlc giorn arnirànn l’ róndn a stórm<br />

e arcminciarà la festa .<br />

Pù sènt ‘st’odór e tiénl da cónt :<br />

ancora è quèll intìc dla campagna,<br />

anca si i palazz ènn nùti su a ròta;<br />

è quell dl’burìn<br />

che s’arampica fin maquasù,<br />

di àlbr che buttn fòra i fiór;<br />

st’ódór ch’ t’ s’appicc’ca ma l’anma<br />

cóm quell dla pèll d’ mamta<br />

che, passàt i ann, énn te potrai scordà<br />

e si sarai distànt<br />

t’ darà gust argì a trovà.<br />

Dal poggio<br />

Adesso siamo qui, in alto, noi due,/ addolcite da quello che vediamo./Guarda questa terra/dove<br />

abbiamo le radici:/è il cesto per pulcini dove siamo cresciute./Guarda i solchi dei campi/addomesticati


dai contadini,/ come i capelli della bambola/ che tu hai pettinato./Guarda i colori, giù giù fino in<br />

fondo/ dove cominciano le case, /ricamate sull’orlo/del tappeto celeste ,il mare,/che fa la corte alla<br />

strisciolina di rena./guarda le maggesi, le vigne,/ gli olivi, il grano che verdeggia…/tutto insieme pare<br />

una coperta /che ti ha fatto nonna a scacchi,/con l’uncinetto…e l’autostrada/ è una piega nel mezzo./<br />

Fermati. Fermati ad ascoltare i passeri che cantano/le gazze che starnazzano, il tordo che zirla, il merlo<br />

che chioccola…/fra qualche giorno torneranno le rondini a stormi/e ricomincerà la festa./Poi senti<br />

quest’odore e custodiscilo:/ ancora è quello antico della campagna/anche se i palazzi sono spuntati a<br />

ripetizione;/è quello del venticello di bora/ che ti bacia la fronte,/degli alberi che buttan fuori i<br />

fiori;/quest’odore che ti si appiccica all’anima,/come quello della pelle di tua madre/che, passati gli<br />

anni, non potrai scordare/e se sarai distante ti darà gusto tornare a trovare.


III CLASSIFICATO Giuseppe Vultaggio<br />

LUPU DI MARI<br />

A Favignana 1 , ‘st jornu, c’è bunazza 2 ,<br />

lu mari pari ogghiu, ‘un si rimìna,<br />

lu suli nesci fora e si l’abbrazza…<br />

‘na varchicedda nesci di bulìna.<br />

‘Na riti, lentamenti, un vechhiu ‘ntrizza,<br />

chi d’’a so’ vita, fu cumpagna e vantu,<br />

nto mentri, l’aria, la risacca sbrizza,<br />

d’’i tonnaroti 3 già, si senti ‘u cantu.<br />

La menti scurri e si rivìri arzuni;<br />

li verri cu diu Giovi e cu Nettunu<br />

e poi, “lupu di mari”, a lu timùni,<br />

fu cumannanti e “patri” p’ognerunu.<br />

Ricorda quannu, un tempu, a lu scurari,<br />

‘na fimmina, a lu portu, l’aspittava,<br />

ricorda d’’i soi occhi lu brillari,<br />

d’’u so’ caluri…quannu l’abbrazzava.<br />

La persi un jornu e cu idda…la so’ vita,<br />

fu un jornu malirittu, malandrinu;<br />

abbrucia ancora forti dda ferita,<br />

fu mala sorti o forsi…fu destinu!<br />

Canciau lu ventu e ora…l’accarizza,<br />

calau lu suli supra la banchina,<br />

lu vecchiu lassa ‘n terra la so rizza…<br />

‘na varchicedda trasi di bulina!<br />

Traduzione letterale: LUPO DI MARE<br />

A Favignana, oggi, c’è bonaccia, / il mare sembra olio, non si muove, / il<br />

sole esce fuori e se lo abbraccia…/ una barchetta esce di bolina. / Una<br />

rete, lentamente, un vecchio intreccia, / che della sua vita fu compagna e<br />

vanto, / nel mentre , l’aria, la risacca schizza, / dei tonnaroti 3 già, si sente<br />

il canto. / La mente scorre e si rivede giovanotto; / le guerre con dio<br />

Giove e con Nettuno / e poi, “lupo di mare”, al timone, / fu comandante<br />

e “padre” per ciascuno (s’intende dei suoi uomini). / Ricorda quando, un


tempo, all’imbrunire, / una donna, al porto, l’aspettava, / ricorda dei suoi<br />

occhi il bagliore, / del suo calore…quando l’abbracciava.<br />

La perse un giorno e con lei…la sua vita, / fu un giorno maledetto,<br />

malandrino; / brucia ancora forte quella ferita, / fu per sfortuna o<br />

forse…fu destino! / E’ cambiato il vento ed ora…lo accarezza, / si è<br />

abbassato il sole sopra la banchina, / il vecchio lascia per terra la sua<br />

rete…/ una barchetta entra di bolina!<br />

1. Favignana: Con Levanzo e Marettimo è isola dell’arcipelago<br />

siciliano<br />

delle “Egadi” (di fronte la città di Trapani)<br />

1. 2. Bunazza: propriamente lo stato del mare in calma e<br />

tranquillità;<br />

termine marinaro per evidenziare una bella giornata.<br />

1. 3. Tonnaroti: pescatori di tonno.


MENZIONE DI MERITO Maria Teresa Di Marco<br />

LAMENTU DI LA ME TERRA<br />

La me bedda Sicilia io cantu<br />

di pupi aranci e cavaleri<br />

di lu so mari ca comu u mantu<br />

di la Madonna la cuntenti.<br />

E finemula, vi dicu, io mi scantu<br />

Taliarimi pi beru un vi cummeni<br />

aiu u cori ruttu e l’occhi chin’’i chiantu<br />

di comu m’at’ arrubbatu tutti li beni<br />

La zagara ciusisci e fetu sentu<br />

di munnizza e corruzioni<br />

ma unn’aviti sintimentu<br />

Pi la vostra stessa condizioni?<br />

Chi ciusciassi ora stu ventu<br />

di puisia e boni ntinzioni.<br />

Chi ci canti? Aranci sfatti<br />

‘nterra persi e scafazzati?<br />

O li farini chi t’accatti<br />

ca un sa d’unni su purtati?<br />

Io mi sentu afflitta, chi dicu? Dispirata<br />

NNi facistivu minnitta di la me biddizza<br />

Canta di carretti e stiddi<br />

di lanari e tramontana<br />

ma adduma st’occhi, sti faiddi<br />

e va vidi unni si ‘ntana<br />

Cu fa porci commidi e cumanna<br />

cu fa finta di nenti e nun la sganga<br />

sta smania d’omertà<br />

sta mafia, la disonestà<br />

E diccillu: la pinsata è schifiusa<br />

u mari di Sicilia un si spurtusa.<br />

Lamento della mia terra La mia bella Sicilia io canto/di pupi, arance e valaieri/ del suo mare che,<br />

come manto/della Madonna lo racchiude./ E finiamola, vi dico, io ho paura/guardarmi davvero non vi<br />

è conveniente/ho il cuore rotto e gli occhi pieni di pianto /per come mi avete rubato tutti i beni. / La


zagara fiorisce e io sento tanfo7 d’immondizia e corruziione/ma non avete sentitmento (ragione<br />

cuore)/per la vostra stessa condizione?/Magari soffiasse questo vento di poesia e buone intenzioni/<br />

Cos’hai da cantare? Arance ammuffite / a terra, perse e schiacciate?/ o le farine che compri/che non sai<br />

da dove provengono?/ io mi sento afflitta, che dico’ Disperata/ ne avete fatto rovina della mia bellezza<br />

amata/canto i carretti e stelle / di oleandri e tramontana/ ma accendi (apri) gli occhi queste faville/ e<br />

vai a vedere dov’è rintanata/ chi fa i porci comodi e chi comanda / chi fa finta di niente e non la<br />

sradica/ questa smania di omertà/ questa mafia, la disonestà/ E diglielo: l’idea è schifosa/ il mare di<br />

Sicilia non si buca (U mari di Sicilia un si spurtusa) e il motto degli artisti siciliani, contro le trivelle nel<br />

Canale di Sicilia alla ricerca del petrolio.


MENZIONE DI MERITO Pasquale Aceto<br />

BILLO<br />

E mo<br />

m'chiamman' "Cazzillo recchiappese"<br />

Ma in verità? so snob e cacciatore<br />

Zompo fujo e fiuto tutto<br />

Ma chell' che chiù m' piace e fa<br />

è o' poeta.<br />

Si Signore,<br />

o' poeta.<br />

Parlo ca luna cò vient' miez'e fronne<br />

e quann' m' ne tene parlo pur' co' cielo ma<br />

stì quatt fess'<br />

che stann' attuorn a me<br />

nun vonn' capì niente e tutt' chess.<br />

e me chiamm'n<br />

Billoooooooooooooooooooooooo<br />

E i vac'<br />

le zomp' braccia<br />

e me facc'io coccolà.


La giuria dei giornalisti-editori-critici con da sinistra: Marco Martano, Barbara Scudieri,<br />

Orazio La Rocca, Orazio Ruggieri, Massimo Patroni Griffi, Daniela Cecchini, Irene Sparagna.<br />

Foto di gruppo


Piazza Umberto I<br />

Il Nostro presentatore Mariano Dinacci saluta i rappresentanti delle Associazioni intervenute<br />

consegnare il premio offerto: Associazione Don Cosimino Fronzuto Onlus- Prof.ssa Rosamaria<br />

Ugliano, Associazione Diritto & Donna- Dott.ssa Maria Cattolico.


Il presentatore Mariano Dinacci e Giovanna La Vigna ricevono il premio Mimesis per la<br />

collaborazione


NINO FAUSTI<br />

LE VOCI RECITANTI


NICOLA MAGGIARRA


PATRIZIA STEFANELLI


ANDREA MAIORANA della band Piazza Grande di Stefano Fucili


STEFANO FUCILI


Il segretario del Premio Giovanni Martone con Patrizia Stefanelli al buffet<br />

stanchi ma contenti


CIAO!

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