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Rapporto Commissione EAT Lancet

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A proposito del <strong>Rapporto</strong> pubblicato dalla <strong>Commissione</strong> <strong>EAT</strong>-<strong>Lancet</strong><br />

Oggi, giovedì 17 gennaio, la commissione <strong>EAT</strong>-<strong>Lancet</strong>, insieme ad un gruppo di 37 ricercatori<br />

ben finanziati e molto influenti, torna alla carica con un nuovo rapporto sui "sistemi alimentari<br />

sostenibili". Che, sostenendo la necessità di uno spostamento planetario verso una dieta “a base<br />

vegetale” e stigmatizzando l’allevamento di bestiame come nocivo, raggruppa una serie di inviti<br />

alimentari radicali e non scientificamente validi. Uno su tutti: il quasi totale abbandono del<br />

consumo di proteine animali. In nome degli interessi di pochi produttori di cibi vegetali sostitutivi<br />

della carne e dei latticini, il documento <strong>EAT</strong>-<strong>Lancet</strong> punta al clamore mediatico più che alla<br />

validità dei suoi contenuti. Ma la scienza è il luogo del dibattito, non dello scontro. Il report e le<br />

modalità della sua divulgazione dimostrano l'esatto contrario. L'ambizione degli autori di<br />

"cambiare la dieta del mondo" è velleitaria e pericolosa, anche perché rischia di porre le basi<br />

per un ulteriore aumento della malnutrizione e dello spreco di cibo nel mondo. È dunque<br />

necessario fare delle importanti considerazioni.<br />

La scienza non si basa su opinioni: 37 scienziati, seppur autorevoli, non sono la comunità<br />

scientifica<br />

Innanzitutto, chi propone questo report, oltre ad essere ideologicamente di parte e a voler<br />

diffondere più una propria parziale interpretazione del settore alimentare che non un paper di<br />

validità scientifica, è supportato da grandi finanziatori con interessi miliardari nella produzione del<br />

cibo di sintesi e di surrogati dei prodotti di origine animale. Viene quindi da chiedersi come ci si<br />

possa illudere dell’imparzialità di un tale “studio”. Gli esperti messi intorno al tavolo, pur<br />

essendo in alcuni casi autorevoli, non sono la comunità scientifica. Prima della<br />

pubblicazione di questo report, infatti, The <strong>Lancet</strong> avrebbe dovuto sottoporlo all'esame della<br />

comunità scientifica internazionale, compresa quella degli zootecnici, dei nutrizionisti e dei<br />

climatologi (ognuna di queste categorie vanta migliaia di validi professionisti e centinaia di riviste<br />

con impact factor). Una revisione critica ex ante è il modo di agire corretto di una rivista<br />

prestigiosa. Già le modalità di diffusione del rapporto, spedito negli scorsi giorni alle redazioni di<br />

giornali e riviste di tutto il mondo “sotto stretto embargo”, ha dato la misura del fragore mediatico<br />

che la commissione <strong>EAT</strong>-<strong>Lancet</strong> vuole ottenere, piuttosto che mettere in guardia circa presunti<br />

pericoli derivanti da un uso scorretto del cibo e delle risorse naturali.<br />

Ambiente: senza la zootecnia non sono possibili né agricoltura biologica nè tanto meno la<br />

tutela della biodiversità<br />

Chi ha contribuito alla stesura di questo rapporto dimostra di avere poca o nessuna esperienza<br />

pratica nella produzione del cibo, o di ciò che costituisce la reale sostenibilità di tutto il sistema<br />

alimentare. Non sembra neppure considerare o essere consapevole del fatto che senza la<br />

zootecnia non sono possibili né un’agricoltura biologica, o comunque con un ridotto bisogno di<br />

fertilizzanti di sintesi, né tanto meno la tutela della biodiversità che l’allevamento garantisce. Se<br />

correttamente gestito l’allevamento rappresenta infatti uno strumento formidabile per la<br />

conservazione della biodiversità, concorrendo alla regolare fornitura dei cosiddetti “servizi<br />

ecosistemici”. Tutto questo è molto importante non solo per la manutenzione del paesaggio, ma<br />

anche per la preservazione del suolo, così come dell’entomofauna e dell’avifauna, strettamente<br />

collegate fra di loro. C’è una catena ecologica positivamente collegata con la presenza di<br />

animali da allevamento, ma gli autori del rapporto <strong>EAT</strong>-<strong>Lancet</strong> sembrano appunto ignorarlo.<br />

Combustibili fossili: la carne come capro espiatorio per nascondere le più importanti<br />

cause di inquinamento<br />

L'accusa al mondo della carne e delle proteine animali sull'impatto ambientale è pretestuosa per<br />

un altro motivo: nasconde il vero problema legato alle emissioni di gas serra, quello dei


combustibili fossili ancora oggi necessari per la produzione di energia, il riscaldamento e la<br />

climatizzazione, l’industria e i trasporti. Infatti, mentre le emissioni dell’intero settore agricolo<br />

(incluse dunque la zootecnia e l’acquacoltura) pesano per il 10,3% del totale, quelle dovute<br />

all’uso di combustibili fossili rappresentano un ben più importante 64%. I principali scienziati del<br />

clima affermano da tempo che concentrarsi sull'agricoltura e continuare a diffondere il messaggio<br />

di una necessaria conversione veg distrae erroneamente dalla più alta priorità ambientale, che è<br />

e resta appunto l’uso dei combustibili fossili. Infatti, secondo le ultime stime FAO disponibili, il<br />

settore agricolo (compresa la produzione di carne, uova, latte e acquacoltura), ha un impatto<br />

climalterante pari al 10,3% del totale, mentre l’allevamento animale di per sé è responsabile solo<br />

del 5% delle emissioni dirette globali e il miglioramento dell'efficienza produttiva continua a ridurre<br />

drasticamente l'impronta di carbonio nelle moderne attività di allevamento di bestiame.<br />

Sprechi alimentari: le filiere delle carni e del latte sono quelle con minor spreco<br />

Se si parla di impatti ambientali non si possono ignorare gli sprechi, molto più elevati per i vegetali<br />

che non per carne e latte. Il rapporto <strong>EAT</strong>-<strong>Lancet</strong> stabilisce l'obiettivo di "ridurre la perdita e lo<br />

spreco alimentare del 50% per diminuire la pressione sulla domanda alimentare". Secondo i dati<br />

forniti dalla FAO, però, i peggiori sprechi nel mondo sono legati a frutta, verdura e tuberi:<br />

addirittura il 45% di questi prodotti freschi viene perso. Subito dopo frutta e verdura, sempre a<br />

livello di spreco, troviamo i cereali. Di questi ne viene perso il 30%. A seguire pesce e carne, il<br />

cui spreco incide rispettivamente per il 30% e il 20%.<br />

Oltre ad essere quella di carni e salumi una filiera produttiva molto più virtuosa di quella dei<br />

prodotti vegetali, ci si guarda generalmente dallo sprecare i prodotti di origine animale,<br />

indipendentemente dal loro prezzo anche per il valore sociale e culturale percepito da secoli per<br />

questi alimenti. Tutti aspetti arbitrariamente ignorati da <strong>EAT</strong>-<strong>Lancet</strong>. Aumentare (attraverso il<br />

necessario uso di fertilizzanti chimici, in assenza dell’allevamento) la produzione di vegetali<br />

significa aumentare ulteriormente lo spreco di cibo e di risorse che già oggi pesa per circa l'8%<br />

delle emissioni globali.<br />

Clima: la rinuncia alla carne non è una soluzione per ridurre le emissioni<br />

Sugli impatti climatici, il rapporto dell’<strong>EAT</strong>-<strong>Lancet</strong> offre modelli difficilissimi da maneggiare, oltre<br />

che pesantemente dipendenti da comportamenti collettivi su scala globale e da scelte politiche,<br />

con grafici sulle emissioni globali di dubbia validità e scarsamente comprensibili. Anche qui urge<br />

puntualizzare che il principale gas climalterante prodotto dai ruminanti è il metano. Le emissioni<br />

di metano del settore zootecnico sono prevalentemente generate dalla fermentazione anaerobica<br />

delle biomasse che avviene nei processi digestivi di tutti gli erbivori.<br />

La rinuncia alla carne non è la soluzione per ridurre le emissioni, anche perché le biomasse<br />

disponibili verrebbero comunque ingerite da altri organismi, come gli ungulati selvatici, con eguale<br />

produzione di metano. In base alle ultime acquisizioni scientifiche, il metano di origine<br />

fermentativa prodotto dai ruminanti, a differenza dell’anidride carbonica che si accumula nel<br />

tempo, tende a decadere naturalmente in atmosfera nell’arco di pochi anni. La scoperta di<br />

questa caratteristica fisica del metano non è stata ancora considerata nei criteri di calcolo<br />

attualmente utilizzati per determinare il valore clima alterante di un gas (GWP – Global Warming<br />

Potential), ma ha avviato un dibattito nella comunità scientifica volto a ridimensionare il ruolo del<br />

metano rispetto all’anidride carbonica.<br />

Più in particolare, utilizzando le metriche correnti, in Italia ISPRA ha stimato le emissioni di gas<br />

serra del settore zootecnico pari a 4,4% (secondo il REPORT ISPRA 2017) nel 2010: un dato<br />

storicamente in calo, per l’efficientamento tecnologico e il miglioramento delle performance di<br />

impatto degli allevamenti nel nostro Paese. Nel report 2018 l’Istituto recita “Le emissioni dal<br />

settore dell’agricoltura sono diminuite del 13,4% tra il 1990 e il 2016. Tale riduzione si è ottenuta<br />

per la diminuzione dei capi allevati, in particolare bovini e vacche da latte e grazie a un minor uso


di fertilizzanti azotati. Negli ultimi anni si è registrato un incremento della produzione e raccolta di<br />

biogas dalle deiezioni animali a fini energetici, evitando emissioni di metano dallo stoccaggio delle<br />

stesse”.<br />

Salute e nutrizione: 37 scienziati invitano a cambiare le abitudini alimentari di 7,5 miliardi<br />

di persone<br />

Il rapporto <strong>EAT</strong>-<strong>Lancet</strong> insiste sulla necessità di una "dieta di riferimento sana", con un consumo<br />

di carne di manzo di soli 7 g al giorno, cioè circa la metà di una piccola polpetta, 7 g di carne di<br />

maiale, equivalente a neppure mezza fetta di prosciutto cotto, e 29 g di pollame, ossia una pepita<br />

(nugget) e mezzo di pollo. I prodotti lattiero-caseari? Si parla di 250 g al giorno, vale a dire un<br />

bicchiere di latte. In poche parole, la commissione <strong>EAT</strong>-<strong>Lancet</strong> suggerisce di dimezzare il<br />

consumo di carne.<br />

Affinché ciò avvenga, nell’interesse di coloro che finanziano lo studio (lo ripetiamo, gli stessi che<br />

puntano a conquistare sempre più mercati con i surrogati della carne che producono) il rapporto<br />

<strong>EAT</strong>-<strong>Lancet</strong> chiede in pratica che i governi di tutto il mondo rendano cibi indispensabili ad una<br />

corretta alimentazione meno disponibili, più costosi, o ancora più difficile produrli. Il tutto<br />

implementando "una gamma completa di leve politiche" che includono addirittura divieti di<br />

prodotti, nuove tasse e di conseguenza nuove profonde disparità sociali, nonché l'eliminazione<br />

delle scelte alimentari personali.<br />

Dieta mediterranea: Un modello di riferimento alimentare snaturato dal rapporto Eat<br />

<strong>Lancet</strong>.<br />

Nel report si parla anche di dieta mediterranea, modello alimentare riconosciuto talmente virtuoso<br />

da essere inserito nel patrimonio dell’umanità dall’Unesco. La caratteristica principale di questa<br />

eccellenza mondiale è la presenza di tutti gli alimenti, senza nessuna esclusione, che la rendono<br />

la più varia tra le diete e soprattutto la più completa e bilanciata dal punto di vista nutrizionale. Il<br />

problema, nel rapporto <strong>EAT</strong>-<strong>Lancet</strong>, è che riescono a storpiare anche questa: quella indicata nel<br />

documento è infatti sbagliata, perché vede incluso meno del 10% di carne e ben il 40% di grassi.<br />

Carne, pesce, uova e formaggi sono cibi da sempre presenti nella tradizione dei popoli del bacino<br />

del Mediterraneo. In passato, infatti, oltre al pesce venivano consumati la cacciagione, i tanti<br />

animali da cortile (polli, tacchini, conigli, oche, ecc.) e i suini, la cui alimentazione era basata<br />

sull’utilizzazione dei sottoprodotti agricoli e sugli scarti alimentari umani. In generale, quello che<br />

emerge dal modello mediterraneo (che gli italiani seguono tutt’oggi ritrovandosi non a caso tra i<br />

popoli più longevi e in salute del pianeta) è uno stile alimentare con un elevato consumo di<br />

verdura, legumi, frutta e frutta secca, olio d’oliva e cereali (di cui un 50% integrali), e un moderato<br />

consumo di pesce, prodotti caseari (specialmente formaggio e yogurt), carne e dolci.<br />

Consumi reali e debolezze metodologiche: gli italiani non devono cambiare la loro<br />

alimentazione<br />

Il rapporto <strong>EAT</strong>-<strong>Lancet</strong> è caratterizzato da un approccio poco scientifico e molto debole a livello<br />

metodologico. Giusto per fare un esempio, non considera le differenze territoriali: che si tratti di<br />

consumo di risorse idriche o di consumi ed abitudini alimentari, per gli esperti della commissione<br />

<strong>EAT</strong> vivere nel deserto del Kazakistan o in mezzo ai pascoli irlandesi non fa alcuna differenza.<br />

Non si spiegherebbe altrimenti la scelta di inserire ad esempio i consumi di carne europei nella<br />

stessa categoria di quelli dell’Asia centrale.<br />

Vale dunque la pena ricordare quali sono gli effettivi consumi di carne degli italiani. Per prima<br />

cosa, bisogna evidenziare la differenza tra “consumi apparenti” e “consumi reali” di carne. I<br />

primi sono quelli che, a differenza appunto dei “consumi reali”, prendono in considerazione anche<br />

tutte le parti non edibili degli animali: ossa, grasso, tendini, cartilagini e scarti. Fatta questa


distinzione, ad oggi ignorata anche dalle principali linee guida nutrizionali, il consumo reale procapite<br />

italiano è di circa 104 g di carne al giorno (incluso pollo, bovino, suino, salumi, ovini ecc),<br />

pari a 38 kg all’anno.<br />

Tale consumo comprende tutta la carne, indipendentemente da come (cruda, cotta, trasformata<br />

in salumi, presente in preparazioni alimentari miste, in scatola, ecc.) e da dove (casa, ristoranti,<br />

fast food, mense, comunità, bancarelle, ecc.) essa viene consumata. Considerando solo il<br />

consumo di carne rossa (bovina e suina) e salumi (escludendo quindi le carni bianche), il<br />

consumo reale si attesta a 69 g al giorno. Per quanto riguarda invece solo la carne bovina, il<br />

consumo reale scende a 24,8 g al giorno procapite, ben al di sotto dei 100 g al giorno indicati<br />

da OMS/IARC quale soglia di rischio per la salute.<br />

Al di là dei suggerimenti interessati del rapporto <strong>EAT</strong>-<strong>Lancet</strong>, dunque, prima di abbandonare la<br />

propria dieta tradizionale per seguire pericolosi regimi alimentari, è giusto far sapere agli italiani<br />

che non serve che cambino il loro modello alimentare (e di vita), anche perché consumano già<br />

un quantitativo di carne molto più basso rispetto alla maggior parte dei Paesi prese in<br />

esame dalla commissione <strong>EAT</strong>.<br />

Il caso IARC/OMS<br />

La diffusione di allarmismi causati da studi con limitate evidenze scientifiche, basati oltre tutto su<br />

Paesi e contesti con livelli di consumo e metodi di produzione delle carni sia fresche che<br />

trasformate ben diversi da quelli italiani, si è già vista nel 2015. Ricordiamo tutti quando la IARC,<br />

per conto dell’OMS, ha anticipato l’uscita di una monografia che ha dato modo ai detrattori delle<br />

carni rosse e dei salumi di paragonarle addirittura al fumo e all’amianto, in quanto inserite dalla<br />

stessa IARC nelle categorie “probabilmente” e “sicuramente” cancerogene. Nel corso del 2018<br />

questa monografia è stata finalmente pubblicata, sgonfiando come per incanto tutti gli allarmismi<br />

dei tre anni precedenti. Per un semplice motivo: su circa 800 studi epidemiologici presi in esame,<br />

la IARC ne ha giudicati attendibili solo 14; di questi la metà, ossia 7, evidenziava una<br />

correlazione tra un eccessivo consumo di carne rossa e il tumore al colon-retto. In altre parole,<br />

su 800 studi solo 7 erano in linea con l’allarme lanciato all’epoca: vale a dire meno dell’1%.<br />

Forti di questa esperienza, ci auguriamo che i media (italiani in primis) prima di strillare la<br />

necessità di eliminare le carni e i cibi animali dalla propria dieta vogliano approfondire quanto sta<br />

scritto nel rapporto <strong>EAT</strong>-<strong>Lancet</strong>, chi lo finanzia e perché.<br />

Inoltre, è bene ricordare una cosa: la stessa IARC indica la carne come alimento ricco di<br />

nutrienti fondamentali, aminoacidi, ferro, zinco, vitamina B12 e altre importanti vitamine, e<br />

proteine ad alto valore biologico, riconosce i benefici di questo alimento in determinate fasi<br />

della vita e non ha mai detto che è necessario eliminarla dalla propria dieta. Come sembrano<br />

invece volere suggerire i ricercatori del gruppo <strong>EAT</strong>-<strong>Lancet</strong>.<br />

Quali sono i prodotti “sani” proposti dalla commissione <strong>EAT</strong>-<strong>Lancet</strong><br />

Come rivelato negli scorsi giorni da Frédéric Leroy e da Martin Cohen, dietro questa commissione<br />

si nascondono nomi o realtà fortemente orientate al cosiddetto “Veg-Business”, ovvero ad<br />

aggressive campagne di marketing (travestite da suggerimenti etici) che possano portare il più<br />

alto numero possibile di consumatori globali ad abbandonare le carni per acquistare i suoi<br />

surrogati, siano essi vegetali o sintetici. Ma cosa c’è in questi prodotti? E soprattutto, le proteine<br />

alternative sono veramente sostenibili?<br />

Pochi si interrogano su cosa possano contenere le alternative alla carne attualmente più di moda.<br />

Come i finti hamburger made in USA sostenuti dagli ingenti investimenti di protagonisti<br />

dell’agricoltura globalizzata e dell’economia high-tech. Uno dei più famosi sul mercato è composto<br />

da una lista di 16 ingredienti, con l’acqua come ingrediente principale e altre sostanze derivanti


da prodotti di trasformazione chimica o fisica di vegetali. Nessun ingrediente, ad eccezione<br />

dell’acqua, può dirsi “naturale”, perché sono tutti di sintesi: una grande quantità di conservanti,<br />

coloranti e addensanti che possono solo provare ad imitare il sapore e la consistenza della carne<br />

vera. Tra questi, proteine isolate di pisello (non il semplice legume), l’olio di canola (estratto<br />

con presse e solventi e poi raffinato, deriva dalla colza ed è arricchito con acido oleico per<br />

somigliare maggiormente all’olio di oliva), olio raffinato di cocco (che detiene il record del più<br />

basso livello di acidi grassi insaturi), miscela di estratti vegetali, fosfato ferrico (di sintesi<br />

chimica), estratto di annatto (un colorante giallo rossiccio che deriva da una pianta<br />

amazzonica), cellulosa di bambù (così il prodotto trattiene l’acqua), metil cellulosa, amido di<br />

patata, aromi naturali, estratto di lievito, sale, olio di girasole, acido ascorbico, acido<br />

acetico (la carne vera è acida di suo, qui bisogna aggiungerlo se no non si conserva), aroma<br />

“naturale” di fumo, glicerina vegetale.<br />

La dieta a base di surrogati vegetali della carne non sembra dunque una soluzione sostenibile né<br />

per l’ambiente né per la salute umana. I costi energetici e l'impatto nutrizionale delle proteine<br />

vegetali non sono ancora chiari, per cui è bene attendere le prime risultanze di studi approfonditi<br />

per formulare un giudizio complessivo. Analizzando invece dati certi, è stato dimostrato che i<br />

burger vegetali hanno un impatto misurabile in circa 1/4-1/5 delle emissioni previste per la carne.<br />

Ma la loro coltivazione emette e non sequestra CO2; inoltre per fornire lo stesso contribuito<br />

proteico della carne, è necessario assumere un quantitativo di vegetali sensibilmente maggiore:<br />

il contenuto di proteine di 1kg di fagioli non è affatto uguale a quello di 1 kg di carne.<br />

Il settore zootecnico è parte della soluzione, non del problema<br />

La volontà di partecipazione del settore delle carni al dibattito è concreta, tanto quanto la<br />

sensibilità al problema della sostenibilità delle sue produzioni. Forte di professionisti con<br />

comprovate conoscenze scientifiche in campo zootecnico, ambientale e nutrizionale, il comparto<br />

delle produzioni animali chiede che gli venga concesso un concreto spazio di confronto in questo<br />

dibattito, libero però da qualsivoglia pregiudizio. Solo così una reale professionalità verrebbe<br />

davvero messa al servizio di un piano di azioni volto a trovare soluzioni e non capri espiatori.<br />

Gli agricoltori italiani e tutto il mondo zootecnico hanno competenze, scienza e tecnologia che<br />

possono mettere a disposizione per essere parte della soluzione e non il problema. Come del<br />

resto si sta già vedendo nei paesi più evoluti, Italia in primis. Connettere nutrizione e impatti<br />

ambientali è un ottimo esercizio, ma non sempre le cose coincidono perché è veramente difficile<br />

conciliare alimenti ricchi come carni, latte e uova (e anche pesce) con i rispettivi impatti e<br />

classificare entrambi come “cattivi”.<br />

La comunità scientifica italiana ha già prodotto ottime pubblicazioni ricchissime di letteratura citata<br />

che dimostrano come gli alimenti di origine animale facciano bene, che gli impatti ambientali<br />

delle produzioni zootecniche possono essere contenuti e che questi cibi rappresentano uno degli<br />

asset economici del nostro Paese e non solo. Quando giochiamo con la salute del mondo,<br />

guardiamo ai modelli virtuosi per l'alimentazione: l'Italia è uno di questi.<br />

Carni Sostenibili è il progetto promosso da tre associazioni di categoria - Assocarni, Assica e<br />

Unaitalia- rappresentanti tutte le filiere delle carni in Italia (bovino, suino e avicolo) che ha<br />

l’obiettivo di trattare in modo trasversale tutti gli argomenti legati al mondo delle carni: un progetto<br />

senza precedenti in Italia che, con un approccio formativo, vuole contribuire ad una informazione<br />

equilibrata su salute, alimentazione e sostenibilità. www.carnisostenibili.it

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