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Dal postmoderno al postumano: percorsi lyotardiani in “Her” di Spike Jonze<br />

Dal postmoderno<br />

al postumano: <br />

Jean-François Lyotard: postmodernismo e transumanesimo.<br />

Her, di Spike Jonze, USA, marzo 2013.<br />

percorsi lyotardiani<br />

in “Her”<br />

Leandro Pisano<br />

di Spike Jonze<br />

1


Leandro Pisano è dottore di ricerca<br />

in Studi culturali e postcoloniali del<br />

mondo anglofono presso l’Università<br />

“L’Orientale” di Napoli e cultore della<br />

materia in Didattica del latino presso<br />

l’Università “Federico II” di Napoli.<br />

Docente di ruolo in materie letterarie,<br />

latino e greco dal 2013, è curatore<br />

e critico e si occupa di arti sonore,<br />

ruralità e nuove tecnologie. Dirige<br />

dal 2003 il festival internazionale di<br />

new arts Interferenze ed ha fondato<br />

nel 2014 Liminaria, progetto di<br />

potenziamento delle reti locali nel<br />

Fortore beneventano.


I<br />

III<br />

Tra postmodernità “Antifragile” e metamodernità<br />

Una lettura pluriversa: dal postdigitale al postumano<br />

VI<br />

Bibliografia


Tra postmodernità “Antifragile” e metamodernità<br />

Il dibattito sulla (presunta) fine della postmodernità si<br />

è arricchito negli ultimi anni di una serie di elementi<br />

che tendono a riposizionarlo sempre più al centro della<br />

riflessione sia nell’ambito degli studi più strettamente<br />

filosofici che in quelli di matrice culturalista (con<br />

riferimento specifico al postcolonialismo ed al<br />

decolonialismo), alimentandosi di prospettive che ne<br />

ribadiscono la sua urgenza laddove si considerino, per<br />

esempio, l’analisi delle pratiche di remix metamediale<br />

connesse con l’“estetica diffusa” del Web.<br />

A dispetto del de profundis intonato da pensatori come<br />

Edward Docx 01 o Maurizio Ferraris 02 , è proprio nella<br />

pervasività delle forme estetiche diffuse in maniera virale<br />

dal Web che si possono rintracciare, come ha analizzato<br />

lucidamente Vito Campanelli in un recente saggio 03 , le<br />

stimmate di una sorta di insospettabile antifragilità 04 della<br />

postmodernità nell’evo contemporaneo:<br />

[...] almeno in linea di principio, il postmodernismo<br />

potrebbe rivelare una natura a tal punto elastica da<br />

01<br />

E. Docx, “Postmodernism is dead” http://www.prospectmagazine.co.uk/features/postmodernism-is-dead-va-exhibition-age-of-authenticism,<br />

2011, ultimo accesso 7 gennaio 2016.<br />

02<br />

“Visto che il progresso in filosofia (così come nel sapere in<br />

generale) comporta una fiducia nella verità, la sfiducia postmoderna<br />

nel progresso comportava l’adozione dell’idea che trova<br />

la sua espressione paradigmatica in Nietzsche, secondo cui la<br />

verità può essere un male e l’illusione un bene, e che questo sia il<br />

destino del mondo moderno, il cui nocciolo duro non va cercato<br />

tanto nella frase “Dio è morto”… quanto piuttosto nella sentenza<br />

“non ci sono fatti, solo interpretazioni”, perché il mondo vero ha<br />

finito per diventare una favola”. (M. Ferraris, Manifesto del nuovo<br />

realismo, Bari, Laterza, 2013, pp. 4-5)<br />

03<br />

Scrive Campanelli: “La prospettiva che più di altre mi induce<br />

a scorgere in ogni remix lo ‘stigma’ del postmodernismo è quella<br />

dell’“estetica diffusa” ovvero quel salto quantico che ha condotto<br />

l’umanità da un ambito ben distinto e marcato dell’estetico al<br />

“tutto estetico” dei giorni d’oggi: un approdo che nasconde il nulla<br />

a cui ormai tanto l’arte quanto il progetto industriale tendono.”<br />

(V. Campanelli, Remix it Yourself, Bologna, Clueb/Mediaversi,<br />

2011, p. XIX)<br />

04<br />

Si intenderà qui “antifragile” nell’accezione del termine recentemente<br />

definita da Nassim Nicholas Taleb, e cioè la capacità di<br />

qualsiasi sistema complesso di adattarsi e prosperare nel caos, di<br />

trarre beneficio dalla variabilità e dagli shock al quale esso può<br />

essere sottoposto. La metafora qui utilizzata a proposito della<br />

postmodernità fa riferimento alla sua capacità di rigenerarsi e<br />

perpetuarsi “elasticamente” fino a contenere le proprie negazioni,<br />

come osservato da Campanelli.<br />

estendersi fino a contenere anche le sue più radicali<br />

negazioni e, tra queste, la sua morte (mi permetto di<br />

osservare: forse troppo frettolosamente annunciata)”<br />

[...] 05<br />

Se è vero che, come chiosa Campanelli, non esiste forse<br />

fenomeno più postmoderno del remix metamediale<br />

contemporaneo 06 , non si può però negare che negli ultimi<br />

anni una nuova generazione di artisti stia abbandonando<br />

sempre più i precetti della decostruzione, della paratassi<br />

e del pastiche, principi formali di cui si è alimentata<br />

l’estetica postmoderna, in favore delle nozioni di<br />

ricostruzione, mito e μεταξύ 07 , come hanno recentemente<br />

fatto notare Timotheus Vermeulen e Robin van den Akker.<br />

È uno slittamento definito dai due pensatori olandesi nei<br />

termini di un passaggio dal postmoderno al metamoderno:<br />

Queste tendenze non possono essere più spiegate<br />

in termini di postmodernità. Esse esprimono una<br />

(spesso prudente) speranza e una (talvolta finta)<br />

sincerità che implica un’altra struttura affettiva, che<br />

intima un altro discorso. [...] Etimologicamente, il<br />

prefisso “meta” si riferisce a termini come “con”, “tra”<br />

e “oltre”. Adopereremo queste connotazioni di “meta”<br />

in un modo simile, e tuttavia non indiscriminato.<br />

05<br />

V. Campanelli, op. cit., p. XIX.<br />

06<br />

Dalla multimedialità si passa alla metamedialità, come ipotizzato<br />

da Lev Manovich che inquadra questa condizione nei termini<br />

di una “deep remixability”. I linguaggi e gli strumenti software,<br />

cioè, hanno definito uno scenario in cui le operazioni di selezione,<br />

assemblaggio, montaggio e pubblicazione degli elementi<br />

costitutivi dell’infinito flusso di dati digitali sono alla portata di<br />

tutti. Scrive a tal proposito Manovich: “Oggi, molte delle arene<br />

culturali e di tendenza – la musica, la moda, il design, l’arte, le<br />

applicazioni Web, i media generati dagli utenti, il cibo – sono remix,<br />

fusioni, collage e mashup. Se il postmoderno è la cifra degli<br />

anni Ottanta, il remix è quella degli anni Novanta, dei Duemila,<br />

e probabilmente anche del prossimo decennio”. (L. Manovich,<br />

Software Culture, Milano, Olivares, 2010, p. 195)<br />

07<br />

Il concetto platonico di μεταξύ , associato all’esperienza<br />

dell’esistenza e della coscienza, è stato ripreso in anni più o<br />

meno recenti da Eric Voegelin: “Existence has the structure of the<br />

In-Between, of the Platonic μεταξύ, and if anything is constant in<br />

the history of mankind it is the language of tension between life<br />

and death, immortality and mortality, perfection and imperfection,<br />

time and timelessness, between order and disorder, truth<br />

and untruth, sense and senselessness of existence; between amor<br />

Dei and amor sui, l’aˆme ouverte and l’ame close.” (E. Voegelin,<br />

“Equivalences of Experience and Symbolization in History”, in E.<br />

Sandoz (a cura di), vol. 12 of The Collected Works of Eric Voegelin,<br />

Baton Rouge, Louisiana State University Press, 1989), pp. 119-120)<br />

Intenderemo che il metamodernismo possa situarsi<br />

epistemologicamente insieme al (post)modernismo,<br />

ontologicamente “tra” il (post)modernismo e<br />

storicamente oltre il (post)modernismo [...] 08<br />

Nel ridefinire in senso “metamoderno” una serie di<br />

tendenze estetiche rintracciabili nella sensibilità<br />

contemporanea, gli stessi Vermeulen e van den Akker<br />

fanno notare come non sia possibile teorizzare un<br />

superamento tout court della postmodernità, quanto<br />

piuttosto una sopravvivenza in forma metamorfica delle<br />

sue tendenze all’interno di un contesto in cui convivono<br />

istanze e pulsioni in tensione, o meglio in duplice vincolo<br />

tra di loro. In between o μεταξύ, appunto, e cioè in una<br />

condizione in cui si è allo stesso tempo qui, altrove ed<br />

in nessun luogo. Se infatti la sintassi utopica definisce<br />

i paradigmi della modernità, così come la paratassi<br />

distopica esprime quelli della postmodernità, nell’orizzonte<br />

della metamodernità emerge una “metaxis” a-topica in<br />

cui si condensa la possibilità di essere allo stesso tempo<br />

luogo e non-luogo, territorio senza riferimenti definitivi,<br />

posizione senza coordinate o parametri di tracciamento e,<br />

in definitiva, spazio-tempo nè ordinato nè disordinato, al di<br />

là dell’ordine temporale (moderno) e del disordine spaziale<br />

(postmoderno).<br />

Il metamodernismo sostituisce i parametri del<br />

presente con quelli di una presenza futura che è<br />

senza futuro. Sostituisce i confini dei nostri luoghi<br />

con quelli di luoghi surreali che sono senza luogo. Per<br />

dirla tutta, è questo il “destino” delle donne e degli<br />

uomini metamoderni: inseguire un orizzonte che va<br />

ritirandosi per sempre. 09<br />

È una condizione di metaxis a-topica, di tensione in<br />

between che emerge in una serie di pratiche estetiche che<br />

sembrano richiamare, rivelando talvolta una sensibilità<br />

neo-romantica, il desiderio dell’imperfezione all’interno<br />

di un mondo sempre più connesso in rete, l’attenzione<br />

a tutto ciò che è straniamento, alienazione. È il cinema,<br />

segnatamente nei lavori di Michel Gondry, Wes Anderson<br />

o Spike Jonze, a permetterci di orientare lo sguardo sui<br />

vuoti scavati da queste tensioni, che si rivelano anche<br />

attraverso la dimensione affettiva di quella “structure of<br />

08<br />

T. Vermeulen, R. van den Akker, “Notes on Metamodernism”, in<br />

Journal of AESTHETICS & CULTURE Vol. 2, 2010, p. 2<br />

09<br />

T. Vermeulen, op. cit., p. 14<br />

feeling” che critici come James MacDowell 10 individuano<br />

quale elemento costituente della sensibilità filmica<br />

metamodernista.<br />

Le ragnatele narrative, la cornice visiva, le scelte estetiche:<br />

tutto in queste pellicole contribuisce a rendere tangibile<br />

questa struttura, in cui emergono “i sentimenti molto di<br />

più del pensiero – come un pattern di impulsi, equilibri<br />

e toni” 11 . Fluttuando tra sincerità ed ironia, entusiasmo e<br />

distacco, innocenza e consapevolezza, le possibilità tonali<br />

messe in atto in queste pellicole si materializzano in gran<br />

parte attraverso i sentimenti che generano negli spettatori.<br />

È questa la condizione che emerge anche in “Her” di<br />

Spike Jonze, in cui i salti tonali e i vuoti emotivi svelano<br />

la dimensione alienante nella quale si inscrivono<br />

pensieri e movimenti dei personaggi, sullo sfondo di<br />

un paesaggio umano profondamente desolato. Qui, lo<br />

scenario prospettato da Jonze è per certi versi distopico:<br />

se l’eccesso di comunicazione sta contribuendo,<br />

paradossalmente, all’impossibilità di comunicare tra<br />

individui, può veramente la tecnologia fungere da surrogato<br />

alle emozioni reali? Cosa significa essere umani? Come<br />

possiamo creare delle connessioni in un universo che<br />

si aliena progressivamente? Quando la nostra capacità<br />

emozionale si dissolve oltre la sensibilità della tecnologia,<br />

abbiamo necessità di una nuova misura per l’intimità e<br />

per i nostri sentimenti? Questa incomunicabilità profonda,<br />

che ha un parallelo nella vicenda vissuta da Amy, l’amica<br />

del protagonista Theodore, è veramente il male dei nostri<br />

tempi e quello che contraddistinguerà il nostro futuro<br />

10<br />

J. MacDowell, “Notes on Quirky”, in Movie: A Journal of Film<br />

Criticism I, http://www2.warwick.ac.uk/fac/arts/film/movie/contents/notes_on_quirky.pdf,<br />

ultimo accesso 7 gennaio 2016<br />

11<br />

R. Williams, Politics and Letters: Interviews with New Left Review,<br />

Londra, New Left Books, 1979<br />

I<br />

II


Una lettura pluriversa: dal postdigitale al postumano<br />

L’analisi di alcuni aspetti dell’architettura filmica di “Her”<br />

presentata in questa sede è costruita su una serie di<br />

elementi mutuati dalla filosofia e dalle scienze umane, a<br />

cui fanno riferimento diversi specifici concetti: postdigitale,<br />

postglobale, postumano.<br />

Il prefisso “post-” 01 che li definisce non andrà inteso<br />

come il riferimento ad un superamento cronologico o<br />

culturale del termine al quale ognuno di essi si lega,<br />

quanto piuttosto alla riconfigurazione in senso critico degli<br />

spazi epistemologici all’interno dei quali questi termini si<br />

radicano. 02<br />

L’ambientazione della storia di Theodore Twombly è<br />

totalmente immersa in un milieu postdigitale. Possiamo<br />

considerare la cultura postdigitale, termine mutuato<br />

dal contesto artistico, una parte del postumanesimo, di<br />

cui si parlerà più diffusamente avanti, in cui si supera la<br />

distinzione di ciò che è on/offline e tutto diventa parte di<br />

un’unica definizione del mondo.<br />

01<br />

Varrà la pena in questa sede citare l’avvertimento di Geoff<br />

Cox a proposito dell’uso acritico del prefisso “post-” da parte di<br />

certe tendenze di pensiero della contemporaneità: “Yet despite<br />

the qualifications and examples, there seems to be something<br />

strangely nostalgic about the term – bound to older ‘posts’ that<br />

have announced the end of this and that. I am further (somewhat<br />

nostalgically too perhaps) reminded of Frederic Jameson’s<br />

critique of postmodernity, in which he identified the dangers<br />

of conceptualising the present historically in an age that seems<br />

to have forgotten about history (in The Cultural Logic of Late<br />

Capitalism, 1991). His claim was that the present has been colonised<br />

by ‘pastness’ displacing ‘real’ history (20), or what we might<br />

otherwise describe as neoliberalism’s effective domestification of<br />

the transformative potential of historical materialism.” (G. Cox,<br />

“Prehistories of the Post-digital: or, some old problems with postanything”,<br />

in APRJ 3.1, http://www.aprja.net/?p=1314, ultimo<br />

accesso 7 gennaio 2016)<br />

02<br />

Florian Cramer scrive, a proposito del postdigitale: “However,<br />

“post-digital” can be more pragmatically and meaningfully defined<br />

within popular cultural and colloquial frames of references,<br />

both in regard to the prefix “post” and to the notion of “digital”.<br />

Rather than “postmodernity” and “posthistoire”, the reference of<br />

the “post” prefix could be post-punk, punk culture continued in<br />

ways that were both punk and not; post-communism as it is still<br />

the reality in former East block countries, postcolonialism and, to<br />

a lesser extent, the postapocalyptic whose modern iconography<br />

has been established by the Mad Max films in the 1980s. They do<br />

not suggest that the apocalypse is over, but has transformed from<br />

rupture to enduring condition (or from Ereignis to Being).” (F.<br />

Cramer, “What is ‘Post-Digital’?”, in APRJ 3.1, http://www.aprja.<br />

net/?p=1318, ultimo accesso 7 gennaio 2016<br />

Di “postdigitale” 03 aveva cominciato a parlare già oltre<br />

tre lustri fa Nicholas Negroponte: “La rivoluzione digitale<br />

è finita”, spiegava l’informatico statunitense, chiosando<br />

sugli sviluppi futuri di un mondo in cui l’assuefazione alle<br />

tecnologie digitali le avrebbe rese sempre più banali, fino<br />

al punto di decretarne in pratica la scomparsa:<br />

[...] nella sua forma letterale, la tecnologia comincia<br />

già ad essere data per scontata, e la sua connotazione<br />

diventerà domani concime commerciale e culturale<br />

per nuove idee. Come l’aria e l’acqua da bere, ci si<br />

accorgerà del digitale solo per la sua assenza, non per<br />

la sua presenza.” 04<br />

Le riflessioni di Negroponte esprimevano a loro modo già<br />

una sorta di distacco dall’hype e dal fluire inarrestabile<br />

delle culture digitali, e sarebbero diventate di lì a qualche<br />

anno il punto di riferimento per una serie di istanze e<br />

di fermenti che andavano manifestandosi soprattutto<br />

in ambito estetico (suono, arti, design), con specifico<br />

riferimento ad alcune forme di resistenza all’uso<br />

incondizionato ed acritico del digitale. Il concetto di<br />

postdigitale descrive un approccio ai media digitali che<br />

non guarda più ad innovazioni o miglioramenti tecnici,<br />

ma considera la digitalizzazione come un fenomeno già<br />

alle spalle e che tuttavia si presta ad essere riconfigurato<br />

criticamente.<br />

In questo contesto, l’annullamento di ogni separazione<br />

tra le sfere della realtà e della virtualità implica,<br />

specificamente nell’era dei social media, la trasformazione<br />

della rete in una naturale estensione dell’esistenza<br />

quotidiana. Per Jonze, non c’è iato nella vita di Theodore<br />

Twombly tra organico ed artificiale, tra reale e virtuale.<br />

Twombly si muove in questo orizzonte fluido in cui si svela<br />

una volta di più l’illusione umana di poter esercitare un<br />

controllo totalizzante sulle tecnologie: gli strumenti digitali<br />

sono perfetti, precisi ed efficienti, allo stesso modo in cui<br />

lo sono gli esseri che li hanno creati.<br />

Lo scenario dipinto da Spike Jonze ha peraltro un<br />

inquadramento che richiama alcune teorie sviluppate<br />

da teorici della geografia come Gunnar Olsson, Franco<br />

03<br />

Cfr. L. Pisano, “Postdigitali senza nostalgia”, in Corriere della<br />

Sera (inserto La Lettura), 1 aprile 2012. http://lettura.corriere.it/<br />

post-digitali-senza-nostalgia/, ultimo accesso 7 gennaio 2015.<br />

04<br />

N. Negroponte, Essere digitali, Milano, Sperling & Kupfer, 1995, p. 10<br />

Farinelli e Joel Kotkin 05 , che hanno analizzato le<br />

conseguenze del cambiamento del rapporto con lo spazio<br />

e con i territori causato dai processi di globalizzazione.<br />

Sotto la pressione dell’avvento delle nuove tecnologie<br />

di comunicazione, i paradigmi dello spazio e del tempo<br />

così come li abbiamo conosciuti attraverso la fisica<br />

classica collassano, come scrive Franco Farinelli. In<br />

una delle sue più recenti pubblicazioni, “La crisi della<br />

ragione cartografica”, Farinelli spiega come nell’estate<br />

del 1969, mentre il mondo celebrava l’entrata nell’era<br />

della conquista dello spazio e del cosmo, nessuno era<br />

consapevole del fatto che nello stesso momento si stava<br />

celebrando la morte dello spazio. Negli stessi giorni,<br />

infatti, negli Stati Uniti due computer cominciavano a<br />

comunicare tra di loro, riducendo gli atomi ad unità di<br />

informazione immateriali. In questa prospettiva, l’epoca<br />

della globalizzazione rappresenta non solo la “morte” dello<br />

spazio e del tempo, ma il capovolgimento di gerarchie<br />

centenarie legate ad una visione del mondo riconducibile<br />

al piano monodimensionale delle mappe moderniste. Dalla<br />

crisi della ragione cartografica e dalle pieghe (Deleuze)<br />

della superficie curva che non è altro che “la ripetizione<br />

della forma del globo stesso” (Farinelli), emergono nuovi<br />

spazi, nuove geografie non solo fisiche, ma anche culturali<br />

e relazionali. La Los Angeles di “Her”, con i suoi paesaggi<br />

patinati, ora lividi ora assolati, con il suo proliferare infinito<br />

e labirintico di non-luoghi, è una città che vive di una<br />

tensione di fondo tra ansie globalizzanti e frammentazioni<br />

esistenziali che riecheggiano un mondo in cui si sgretolano<br />

identità, comunità, rapporti, certezze e tutto si stempera<br />

in un continuum liquido, in un affannoso pendolarismo<br />

esistenziale.<br />

In questo panorama di inquietudine, alienazione ed<br />

incomunicabilità, Theodore Twombly vive la condizione<br />

dell’uomo postmoderno, tendenzialmente nichilista,<br />

concentrato sul quotidiano, sull’orizzonte delle proprie<br />

conoscenze, delle proprie abitudini e dei propri riti.<br />

Conducendo un’esistenza frammentaria, egli non ritiene<br />

più possibile costruire la propria vita individuale su<br />

fondamenta solide e conferirle un significato chiaro,<br />

motivando ed orientando coscientemente i propri<br />

comportamenti e quelli di coloro con cui entra in relazione<br />

ogni giorno.<br />

Insomma, Twombly vive a tutti gli effetti all’interno di quel<br />

contesto definito in un’opera fondamentale del pensiero<br />

05<br />

Cfr. L. Pisano, “The Third Soundscape”, in Third Text 29 (1-2), 2015<br />

del Novecento, scritta da Jean-François Lyotard nel 1979<br />

ed intitolata “La condizione postmoderna: rapporto sul<br />

sapere”, in cui trovano sistemazione organica e coerente<br />

una serie di idee antecedenti all’opera di Lyotard, che<br />

circolavano ormai da almeno tre lustri e che tracciano le<br />

coordinate della postmodernità 06 .<br />

Come si è già avuto modo di osservare in precedenza, ad<br />

oltre trentacinque anni di distanza, il postmodernismo,<br />

sebbene all’interno di un quadro profondamente mutato<br />

che continua a scuoterne le fondamenta fino a metterne<br />

in discussione la sopravvivenza, può secondo molti ancora<br />

essere indicato tra i costituenti dell’epoca in cui viviamo.<br />

Non solo perchè esso esprime appieno quel “disagio della<br />

modernità”, per usare la celebre definizione di Zygmunt<br />

Bauman, che avvertiamo in maniera esemplare nelle<br />

vicende di Theodore Twomb e della sua amica Amy, ma<br />

anche per il fatto che la fluidità, la frammentarietà ed i<br />

vuoti delle tecnologie di comunicazione digitale, di cui<br />

registriamo tracce profonde nei paesaggi distopici di “Her”,<br />

sono elementi che appartengono alla visione postmoderna<br />

ed il Web, come afferma ancora Vito Campanelli, è appunto<br />

“campione insuperabile della comunicazione postmoderna,<br />

in quanto luogo nel quale gli infiniti possibili del<br />

contemporaneo trovano un simulacro di ricomposizione.” 07<br />

E in queste infinite ragnatele narrative che costituiscono<br />

il fondamento della cultura della postmodernità e che<br />

avviluppano l’esistenza degli abitanti che comunicano<br />

annullando gli spazi sul globo terrestre in un eterna<br />

comunicazione simultanea (l’essere sempre connessi),<br />

06<br />

“Il succo del pensiero di Lyotard è ben noto. L’Occidente (e, di<br />

riflesso, il Mondo) vive una fase di incertezza e di disagio. Certi<br />

discorsi, narrazioni, visioni che in passato parevano essere sensate<br />

e dare significato alla vita, alla storia, alla politica, alla cultura,<br />

ora sembrano parole vane, pura retorica. C’è la consapevolezza di<br />

trovarsi nel bel mezzo di un cambiamento epocale, qualcosa di<br />

paragonabile per profondità e dimensioni alla rivoluzione neolitica<br />

o industriale. Lo stesso linguaggio trova difficoltà a descrivere<br />

tali mutamenti, dal momento che è costretto a fare riferimento<br />

a categorie che sono continuamente superate. Le trasformazioni<br />

scientifico-tecnologiche sono vertiginose e si ripercuotono immediatamente<br />

sugli assetti politici, economici, sociali, culturali.<br />

Si nota qualcosa di estremamente diverso dal progresso lineare,<br />

ordinato, a misura d’uomo immaginato dai positivisti. Ecco perché<br />

Lyotard propone una partizione storiografica tra l’epoca moderna,<br />

iniziata nei secoli XVII e XVIII e l’epoca post-moderna, il cui inizio<br />

si collocherebbe nella seconda metà del Novecento.” (R. Campa,<br />

“Dal postmoderno al postumano. Il caso Lyotard”, in Letteratura<br />

Tradizione 42, Pesaro, Heliopolis Edizioni, 2008)<br />

07<br />

V. Campanelli, op. cit., p. XIV<br />

III<br />

IV


la vicenda di Theodore è solo una delle innumerevoli<br />

traiettorie di disagio, incomunicabilità, solitudine che la<br />

condizione post/metamoderna porta con sè.<br />

Un frammento infinitesimale nelle possibili narrazioni di<br />

contraddizioni, tensioni, ansie e conflitti che non mancano<br />

di caratterizzare la dimensione di un Occidente in crisi<br />

identitaria, economica ed etica. Uno degli strumenti<br />

di pensiero più utili per inquadrare le mutazioni e le<br />

trasformazioni profonde che l’umano come ἄνθρωπος<br />

sta subendo nell’epoca contemporanea, soprattutto in<br />

relazione alla rivoluzione biotecnologica che segna il<br />

passaggio al nuovo secolo, è il concetto di postumano.<br />

Forse mai come in questi anni le scienze umane, e quindi<br />

anche la filosofia, stanno tentando di interrogarsi così a<br />

fondo su una serie di domande aperte e di paradossi legati<br />

alla nostra epoca e alla nostra specie.<br />

Come suggerisce Rosi Braidotti in un recente saggio 08 , la<br />

definizione di postumano implica un doppio passaggio.<br />

Da un lato, il postumano può essere considerato nei<br />

termini di un superamento dell’umanesimo, dall’altro<br />

esso apre la strada alla fine dell’antropocentrismo. La<br />

critica dell’umanesimo è uno dei pilastri filosofici della<br />

postmodernità: materializzatasi sulla scena del pensiero<br />

contemporaneo con Nietzsche, essa entra pienamente<br />

nel dibattito filosofico subito dopo la Seconda guerra<br />

mondiale. In particolare, è con Adorno e la Scuola<br />

di Francoforte che inizia la riflessione intorno ad un<br />

umanesimo dominante e repressivo, legato all’esclusione,<br />

spesso violenta, di tante categorie di esseri che non<br />

vengono considerati umani, o almeno non alla stregua<br />

del modello culturale che sottende: maschio, bianco,<br />

eterosessuale.<br />

Quanto al discorso sull’antropocentrismo, esso potrebbe<br />

essere è considerato come una sorta di confronto tra due<br />

tipi di approccio alla conoscenza, tra le scienze della vita<br />

e le scienze umane. Queste ultime hanno solo di rado<br />

messo in discussione l’idea di ἄνθρωπος come specie<br />

dominante e aggressiva, padrona del mondo. Al contrario,<br />

la rivoluzione biomolecolare e biogenetica degli ultimi<br />

decenni, ha posto le basi per un superamento dell’idea<br />

di antropocentrismo: in questo senso, la vita può essere<br />

considerata come un elemento trasversale che implica<br />

tutte le specie e non è più riducibile al solo essere umano.<br />

08<br />

R. Braidotti, Il Postumano. La vita oltre il sé, oltre la specie, oltre<br />

la morte, Roma, DeriveApprodi, 2014<br />

Da ciò consegue che, come afferma Braidotti, possiamo<br />

già considerarci abitanti di un mondo postumano. Questa<br />

riflessione implica, tra le sue conseguenze, la possibilità<br />

di riconsiderare il paradigma umanistico piegandolo ad<br />

una visione che conduca verso una nuova cultura della<br />

τέχνη, un rapporto “altro” tra uomo e tecnologie dal<br />

quale possano scaturire possibilità di ulteriori dimensioni<br />

esistenziali.<br />

In questo senso, l’interazione tra umano e macchinico<br />

e tra uomo e τέχνη messa in scena da Spike Jonze è la<br />

rappresentazione possibile di un mondo postumano nel<br />

quale siamo già immersi: un mondo in cui, come ipotizza<br />

il Lyotard della “Favola postmoderna” 09 , l’essere umano<br />

si pone sulla strada del divenire postumano e la stessa<br />

nozione di corporeità viene messa in questione da una<br />

tensione all’ibridazione tra macchinico ed umano, alla<br />

rimodellazione del corpo in senso metamorfico-evolutivo.<br />

È un contesto di promiscuità in cui i dispositivi digitali<br />

rappresentano possibili protesi fisiche in un universo in cui<br />

si è sempre connessi e nel quale si tende costantemente<br />

alla deriva post-organica 10 . Si tratta di un processo che<br />

Lyotard preconizzava nella sua “Favola postmoderna” come<br />

necessario sbocco ad un progresso minacciato dalla fine<br />

futura della terra e del sistema solare. Nella visione di<br />

Lyotard, l’unica via d’uscita è rappresentata dall’“esodo”,<br />

ma è evidente che solo un’ulteriore salto evolutivo può<br />

garantire successo a questa operazione.<br />

Tutto ciò implica la necessità di orientare tutte le<br />

conoscenze nel senso di una ri-modellazione del corpo<br />

umano: il progetto è quello di sostituire la carne con nuova<br />

carne sintetica, in modo da rendere il cervello capace<br />

di autosostentarsi, funzionando con l’ausilio delle sole<br />

energie disponibili nel cosmo.<br />

Sembra così che la specie umana possa essere ridotta da<br />

Lyotard ad una pura e complessa forma di organizzazione<br />

dell’energia. Alla stregua di tutte le altre forme, egli riflette,<br />

essa è indubbiamente transitoria e pertanto destinata<br />

ad essere oltrepassata da forme ancora più complesse<br />

che successivamente si materializzeranno nel corso della<br />

09<br />

J.-F. Lyotard, Moralités postmodernes, Parigi, Galilée, 1993<br />

10<br />

cfr. P. Virilio, “Dal corpo profano al corpo profanato” in P. L.<br />

Capucci (a cura di), Il corpo tecnologico. L’influenza delle tecnologie<br />

sul corpo e sulle sue facoltà, Bologna, Baskerville, 1993, ma anche<br />

la riflessione cinematografica di David Cronenberg in “Crash”<br />

(1996) o di Shinya Tsukamoto in “Tetsuo, the Iron Man” (1989)<br />

storia e dell’evoluzione cosmica. E la forma destinata a<br />

superare quella umana sarà decisamente più complessa.<br />

Ma cosa implica tutto ciò, in termini più concreti? Lyotard<br />

intende il fatto che questa prevedibile ipercomplessità<br />

sarà completamente orientata ad un unico e categorico<br />

fine: quello della sopravvivenza, per il tramite di un vero<br />

e proprio esodo, dopo la distruzione della vita terrestre<br />

susseguente alla morte del Sole. Si tratta di una forma<br />

di vita che si autosostenterà servendosi direttamente<br />

delle uniche forme di energia fisica esistenti nel cosmo,<br />

e cioè le particelle senza previa preorganizzazione. Con<br />

questa favola, si è in grado soltanto di prevedere che<br />

l’eroe dell’esodo non sarà un semplice sopravvivente al di<br />

fuori del sistema solare, dal momento che esso non potrà<br />

essere considerato “vivo” nel senso che correntemente<br />

conferiamo al termine. Lyotard scrive a tal proposito:<br />

La favola postmoderna narra un’altra cosa,<br />

completamente distinta. […] Senza ragione alcuna gli<br />

Umani si credono di essere il motore dello sviluppo e<br />

lo confondono con il progresso della coscienza e della<br />

civilizzazione essendo suoi prodotti […] incluso le<br />

critiche che essi possono opporre allo sviluppo, alle<br />

sue diseguaglianze, irregolarità, fatalità, inumanità. 11<br />

Lyotard specifica che non esiste una visione ottimistica<br />

legata al divenire postumano ed all’esodo. Questo racconto<br />

è semplicemente una spiegazione e non può rappresentare<br />

in alcun modo una speranza. Anzi, esso prelude alla fine<br />

di ogni speranza, in quanto espressione della crisi e non<br />

soluzione della crisi stessa. Conclude Lyotard:<br />

Potremmo dire che la favola che abbiamo raccontato<br />

è il discorso più pessimista che il Postmoderno possa<br />

realizzare di se stesso. Non fa più che prolungare<br />

quelli di Galileo, Darwin e Freud: l’uomo non è il<br />

centro del mondo. 12<br />

In definitiva, la riflessione di Lyotard prelude ad una<br />

serie di interrogativi etico-politici intorno alla scienza<br />

ed alla tecnica, che in gran parte sono raccolti da Spike<br />

Jonze nel suo film. Continuare sulla strada del progresso<br />

scientifico-tecnologico è un dovere morale? La risposta di<br />

Lyotard è positiva, nella misura in cui la salvezza della vita<br />

intelligente è per l’umanità un dovere morale. È questo un<br />

possibile punto di volta dell’intera riflessione, dal momento<br />

11<br />

J.-F. Lyotard, op. cit., p. 45<br />

12<br />

J.-F. Lyotard, op. cit., p. 46<br />

che offre la possibilità di una ricongiunzione finale dei<br />

discorsi dell’etica, della scienza pura e della tecnoetica.<br />

Quello che appare evidente è che l’universo avrà senso<br />

fino a quando in esso permarranno forme di intelligenza.<br />

Ed esso avrà senso anche nel caso in cui queste forme si<br />

riconfigureranno in senso artificiale e non biologico. Come<br />

ha osservato Riccardo Campa,<br />

[...] ciò che si emancipa progressivamente è<br />

l’intelligenza. Non deve inoltre sfuggire il fatto<br />

che l’intelligenza prende anche la forma di<br />

conoscenza dell’essere, ossia di scienza pura. Vista<br />

indipendentemente dal suo attuale supporto umano,<br />

la scienza pura non è altro che l’autocoscienza<br />

dell’universo. Quindi, a ben vedere, è la scienza pura<br />

la vera protagonista della storia. È vero: noi umani<br />

non siamo il fine dell’evoluzione cosmica, ma nella<br />

misura in cui riusciamo a concepire scienza pura, ad<br />

essere scienza pura, siamo comunque protagonisti<br />

decisivi di questa favola. 13<br />

Se ci poniamo all’interno di questa visione esistenziale, ci<br />

accorgeremo di aver “oltrepassato” il postmoderno, alla<br />

ricerca di nuovi orizzonti, verso nuovi paradigmi in cui<br />

uomo e τέχνη riescono ad incontrarsi nel postumano in<br />

maniera inattesa e feconda.<br />

13<br />

R. Campa, “Dal postmoderno al postumano. Il caso Lyotard”, in<br />

Letteratura Tradizione 42, Pesaro, Heliopolis Edizioni, 2008<br />

V<br />

VI


Bibliografia<br />

Testi di Jean-François Lyotard<br />

J.-F. LYOTARD, La condizione postmoderna: rapporto sul sapere, Milano, Feltrinelli, 1981<br />

J.-F. LYOTARD, Moralités postmodernes, Parigi, Galilée, 1983<br />

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2008.<br />

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Collected Works of Eric Voegelin, Baton Rouge, Louisiana State University Press, 1989.<br />

VII


L. Pisano, Dal postmoderno al postumano: percorsi lyotardiani in Her di Spike<br />

Jonze, G. Panella, M. Tedino (a cura di), “Interazioni - Visioni chiastiche di<br />

possibili vissuti”, Benevento, Liceo Scientifico G. Rummo, 2016, pp. 187-194<br />

IX

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