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La Torre inverno 2019

Trimestrale La Torre - Livorno

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Bollettino dell'Associazione Culturale Giosuè Borsi di Livorno N. 50 - inverno 2019

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20 febbraio 2020

assemblea associazione giosuè borsi

Momenti dell'Assemblea

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La nostra presidentessa Lucia Zagni, votata all'unanimità

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Locandina della prima conferenza dell'Associazione

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Nicoletta Borgioli

Il pubblico

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Locandina del film I DUE SERGENTI

8


TUTTI I NOSTRI EVENTI SONO RIMANDATI FINO ALLA CESSAZIONE DELL'EPIDEMIA

UNA FOTO EMBLEMATICA DELLA SITUAZIONE

Il Duomo bagnato dalla pioggia e solitario ma fiero e orgoglioso di fronte alle avversità

9

, georgelucky1973


Una ricerca di Carlo Adorni

10


L’IMPRESA FIUMANA (1919-1920)

Rispetto ad altre città italiane, a Livorno gli influssi dannunziani furono più contenuti. Ciò

nonostante, dopo l’occupazione di Fiume vi furono varie partenze di volontari livornesi alla

volta della città istriana e rilevante fu la loro presenza tra i “legionari”. E prima ancora vi era

stato il non trascurabile caso dei disordini con i marinai francesi di guarnigione in città. Infatti,

nel febbraio 1919 vi fu a Livorno un sanguinoso conflitto con i soldati francesi di stanza in

città: la guarnigione francese era presente nella nostra città sin dal dicembre del 1916, e

contro di essa si era andato coagulando da tempo il risentimento popolare. Il 21 febbraio

1919, quando questo risentimento esplose, erano 1902 i militari francesi di stanza a Livorno,

oltre a 5.375 soldati delle nostre forze armate. Una rissa in un locale pubblico, degenerò

in un conflitto a fuoco tra le due guarnigioni, e la popolazione livornese finì con lo schierarsi

dalla parte delle truppe italiane. I tumulti, nel complesso, causarono 3 morti e 37 feriti tra i

francesi, e 6 feriti tra gli italiani, e finirono per accelerare l’evacuazione del contingente francese

da Livorno. L’onorevole socialista Modigliani (1) deplorò l’accaduto, condannando gli e-

stremismi della folla e accusò i repubblicani di aver incitato i livornesi contro i francesi a

causa del sostegno della Francia alla causa jugoslava (2) .

Il 12 settembre 1919 D’Annunzio con oltre un migliaio di volontari occupò militarmente la

città di Fiume e proclamò la “Reggenza italiana del Carnaro”. Nei giorni successivi lanciò

appelli e richiami a uomini politici, di scienza e cultura, nonché appassionanti messaggi rivolti

alle principali città italiane, perché non abbandonassero la causa della città fiumana e

la sostenessero con il loro aiuto e la loro solidarietà. Uno di questi appelli - peraltro tra i più

vigorosi - venne rivolto, il 7 ottobre 1919, alla città e al popolo livornesi:

“Ai Livornesi. Alla gente di mare il saluto della gente di mare. La gente adriatica di

Fiume manda alla gente tirrena di Livorno il saluto marino della libertà. La maschia

Livorno, che lotte di popolo e glorie di popolo conosce e pregia, non può non consentire

al nostro sforzo. Ha un’anima di servo chi senza fremito può oggi pronunziare

il nome del più nobile Comune che illustri il mondo. V’è forse in tutta Toscana

un’anima libera più della vostra, fratelli? Ci attendiamo da voi fiero consentimento e

animosa assistenza. Noi terremo Fiume contro tutto e contro tutti, fino all’ultimo. Non

c’è livornese schietto che dubiti di questa parola; poiché, per istinto di razza e per

spirito di tradizione, si sente capace di mantenerla. Oggi la sorte è divisa da un taglio

netto. Chi non è con noi è contro di noi. Viva Fiume d’Italia!”.

7 ottobre 1919 - GABRIELE D’ANNUNZIO

D'annunzio a Fiume tra i suoi ufficiali

11


La risposta dei livornesi fu la partenza di vari volontari per Fiume e l’accoglienza in città

di alcuni bambini fiumani

(ved. foto), inoltre su iniziativa

di V. E. Marzocchini

già nei primi giorni

dell’impresa dannunziana

venne lanciata una pubblica

sottoscrizione tramite

il quotidiano “Il Telegrafo”

(3) . Tra i “legionari

fiumani” livornesi ricordiamo,

tra gli altri, il

serg.magg. Fernando

Cavallini (4) , il ten. Aldo

Eminente (5) , il serg.magg.

Fortunato Favilli (6) , il sottoten. Targioni-Tozzetti, il serg. Arnoldo Pesaro (7) , il ten. Mario Bartolomeo

Pacinotti, Remigio Mancini (8) , Iginio Felice, il sottoten. Mario Asso (9) primo caduto

del “Natale di Sangue”, Nazareno Giovannucci (10) futuro martire

fascista, il ten. Goffredo Bartelloni (11) , Umberto Lusena (12) , il ten.

Aleardo Borghi (13) . Anche Guelfo Civinini (14) prese parte con

D’Annunzio all’Impresa fiumana tanto che addirittura perdette il

posto al “Corriere della Sera” di cui

era redattore ed inviato speciale. Nel

1919 si trovò a Fiume anche Gian

Francesco Guerrazzi( 15) che già aveva

accordato al figlio Guerrazzo, allora

diciassettenne, di arruolarsi tra i legionari

dannunziani. E durante

l’occupazione di Fiume il livornese

Targioni Tozzetti, insieme all’ardito Mario

Carli (16) e al tenente Guido Keller (17) Nazareno Giovannucci

fondò “La Testa di Ferro”, organo ufficiale del fiumanesimo.

Tra i primi ad accorrere a Fiume è il Bartelloni, il quale nei primi

giorni dell’occupazione legionaria, inviò a un amico redattore del

“Telegrafo” la seguente corrispondenza e testimonianza:

“DA FIUME ITALIANA (26 settembre 1919): Finalmente dopo un'avventurosa fuga sono arrivato

a Fiume. Non posso descriverti l’entusiasmo che regna in questa eroica e martire città.

Veramente tutto commuove e in Italia - bisogna convenire - non abbiamo una visione

esatta della situazione. Non ti spiego come è avvenuta la mia fuga perché la censura, se

ve n’è, potrebbe scoprire le tracce del nostro passaggio e fare in modo di sbarrare la via ad

altri compagni. I livornesi non mancano mai al loro dovere e qui è ben rappresentata la fiera

Livorno. Il Comandante della Stazione di Fiume è il cap. Del Chicca di Livorno (bella figura

12


di ufficiale e di... disertore). Poi ho trovato il sottoten. Conti, mutilato, che giusto stamani è

tornato da un'audace impresa meritandosi gli elogi del Comandante D’Annunzio. Inoltre si

trova qui il valoroso bersagliere Pesaro, infaticabile ciclista che con zelo e con fede lavora

per la nostra causa. Ci sono pure vari marinai e soldati livornesi di cui non ricordo il nome.

Livorno può essere orgogliosa dei suoi figli che non fuggono il pericolo. Qui bisogna venire

per sentirsi veramente italiani. Qui si sente in tutta la sua potenza l’amore per la Patria. A

Fiume la disciplina delle truppe è degna di ammirazione. Noi ufficiali (siamo tanti!) - giberna

e fucile - e il soldato bisogna fare... Per il bene di Fiume siamo decisi a sacrificare anche la

vita! ... Un saluto alla mia diletta città, a te una fortissima stretta di mano.

Tuo sottotenente GOFFREDO BARTELLONI.” (18)

Del lieto soggiorno livornese di 40 giovinetti fiumani (maggio 1920), giunti nella nostra città

per alleviare le ristrettezze economiche a cui la “città olocausta” doveva in quel periodo

sottostare, sotto l’embargo delle nazioni alleate e del governo italiano di allora, discorre

commossa Bianca Flury Nencini (19), la quale ebbe l’incarico di riaccompagnare i ragazzini di

Fiume nella loro città, tra l’opposizione e le difficoltà di tutti coloro che non condividevano

queste scelte politiche e che allora facevano professione di antifascismo e antifiumanesimo:

“Al Comando della Reggenza di Fiume l’ospitalità fu perfetta: al colloquio del commiato E-

gli (20) parlò di Livorno, la cui forza e la cui volontà eroica, Egli aveva veduto riflessa in Costanzo

Ciano, compagno nell’impresa di Buccari. Livorno arrideva nei ricordi del Comandante:

Egli inseguiva lieti fantasmi lungo il litorale che si snoda verso il Romito o nelle pinete

di Ardenza. Poi tutto il suo interesse fu di sapere di Giovanni Marradi (21) , del suo stato di salute,

delle sue occupazioni. Marradi declinava, ma il suo vigile spirito di italiano puro splendeva

di giorno in giorno, sempre più sfavillando per i fatti che si maturavano. Aveva inviato

a D’Annunzio una lettera in cui si riconfermava la tenace amicizia e la cordialità che avevano

caratterizzato i loro rapporti, anche al tempo della cortese polemica... Egli lesse commosso

il messaggio di Marradi e ringraziò Livorno della generosa ospitalità riservata ai piccoli

fiumani.” (22)

Tra le donne legionarie dell’avventura fiumana, vi era la

“livornese di adozione” Bianca Flury Nencini, protagonista

del giornalismo toscano e direttrice della “Casa dei Bambini”

di Livorno. E’ proprio lei che lanciò una sottoscrizione per

mandare delle culle a Fiume, dove in seguito si recò per

prestare soccorso ai bambini e portarne un gruppo nel proprio

Istituto. Addirittura, verso la fine del 1920, il Comandante

la ospitò al Palazzo della Reggenza per due giorni, facendo

sospettare altri interessi (23) . Bianca aderì poi con u-

guale entusiasmo al fascismo, diventando una protagonista

del cosiddetto “femminismo latino” (24) .

Mario Asso

Durante gli scontri del dicembre 1920 a Fiume (il cosiddetto

13


“Natale di sangue”), tra i legionari di D’Annunzio si ebbe un caduto livornese: il sottotenente

Mario Asso che era un ufficiale di fanteria ventenne di stanza a La Spezia. Raggiunse Fiume

il 29 settembre 1919 ed ebbe la possibilità di incontrare più volte il Comandante che

sembra avesse già conosciuto. Durante lo scontro, a lui fatale, guidava un drappello avanzato

che venne accerchiato dai soldati regolari. Quando essi gli intimarono la resa, Asso

rispose lanciando una bomba a mano e al grido che fu già di Siviero (25) . “Morto si, vivo no!”.

Appena terminata la frase, fu mortalmente colpito: I suoi uomini, ripiegando lo trascinarono

via con loro. Verrà celebrato dai commilitoni e dai capi legionari come “il primo caduto”. La

fotografia del suo corpo rigido, dal volto contratto, con gli occhi sbarrati, diventerà il simbolo

di quel “Natale di sangue”, divenendo un martire di quei giorni fratricidi, proprio la vigilia del

S. Natale (24 dicembre 1920). Il prode volontario livornese cadde sulle barricate erette a

Fiume contro le truppe governative che avevano barattato la città alla politica. In un primo

momento Mario Asso venne sepolto nel locale cimitero urbano di Casala, successivamente la

sua salma venne traslata al Vittoriale, ove tuttora riposa nella prima arca del mausoleo dei caduti

dannunziani.

Quella morte impressionò non poco D’Annunzio, che ancora nel Natale del 1923, confiderà

al suo amico e architetto G. Carlo Maroni: “Gli occhi aperti di Mario Asso li sento tutti e

due nel mio occhio spento”. Lo vorrà con sé sul Colle delle Arche, al Vittoriale.

La bara di Mario Asso

14


****

(1)

MODIGLIANI GIUSEPPE EMANUELE (1872-1947) Avvocato ebreo livornese, fratello del famoso

pittore Amedeo. Fu personaggio politico di rilevanza nazionale nelle fila socialiste. Era nato a Livorno

il 28 ottobre 1872. Già da giovane aveva aderito al P.S.I. seguendo l’orientamento riformista

di Filippo Turati. Venne schedato per la prima volta come sovversivo nel 1898. Contrario alla

Guerra, dopo il conflitto divenne intransigente antifascista. Risultò eletto nelle fila socialiste sia alle

elezioni del 1919 che in quelle del 1921 come deputato di Livorno. Dal 1948 venne a lui dedicata

la piazza prospiciente il viale Italia all’altezza dell’ingresso dei Bagni Pancaldi.

(2)

Gli incidenti di Livorno andavano anche veduti nel contesto del conflitto tra gli italiani e gli jugoslavi

(appoggiati appunto dai francesi) circa il possesso di Fiume e della Dalmazia. Il conflitto in

questione si era aggravato nel novembre 1918 con l’arrivo delle truppe francesi a Fiume, già occupata

da una nutrita guarnigione italiana. Gli incidenti del 6 luglio 1919 a Fiume, nei quali furono

uccisi 9 soldati francesi per mano della folla nazionalista italiana, appoggiata da alcuni marinai i-

taliani, furono una delle cause della spedizione di D’Annunzio, nel settembre successivo.

(3)

La sottoscrizione ufficialmente era stata promossa e appoggiata dalla Federazione delle Associazioni

Patriottiche che aveva la sede del proprio comitato in Via Indipendenza 3 presso il Marzocchini

che vi svolgeva il compito di cassiere. Tra i maggiori sottoscrittori si rilevano: la fam. Sgarallino,

Ezio Ciampi, Fascio Liberale, fam. Grandi Enrico, Vigo Vittorio, fam. Orlando Giuseppe,

Conti Enrico, i f.lli Guerrazzi (nipoti di F. D. Guerrazzi), Rosselli Raffaello, Cassuto Dario. Tra i

sottoscrittori notiamo anche: Gastone Razzaguta, l’avv. E. Treves, il conte Tonci Ottieri, Paolo

Zalum, il circolo U. Savoia, l’avv. E. Berti, la fam. Tevenè, Alceste Cristofanini, Ezio Foraboschi,

Clelia Garibaldi, Guido Menasci, Francesco Ardisson, la fam. Cave Bondi, il fascio femminile, Gino

Belforte, il Comitato Filantropia senza Sacrifici, Renato Natali, Pozzolini Alessandro, e moltissimi

altri. Alla fine di ottobre 1919 si erano raccolte oltre 17.600 lire.

(4)

CAVALLINI FERNANDO (1893-1976) Schermitore livornese. Coetaneo di Nedo Nadi, nel 1911,

diciottenne, aveva vinto il campionato nazionale di sciabola. Sergente maggiore dell’esercito fu

volontario in guerra e a Fiume. Nel 1932 si sposò con Gioia Oltrarni. Morì a Livorno nel 1976.

(5)

EMINENTE ALDO (1899-1954) Era nato a Tunisi il 2 novembre del 1899. Morì sempre a Tunisi il

26 giugno 1954. Ufficiale volontario di adozione livornese e di origini israelite.

(6)

FAVILLI FORTUNATO (1899-1977) Nacque a Livorno il 6 maggio 1899 e morì a Loano il 10 luglio

del 1977. Volontario nella grande guerra e a Fiume.

(7)

PESARO ARNOLDO (1900-1944) Nacque a Livorno il 27 ottobre del 1900 e morì a Cutigliano il

1° ottobre 1944. Bersagliere ciclista livornese, volontario a Fiume. Squadrista della “Disperata”,

partecipò alla Marcia su Roma.

(8)

MANCINI REMIGIO (1899-1968) Nacque a Bona, in Algeria il 22 novembre del 1899. Morì a Parigi

il 2 dicembre del 1968.

(9)

ASSO MARIO Volontario livornese a Fiume. Fu il primo a cadere durante il “Natale di Sangue”.

Riposa nel mausoleo dannunziano del Vittoriale. Il sottotenente Asso era figlio di un gen. macchinista

navale. In seguito a lui venne intitolata dai fascisti livornesi una squadra di azione.

(10)

GIOVANNUCCI NAZZARENO (1904-1924) Futuro martire fascista. Era nato a Prezza (AQ) il 10

febbraio del 1904 e morì a Livorno, dopo 11 mesi di ospedale, il 16 febbraio del 1924. Durante il

passato Regime a lui venne dedicata, dal 1927 al 1943 l’attuale via F. Oznam ad Antignano.

(11)

BARTELLONI GOFFREDO (1899-1927) Figlio di Iginio. Livornese, già volontario di Guerra come

sottotenente. Fu tra i primi ad accorrere a Fiume già dalla fine del settembre 1919.

Morì a Livorno il 15 luglio 1926.

Fu tra i fondatori del fascio livornese (1920).

15


(12)

LUSENA UMBERTO (1904-1944) Nacque a Livorno il 20 settembre 1904. Come il padre ed il fratello maggiore Guido,

che furono valenti generali, appartenne all’esercito. Giovanetto fece parte dei Legionari fiumani. Nel 1943 venne promosso

Maggiore dei paracadutisti. Dopo l’8 settembre si avvicinò al C.L.N. Arrestato dai tedeschi, fu fucilato alle “Fosse Ardeatine”.

Medaglia d’Oro alla memoria, gli venne dedicata, nel 1949, la strada che dal Viale N. Sauro porta al Piazzale Montello.

(13)

BORGHI ALEARDO (1892-1972) Ragioniere e commendatore. Cavaliere di Vittorio Veneto, fu

ufficiale durante la Prima Guerra Mondiale e volontario a Fiume. Fu in seguito uno dei più noti

operatori finanziari livornesi e tra i fondatori della Banca Popolare della provincia di Livorno, poi

fusasi con la Banca Popolare d’Etruria e di Arezzo. Era stato anche direttore della filiale livornese

della Banca Commerciale Italiana.

(14)

CIVININI GUELFO (1873-1954) Scrittore e giornalista livornese, eccellente corrispondente di guerra. Morì a

Roma nel 1954. Medaglia d’Argento al V.M. nella Grande Guerra, fu volontario in Africa Orientale. Accademico

d’Italia, nel 1933 gli venne assegnato il premio Mussolini per la letteratura. A lui fu dedicata una via in

zona Banditella ad Antignano.

(15)

GUERRAZZI GIAN FRANCESCO (1865-1932) Nipote del più celebre Francesco Domenico, era nato a Livorno

il 5 ottobre 1865. Appassionato d'irredentismo e innamorato della Dalmazia, fu tra i fondatori della Società

‘Dante Alighieri’. Avvocato politicamente radicale si dedicò principalmente alla causa di Fiume e della

Dalmazia. Ritiratosi poi in campagna, morì a Marina di Pisa il 27 ottobre 1932.

(16)

CARLI MARIO (1888-1935) Ardito e futurista di origini pugliesi, partecipò all’impresa fiumana ed alla Fondazione

dei Fasci di Combattimento.

(17)

KELLER GUIDO (1893-1929) Tenente aviatore, asso di Guerra. Pilota della leggendaria squadriglia

“Baracca”, pluridecorato. Spirito fantasioso e sognatore, pittore per vocazione, intellettuale e

amico d'intellettuali, a Fiume diresse il corpo speciale degli “Uscocchi”. Nacque a Milano da nobile

famiglia e morì in un incidente stradale nel 1929.

(18)

“Il Telegrafo”, 1° ottobre 1919.

(19)

NENCINI BIANCA (1876-1960) coniugata FLURY. Era nata a Siena il 5 marzo del 1876. Morì a Livorno il

1° marzo del 1960. Giornalista ed articolista. Molti suoi scritti apparvero sulla rivista “Liburni Civitas” tra il

1928 e il 1942, illustrando i principali avvenimenti civici della nostra città. Durante il fascismo fu fiduciaria della

Cultura e della Propaganda e organizzò varie conferenze e letture.

(20) D’ANNUNZIO GABRIELE (1863-1938) Poeta e prosatore tra i maggiori del suo tempo, detto il “Comandante”

per antonomasia per tutto il periodo irredentista di Fiume. Nativo di Pescara morì a Gardone nel 1938. Il

Poeta Soldato venne più volte nella nostra città, dimorando presso amici e presso il grande albergo Palazzo:

la prima volta nel 1880, quando diciassettenne, frequentava il Collegio Cicognini di Prato. Fu amico del Chiarini,

del Mascagni (per il quale scrisse il testo della “Parisina”), del Niccodemi, di Averardo Borsi, del Marradi.

Durante il Primo Conflitto Mondiale fu compagno di Guerra di Costanzo Ciano (Beffa di Buccari).

(21)

MARRADI GIOVANNI (1851-1922) Poeta livornese di gusto carducciano. Nacque al n.118 di via Ricasoli

(ove una lapide ne ricorda i natali). Discepolo del Chiarini, frequentò l’Università di Pisa. Laureatosi in lettere

si dedicò all’insegnamento. Nel 1893 divenne Provveditore agli Studi a Livorno. Dopo la morte la salma del

Poeta venne collocata in una edicola del Famedio a Montenero.

(22)

L. PESCETTI, D’Annunzio e Livorno, in “Liburni Civitas”, 1939.

(23) G. B. GUERRI, Disobbedisco. Cinquecento giorni di rivoluzione: Fiume 1919-20, Milano 2019, pag.180.

(24) Era un difficile tentativo di conciliare le battaglie dei movimenti di emancipazione femminile con le politiche di

Mussolini, che volevano la donna concentrata sulla maternità e sulla cura del focolare.

(25) SIVIERO LUIGI era l’adolescente volontario trevigiano, ferito gravemente nell’attraversare il posto di blocco

dei regolari nel novembre 1919. Portato agonizzante a Fiume qui morirà.

(26) G. B. GUERRI, Disobbedisco, op. cit., pag.471.

16


17


Don RENATO ROBERTI E IL LICEO CLASSICO NICCOLINI-GUERRAZZI

18

di Pier Fernando Giorgetti

Ho conosciuto don Renato Roberti

nell’ottobre del 1957, quando per la prima volta

lo vidi salire sulla cattedra di religione della

I A del Liceo Classico “G. B. Niccolini”. Mi portavo

dietro, dai due anni delle classi di IV D e

V D del Ginnasio “F. D. Guerrazzi”, una brutta

esperienza dell’ora di religione: a causa

dell’assoluta incapacità del docente – che pure,

a suo modo, cercava di impegnarsi –,

quell’ora si era ridotta ad una tacita anarchia,

con banchi che, a poco a poco ed in silenzio,

erano spinti dagli alunni, pur restando seduti,

verso la cattedra, fino a circondarla completamente.

Solo al suono della campanella, alzandosi,

il povero docente mandava un grido

di rimprovero ed alzava una voce di protesta,

minacciando draconiane punizioni da parte

del Preside. Cosa di cui la classe altamente si

infischiava, mentre ogni volta prometteva –

con promesse da marinaio – di comportarsi

correttamente per il futuro. La mia classe trovava,

nella fragilità personale e culturale del

docente, molti motivi per avere scarsa stima

di lui, che pure appariva una brava persona.

Personalmente, però, mi sentivo indignato del

fatto che quel docente permettesse, con la sua pochezza, che la religione venisse a tal punto

ridicolizzata e schernita: da lui, docente in cattedra senza prestigio, e dai suoi discenti, ribelli

per reazione sui banchi. Agivano sulla mia indignazione forti motivazioni personali e

familiari.

Mio padre Amerigo – operaio metalmeccanico e con la “sesta” elementare quale titolo di

studio – era infatti un esponente in prima linea nell’associazionismo cattolico livornese e

nelle organizzazioni sindacali, politiche e culturali, che ad esso facevano riferimento. Mia

madre, Gina Terreni, era in prima fila nell’aiuto che la Parrocchia di Sant’Andrea Apostolo

ogni settimana offriva, in pacchi-dono ed in sostegni vari, alla larga schiera di poveri e derelitti,

che la guerra aveva lasciato dietro di sé. Io stesso ero stato vincitore di un concorso di

cultura religiosa della Diocesi di Livorno ed avevo vinto quello che veniva chiamato il “Premio-Roma”

– il premio più alto sul piano culturale a livello diocesano –. Mi dava pertanto

un’enorme irritazione il velo del disprezzo, del ridicolo e dell’insignificanza, che, direttamente

o indirettamente, vedevo gettato sulla religione cristiana. In primo luogo, agivano in me,

allora sedicenne, motivazioni culturali nel respingere quel disprezzo: ed esse affondavano

le loro radici in tutta la storia della mia famiglia.

Mio padre non aveva voluto studiare da ragazzo: su questa rivista “La Torre”, nella poesia

“Elementari Benci”, ho ricordato le sue rocambolesche fughe dalla scuola ed i suoi tuffi nel

Fosso, per sfuggire alla “guardia regia” che, chiamata dal maestro, lo inseguiva per riportarlo

in classe. E, per giustificarsi, mio padre aveva trovato una sua motivazione “filosofica”:

“pesa più la penna della vanga”. Fu accontentato, perché fu mandato ad usare la “vanga”

per spalare carbon coke nel forno delle locomotive a vapore. Mia madre, contadina, aveva


invece pianto per studiare, quando in quarta elementare le fu imposto dal padre di lasciare

la scuola, perché era venuta anche per lei “l’ora di andare nel campo” – l’ora d’andà ni’

campo –. Invano la sua maestra di classe si mosse personalmente, andò nella casa colonica

della sua eccezionale alunna Gina Terreni e disse ai suoi genitori che era un delitto impedire

di studiare ad una bambina con tanta volontà di sapere e con tanta intelligenza. La

risposta del mio nonno Pietro – che aveva fatto solo la seconda elementare – fu gelida: “I’

camp’è là che l’aspetta”. Mia madre si disperò, pianse per anni in silenzio, quando al mattino

alle ore sei, dovendo – come peraltro era sempre accaduto anche in precedenza – andare

nella stalla per dare la prima razione di foraggio alle mucche (“i’ primo govern’alle bestie”),

non era confortata dal sapere che alle otto avrebbe potuto finalmente andare a scuola,

a “imparare”.

Dalle contrapposte esperienze dei miei genitori, io ero portato a mettere la cultura in primo

piano fra i miei doveri. Se mia madre mi ricordava fissa il suo impossibile amore per il sapere,

mio padre faceva di fronte a me radicale ripudio della sua “stupidità” scolastica e mi ingiungeva

di guardarmi bene dal ripetere il suo errore. Così, un operaio elettromeccanico del

Cantiere navale Orlando ed una contadina presentavano a me, come figlio, tutto il valore

della cultura, con quattro motivazione fondamentali. Prima di tutto, come valore in sé, ai fini

della formazione della mia persona; poi come mezzo di acquisizioni di titoli e di capacità per

trovare un più sicuro lavoro – vista l’atroce povertà in cui vivevamo e l’incubo del licenziamento

dal Cantiere –; quindi, come strumento per difendere a livello di conoscenze politiche

la nostra libertà democratica e repubblicana, appena conquistata dopo il fascismo; infine,

per saper comprendere a livello adeguato i valori di libertà, di uguaglianza e di fraternità fra

gli uomini, che il cristianesimo propugnava.

Con genitori che erano due umilissime persone del popolo, ho respirato in casa un clima di

completa lontananza da ogni integralismo ed un altissimo sentimento della religione: in essa

le forme del culto e del sacramento divenivano ipocrisia blasfema, se non coincidenti con

l’amore e la ricerca della Verità, della Libertà e del progresso sociale e civile. Per questo mi

sentivo sdegnato, di fronte al così povero livello culturale del docente che avevo avuto nei

due anni del Ginnasio, il quale, agli occhi degli alunni, non aveva saputo sollevare la religione

dal livello del ridicolo culturale ed esistenziale, al quale essi, per reazione a lui e per

spavalderia adolescenziale, la riducevano.

Per questo attendevo con ansia – dopo la gazzarra delle vecchie ore di religione – di vedere

quale impressione avrebbe saputo fare su noi alunni il nuovo insegnante del Liceo, nella

classe I della sezione A, che dalla communis opinio era giudicata, a torto od a ragione, come

il fiore culturale fra tutte le sezioni. Il nuovo insegnante era Don Renato Roberti. Ricordo

come fosse ieri il delinearsi asciutto e sereno della sua figura in abito talare, con il registro

sotto il braccio, nel varco della porta di un’aula del secondo piano del Liceo, le cui finestre

davano su via Goldoni. La classe, già pronta a mormorii provocatori, tacque immediatamente

appena lo vide e si concentrò, in un silenzio che continuava ad essere assoluto, verso la

cattedra, dalla quale Don Roberti si preparava a fare l’appello, per poter cominciare a conoscere

per nome tutti noi, i suoi nuovi alunni. Era un tono di voce fermo e basso, ma amabile;

sicuro di sé, ma comprensivo e rispettoso. Bastò poco e noi studenti intuimmo subito che,

per la prima volta, ci trovavamo di fronte ad una religione come dialogo umano e culturale,

che non aveva nulla a che vedere con i fideismi dei bigotti – sul versante del clericalismo –:

nulla a che vedere con le stigmatizzazioni della religione quale “sovrastruttura” di conservatorismo

sociale o, addirittura, “oppio di popoli” – sul versante dell’ateismo del marxismo –;

nulla a che vedere con il rifiuto della forza e del valore della ragione – sul versante

dell’idealismo gentiliano o crociano –.

19


Dai livelli dello scherno e del ridicolo, la religione cristiana e la figura del Gesù di Nazareth

si alzavano in alto, molto in alto agli occhi di noi studenti, giungendo a stagliarsi, emotivamente,

nei cieli della poesia e, logicamente, nella più alta sfera del pensiero critico e consapevole.

Il cristianesimo, ci diceva Don Renato, è l’unica religione al mondo che afferma di

avere non in un uomo, ma in Dio – in un Dio fattosi uomo – il suo fondatore. Ed il problema

enorme, e unico nella storia umana, della divinità del fondatore del cristianesimo non può e

non deve ridursi ad un’accettazione o ad un rifiuto ambedue “fideistici”: cioè che prescindano

dal ricorso ai principi ed ai canoni epistemologici della critica storica, applicata alle fonti

documentarie di ogni genere – pagane, ebraiche e cristiane –, che del cristianesimo ci parlano.

Nessun altro docente mai aveva impostato un simile quadro della natura della religione

e dell’essenza del cristianesimo. Si avvertiva una preparazione storica, filosofica e teologica

formidabile, di fronte alla quale comparivano in tutta la loro gelida inconsistenza razionale

le stigmatizzazioni e le denigrazioni che i vari materialismi e/o storicismi presentavano

come degne di essere elevate contro il cristianesimo. Non questo, ma quelle stigmatizzazioni

ci si manifestavano come contrarie alla ragione!

E quel giovane sacerdote ci stupiva anche con un’apertura degli orizzonti culturali di noi

studenti, che, con lui, si estendevano verso pagine di attualità allora da nessuno toccate e

verso l’amore per la natura. Fu da Don Roberti – e non dagli altri professori di storia e di filosofia

– che noi udimmo per la prima volta parlare delle aberrazioni del nazismo, delle a-

trocità dei Lager e della Resistenza al nazi-fascismo. Nessuno fra i professori osava toccare

problematiche che fossero successive al 1918!

E c’era poi uno sconfinato amore per la natura e per il creato, in quel sacerdote che, finite

le lezioni, si avvicinava alla sua Lambretta, parcheggiata nel giardino del Liceo, e con essa

partiva a gran velocità con qualunque tempo: sole, acqua, gelo… Incuriosito, volli andare a

visitare la sua parrocchia, la Pieve di San Matteo: e là vidi, con cura custodita in un corridoio

interno, la sua azzurrina Lambretta, che pareva quasi in riposo ed in attesa di essere

condotta ad inerpicarsi sulle salite, a gettarsi nelle discese, a piegarsi audacemente nelle

curve, andando incontro ai misteri ed alle voci della natura della costa toscana e delle Alpi

apuane. Un giovane prete, un giovane professore, un giovane studioso di filosofia, la Lambretta,

la natura con la sua poesia e con la voce di Dio in tutte le sue creature! Tutto questo

suscitava in me un infinito entusiasmo e gusto della cultura, della religione, della natura e

della vita. Avevo conciliato la formazione ricevuta nella mia famiglia – da me amata con tutto

me stesso e da me sempre intuita come risposta alle più profonde esigenze della persona

e della vita – con le più alte istanze del sapere e della cultura. Avevo trovato la via per rispondere

alle esigenze morali e spirituali che i miei genitori mi prospettavano come fondamentali

per il mio futuro sul piano della cultura e della filosofia. Ma lascio tutto questo ad un

altro articolo futuro su questa rivista.

Don Renato faceva capire che cosa fosse la “preghiera”, quella vera, che tanto più avvicinava

a Dio quanto più stava vicina alle bellezze ed alle meraviglie della natura e del creato.

Alla Lambretta seguiva la tenda, di oltre venti chili di peso e portata a spalle, con la quale

Don Renato esplorava tutti i passaggi delle Alpi Apuane, dicendo al mattino la Messa nei

boschi ed ascoltando nelle notti stellate le voci di tutti i misteri della montagna. Era la sua

preghiera a Dio. Una preghiera che consegno alla poesia, per renderla degna della sua alata

nobiltà e grandezza.

Pier Fernando Giorgetti

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DON RENATO ROBERTI

Il “suo” Liceo Classico di Livorno e l’epopea di Dio tra Fede, Lambretta e Alpi

Fratello Don Renato!

Chi alla Pieve andava

di san Matteo parrocchia,

veder sempre poteva

l’azzurra tua Lambretta,

come appoggiata in sonno

al greve antico muro:

ma, con motore acceso,

balzava in suo risveglio,

sembrando un gran felino,

che la raccolta Pieve

lasciava alle sue spalle.

Era a ricerca spinta

di assolate strade,

lungo le vie del mare

sulle ridenti coste.

Era dall’ansia mossa

di un salire ardito,

sui tornanti a picco

di tanto amati monti.

Allor che su saliva,

il sibilo sommesso

cessava del motore,

che piglio liberava

di tutta sua potenza,

pronta a scatenare

ebbrezza nello scender

e forza nel salire.

Tu, della Chiesa prete,

e di natur poeta,

su e giù per i tornanti

andavi dei tuoi monti:

di loro respiravi

l’ebbrezza del mattino,

di loro raccoglievi

il saluto della sera,

con loro tu parlavi

nel fremito di stelle

dal cielo su te chine

in loro pia preghiera.

Era la tua ballata,

ballata della fede,

sacerdotale onore

a Cristo Redentore,

al qual tu consacrato

il tuo volgevi sguardo,

sentendo Lui passare

tra piante, prati e fiori.

Il fascino poetico

di tante vette e monti,

porgenti da lontano

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il loro ardito invito,

a piedi ti chiamava

a farti pellegrino

su lor sentier solinghi:

tra apuanee Alpi

la tua piantavi tenda,

da te condotta a spalla

dall’una all’altra cima,

al peso indifferente

di tal greve fardello,

perché tu ben riuscivi

di quel peso a fare

la levità di forza

del tuo asciutto corpo.

Era dal cuor preghiera,

quella che tu alzavi:

solo tra piante e fiori,

solo tra grandi alpeggi,

solo tra cime ardite,

solo tra del bosco

le voci ed i richiami,

solo con quella pace

che dalle cose emana

sussurro del divino.

E l’anima vibrava

di armonia del bello

e d’estasi sublime.

Era preghiera a Dio.

E della Chiesa voce,

di sacramento segno,

di sacerdozio grazia,

di redenzione incanto,

del Gesù di Nazaret

ognor presente eco,

vivente nella storia,

nel cuor dell’uom scolpita,

qual forza del divino

dell’anima sostegno.

Era preghiera a Dio.

E delle cose tutte

faceva un sol richiamo,

insiem timido e forte,

insiem audace e dolce,

pronto a offrire al mondo

un’oasi di luce,

per stemperar conflitti

e disperati spiriti

in gran dolcezza addurre

a ritrovar la pace.


Celebrazioni per ricordare la canonizzazione di San J. H. Newman

che fu a Livorno dal 5 al 20 giugno 1879

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SABATO 7 MARZO 2020

IL TIRRENO

APPUNTAMENTI A LIVORNO

Chiesa di San Jacopo

I Serrani ricordano il cardinale Newman

Il cardinale J. H. Newman il 13 ottobre è stato canonizzato da Papa Francesco.

Nel 1879, ricevuta la cappella cardinalizia da Leone XIII, nel viaggio di rito r-

no in Inghilterra, soggiornò a Livorno perché ammalato.

Fu ospite dell'hotel Anglo-Americano sito nel viale Regina Margherita, ora viale Italia, nel

palazzo che fa angolo con la via Mayer.

Ricerche del professor Paolo Mirenda hanno permesso di precisare la loc a-

lizzazione dell'hotel non in servizio da oltre un secolo.

Il Serra club, che cura le vocazioni sacerdotali, il 30 novembr e 2012 ha posto

una lapide-ricordo nel palazzo, dove Newman soggiornò dal 5 al 20 giugno

1879.

Per celebrare la recente canonizzazione della prestigiosa figura della chiesa

cattolica, i Serrani renderanno omaggio al Santo raccogliendosi in preghiera,

sotto la lapide che lo ricorda, oggi alle 17.

Alle 18 sarà concelebrata una santa messa nella chiesa di San Jacopo.

La targa apposta dal Serra Club il 30 novembre 2012

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John Henry Newman

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

John Henry Newman (Londra, 21

febbraio 1801 – Edgbaston, 11 agosto

1890) è stato un santo, cardinale,

teologo filosofo inglese.

Già presbitero anglicano, visse con

disagio la fase di secolarismo in cui

si trovava la Chiesa d'Inghilterra nel

XIX secolo: entrato a far parte

del Movimento di Oxford, ne divenne

uno degli animatori.

Convertitosi al cattolicesimo, fu di

nuovo ordinato prete nella Chiesa

cattolica, impiantando sul suolo britannico

la società di vita apostolica

degli Oratoriani, di cui aveva deciso

di essere membro.

Elevato al cardinalato nel 1879 da

Leone XIII, morì nel 1890.

Beatificato il 19 settembre 2010 da

papa Benedetto XVI, è stato proclamato

santo il 13 ottobre 2019 da

papa Francesco.

Particolarmente osteggiato da una

parte della gerarchia cattolica del

suo tempo, per la decisa convinzione

che anche i laici dovessero partecipare

alla vita della Chiesa, fu invece

considerato uno dei "padri assenti"

del Concilio Vaticano II per

l'influsso che il suo pensiero teologico

e filosofico ebbe sull'assise vaticana,

John Henry Newman

decine di anni dopo la sua morte.

È stato considerato da alcuni uno dei più grandi prosatori inglese il più autorevole apologista

della confessione cattolica che la Gran Bretagna abbia prodotto e uno dei più importanti

nella storia del cristianesimo.

Sul piano filosofico, contribuì allo sviluppo della filosofia dell'azione ] . Per la sua tolleranza e

mitezza è stato apprezzato anche in ambienti non cattolici.

Sulla sua tomba è scolpito l'epitaffio da lui stesso composto, che doveva narrare, secondo

l'intento di Newman, la sua evoluzione confessionale:

(LA)

«Ex umbris et imaginibus

in veritatem»

(John Henry Newman)

(IT)

«Dall'ombra e dai simboli

alla verità.»

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P. Gabriele Bezzi Paolo Mirenda Il palazzo già sede dell'Hotel Anglo-Americano

Momenti della Commemorazione

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I NOSTRI SOCI HANNO FATTO

L'impegno dei nostri soci ha consentito le seguenti attività:

Giacomo Romano - Galleria Le stanze, Via Roma 92/a Livorno

Sabato 18 gennaio 2020

Presentazione della terza stagione di Danteingalleria - Canti Sparsi; IX Canto dell'Inferno:

I diavoli e la città di Dite.

Giacomo Romano - Galleria Le stanze, Via Roma 92/a Livorno

Sabato 8 febbraio 2020

Modigliani sulla via di casa. La pittura a Livorno negli anni di Modigliani.

Modigliani chi era costui?

Giovanni Giorgetti - Alessandro Santarelli, Hangar G, Via U. La Malfa, Vicopisano

Presentazione del libro di Roberto Gentilli, IBN Editore, Aviolibri, Dossier 43

1912-1922, GLI ANNI PERDUTI DELL'AVIAZIONE ITALIANA

TUTTE LE MANIFESTAZIONI SONO

STATE SOSPESE FINO ALLA

CESSAZIONE DELL'EPIDEMIA

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Giacomo Romano - Galleria Le Stanze - sabato 18 gennaio 2020

Nel secondo incontro, con il Canto IX dell’Inferno Mino Romano ha trattato quello che può

considerarsi il più teatrale dei canti scendendo nella Città di Dite, dove Dante e Virgilio, non

senza paura e titubanza, incontreranno i demon duri.

Infine, questa terza stagione sarà chiusa con il famoso Canto V dell’Inferno dove tra i lussuriosi,

uscendo dalla bufera infernale che mai non resta, Paolo e Francesca racconteranno a

Dante come amor li strinse.

Da un’idea di e con Giacomo Romano

Gli incontri:

18 gennaio 17.30 IX Canto dell’Inferno (I diavoli e la città di Dite)

21 marzo 17.30 V Canto dell’Inferno (Paolo e Francesca) Rimandato a data da destinarsi

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Mino Romano

Giorgio Mandalis, Pietro Mascagni, Mino Romano

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Giacomo Romano - Galleria Le stanze, Via Roma 92/a Livorno

Sabato 8 febbraio 2020

Modigliani sulla via di casa. La pittura a Livorno negli anni di Modigliani.

Modigliani chi era costui?

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Mino Romano

Valeria Falleni

Mino Romano

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Giovanni Giorgetti e Alessandro Santarelli, Hangar G di Vicopisano (PI)

sabato 29 febbraio 2020

Presentazione del libro: 1919-1922, GLI ANNI PERDUTI DELL'AVIAZIONE ITALIANA,

autore Roberto Gentilli, IBN Editore, Collana Aviolibri dossier Nr. 43, Prezzo Amazon € 20,40

Perduto dalla memoria, e liquidato come un periodo di smobilitazione e di crisi, il quadriennio

fra la vittoria nella Grande Guerra e la nascita della Regia Aeronautica il 28 marzo 1923

fu in realtà ricco di eventi, di conflitti, di imprese sportive e di personalità.

Questo lavoro affronta ogni settore dell'aviazione italiana di quegli anni: la riduzione dell'aeronautica

militare e i progetti per la sua rinascita, gli impegni bellici in Albania e in Africa,

l'Aviazione di Marina e i dirigibili.

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Roberto Gentilli

Una parte del pubblico

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Ermete Grillo Alice Antonelli Paolo Miana

Luca Borghini Mario Federighi Viviana Di Maria Angelarosa Weiler Angela Ricci

Riccardo Collini

Stefano Luciani

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Il passato è un professore che non smette mai di insegnare, il ricordo è il suo

assistente.

Il futuro è un sogno che possiamo inseguire solo per mezzo della determin a-

zione e della creatività.

L'unico tempo che ci è concesso di vivere è il presente, una parentesi all'i n-

terno della quale possiamo far coes istere il passato, mettendo in luce e dando

importanza alle sue testimonianze, nonché il futuro, sviluppando nuove

idee e progetti.

In occasione della presentazione letteraria di Roberto Gentilli, l'Hangar G si

è trasformato in una incubatrice ossigenata da lle memorie di un periodo peculiare

della Storia della nostra Aviazione; all'interno di quella incubatrice, si

sono sviluppati dialoghi e concertazioni rivolte a disegni futuri destinati ad

entusiasmare tutti coloro che sono legati al volo storico.

La compresenza di rappresentanti di tutte le fasce di età, ognuno dei quali ha

recato il proprio contributo personale, l'agglomerato di esperienze diverse

per formazione e cultura e l'univocità di una passione, quella per l'aviazione,

lasciano presagire la co ncreta possibilità di far crescere e moltiplicare inizi a-

tive rilevanti e coinvolgenti. In un capitolo storico come quello che l'umanità

sta attraversando, caratterizzato da gravi ed imprevedibili criticità sociali,

sanitarie ed economiche, saper custodire la memoria ed il progetto di un s o-

gno, credere nella possibilità di trasformarlo in realtà e lavorare, mentalme n-

te e telematicamente, a questo scopo costituisce un'opportunità da non so t-

tovalutare affatto.

Le parole di Confucio "Se vuoi prevedere il futur o, studia il passato" si adattano

alla perfezione per connotare il significato dei momenti immortalati nelle

foto di Giovanni Giorgetti

Angelarosa Weiler

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VECCHI MESTIERI

Collezione Giancarlo Sandonnini

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TESSERAMENTO - La quota d'iscrizione ordinaria è di Euro 25.00 (quella di Socio sostenitore

è di almeno Euro 50.00). Essa permette di ricevere il volume strenna annuale

e il bollettino quadrimestrale ''La Torre".

Il versamento può essere effettuato presso gli uffici postali.

Coordinate Bancarie dell'Associazione: Codice IBAN IT37 G 07601 13900043254141

L'associazione Culturale "G. Borsi", nata inizialmente con lo scopo di tutelare la memoria

del nostro concittadino e di custodirne i cimeli donati dalla famiglia al Comune di Livorno (in

occasione del Centenario della nascita, nel 1988), nel 2004 ha esteso la sua attività in ambito

culturale per la divulgazione e la conoscenza dei personaggi illustri della nostra città e per

la tutela del patrimonio artistico della stessa. Successivamente il Comune di Livorno le ha

affidato la "tutela etica" del Famedio di Montenero.

Nel corso degli anni l'Associazione ha inoltre provveduto a far ristampare numerose opere

del Borsi e pubblica con cadenza quadrimestrale la rivista "La Torre". Ogni anno in primavera

organizza una serie di conferenze su aspetti storici, letterari, culturali e di curiosità della

nostra città.

Per informazioni: Associazione Culturale G. Borsi, Via Medaglie d'Oro 6, 57127

Livorno - Cell. 338 4139656

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Giosuè Borsi nacque a Livorno

il 10 giugno 1888, in

via degli Inglesi 2 (oggi via

Adua) da Averardo e Diana

Fabbri. Dopo aver trascorso

gli anni spensierati della fanciullezza

e degli studi superiori

nella città labronica, si

trasferì a Roma (1907) dove

raggiunse la famiglia. Di lì,

dopo la morte del padre avvenuta

improvvisamente nel

dicembre 1910, la famiglia

Borsi lasciò definitivamente

anche Roma per raggiungere

Firenze.

Giosuè travagliato da altri

avvenimenti luttuosi (morte

della sorella e del nipote Dino)

e da responsabilità gravose,

seppe infine ritrovare la

fede in Dio, attraverso l'amore

per la donna della sua vita:

Giulia.

Nel supremo sforzo della ricerca

della Verità e nel rispetto

della Patria che tanto

amava, si arruolò volontario

come sottotenente: trovò la

morte il 10 novembre 1915,

alla testa del suo plotone e il

suo corpo non fu mai r i-

trovato.


LA TORRE, IL BOLLETTINO DELL’ASSOCIAZIONE CULTURALE “GIOSUÈ

BORSI” ESCE UNICAMENTE IN FORMATO DIGITALE PER RAGIONE DI COSTI

E PER POTER RAGGIUNGERE PIÙ PERSONE

Comitato di redazione: Lucia Zagni direttore responsabile, Carlo Adorni, Giovanni Giorgetti,

Pier Fernando Giorgetti, Paolo Pasquali. Gli articoli firmati o con pseudonimo riflettono u-

nicamente le opinioni dell’autore. Sono ben accette collaborazioni.

Per informazioni e collaborazioni: Giovanni Giorgetti cell. 349 4428403,

Email: giovanni.giorgetti34@gmail.com

Dal 2017 la rivista La Torre si trova anche nel sito Valorizziamo Livorno:

http://valorizziamolivorno.it/la-torre/

ove è possibile leggere i numeri arretrati.

Sommario del n. 50 - inverno 2019

Pag. 1 Programma Conferenze 2020

Pag. 2 Assemblea Ass. Giosuè Borsi

Pag. 5 Prima Conferenza: Pisorno,

La prima Industria cinematografica

italiana e i suoi divi. Nicoletta Borgioli

Pag. 9 I nostri eventi rimandati

Pag. 10 Livornesi a Fiume 1919 - 1920.

Una ricerca di Carlo Adorni

Pag. 18 Don Renato Roberti e il Liceo

Classico Niccolini-Guerrazzi

di Pier Fernando Giorgetti

Pag. 21 Don Renato Roberti, Il “suo” Liceo

Classico di Livorno e l’epopea di Dio

tra Fede, Lambretta e Alpi

di Pier Fernando Giorgetti

Pag. 22 Celebrazioni per ricordare la

canonizzazione di San J. H. Newman

Pag. 26 I nostri soci hanno fatto:

Giacomo Romano - Galleria Le stanze,

Presentazione della terza stagione

di Danteingalleria - Canti Sparsi;

IX Canto dell'Inferno:

I diavoli e la città di Dite

Pag. 28 Giacomo Romano - Galleria Le Stanze,

Modigliani sulla via di casa.

La pittura a Livorno negli anni di

Modigliani. Modigliani chi era costui?

Pag. 31 Giovanni Giorgetti e Alessandro

Santarelli, Hangar G di Vicopisano (PI)

Presentazione del libro: 1919-1922,

Gli Anni perduti dell'Aviazione

Italiana, autore Roberto Gentilli

Pag. 34 Vecchi Mestieri

Pag. 43 Tesseramento

Pag. 44 Sommario

ASSOCIAZIONE CULTURALE “GIOSUÈ BORSI”

Via delle Medaglie d’oro, 6 - 57127 Livorno - Cell. 329 3967701

email: associazioneborsilivorno@virgilio.it - htt://giosueborsilivorno.jimdo-com//

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