Articolo 1 - Giugno 2020
La rivista ufficiale della Fondazione Nenni www.fondazionenenni.blog
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Il patrimonio della Fondazione Nenni
sommario | numero 1/2 - 2020
all’interno
4
l’editoriale Il saluto di Romano Bellissima,
nuovo Presidente della Fondazione Nenni
38
Gli effetti del Coronavirus sull’economia italiana
di Enrico Matteo Ponti
6
in copertina Una lezione per tornare
a crescere
di Enrico Matteo Ponti
44
Il prof. Tarro: ««Il Sars CoV2 si comporterà
come tutti i Coronavirus influenzali»
di Pierluigi Pietricola
8
12
16
22
26
28
CULTURA “Todeskampf der Freiheit”,
il libro di Nenni bruciato dai nazisti
di Antonio Tedesco
Una corsa contro il tempo tra passato e futuro
di Pierpaolo Nenni
I valori del 2 giugno... oggi più di ieri
di Pasquino il T...EMP...lare
CULTURA Politici d’esempio. Note
a margine di un carteggio
inedito fra Nenni e Pertini
di Pierluigi Pietricola
La giornata del filosofo…
di di Maurizio Fantoni Minnella
Rinsavite, squadristi digitali!
di Edoardo Crisafulli
50
56
63
64
70
74
An interview with Noam Chomsky
di Amedeo Ceresa Genet e Pierluigi Pietricola
La prof. Gismondo: «Meglio curare col plasma
iperimmune o con gli anticorpi monoclonali?
L’una cosa non esclude l’altra»
di Pierluigi Pietricola
Covid, più di tre milioni esclusi dalla tutela INAIL
di Long Johnn
Il finanziamento equilibrato della ripresa
di Franco Cavallari
Il lavoro al tempo del Coronavirus
di Grazia Maria Delicio
Cacciari: «L’emergenza da coronavirus
gestita con un’informazione pessima»
di Pierluigi Pietricola
32
Il prof. Puro: «Ecco le differenze e le similarità
fra il Sars CoV2 e la comune influenza»
di Pierluigi Pietricola
78
CULTURA Gli inconsolabili Palinuro
del primo giorno di pace
di Francesca Vian
Reg. Trib. di Roma n. 26/2017 del 23.02.2017
Anno V - Numero 1/2 2020 Chiusura giornale: 12 giugno 2020
DIRETTORE RESPONSABILE
Enrico Matteo Ponti
CAPOREDATTORE
Valentina Bombardieri
ART DIRECTOR
Federico Marcangeli
PROGETTO GRAFICO
Michele Pilla
COMITATO DI REDAZIONE
Giulia Clarizia, Pierluigi Pietricola,
Antonio Tedesco
REDAZIONE
Via Caroncini, 19 - Roma
info@fondazionenenni.it
Tel 06/8077486
EDITORE
Fondazione Nenni
In questo periodo di estrema
criticità la “Fondazione Pietro
Nenni” ha seguito con la dovuta
puntualità l’evolversi della
situazione, sia sotto il profilo
squisitamente clinico sia sotto
quelli sociali ed economici.
Ci piace, allora, risottoporre
parte di quanto sul tema Covid19
pubblicato sul blog dalla
fondazione ringraziando, ancora
una volta, i nostri collaboratori
per l’impegno e l’attenzione
profusa che non possiamo non
sottolineare essere stata particolarmente
apprezzata dalle
decine di migliaia di contatti,
dimostrazione evidente dell’apprezzamento
dei nostri lettori.
Enrico Matteo Ponti
4 l’editoriale
“riscoprire i valori”, il messag
della fondazione nenni, roma
Eletto il nuovo Presidente della Fondazione Pietro Nenni.
A Carlo Fiordaliso succede un’altra figura storica della UIL, Romano Belliss
to Mirabella Imbaccari degli anni ‘60”, pubblicato nel 2020), sindacalista di l
della UIL Pensionati fino al febbraio 2019 e Presidente Nazionale dell’Istituto
l’impegno profuso in questi anni e al nuovo Presidente gli auguri più sentiti
Pubblichiamo di seguito il messaggio di insediamento del nuovo Presidente
Assumere la presidenza della Fondazione
Nenni è per me un grandissimo onore.
Una fondazione che come uno scrigno
custodisce gran parte della storia del nostro
Paese e in modo più ampio e particolareggiato la
storia relativa al ventesimo secolo. Il secolo che
ha prodotto due conflitti mondiali, la rivoluzione
dei bolscevichi in Russia e molto altro, chiamato
il secolo breve proprio perché i maggiori accadimenti
sono concentrati nell’arco di 77 anni, dal
1914 al 1991. Contiene inoltre una preziosa e
vasta documentazione originale sulla storia del
Socialismo.
Vi si trovano le testimonianze dello straordinario
impegno dei socialisti italiani contro la dittatura
fascista, il protagonismo delle lotte per la liberazione
dell’Italia dall’occupazione tedesca, e il
grande impegno per la costruzione della Repubblica
Italiana. La costituzione del primo governo
di centrosinistra con l’ingresso dei Socialisti nella
compagine governativa e l’avvio di un processo
di riforme per l’ammodernamento, lo sviluppo
economico e sociale dell’Italia. La fondazione
custodisce documenti unici di straordinario valore
storico e politico che dimostrano, fra l’altro, la
totale dedizione di uomini come Pietro Nenni,
Sandro Pertini e molti altri che seppero mettere la
loro azione, il proprio impegno al servizio del socialismo
per la democrazia e la libertà dell’Italia,
pagando per questo prezzi personali e familiari
altissimi. Personalmente metterò il massimo
impegno affinché chiunque e soprattutto i giovani,
attingano da questo scrigno la conoscenza, il
valore, la nobiltà degli ideali della politica, quella
con la P maiuscola, che sa promuovere lo sviluppo,
la giustizia, l’equità. Che sa perseguire il
bene comune e non i propri interessi. Sono certo
che con l’impegno e la collaborazione dell’intero
di romano b
5
gio del nuovo presidente
no bellissima
ima. Siciliano, socialista, scrittore (l’ultimo libro “A Mangiatura, vi racconungo
corso, Romano Bellissima è stato Segretario generale della UILCEM,
di Patronato ITAL-UIL. A Carlo Fiordaliso, un grande ringraziamento per
per un buon lavoro.
, Romano Bellissima.
ellissima
CdA, dei volontari e collaboratori, riusciremo a
portare ancora più in alto l’immagine, la notorietà
e la diffusione della Fondazione Nenni. C’è oggi
un grandissimo bisogno di riscoprire i valori della
solidarietà, del riformismo socialista e laico per
ricostruire l’identità nazionale, che, si badi bene,
non vuol dire e non vuol essere il perseguimento
del pensiero unico, il pluralismo ideale e politico
sono la garanzia fondamentale della democrazia
e va preservato sempre, ma il riconoscersi in
alcuni valori comuni fanno la differenza tra un
popolo e un insieme indistinto di individui.
Un ringraziamento sincero lo voglio rivolgere a
chi mi ha preceduto in questo ruolo. Grazie per
aver gestito la Fondazione con amore e competenza,
per l’impegno profuso e per aver contribuito
all’ulteriore arricchimento della documentazione
e dei testi della fondazione. Un ringraziamento
particolare lo voglio rivolgere a Carlo Fiordaliso,
storico sindacalista della Uil e compagno Socialista
di sempre; grazie a Doriana Silvestri per
la sua preziosa collaborazione e un grazie ad
Antonio Tedesco e ad Alessandro Giacone per il
loro impegno e per aver pubblicato “Anima Socialista”,
un libro che raccoglie la corrispondenza
tra Nenni e Pertini dal 1927 al 1979, arricchendo
la conoscenza di particolari inediti che riconfermano
la grandezza storica e umana di due grandi
Socialisti italiani. Un grazie voglio riservare a
tutti i giornalisti e a tutti gli scrittori che con i loro
articoli impreziosiscono il nostro blog e la nostra
rivista che, sotto la direzione di Enrico Matteo
Ponti, hanno raggiunto notevolissimi livelli di
apprezzamento da parte dei lettori il cui numero e
la cui attenzione sono in continua crescita.
Infine un ringraziamento sentito alla Uil per l’attenzione,
il sostegno e collaborazione che dedica
alla Fondazione Pietro Nenni.
6 beni culturali
Una lezione per to
Facebook.com/FondazioneNenni
www.fondazionenenni.blog
7
rnare a crescere...
In questo momento di emergenza
occorre ripensare al massacro
del welfare perpetrato negli anni
Sanità, scuola, prevenzione, ricerca,
corruzione, evasione fiscale,
criminalità: queste le battaglie
che ci vedranno in prima linea
di Enrico Matteo Ponti
In questo lungo, incredibile, amaro
tempo di pandemia, la Fondazione
Nenni attraverso il proprio
blog ha seguito l’evolversi della situazione
sia sotto il profilo clinico sia
sotto quelli del lavoro, dell’economia
e delle più complessive ricadute sui
diversi aspetti socio-politici del nostro
Paese.
Premesso un doveroso “grazie” ai
giornalisti e a tutti coloro che con i
loro preziosi contributi hanno consentito
di essere sempre in prima fila
nell’approfondire queste tematiche,
oggi riteniamo utile rivisitare con i
pezzi più significativi il periodo che
speriamo di poter affermare essere alle
nostre spalle pur se, intelligenza vuole,
non si debba ancora, e mai, abbassare
la guardia.
Un periodo che, per uno strano gioco
del destino, ha attraversato alcune delle
ricorrenze per noi particolarmente
importanti: il 25 aprile, il Primo maggio
e il 2 giugno.
Ricorrenze, queste, alle quali abbiamo
voluto riservare la massima, dovuta
attenzione convinti che la forza della
memoria degli avvenimenti che queste
date rappresentano per noi sono,
oggi e sempre, la linfa per continuare
a crescere e l’energia per affrontare e
superare i problemi.
Sarebbe, però, riduttivo non riflettere
sulla lezione che ci è stata impartita da
Madre Natura. La distruzione del welfare
messa in atto da troppi governi attraverso
il massacro degli investimenti
in sanità, scuola, ricerca, prevenzione,
impone un radicale ripensamento delle
politiche per restituire ai cittadini la garanzia
di poter fruire di servizi pubblici
di qualità, evitando che più o meno
dichiarati processi di privatizzazione
forniscano terreno fertile non solo alle
situazioni di evidente eccezionalità ma
anche a quelle di quotidiana normalità.
Dover attendere mesi per una TAC o
per un intervento chirurgico, continuare
a comprimere i nostri ragazzi in
classi pollaio di trenta e più allievi, annichilire
i nostri giovani con procedure
per l’ottenimento di dottorati al limite
del risibile tanto da obbligarli, molto
spesso, ad espatriare per ottenere il
giusto riconoscimento alle loro capacità
e al loro impegno, sono le prime
battaglie che da oggi dovranno tornare
vederci, ancora di più che in passato,
in prima linea.
A tale proposito, giova anche ricordare,
come non sia certo un caso, che da
quando sciagurate politiche di affievolimento
degli investimenti pubblici
nei su richiamati settori, con evidenti
effetti sull’occupazione, sui consumi
sul mercato interno e su un benessere
diffuso, l’Italia è precipitata nella classifica
dei paesi più industrializzati
Battaglie che dovranno avere come
nemici da battere anche la corruzione,
l’evasione fiscale, la criminalità
organizzata che, grazie a complicità e
correità o solo a miseri, distratti silenzi,
drenano quelle immense risorse che
devono, invece, trovare più giuste ed
adeguate destinazioni considerate anche
le ricadute sulla crescita del nostro
Sistema Paese.
Noi questa battaglia continueremo a
farla grazie al sostegno dei tanti che
condividono i nostri stessi ideali di solidarietà,
giustizia sociale, tutela di tutti
i diritti e dei diritti di tutti.
L’attualità di questi valori non passa
col passare del tempo ma, anzi, il passare
del tempo li rafforza. Un impegno,
questo, che dobbiamo alla nostra
dignità, al rispetto del nostro passato,
alla difesa del nostro futuro.
8 beni culturali
Todeskampf d
Il libro di Nenni br
Agonia della libertà messo al rogo il 10 maggio
9
er Freiheit
uciato dai nazisti
1933 da Hitler insieme ad altre 50mila opere
di Antonio Tedesco
Nel maggio del 1933 Hitler è al potere da pochi mesi ma ha
già varato le prime leggi antiebraiche, sciolto tutti i partiti,
favorito arresti e repressioni e costruito un clima di violenza
e di terrore. Hitler è l’uomo solo al comando e il suo progetto
totalitarista procede in modo spedito anche sul piano antisemitico
e culturale. Con un gesto fortemente evocativo il 10 maggio del
1933, giovani studenti nazisti, sotto l’accorta regia del ministro della
propaganda nazista Goebbels, bruciano a Berlino e in altre città
tedesche, le opere di autori ebrei e di politici, scrittori, giornalisti
e scienziati non allineati all’ideologia nazista[1]. Ben 50.000 libri
vanno in fumo. In mezzo ai libri di Marx, Freud, Einstein, Brecht,
Mann, Kafka, Hesse, Zola e Joyce ed altri centinaia di autori, nei
roghi del 10 maggio brucia anche il libro Todeskampf der Freiheit,
scritto dal segretario del Partito socialista italiano Pietro Nenni[2].
Il libro di Nenni aveva suscitato un grande interesse in diversi Paesi
europei agli inizi degli anni Trenta. Turati aveva definito l’opera
«una narrazione suggestiva, commovente e densa di contenuti, una
preziosa documentazione che risale all’inizio del regime fascista»[3].
Todeskampf der Freiheit, che tradotto significa Agonia della libertà,
è la versione in tedesco di Six ans de guerre civile en Italie, stampato
in Francia nel 1930, forse l’opera più originale di Pietro Nenni.
Nel 1930 il leader faentino ha quasi quarant’anni[4], ed ha sempre
accompagnato alla lotta politica un’intensa attività pubblicistica ed
editoriale. È un giornalista di razza[5] e uno scrittore sopraffino.
Queste sue doti da una parte lo hanno aiutato a sbarcare il lunario e
a sostentare la numerosa famiglia – moglie e quattro figlie – durante
l’esilio francese, dall’altra gli hanno fatto guadagnare notorietà, fino
a diventare, in breve tempo, una delle figure più note del socialismo
europeo e dell’internazionale socialista. Dopo anni di sofferenze e
delusioni, nel 1929-1930 ottiene grandi successi sia nel campo politico
che nel campo professionale ed editoriale. La sua battaglia per
l’unità socialista è vinta: Psi e Psu si uniscono sotto la sua spinta[6].
Nel campo professionale, invece, grazie alle amicizie con la sinistra
francese inizia a collaborare con alcuni giornali come il francese
Quotidien e il belga Le Soir[7] e pubblica diversi libri, tra
cui Six ans de guerre civile en Italie nel 1930.
»
10 beni culturali
Il libro compone, insieme a Storia di
Quattro anni, censurato dal regime fascista
nel 1926, pochi giorni dopo l’uscita[8]
e La lutte de classes en Italie[9],
la trilogia del Nenni “storico”, che attinge
dalla riflessione storiografica una
base importante su cui costruire e da
cui muovere nel presente e per progettare
il futuro[10].
Six ans de guerre civile en Italie ha
un grande successo anche in Olanda,
con il titolo Zes Jaren Burgeroorlog
in Italië[11], con la prefazione di J.F.
Ankersmit e, come abbiamo visto, in
Germania con il titolo Todeskampf
der Freiheit e una copertina molto
evocativa con Giacomo Matteotti in
alto, radioso ed immortale e Mussolini
in basso nella sua posa più nota, quasi
caricaturale: con le braccia ai fianchi, il
mento e il petto sporgenti, il Fez e la
divisa fascista.
Il libro raccoglie il lungo racconto a puntate apparso sul giornale
belga Le Soir nel 1929 dove Nenni aveva rievocato la sua giovinezza
turbolenta e le comuni imprese e lotte con Mussolini, un
tempo figlio del popolo, che amava la libertà, poi divenuto dittatore
d’Italia, «uomo di una frazione reazionaria e assassino della
libertà»[12]. Gli articoli di Nenni sul giornale avevano suscitato
subito un grande interesse presso il pubblico francese. Il futuro
Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat raccontò allo storico
e biografo di Nenni Giuseppe Tamburrano, che il racconto
a puntate fece aumentare le vendite del giornale boulevardier
da 10.000 a 100.000 copie[13]. La prima puntata, che uscì nelle
edicole francesi e belghe venerdì 13 settembre 1929, provocò
l’immediato intervento dell’autorità italiane presso il giornale
per interrompere la serie delle puntate, come riportato dal
giornale della concentrazione antifascista La Libertà del 15 settembre.
I socialisti avevano plaudito all’iniziativa. Il patriarca del
socialismo Turati, il 18 settembre del 1929 aveva chiesto a Pietro
Nenni di inviargli tutte le puntate del racconto[14]. I comunisti,
invece, strumentalmente avevano utilizzato quel racconto per
denigrarlo[15]. Nonostante le intimidazioni, il racconto continuò
ad appassionare migliaia di lettori anche in Germania dove
venne pubblicato, alla fine del 1929 in trenta puntate sul giornale
socialdemocratico tedesco Vorwarts[16].
Nel libro Six ans de guerre civile en Italie, Nenni racconta la
sua giovinezza di agitatore repubblicano, l’amicizia e il carcere
con il socialista Mussolini – a giocare alle carte, a leggere Sorel
e a fare progetti per l’avvenire – , descrive da testimone e protagonista,
l’Italia del primo dopoguerra, delle speranze, delle illusioni
e delle amarezze; l’Italia nel mezzo della guerra civile, con
Mussolini barricato nella redazione del suo giornale, Il Popolo
d’Italia, tra baionette, bombe e filo spinato dappertutto: «Ci si
crederebbe ad un posto di blocco al fronte, non nella redazione
di un giornale»[17]. Di grande pathos l’ultimo incontro con
Mussolini a Cannes nel 1922 (Ultimo incontro al bivio del destino),
e il racconto della giovinezza del Duce: «La giovinezza di
Mussolini fu tumultuosa. Era un ragazzo
di intelligenza precoce, d’un carattere
vivace, ma brutale nella sua selvatica
timidezza. Si compiaceva in lunghe
letture solitarie, senza pertanto amare
la scuola[18]. […]La solitudine era la
sua forza. All’infuori del suo ambiente,
non aveva né relazioni, né amicizie.
Tra lui e il mondo di fronte, – il mondo
dei borghesi, il mondo ufficiale, – vi era
un abisso. Le considerazioni mondane
e sentimentali non contavano per lui.
Plebeo era e pareva volesse restare, ma
senza amore per le plebi. Negli operai
ai quali parlava non vedeva dei fratelli,
ma una forza, un mezzo, del quale potrebbe
servirsi per rovesciare il mondo.
Benché avesse un fondo mistico – forse
ereditato dalla madre – era violentemente
antireligioso»[19].
È un libro scritto per far conoscere agli
europei il vero Mussolini, che Nenni ha conosciuto bene, e soprattutto
quello che realmente è accaduto in Italia lontano dalla
retorica fascista. Il racconto scorre e si sofferma, con pagine
molto evocative, sul biennio rosso, sugli errori del Partito socialista,
sulle atrocità fasciste, sulle aggressioni (Ghirelli, Consolo,
la redazione dell’Avanti!) e gli omicidi politici (Amendola, Pilati,
Matteotti[20]). Un libro scomodo per Mussolini che si specchia
nella sua giovinezza, nei suoi trascorsi contraddittori: da socialista
combatte la massoneria, poi se ne serve per andare al potere
e infine la perseguita.
In Six ans de guerre civile en Italie Nenni appare meno certo
dell’immediata fine della dittatura in Italia: «Avventure come
quella del fascismo riescono difficilmente, ma quando si sono
assicurate le necessarie complicità[21], possono durare per molti
anni.[…] Che il fascismo sussista ancora per cinque o per dieci
anni, questo sarebbe terribile per noi, terribile per tutti coloro
che muoiono nelle prigioni. […] Storicamente però il fascismo
è condannato».
Nenni ripone molta fiducia nel popolo italiano, vittima e non
complice del fascismo, che ha pagato con il sangue la sete di
libertà. Nell’ultima parte del libro (Lettera aperta ai miei lettori)
lancia un messaggio di speranza e conclude fiducioso: «L’italia
sarà libera. Con quali mezzi nessuno può prevederlo. Ma la storia
ci insegna che tutte le tirannie crollano, vittime dell’illusione
che basta crocifiggere il pensiero per dominarlo. Quando in un
Paese la sottomissione sembra essere assoluta, è allora che sorge
Spartaco. E allorché un combattente cade nella lotta, altri sono
pronti a prendere il suo posto. Così di anno in anno si rafforza,
invece di affievolirsi, la falange dei pionieri della libertà. Niente
si dimentica. Tutto si paga».
Il libro finito tragicamente nei roghi nazisti del 1933 venne stampato
in Italia nel 1945 con la traduzione della figlia Giuliana, che
si firmò con il cognome della mamma “Emiliani”[22].
Quasi ottant’anni dopo gli incendi, il 22 maggio del 2020, il libro
verrà celebrato nella piazza di Potsdam in Germania, per rispettare
il monito di Nenni: «Niente si dimentica».
11
note a margine
[1] Su questo argomento si segnala un bell’articolo della
Prof.ssa Anna Foa sull’Avvenire del 9 agosto 2009.
[2] Nei roghi finirono anche i libri degli italiani Silone e
Nitti.
[3] L’apprezzamento di Turati compare nella prefazione ad
un altro libro di Nenni, pubblicato in Francia nel 1930, La
lutte de classes en Italie, Paris, Editions de la Nouvelle Reveu
Socialiste.
[4] Nato a Faenza il 9 febbraio del 1891.
[5] Paolo Spriano, giornalista de L’Unità, definì nel 1977
Pietro Nenni “il più grande giornalista del secolo”. Le battaglie
di Nenni, L’Unità, 25 maggio 1977. Per uno studio
sul Nenni giornalista e scrittore, si segnalano gli articoli della
Prof.ssa Francesca Vian sul Blog della Fondazione Nenni,
molto utili per conoscere il linguaggio politico di Nenni
e l’esaustivo articolo Giornalista per settant’anni di Vittorio
Emiliani su Mondoperaio sul numero di febbraio 2010.
[6] Il congresso di Grenoble del 16-17 marzo 1930 sancì
anche l’uscita dei massimalisti guidati da Angelica Balabanoff.
[7] La collaborazione con il giornale durò fino al 30 aprile
1931, probabilmente interrotta a causa delle cattive condizioni
economiche in cui versava la testata belga.
[8] Libro ristampato dall’editore Daniele Repetto nel 2020:
Pietro Nenni, Il Diciannovismo, come l’Italia divenne fascista,
Harpo Edizioni. Forse il libro più noto di Nenni,
ispirato da Gobetti e stampato, pochi giorni prima dell’avvento
delle leggi fascistissme, dalla Casa Editrice di Rosselli
“Quarto Stato”. Quasi tutte le copie furono subito ritirate
dal mercato e distrutte.
[9] Il libro uscì in Francia nel 1930, edito da Edizioni Nouvelle
Revue Socialiste, Biblioteque de Documentation Sociale,
con la prefazione di Filippo Turati. L’uscita del libro
era stata annunciata all’interno del volume Six ans de guerre
civile en Italie. Il libro verrà stampato in Italia solo nel 1986
con la traduzione dal francese all’italiano di Fausta Filbier,
con la casa editrice SugarCo per iniziativa dell’Istituto Internazionale
Pietro Nenni.
[10] Pietro Nenni, La lotta di classe in Italia, SugarCo Edizioni,
1987, introduzione di Fausta Filbier, pag. 7.
[11] Il libro venne pubblicato dalla casa Editrice N.V. De
Arbeiderspers di Amsterdam.
[12] Pietro Nenni, Vent’anni di fascismo, a cura di Gioietta
Dallò, Edizioni Avanti!, 1965, pag. 160 (Capitolo: Sei anni
di guerra civile).
[13] Giuseppe Tamburrano, Pietro Nenni, Editori Laterza,
1986, pag. 101. Quella di Giuseppe Tamburrano è senz’altro
la biografia più accurata del leader socialista.
[14] Cfr Archivio storico Fondazione Pietro Nenni, Fondo
Nenni, Busta 14, Fascicolo 902, lettera di Filippo Turati a
Pietro Nenni, 18.09.1929.
[15] Nonostante il movimento comunista internazionale
cercò di denigrare, sin dalla fine degli anni Venti i socialisti,
definiti prima “socialtraditori” e poi “socialfascisti”, Nenni
(tra i principali bersagli) si batté sempre per l’unità delle
forze antifasciste.
[16] Che in tedesco significa Avanti!. Infatti il quotidiano
del Partito socialista italiano fondato nel 1896 prese il
nome proprio dall’omonimo quotidiano tedesco Vorwärts,
organo del Partito Socialdemocratico di Germania, fondato
nell’ottobre del 1876.
[17] Pietro Nenni, Vent’anni di fascismo, a cura di Gioietta
Dallò, op. cit., pag. 38 (Capitolo: Sei anni di guerra civile).
[18] Ibidem, pag. 23.
[19] Ibidem, pag. 30.
[20] Pietro Nenni tra il 1924 e il 1926 scrisse tre opuscoli
sull’uccisione di Matteotti (due dei quali sono oggi introvabili),
prendendo due condanne, la prima a 6 mesi di carcere,
poi amnistiati, la seconda gli procurò diverse settimane di
reclusione (marzo-maggio 1926).
[21] Pietro Nenni fa riferimento, come in diversi passaggi
del libro, alla Chiesa e alla Monarchia.
[22]Edito da Rizzoli, uscì con una copertina simile a quella
del libro Todeskampf der Freiheit, stampato in Germania
nel 1930 con Matteotti in alto e Mussolini in basso (questa
volta in abiti civili mentre fa un proclama). Per quanto
riguarda altre edizioni italiane del volume si segnala che nel
1965 le Edizioni Avanti! pubblicarono lo scritto nella raccolta
Pietro Nenni, Vent’anni di fascismo, a cura di Gioietta
Dallò (il libro raccoglie anche Pagine di Diario e Taccuino
1942 ). La curatrice, nell’introduzione (a pag. 7) alla raccolta,
sottolinea che lo scritto pubblicato, presenta alcune
differenze rispetto alla prima edizione italiana: «Di Sei anni
di guerra civile si sono riscontrate sulle fonti originali, e
restaurate secondo l’esatta lezione, le citazioni talvolta imprecise
perché riportate a memoria o da fonti incomplete
all’atto della prima stesura: le fonti sono ora indicate in
nota».
12 beni culturali
2 giugno 1946
Una corsa contro
tra passato e futu
13
di Pierpaolo Nenni
Fu lo scontro tra due visioni contrapposte.
L’Italia del futuro contro l’Italia della conservazione.
Fu anche una corsa contro il
tempo. Da un lato il fronte monarchico che rialzava
la testa vendendo cara la pelle, dall’altro l’onda
emotiva della resistenza che sembrava esaurirsi di
fronte ai soliti errori della sinistra e allo sfilacciamento
delle alleanze internazionali che avevano
sconfitto il nazifascismo. Scrive Governi: “il tempo
logorava la battaglia repubblicana, erodeva i
margini del consenso della sinistra, che era stato
grandissimo dopo la Liberazione. A mano a
mano che il filo della “continuità” si irrobustiva,
diventava una corda intorno al collo della rivoluzione
democratica”.
Come già avvenuto dopo la I guerra mondiale, i
partiti di sinistra facevano di tutto per presentarsi
agli elettori con un volto poco rassicurante: promettevano
epurazioni (ma poi Togliatti ripiegava
in sull’amnistia), creavano disordini, praticavano
vendette sommarie e guardavano affascinati all’Unione
Sovietica facendo apparire l’opzione repubblicana
come l’anticamera per la rivoluzione.
Nell’incertezza di tale scenario, si inserisce la Democrazia
Cristiana, erede della gloriosa tradizione
del Partito Popolare, con una strategia politica
ambigua (a anche un po’ cinica) volta alla massimizzazione
di un consenso quanto più trasversale
possibile, ammettendo il voto disgiunto D.C.-
Monarchia / D.C. – Repubblica e proponendosi
come baluardo della stabilità del Paese.
Si vota per la prima volta dopo 25 anni e la delicata
partita tra Monarchia-Repubblica si incrocia
con quella altrettanto fondamentale dell’elezione
dei rappresentanti all’Assemblea Costituente
dove si disegneranno gli assetti futuri del Paese.
Pietro Nenni in questa battaglia ci mette il cuore,
la testa e la faccia. E’ la sua battaglia ed il 2 giugno
è la “sua” giornata. È sempre stato repubblicano.
Fin da bambino aveva assistito ai soprusi, alle
violenze e alla profonda ipocrisia della
monarchia sabauda (e di un certo parasil
tempo
ro
»
14 beni culturali
sitismo della nobiltà ad essa legata). La fiducia
nella ragione si scontra con l’istinto dell’animale
politico.
L’abdicazione di Vittorio Emanuele III a favore
del figlio Umberto è il colpo di teatro, l’estremo
tentativo di salvare l’istituzione monarchica e ripristinarne
un briciolo di credibilità. Man mano
che passano i giorni e ci si avvicina al 2 giugno,
il vantaggio dei sostenitori della repubblica si assottiglia.
Nonostante il sostegno al fascismo, il
tradimento degli italiani (e di Mussolini), la guerra
e il tracollo economico, la monarchia preserva
ancora un certo fascino in un Paese fiaccato dalla
guerra, spaventato, rancoroso, con una popolazione
ridotta alla fame e un crescente conflitto
sociale.
Anche la memoria vacilla diventando pericolosamente
selettiva. Ed ecco che la monarchia viene
percepita come un’istituzione rassicurante in un
mondo che cambia ad una velocità per molti inquietante:
è un ostacolo per la costruzione del
futuro, ma si sa, gli italiani a parole cercano il
cambiamento ma nei fatti tendono a preferire la
strada vecchia all’ignoto. E Nenni, mentre attende
in casa – in un tempo sospeso e lunghissimo
– i risultati che verranno proclamati solo il 6 giugno
dalla Corte di Cassazione, sa che l’esito non
è affatto scontato.
Ma questo referendum è anche il primo a suffragio
universale maschile e, soprattutto, femminile.
La partecipazione delle donne al voto è un elemento
dirompente in grado di modificare gli
equilibri politici e conseguentemente i risultati
del voto: le donne sono state le grandi protagoniste
della resistenza e hanno finalmente preso
coscienza della propria forza. La vittoria della
Repubblica è senza dubbio una vittoria delle
donne. E senza donne al voto la Repubblica non
avrebbe vinto.
La nuova Italia è repubblicana, ma soprattutto
poggia le sue basi sull’uguaglianza di genere e
delle classi sociali.
Le prime donne entrate in Parlamento non tradiscono
queste speranze. Sono soprannominate
“Madri Costituenti”: Laura Bianchini, Elisabetta
Conci, Filomena Delli Castelli, Maria De Unterrichter
Jervolino, Maria Federici Agamben, Angela
Gotelli, Angela Maria Guidi Cingolani, Maria
Nicotra Verzotto, Vittoria Titomanlio (DC ),
Adele Bej Ciufoli, Nadia Gallico Spano, Nilde
Jotti, Teresa Mattei, Angiola Minella Molinari,
15
* Articolo 1
L’Italia è una Repubblica democratica,
fondata sul lavoro. La sovranità appartiene
al popolo, che la esercita nelle forme
e nei limiti della Costituzione.
* Articolo 2
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti
inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle
formazioni sociali ove si svolge la sua personalità,
e richiede l’adempimento dei doveri
inderogabili di solidarietà politica, economica e
sociale.
* Articolo 3
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono
eguali davanti alla legge, senza distinzione di
sesso], di razza, di lingua di religione di opinioni
politiche di condizioni personali e sociali.
Rita Montagnana Togliatti, Teresa Noce Longo,
Elettra Pollastrini, Maria Maddalena Rossi (PCI),
Angelina Merlin e Bianca Bianchi (PSIUP ) e Ottavia
Penna Buscemi (Uomo Qualunque).
Vorrei ringraziarle e dedicare loro questa giornata
di festa.
La Costituzione più bella del mondo, la nostra
Costituzione, non fa altro che codificare le aspirazioni
ed i valori che hanno portato alla vittoria
del 2 giugno.
Ai nostalgici della monarchia illuminata, delle
élite al potere, dell’uomo forte contro la democrazia
che non decide, a coloro che vorrebbero
eliminare i corpi intermedi, le opinioni diverse da
loro perché così “si perde efficienza”, semplificare
la complessità del mondo reale cancellandola
con un tratto di penna (e magari qualche goccia
di olio di ricino), vorrei ricordare che quando
queste istanze si sono realizzate non è andata affatto
bene.
Sebbene imperfetta, la nostra amata Repubblica
è la cosa migliore sia mai capitata in Italia. Suggerisco
loro di leggere IL DICIANNOVISMO
di Pietro Nenni di fresca ristampa (HARPO ed.).
Scopriranno che prima non si stava meglio, ma
molto peggio. E sono grato al mio antenato e
al coraggio di tanti uomini e donne che hanno
lottato insieme per donarci un grande progetto
di libertà e democrazia
La straordinaria visione espressa dai Padri (e Madri)
costituenti nei Principi fondamentali ci abbraccia
con un impeto che ci emoziona ancora
oggi, per lungimiranza, modernità e ambizione.
I primi tre articoli sono la bussola che ci guida
in un lungo cammino, l’evoluzione degli italiani
da sudditi del Re a cittadini della Repubblica (vedi
qui a lato).
Andrebbero ricordati ogni giorno, quando la
sensazione della pochezza del dibattito politico
ci getta nello sconforto e nella tentazione di facili
soluzioni dagli esiti disastrosi. Lo spirito del 2
giugno ci offre gli strumenti per capire chi siamo,
prenderci le nostre responsabilità e riprendere in
mano i nostri destini per traghettarli verso una
società più giusta dove uguaglianza, benessere
materiale e spirituale sono legati imprescindibilmente.
Sono valori assoluti, non negoziabili, che tutti
noi, a prescindere dalle nostre identità o preferenze
politiche, siamo obbligati a difendere.
W la Repubblica, W l’Italia, W il 2 giugno.
16 in copertina
I valori del 2 giugno... oggi
di Pasquino il T...EMP...lare
17
più di ieri
A quello che c’ha ancora nostalgia
de quer rottame che chiama monarchia
je chiedo solamente un piccolo favore
semplicemente ma co’ tutto er core
“Vatte, te prego, a rileggéte la storia
vattelo a fa’ un ber bagno de memoria
che fu proprio quella perfida genìa
che ar fascismo vilmente apri la via
che sprofondò er Paese in coma
complice imbelle della marcia su Roma …
E delle leggi razziali nun te l’aricordi?
Nate dai miserabili abietti accordi
con quell’altra assassina dittatura
che ar monno regaló morte e paura
Finché quanno che je se complicó la vita
coraggiosamente a Brindisi andorno… In gita
Quarcuno dice che scapparono vilmente
anche si… molto molto nobilmente
Fa’ ‘n po’ come te pare ma la fuga fu “reale”
mentre la gente vera che c’aveva ‘na morale
inizió una lunga e dura resistenza
pe’ ritrova’ della dignità l’essenza
Pe’ fortuna poi arivo’ er Due Giugno
che secco come un forte pugno
riaprì er libro della democrazia
e alla ricostruzione dette er via
Oggi quello spirito dovemo ritrova’
riscoprenno insieme la solidarietà
e tutti quei valori veri e umani
che ce fanno orgogliosi d’essere Italiani
18 in copertina
La Fondazione Nenni
per il Primo Maggio
di Enrico Matteo Ponti
Disoccupati
Io sono un macellaio
io sono una segretaria
Io sono un perito industriale
io sono un’infermiera
Io sono una ricercatrice
io sono un falegname
Io sono una commessa
io sono un cuoco
Io sono un chimico
io sono una psicologa
Non facciamo
siamo
perché siamo…disoccupati
Ma se un filo di profitto
O un attimo di straordinario
si sottraessero
e trasformandosi si sommassero
in una volontà vera di cambiare
almeno un po’
l’egoismo in solidarietà
forse qualcuno
potrebbe smettere di essere
e potrebbe iniziare a fare
E l’urlo di chi lavora e protesta
perché convinto di pagare troppe tasse
o perché poco gli appare il suo salario
sembrerà un sospiro
al confronto dell’urlo di chi non lavora
quando la dignità e la rabbia
spazzeranno le dighe
dell’attesa e della pazienza
19
Primo maggio (aspettando che torni
presto ad essere un “Buon…”)
Cent’anni esatti fa
seguendone infinite
e tante precedendone
fu fatta scoppiare
una ignobile
meschina
violenta guerra
Un veramente “grande”
adesso sì ci vuole
l’aggettivo giusto
pensandosi
e pensando a quanti come lui
erano al fronte
così chiamato ché si ha la morte in fronte…
Scrisse
“si era
come d’autunno
sugli alberi le foglie”
S’oggi potesse
riprendere la penna
l’Ungaretti
e altri uomini
e altre donne
manderebbe il suo pensiero
Uomini
e donne
che combattono la guerra del lavoro
o del non lavoro
o dello sfruttamento del lavoro
Combattenti
con divise diverse
eppure troppo uguali
Disoccupati
precari
esodati
sfruttati
Lavoratori in nero
o con contratti congelati
e poco o niente rispettati
Foglie dell’albero dei diritti
che qualcuno
sta aspettando
segando
di veder cadere
Foglie che invece noi
con la linfa della solidarietà
degli ideali
e con la grinta della dignità
siamo certi che torneranno presso a rinverdire
per potere finalmente
ancora dire
“Buon Primo maggio, lavoratori
di questo e d’ogni mondo”
Da “L’Acqua dell’ultimo mare”
Bibliotheka Edizioni
20 in copertina
Ecco er gilet arancione...
Quanno se dice che
nun se famo mancà niente
Se so’ trovati coi gilet arancione
urlando che er virus è tutta ‘n’invenzione
e mó dietro a ‘n vecchio generale
già condannato da un vero tribunale
che decaduto da sottosegretario
da allora de tutti è acerrimo avversario
A capo der Movimento Liberazione Italia
pure ai forconi in rivolta fe’ da balia
mentre candidato in Umbria come presidente
ottenne un risultato assai avvilente:
zero virgola spicci de monnezza
587 voti in tutto… che amarezza!
Oggi abbaia scordannose le migliaia de morti
che stanno a dimostra’ tutti i suoi torti
Le lacrime e le bare l’avemo viste tutti
dire che so’ farsità è da farabutti
Figli mogli fratelli ancora a soffri’ stanno
mentre quarcuno rimesta nell’inganno
Senza pietà e nimmanco vergogna
continua a urla’ la solita menzogna
Pe’ me potete puro anna’ alla gogna
così finirà … er puzzo della fogna!
di Pasquino il T...E
21
Verso il ritorno
alla fase... vita
MP...lare
Puro si mó potemo torna’ ar mare
nun se dovemo mai dimenticare
quello ch’avemo appena passato
quello che sortanto ieri è stato
Vabbè birette ma senza fini’ sbronzi
Nun famo la finaccia di quei gonzi
Che de sapiens nun c’hanno più niente
quelli che so’ la specie la più deficiente
Nun cercamo scuse o farsi appigli
pe’ fa’ la movida ar centro o alli navigli
chè ‘sto virus maledetto e stracornuto
nun è ancora nè passato nè battuto
Chè se semo rotti de fa’ le condojanze
de senti’ le sirene dell’autambulanze
Pe’ riapri’ le porte alle speranze
pe’ potecce gode’ belle vacanze
pe’ torna’ a fa’ cresce’ le finanze
nun se famo prenne dalle circostanze
senza cazzeggia’ co’ bevute e danze
seguimo solo le sane e giuste usanze
nun dovemo pecca’ nell’arroganze
praticamo ancora le antiche usanze
de mantene’ le giuste distanze
Solo così torneremo a senti’ della vita… le fragranze
22 in copertina
23
Politici d’esempio. Note
a margine di un carteggio
inedito fra Nenni e Pertini
“Anima socialista” racconta due protagonisti del ‘900
di Pierluigi Pietricola
Araccontarla, parrebbe una
storia scritta da Tommaso
Landolfi o Dino Buzzati.
Eppure si tratta di un fatto realmente
accaduto.
In fondo a una valigia ricevuta in
eredità, aperta dopo anni, si scopre
un doppiofondo. Lo si solleva e
sotto vi sono contenute delle carte.
Sfogliandole, ci si rende conto che
non si tratta solo di appunti o note
presi a margine di svariate occasioni,
ma di un vero e proprio carteggio.
Inedito e preziosissimo, fra due
grandi protagonisti della storia del
Novecento: Pietro Nenni e Sandro
Pertini. A fare questa scoperta, la
nipote del grande leader socialista.
Un epistolario che oggi tutti possono
leggere, perché collazionato nel
volume a cura di Antonio Tedesco e
Alessandro Giacone, Anima socialista.
Nenni e Pertini in un carteggio
inedito (1927-1979).
Cosa si scopre da queste lettere?
Certamente nulla di nuovo rispetto
a quanto già non si sapesse sui due
grandi uomini politici e sui loro rapporti,
così improntati alla polemica
ma sempre sinceri e mai privi di
stima. La novità, semmai, consiste
nell’esempio che due figure come
quelle di cui si discorre possono fornire
a un panorama politico desolante
come è quello contemporaneo.
Tanto Pertini quanto Nenni furono
uomini che mai rinnegarono la loro
appartenenza ideologica, alla quale
però non pretesero di piegare la
realtà, soprattutto in situazioni complesse
e delicate come le tante che
l’Italia ha affrontato nella seconda
metà del Novecento.
“Caro Pietro, ancora una volta stamani
ho visto prevalere in te il tuo
lato negativo e cioè quello di minimizzare.
(Ne hai tanti positivi che
non deve adombrarti se io metto in
luce questo tuo lato negativo…)”.
“Caro Sandro, Ho letto stamani
nell’Avanti con sorpresa e rammarico
l’attacco a Missiroli che mi è sembrato
del tutto sproporzionato alla
causa apparente che lo ha determinato…
Non mi pare giusto né producente.
Cordialmente, Tuo Nenni”.
Due sintetici esempi – tanti altri potremmo
estrapolarne da questo carteggio
– ma emblematici di come, un
tempo, si intendeva la politica anche
nei rapporti personali, intrecciati fin
quasi a coincidere – ma senza mai
confondersi – con quelli istituzionali.
La sincerità di un’idea, di una convinzione
che non sempre dovevano
o potevano trovare conforto nell’interlocutore.
Era il polemos, padre di tutte le cose
come diceva Eraclito, che si andava
cercando per far sì che un nuovo ordine,
più dinamico e meno melmoso,
potesse nascere e dar vita a periodi e
stagioni sempre più produttivi. Nenni
e Pertini incarnavano tutto ciò.
E in questo consiste la loro grande
personalità, la forza dei rispettivi caratteri.
Animi, i loro, mai inclini a compromessi
e che li posero di fronte a situazioni
difficili sul piano personale:
la scomparsa della figlia, per Nenni,
in un campo di sterminio nazista;
la cattura e la condanna a morte da
parte delle SS per Pertini.
Personalità che oggi appaiono tragicamente
distanti. Soprattutto perché
sono gli interessi biechi e spiccioli
a prevalere. Caratteristica, questa,
estranea sia a Nenni che a Pertini,
per i quali era la questione nazionale
– sia in tempo di pace che di guerra
– a dover essere sempre tenuta presente.
Dall’epistolario pubblicato da Arcadia
Edizioni, tutto ciò lo si può richiamare
alla memoria per chi ebbe
la fortuna di vivere quella fortunata
stagione delle nostre istituzioni. Per
coloro che non poterono essere presenti,
esso costituisce un’ottima occasione
e un buon termine di paragone
per comprendere la differenza,
profonda e tutt’altro che sostanziale,
che intercorre fra il grande politico
(come lo furono, ciascuno diversamente
ma egualmente in grande stile,
Nenni e Pertini) e il banale politicante
dei tempi odierni.
24 in primo piano
30esimo anniversario della scomparsa di Pertini,
la presentazione di “Anima Socialista “in UIL
25
25 a
La gior
26 in copertina
di Maurizio Fantoni Minnella
Mentre scorrono le ore di un
25 aprile silenzioso, senza
piazze, né cortei, il primo
da quando venne istituito come giornata
di commemorazione, il giovane
e sempre più agguerrito filosofo torinese
Fusaro si beffa allegramente
di coloro che intonano Bella Ciao sui
balconi e dalle finestre di casa, riempiendo
la rete di versioni in lingue diverse
dell’ormai leggendaria canzone
partigiana. E lo fa, consapevole della
propria ipocrisia, cosciente di pronunciare
delle falsità, soprattutto quando
afferma, ad esempio, che il richiamarsi
ideologicamente ad un “fascismo immaginario”,
mediante l’inno antifascista
più conosciuto al mondo, significherebbe
nascondere il vero nemico,
l’élite delle multinazionali.
Si può forse discutere su taluni aspetti
consolatori della cultura dell’antifascismo
senza tuttavia metterne in dubbio
la sacrosanta legittimità e il diritto di
ciascuno a evocare, con i mezzi a disposizione
(canti, video-letture, bandiere
etc.) un sentimento collettivo
che ha sì a che vedere con la memoria
storica ma, nondimeno, con il nostro
presente. Ma non altrettanto si può
far passare sotto silenzio il maldestro
tentativo di uno studioso/docente
di filosofia incattivito, pur con il sorriso
stampato sul volto (sia chiaro,
la definizione di filosofo è una pura
convenzione), di negare, innanzitutto,
che vi siano in tutta Europa (Italia
compresa), seri rigurgiti neonazisti,
che in alcuni stati siano al governo o
che rappresentino quote non trascurabili
in parlamento, che con la caduta
dell’Urss, si siano spalancate le porte
ai nazionalismi più aggressivi e al formarsi
di nuovi imperialismi ancora
più aggressivi e minacciosi. Ancora
una volta Fusaro si rifiuta di vedere e
di riconoscere il vero volto del nuovo
nazionalismo in quanto egli ritiene sia
una semplice maschera dietro cui si nasconderebbero
i veri nemici della globalizzazione,
della finanza e delle multinazionali,
mostrando quindi, di non
voler separare la sacrosanta (e da noi
condivisa senza se e senza ma) opposizione
al neocapitalismo liberista dal
vero volto, quello reale, di coloro che
(in nome di un’equivoca idea di sovranità
popolare e di difesa dei confini nazionali),
hanno atteso settant’anni per
riproporre idee e valori che, non solo
hanno condotto alla catastrofe della
seconda guerra mondiale e alla Shoah,
ma che riflettono una visione gerarchica
e totalitaria della società umana.
Fingere che tutto questo non esista o
che sia, al massimo, confinato in una
“minoranza folkloristica” per usare le
stesse parole dello studioso, significa,
semplicemente, pervenire a una sorta
di disonestà intellettuale. Non stupisce,
inoltre, la folta moltitudine di commenti
positivi, spesso sgrammaticati e
confusi, alle sue esternazioni in rete, a
riprova del fatto che ormai ci troviamo
di fronte a un torrente in piena, a una
svolta del processo storico che, se per
27
prile
nata del filosofo…
un verso proclama l’eliminazione delle
frontiere e quindi, dell’egemonia delle
singole nazioni, per altro verso sembra
reclamare per sé la primitiva idea
del sangue e del suolo. Un paradosso,
certamente, che è facile rifiutarsi di
comprendere, basta infatti, eliminare
il secondo termine di questo bipolarismo
asimmetricamente perverso. E
trovarsi, dunque, alle prese con un solo
nemico, il capitale finanziario, coi suoi
padroni e i suoi servi, dimenticando
però che il fascismo, del capitale privato
fu di fatto il cane da guardia, che
in ogni latitudine i fascismi, rifiutando
l’idea di una società egualitaria, non
possono, di certo, dirsi, dialetticamente,
nemici del capitale, in qualunque
forma esso si ripresenti nella storia.
E ancora, con un altro nemico, certo,
più fragile e contraddittorio, incerto su
quali strade intraprendere in futuro,
quella sinistra neo-liberale che troppo
in fretta ha capitolato dall’idea di uguaglianza
e di lotta. Ma non è certamente
avversandola in nome del sovranismo
che si affronteranno la costante minaccia
del neoliberismo, fagocitatore
di diseguaglianze, guerre e dolore. Al
contrario, trasformandola o superandola
nel nome degli ideali per cui la
sinistra ha sempre combattuto, che si
potrà, forse, sperare di affrontare il leviatano
del capitalismo globale e il suo
modello di società che sinceramente
avversiamo.
Tuttavia, dopo avere ripetutamente
dichiarato che siamo tutti agli arresti
domiciliari e che, in fondo, siamo
pure addomesticati per convincerci ad
accettarli, eccolo, dunque, pontificare
con logos forbito e flemmatico (e
quasi sempre citazionistico) su quanti,
innalzando l’inno partigiano per non
dimenticare, intenderebbero in realtà
dimenticare gli orrori del mondo
globale di cui ci ritroviamo ad essere
osservatori passivi, ma mai complici,
il nostro filosofo di sicuro avvenire ha
davvero superato il segno. E di certo
in modo vile e sprezzante, noncurante
delle molteplici sensibilità che spingono,
in un certo senso, a esternare uno
stato d’animo, l’idea di una resistenza
permanente, in un momento in cui
ci è negata ogni socialità non per un
oscuro calcolo politico ma per la pericolosità
di un virus che proprio nella
socialità trae la sua vera linfa.
Così è, per noi, il paradosso globale!
Rinsa
squadrist
28 in copertina
di Edoardo Crisafulli
In questo periodo
certi leader politic
e sulla rabbia popola
Ora che la polvere dell’aspro
combattimento si sta depositando,
e gli animi sono un
po’ meno isterici, si può — spero – ragionare
a freddo sul punto chiave della
vicenda di Silvia Romano, la cooperante
liberata dai suoi carcerieri islamisti
grazie all’intervento benemerito dello
Stato.
No, cari lettori, non vi spiegherò le ragioni
per cui credo fermamente nella
trattativa umanitaria, né rintuzzerò le
assurde obiezioni all’idea che si possa
pagare un riscatto (mica vero che gli
Stati democratici autorevoli hanno sempre
il mitra e il bazooka in mano!). Mi
basta ricordare cosa disse Aldo Aniasi,
a nome del Partito socialista, nel lontano
1978, quando Aldo Moro era prigioniero
di aguzzini non meno feroci dei
jihadisti d’oggi – italiani veri, autoctoni,
che sparavano in testa all’innocente di
turno:
“L’autorità e il prestigio dello Stato si
affermano anzitutto dimostrando che il
primo dovere è quello di saper difendere
la vita e la libertà di ogni cittadino e
successivamente quella di punire i colpevoli.
I rifiuti pregiudiziali sono fondati
su discorsi astratti, retorici o peggio
crudeli”.
Ebbene sì: non m’interessano i lati
oscuri di questa vicenda – le eventuali
responsabilità della ONG/ONLUS
presso cui era impiegata Silvia, la congruità
del riscatto e l’uso che ne verrà
fatto (posto che sia stato effettivamente
pagato!), lo spettacolo delle nostre autorità
all’aeroporto ecc. In realtà, vorrei
parlare di queste cose. Ma l’atmosfera è
troppo incattivita. D’ora in poi discuterò,
anche accapigliandomi, solo con
persone civili. A monte di ogni ragionamento
critico, prima di abbozzare
qualsivoglia legittima perplessità, vorrei
che sottoscrivessimo tutti un principio
irrinunciabile: il rispetto sacrosanto per
Silvia Romano. Una nostra concittadina
è ritornata sana e salva! Trattenete un attimo
la vostra rabbia, la vostra faziosità,
il vostro livore antigovernativo, e pensateci
per un momento: e se, al posto
di Silvia, ci fosse stata mia sorella, mia
cugina, mia figlia, una mia cara amica?
L’avrei sacrificata sull’altare della ragion
di Stato, per puro sfregio ai terroristi?
Pensateci, e siate onesti nel rispondere!
Siatelo almeno con voi stessi, nell’interiorità
della vostra coscienza.
In questo periodo tumultuoso, di crisi
a getto continuo – sembra che assistiamo
all’eruzione di un vulcano! –, certi
leader politici soffiano a pieni polmoni
sull’odio e sulla rabbia popolare. Perché
lo fanno? Semplice: pensano di trarne
un utile. Intendiamoci: io credo nella
Realpolitik. Ma a che pro incitare al linciaggio
mediatico? Questo è cinismo e
spregiudicatezza fini a se stessi – cattiveria
un tanto al chilo e un tanto al pezzo,
come si dice in Emilia. Neppure nel
fare il male, cari leader xenofobi, dimostrate
spessore politico e intelligenza.
Consiglio di leggere l’intervista a Dacia
Maraini: “Sul corpo di Silvia stanno
combattendo lo scontro di civiltà”
(Huffpost). Suggerisco che tutti – anche
i dubbiosi e gli indignati a ragion veduta
– facciano un bel respiro profondo
e poi meditino sulle parole che, come
frecce, scoccano dall’arco di Dacia:
“non le perdonano che non odi i suoi
29
vite,
i digitali!
18 lunghissimi mesi nell’insopportabile
costrizione fisica e psichica della prigionia!
Il peggio di sé l’hanno dato i mass media
allineati con la destra becera e xenofoba.
Non facciamo di tutte le erbe un fascio:
c’è anche una destra sana e illuminata,
in Italia. È a questa parte politica che mi
rivolgo ora. Si può essere al contempo
conservatori e persone civili: ribellatevi
alla barbarie imperante! Sbarrate la strada
a coloro che vomitano bile contro
Papa Francesco, colpevole di predicare
la Caritas evangelica, contestate coloro
che disprezzano in blocco gli immigrati,
i rifugiati, i musulmani, le ONG e chi
ci lavora, i centri sociali, i froci e le lesbiche,
le zecche comuniste, i transessuali,
i partiti del socialismo europeo, i
francesi, i tedeschi, l’Unione Europea, e
chi più ne ha più ne metta. Non l’avete
ancora capito che questi manganellatori
virtuali strizzano l’occhio ai loro compagni
di cordata, i sovranisti europei, le
laboriose formiche che negano il piano
di aiuti economici all’Italia rinfocolando
luoghi comuni sprezzanti sulle cicale
italiane? Bell’esempio di patriottismo…
Bordate contro i deboli; carezze col
guanto di velluto con i forti. Aggrediscono
e insultano a ruota libera, mentre
sbraitano il loro amore per la patria.
Eppure toglierebbe la cittadinanza a
chi non rientra nel loro razzistico
canone del vero italiatumultuoso,
di crisi a getto continuo
i soffiano a pieni polmoni sull’odio
re, spesso supportati da media allineati
carcerieri. È un fatto che li scandalizza,
li manda su tutte le furie. Perché loro
odiano tutto, forse pure sé stessi. Così
si precipitano all’attacco, anche vile. La
insultano e la dileggiano”. Navigando
su Facebook, mi sono imbattuto in uno
stuolo agguerrito di leoni da tastiera,
costoro avrebbero gettato la stampella
in faccia ai terroristi islamici, come
l’eroico bersagliere Enrico Toti, che
preferì morire crivellato di colpi piuttosto
che arrendersi al nemico austriaco;
c’è anche chi non offrirebbe volentieri
il collo allo sgozzatore di turno, e lo
ammette; di certo però il nostro prode
internauta si sarebbe comportato con
orgoglio e dignità, diversamente dalla
psicolabile Silvia: appena sceso dall’aereo
a Fiumicino, avrebbe inscenato una
passerella in bikini, petto in fuori, sorrisi
a tutto campo, mostrando l’indice
medio ai rapitori. Complimenti, che coraggio
virtuale! E che profonda empatia
nei confronti di una ragazza vissuta per
»
30 in copertina
no, e fanno di tutto per negarla a chi
è nato qui, in Italia, da genitori stranieri,
musulmani. Quanto razzismo e
quanta intolleranza c’è negli insulti e
nelle accuse a Silvia! Eh, sì, perché questa
è la sua colpa più grave: preferiva i
negri agli italiani. Ora non si può più
neppure aiutarli a casa loro: dobbiamo
abbandonarli al loro destino di miseria.
Inorridisco: abbiamo avuto un regime
fascista, che ha partorito le odiose leggi
razziali antiebraiche, ma la cultura italiana
non ha mai generato un teorico
del razzismo al livello del francese De
Gobineau (Saggio sulla diseguaglianza
delle razze umane), del britannico
H. S. Chamberlain (I fondamenti del
diciannovesimo secolo), dell’austro-tedesco,
Hitler (La mia battaglia). E infatti
nelle nostre vene di italiani DOC
scorre un miscuglio di sangue etrusco,
latino, sannita, greco, celta, germanico/
normanno, arabo, ebraico, fenicio ed
anche africano! (L’imperatore romano
Settimio Severo, nato in Libia, aveva la
pelle nera; Sant’Agostino era di etnia
berbera). Indoeuropei imbastarditi con
i semiti e gli africani, ecco cosa siamo.
Altro che razza ariana! Il razzista italiano
è antipatriottico perché rinnega la
nostra tradizione bimillenaria di coesistenza
pacifica fra etnie diverse.
Silvia si è macchiata di un’altra colpa:
ha preferito l’Islam esotico (e violento)
al pacifico cattolicesimo italiano. Siete
ignoranti, ottusi e provinciali. Studiatevi
la storia italiana: il cattolicesimo è,
sì, la tradizione dominante in Italia. Ma
accanto a questa vi sono i protestanti,
sopravvissuti per secoli a ogni tentativo
di fagocitarli; c’è la più antica comunità
ebraica al mondo (precedente alla diaspora);
c’è anche una fiorente comunità
islamica, cresciuta a seguito dell’immigrazione.
La tradizione islamica italiana,
in realtà, sarebbe antichissima, ma venne
spazzata via dalle repressioni di papi e
sovrani cattolici. Federico II di Svevia,
fondatore del primo Stato europeo nel
Mezzogiorno d’Italia, non era né un
comunista né un sovversivo: ciononostante
proteggeva sia gli ebrei che i musulmani,
suoi sudditi fedeli. Alcune delle
sue truppe scelte erano di fede islamica.
I problemi più grossi li aveva col Papa
romano, che ostacolava i suoi disegni
di unità nazional-imperiale! L’identità
religiosa italiana era, e deve tornare ad
essere, eclettica e plurima: un coacervo
costituito da rimasugli del paganesimo
(evidenti nel culto per le statue e i santi
tramandato ai cattolici), cristianesimo,
giudaismo, islam.
Intendiamoci: la libertà di parola e di
stampa è sacra, e tale deve rimanere.
Altrettanto sacro è il mio diritto di indignarmi
quando leggo titoli di questo tenore:
“eroina del terrorismo”; “complice
dei jihadisti”; “islamica felice e ingrata”;
“gite buoniste”, “volontaria senz’arte né
parte”; “ventriloquio pericoloso della
Jihad”. Ripetiamole ossessivamente due
verità scomode, politicamente scorrette;
ripetiamole anche se fossimo una minoranza
a crederci: 1) ve la prendete con
Silvia perché è una ragazza, per giunta
‘buonista’; più il bersaglio è debole maggiore
è la violenza con cui lo colpite; 2)
il vostro martellamento merita un solo
appellativo: squadrismo massmediatico
e socialmediatico. Ieri il manganello e
l’olio di ricino, in venti contro un antifascista
riverso a terra; oggi gang mobbing,
violenza psicologica di gruppo virtuale:
alcuni giornalisti in cerca di facile notorietà
incitano al ruggito migliaia di leoni
da tastiera che godono nel massacrare
una ragazza indifesa. Nella civiltà della
comunicazione, puoi finire in pasto a
bestie umane che graffiano e fanno male
a distanza: basta postare una foto di Silvia
tutta bardata all’islamica con tanto di
commento mordace, e l’effetto valanga
delle condivisioni è garantito. Siete una
massa di vigliacchi, spesso vi nascondete
dietro un falso profilo su Facebook:
così, pensate, si spanderà per l’etere il
lezzo delle cloache dell’odio. Pensate di
essere coraggiosi, e che io stia esagerando?
Può darsi. Ebbene, dimostratemelo
con un’azione semplicissima: attaccate i
boss mafiosi e camorristi con la stessa
identica protervia con cui massacrate
una ragazza, anzi attaccateli con tutto
il furore di cui siete capaci – non sono
forse, costoro, assassini o mandanti di
omicidi efferati? E metteteci la faccia,
firmatevi – alla luce del sole. Non condividerei
comunque questo scempio allo
Stato di diritto – le condanne spettano
alla magistratura, non ai tribunali popolari
aizzati dai demagoghi di turno –, tuttavia
vi riconoscerei almeno il coraggio
delle vostre azioni.
Sia chiaro, leoni da tastiera: non vi odio,
né vi disprezzo. Non ne sarei capace.
Provo solo una pena infinita, non
dev’essere piacevole essere corrosi
dall’astio verso l’universo mondo. Sono
addirittura convinto che possiate rinsavire,
guarda un po’! Come ripeteva Don
Oreste Benzi, il fondatore della comunità
Papa Giovanni XXIII, “la persona
non è il suo errore”. Non state commettendo
crimini, avete solo bisogno di un
sacco delle botte. Allora mi appello alla
vostra coscienza: non fatevi strumentalizzare
da leader xenofobi e sovranisti
a cui non importa nulla di voi: il loro
obiettivo, squallido, è quello di scatenare
una guerra fra poveri. Potete ravvedervi,
potete cambiare in meglio. Ma fatelo al
più presto, per favore. Per voi, più che
per Silvia.
Grazie.
Il nostro lavoro è la forza e la ricchezza del Paese e nelle difficoltà siamo chiamati a dimostrare il nostro
coraggio e la nostra determinazione nel compierlo.
Ognuno come sa, ognuno come deve.
Oggi vogliamo dire grazie.
Un grazie a tutti coloro che, eroicamente, ci curano negli ospedali, negli ambulatori, garantiscono i
trasporti di emergenza, assicurano assistenza e sicurezza.
Grazie a chi ci garantisce l’acqua, le forniture elettriche, le comunicazioni e la distribuzione di
combustibile.
Grazie a coloro che assicurano i servizi bancari e a chi continua a pagare pensioni, stipendi, fatture.
Grazie a chi continua a lavorare nella filiera agro alimentare, dei beni di prima necessità e della
distribuzione.
Grazie a chi, civile o militare, con abnegazione, ha moltiplicato il suo impegno per aumentare la
produzione di strumenti medicali.
Grazie a chi tiene vive le nostre imprese, in presenza o in remoto.
Grazie agli insegnanti che continuano, da casa, a comunicare con i loro studenti.
Tutti noi altri per aiutarli e per non vanificare i loro sacrifici abbiamo il dovere di limitare al massimo i
nostri spostamenti rimanendo il più possibile A CASA.
DIPARTIMENTO DIFESA
E SICUREZZA
e la comune infl
32 in copertina
“
Ecco le diffe
e le similarità fr
di Pierluigi Pietricola
Intervista al professor vincenzo puro
Risk manager - INMI Lazzaro Spallanzani
33
renze
a il Sars CoV2
uenza
”
Spiega il professor Vincenzo Puro: entrambi i virus
condividono la modalità di trasmissione: contatto,
goccioline respiratorie, materiale contaminato
Continua la nostra attività di informazione sul Sars
CoV2, conosciuto comunemente come coronavirus.
Questa volta abbiamo conversato con il Prof. Vincenzo
Puro, Direttore UOC Infezioni emergenti e Centro di
riferimento AIDS dell’Ospedale Spallanzani di Roma.
Professor Puro, facciamo il punto della situazione. Il
Sars CoV2 che tipo di contagiosità ha rispetto all’influenza
stagionale?
«Il virus responsabile di COVID-19 e quello dell’influenza
si manifestano in maniera simile. Entrambi causano disturbi
respiratori, che possono presentarsi in modi molto diversi: i
pazienti possono essere asintomatici, avere sintomi di livello
contenuto, fino ad arrivare a una patologia grave e alla morte.
Virus dell’influenza e SARS-CoV 2 condividono la modalità
di trasmissione: contatto, goccioline respiratorie, materiale
contaminato dalla persona infetta. In epidemiologia la contagiosità
si misura in primo luogo con il cosiddetto “numero
o tasso di riproduzione di base”, “erre con zero” (R0), di cui
si è fatto e si fa un gran parlare, ovvero il numero medio di
persone che un individuo infetto può contagiare (casi secondari).
Ad esempio se l’R0 di una malattia X è 2, significa che
in media un singolo malato infetterà due persone. Naturalmente,
maggiore è il valore di R0 e più elevato è il rischio
di diffusione di una patologia infettiva; se invece il valore
di R0 fosse ricondotto ad un valore inferiore ad 1 significa
che l’epidemia può essere contenuta. Per l’influenza questo
numero è stimato pari a 1,3 circa, mentre per il SARS CoV2
tra 2 e 2,5 anche se nelle fasi iniziali è stato stimato un valore
più alto tra 3 e 5. Un altro importante punto di differenza da
considerare è la velocità di trasmissione. L’influenza ha un
periodo di incubazione, cioè il tempo dal contagio alla comparsa
dei sintomi, più breve rispetto a COVID-19: 1-4 giorni
per l’influenza e fra 2 e 11 giorni, fino ad un massimo di 14
giorni per COVID-19. Anche il tempo che intercorre tra i
casi successivi (che si chiama intervallo seriale) è più breve
per l’influenza (3 giorni) che per SARS CoV2 (5-6 giorni).
Ciò significa che l’influenza può diffondersi più velocemente
di SARS CoV2. R0 dipende in realtà da numerosi fattori
tra i quali, ad esempio, il numero dei contatti che una persona
infetta ha con altre persone. Per questo motivo, nella
fase attuale in cui non abbiamo a disposizione un vaccino e
la popolazione è praticamente tutta suscettibile, la
possibilità di ridurre i contatti di una persona infetta »
34 attualità
Le misure restr
per ridurre il picco di i
“con altre persone aiuterebbe a ridurre
R0 ed al contenimento della epidemia.
È quello che si cerca di raggiungere con
il precoce riconoscimento dei casi e dei
contatti ed il loro isolamento e con le
misure di distanziamento fisico: un valore
di R inferiore ad 1 sembrerebbe
al momento raggiunto nel nostro Paese
grazie agli interventi effettuati. Può
però risalire se si ritornasse alle condizioni
iniziali.»
Sempre relativamente al Sars CoV2,
il suo tasso di mortalità diretta –
come, cioè, causa del decesso e non
come causa concomitante – è alto o
basso rispetto a quanto i vari media
ci comunicano?
«Il virus agisce sia con meccanismi diretti
e, più spesso, indiretti, determinando
risposte anomale nell’organismo
ospite. Certo che i decessi osservati un
po’ in tutti i paesi, compreso il nostro,
sono in gran parte avvenuti in persone
che presentavano altre malattie preesistenti
o un’età avanzata; il virus ha in
questi casi certamente svolto un’azione
precipitante. Vorrei però precisare alcuni
concetti. Per tasso di mortalità si
intende la proporzione tra il numero di
morti per una malattia e la popolazione
suscettibile in un dato periodo, che per
un nuovo virus è evidentemente tutta la
popolazione. Iniziano ad essere disponibili
i dati dell’ISTAT che dimostrano
un eccesso di mortalità rispetto a quanto
atteso ed osservato negli anni precedenti
nello stesso periodo di tempo
proprio in questi mesi di pandemia da
SARS CoV 2. La letalità di una malattia
si misura invece come proporzione
(o tasso) tra numero di decessi per una
determinata malattia (numeratore) sul
totale delle persone che hanno la stessa
malattia (denominatore), in un determinato
periodo di tempo. Giornalmente
la Protezione civile comunica il
numero dei decessi osservati sul totale
selle persone che sono risultate positive
al tampone dall’inizio dell’epidemia.
La elevata letalità calcolata con questa
modalità, circa il 12%, è quindi motivo
di ampio dibattito anche scientifico.
Tra le cause identificate ha certamente
importanza la struttura demografica
del nostro Paese, caratterizzata da una
elevata numerosità della popolazione di
età avanzata. Altri fattori però possono
spiegare almeno in parte questo dato,
che ci diversifica da altri paesi anche
europei. In primo luogo la numerosità
delle persone sottoposte a tampone diagnostico
e la loro selezione in quanto
sintomatiche e spesso più gravi. Questo
ha comportato probabilmente che solo
parte delle persone realmente infette sia
stata identificata, aggravando il tasso di
letalità. Gli studi futuri di popolazione,
soprattutto con test sierologici validati,
analizzando estesamente la diffusione
dell’infezione potranno fornire dati più
attendibili sul quale calcolare la letalità.»
Per quel poco che ne so io, le misure
restrittive in caso di pandemie vengono
applicate sulle persone infettate
e sui soggetti a rischio – per età o
altre patologie. Come mai, in questo
caso, si è deciso di rendere valide le
restrizioni anche per i soggetti sani
– cioè non infettati? Lei le condivide
o avrebbe agito diversamente?
«Le condivido in gran parte. Le indicazioni
“restrittive” fanno parte delle
cosiddette misure non-farmacologiche,
cioè quelle che non prevedono l’utilizzo
di farmaci e/o vaccini, mirate a
rallentare e mitigare la diffusione di un
nuovo virus nella popolazione. Le misure
non-farmacologiche sono utilizzate
per ridurre il picco di intensità di una
epidemia con un elevato numero di casi
concentrati in un breve periodo di tempo,
per guadagnare tempo per lo sviluppo
di farmaci o vaccini e per preservare
l’efficienza del sistema sanitario:
ridurre il numero di persone che “nello
stesso periodo” necessitano di ospedalizzazione
o di terapia intensiva al fine
di non oltrepassare la soglia di capacità
del sistema. Esse rappresentano un
ben noto strumento negli interventi di
sanità pubblica, soprattutto nelle fasi di
contenimento di una epidemia o pandemia,
ed includono in parte sostanziale
il pronto riconoscimento dei casi ed
il loro isolamento, così come l’indagine
per l’identificazione dei contatti dei casi
e le misure di quarantena o perlomeno
di sorveglianza nei loro confronti. Ancora,
le limitazioni dei viaggi e le chiusure
delle frontiere così come le ormai
ben note misure di distanziamento
sociale e fisico. La scelta di istituirle in
Italia, nel loro insieme, così come nella
maggior parte dei paesi coinvolti dalla
pandemia da SARS CoV2, si è resa
quindi necessaria soprattutto nella prima
fase caratterizzata dalla mancanza
di conoscenze certe su questo nuovo
virus. D’altronde di fronte ad una pandemia
da un nuovo virus, tutta la popolazione
risulta suscettibile e se da un
lato, fortunatamente, la maggior parte
delle persone contrae un’infezione da
SARS Cov2 non grave, è altrettanto importante
limitare l’impatto sulle strutture
sanitarie delle forme che necessitano
di ricovero, come purtroppo è avvenu-
35
ittive sono necessarie
ntensità dell’epidemia
to nel nostro Paese prima che le misure
“restrittive” potessero avere effetto: i
dati hanno dimostrano una numerosità
non indifferente di casi di COVID-19
anche in persone “non a rischio” per
età avanzata o altra patologia. Certamente
le misure restrittive non rappresentano
le uniche da utilizzare ed arriva
il momento in cui è necessario trovare
un equilibrio tra le restrizioni e le graduale
ripresa delle attività produttive,
lavorative e di vita: la cosiddetta fase 2
di cui si sta discutendo in questi giorni.
Al momento non si può escludere però
che si rendano necessarie ri-attivazioni
“intermittenti” delle misure di distanziamento
sociale di durata da definire
sulla base dell’intensità di diffusione del
momento.»
Chi contrae il Sars CoV2 può correre
il rischio di una recidiva? Di
contrarlo nuovamente e con eguale
intensità?
«Non lo sappiamo con certezza. Ci
sono segnalazioni, non verificate, di
casi di persone che ritenute guarite da
COVID-19 si sarebbero ammalate di
nuovo, non si sa se per reinfezione o
recidiva. In definitiva sappiamo molto
poco circa la risposta immunitaria contro
il virus ed anche per questo dato si
dovrà attendere evidenze più certe.»
Gli asintomatici puri, come Lei ha
affermato in una recente intervista,
se ho ben compreso non sono
contagiosi per gli altri, perché non
emettono le goccioline causa di trasmissione
del virus in quanto non
hanno sintomi. Supponiamo che vi
sia un soggetto falso asintomatico,
che cioè risulti da apposito test abbia
già avuto il Sars CoV2 ma privo
di sintomi in quanto il suo sistema
immunitario lo ha debellato, questa
persona può essere contagiosa oppure
no avendo sviluppato le immunoglobuline?
«È ormai accertato che soggetti asintomatici,
o più spesso con sintomi molto
lievi e generici, albergano il virus; non
altrettanto dimostrato è il livello della
loro contagiosità rispetto alla fase
sintomatica. Ciononostante anche per
loro, quando individuati, valgono le indicazioni
di isolamento previste per ridurre
la trasmissione dell’infezione. Per
quanto riguarda il caso da lei descritto,
è probabile che una persona che ha
eliminato il virus (negativo al tampone)
ed ha sviluppato immunoglobuline
specifiche, cioè anticorpi, non sia contagioso.
Purtroppo però le metodiche
attualmente disponibili sia per la ricerca
del virus che per quella delle immunoglobuline
non sono perfette e, ancora
una volta, le conoscenze su questa infezione
non sono ancora tali da avere
certezze assolute a riguardo.»
Se, come da più parti si dice, è già
disponibile un vaccino per il Sars
CoV2 – benché in via di sperimentazione
-, può esso rappresentare la
soluzione definitiva alla diffusione
di questo virus? Glielo chiedo perché
i virus ad RNA – come è il Sars
CoV2 -, per quel poco che ne so,
sono estremamente soggetti a mutazione
genetica e quindi, proprio
per questo, un vaccino efficace potrebbe
non trovarsi.
«Certamente un vaccino rappresenterebbe,
se efficace, un’arma risolutiva.
Anche il virus dell’influenza, ugualmente
ad RNA, muta pressoché di continuo,
di anno in anno e anche nello stesso
anno nel suo passaggio da un emisfero
all’altro. Per questo motivo ogni anno la
composizione del vaccino è aggiornata
per adattare la sua produzione al virus
parzialmente mutato e ci si deve rivaccinare.
Per lo stesso motivo l’efficacia
del vaccino antinfluenzale non è assoluta
ma, anche se parziale, significativa.
Anche il morbillo è un virus a RNA ma
la vaccinazione antimorbillo ha un’efficacia
certamente più stabile e duratura.
Non sarei così pessimista. Le migliori
aziende e i migliori professionisti sono
impegnati sulla ricerca di un vaccino
e di una componente comunque stabile
del virus per superare eventuali
problemi di mutazioni, che peraltro al
momento non sono emerse in maniera
significativa.»
L’utilizzo del Tocilizumab, o della
clorochina, o del plasma dei soggetti
affetti da Sars CoV2 ma guariti,
rappresentano già dei protocolli di
cura efficaci oppure no?
«Al momento sono tutti farmaci in fase
di valutazione. Per raggiungere risultati
certi è necessario seguire il percorso
della ricerca clinica accelerandone
le componenti regolatorie quanto più
possibile. Questo è peraltro quanto
l’Agenzia Italiana Farmaco sta coordinando
nel nostro Paese.»
Quale prevede sia l’evoluzione futura
del Sars CoV2: potrebbe finire
come la prima SARS, o come
la MERS oppure come l’influenza
aviaria? E potrebbe nel prossimo
futuro – da ottobre di
quest’anno per intenderci – »
36 attualità
causare semplicemente un raffreddore
e nulla di più?
«È troppo presto per dirlo. I virus a cui
ha fatto riferimento sono “semplicemente”
virus diversi da SARS CoV 2.
Il coronavirus della SARS si è probabilmente
rintanato nel suo habitat originario,
mentre quello della MERS è
tutt’ora presente senza aver dimostrato,
per fortuna, capacità epidemiche o
pandemiche. I vari virus dell’influenza
aviaria anche essi sono tutt’altro che
scomparsi, ma fortunatamente non
hanno acquisito un’efficiente capacità
di trasmissione da uomo a uomo. In
assenza di interventi farmacologici,
i fattori in gioco sono diversi e per la
maggior parte non ancora noti. Non
sono un indovino e ritengo che di
fronte ad un nuovo virus bisogna avere
la pazienza e direi la tenacia di cercare
evidenze solide prima di avventurarsi
in previsioni.»
Le calde temperature estive costituiscono
un anti Sars CoV2 naturale?
«In generale l’incidenza di malattie
dovute a virus respiratori ha una certa
stagionalità e diminuisce nelle stagioni
calde. Questo ha molte ragioni e solo
in parte è dovuto a caratteristiche proprie
dello specifico virus. Ad esempio,
un’intensa diffusione nel periodo autunnale
e invernale riduce il numero
di persone più suscettibili che possono
infettarsi nella primavera/estate,
comportando un minor numero di
casi. Ancora, un’eventuale riduzione
nel periodo estivo è in parte ascrivibile
ai diversi comportamenti più o meno
favorevoli alla diffusione interumana,
per esempio passare meno tempo in
luoghi chiusi. Certo che i dati finora
disponibili non permettono però di
affermare che questa riduzione sarà
valida anche per SARS CoV 2, che si è
diffuso anche nei paesi che stanno attraversando
la stagione estiva quali Australia
o Iran. Il suo “cugino” MERS è
diffuso in paesi sostanzialmente a clima
temperato/caldo. Purtroppo anche
in questo caso dobbiamo accettare
che non conosciamo la stagionalità di
SARS CoV 2 semplicemente perché
questa è la sua prima stagione; ritengo
veramente poco probabile che “scompaia”
in estate. Inoltre, in considerazione
della ancora ampia suscettibilità
della popolazione, un’eventuale parziale
riduzione della efficienza di trasmissione
nel periodo estivo potrebbe
non portare a una riduzione significativa
della numerosità dei casi senza la
concomitante adozione dei principali
interventi di precauzione e prevenzione.
Infine, una temporanea riduzione
“naturale” nel periodo estivo non ci
garantisce affatto da una seconda ondata
nel periodo autunnale/invernale.»
(Nota di redazione - L’intervista
con il Prof. Puro si è svolta via email
e comprendeva ulteriori tre domande
a cui non è stata data risposta. Le
riporto qui di seguito:
1) Lei condivide le cifre che, ogni giorno,
vengono comunicate nel bollettino
della Protezione civile? Perché è uscito
un articolo di recente – https://www.
affaritaliani.it/cronache/coronavirus-numeri-inattendibili-si-e-vi-dimostriamo-perche-665108.html
– che ha mostrato l’inesattezza dei numeri
dati quotidianamente. In base alla
sua esperienza diretta, cosa ha da dirci
in proposito?
2) Si parla di fase 2 a partire dal prossimo
maggio. Al di là di quello che vien detto,
lei come la organizzerebbe questa fase e
quanto prevede sia la sua durata?
3) Al di là del terrorismo praticato da
giornali e media vari, si può star tranquilli
e tornare a vivere normalmente?).
sull’econom
38 attualità
Gli effetti del
Scenari, prospet
39
Coronavirus
ia italiana
tive, riflessioni
40 attualità
Nel contesto della più profonda
recessione globale dalla
seconda guerra mondiale, l’Italia
rischia, oggi, di essere tra i paesi
più colpiti a causa della natura della sua
struttura produttiva caratterizzata dai
settori dei servizi e del turismo che si
connotano, in particolare, da piccole e
medie imprese. Se a ciò si aggiunge uno
storico e mostruoso debito pubblico il
quadro si presenta in tutta la sua problematicità.
Nonostante ciò gli esperti sono, giustamente,
convinti, che nessun paese,
anche in condizioni migliori delle nostre,
sarà in grado di superare da solo
l’attuale crisi internazionale provocata
dal COVID 19.
In questo contesto, molto acutamente,
Prometeia prevede la necessità di
un piano forte e tempestivo a livello
europeo, per far fronte all’emergenza
e rilanciare l’attività economica, non
solo dal punto di vista finanziario, ma
di Enrico Matteo Ponti
anche in termini di crescita reale. Dopo
la crisi finanziaria del 2008, l’Italia ha
visto rallentarsi pesantemente il proprio
trend positivo senza più riuscire a
riprendersi completamente. Ne deriva,
fra l’altro, che l’attuale crisi porterà l’Italia
a perdere un’altra fetta significativa
di crescita con la conseguenza che,
in futuro, potrebbe essere in grado di
recuperare solo parzialmente ciò che
andrà perso nel 2020.
Supponendo un allentamento soft e
selettivo del blocco a partire dall’inizio
di maggio, Prometeia prevede, inoltre,
una contrazione del PIL italiano nel
2020 del 6,5% seguito da un parziale
rimbalzo verso l’autunno che potrebbe
sostanziarsi in un aumento del 3,3% nel
2021 e dell1,2% nel 2022.
Anche se le politiche monetarie della
BCE riusciranno ad allentare le tensioni
sui titoli italiani a breve termine,
l’intervento fiscale del governo potrà
fornire solo un supporto limitato
alla domanda; entro la fine del 2020 il
rapporto disavanzo / PIL avrà, molto
probabilmente, raggiunto il 6,6% ed il
rapporto debito / PIL sarà del 150%.
A medio termine, l’Italia dovrà, presumibilmente,
vivere con un livello di deficit
elevato con un ritorno al di sotto
della soglia del 3% solo nel 2022.
Il tutto, infatti, sconterà, anche, il fatto
che nel 2020 la crescita del PIL globale
sarà solo dell’1,6%, anche a causa
del -9,4% degli scambi internazionali
di merci mentre, auspicabilmente, nel
2021 e nel 2022, la crescita globale potrebbe
attestarsi ad aumenti rispettivamente
del 4,6% e del 3,3%.
È di tutta evidenza, però, che il mantenimento
della stabilità macroeconomica
nella zona euro (PIL 2020 -5,1%;
PIL 2021 + 3,4%), non solo in Italia,
richiederà risposte forti e coordinate a
livello dell’UE.
Risposte che dovrebbero includere il
finanziamento di maggiori spese con
41
emissioni obbligazionarie europee e la
creazione di un asset sicuro, che potrebbe
anche facilitare la diversificazione
del rischio a livello europeo.
Andrà, in ogni caso, tenuto sotto attenta
osservazione il colosso cinese il cui
PIL pur se dovesse scendere del 6,7%
nel primo trimestre 2020, ripartirà con
un aumento medio annuo del 3,2% basato
sulla prevista ripresa nella seconda
parte dell’anno.
Altro osservato speciale dovranno essere
gli Stati Uniti il cui PIL, anche se
fa intravedere, oggi, una diminuzione
del 2,5%, nel 2020, aumenterà, grazie al
grande piano di stimolo economico, del
3,6% nel 2021. Piano che ricomprende
un pacchetto di aiuti senza precedenti
del valore di $ 2.000 miliardi (il 9,3%
del reddito nazionale, più dell’intero
PIL italiano) per aiutare le imprese e le
famiglie.
L’Italia è tra i paesi più fragili:
perché è necessario un piano europeo
Nello scenario di base, ipotizzando
un lento e selezionato allentamento
del blocco dall’inizio di maggio, come
detto, il calo del PIL italiano nel 2020
sarà almeno del 6,5%, un’entità equivalente
alla recessione del 2008-2009,
ma aggregata in un solo anno. Prometeia
stima che, nei primi due trimestri
dell’anno, ci sarà una riduzione del PIL
di oltre il 10% rispetto alla situazione
pre-crisi, con differenze settoriali molto
grandi: dal -10% nella produzione al
-27% in servizi legati al turismo e fino
al -16% nei servizi di trasporto e nelle
attività di intrattenimento
Le sostanziali misure fiscali già annunciate
(che ammontano finora, e solo
per quest’anno, ad oltre il 2% del PIL),
scontano, purtroppo, l’elevato debito
pubblico, la profondità della recessione
e la lenta ripresa la cui somma indebolirà
ulteriormente sia la capacità
produttiva del Paese sia le finanze pubbliche.
Nello scenario di base di Prometeia,
come abbiamo già visto, il livello del
PIL italiano nel 2022 sarà ancora di oltre
il 2% inferiore al livello del 2019,
con il debito sovrano che salirà al 150%
del PIL.
In questo contesto, la stabilità macroeconomica
potrà essere garantita solo
in un quadro di maggiore condivisione
del rischio a livello europeo a causa
della crisi sanitaria e dei suoi molteplici
effetti che non hanno ancora integralmente
dispiegato e fatto emergere tutte
le loro negatività.
La natura simmetrica ed esogena dello
shock, richiederà, non ci stancheremo
mai di ripeterlo, una risposta comune
sia per far fronte all’aumento della spesa
legata ai bisogni immediati sia per
sostenere la ripresa dell’economia reale.
Nessun paese è, né sarà in futuro, in
grado di affrontare questa crisi da solo.
Soltanto il finanziamento di queste spese
con emissioni obbligazionarie europee
ridurrebbe l’onere per i bilanci nazionali
e costituirebbe un passo verso
la creazione di un benessere europeo
sicuro che in grado di aiutare i sistemi
finanziari a diversificare il rischio. Se
non prendiamo questa strada, l’intero
progetto europeo sarà a rischio.
Shock reale, recessione globale
Mentre la crisi di dieci anni fa scoppiò
nel settore finanziario, la natura dello
shock di oggi è reale in quanto diretta
conseguenza del blocco e della quarantena.
In questa prima fase vengono,
quindi, colpiti in particolare i servizi,
che rappresentano la maggiore quota
di valore aggiunto nei paesi sviluppati,
con una quota maggiore di occupazione
rispetto alla produzione e dove le
vendite perse sono più difficili da recuperare.
La natura reale e globale di una
crisi che colpisce i servizi porta innanzitutto
ad alti effetti moltiplicatori legati
al commercio internazionale, rendendo
particolarmente intense le riduzioni
delle attività.
Nonostante tutte le incertezze legate
alla durata e all’intensità del blocco e
alle successive reazioni dei paesi che
tentano di riprendersi, Prometeia stima
una recessione economica globale
nel 2020 (-1,6%), che influenzerà quelli
industrializzati e altri paesi, con la sola
eccezione della Cina che evita una flessione
grazie al rimbalzo positivo atteso
nella seconda metà dell’anno.
Per fare un confronto, nella
Grande recessione del 2009, il »
42 beni culturali
calo delle attività globali è stato dello
0,4%. La spinta dalla ripresa di Pechino
e un ritorno atteso alla “quasi normalità”
entro la fine dell’anno in tutti i
paesi industrializzati porta a prevedere
un calo del commercio mondiale del
“solo” 9,4% per il 2020.
Anche se ne 2021, l’economia globale
dovesse “rimbalzare” del 4,6%, le nostre
preoccupazioni derivano dal fatto
che tale percentuale non sarà, purtroppo,
spalmata in maniera omogenea, incrementando,
così, le differenze già in
essere.
Prime stime sull’impatto del coronavirus
sull’economia mondiale e
sull’export italiano
Il fatto che l’emergenza da coronavirus
si sia abbattuta sul sistema produttivo
mondiale in maniera improvvisa e diffusa,
ha determinato un doppio shock
negativo: dal lato della domanda, con il
rinvio delle decisioni di spesa da parte
dei consumatori, la chiusura di numerose
attività commerciali e l’azzeramento
dei flussi turistici; dal lato dell’offerta,
con il blocco di numerose attività produttive.
Questa combinazione di fattori
è, quindi, e purtroppo, destinata ad
incidere negativamente sull’economia
italiana e sull’export in particolare, per
una durata inevitabilmente correlata ai
tempi di uscita dall’emergenza.
Le stime al ribasso per l’anno in corso
da parte dei principali istituti internazionali
sono associate al progredire dei
diversi stadi di emergenza epidemiologica.
Da cui, secondo le stime di ieri del
FMI, l’economia mondiale si contrarrà
bruscamente del 3%: un andamento
peggiore di quello osservato durante
la crisi finanziaria del 2008–09. Prevedendo,
ancora non è chiaro quanto ottimisticamente,
che la pandemia allenterà
la sua morsa nella seconda metà di
quest’anno, il FMI ipotizza una crescita
intorno al 5.8 % nel 2021 anche a fronte
dell’intervento economico che stavolta
è stato molto più veloce di quanto
registrato a fronte della crisi finanziaria
del 2008/20029. In ogni caso il FMI
indica come necessari interventi politici
di natura fiscale, monetaria e finanziaria
mirati per settori dal momento che
lo shock è stato sentito in certi settori
come particolarmente acuto.
Sul piano dell’occupazione e degli investimenti
– come segnalato dalla nostra
Rappresentanza Permanente a Ginevra
– l’Organizzazione Internazionale del
Lavoro stima una perdita di 195 milioni
di posti di lavoro a tempo pieno nel
solo secondo trimestre del 2020, che
interesserà prevalentemente i paesi a
reddito medio-alto e il settore terziario.
L’UNCTAD, invece, ha stimato una
diminuzione degli investimenti diretti
esteri dal 30 al 40% nel biennio 2020-
2021 ed una notevole perdita per le
multinazionali del settore energetico,
del comparto automobilistico e del trasporto
aereo.
Per l’Italia, il rapporto primaverile di
Confindustria prevede un calo del PIL
di 6 punti percentuali, nell’ipotesi che
la fase acuta dell’emergenza sanitaria
termini nel mese di maggio. Ogni settimana
in più di blocco normativo delle
attività produttive, secondo i parametri
attuali, potrebbe costare circa lo 0,75%
di PIL. Il Centro Studi di Confindustria
prevede anche una diminuzione della
produzione industriale nel primo trimestre
2020 del 5,4% (flessione maggiore
dal 2009), con un picco negativo
a marzo (-16,6%), che, se confermato
dall’ISTAT, rappresenterebbe il più alto
calo mensile dal 1960.
Inoltre, tenuto conto della forte integrazione
dell’Italia nelle catene globali
del valore, il nostro export sarà colpito
da un calo generale dell’attività economica
(-5,1% nel 2020), particolarmente
forte nei principali mercati di destinazione
dei prodotti italiani, ed i nostri
esportatori saranno più penalizzati da
difficoltà produttive e logistiche. Di
conseguenza, l’export dovrebbe diminuire
più della media mondiale (circa
-2,5% nel 2020).
Altre Considerazioni da Centro Studi
Confindustria riguardano gli impatti
negativi sulla spesa privata, per la quale
si registra una contrazione del 6,8%,
con particolare impatto negativo sul
settore dell’abbigliamento, dei trasporti,
dei servizi ricreativi, della cultura e
della ristorazione.
Ma sono soprattutto le piccole e medie
imprese, che costituiscono il tessuto
connettivo della nostra economia, ad
essere le più esposte manifestando le
maggiori difficoltà a fronteggiare i disagi.
Nello specifico si evidenzia che il settore
del Turismo e quello del Trasporto
Passeggeri lamentano l’ammanco già
registrato che avrà ripercussioni sui risultati
economici dell’intero anno. Non
mancano, poi, gravi preoccupazioni
anche nel Settore Moda, i cui disagi derivano
principalmente dall’annullamento
degli eventi fieristici, oltre che dal
rapporto con i fornitori ed il mancato
ritiro delle merci. Stesse problematiche
valgono per gli operatori del settore
Servizi alla persona.
L’Agroalimentare, infine, lamenta il
parziale, se non addirittura il totale, arresto
delle attività di produzione.
Complessivamente, il 53,1% delle imprese
stima una contrazione dei ricavi
per il 2020. Tale contrazione potrebbe
interessare il 70% dei due settori del
trasposto passeggeri e del turismo. Altri
settori potrebbero avere perdite più
contenute.
Un altro effetto negativo che l’emergenza
da Coronavirus sta provocando
è quello che investe l’occupazione. Il
15,1% delle aziende ha dovuto registrare
un aumento dell’assenza dei dipendenti.
Molte di loro hanno adottato
delle contromisure adottando forme
di smart working, strada non praticabile
per tutti i settori (trasporti, servizi
alla persona, ecc). Dall’indagine emerge
inoltre che se lo stato di emergenza
dovesse perdurare, si renderebbe necessario
ricorrere ad ulteriori e massicci
ammortizzatori sociali con ricadute sul
bilancio dello Stato. A dichiararlo è il
67,9% degli intervistati, ed è un problema
sentito soprattutto dalle aziende
manifatturiere del settore moda con
una percentuale di circa il 74% delle
aziende. Il problema è stato messo in
luce anche dalle imprese del Trasporto
passeggeri, Manifattura meccanica ed
Agroalimentare.
Analizzando più in dettaglio le difficoltà,
settore per settore si può evidenziare
che:
il Turismo costituisce l’ambito più col-
pito dall’emergenza per via della disdetta
di viaggi e pernottamenti. Prima
ancora del lock down, le aziende lamentavano
una percentuale di cancellazione
di prenotazioni non inferiore
all’80%, in alcuni casi arrivando a raggiunger
il 100%.
il settore del Trasporto merci così come
quello del trasporto delle persone registra
disagi per carico e scarico, dovuta
anche all’istituzione di “zone rosse”,
lungaggini burocratiche per la presentazione
della documentazione atta mostrare
la salute dei prodotti, controlli
sui conducenti (temperatura corporea),
divieto di ingresso delle persone fisiche
in molti Paesi, riduzione delle corse del
trasporto urbano.
Inoltre, lo studio riporta i disagi manifestati
dagli addetti alla Manifattura
meccanica (arresto o riduzione della
produzione legata a problemi logistici,
congestione dei magazzini, problemi di
gestione del personale),
Moda (perdite stimate nella misura del
15%, dovute soprattutto alla cancellazione
di eventi fieristici, crollo degli
ordini),
Servizi alla persona (è un lavoro che
richiede un contatto ravvicinato), oltre
al mancato recapito dei prodotti, la
sospensione degli appuntamenti con i
rappresentanti, etc.
Agroalimentare (contrazione della domanda),
Costruzioni (impossibilità di
accedere ai cantieri siti nelle zone rosse
rinvio dell’inizio dei lavori a data da destinarsi,
cancellazione di eventi fieristici
ha provocato problemi alle aziende che
operano nel settore dell’allestimento),
Servizi alle imprese (impossibilità di
raggiungere il committente).
Un quadro, questo che abbiamo tracciato,
che non deve farci arrendere ma
che impone, come affermato anche dal
Presidente Mattarella, quell’unità di intenti
che portò l’Italia fuori dai disastri
della seconda guerra mondiale.
I responsabili a tutti i livelli, parlino
meno e si coordino di più.
Chi spera di governare domani operi in
questa direzione, altrimenti…
Fonti: Prometeia, Economic Outlook FMI,
Osservatorio Commercio Internazionale
MAECI, Centro Studi Confindustria
43
44 beni culturali
Il professor GI
«Il Sars CoV2 si comp
i Coronavirus influen
Col caldo sarebbe me
di Pierluigi Pietricola
intervista del 13 maggio 2020
Coronavirus: è cambiato ed è
meno aggressivo di prima. Ma
quali sono i presupposti scientifici
di questa affermazione? Le mascherine:
quando è giusto indossarle e in che
modo? Ed è legittimo che la scienza
invada la sfera individuale delle persone,
cercando di dettare norme di comportamento
che esulano da un contesto
propriamente scientifico?
A far luce su questi e molti altri argomenti
ci aiuta il Prof. Giulio Tarro, virologo
illustre, di fama mondiale, candidato
al Premio Nobel per la medicina.
Prof. Tarro, partiamo da alcune
considerazioni relative all’evoluzione
del Sars CoV2. Parte del mondo
scientifico sostiene che il virus
sta cambiando, nel senso che pian
piano sta perdendo la sua carica virale;
un’altra parte, invece, afferma
il contrario. Qual è, secondo lei, la
verità?
«Io dico che la verità sta nel mezzo,
come dicevano gli antichi. Mi spiego
meglio. Questo virus non è che una
particella da considerarsi come parte di
una più ampia popolazione scientificamente
classificata: coronavirus. Questa
popolazione è soggetta a variabilità. Dal
punto di vista di un’epidemia, vanno
considerati tanti aspetti, alcuni dei quali
non correlati al soggetto contagiato. Per
esempio: i fattori climatici. Io presumo
che, in questo momento, non vi è né
una riduzione né un aumento dell’aggressività.
Ci troviamo nella normalità
di un’epidemia da coronavirus, famiglia
a cui il Sars CoV2 appartiene, e che ha
un suo inizio, un suo momento di picco,
una decrescita ed una fine.»
Quindi questo virus ha una vita indipendentemente
da noi?
«Esattamente. Non a caso uno studio
israeliano, pubblicato non più tardi di
un mese fa, diceva che, come gran parte
L’illustre virologo,
«Ci troviamo nella
inizio, un momento
45
ULIO Tarro:
orterà come tutti
zali. Le mascherine?
glio gettarle via»
dei coronavirus respiratori, anche il Sars
CoV2 ha una durata più o meno di 70
giorni. Non dobbiamo mai dimenticare
che ci troviamo di fronte a un coronavirus.
Se avessimo avuto a che fare con
il virus dell’epatite, tanto per fare un
esempio, le cose sarebbero state certamente
diverse.
Perché allora tutti ci mettono sull’attenti,
avvisandoci che se non adottiamo
le misure di distanziamento
sociale e le relative precauzioni e
protezioni la curva dei contagi potrebbe
di nuovo salire?
«Noi siamo pieni di studiosi che tracciano
teorie. Ma queste teorie non tengono
conto del fatto che il Sars CoV2 fa
parte della popolazione virale dei coronavirus.
E come tale si comporta, con
un inizio ed una fine. Queste persone
che fanno previsioni anche sull’ipotesi
di una seconda ondata, sono le stesse
che dicevano che in Germania, dopo
appena due giorni dall’inizio della fase
2, il valore R0 era di nuovo salito a 1.
Cosa non vera, perché due giorni non
bastano per osservare una incremento
del valore di riproducibilità virale
di cui stiamo parlando.
candidato al Nobel per la medicina:
normalità di un’epidemia. Ha un suo
di picco, una decrescita e una fine» »
46 beni culturali
In questi giorni, però, il valore R0 in
Germania è salito a 1,1.
«Sì, ma significa che un infettato può
contagiare un’altra persona in caso vi
siano stati contatti fra i due. Oppure
se l’infettato ha avuto contatti con più
persone, può averle contagiate tutte.
Questo valore R0 ha una validità sensibile
nel momento in cui la fase epidemica
è al massimo della sua diffusione.
Quando ci si trova in un momento di
decrescita, come in Italia o in Germania,
le cose non vanno più considerate
in modo così grave e pessimistico. Anche
perché, allora, cosa dovrebbero dire
in Svezia o in Danimarca?»
Ci sarà, secondo lei, una seconda ondata
nel prossimo Autunno? E nel caso
dovesse accadere, come sarà?
«Trattandosi di un coronavirus, il suo
comportamento è soggetto a quelli della
sua popolazione virale. Quindi non
credo che una seconda ondata ci sarà.
O presumibilmente, se ci dovesse essere,
troverà molta parte della popolazione
già immunizzata e quindi un terreno
che non gli sarà favorevole. Come ho
più volte detto, il Sars CoV2 o scomparirà
come già avvenuto per la prima
SARS, oppure si regionalizzerà causando
un raffreddore o un’influenza stagionale.
Lo ripeto: il Sars CoV2 fa parte
della popolazione virale dei coronavirus,
e come tale si comporta.»
Qual è il giusto valore di IgG che
bisogna avere per il Sars CoV2 per
considerarsi guariti?
«Ancora non lo sappiamo. Per saperlo
bisognerebbe dare il via ad un’analisi
epidemiologica che ancora non c’è né
si sa quando inizierà. Bisogna fare i test
sierologici a gran parte della popolazione
per arrivare a capire i valori giusti di
IgG per il Sars CoV2.»
La mascherina: è giusto indossarla
sempre, o solo in luoghi chiusi o
particolarmente affollati?
La mascherina andrebbe usata solo
quando, nella fase in cui ci troviamo,
non c’è la possibilità di osservare la
distanza minima di un metro e se ci si
trova con persone non conosciute. Altrimenti
non va usata, specialmente in
luoghi all’aperto.»
Le mascherine possono diventare,
con il caldo, causa di infezioni varie?
«Le mascherine non sono il massimo
dell’igiene. Io starei attento nel loro uso,
nel loro riuso e nel loro abuso. Quando
arriverà il caldo, sarà bene gettarle via.
Non ultimo perché all’inizio di questa
pandemia, l’Iss ci diceva che le mascherine
avrebbero dovuto usarle solo gli
operatori sanitari e gli infettati. Adesso
la regola è cambiata perché noi siamo
diventati produttori diretti di mascherine.
A luglio o agosto non serviranno
più.»
Non vi è ancora in corso un’indagine
epidemiologica nazionale. Ciò
non esclude che chi è guarito e ha
sviluppato gli anticorpi IgG non
solo non è più contagiabile, ma non
è neppure infettivo per gli altri. È
giusto, secondo lei, che anche chi
ha sviluppato le IgG vada considerato,
ad oggi, alla stregua di un potenziale
contagiante perché lo Stato
non ha avviato un’indagine epidemiologica
su scala nazionale?
«Io penso che non sia giusto. È del tutto
sbagliato. Un poverino che ha fatto la
malattia, che ha avuto i tamponi prima
positivi e poi negativi e che poi ha fatto
gli esami del sangue per capire se ha le
IgG non vedo perché non possa essere
ritenuto guarito. Questo lo trovo illogico,
ma anche poco onesto sul piano
etico e scientifico.»
Noi sentiamo, ogni giorno sempre
più, alcuni esponenti del mondo
scientifico dettare regole di comportamento
sociale, così travalicando
i confini di loro competenza.
È giusto, a suo avviso, che uno
scienziato stabilisca quali debbano
essere le regole di comportamento
nella vita di tutti giorni?
«Io sostituirei la parola scienziato con
quella, a mio avviso più appropriata, di
studioso. Scienziato deriva dall’inglese
scientist, che denota una persona che
studia. Questi studiosi, si fa per dire,
che vediamo ogni giorno in televisione
non sono psicologi. Come fanno,
allora, a stabilire quali regole di vita
sociale noi dobbiamo adottare? Glielo
dico perché io oltre ad essere virologo,
sono uno specialista di malattie nervose
e mentali. Appena laureato, prima
di andare negli Stati Uniti, ho fatto
tantissimi turni di guardia notturna
nel reparto di neurologia. Le lascio,
quindi, immaginare quanto l’aspetto
psicologico contribuisca a un buon
funzionamento del nostro sistema immunitario.»
47
CORONAVIRUS
La parola al prof.
Giulio Tarro,
l’illustre virologo
intervista del 16 marzo 2020
48 l’inchiesta
Prof. Tarro da mesi sentiamo
parlare di questo nuovo Corona
virus. Si tratta di un’influenza
normale, magari più contagiosa,
o ci troviamo di fronte a
qualcosa di più grave e pericoloso?
«Diciamo che si hanno una decina di
famiglie virali che possono dare delle
virosi respiratorie. E stiamo, appunto,
parlando dei corona virus. I quali,
fino al secolo scorso da quando vennero
scoperti, essendo causa di semplici
raffreddori vennero etichettati come
benigni.»
Nel 2002/2003 ci fu quell’episodio
di Sindrome Respiratoria Acuta
Severa, o SARS così come descritta
etimologicamente, che si risolse
nel giro di sei mesi – da Novembre
2002 ad Aprile 2003. Ci furono oltre
ottomila casi di contagio con 774
episodi di mortalità. Stiamo, quindi,
parlando di quasi del 10% sul
totale. A partire da quel momento,
il Corona virus venne etichettato
come qualcosa di serio e perciò non
più benigno.
«Nel 2012 ci fu, nel Medio Oriente, un
altro episodio sempre legato al Corona
virus. Si osservò essere una situazione
a macchia di leopardo e che diede altri
casi nel 2015. Sto parlando della MERS,
la cui percentuale di mortalità fu di un
paziente su tre contagiati. La situazione
venne risolta sia con gli anticorpi delle
persone guarite che con l’utilizzo degli
anticorpi monoclonali umani (un protocollo
di cura simile sul SARS-CoV2
lo stanno mettendo a punto in Olanda
proprio in questi giorni).»
di Pierluigi Pietricola
Il terzo episodio di Corona virus,
non più semplici agenti di raffreddori,
è quello che stiamo vivendo.
Ne sappiamo vita, morte e miracoli
per quanto accaduto in Cina.
Si presume che i primi casi possano
essere cominciati nell’Autunno
2019, successivamente ufficializzati
come polmonite atipica il 31 Dicembre
scorso. Dopo tre settimane
è stato dichiarato il contagio
interumano. E da allora è iniziata
una serie di comunicazioni, sia
dalla Cina che da chi ha cominciato
a studiare l’argomento – gli
Stati Uniti d’America ma anche il
Canada, l’Australia e la Germania
con un test diagnostico approvato
dall’OMS. In sostanza ci troviamo
di fronte a ottantamila casi in Cina
con un finale come quello della
SARS del 2002/2003. Da epidemia
si è deciso di chiamarla pandemia
perché il virus è attualmente presente
in tutti i continenti. Ma si
tratta di una distinzione puramente
semantica che non cambia la sostanza
dei fatti.
«Noi stessi, in Italia, abbiamo visto
che i casi della coppia cinese ricoverata
allo Spallanzani di Roma e quell’unico
paziente che veniva da Wuhan si sono
tutti risolti. Poi tra il 20 e il 22 Febbraio
scorso ci sono stati centinaia di episodi,
in particolare in Lombardia con
un focolaio in Veneto, con percentuali
di morte superiori alla Cina – che si è
fermata al 2%. È però da tenere presente
che qualche giorno fa l’Istituto
Superiore di Sanità ha dichiarato che la
maggior parte dei decessi, esclusi due,
sono avvenuti “con” Corona virus, e
non “da” Corona virus. Ciò che significa
che ci si trova in presenza di altre
patologie che la concomitanza del Corona
virus contribuisce ad aggravare.»
Questo vuol dire che il Corona virus
attuale non è causa diretta di morte?
«Esattamente. Tenga presente che nel
2019 l’influenza ha colpito sei milioni
di italiani e ha causato diecimila decessi.
Sono dati ufficiali.»
«Nel 2012 ci fu u
legato al Coronaviru
a macchia di leopard
nel 2015: la MERS
di mortalità era di
contagiati. La situ
con gli anticorpi dei
monoclona
49
n altro episodio
s. Fu una situazione
o che diede altri casi
, la cui percentuale
un paziente su tre
azione fu risolta
guariti e con quelli
li umani»
Più del Corona virus?
«Certamente! Il problema della situazione
che stiamo vivendo è che è venuta
fuori d’amblée. A ciò si aggiungano
i tagli fatti alla sanità negli anni
precedenti. Lei pensi che dal 1997 al
2015, relativamente ai reparti di terapia
intensiva, si è venuta a creare una situazione
di questo tipo: da 575 posti ogni
centomila abitanti, si è passati ai 275
attuali. C’è stato un taglio scandaloso
del 51%. E questi che le cito sono dati
dell’OMS.»
Trecento in meno!
«Esattamente. È scandalosa questa situazione.
Consideri che quando c’è
stata la notizia dell’epidemia in Cina, le
autorità francesi da un giorno all’altro
hanno raddoppiato i posti di terapia intensiva
nelle strutture ospedaliere. Noi
lo abbiamo fatto? No. Quindi queste
lamentele continue sul fatto che non ci
sono più posti, ora sono fuori luogo. Si
sarebbero potuti creare gli ospedali da
campo, ricorrere alle cliniche private e
via discorrendo. Non è possibile, oggi,
sentire che se ci sono due pazienti affetti
da Corona virus: uno di settant’anni
e l’altro di trenta, il primo può morire
mentre il secondo ha più possibilità di
guarire. Queste sono cose inenarrabili
in un paese civile.»
Bisogna avere paura del Corona virus?
«In che senso? Chiariamoci bene. Noi
non dobbiamo mai dimenticare che
abbiamo sotto gli occhi l’esperienza cinese,
la quale testimonia che su ottantamila
casi il 99% delle persone contagiate
hanno risolto la malattia e adesso
stanno bene. Questo vuol dire che se
noi prendiamo il totale dei contagiati
rimane l’1% di coloro che, purtroppo,
non ce l’hanno fatta. Ovviamente
se rapportiamo questi dati a una tipologia
di popolazione anziana, come è
quella italiana, piena di altre patologie
pregresse e acciacchi vari dovuti all’età,
la percentuale di chi non ce la fa può
aumentare. Ma si tratta di valutazioni
che verranno successivamente. Adesso
è impossibile farle.»
Lei è d’accordo con le misure governative
che sono state adottate?
«In sostanza si tratta di mettere le porte
di ferro alla stalla una volta che gli animali
sono scappati. Sono, sicuramente,
misure giuste ma tardive. Le si sarebbero,
però, dovute attuare prima. Non era
sufficiente solo proibire i rientri dalla
Cina senza pensare che dalle altri parti
del mondo – Dubai, Mosca, Francoforte
per esempio – non sarebbero arrivate
persone contagiate. Queste dinamiche,
aggiunte alla situazione sanitaria
in affanno, ci danno l’immagine precisa
di quanto sta accadendo in Italia. Ora
ci troviamo di fronte a un paese blindato,
tutta zona rossa, senza motivazione.
Sarebbe stato necessario, a mio avviso,
un altro approccio. Pensi che negli
Stati Uniti, già a partire dal 2 Febbraio
scorso, è stata ripristinata la quarantena
federale (i quindici giorni di isolamento
cautelativo) per coloro che venivano
dalla Cina o che avevano avuto rapporti
con i cinesi. Questo, naturalmente, non
esclude che il Corona virus sarà anche
lì, ma credo che la situazione non verrà
affrontata nel modo con cui la stiamo
affrontando noi.»
Che ne pensa dell’utilizzo del farmaco
usato per l’artrite reumatoide
– protocollo di cura messo a punto
proprio a Napoli – e che pare stia
dando buoni risultati nel combattere
l’attuale Corona virus?
«Io penso che questo protocollo di cura
possa valere per alcuni casi particolari.
Si tratta di un farmaco da utilizzare con
le pinze perché può causare una serie
di effetti collaterali. Quindi bisogna
procedere con cautela. Gli stessi cinesi
venuti in delegazione in Italia hanno
detto che anche loro lo hanno utilizzato.
Può, a mio avviso, essere usato ma
senza pensare di poter risolvere tutti i
casi in modo univoco.»
after Corona
50 l’inchiesta
An interview with
* American linguist, philosopher,
cognitive scientist, historian,
social critic and political activist
The father of modern linguistics
The future
of the world
51
Noam Chomsky*
virus
52 beni culturali
di Amedeo Ceresa Genet e Pierluigi Pietricola
After Coronavirus, the world
could change. We interviewed
Prof. Noam Chomsky, the
most important and prestigious intellectual,
to have a clear idea of our
future.
Professor Chomsky, in your opinion,
what will the political and
social consequences of this pandemic
be?
«Currently, two forces are contending
for predominance. One is the business
class, which has dominated to
an unusual extent for the last 40 years
and is represented by the neoliberal
ideology both politically and economically.
Their goal is to ensure that, in
the aftermath of the pandemic, there
will be harsher autocratic measures
that favor the wealthy and the corporate
sector.
At the other end, the counterforce
is embodied by the Progressive International
initiated by Bernie Sanders
in the US and Yanis Varoufakis’s
DiEM25 in Europe. They aim to tackle
the effects of global warming and
other severe problems, and, in Europe’s
case, to salvage what is valuable in
the EU and replace their harmful and
destructive forces, dismantling the
oppressive regime and concentration
of wealth.»
What are the causes of this pandemic?
«That is not difficult to figure out. We
are talking about the same factors that
caused the previous pandemic and
will cause the next one, unless overcome.
In 2003 we had the first epidemic
of SARS, which is a Coronavirus.
The drug companies – backed by the
political parties and with massive resources,
labs, and funds – understood
that there would be another one.
However, on that occasion, the real
barrier was capitalism – profit. You
don’t make money by working to produce
a vaccine for some catastrophe
that might happen in ten years and is
used irregularly, unlike something that
happens every day.
The second factor is the savage capitalism
initiated by Reagan and the
Chicago Boys 40 years ago. Their
motto at the time was ‘The government
is the problem, not the solution.’
So we were stuck. The drug companies
couldn’t prepare for a coming
pandemic and the government couldn’t
do it either.
Of course, not all governments support
this doctrine fully. The US cooperated
with China and did some
excellent work identifying the sources
of future prospective pandemics
Also, the source of Coronaviruses is
not so obscure. Most of these viruses
are passed on from bats to other
mammals, which eventually come in
contact with humans. This research
was mainly carried out in the Wuhan
Center of Virology. It is dangerous
work – some get killed.
Trump is a slave of the corporate sector,
waving a false flag of populism.
He canceled these programs and is
now in a campaign to find a scapegoat
for his crimes against America.
The way the president has acted killed
tens of thousands of people, and he
has to cover for it by blaming China.
Every year he has been in office, he
has defunded the Center for Disease
Control (CDC) and other health-related
aspects of government.
On February 10th, with the pandemic
raging, he came up with his Federal
Budget: he called for defunding the
CDC even further while increasing
subsidies for the fossil fuel industries.
This is the mentality typical of savage
53
capitalism.
About a week after symptoms of an
unknown disease appeared in China,
Chinese scientists identified the virus,
sequenced the genome and distributed
it to the world through the World
Health Organization. By mid-January,
every scientist interested knew what
was going on. Some reacted – Australia,
New Zealand, East Asia, Taiwan,
South Korea, and China. They all
have it under substantial control now.
Europe waited, then they acted. Some
more effectively, some less. Way at the
bottom of the barrel is the US.
First of all, the government happens
to be that of a narcissistic sociopath,
interested in nothing but himself. On
top of that, the US is an unusually
business-run society. Even before
Trump, the health system was a catastrophe.
We have twice the cost of
any comparable country with some
of the worst outcomes – highly inefficient,
highly bureaucratized. It was
privatized to provide profits for the
rich. The business model requires
that there be no waste – everything is
cut to the minimum.
The next pandemic could be even
worse because of global warming. We
know how to get ready for it, but somebody
has got to do it.»
Will democracy be in danger, after
this pandemic?
«That depends on the outcome of the
ongoing class war. The gurus of neoliberalism
– such as Ludwig von Mises
and Friedrich Hayek – used to say
that democracy is a bad thing because
it interferes with sound economics.
In their view, Pinochet’s autocratic
state was the perfect experiment for
neoliberalism. There was no opposition.
The torture chambers took care
of that. America had strangled Allende’s
government but now and poured
money onto Chile for the sake of the
neoliberal dream, as did the international
financial institutios. The Chilean
economy depended on the highly
efficient nationalized Copper company
CODELCO. Conditions were
ideal. They crashed the economy in
five years.
Because democracy is considered a
danger, the neoliberal state needs to
crush resistance by all means possible,
including violence. That is what happened
with the repression of the Austrian
labor unions back in the 1920s,
enthusiastically supported by the leading
lights of neoliberalism. Very
much like Pinochet.
When we hear that the US is the beacon
of democracy, we should bear in
mind that the gold standard of scholarship
on the forming of the Constitution
is called ‘The Framer’s Coup.’
That is to say, the coup against the
general public and its demand for democracy.
The American constitution is designed
to undermine the possibility
of democracy itself. James Madison
explained this perfectly. A prime goal
of government is to “protect the opulent
minority against the majority’.
Democracy interferes with this.
The subsequent political history of
the US is largely a battle between these
two forces. The same applies elsewhere,
as and will after the pandemic.»
Do you think the media gave adequate
coverage of this virus?
«The better media did an honest job
reporting the data. In this respect,
The New York Times and the South
China Morning Post come to mind.
However, they never investigated the
causes of the pandemic: a capitalist
catastrophe intensified by neoliberalism
and far right betrayal.
On the other hand, if we consider the
Republican Party, most of its members
won’t even acknowledge the that
these questions exist. Thats that’s what
they hear from FOX News, which is
the echo chamber of the far-right administration
– ‘science is just deceit,’
‘global warming is a hoax,’ ‘stop the
lockdown,’ and so on. This has severe
effects on the entire world.
Trump uses the World He- »
54 beni culturali
alth Organization as a scapegoat to
defund and destroy it eventually. There
is an element of sadism in all this,
and Europeans are too cowardly to
do anything besides sitting in a corner
and saying: ‘We don’t like what you’re
doing.’»
What is your perception of the
pandemic in Italy and Europe?
The pandemic has been very serious,
especially in northern Italy, but just a
few kilometers north of it, there are
rich countries that managed the crisis
successfully. Are there any German
doctors in Italy? They’re Cuban! Cuba
sends doctors. Germany doesn’t help
Italy.
For the last two months, the public’s
attention has been focused
entirely on the Coronavirus. Which
other issues – global warming,
the risk of nuclear war, etc. – have
been developing?
«Global warming is already a problem.
If we do nothing, the polar ice sheets
will melt along with other processes
that will make much of the world
uninhabitable, maybe within the
next 50 years. The narrow climatic
spectrum that is crucial to the survival
of the human species will deteriorate
irreparably. Some countries are
trying to move to sustainable energy.
In contrast, the US is trying to make
it as bad as possible, investing in fossil
fuels, new areas for exploitation, and
cutting back on regulations that might
mitigate the effects of a phenomenon
that is much more dangerous than the
pandemic.
We are racing into the abyss as quickly
as we can.»
Do you think that the relations
between the East and the West will
change?
«The scholarly literature, I think, has
exaggerated the prospects for the
main Eastern countries. The US is, by
far, the most powerful country in the
world. It’s the only one able to impose
sanctions that others must obey. Its
corporations own half the world’s wealth.
No other country will can match
its supply of internal resources – agricultural,
mineral – nor the homogeneity
of its society.
China has had enormous growth but
is still a very poor country. You just
need to take a look at the UN Human
Development Index – you’ll find
it’s ranked about 90th. The country
has huge internal problems – demographic
and ecological issues that are
entirely unknown to the West. Chinese
exports are designed and controlled
by companies like Foxconn in Taiwan
and Apple, but the profit does not stay
in China. Apple then sets up an office
in Ireland and avoids paying taxes.
This is neoliberalism today.
The US can harm itself – and under
Trump, it is doing so, but they still
have a long way to go. It remains the
most powerful of all.»
What mistakes do you believe have
been made in the US, Italy, and
Europe, when dealing with the
pandemic?
«The first mistake was back in 2003
when nobody prepared for the current
pandemic. Now we need to prepare
for the next one.
Secondly, when the information came
out of China – which happened very
quickly – some countries didn’t react.
55
In Italy, there was a huge soccer game.
That, I’m sorry to say, was apparently
one of the sources. The Italian health
system is pretty good, but it was not
prepared for anything like this, because
of the neoliberal cutbacks and austerity.
This is continuing, incidentally.
You may have noticed that, not long
ago, the German constitutional court
ruled that the German banks cannot
adhere to EU regulations. Well, that
might eventually destroy the European
Union. Germany has the big banks
behind it. It has been blocking the efforts
to create Eurobonds to distribute
the costs through Europe.
So, overall, some countries in Europe
have done well, but they’re not helping
others.
When it comes to the US, it’s not even
mistakes – it is criminality. US intelligence
agencies were warning the White
House daily. Trump only looks at
his TV ratings and the stock market,
which, he thinks, will help his election.
Then when all of a sudden, the stock
market plunged, he realized something
had happened.
Now his electoral strategy is to blame
the States and their governments.
When things go wrong, Trump will
say that the wealthy States – especially
those run by the Democrats – are
misusing funds. This gets him some
electoral points. He can claim success
if something happens to go well. Of
course, it’s the Federal government
that has the funds and means.
So you can’t talk about mistakes. You
can talk about sociopathic megalomania.
Trump simply cares nothing
about the public and the international
situation.
From my childhood – the 1930s – I
remember the fascist slogan of Franco’s
generals – ‘Down with intelligence.
Forward with death.’»
How could a different future be
created, without pandemics, global
warming, and threats of nuclear
war?
«It’s all in our hands; it’s not even terribly
difficult. First of all, we must
prepare for the next pandemics, and
we know how to do it. And we must
repair the sick system in the background.
Governments need to stop tax havens
and stock buy-backs, which rob the
public of tens of trillions of dollars.
None of this existed on anything like
the present scale prior to the Reagan
administration. It’s not utopian to say
we should go back to the system before
the neoliberal doctrines were imposed.
Austerity programs in Europe have
been devastating, and there is no serious
economic justification for that.
They’ve lost the Union trillions of
dollars. However, not all things are
bad with the EU. It’s good for people
to be able to travel from one country
to another, have trade interactions,
and migrate as they please. But the
destruction of democracy by centralizing
decision-making in Brussels is
extremely harmful. The decisions of
the unelected bureaucratic elite are generating
anger, resentment, and dislike
for institutions, creating fertile terrain
for demagogues. That can be overcome.
Global warming can be dealt with too.
We have the means, but not much
time. I don’t think there’s a single threat
that cannot be resolved. But the
more we wait, the worse it gets.»
56 beni culturali
Coronavirus
«Meglio curare col p
o con gli anticorpi m
L’una cosa non escl
intervista del 9 maggio 2020
57
L’intervista alla professoressa
Maria Rita Gismondo
lasma iperimmune
onoclonali?
ude l’altra»
di Pierluigi Pietricola
Coronavirus: come sta andando
la fase 2 appena iniziata? Le
cure: meglio la sieroterapia o
l’uso degli anticorpi monoclonali? È
vero che il Sars CoV2 sta cambiando
ed ora è meno aggressivo di prima? Di
questo e molto altro abbiamo parlato
con la Professoressa Maria Rita Gismondo.
Parliamo di questa fase 2, Professoressa.
Le piace il modo con cui gli
italiani la stanno affrontando?
«È stato appena pubblicato un intervento
del sindaco di Milano, che dice
di essere molto irritato dal comportamento
di tanti milanesi (non di tutti,
per fortuna). Ci sono i Navigli pieni
di giovani, persone che creano agglomerati
e che circolano senza mascherina.
Quello che succederà lo sapremo
fra dieci o quindici giorni. Va detto
che tutta l’Italia sta avendo un trend
migliorativo. Mentre la Lombardia e
Milano stanno andando, purtroppo,
in senso contrario. E ciò mi fa molto
preoccupare, perché le persone non
hanno capito che fase 2 non vuol dire
“liberi tutti”, ma adozione di comportamenti
individuali di responsabilità e
rispetto per gli altri, per evitare che vi
sia di nuovo un incremento di diffusione
del virus con tutto quel che ne
consegue e che abbiamo visto accadere
nei mesi precedenti.»
Parte del mondo scientifico sostiene
che si sta osservando un cambiamento
da parte del Sars CoV2,
nel senso che è meno violento di
prima. Lei è d’accordo?
«Sì, hanno anche detto che il virus è
mutato. Prima di affermare questo, occorre
verificare se vi siano o meno state
delle mutazioni. Noi stiamo genotipizzando
molti dei virus che abbiamo
isolato. Fino ad ora, il Sars CoV2 si è
mostrato molto costante. Da Wuhan
ad oggi non si sono riscontrate mutazioni
importanti. Probabilmente è
cambiato lo scenario, perché adesso
sappiamo come affrontarlo sul piano
diagnostico in modo tempestivo e
sull’uso di molecole che possono arrestare
il decorso fino ad arrivare all’iper
infiammazione a carico dei polmoni. A
mio avviso il miglioramento dello scenario
dipende soprattutto da questo.
Ciò non toglie che mi auguro che dipenda
anche dal cambiamento del Sars
CoV2, nonostante ancora non vi siano
certezze sotto il profilo scientifico.»
Questo virus potrà spegnersi nel
tempo?
«Potrebbe essere. Non è da escludere.
Ma ad oggi non abbiamo dati scientifici
che ce lo confermano. Molto positivo
è il fatto che noi siamo, allo stato
attuale, maggiormente consapevoli di
come questo virus si manifesta e di
come è necessario intervenire in modo
tempestivo.»
Che opinione ha del protocollo
di cura che prevede l’utilizzo della
sieroterapia messo a punto dal
Prof. De Donno a Mantova e anche
in altre realtà ospedaliere nazionali
e internazionali?
«Intanto cerchiamo di fare
chiarezza sui termini. Si chia- »
58 beni culturali
ma protocollo ciò che ancora non è stato approvato
dall’AIFA. Dal punto di vista scientifico,
la sieroterapia è l’applicazione di qualcosa che
è stato fatto sia nel tempo che per il Sars Cov2.
Già da Wuhan vi erano degli studi pubblicati nei
quali si raccontava e dimostrava il fatto che dei
pazienti erano stati guariti utilizzando il plasma
iperimmune ricavato dai soggetti guariti. Si tratta
di far diventare questo protocollo una proposta
terapeutica a tutti gli effetti attraverso, come
dicevo, l’approvazione dell’AIFA. Personalmente
ritengo (ed è una mia opinione) che il plasma
iperimmune non potrà sostituire la terapia,
perché non vi sono ancora scorte sufficienti per
curare tutti coloro che ne hanno bisogno. Però
in questa fase può essere molto utile. Sull’esito
positivo dell’impiego, anche relativamente al fatto
che moltissimi pazienti sono guariti, io prevedo
ampi margini di successo. Si tratta di una
evidenza scientifica lapalissiana, indiscutibile e
di successo.»
Perché, allora, parte del mondo scientifico
ha avuto opinione contrare alla sieroterapia?
«Sinceramente non me lo spiego. Dal punto di
vista virologico questo protocollo non ha nulla
da eccepire. Io non capisco come si possa, prima
ancora del risultato complessivo del protocollo
e alla luce dei risultati che nel tempo si sono avuti,
escludere l’efficacia della sieroterapia. Non
riesco ad individuare alcun motivo scientifico
valido per queste opinioni sfavorevoli.»
Alcuni scienziati sostengono che più efficace
del plasma iperimmune è la cura che
passa attraverso la creazione di anticorpi
monoclonali.
«Ma l’una cosa non esclude l’altra. In Olanda
hanno già attivato le ricerche necessarie per la
creazione degli anticorpi monoclonali per la cura
del Sars CoV2. Dato che, al momento, gli anticorpi
monoclonali specifici non ci sono, usiamo
il plasma iperimmune. Non vedo perché non lo
si dovrebbe fare. Che senso ha aspettare?»
Forse perché gli anticorpi monoclonali hanno
un costo maggiore rispetto al plasma
iperimmune? Questa è una mia malignità
da giornalista, naturalmente.
«Non è un fatto che mi interessa. Voglio immaginare
medici, clinici e scienziati che agiscono
per il bene delle persone in armonia con i progressi
che le scoperte fanno compiere al mondo
scientifico. Escludo che uno scienziato possa
definirsi tale se il lucro è il suo primo obiettivo.»
59
A suo avviso la comunicazione del mondo
scientifico sul Sars CoV2 è stata buona, insufficiente
o in malafede?
«Non si può generalizzare. Io condivido ciò
che l’Oms ha detto: c’è stata una infodemia,
cioè un eccesso di informazione al punto da
ingenerare fra le persone un sentimento di confusione
e di panico. Diciamo che fra il prezzo
da pagare tra un eccesso di informazione
e l’inquisizione che parte del mondo scientifico
ha esercitato su coloro che hanno espresso
punti di vista diversi in merito al Sars CoV2, io
preferisco l’infodemia nonostante tutti i suoi
difetti.»
Come facciamo noi non addetti ai lavori a
distinguere una comunicazione scientifica
seria e attendibile da una che, invece, è in
malafede e non competente?
«Questo è un rischio che tutti corriamo quando
leggiamo e ci informiamo su argomenti che
non padroneggiamo. Le persone debbono imparare,
nel tempo, a confrontarsi con ciò che
le istituzioni pubblicano, che non è perfetto
(tutto è soggetto a miglioramenti nel tempo)
però ha criteri di affidabilità. Quindi consultare
e mettere a confronto quello che veniamo
a sapere con ciò che l’Oms e il Ministero della
salute dicono nel merito del Sars CoV2. Evitare,
perciò, quei siti e quei social dove il pericolo
della strumentalizzazione è sempre latente.»
Che ne pensa della diatriba che giorni addietro
vi è stata fra Giulio Tarro e Roberto
Burioni? Nel tempo le tesi che il Prof. Tarro
ha avanzato e sostenuto sul Sars CoV2
mi pare si siano tutte verificate.
«Quello che ho sempre detto, visto che anche io
sono stata attaccata nel momento in cui andavo
affermando le stesse cose delle persone che
hanno puntato l’indice contro di me, è che se
c’è buona fede e cultura ognuno può esprimere
la propria opinione scientifica. Lo scienziato
deve essere sempre aperto al confronto ed
alla discussione, in modo onesto e trasparente.
Non ci sono giudici ed accusati, ma scienziati
con esperienza e cultura che analizzano il fenomeno
dal loro punto di vista. Quando si parla
di un virus nuovo, si fanno delle ipotesi in base
ad esperienze, modelli matematici ed epidemiologici
precedenti. Io più che perdere tempo
in polemiche fra virologi, preferisco proseguire
a studiare il virus per far progredire la scienza e
migliorare lo stato di salute di chi ne ha.»
60 beni culturali
“
su
La professoressa Maria Rita Gismondo: «
di Pierluigi Pietricola
Stiamo per entrare nella fase 2
detta di convivenza con il Sars
CoV2. Aumenta il numero dei
guariti di giorno in giorno. Vi sono
delle cure? E di che tipo? Abbiamo
parlato di questo, ed altro, con la Professoressa
Maria Rita Gismondo.
Professoressa, sentiamo sempre
più parlare del numero dei guariti
che aumentano. Come avviene la
guarigione? Se le persone che guariscono
sono sempre di più, vuol
dire che già ci sono delle terapie in
corso efficaci?
«Il 90% delle persone che si ammalano
di Sars CoV2 hanno dei sintomi blandi
e si curano in casa. Chi con periodi
più brevi, chi con periodi più lunghi:
tutti mostrano tosse secca, febbre e in
qualche caso un coinvolgimento polmonare
serio che prevede il ricovero.
Non è stata ancora individuata, al momento,
una terapia né preventiva né
curativa. I protocolli che si eseguono
rientrano tutti nella fase sperimentale,
benché molte molecole mostrino
di comportarsi bene. Gran parte delle
persone infettate e che rimangono
in casa ricorrono alla Tachipirina che,
però, difficilmente fa abbassare la
febbre. Ciò detto, un soggetto infettato,
se alla fine dei sintomi avrà due
tamponi negativi allora viene dichiarato
guarito. Lo stesso vale per chi è
dimesso dall’ospedale, che viene affidato
ad una quarantena di 15 giorni
– che forse potrebbe essere allungata
a 21 alla luce delle ultime acquisizioni
scientifiche.»
Se si riescono ad individuare per
tempo i sintomi del Sars CoV2,
grazie anche alle cure (benché
sperimentali) che ci sono in circolazione,
si riesce ad arginare l’iper
61
Puntiamo
lle terapie
I risultati passano per la sperimentazione»
infiammazione a carico dei polmoni?
«Un sintomo che ci fa pensare ad una
infezione da questo coronavirus è la
febbre che difficilmente si abbassa
grazie al paracetamolo (la nostra Tachipirina).
Al momento le persone che
mostrano sintomi lievi non vengono
trattate con nessuna delle molecole
utilizzate in ospedale in caso di ricovero.
intervista del 23 aprile 2020
Parliamo della fase 2. A quanto si è
capito si procederà tenendo conto
delle particolarità dei singoli territori.
È un bene o un male?
«Da un punto di vista logico la scelta
è giustificabile. Se in una regione il virus
non circola o circola pochissimo,
è giusto che vi sia più libertà di movimento.
Tutto sta a capire se si potrà
circolare fra regioni o se le regioni
con più contagi – tipo Lombardia o
Piemonte – dovranno rimanere ancora
chiuse per un ulteriore periodo.
Per esempio: i cittadini di Milano potranno
recarsi nella loro seconda casa
in Liguria? Bisognerà comprendere
come questa seconda fase sarà declinata.»
Uno studio israeliano sostiene che
il periodo di vita del Sars CoV2 è di
circa 70 giorni. Poi tende a morire
naturalmente. Lei condivide ciò
che afferma questo studio?
«Non sono in grado di escluderlo. Per
altro gli israeliani sono molto seri nelle
loro ricerche scientifiche. Quindi mi
sentirei di accettare questa tesi. Non
posso trarne una conclusione mia
personale, perché non ho una diretta
esperienza per farne un mio pensiero
scientifico. Però potrebbe certamente
essere vero ciò che questo studio afferma,
non ultimo perché è un comportamento
che si osserva
anche negli altri virus.»
»
62 beni culturali
Il modello israeliano per combattere
l’epidemia da Sars CoV2 (proteggere
gli anziani e chi ha gravi
patologie e lasciare che il virus circoli
fra i più giovani) secondo lei è
giusto?
«Io lo sposo in pieno. L’ho sempre
pensato. Ovviamente dobbiamo tenere
conto anche delle differenze relazionali
che ci sono Israele rispetto all’Italia.
Noi, come la Spagna, siamo una nazione
con rapporti inter familiari molto
stretti. Dire ai nonni che dovranno stare
separati dai nipoti per noi, come per
la Spagna, è quasi un’eresia. I modelli
valgono e sono efficaci anche in base
ai backgrounds culturali dei paesi cui ci
si riferisce. Un lockdown militarizzato
come a Wuhan, dove veramente non si
poteva uscire di casa, non lo ha fatto
nessun paese dell’Occidente. Come faremmo
ad annullare il nostro senso democratico
di fondo? Detto ciò, questa è
stata la prima pandemia dove si è scelto
di isolare tutti piuttosto che solo i malati
e le persone a rischio. Io non critico
questa scelta, ma la reputo sui generis.
L’infettivologia ci ha abituato all’isolamento
dei malati e non dei sani. In più
mi preoccupa molto ciò che è stato affermato,
e cioè che dovremo pensare ad
un periodo di stop and go, di chiusura
e apertura alternate. Dal punto di vista
psicologico ed economico sarebbe disastroso.
La trovo un’ipotesi veramente
dura da attuare e seguire.»
Se davvero dovesse verificarsi ciò
che dice lei, significherebbe non
aver preso, da parte dello Stato, le
giuste precauzioni in termini di
medicina del territorio, centri specializzati
per il Sars CoV2 e così
via, per evitare che si ripetano simili
situazioni come quella che
stiamo vivendo.
«Che si voglia accettare o meno il sistema
lockdown, dobbiamo renderlo
il più utile possibile. E non possiamo
permetterci di vanificare i sacrifici fatti
fino ad oggi. Io penso che aprire e
chiudere non sia utile. Sarebbe, forse,
utile fare un sacrificio più lungo adesso
per arrivare al livello di R0 piuttosto
che dire alle persone, nel caso la situazione
dovesse precipitare di nuovo
– auguriamoci di no! – di rientrare in
una condizione di lockdown. Sarebbe
una situazione ingestibile.»
Con l’Estate però, cambiando i
comportamenti sociali e grazie
anche alle temperature più calde,
il Sars CoV2, come gli altri virus,
può scomparire.
«Abbiamo una sola speranza: siccome
siamo certi che il virus nell’acqua marina
non sopravvive e muore, andiamo
al mare e stiamo tutti in acqua.
Attraverso l’acqua di mare non c’è la
possibilità di infettare le altre persone.»
L’idea di installare barriere in
plexiglas fra gli ombrelloni le pare
una proposta credibile e attuabile?
«È una sciocchezza! Io farei provare,
a chi ha proposto questa idiozia, di
stare fra due pareti di plexiglas a temperature
che si aggirano fra i 36 e i 37
gradi. Ma scherziamo? Non è fattibile.
Si creerebbero delle serre. Le persone
rischierebbero il collasso per il caldo.»
Cosa si aspetta per il futuro?
«Punto molto sul fatto che di qui a un
anno si scoprano anche efficaci terapie
preventive. Ai lanci di vaccini che
arriveranno fra qualche mese io dico
di mostrare calma e cautela. Non ultimo
perché esistono dei virus, come
l’HIV, che non sono stati debellati
da un vaccino. Io credo che le misure
di contenimento adottate possano
abbassare il contagio al punto da
costringere il virus a spegnersi pian
piano. E insieme a questo punterei,
molto più concretamente, sulle terapie
che stiamo sperimentando con ottimi
risultati. Non poniamo tutte le nostre
speranze sul vaccino.»
Dire che non si tornerà alla normalità
finché non ci sarà un vaccino è
un’affermazione giusta?
«È pericoloso dirlo. Cosa vuol dire:
che finché non ci sarà un vaccino noi
non torneremo alla normalità? Questa
è una responsabilità che uno scienziato
serio non può prendersi. Pensi se
lo avessimo detto durante l’epidemia
di HIV. Non si possono fare affermazioni
di questo tipo.»
63
COVID Più di tre milioni
esclusi dalla tutela INAIL
Questa moltitudine non può
essere assicurata perché
non previsto dal Testo Unico
D.P.R.1124 del 1965
di Long Johnn
Gli effetti dolorosi della pandemia,
nel dramma collettivo
che stiamo vivendo, hanno
posto in evidenza alcune iniquità
palesi, tra le quali quella dell’esclusione
dalla tutela INAIL di più di tre milioni
di lavoratori.
In questi giorni vi è una reiterata richiesta
per l’emanazione di norme di
dettaglio per il riconoscimento dell’infortunio
per chi ha contratto l’infezione
in occasione di lavoro.
L’INAIL non mancherà di farlo, ma
non potrà certamente assicurare indennizzi
o rendite, per esempio, ai
medici di famiglia, ai vigili del fuoco,
ad alcune tipologie d’insegnanti, come
alle altre numerose tipologie di lavoratori,
tra le quali la sterminata massa
di persone che lavorano a partita Iva e
non sono artigiani.
Questa moltitudine non può essere
assicurata INAIL perché non previsto
dal Testo Unico - D.P.R.1124 del 1965.
Sono disposizioni sull’assicurazione
obbligatoria contro gli infortuni e le
malattie professionali scritte cinquantacinque
anni fa per il mercato del lavoro
e per la società di allora. Il CIV INAIL
da anni ne chiede, invano, un adeguamento
(recentemente lo ha fatto anche
il presidente INAIL Franco Bettoni)
La grande questione dell’ampliamento
della platea degli assicurati INAIL non
può certo esaurirsi solo con quanto
fatto di recente, giustamente, per i riders.
Serve un’azione più ampia tramite
modifiche normative delle quali si deve
far carico il Governo, perché questa è
una misura di giustizia sociale che sta
rimanendo inevasa, anche nel corso di
questo drammatico periodo e questo
non è giusto, oltre che essere incostituzionale.
Nella “Peste”, film
vi è una sequenza te
di ogni totalitarismo
di pandemie la tenta
è come un virus che
tra le pieghe della s
64 beni culturali
Virus e globalizzazione:
una riflessione
tra cinema e politica
di Maurizio
Fantoni Minnella
Nei giorni inquieti e difficili
della psicosi collettiva da
virus, che stiamo vivendo,
non è difficile imbattersi, nell’attuale
pubblicistica, nei soliti riferimenti alle
pestilenze medievali, alla peste manzoniana
del ‘600 milanese o più spesso a
quella immaginaria del capolavoro di
Albert Camus, La peste, appunto. E
proprio da quest’ultimo prendeva le
mosse il regista argentino Luis Puenzo,
(conosciuto in Italia grazie a La storia
ufficiale), per una singolarissima, e non
capita dall’allora critica italiana, trasposizione
del romanzo La peste, appunto,
che pur mantenendo fede nominalmente
al testo originale, ne rovescia
65
di Puenzo del ‘92,
rribile e profetica
: in tempi
zione autoritaria
si annida
toria...
l’assunto metaforico in allegoria politica,
spostando la Orano camusiana in
una Buenos Aires grigia e incupita dal
morbo, ma soprattutto messa a ferro e
a fuoco dai militari che, sfruttando l’emergenza
sanitaria, ne approfittano per
restringere le libertà individuali e applicare
il coprifuoco in tutta la città, da cui
non si entra e non si esce.
Con buona pace dei cosiddetti “apocalittici”,
possiamo tranquillamente non
dirci in pericolo, nonostante le ovvie
analogie con la situazione attuale. E
per una ragione semplice: rispetto agli
anni settanta del secolo scorso, quella
certa Italia che aveva mire golpiste, non
esiste più, non perché sia improvvisamente
mutato il rapporto con la propria
eredità fascista, (anzi, vi è più di
un motivo per credere il contrario), ma
perché non vi sono, almeno in Europa,
modelli totalitari di riferimento (come
lo fu, ad esempio, la Grecia dei colonnelli),
esattamente come il fascismo italiano
fornì un modello per il nazionalsocialismo
e per il franchismo. Inoltre
si parla ormai di virus globale a fronte
di un’assenza di un vaccino che assicuri
l’immunità per ogni cittadino.
Ma qual è, invece, il vaccino necessario
per renderci se non immuni, almeno,
soggetti non passivi, dalla globalizzazione,
virus economico finanziario
e finanche politico e sociale, che non
solo non abbiamo ancora imparato a
controllare, ma che tendiamo o a minimizzare
come una malattia necessaria
a produrre sufficienti anticorpi, o ad
esaltare come sbocco naturale del neoliberismo
nel XXI° secolo?
Innanzitutto, quello dello spirito critico
che ci consente di cogliere a sinistra un
vuoto assai eloquente, ossia del tutto
privo di strategie politiche o modalità
d’opposizione, che a sua volta consegna
alle destre populiste e sovraniste la prerogativa
politica dell’antiglobalizzazione.
Se dietro il preteso antiglobalismo
di destra si cela, in realtà, un disegno
di restaurazione di vecchi nazionalismi
reazionari che la nuova definizione di
sovranismo vorrebbe stemperare nel
richiamo a un orgoglio nazionale che,
entro confini materiali ben saldi, pretenderebbe
di migliorare la condizione
materiale delle masse lasciando però
inalterati i rapporti di forza economici
come a suo tempo fece il fascismo,
dietro il laissez faire di una sinistra dal
colore alquanto sbiadito, che seguita
a definirsi progressista senza peraltro
saper più a che cosa corrisponda realmente
tale aggettivo ormai solo altisonante,
perdura l’errata convinzione
secondo cui, solo dal mercato, inteso
quale arbitro assoluto degli equilibri sociali
ed economici, sia possibile giungere,
grazie all’idea di crescita economica
ininterrotta, a un accettabile livello di
benessere sociale, mentre il divario tra
le classi sociali, negli ultimi decenni,
sappiamo essersi ulteriormente allargato,
trascinando perfino quella che un
tempo chiamavamo media borghesia,
in quello che ancora, con sofisticato cinismo,
viene apostrofato come il “migliore
dei mondi possibili”!…
Nella Peste (1992) di Puenzo vi è una
sequenza terribile e profetica di ogni
totalitarismo: quando, finalmente, viene
assicurata alla protagonista, una giovane
giornalista francese, la partenza
da Buenos Aires, proprio in quel momento
essa viene confinata insieme a
una moltitudine di cittadini all’interno
di uno stadio che tristemente ci rammenta
quello di Santiago all’indomani
del golpe del generale Pinochet. In
tempi di pestilenze o di pandemie, la
tentazione autoritaria è come un virus
che si annida tra le pieghe della storia,
nell’aria che respiriamo e nelle coscienze
assopite della gente. Sta a noi tutti,
invece, il compito di rilevarne il pericolo
e contrapporvi un vaccino che siamo
soliti identificare nell’ordinamento democratico,
talora ignorando la sua e la
nostra fragilità.
66 beni culturali
Il finanziamento
equilibrato
della ripresa
Come liberarci dalla palla al piede
del nostro debito pubblico
di Franco Cavallari
La vicenda del Covid-19 ha drammaticamente confermato
che la globalizzazione, un fenomeno storico
iniziato sostanzialmente con l’aumento degli
scambi commerciali di tre secoli orsono, costituisce un
fenomeno connaturato con l’evoluzione del Mondo moderno,
anche per aspetti che esulano dal versante economico.
Restando nel campo dell’economia, già a partire dal
secolo XVII il fenomeno ha dato luogo ad un vasto complesso
di teorie sugli sviluppi degli scambi commerciali
tra le nazioni, come quelle di Smith, Ricardo, Haberler,
Ohlin, Samuelson ecc.
Negli ultimi trenta anni, dopo il crollo del muro di Berlino,
la globalizzazione ha prodotto un forte aumento degli
scambi mondiali, dispiegando enormi effetti positivi, di
natura economica e non. Tra gli altri, importantissima, la
fuoriuscita dalla povertà assoluta di un paio di miliardi di
persone; senza dimenticare, tuttavia, le notevoli criticità
distributive dello sviluppo che ne sono conseguite e che
hanno contribuito non poco a lasciare nell’indigenza quasi
altrettanti abitanti dell’Asia, dell’Africa e dell’America
latina.
Da questo punto di vista, gran parte della dottrina economica
ritiene che alcuni modi di applicazione dei canoni
della globalizzazione necessitino di una profonda revisione,
i cui fondamenti sono stati autorevolmente indicati
da numerosi eminenti economisti. È comunque assodato
che si tratta di un fenomeno storico irreversibile di cui,
il solo immaginarne l’assenza evoca un assetto economico
costellato da barriere e da dazi doganali che vedrebbe
ciascuna nazione in spietata competizione contro tutte le
altre, nel vano tentativo di governare la complessità dei
problemi globali sollevati dall’attualità storica.
Il contagio del Covid-19 con la sua terribile carica distruttiva
si è inserito, imprevedibile ed inatteso, nel già perturbato
quadro globale dell’evoluzione economica mondiale
dell’ultimo decennio. Oltre al versante sanitario, destinato
a prevalere ancora per molti mesi, il carattere globale
riguarda anche i non meno gravi effetti economici, sia
quelli di primo impatto, già in emersione, sia quelli che,
passata la pandemia, sorgeranno nella lunga fase di ricostruzione
dell’economia planetaria.
Per gli effetti immediati, la copertura finanziaria dovrà
evidentemente fare ricorso al disavanzo del bilancio
pubblico, che consente di avere la disponibilità immediata
delle ingenti risorse necessarie ad evitare un collasso
mortale delle economie di molti Paesi. In proposito, la
Commissione europea ha dichiarato la sua disponibilità
67
ad accordare una vasta flessibilità di bilancio ai vari Paesi,
sospendendo con effetto immediato il Patto di Stabilità e
Crescita del 2012.
Il problema del finanziamento si pone fin d’ora con drammatica
problematicità per la seconda fase, quella che scatterà
tra qualche tempo per affrontare la riedificazione delle
economie dei vari Paesi e la ricostituzione di un sistema
mondiale di relazioni economiche internazionali. Da questo
punto di vista, anche considerando il denominatore comune
rappresentato dalla recessione generalizzata in atto e
dall’interesse generale per una ricostruzione il più possibile
armonizzata a livello mondiale, si dovrà tener conto degli
indirizzi di sviluppo di ciascun Paese; e la relativa copertura
finanziaria, com’è evidente, dovrà basarsi per ciascuno di
essi sulle sue specifiche caratteristiche economico-finanziarie.
Tuttavia, malgrado la diversità, la non trascurabile
zona di interesse comune richiederà inevitabilmente una
collaborazione spinta per i problemi che accomunano tutti
i Paesi: in primo luogo il volume di risorse da impiegare,
che sarà ingente per tutti i grandi Paesi dell’Unione. Al riguardo,
non sembrino esagerati gli importi dell’effetto leva
annunciati da Francia e Germania, con disavanzi di bilancio
rispettivamente di 70 e di 150 Mld, che probabilmente
dovranno essere aumentati in corso d’opera. Per l’Italia,
non andiamo lontani dal vero se supponiamo che l’onere
complessivo del rilancio produttivo dovrà produrre per
l’anno in corso un effetto leva intorno ai 200 Mld., con un
disavanzo di bilancio che supererà probabilmente il 6% del
PIL.
Il volume di risorse in gioco implica per tutti i Paesi una
ripartizione della copertura tra diverse fonti di finanziamento,
secondo i canoni dell’Ingegneria finanziaria, che,
in ordine all’esigenza di preservare l’equilibrio di ciascun
sistema economico, impone di realizzare, specie in caso di
grandi squilibri, una configurazione equilibrata dell’assetto
finanziario. Il che implica la distribuzione su basi plurime
dell’onere del finanziamento, secondo la “sopportabilità”
delle diverse fonti. Per quanto riguarda l’Italia, uno dei Paesi
più indebitati del mondo, il corollario del “finanziamento
equilibrato” assume un’importanza basilare proprio in ragione
dei delicati equilibri finanziari del Paese.
La prima e più immediata fonte di finanziamento della
ricostruzione economica italiana sarà, come nella prima
fase, la creazione di risorse finanziarie pubbliche attraverso
il canale del disavanzo del bilancio. A questo riguardo,
la sospensione del “Fiscal compact” da parte dell’Unione
europea rappresenta un passo importante, anche se non
esaurisce il problema; infatti, nella nostra realtà dagli equilibri
instabili, questa fonte di finanziamento è sottoposta ad
un altro vincolo, ancora più stringente: quello del mercato
finanziario. Su questo versante, la nostra situazione complessiva,
gravata, tra l’altro, da ritardi più che ventennali in
materia di produttività, implica di calibrare con molta prudenza
il volume di risorse ricavate dal disavanzo di bilancio,
perché la reazione dei “mercati”, indispensabili al rinnovo
periodico del Debito pregresso, è sempre in agguato.
In realtà, tenendo conto del disavanzo necessario al finanziamento
della prima fase di cui si è detto, che sarà verosimilmente
ampliata fino a circa 50 Mld, siamo già ad un
Debito pubblico nazionale di fine anno superiore al 135%
del PIL. Dato il carattere planetario della recessione e dei
conseguenti squilibri finanziari, per coprire una parte della
seconda fase potremo spingerci più avanti di qualche punto
percentuale senza temere conseguenze squilibranti sui tassi
di interesse sul debito, diciamo fino ad un limite non molto
superiore al 140%; il che consentirebbe di disporre di circa
80 Mld. per il finanziamento in ulteriore disavanzo di una
parte consistente della ricostruzione economica.
Una seconda fonte di finanziamento dovrebbe essere rappresentata
da una sorta di ”Eurobonds” di cui parlarono
ai loro tempi Delors e Prodi, una specie di “Fondo
Europeo per la Ricostruzione Economica” »
68 cultura
lanciato dall’Unione in tutta Europa, per la costituzione
di un fondo “dedicato” alla ricostituzione economica degli
Stati aderenti. Si tratta di una proposta ancora in discussione,
che, in questa fase preliminare del negoziato,
incontra consistenti resistenze di alcune forze politiche
della Germania e dei Paesi Bassi, sempre propense a considerare
che gli Stati in difficoltà vogliano approfittare
della generosità dei Paesi economicamente più forti. In
questo negoziato è necessario superare l’incapacità finora
dimostrata dai governi europei a cooperare soprassedendo
al cieco egoismo nazionale, in questioni fondamentali
che vadano oltre rispetto agli scambi commerciali. Tra le
molte difficoltà che solleva questa proposta v’è il nodo
cruciale della “condizionalità dei prestiti”, che, applicata
nelle forme sperimentate per il caso Grecia, finirebbe per
penalizzare enormemente gli Stati in difficoltà; fermo restando,
comunque, che la solidarietà si applicherebbe solo
ad una garanzia parziale nei confronti dei sottoscrittori di
questo prestito, senza intaccare il principio che ogni Stato
continuerebbe ad essere responsabile dei propri debiti
pregressi.
Il varo di uno strumento del genere comporta il raggiungimento
di un difficile equilibrio tra le posizioni in gioco:
le proposte di Italia, Francia e Spagna, condivise anche da
Grecia, Portogallo, Irlanda e Slovenia da un lato, e, dall’altro
lato lo scetticismo della Germania, dei Paesi Bassi e di
qualche altro Stato del nord Europa. In ogni caso, appare
storicamente chiaro che, dinanzi ad un disastro economico
planetario, difficilmente l’idea della costruzione europea
sopravviverebbe al diniego da parte dell’Unione di porre
in essere uno strumento comune per finanziare progetti
gestiti dall’Unione che si riferiscono alla ricostruzione economica
in tutti i Paesi; uno strumento da costruire con la
Germania e i Paesi Bassi e non contro di loro, incaricato di
tradurre in concreto un minimo di solidarietà finanziaria
con i Paesi in difficoltà.
La maggior parte degli osservatori politici concordano nel
ritenere che, ove la cecità di una parte delle forze politiche
tedesche ostili ad ogni tipo di solidarietà dovesse prevalere,
l’Italia non avrebbe altra via d’uscita che quella di procedere
da sola, finanziandosi con ulteriore disavanzo di bilancio,
(almeno finché ci sarà la BCE a gestire l’equilibrio
dell’euro assorbendo il maggior debito degli Stati) ed anche
emettendo un BTP nazionale trentennale con esenzione fiscale,
finalizzato alla ricostruzione economica, come suggerito
dai meno integralisti della linea rigida tedesca. Ma
le conseguenze di un irrigidimento sulle sue posizioni da
parte della Germania sarebbero devastanti per l’Unione,
lasciando ampi spazi politici al sovranismo delle destre europee
che non vedono l’ora di dissolvere la costruzione
dell’unità europea.
69
Un terzo puntello finanziario per il superamento della crisi
italiana dovrà necessariamente basarsi su risorse finanziarie
fresche, vale a dire sull’imposizione che potrebbe assumere
le forme di una “mini-patrimoniale finanziaria”, le cui risorse
potrebbero essere specificamente impiegate a finanziare
gli investimenti pubblici necessari alla ricostituzione
del tessuto produttivo del nostro Paese. Per molto tempo,
anche nei momenti più bui della crisi del 2011, un’imposta
di tipo patrimoniale è stata considerata alla stregua di una
bestemmia economica, evitata anche dai partiti di sinistra;
mentre anche i ceti meno abbienti, ipnotizzati dagli slogan
della destra sulla diminuzione delle imposte alle classi più
agiate, si allontanavano dal principio di progressività della
tassazione.
Come ben sintetizzato quasi 40 anni fa dall’allora Ministro
Formica, siamo in una situazione in cui il convento è povero,
ma una parte dei frati è ricca. Se è vero che il bilancio
pubblico è zavorrato da un Debito pubblico molto superiore
al PIL (133%), è pur vero che la ricchezza mobiliare
privata degli italiani supera, secondo rilevazioni della Banca
d’Italia, i 4500 Mld. Supponendo, ad esempio, un prelievo
del 2-3% delle ricchezze mobiliari superiori a 250 mila euro
(che ammontano a più di 1600 Mld) potremmo disporre,
senza rovinare nessuno, di circa 40 Mld da indirizzare specificamente,
ad esempio, alla ricostruzione di un sistema
sanitario adeguato ai tempi.
Se vi sono circostanze in cui la ricchezza privata deve esser
chiamata a contribuire alla ricostruzione economica
del Paese; se v’è un tempo in cui chi ha più avuto dallo
sviluppo del dopoguerra deve sentire il dovere di rinunciare
a una parte minima della propria ricchezza per
contribuire alla rinascita della nostra Terra, queste sono
appunto le circostanze e questo è il tempo.
Due considerazioni conclusive chiudono questo articolo:
la prima, rivolta all’Italia, invita a considerare che è difficile
richiedere la solidarietà, sia pure parziale, agli altri Paesi,
quando non si è disposti a praticarla al proprio interno,
avanzando ridicole obiezioni di “desertificazione produttiva”
verso un modestissimo prelievo sulla ricchezza finanziaria
(la parte delle risorse del Paese meno attiva nel
processo produttivo). La seconda, rivolta alla protervia
teutonica contraria ad ogni progetto di solidarietà europea,
che proietta il cono d’ombra di una profonda frattura
in seno all’Unione. Il Paese che ha dato al mondo il
genio di Goethe ed i “lumi” di Kant, pur di non aprirsi
ad un minimo di solidarietà comunitaria, non può ergersi
praticamente isolato a bloccare le ragionevoli proposte di
tre grandi Paesi dell’Europa mediterranea e di diversi altri
Paesi dell’Unione, non ignara della minaccia mortale per
l’Unione che ciò rappresenta in questo frangente delle vicende
storiche mondiali.
del Coro
70 cultura
Il lavoro
al tempo
rio, come arma più efficace per la lotta
al virus, con particolare attenzione alle
case di cura;
Intensificare la presenza di Covid-hospital
per la gestione dei pazienti infetti
e ridurre i rischi di contagio nelle strutture
sanitarie;
Uso corretto dei test, sia tamponi che
test sierologici;
Rafforzamento della strategia di mappatura
dei contatti sospetti con l’utilizzo
delle nuove tecnologie.
Non v’è chi non veda, che la Fase 2
non è un “quando” quanto, piuttosto,
un “quomodo”.
Si prospetta, perciò, la continuazione
di una fase complessa per la generadi
Grazia Maria Delicio
Il Presidente del Consiglio, Giuseppe
Conte, il 21 aprile, ha presentato
in Senato il piano del Governo
per la Fase 2, da mettere a punto
nella stessa settimana.
Il piano consiste in una sorta di “staffetta”
di riapertura, definita “scientifica”
e “strutturata”, che dovrà sempre
essere monitorata, tenendo in considerazione
la “capacità” degli ospedali e
che dovrà tenere conto del rischio di
una nuova impennata dei contagi; di
una recidiva, insomma, che potrebbe
essere più impegnativa della prima ondata.
“La pandemia ha costretto ad adottare
misure di estrema urgenza”, ha asserito
il Presidente del Consiglio, ricordando
che – al momento – il lockdown
è in vigore fino al prossimo 3 maggio
e presentando il piano del governo per
la Fase 2, sotto forma di un programma
basato su 5 punti.
Precisamente:
Mantenere e fare rispettare il distanziamento
sociale, promuovere l’utilizzo di
mascherine e Dpi fino al vaccino;
Rafforzare le reti sanitarie sul territo-
71
navirus
La ripresa economica dovrà fare riferimento a condizioni
di sicurezza già contenute nel Protocollo del 14 marzo
lità dei cittadini, nella consapevolezza
– però – che si debba giungere ad
un allentamento delle restrizioni, onde
fare il possibile per preservare (ma,
dovremmo dire, per “recuperare”) il
tessuto produttivo rimasto fermo a
lungo. Il Paese, cioè, deve riavviarsi e
rimettere in moto la produzione e l’economia,
ma deve farlo – senza ombra
di dubbio – non facendo pagare alle lavoratrici
e i lavoratori il prezzo più alto
in termini di rischi per la salute.
La ripresa economica, perciò, dovrà
fare riferimento ad alcune condizioni
di sicurezza, che potremmo definire
un “minimo sindacale”, recuperabili
nel protocollo già siglato dalle Parti
Sociali – in accordo con il Governo –
il 14 marzo, poi integrato con il documento
del 24 aprile (tenuto conto dei
vari provvedimenti del Governo e, da
ultimo, del DPCM 10 aprile 2020, nonché
di quanto emanato dal Ministero
della Salute), ovverosia il Protocollo
di regolamentazione per il contrasto
e il contenimento della diffusione del
virus COVID 19 negli ambienti di lavoro.),
ma anche ad altre ed ulteriori
condizioni minime, indicate dal comitato
di esperti e da un documento predisposto
da parte dell’Inail, pubblicato
il 23 aprile (Documento tecnico
sulla possibile rimodula-
»
72 cultura
zione delle misure di contenimento del
contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di
lavoro e strategie di prevenzione).
Le “raccomandazioni” contenute nei
protocolli tutti, è appena il caso di precisarlo,
lungi dall’essere semplici indicazioni
comportamentali per i datori
di lavoro, saranno veri e propri presupposti
e prerequisiti per poter tenere in
attività una azienda e le stesse, – questo
sono in pochi ad averlo sottolineato –
non potranno che affiancarsi (a volte
comprendendole, altre inserendosi in
esse) alle regole generali già valevoli
in tema di salute e sicurezza del lavoro;
tra tutte: l’art. 2087 del c.c., le varie
disposizioni del c.d. “Testo Unico Sicurezza”
di cui al D. Lgs. 81/2008 e
s.m.i., nonché tutte le disposizioni – legislative
e non – delle fonti nazionali e
internazionali ivi richiamate.
Sicché, nell’attendere di approfondire
i vari documenti, con particolare
riguardo al documento dell’Inail, in
questa sede dobbiamo ricordare, che
la cd Fase 2 riguarderà sia le attività
già aperte sia le attività che dovranno
riaprire; in più, si dovranno applicare
anche a tutte quelle imprese, che nel
frattempo, in deroga ai codici Ateco
autorizzati, hanno comunque riaperto
con il “via libera” delle Prefetture, a
volte solo anche grazie al silenzio-assenso,
spesso causato proprio dalle numerose
richieste in deroga.
Volendosi cimentare, in un minimo di
previsione sui contenuti base, per parlare
della futura riapertura delle attività
nei luoghi di lavoro, va fatto un cenno
alle tre variabili per la determinazione
del rischio da contagio da SARS-
CoV-2 in occasione di lavoro:
l’esposizione, cioè la probabilità di venire
in contatto con fonti di contagio
nello svolgimento delle specifiche attività
lavorative (es. settore sanitario,
gestione dei rifiuti speciali, laboratori
di ricerca, ecc.);
la prossimità, vale a dire le caratteristiche
intrinseche di svolgimento del
lavoro che non permettono un sufficiente
distanziamento sociale (es. specifici
compiti in catene di montaggio)
per una parte del tempo di lavoro o per
la quasi totalità dello stesso;
l’aggregazione, da intendersi la tipologia
di lavoro che per propria specificità
prevede il contatto con altri soggetti
oltre ai lavoratori dell’azienda (es. ristorazione,
commercio al dettaglio,ecc)
Da questi pochi elementi, emerge la
fondamentale esigenza di ripensare
alla stessa organizzazione del lavoro,
perché è incidendo e intervenendo anche
sul modo (e non solo sul luogo)
in cui si svolge una data prestazione,
che possono essere garantite le condizioni
minime di sicurezza (basti vedere
il Protocollo tra imprese e parti
sociali siglato a marzo), basandosi su
un approccio sistemico e sistematico,
che coinvolga vari aspetti: gli orari, le
modalità di spostamento e trasporti, ricorrendo
– per quanto possibile – allo
smart working (che, di fatto, date le
limitazioni alla circolazione, in questa
fase è un vero e proprio telelavoro dal
domicilio) per quelle attività dove non
è necessaria la presenza.
Con particolare riferimento a quest’ultimo
aspetto, che tanto torna utile in
termini protettivi della salute dal rischio
contagio, va posta particolare attenzione
a tutte le questioni collegate,
che attengono alla segregazione, allo
stress lavoro correlato e alle note questioni
delle differenze di genere che,
innegabilmente, ancora pervadono la
nostra “cultura” sociale e familiare e
che vedono – in questi contesti – la
donna sempre più gravata dal doppio
carico (familiare e di lavoro).
Partendo da questi presupposti, dovremmo
ritenere, perciò, che l’approccio
non possa che essere triplice:
nuove regole e comportamenti da
adottare (interni/esterni/e dei terzi)
un patto di responsabilità per la sicurezza,
che coinvolga anche eventuali
imprese terze che entrano in contatto
con una data realtà produttiva (es. fornitori,
imprese pulizie, spedizionieri,
manutentori, ecc) e che consenta di
derogare anche ad una serie di norme
“protettive” del lavoratore (che allo
stato attuale risultano anacronistiche o
comunque distorsive);
la ripresa gestita attraverso un percorso
condiviso tra datori di lavoro e parti
sociali, anche a livello aziendale (per
garantire la specificità) e tra tutte le figure
del sistema di sicurezza aziendale.
I principali punti da tenere in considerazione,
per fare un ragionamento
serio, senza con ciò essendo esaustivi,
ritengo che siano:
i trasporti: un esempio, potrebbe essere
l’obbligo di guanti monouso e
73
mascherine sui mezzi pubblici e pulizia
delle mani prima e dopo l’utilizzo;
consigliare – dove possibile – l’uso di
bicicletta; o raccomandare la mascherina
nell’auto propria, quando vi siano
almeno due persone a bordo; ecc;
la distanza sociale in azienda; che sia
fabbrica, laboratorio artigianale o ufficio:
non un metro ma almeno un
metro e ottanta centimetri (come,
peraltro, prescrive l’Organizzazione
mondiale per la sanità); se nella riorganizzazione
dei processi produttivi questa
distanza non potrà essere garantita,
si dovranno ipotizzare altre forme di
“confinamento” delle persone tra loro,
come ad esempio elementi di separazione
tra le persone, uso di mascherine
FFP2 senza valvola (o due mascherine
chirurgiche contemporaneamente)
per chi lavora all’interno di uno stesso
ambiente. Ove ancora neanche queste
forme di confinamento non fossero
sufficienti, dovrebbe ipotizzarsi una
diversa articolazione dell’orario di lavoro
e di produzione;
regole ancora più stringenti per i negozi:
obbligo di accessi regolamentati
e scaglionati con percorsi diversi, se
possibile, di entrata e uscita, pannelli di
separazione tra lavoratori e clienti alle
casse e sui banchi, ingressi per non più
di una persona a famiglia (salvo casi di
bambini e persone non autosufficienti),
obbligo per tutti di mascherine,
guanti monouso o comunque pulizia
delle mani; la distanza di un metro e
ottanta centimetri tra le persone dovrà
essere garantita anche nei mercati all’aperto;
l’obbligo di utilizzo delle mascherine
chirurgiche sempre (negli spazi chiusi
in presenza di più persone, ma anche
negli spazi aperti quando non è garantito
il mantenimento della distanza
personale), ovviamente fornite dal datore
di lavoro;
la frequente e minuziosa pulizia delle
mani, che dovrà essere raccomandata
in più momenti dell’attività lavorativa
e non solo a inizio turno; gli ambienti
dovranno essere sanificati almeno una
volta al giorno, pulendo con candeggina
o altri prodotti simili porte, maniglie,
tavoli e servizi igienici e annotando
il tutto su appositi registri;
dovrà essere garantito, per quanto possibile,
anche il ricambio di aria e la sanificazione
periodica degli impianti di
aerazione, che altrimenti dovranno rimanere
spenti; particolare attenzione,
poi, dovrà essere garantita alla riorganizzazione
del servizio mensa, dove si
dovrà prevedere la distanza tra le persone
e le sanificazione dei tavoli dopo
ogni pasto;
l’attenzione particolare alla sfera dello
stato di salute dei lavoratori, in particolar
modo in presenza di sintomi
influenzali: non solo l’obbligo per gli
stessi di non recarsi a lavoro, ma anche
ulteriori “poteri di controllo” da parte
del datore di lavoro, che potrà misurare
la temperatura ai dipendenti all’ingresso
oppure raccogliere una loro
dichiarazione anche riguardo eventuali
familiari conviventi.
In particolare quest’ultimo punto mostra
tutta la sua “novità”: per tutelare la
salute e la sicurezza dei lavoratori, si
dovrà (e non potrà!) derogare a una serie
di norme protettive finora considerate
dei totem del diritto del lavoro: le
limitazioni poste al potere di controllo
e di “indagine” nella sfera personale e
di salute del lavoratore, impattando anche
questioni attinenti alla privacy.
E’ evidente che si tratta di individuare
l’interesse maggiormente meritevole di
tutela, che non può che essere la salute
del singolo lavoratore e dell’intera comunità
di lavoratrici e lavoratori di una
data azienda.
E’ chiaro, allo stesso modo, che questa
maggiore meritevolezza del diritto-dovere
alla salute non potrà mai
consentire una illimitata espansione
del potere datoriale, necessitando di
essere esercitata secondo parametri di
ragionevolezza e adeguatezza.
Resta inteso che il lavoratore dovrà
essere informato e formato, dovrà essere
consapevolizzato, che quel minus
in termini di privacy è strumentale alla
gestione dei rischi, alla riduzione al minimo
delle possibilità che all’interno
della unità produttiva (intesa in senso
lato) possa entrare un soggetto (in ipotesi,
egli stesso) potenzialmente contagioso,
con ciò mettendo a repentaglio
la salute di tutti.
E già: perché il luogo di lavoro deve
essere sicuro all’interno ma deve garantire
sicurezza anche verso l’esterno.
Non può divenire focolaio di contagi.
E quindi, per concludere, sento di sostenere
che la Fase 2 sarà quella in cui
dovrà essere maggiormente rinforzata
la responsabilizzazione individuale (dei
cittadini/lavoratori); maggiormente
valutata la professionalità e responsabilità
datoriale; fortemente incentivata
la collaborazione tra le diverse figure
(“attori” li definiscono gli addetti ai
lavori) che si occupano della sicurezza
sul lavoro.
Sarà la fase in cui ci sarà bisogno di
investimenti e di risorse, anche economiche,
da destinare alla prevenzione.
Sarà la fase in cui dovrà emergere la
struttura del nostro sistema Paese e la
responsabilità politica e di governo.
Si tratterà di attingere alle competenze,
alle conoscenze, all’esperienza.
Si tratterà di recuperare l’etica del lavoro,
mettendo la persona al centro.
Perché – non dobbiamo avere pudore
di apparire nostalgici – “L’Italia è una
Repubblica democratica, fondata sul
lavoro.”
centralistico e con un’in
74 cultura
intervista dell’8 maggio 2020
Cacciari: «L’emergenza
è stata gestita in modo
75
di Pierluigi Pietricola
Coronavirus: quale futuro si
prospetterà per l’Italia una
volta passata l’emergenza sanitaria?
A quali cambiamenti andremo
incontro? Lo abbiamo chiesto a Massimo
Cacciari con il quale, oltre a ipotizzare
futuri scenari, abbiamo riflettuto
sul modo con cui è stata gestita l’emergenza
creata dalla massiccia diffusione
del Sars CoV2.
Caro Massimo, come stai?
«Bene ma scocciato di questa vita domestica.»
Ti piace il modo con cui il Governo
sta gestendo questa situazione?
«Ci sono stati degli evidenti limiti. In
parte sono responsabilità del Governo.
In parte sono il prodotto di un sistema
sanitario malfunzionante e di rapporti
fra poteri centrali, regioni e comuni
funzionanti ancor meno. E questa
certamente non è una responsabilità
dell’attuale Governo, perché le origini
vengono da lontano. Conte ha affrontato
questa situazione all’inseguimento
dell’emergenza sanitaria. E senza
presentare al paese, ancora tutt’oggi,
come intende procedere alla fase 2
ma, soprattutto, alla fase 3, quando si
tratterà di fare i conti e capire come il
paese dovrà far fronte al peggioramento
radicale della situazione finanziaria,
occupazionale, sociale. Il giudizio,
quindi, al momento è rinviato. Dopo
di che si può spigolare sui limiti, i difetti
dei decreti, molti dei quali contenenti
palesi assurdità. E, molto più
concretamente, riflettere sulla distribuzione
degli aiuti necessari, con un metodo
totalmente burocratico, mediato
dal sistema bancario, costoso per gli
interessati e poco sicuro. La vera questione
politica, quando non ci sarà più
modo di nascondersi dietro l’emergenza
sanitaria, sarà a Ottobre-Novembre
prossimi.»
Secondo te l’emergenza sanitaria è
usata come pretesto per nascondere
le mancanze politiche?
«No, assolutamente. Non facciamo
dietrologie. L’emergenza sanitaria c’è
e in alcune regioni è ancora molto
grave. È giusto procedere con grande
prudenza, ma non si capisce perché si
debba ricorrere a questi decreti dentro
i quali ci sono delle norme illogiche ed
altre non verificabili né controllabili,
e che creano disuguaglianze fra i vari
settori. Perché debbono essere privilegiati
alcuni negozi invece di altri?
Che differenza c’è fra una
»
da coronavirus
assurdamente
formazione pessima»
76 cultura
tabaccheria e un negozio di vestiti se si
rispettano le stesse norme di sicurezza?
Si creano inutili disagi in una situazione
tutt’altro che facile. Ovviamente
stiamo parlando del dito che indica la
luna. Il colossale problema di questo
paese sarà proprio come affrontare la
crisi occupazionale, economica e sociale.
Ecco la vera questione che ci troveremo
davanti.»
Tu pensi che se l’Italia avesse attuato
un vero federalismo – come
quello che proponevi tu – oggi la
situazione sarebbe stata meno catastrofica?
«Certo! Ci sarebbero stati meno casini
fra poteri centrali e regioni. E la regione
sarebbe stata un ente con maggiori
responsabilità.»
Quale regione si è comportata meglio
nel gestire l’emergenza sanitaria?
«Tra quelle colpite più duramente non
c’è dubbio che il Veneto ha messo in
campo una gestione migliore.»
Il Veneto ha una lunga tradizione di
amministratori locali ben preparati.
«Sono persone ben radicate nei loro
territori al di là delle questioni ideologiche.
Hanno sempre amministrato
faccende delicate senza tenere minimamente
conto delle ideologie leghiste.
Per esempio l’integrazione in alcuni
territori, come Vicenza e Treviso, funziona
relativamente bene da circa una
ventina di anni. E poi il Veneto è una
regione dove si è tenuto un equilibrio
fra l’eccellenza complessiva della rete
ospedaliera e la medicina sul territorio.
Questa è sempre stata un’esigenza che
le amministrazioni locali hanno messo
all’ordine del giorno. In Lombardia,
probabilmente, hanno privilegiato in
modo assoluto l’eccellenza indiscutibile
della rete ospedaliera a discapito
di un controllo decentrato, territorializzato
attraverso il coinvolgimento dei
medici di base.»
Per il futuro sarà necessario porre
mano ad una riforma sanitaria di
respiro nazionale. Tu in che modo
la attueresti?
«Io penso che le regioni, in generale,
vadano maggiormente responsabilizzate.
A livello sanitario bisognerà capire
quali risorse andranno alle regioni
e distinguerle da quelle che potranno
essere reperite da loro direttamente.
Visto che le regioni hanno un’assoluta
preminenza del settore sanitario,
allora dovranno rendersi responsabili.
E questa è la prima questione. Poi bisogna
spoliticizzare le strutture sanitarie
e garantire loro una continuità. Se,
come è avvenuto, riduci di 30 miliardi i
finanziamenti alla sanità cosa ci si può
aspettare che accada? È evidente che
molti settori vengano depotenziati, soprattutto
quelli con meno occupazione.»
Ritieni che da un punto di vista
comunicativo giornali e televisioni
abbiano svolto un buon lavoro
nell’informare la popolazione su
questo coronavirus?
«Non hanno fatto bene per niente.
Hanno lanciato un messaggio completamente
sbagliato, che ci ritiene incapaci
di intendere e di volere. La gestione
di questa emergenza è stata centralistica,
completamente statalistica attraverso
i provvedimenti presi dal Presidente
del Consiglio. La comunicazione da
parte pubblica è stata tutta indirizzata
in questo senso. Ma come si fa a pensare
che un cittadino non sia in grado
di intendere e di volere per conto suo
se non glielo dice lo Stato? Ma stiamo
77
scherzando? La comunicazione è stata
orrenda e tutt’altro che scientifica.
Ogni giorno veniva fatta – adesso avviene
un po’ meno frequentemente – la
conta dei morti e dei contagiati senza
alcun criterio analitico. Ma che roba è?
Queste informazioni o si danno bene
oppure è meglio non darle per niente.
È giusto fornire dati di questo tipo, ma
facendo sì che le persone comprendano
sia la situazione in cui ci troviamo
tutti, sia i rischi a cui si va incontro. Si
è data, invece, un’informazione all’ingrosso,
dal sovrano al suddito.»
E dell’informazione alternativa,
quella subito bollata come complottista
e che sostiene che si è esagerato
nel valutare questo virus in
modo così terroristico che ne pensi?
«Non c’è nessun complotto. Queste
sono epidemie le cui possibilità, a livello
internazionale, erano già state paventate
da tempo. Le cause sono chiare,
evidenti, ampiamente documentate.
Il punto è che viviamo in un mondo
dove i canali di comunicazione sono
pieni di merda. Non c’è niente da fare.
O in futuro si creerà un pubblico in
grado di discernere, di capire quali notizie
sono attendibili e quali no, oppure
sarà sempre più difficile farsi un’idea
chiara di quello che succede attorno a
noi e gestire emergenze come questa
in modo razionale. Io ritengo che sarebbe
dovuto essere lo Stato a comunicare
in modo analitico e dettagliato
i dati relativi a questo coronavirus. E
lo avrebbe dovuto fare in termini così
precisi al punto da rendere inutile la
circolazione di informazioni assurde.»
Si sta verificando una psicosi di socialità.
Le persone hanno paura di
incontrarsi. Come si può superare
questo terrore dell’altro ingenerato
dal panico che si è venuto a creare
per questo coronavirus?
«Cambieranno molto le abitudini delle
persone e ci vorrà tempo prima che si
ritorni a forme tradizionali di socializzazione
che potrebbero non essere
mai più come le abbiamo vissute
e conosciute. Bisogna vedere come
riprenderanno certe consuetudini, in
particolare fra i giovani. Ma a parte
ciò, io penso che questa crisi potrebbe
accelerare tendenze già in atto relativamente
all’organizzazione del lavoro,
al rapporto tra i settori produttivi
impostando degli equilibri a favore di
alcuni e massacrando gli altri. Anche
la rete commerciale si modificherà. Sta
già avvenendo ora, con il monopolio
dell’e-commerce.»
Condividi quello che Giorgio
Agamben ha detto, e cioè che in
nome di un rischio non precisato
abbiamo accettato imposizioni per
via delle quali sono venute meno
persino questioni etiche (cremazione
di defunti senza celebrare il loro
funerale, messe interrotte dall’intervento
delle forze dell’ordine,
ecc.)?
«La pandemia non è una balla. Gli errori,
i difetti e i limiti culturali con i
quali questa situazione è stata gestita li
ho elencati prima. C’è da dire che siccome
le emergenze stanno diventando
perenni, la tendenza al superamento di
certe forme di tutela democratica col
relativo venire meno di alcuni diritti
sono all’ordine del giorno. Purtroppo
nelle emergenze succede questo, e non
c’è dubbio che si tratti di processi che
inducono ulteriormente ad accelerare
la tendenza alla crisi delle democrazie
liberali di cui si parla da decenni.»
Gli incon
78 cultura
di marmo che sembra fatta di burro. Una morte di
burro che sembra scolpita sul marmo.
Qualche metro più in là (nel cortile nuovo), cinquant’anni
dopo, viene innalzato ‘Resistenza e liberazione’
di Jannis Kounellis. È un movimento corale
di assi di legno, simbolo di tanti uomini e di tante
donne che composero e scrissero la Resistenza. L’artista
andò a cercare le tavole nei dintorni di Padova,
materiale povero di cui è fatta la storia, che non è
tessuta di eroi; è un composto plurale ordinato e al
tempo stesso disordinato; si trova qua e là, fra i cortili;
ogni pezzo di legno è inutile da solo, ma trae motivazione
nella pluralità delle voci. Alcune di queste
assi forse cadrebbero, sarebbero addirittura dannose
per il monumento, ma la coralità perdona gli errori
umani, e innalza verso il cielo il monumento. Errori:
tanti, come l’assassinio della maestra Perna, nella
campagna veneta. Sembra che parli lei, ora che, come
Palinuro, ‘me fluctus habet versantque venti’, ‘mi tendi
Francesca Vian
Sembrano più ingiuste le uccisioni del 25 aprile
1945 e dei giorni che seguirono. Finalmente finiva
la lunga oppressione della guerra; eppure,
dopo avere resistito tanto, molti giovani morirono;
tante città e borghi italiani subirono massacri; a troppe
persone venne preclusa la costruzione dello stato
democratico italiano, e la ricostruzione delle città in
macerie. C’è qualcosa che rende inconsolabile questo
dolore.
Così inconsolabile che lo scultore veneto Arturo
Martini volle immortalare nel marmo per sempre il
loro ultimo sospiro al cielo, lo struggente sguardo
verso il domani, che essi poterono intravedere soltanto
da lontano, con la certezza nel cuore che l’umanità
avrebbe sovrastato le ragioni della barbarie. Il
suo Palinuro (1947, nella foto) si trova nell’atrio degli
Eroi, nel cortile dell’Università di Padova. Ritrae il
giovane leggendario, timoniere della nave di Enea,
quando, fra le onde del mar Tirreno, già in vista della
terra campana, con gli occhi fissi a scrutare le stelle
(Eneide, V), ‘in mar fu tratto’. E già si dovevano
intravedere il cielo e le stelle della futura Italia, il 29
aprile 1945, già si doveva scorgere la terra promessa,
quando venne ucciso il giovane partigiano Primo Visentin,
laureato a Padova in Storia dell’Arte. A lui è
dedicato Palinuro e ai tanti giovani che caddero come
lui, alla vigilia della libertà.
Lo scultore era figlio di un pasticciere e aveva ammirato
tante volte le creazioni di burro di suo padre;
anche la madre, che cucinava creme, aveva spesso il
burro tra le mani. Sembra di burro anche questo Palinuro,
senza spigoli, giacché il burro li livellerebbe,
tondeggiante e bianchissimo. Sembra di burro la vita
stessa in quei momenti drammatici, quando i morti
non si contano, con i Tedeschi in fuga, prigionieri
della paura. Fra loro c’è Olivo Bravin, caduto il 25
aprile, fermando un mezzo tedesco nel borgo veneto
di Lison (VE). Suonavano già le campane a festa
per la Liberazione, e subito dopo hanno tristemente
battuto il lutto. Sembra che parli lui ora che, come
Palinuro, ‘me fluctus habet versantque venti’, ‘mi
tengono le onde e i venti mi trascinano” (Eneide,
VI). Sciolto prima del sole della Repubblica, il Palinuro
giunge al cuore, come la beffa di morire l’ultimo
giorno di guerra, e il primo di pace. Una statua
del prim
L’opera dello scultore A
è dedicata a tutti i giova
che caddero alla vigilia
79
solabili Palinuro
o giorno di pace
Nelle immagini,
i due monumenti
nel palazzo del Bo
a Padova.
Foto di
Maria Giovanna
Occhipinti
rturo Martini
ni partigiani
della libertà
gono le onde e i venti mi trascinano”.
Secondo Piero Calamandrei, il monumento alla Resistenza
va fatto con ‘la roccia di questo patto/ giurato
fra uomini liberi/che volontari si adunarono/per dignità
e non per odio/decisi a riscattare/la vergogna e
il terrore del mondo’ (Lapide ad ignominia). La ‘roccia
di questo patto giurato fra uomini liberi’, in questo
caso, è roccia di legno, un materiale più fragile,
che può salvarci diventando fuoco, può proteggerci
facendosi casa, può sostenerci nella vita accanto ad
altro legno che ha accompagnato altri, può divenire
lo strumento di Paganini o il fischietto di un ragazzo.
Si possono sortire rivoluzioni, con la stessa fatica di
queste assi di legno. Non sono allineate a cercare il
cielo, ma seguono la direzione della Terra, parallele
alle strade percorse dai tanti, stremati dalla fame e
dalla fatica, che dovettero, anche loro malgrado, inseguire
la Liberazione dell’Italia.
Nel cortile del palazzo del Bo, puoi accarezzare Palinuro,
morto dopo avere scorto l’Italia, guardando le stelle;
puoi avvicinare anche le assi di legno impilate, coro
di fatica, di sudore, di dolore, di speranza, di amore.
Ma non sarebbero mon-umenti, se non am-mon-issero
a pensare che la Resistenza è proseguire il cammino
di coloro che scelsero la nuova Italia, quella in cui
si sta decisamente molto meglio di prima, come ha
superbamente scritto Luciano Pellicani in Novecento,
secolo del progresso; se non invitassero a pensare
che la ‘Non Resistenza’ è ‘indifferentismo’, come
lo chiamava Piero Calamandrei, l’alibi perfetto di chi
non pronuncia sfide, di chi non sta sveglio all’alba, per
scrutare le stelle di nuove battaglie sociali o etiche.
Resistenza, dunque, anche oggi, tessuta in mon-umenti
composti verso le ragioni dei più deboli, rocce
di patti giurati fra uomini liberi, riunitisi volontariamente,
fatti anche di legno o di burro, dal momento
che valgono entrambi più dell’oro.
francescavian@gmail.com
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Romano Bellissima
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Questo numero è stato chiuso il 31 maggio 2020