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la torre N19

Notizie locali, territorio Mariana Mantovana e dintorni.

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viati dal sovrano tedesco Ferdinando II. Questi soldati,

sinistramente ricordati dal Manzoni nel celebre romanzo

“I Promessi Sposi”, sono dei mercenari, in maggioranza

protestanti luterani, che odiavano il clero

papale. Un gruppo di questi soldati durante una razzia

nel nostro paese, trafuga la reliquia di S. Sabina dalla

Chiesa dei Disciplini.

Nell’archivio parrocchiale locale, si trova un documento

che riporta questa interessante notizia:

”[...]Dicembre 1631: Memoria come la mano di S. Sabina

rubata dalli soldati dall’esercito imperiale l’anno

1626 il mese di Aprile, fu ritrovata adi 29 Novembre

1631 da Pietro Ricci da Redondesco nella casa di Stefano

Curti sopra la cucina in solaro, e fu portata dall’istesso

Pietro a Mariana l’ultimo Novembre accompagnato

da Giò. Mondini, e consegnata a mè Girolamo

Bettoni Rettore ordinario foraneo di Mariana, nella

casa della Chiesa e così a memoria io Girolamo ho

scritto”

L’oratorio dei disciplini era dedicato ai Santi Sabina e Sebastiano

martiri (tela custodita dietro l’altare della Chiesa Parrocchiale)

Anno 1634 - Delegato dal Vescovo, Don Vincenzo Giustiniani

ordina di chiudere tutte le reliquie esistenti

nelle chiese ed oratori di Mariana in urne, allo scopo

di proteggerle. La reliquia di S. Sabina custodita nella

chiesa dei Disciplini in castello, viene traslata nella

chiesa Parrocchiale per essere meglio custodita.

17 Maggio 1647 - Resoconto della visita del Vescovo

Marco Morosini: Benedetto Scala, massaro della scuola

della disciplina ora dedicata a San Sebastiano (non

essendo più possessore della Reliquia di s. Sabina),

gestisce dei livelli con un reddito annuale di 284 lire e

13 scudi, concessi dalla famiglia Mura. I confratelli sono

in numero di 18.

La storia degli ultimi due secoli di vita della confraternita

è quella di un'istituzione in cui le motivazioni

originarie vengono progressivamente meno, per lasciare

spazio a nuove esigenze, d'ordine piuttosto amministrativo

che spirituale.

La devozione conserva ancora con minuzia le modalità

originarie: abito, insegne, flagellazione talvolta, processioni

rigidamente organizzate; appropriandosi di

riti che in qualche modo nobilitano, non fosse altro

per la lunga tradizione che li sorregge.

L’imperatore asburgico

Giuseppe II

Il sovrano intendeva

unificare nelle mani

dello Stato i poteri del

clero nazionale, sottraendoli

al Papa e ai

suoi rappresentanti.

Nel 1781 l’imperatore d’Austria

Giuseppe II iniziò la soppressione

degli ordini contemplativi.

Offensiva condotta con

fulminea rapidità, che portò in

breve tempo all’abolizione di

700 conventi e a una drastica

riduzione del numero dei regolari,

passati da 65.000 a

27.000. Tale norma fu estesa

alla Lombardia, riguardo alla

quale Giuseppe II rivendicò

anche il diritto di collazione di

tutti i benefici ecclesiastici. In

questo contesto, l’esistenza

della confraternita appare inutile

per lo stato, l'imperatore

ne decreta la soppressione nel

1786.

Nonostante questo, dopo la

parentesi napoleonica, durante

la restaurazione austriaca la

Confraternita contava ancora

30 aderenti con regola ampiamente

riveduta e regolare, canonizzata dall'Illustrissimo

e Rev.mo mons. Bozzi Vescovo di Mantova, che

permise ai Confratelli di poter esercitare come loro

antica usanza e consuetudine, nonostante i regolamenti

emessi da S.M.I.R. del 14 novembre 1817. Infatti,

durante le funzioni parrocchiali festive, si vigilava

da parte delle stesse autorità locali, affinché fossero

mantenute chiuse le osterie e i negozi in tutto il Comune,

obbligando i devoti a partecipare alle funzioni religiose.

Nel 1838 L’antico e glorioso edificio viene sconsacrato,

ed adibito a dormitorio militare austriaco.

Trascorsi alcuni anni, ecco che nel 1877 la Confraternita

viveva quasi abbandonata a se stessa con otto

confratelli tutti anziani. Era rappresentata da: Modi

Angelo, Brunetti Francesco, Paolo Torreggiani, Monizza

Francesco, Mori Antonio, Pafini Agostino, Bernardin

Antonio e Facchini Giovanni.

Ricordiamoci

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