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interazioni

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Tra postmodernità “Antifragile” e metamodernità<br />

Il dibattito sulla (presunta) fine della postmodernità si<br />

è arricchito negli ultimi anni di una serie di elementi<br />

che tendono a riposizionarlo sempre più al centro della<br />

riflessione sia nell’ambito degli studi più strettamente<br />

filosofici che in quelli di matrice culturalista (con<br />

riferimento specifico al postcolonialismo ed al<br />

decolonialismo), alimentandosi di prospettive che ne<br />

ribadiscono la sua urgenza laddove si considerino, per<br />

esempio, l’analisi delle pratiche di remix metamediale<br />

connesse con l’“estetica diffusa” del Web.<br />

A dispetto del de profundis intonato da pensatori come<br />

Edward Docx 01 o Maurizio Ferraris 02 , è proprio nella<br />

pervasività delle forme estetiche diffuse in maniera virale<br />

dal Web che si possono rintracciare, come ha analizzato<br />

lucidamente Vito Campanelli in un recente saggio 03 , le<br />

stimmate di una sorta di insospettabile antifragilità 04 della<br />

postmodernità nell’evo contemporaneo:<br />

[...] almeno in linea di principio, il postmodernismo<br />

potrebbe rivelare una natura a tal punto elastica da<br />

01<br />

E. Docx, “Postmodernism is dead” http://www.prospectmagazine.co.uk/features/postmodernism-is-dead-va-exhibition-age-of-authenticism,<br />

2011, ultimo accesso 7 gennaio 2016.<br />

02<br />

“Visto che il progresso in filosofia (così come nel sapere in<br />

generale) comporta una fiducia nella verità, la sfiducia postmoderna<br />

nel progresso comportava l’adozione dell’idea che trova<br />

la sua espressione paradigmatica in Nietzsche, secondo cui la<br />

verità può essere un male e l’illusione un bene, e che questo sia il<br />

destino del mondo moderno, il cui nocciolo duro non va cercato<br />

tanto nella frase “Dio è morto”… quanto piuttosto nella sentenza<br />

“non ci sono fatti, solo interpretazioni”, perché il mondo vero ha<br />

finito per diventare una favola”. (M. Ferraris, Manifesto del nuovo<br />

realismo, Bari, Laterza, 2013, pp. 4-5)<br />

03<br />

Scrive Campanelli: “La prospettiva che più di altre mi induce<br />

a scorgere in ogni remix lo ‘stigma’ del postmodernismo è quella<br />

dell’“estetica diffusa” ovvero quel salto quantico che ha condotto<br />

l’umanità da un ambito ben distinto e marcato dell’estetico al<br />

“tutto estetico” dei giorni d’oggi: un approdo che nasconde il nulla<br />

a cui ormai tanto l’arte quanto il progetto industriale tendono.”<br />

(V. Campanelli, Remix it Yourself, Bologna, Clueb/Mediaversi,<br />

2011, p. XIX)<br />

04<br />

Si intenderà qui “antifragile” nell’accezione del termine recentemente<br />

definita da Nassim Nicholas Taleb, e cioè la capacità di<br />

qualsiasi sistema complesso di adattarsi e prosperare nel caos, di<br />

trarre beneficio dalla variabilità e dagli shock al quale esso può<br />

essere sottoposto. La metafora qui utilizzata a proposito della<br />

postmodernità fa riferimento alla sua capacità di rigenerarsi e<br />

perpetuarsi “elasticamente” fino a contenere le proprie negazioni,<br />

come osservato da Campanelli.<br />

estendersi fino a contenere anche le sue più radicali<br />

negazioni e, tra queste, la sua morte (mi permetto di<br />

osservare: forse troppo frettolosamente annunciata)”<br />

[...] 05<br />

Se è vero che, come chiosa Campanelli, non esiste forse<br />

fenomeno più postmoderno del remix metamediale<br />

contemporaneo 06 , non si può però negare che negli ultimi<br />

anni una nuova generazione di artisti stia abbandonando<br />

sempre più i precetti della decostruzione, della paratassi<br />

e del pastiche, principi formali di cui si è alimentata<br />

l’estetica postmoderna, in favore delle nozioni di<br />

ricostruzione, mito e μεταξύ 07 , come hanno recentemente<br />

fatto notare Timotheus Vermeulen e Robin van den Akker.<br />

È uno slittamento definito dai due pensatori olandesi nei<br />

termini di un passaggio dal postmoderno al metamoderno:<br />

Queste tendenze non possono essere più spiegate<br />

in termini di postmodernità. Esse esprimono una<br />

(spesso prudente) speranza e una (talvolta finta)<br />

sincerità che implica un’altra struttura affettiva, che<br />

intima un altro discorso. [...] Etimologicamente, il<br />

prefisso “meta” si riferisce a termini come “con”, “tra”<br />

e “oltre”. Adopereremo queste connotazioni di “meta”<br />

in un modo simile, e tuttavia non indiscriminato.<br />

05<br />

V. Campanelli, op. cit., p. XIX.<br />

06<br />

Dalla multimedialità si passa alla metamedialità, come ipotizzato<br />

da Lev Manovich che inquadra questa condizione nei termini<br />

di una “deep remixability”. I linguaggi e gli strumenti software,<br />

cioè, hanno definito uno scenario in cui le operazioni di selezione,<br />

assemblaggio, montaggio e pubblicazione degli elementi<br />

costitutivi dell’infinito flusso di dati digitali sono alla portata di<br />

tutti. Scrive a tal proposito Manovich: “Oggi, molte delle arene<br />

culturali e di tendenza – la musica, la moda, il design, l’arte, le<br />

applicazioni Web, i media generati dagli utenti, il cibo – sono remix,<br />

fusioni, collage e mashup. Se il postmoderno è la cifra degli<br />

anni Ottanta, il remix è quella degli anni Novanta, dei Duemila,<br />

e probabilmente anche del prossimo decennio”. (L. Manovich,<br />

Software Culture, Milano, Olivares, 2010, p. 195)<br />

07<br />

Il concetto platonico di μεταξύ , associato all’esperienza<br />

dell’esistenza e della coscienza, è stato ripreso in anni più o<br />

meno recenti da Eric Voegelin: “Existence has the structure of the<br />

In-Between, of the Platonic μεταξύ, and if anything is constant in<br />

the history of mankind it is the language of tension between life<br />

and death, immortality and mortality, perfection and imperfection,<br />

time and timelessness, between order and disorder, truth<br />

and untruth, sense and senselessness of existence; between amor<br />

Dei and amor sui, l’aˆme ouverte and l’ame close.” (E. Voegelin,<br />

“Equivalences of Experience and Symbolization in History”, in E.<br />

Sandoz (a cura di), vol. 12 of The Collected Works of Eric Voegelin,<br />

Baton Rouge, Louisiana State University Press, 1989), pp. 119-120)<br />

Intenderemo che il metamodernismo possa situarsi<br />

epistemologicamente insieme al (post)modernismo,<br />

ontologicamente “tra” il (post)modernismo e<br />

storicamente oltre il (post)modernismo [...] 08<br />

Nel ridefinire in senso “metamoderno” una serie di<br />

tendenze estetiche rintracciabili nella sensibilità<br />

contemporanea, gli stessi Vermeulen e van den Akker<br />

fanno notare come non sia possibile teorizzare un<br />

superamento tout court della postmodernità, quanto<br />

piuttosto una sopravvivenza in forma metamorfica delle<br />

sue tendenze all’interno di un contesto in cui convivono<br />

istanze e pulsioni in tensione, o meglio in duplice vincolo<br />

tra di loro. In between o μεταξύ, appunto, e cioè in una<br />

condizione in cui si è allo stesso tempo qui, altrove ed<br />

in nessun luogo. Se infatti la sintassi utopica definisce<br />

i paradigmi della modernità, così come la paratassi<br />

distopica esprime quelli della postmodernità, nell’orizzonte<br />

della metamodernità emerge una “metaxis” a-topica in<br />

cui si condensa la possibilità di essere allo stesso tempo<br />

luogo e non-luogo, territorio senza riferimenti definitivi,<br />

posizione senza coordinate o parametri di tracciamento e,<br />

in definitiva, spazio-tempo nè ordinato nè disordinato, al di<br />

là dell’ordine temporale (moderno) e del disordine spaziale<br />

(postmoderno).<br />

Il metamodernismo sostituisce i parametri del<br />

presente con quelli di una presenza futura che è<br />

senza futuro. Sostituisce i confini dei nostri luoghi<br />

con quelli di luoghi surreali che sono senza luogo. Per<br />

dirla tutta, è questo il “destino” delle donne e degli<br />

uomini metamoderni: inseguire un orizzonte che va<br />

ritirandosi per sempre. 09<br />

È una condizione di metaxis a-topica, di tensione in<br />

between che emerge in una serie di pratiche estetiche che<br />

sembrano richiamare, rivelando talvolta una sensibilità<br />

neo-romantica, il desiderio dell’imperfezione all’interno<br />

di un mondo sempre più connesso in rete, l’attenzione<br />

a tutto ciò che è straniamento, alienazione. È il cinema,<br />

segnatamente nei lavori di Michel Gondry, Wes Anderson<br />

o Spike Jonze, a permetterci di orientare lo sguardo sui<br />

vuoti scavati da queste tensioni, che si rivelano anche<br />

attraverso la dimensione affettiva di quella “structure of<br />

08<br />

T. Vermeulen, R. van den Akker, “Notes on Metamodernism”, in<br />

Journal of AESTHETICS & CULTURE Vol. 2, 2010, p. 2<br />

09<br />

T. Vermeulen, op. cit., p. 14<br />

feeling” che critici come James MacDowell 10 individuano<br />

quale elemento costituente della sensibilità filmica<br />

metamodernista.<br />

Le ragnatele narrative, la cornice visiva, le scelte estetiche:<br />

tutto in queste pellicole contribuisce a rendere tangibile<br />

questa struttura, in cui emergono “i sentimenti molto di<br />

più del pensiero – come un pattern di impulsi, equilibri<br />

e toni” 11 . Fluttuando tra sincerità ed ironia, entusiasmo e<br />

distacco, innocenza e consapevolezza, le possibilità tonali<br />

messe in atto in queste pellicole si materializzano in gran<br />

parte attraverso i sentimenti che generano negli spettatori.<br />

È questa la condizione che emerge anche in “Her” di<br />

Spike Jonze, in cui i salti tonali e i vuoti emotivi svelano<br />

la dimensione alienante nella quale si inscrivono<br />

pensieri e movimenti dei personaggi, sullo sfondo di<br />

un paesaggio umano profondamente desolato. Qui, lo<br />

scenario prospettato da Jonze è per certi versi distopico:<br />

se l’eccesso di comunicazione sta contribuendo,<br />

paradossalmente, all’impossibilità di comunicare tra<br />

individui, può veramente la tecnologia fungere da surrogato<br />

alle emozioni reali? Cosa significa essere umani? Come<br />

possiamo creare delle connessioni in un universo che<br />

si aliena progressivamente? Quando la nostra capacità<br />

emozionale si dissolve oltre la sensibilità della tecnologia,<br />

abbiamo necessità di una nuova misura per l’intimità e<br />

per i nostri sentimenti? Questa incomunicabilità profonda,<br />

che ha un parallelo nella vicenda vissuta da Amy, l’amica<br />

del protagonista Theodore, è veramente il male dei nostri<br />

tempi e quello che contraddistinguerà il nostro futuro<br />

10<br />

J. MacDowell, “Notes on Quirky”, in Movie: A Journal of Film<br />

Criticism I, http://www2.warwick.ac.uk/fac/arts/film/movie/contents/notes_on_quirky.pdf,<br />

ultimo accesso 7 gennaio 2016<br />

11<br />

R. Williams, Politics and Letters: Interviews with New Left Review,<br />

Londra, New Left Books, 1979<br />

I<br />

II

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