interazioni
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la vicenda di Theodore è solo una delle innumerevoli<br />
traiettorie di disagio, incomunicabilità, solitudine che la<br />
condizione post/metamoderna porta con sè.<br />
Un frammento infinitesimale nelle possibili narrazioni di<br />
contraddizioni, tensioni, ansie e conflitti che non mancano<br />
di caratterizzare la dimensione di un Occidente in crisi<br />
identitaria, economica ed etica. Uno degli strumenti<br />
di pensiero più utili per inquadrare le mutazioni e le<br />
trasformazioni profonde che l’umano come ἄνθρωπος<br />
sta subendo nell’epoca contemporanea, soprattutto in<br />
relazione alla rivoluzione biotecnologica che segna il<br />
passaggio al nuovo secolo, è il concetto di postumano.<br />
Forse mai come in questi anni le scienze umane, e quindi<br />
anche la filosofia, stanno tentando di interrogarsi così a<br />
fondo su una serie di domande aperte e di paradossi legati<br />
alla nostra epoca e alla nostra specie.<br />
Come suggerisce Rosi Braidotti in un recente saggio 08 , la<br />
definizione di postumano implica un doppio passaggio.<br />
Da un lato, il postumano può essere considerato nei<br />
termini di un superamento dell’umanesimo, dall’altro<br />
esso apre la strada alla fine dell’antropocentrismo. La<br />
critica dell’umanesimo è uno dei pilastri filosofici della<br />
postmodernità: materializzatasi sulla scena del pensiero<br />
contemporaneo con Nietzsche, essa entra pienamente<br />
nel dibattito filosofico subito dopo la Seconda guerra<br />
mondiale. In particolare, è con Adorno e la Scuola<br />
di Francoforte che inizia la riflessione intorno ad un<br />
umanesimo dominante e repressivo, legato all’esclusione,<br />
spesso violenta, di tante categorie di esseri che non<br />
vengono considerati umani, o almeno non alla stregua<br />
del modello culturale che sottende: maschio, bianco,<br />
eterosessuale.<br />
Quanto al discorso sull’antropocentrismo, esso potrebbe<br />
essere è considerato come una sorta di confronto tra due<br />
tipi di approccio alla conoscenza, tra le scienze della vita<br />
e le scienze umane. Queste ultime hanno solo di rado<br />
messo in discussione l’idea di ἄνθρωπος come specie<br />
dominante e aggressiva, padrona del mondo. Al contrario,<br />
la rivoluzione biomolecolare e biogenetica degli ultimi<br />
decenni, ha posto le basi per un superamento dell’idea<br />
di antropocentrismo: in questo senso, la vita può essere<br />
considerata come un elemento trasversale che implica<br />
tutte le specie e non è più riducibile al solo essere umano.<br />
08<br />
R. Braidotti, Il Postumano. La vita oltre il sé, oltre la specie, oltre<br />
la morte, Roma, DeriveApprodi, 2014<br />
Da ciò consegue che, come afferma Braidotti, possiamo<br />
già considerarci abitanti di un mondo postumano. Questa<br />
riflessione implica, tra le sue conseguenze, la possibilità<br />
di riconsiderare il paradigma umanistico piegandolo ad<br />
una visione che conduca verso una nuova cultura della<br />
τέχνη, un rapporto “altro” tra uomo e tecnologie dal<br />
quale possano scaturire possibilità di ulteriori dimensioni<br />
esistenziali.<br />
In questo senso, l’interazione tra umano e macchinico<br />
e tra uomo e τέχνη messa in scena da Spike Jonze è la<br />
rappresentazione possibile di un mondo postumano nel<br />
quale siamo già immersi: un mondo in cui, come ipotizza<br />
il Lyotard della “Favola postmoderna” 09 , l’essere umano<br />
si pone sulla strada del divenire postumano e la stessa<br />
nozione di corporeità viene messa in questione da una<br />
tensione all’ibridazione tra macchinico ed umano, alla<br />
rimodellazione del corpo in senso metamorfico-evolutivo.<br />
È un contesto di promiscuità in cui i dispositivi digitali<br />
rappresentano possibili protesi fisiche in un universo in cui<br />
si è sempre connessi e nel quale si tende costantemente<br />
alla deriva post-organica 10 . Si tratta di un processo che<br />
Lyotard preconizzava nella sua “Favola postmoderna” come<br />
necessario sbocco ad un progresso minacciato dalla fine<br />
futura della terra e del sistema solare. Nella visione di<br />
Lyotard, l’unica via d’uscita è rappresentata dall’“esodo”,<br />
ma è evidente che solo un’ulteriore salto evolutivo può<br />
garantire successo a questa operazione.<br />
Tutto ciò implica la necessità di orientare tutte le<br />
conoscenze nel senso di una ri-modellazione del corpo<br />
umano: il progetto è quello di sostituire la carne con nuova<br />
carne sintetica, in modo da rendere il cervello capace<br />
di autosostentarsi, funzionando con l’ausilio delle sole<br />
energie disponibili nel cosmo.<br />
Sembra così che la specie umana possa essere ridotta da<br />
Lyotard ad una pura e complessa forma di organizzazione<br />
dell’energia. Alla stregua di tutte le altre forme, egli riflette,<br />
essa è indubbiamente transitoria e pertanto destinata<br />
ad essere oltrepassata da forme ancora più complesse<br />
che successivamente si materializzeranno nel corso della<br />
09<br />
J.-F. Lyotard, Moralités postmodernes, Parigi, Galilée, 1993<br />
10<br />
cfr. P. Virilio, “Dal corpo profano al corpo profanato” in P. L.<br />
Capucci (a cura di), Il corpo tecnologico. L’influenza delle tecnologie<br />
sul corpo e sulle sue facoltà, Bologna, Baskerville, 1993, ma anche<br />
la riflessione cinematografica di David Cronenberg in “Crash”<br />
(1996) o di Shinya Tsukamoto in “Tetsuo, the Iron Man” (1989)<br />
storia e dell’evoluzione cosmica. E la forma destinata a<br />
superare quella umana sarà decisamente più complessa.<br />
Ma cosa implica tutto ciò, in termini più concreti? Lyotard<br />
intende il fatto che questa prevedibile ipercomplessità<br />
sarà completamente orientata ad un unico e categorico<br />
fine: quello della sopravvivenza, per il tramite di un vero<br />
e proprio esodo, dopo la distruzione della vita terrestre<br />
susseguente alla morte del Sole. Si tratta di una forma<br />
di vita che si autosostenterà servendosi direttamente<br />
delle uniche forme di energia fisica esistenti nel cosmo,<br />
e cioè le particelle senza previa preorganizzazione. Con<br />
questa favola, si è in grado soltanto di prevedere che<br />
l’eroe dell’esodo non sarà un semplice sopravvivente al di<br />
fuori del sistema solare, dal momento che esso non potrà<br />
essere considerato “vivo” nel senso che correntemente<br />
conferiamo al termine. Lyotard scrive a tal proposito:<br />
La favola postmoderna narra un’altra cosa,<br />
completamente distinta. […] Senza ragione alcuna gli<br />
Umani si credono di essere il motore dello sviluppo e<br />
lo confondono con il progresso della coscienza e della<br />
civilizzazione essendo suoi prodotti […] incluso le<br />
critiche che essi possono opporre allo sviluppo, alle<br />
sue diseguaglianze, irregolarità, fatalità, inumanità. 11<br />
Lyotard specifica che non esiste una visione ottimistica<br />
legata al divenire postumano ed all’esodo. Questo racconto<br />
è semplicemente una spiegazione e non può rappresentare<br />
in alcun modo una speranza. Anzi, esso prelude alla fine<br />
di ogni speranza, in quanto espressione della crisi e non<br />
soluzione della crisi stessa. Conclude Lyotard:<br />
Potremmo dire che la favola che abbiamo raccontato<br />
è il discorso più pessimista che il Postmoderno possa<br />
realizzare di se stesso. Non fa più che prolungare<br />
quelli di Galileo, Darwin e Freud: l’uomo non è il<br />
centro del mondo. 12<br />
In definitiva, la riflessione di Lyotard prelude ad una<br />
serie di interrogativi etico-politici intorno alla scienza<br />
ed alla tecnica, che in gran parte sono raccolti da Spike<br />
Jonze nel suo film. Continuare sulla strada del progresso<br />
scientifico-tecnologico è un dovere morale? La risposta di<br />
Lyotard è positiva, nella misura in cui la salvezza della vita<br />
intelligente è per l’umanità un dovere morale. È questo un<br />
possibile punto di volta dell’intera riflessione, dal momento<br />
11<br />
J.-F. Lyotard, op. cit., p. 45<br />
12<br />
J.-F. Lyotard, op. cit., p. 46<br />
che offre la possibilità di una ricongiunzione finale dei<br />
discorsi dell’etica, della scienza pura e della tecnoetica.<br />
Quello che appare evidente è che l’universo avrà senso<br />
fino a quando in esso permarranno forme di intelligenza.<br />
Ed esso avrà senso anche nel caso in cui queste forme si<br />
riconfigureranno in senso artificiale e non biologico. Come<br />
ha osservato Riccardo Campa,<br />
[...] ciò che si emancipa progressivamente è<br />
l’intelligenza. Non deve inoltre sfuggire il fatto<br />
che l’intelligenza prende anche la forma di<br />
conoscenza dell’essere, ossia di scienza pura. Vista<br />
indipendentemente dal suo attuale supporto umano,<br />
la scienza pura non è altro che l’autocoscienza<br />
dell’universo. Quindi, a ben vedere, è la scienza pura<br />
la vera protagonista della storia. È vero: noi umani<br />
non siamo il fine dell’evoluzione cosmica, ma nella<br />
misura in cui riusciamo a concepire scienza pura, ad<br />
essere scienza pura, siamo comunque protagonisti<br />
decisivi di questa favola. 13<br />
Se ci poniamo all’interno di questa visione esistenziale, ci<br />
accorgeremo di aver “oltrepassato” il postmoderno, alla<br />
ricerca di nuovi orizzonti, verso nuovi paradigmi in cui<br />
uomo e τέχνη riescono ad incontrarsi nel postumano in<br />
maniera inattesa e feconda.<br />
13<br />
R. Campa, “Dal postmoderno al postumano. Il caso Lyotard”, in<br />
Letteratura Tradizione 42, Pesaro, Heliopolis Edizioni, 2008<br />
V<br />
VI