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Articolo 1 - Giugno 2020

La rivista ufficiale della Fondazione Nenni www.fondazionenenni.blog

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Il patrimonio della Fondazione Nenni


sommario | numero 1/2 - 2020

all’interno

4

l’editoriale Il saluto di Romano Bellissima,

nuovo Presidente della Fondazione Nenni

38

Gli effetti del Coronavirus sull’economia italiana

di Enrico Matteo Ponti

6

in copertina Una lezione per tornare

a crescere

di Enrico Matteo Ponti

44

Il prof. Tarro: ««Il Sars CoV2 si comporterà

come tutti i Coronavirus influenzali»

di Pierluigi Pietricola

8

12

16

22

26

28

CULTURA “Todeskampf der Freiheit”,

il libro di Nenni bruciato dai nazisti

di Antonio Tedesco

Una corsa contro il tempo tra passato e futuro

di Pierpaolo Nenni

I valori del 2 giugno... oggi più di ieri

di Pasquino il T...EMP...lare

CULTURA Politici d’esempio. Note

a margine di un carteggio

inedito fra Nenni e Pertini

di Pierluigi Pietricola

La giornata del filosofo…

di di Maurizio Fantoni Minnella

Rinsavite, squadristi digitali!

di Edoardo Crisafulli

50

56

63

64

70

74

An interview with Noam Chomsky

di Amedeo Ceresa Genet e Pierluigi Pietricola

La prof. Gismondo: «Meglio curare col plasma

iperimmune o con gli anticorpi monoclonali?

L’una cosa non esclude l’altra»

di Pierluigi Pietricola

Covid, più di tre milioni esclusi dalla tutela INAIL

di Long Johnn

Il finanziamento equilibrato della ripresa

di Franco Cavallari

Il lavoro al tempo del Coronavirus

di Grazia Maria Delicio

Cacciari: «L’emergenza da coronavirus

gestita con un’informazione pessima»

di Pierluigi Pietricola

32

Il prof. Puro: «Ecco le differenze e le similarità

fra il Sars CoV2 e la comune influenza»

di Pierluigi Pietricola

78

CULTURA Gli inconsolabili Palinuro

del primo giorno di pace

di Francesca Vian

Reg. Trib. di Roma n. 26/2017 del 23.02.2017

Anno V - Numero 1/2 2020 Chiusura giornale: 12 giugno 2020

DIRETTORE RESPONSABILE

Enrico Matteo Ponti

CAPOREDATTORE

Valentina Bombardieri

ART DIRECTOR

Federico Marcangeli

PROGETTO GRAFICO

Michele Pilla

COMITATO DI REDAZIONE

Giulia Clarizia, Pierluigi Pietricola,

Antonio Tedesco

REDAZIONE

Via Caroncini, 19 - Roma

info@fondazionenenni.it

Tel 06/8077486

EDITORE

Fondazione Nenni

In questo periodo di estrema

criticità la “Fondazione Pietro

Nenni” ha seguito con la dovuta

puntualità l’evolversi della

situazione, sia sotto il profilo

squisitamente clinico sia sotto

quelli sociali ed economici.

Ci piace, allora, risottoporre

parte di quanto sul tema Covid19

pubblicato sul blog dalla

fondazione ringraziando, ancora

una volta, i nostri collaboratori

per l’impegno e l’attenzione

profusa che non possiamo non

sottolineare essere stata particolarmente

apprezzata dalle

decine di migliaia di contatti,

dimostrazione evidente dell’apprezzamento

dei nostri lettori.

Enrico Matteo Ponti


4 l’editoriale

“riscoprire i valori”, il messag

della fondazione nenni, roma

Eletto il nuovo Presidente della Fondazione Pietro Nenni.

A Carlo Fiordaliso succede un’altra figura storica della UIL, Romano Belliss

to Mirabella Imbaccari degli anni ‘60”, pubblicato nel 2020), sindacalista di l

della UIL Pensionati fino al febbraio 2019 e Presidente Nazionale dell’Istituto

l’impegno profuso in questi anni e al nuovo Presidente gli auguri più sentiti

Pubblichiamo di seguito il messaggio di insediamento del nuovo Presidente

Assumere la presidenza della Fondazione

Nenni è per me un grandissimo onore.

Una fondazione che come uno scrigno

custodisce gran parte della storia del nostro

Paese e in modo più ampio e particolareggiato la

storia relativa al ventesimo secolo. Il secolo che

ha prodotto due conflitti mondiali, la rivoluzione

dei bolscevichi in Russia e molto altro, chiamato

il secolo breve proprio perché i maggiori accadimenti

sono concentrati nell’arco di 77 anni, dal

1914 al 1991. Contiene inoltre una preziosa e

vasta documentazione originale sulla storia del

Socialismo.

Vi si trovano le testimonianze dello straordinario

impegno dei socialisti italiani contro la dittatura

fascista, il protagonismo delle lotte per la liberazione

dell’Italia dall’occupazione tedesca, e il

grande impegno per la costruzione della Repubblica

Italiana. La costituzione del primo governo

di centrosinistra con l’ingresso dei Socialisti nella

compagine governativa e l’avvio di un processo

di riforme per l’ammodernamento, lo sviluppo

economico e sociale dell’Italia. La fondazione

custodisce documenti unici di straordinario valore

storico e politico che dimostrano, fra l’altro, la

totale dedizione di uomini come Pietro Nenni,

Sandro Pertini e molti altri che seppero mettere la

loro azione, il proprio impegno al servizio del socialismo

per la democrazia e la libertà dell’Italia,

pagando per questo prezzi personali e familiari

altissimi. Personalmente metterò il massimo

impegno affinché chiunque e soprattutto i giovani,

attingano da questo scrigno la conoscenza, il

valore, la nobiltà degli ideali della politica, quella

con la P maiuscola, che sa promuovere lo sviluppo,

la giustizia, l’equità. Che sa perseguire il

bene comune e non i propri interessi. Sono certo

che con l’impegno e la collaborazione dell’intero

di romano b


5

gio del nuovo presidente

no bellissima

ima. Siciliano, socialista, scrittore (l’ultimo libro “A Mangiatura, vi racconungo

corso, Romano Bellissima è stato Segretario generale della UILCEM,

di Patronato ITAL-UIL. A Carlo Fiordaliso, un grande ringraziamento per

per un buon lavoro.

, Romano Bellissima.

ellissima

CdA, dei volontari e collaboratori, riusciremo a

portare ancora più in alto l’immagine, la notorietà

e la diffusione della Fondazione Nenni. C’è oggi

un grandissimo bisogno di riscoprire i valori della

solidarietà, del riformismo socialista e laico per

ricostruire l’identità nazionale, che, si badi bene,

non vuol dire e non vuol essere il perseguimento

del pensiero unico, il pluralismo ideale e politico

sono la garanzia fondamentale della democrazia

e va preservato sempre, ma il riconoscersi in

alcuni valori comuni fanno la differenza tra un

popolo e un insieme indistinto di individui.

Un ringraziamento sincero lo voglio rivolgere a

chi mi ha preceduto in questo ruolo. Grazie per

aver gestito la Fondazione con amore e competenza,

per l’impegno profuso e per aver contribuito

all’ulteriore arricchimento della documentazione

e dei testi della fondazione. Un ringraziamento

particolare lo voglio rivolgere a Carlo Fiordaliso,

storico sindacalista della Uil e compagno Socialista

di sempre; grazie a Doriana Silvestri per

la sua preziosa collaborazione e un grazie ad

Antonio Tedesco e ad Alessandro Giacone per il

loro impegno e per aver pubblicato “Anima Socialista”,

un libro che raccoglie la corrispondenza

tra Nenni e Pertini dal 1927 al 1979, arricchendo

la conoscenza di particolari inediti che riconfermano

la grandezza storica e umana di due grandi

Socialisti italiani. Un grazie voglio riservare a

tutti i giornalisti e a tutti gli scrittori che con i loro

articoli impreziosiscono il nostro blog e la nostra

rivista che, sotto la direzione di Enrico Matteo

Ponti, hanno raggiunto notevolissimi livelli di

apprezzamento da parte dei lettori il cui numero e

la cui attenzione sono in continua crescita.

Infine un ringraziamento sentito alla Uil per l’attenzione,

il sostegno e collaborazione che dedica

alla Fondazione Pietro Nenni.


6 beni culturali

Una lezione per to

Facebook.com/FondazioneNenni

www.fondazionenenni.blog


7

rnare a crescere...

In questo momento di emergenza

occorre ripensare al massacro

del welfare perpetrato negli anni

Sanità, scuola, prevenzione, ricerca,

corruzione, evasione fiscale,

criminalità: queste le battaglie

che ci vedranno in prima linea

di Enrico Matteo Ponti

In questo lungo, incredibile, amaro

tempo di pandemia, la Fondazione

Nenni attraverso il proprio

blog ha seguito l’evolversi della situazione

sia sotto il profilo clinico sia

sotto quelli del lavoro, dell’economia

e delle più complessive ricadute sui

diversi aspetti socio-politici del nostro

Paese.

Premesso un doveroso “grazie” ai

giornalisti e a tutti coloro che con i

loro preziosi contributi hanno consentito

di essere sempre in prima fila

nell’approfondire queste tematiche,

oggi riteniamo utile rivisitare con i

pezzi più significativi il periodo che

speriamo di poter affermare essere alle

nostre spalle pur se, intelligenza vuole,

non si debba ancora, e mai, abbassare

la guardia.

Un periodo che, per uno strano gioco

del destino, ha attraversato alcune delle

ricorrenze per noi particolarmente

importanti: il 25 aprile, il Primo maggio

e il 2 giugno.

Ricorrenze, queste, alle quali abbiamo

voluto riservare la massima, dovuta

attenzione convinti che la forza della

memoria degli avvenimenti che queste

date rappresentano per noi sono,

oggi e sempre, la linfa per continuare

a crescere e l’energia per affrontare e

superare i problemi.

Sarebbe, però, riduttivo non riflettere

sulla lezione che ci è stata impartita da

Madre Natura. La distruzione del welfare

messa in atto da troppi governi attraverso

il massacro degli investimenti

in sanità, scuola, ricerca, prevenzione,

impone un radicale ripensamento delle

politiche per restituire ai cittadini la garanzia

di poter fruire di servizi pubblici

di qualità, evitando che più o meno

dichiarati processi di privatizzazione

forniscano terreno fertile non solo alle

situazioni di evidente eccezionalità ma

anche a quelle di quotidiana normalità.

Dover attendere mesi per una TAC o

per un intervento chirurgico, continuare

a comprimere i nostri ragazzi in

classi pollaio di trenta e più allievi, annichilire

i nostri giovani con procedure

per l’ottenimento di dottorati al limite

del risibile tanto da obbligarli, molto

spesso, ad espatriare per ottenere il

giusto riconoscimento alle loro capacità

e al loro impegno, sono le prime

battaglie che da oggi dovranno tornare

vederci, ancora di più che in passato,

in prima linea.

A tale proposito, giova anche ricordare,

come non sia certo un caso, che da

quando sciagurate politiche di affievolimento

degli investimenti pubblici

nei su richiamati settori, con evidenti

effetti sull’occupazione, sui consumi

sul mercato interno e su un benessere

diffuso, l’Italia è precipitata nella classifica

dei paesi più industrializzati

Battaglie che dovranno avere come

nemici da battere anche la corruzione,

l’evasione fiscale, la criminalità

organizzata che, grazie a complicità e

correità o solo a miseri, distratti silenzi,

drenano quelle immense risorse che

devono, invece, trovare più giuste ed

adeguate destinazioni considerate anche

le ricadute sulla crescita del nostro

Sistema Paese.

Noi questa battaglia continueremo a

farla grazie al sostegno dei tanti che

condividono i nostri stessi ideali di solidarietà,

giustizia sociale, tutela di tutti

i diritti e dei diritti di tutti.

L’attualità di questi valori non passa

col passare del tempo ma, anzi, il passare

del tempo li rafforza. Un impegno,

questo, che dobbiamo alla nostra

dignità, al rispetto del nostro passato,

alla difesa del nostro futuro.


8 beni culturali

Todeskampf d

Il libro di Nenni br

Agonia della libertà messo al rogo il 10 maggio


9

er Freiheit

uciato dai nazisti

1933 da Hitler insieme ad altre 50mila opere

di Antonio Tedesco

Nel maggio del 1933 Hitler è al potere da pochi mesi ma ha

già varato le prime leggi antiebraiche, sciolto tutti i partiti,

favorito arresti e repressioni e costruito un clima di violenza

e di terrore. Hitler è l’uomo solo al comando e il suo progetto

totalitarista procede in modo spedito anche sul piano antisemitico

e culturale. Con un gesto fortemente evocativo il 10 maggio del

1933, giovani studenti nazisti, sotto l’accorta regia del ministro della

propaganda nazista Goebbels, bruciano a Berlino e in altre città

tedesche, le opere di autori ebrei e di politici, scrittori, giornalisti

e scienziati non allineati all’ideologia nazista[1]. Ben 50.000 libri

vanno in fumo. In mezzo ai libri di Marx, Freud, Einstein, Brecht,

Mann, Kafka, Hesse, Zola e Joyce ed altri centinaia di autori, nei

roghi del 10 maggio brucia anche il libro Todeskampf der Freiheit,

scritto dal segretario del Partito socialista italiano Pietro Nenni[2].

Il libro di Nenni aveva suscitato un grande interesse in diversi Paesi

europei agli inizi degli anni Trenta. Turati aveva definito l’opera

«una narrazione suggestiva, commovente e densa di contenuti, una

preziosa documentazione che risale all’inizio del regime fascista»[3].

Todeskampf der Freiheit, che tradotto significa Agonia della libertà,

è la versione in tedesco di Six ans de guerre civile en Italie, stampato

in Francia nel 1930, forse l’opera più originale di Pietro Nenni.

Nel 1930 il leader faentino ha quasi quarant’anni[4], ed ha sempre

accompagnato alla lotta politica un’intensa attività pubblicistica ed

editoriale. È un giornalista di razza[5] e uno scrittore sopraffino.

Queste sue doti da una parte lo hanno aiutato a sbarcare il lunario e

a sostentare la numerosa famiglia – moglie e quattro figlie – durante

l’esilio francese, dall’altra gli hanno fatto guadagnare notorietà, fino

a diventare, in breve tempo, una delle figure più note del socialismo

europeo e dell’internazionale socialista. Dopo anni di sofferenze e

delusioni, nel 1929-1930 ottiene grandi successi sia nel campo politico

che nel campo professionale ed editoriale. La sua battaglia per

l’unità socialista è vinta: Psi e Psu si uniscono sotto la sua spinta[6].

Nel campo professionale, invece, grazie alle amicizie con la sinistra

francese inizia a collaborare con alcuni giornali come il francese

Quotidien e il belga Le Soir[7] e pubblica diversi libri, tra

cui Six ans de guerre civile en Italie nel 1930.

»


10 beni culturali

Il libro compone, insieme a Storia di

Quattro anni, censurato dal regime fascista

nel 1926, pochi giorni dopo l’uscita[8]

e La lutte de classes en Italie[9],

la trilogia del Nenni “storico”, che attinge

dalla riflessione storiografica una

base importante su cui costruire e da

cui muovere nel presente e per progettare

il futuro[10].

Six ans de guerre civile en Italie ha

un grande successo anche in Olanda,

con il titolo Zes Jaren Burgeroorlog

in Italië[11], con la prefazione di J.F.

Ankersmit e, come abbiamo visto, in

Germania con il titolo Todeskampf

der Freiheit e una copertina molto

evocativa con Giacomo Matteotti in

alto, radioso ed immortale e Mussolini

in basso nella sua posa più nota, quasi

caricaturale: con le braccia ai fianchi, il

mento e il petto sporgenti, il Fez e la

divisa fascista.

Il libro raccoglie il lungo racconto a puntate apparso sul giornale

belga Le Soir nel 1929 dove Nenni aveva rievocato la sua giovinezza

turbolenta e le comuni imprese e lotte con Mussolini, un

tempo figlio del popolo, che amava la libertà, poi divenuto dittatore

d’Italia, «uomo di una frazione reazionaria e assassino della

libertà»[12]. Gli articoli di Nenni sul giornale avevano suscitato

subito un grande interesse presso il pubblico francese. Il futuro

Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat raccontò allo storico

e biografo di Nenni Giuseppe Tamburrano, che il racconto

a puntate fece aumentare le vendite del giornale boulevardier

da 10.000 a 100.000 copie[13]. La prima puntata, che uscì nelle

edicole francesi e belghe venerdì 13 settembre 1929, provocò

l’immediato intervento dell’autorità italiane presso il giornale

per interrompere la serie delle puntate, come riportato dal

giornale della concentrazione antifascista La Libertà del 15 settembre.

I socialisti avevano plaudito all’iniziativa. Il patriarca del

socialismo Turati, il 18 settembre del 1929 aveva chiesto a Pietro

Nenni di inviargli tutte le puntate del racconto[14]. I comunisti,

invece, strumentalmente avevano utilizzato quel racconto per

denigrarlo[15]. Nonostante le intimidazioni, il racconto continuò

ad appassionare migliaia di lettori anche in Germania dove

venne pubblicato, alla fine del 1929 in trenta puntate sul giornale

socialdemocratico tedesco Vorwarts[16].

Nel libro Six ans de guerre civile en Italie, Nenni racconta la

sua giovinezza di agitatore repubblicano, l’amicizia e il carcere

con il socialista Mussolini – a giocare alle carte, a leggere Sorel

e a fare progetti per l’avvenire – , descrive da testimone e protagonista,

l’Italia del primo dopoguerra, delle speranze, delle illusioni

e delle amarezze; l’Italia nel mezzo della guerra civile, con

Mussolini barricato nella redazione del suo giornale, Il Popolo

d’Italia, tra baionette, bombe e filo spinato dappertutto: «Ci si

crederebbe ad un posto di blocco al fronte, non nella redazione

di un giornale»[17]. Di grande pathos l’ultimo incontro con

Mussolini a Cannes nel 1922 (Ultimo incontro al bivio del destino),

e il racconto della giovinezza del Duce: «La giovinezza di

Mussolini fu tumultuosa. Era un ragazzo

di intelligenza precoce, d’un carattere

vivace, ma brutale nella sua selvatica

timidezza. Si compiaceva in lunghe

letture solitarie, senza pertanto amare

la scuola[18]. […]La solitudine era la

sua forza. All’infuori del suo ambiente,

non aveva né relazioni, né amicizie.

Tra lui e il mondo di fronte, – il mondo

dei borghesi, il mondo ufficiale, – vi era

un abisso. Le considerazioni mondane

e sentimentali non contavano per lui.

Plebeo era e pareva volesse restare, ma

senza amore per le plebi. Negli operai

ai quali parlava non vedeva dei fratelli,

ma una forza, un mezzo, del quale potrebbe

servirsi per rovesciare il mondo.

Benché avesse un fondo mistico – forse

ereditato dalla madre – era violentemente

antireligioso»[19].

È un libro scritto per far conoscere agli

europei il vero Mussolini, che Nenni ha conosciuto bene, e soprattutto

quello che realmente è accaduto in Italia lontano dalla

retorica fascista. Il racconto scorre e si sofferma, con pagine

molto evocative, sul biennio rosso, sugli errori del Partito socialista,

sulle atrocità fasciste, sulle aggressioni (Ghirelli, Consolo,

la redazione dell’Avanti!) e gli omicidi politici (Amendola, Pilati,

Matteotti[20]). Un libro scomodo per Mussolini che si specchia

nella sua giovinezza, nei suoi trascorsi contraddittori: da socialista

combatte la massoneria, poi se ne serve per andare al potere

e infine la perseguita.

In Six ans de guerre civile en Italie Nenni appare meno certo

dell’immediata fine della dittatura in Italia: «Avventure come

quella del fascismo riescono difficilmente, ma quando si sono

assicurate le necessarie complicità[21], possono durare per molti

anni.[…] Che il fascismo sussista ancora per cinque o per dieci

anni, questo sarebbe terribile per noi, terribile per tutti coloro

che muoiono nelle prigioni. […] Storicamente però il fascismo

è condannato».

Nenni ripone molta fiducia nel popolo italiano, vittima e non

complice del fascismo, che ha pagato con il sangue la sete di

libertà. Nell’ultima parte del libro (Lettera aperta ai miei lettori)

lancia un messaggio di speranza e conclude fiducioso: «L’italia

sarà libera. Con quali mezzi nessuno può prevederlo. Ma la storia

ci insegna che tutte le tirannie crollano, vittime dell’illusione

che basta crocifiggere il pensiero per dominarlo. Quando in un

Paese la sottomissione sembra essere assoluta, è allora che sorge

Spartaco. E allorché un combattente cade nella lotta, altri sono

pronti a prendere il suo posto. Così di anno in anno si rafforza,

invece di affievolirsi, la falange dei pionieri della libertà. Niente

si dimentica. Tutto si paga».

Il libro finito tragicamente nei roghi nazisti del 1933 venne stampato

in Italia nel 1945 con la traduzione della figlia Giuliana, che

si firmò con il cognome della mamma “Emiliani”[22].

Quasi ottant’anni dopo gli incendi, il 22 maggio del 2020, il libro

verrà celebrato nella piazza di Potsdam in Germania, per rispettare

il monito di Nenni: «Niente si dimentica».


11

note a margine

[1] Su questo argomento si segnala un bell’articolo della

Prof.ssa Anna Foa sull’Avvenire del 9 agosto 2009.

[2] Nei roghi finirono anche i libri degli italiani Silone e

Nitti.

[3] L’apprezzamento di Turati compare nella prefazione ad

un altro libro di Nenni, pubblicato in Francia nel 1930, La

lutte de classes en Italie, Paris, Editions de la Nouvelle Reveu

Socialiste.

[4] Nato a Faenza il 9 febbraio del 1891.

[5] Paolo Spriano, giornalista de L’Unità, definì nel 1977

Pietro Nenni “il più grande giornalista del secolo”. Le battaglie

di Nenni, L’Unità, 25 maggio 1977. Per uno studio

sul Nenni giornalista e scrittore, si segnalano gli articoli della

Prof.ssa Francesca Vian sul Blog della Fondazione Nenni,

molto utili per conoscere il linguaggio politico di Nenni

e l’esaustivo articolo Giornalista per settant’anni di Vittorio

Emiliani su Mondoperaio sul numero di febbraio 2010.

[6] Il congresso di Grenoble del 16-17 marzo 1930 sancì

anche l’uscita dei massimalisti guidati da Angelica Balabanoff.

[7] La collaborazione con il giornale durò fino al 30 aprile

1931, probabilmente interrotta a causa delle cattive condizioni

economiche in cui versava la testata belga.

[8] Libro ristampato dall’editore Daniele Repetto nel 2020:

Pietro Nenni, Il Diciannovismo, come l’Italia divenne fascista,

Harpo Edizioni. Forse il libro più noto di Nenni,

ispirato da Gobetti e stampato, pochi giorni prima dell’avvento

delle leggi fascistissme, dalla Casa Editrice di Rosselli

“Quarto Stato”. Quasi tutte le copie furono subito ritirate

dal mercato e distrutte.

[9] Il libro uscì in Francia nel 1930, edito da Edizioni Nouvelle

Revue Socialiste, Biblioteque de Documentation Sociale,

con la prefazione di Filippo Turati. L’uscita del libro

era stata annunciata all’interno del volume Six ans de guerre

civile en Italie. Il libro verrà stampato in Italia solo nel 1986

con la traduzione dal francese all’italiano di Fausta Filbier,

con la casa editrice SugarCo per iniziativa dell’Istituto Internazionale

Pietro Nenni.

[10] Pietro Nenni, La lotta di classe in Italia, SugarCo Edizioni,

1987, introduzione di Fausta Filbier, pag. 7.

[11] Il libro venne pubblicato dalla casa Editrice N.V. De

Arbeiderspers di Amsterdam.

[12] Pietro Nenni, Vent’anni di fascismo, a cura di Gioietta

Dallò, Edizioni Avanti!, 1965, pag. 160 (Capitolo: Sei anni

di guerra civile).

[13] Giuseppe Tamburrano, Pietro Nenni, Editori Laterza,

1986, pag. 101. Quella di Giuseppe Tamburrano è senz’altro

la biografia più accurata del leader socialista.

[14] Cfr Archivio storico Fondazione Pietro Nenni, Fondo

Nenni, Busta 14, Fascicolo 902, lettera di Filippo Turati a

Pietro Nenni, 18.09.1929.

[15] Nonostante il movimento comunista internazionale

cercò di denigrare, sin dalla fine degli anni Venti i socialisti,

definiti prima “socialtraditori” e poi “socialfascisti”, Nenni

(tra i principali bersagli) si batté sempre per l’unità delle

forze antifasciste.

[16] Che in tedesco significa Avanti!. Infatti il quotidiano

del Partito socialista italiano fondato nel 1896 prese il

nome proprio dall’omonimo quotidiano tedesco Vorwärts,

organo del Partito Socialdemocratico di Germania, fondato

nell’ottobre del 1876.

[17] Pietro Nenni, Vent’anni di fascismo, a cura di Gioietta

Dallò, op. cit., pag. 38 (Capitolo: Sei anni di guerra civile).

[18] Ibidem, pag. 23.

[19] Ibidem, pag. 30.

[20] Pietro Nenni tra il 1924 e il 1926 scrisse tre opuscoli

sull’uccisione di Matteotti (due dei quali sono oggi introvabili),

prendendo due condanne, la prima a 6 mesi di carcere,

poi amnistiati, la seconda gli procurò diverse settimane di

reclusione (marzo-maggio 1926).

[21] Pietro Nenni fa riferimento, come in diversi passaggi

del libro, alla Chiesa e alla Monarchia.

[22]Edito da Rizzoli, uscì con una copertina simile a quella

del libro Todeskampf der Freiheit, stampato in Germania

nel 1930 con Matteotti in alto e Mussolini in basso (questa

volta in abiti civili mentre fa un proclama). Per quanto

riguarda altre edizioni italiane del volume si segnala che nel

1965 le Edizioni Avanti! pubblicarono lo scritto nella raccolta

Pietro Nenni, Vent’anni di fascismo, a cura di Gioietta

Dallò (il libro raccoglie anche Pagine di Diario e Taccuino

1942 ). La curatrice, nell’introduzione (a pag. 7) alla raccolta,

sottolinea che lo scritto pubblicato, presenta alcune

differenze rispetto alla prima edizione italiana: «Di Sei anni

di guerra civile si sono riscontrate sulle fonti originali, e

restaurate secondo l’esatta lezione, le citazioni talvolta imprecise

perché riportate a memoria o da fonti incomplete

all’atto della prima stesura: le fonti sono ora indicate in

nota».


12 beni culturali

2 giugno 1946

Una corsa contro

tra passato e futu


13

di Pierpaolo Nenni

Fu lo scontro tra due visioni contrapposte.

L’Italia del futuro contro l’Italia della conservazione.

Fu anche una corsa contro il

tempo. Da un lato il fronte monarchico che rialzava

la testa vendendo cara la pelle, dall’altro l’onda

emotiva della resistenza che sembrava esaurirsi di

fronte ai soliti errori della sinistra e allo sfilacciamento

delle alleanze internazionali che avevano

sconfitto il nazifascismo. Scrive Governi: “il tempo

logorava la battaglia repubblicana, erodeva i

margini del consenso della sinistra, che era stato

grandissimo dopo la Liberazione. A mano a

mano che il filo della “continuità” si irrobustiva,

diventava una corda intorno al collo della rivoluzione

democratica”.

Come già avvenuto dopo la I guerra mondiale, i

partiti di sinistra facevano di tutto per presentarsi

agli elettori con un volto poco rassicurante: promettevano

epurazioni (ma poi Togliatti ripiegava

in sull’amnistia), creavano disordini, praticavano

vendette sommarie e guardavano affascinati all’Unione

Sovietica facendo apparire l’opzione repubblicana

come l’anticamera per la rivoluzione.

Nell’incertezza di tale scenario, si inserisce la Democrazia

Cristiana, erede della gloriosa tradizione

del Partito Popolare, con una strategia politica

ambigua (a anche un po’ cinica) volta alla massimizzazione

di un consenso quanto più trasversale

possibile, ammettendo il voto disgiunto D.C.-

Monarchia / D.C. – Repubblica e proponendosi

come baluardo della stabilità del Paese.

Si vota per la prima volta dopo 25 anni e la delicata

partita tra Monarchia-Repubblica si incrocia

con quella altrettanto fondamentale dell’elezione

dei rappresentanti all’Assemblea Costituente

dove si disegneranno gli assetti futuri del Paese.

Pietro Nenni in questa battaglia ci mette il cuore,

la testa e la faccia. E’ la sua battaglia ed il 2 giugno

è la “sua” giornata. È sempre stato repubblicano.

Fin da bambino aveva assistito ai soprusi, alle

violenze e alla profonda ipocrisia della

monarchia sabauda (e di un certo parasil

tempo

ro

»


14 beni culturali

sitismo della nobiltà ad essa legata). La fiducia

nella ragione si scontra con l’istinto dell’animale

politico.

L’abdicazione di Vittorio Emanuele III a favore

del figlio Umberto è il colpo di teatro, l’estremo

tentativo di salvare l’istituzione monarchica e ripristinarne

un briciolo di credibilità. Man mano

che passano i giorni e ci si avvicina al 2 giugno,

il vantaggio dei sostenitori della repubblica si assottiglia.

Nonostante il sostegno al fascismo, il

tradimento degli italiani (e di Mussolini), la guerra

e il tracollo economico, la monarchia preserva

ancora un certo fascino in un Paese fiaccato dalla

guerra, spaventato, rancoroso, con una popolazione

ridotta alla fame e un crescente conflitto

sociale.

Anche la memoria vacilla diventando pericolosamente

selettiva. Ed ecco che la monarchia viene

percepita come un’istituzione rassicurante in un

mondo che cambia ad una velocità per molti inquietante:

è un ostacolo per la costruzione del

futuro, ma si sa, gli italiani a parole cercano il

cambiamento ma nei fatti tendono a preferire la

strada vecchia all’ignoto. E Nenni, mentre attende

in casa – in un tempo sospeso e lunghissimo

– i risultati che verranno proclamati solo il 6 giugno

dalla Corte di Cassazione, sa che l’esito non

è affatto scontato.

Ma questo referendum è anche il primo a suffragio

universale maschile e, soprattutto, femminile.

La partecipazione delle donne al voto è un elemento

dirompente in grado di modificare gli

equilibri politici e conseguentemente i risultati

del voto: le donne sono state le grandi protagoniste

della resistenza e hanno finalmente preso

coscienza della propria forza. La vittoria della

Repubblica è senza dubbio una vittoria delle

donne. E senza donne al voto la Repubblica non

avrebbe vinto.

La nuova Italia è repubblicana, ma soprattutto

poggia le sue basi sull’uguaglianza di genere e

delle classi sociali.

Le prime donne entrate in Parlamento non tradiscono

queste speranze. Sono soprannominate

“Madri Costituenti”: Laura Bianchini, Elisabetta

Conci, Filomena Delli Castelli, Maria De Unterrichter

Jervolino, Maria Federici Agamben, Angela

Gotelli, Angela Maria Guidi Cingolani, Maria

Nicotra Verzotto, Vittoria Titomanlio (DC ),

Adele Bej Ciufoli, Nadia Gallico Spano, Nilde

Jotti, Teresa Mattei, Angiola Minella Molinari,


15

* Articolo 1

L’Italia è una Repubblica democratica,

fondata sul lavoro. La sovranità appartiene

al popolo, che la esercita nelle forme

e nei limiti della Costituzione.

* Articolo 2

La Repubblica riconosce e garantisce i diritti

inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle

formazioni sociali ove si svolge la sua personalità,

e richiede l’adempimento dei doveri

inderogabili di solidarietà politica, economica e

sociale.

* Articolo 3

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono

eguali davanti alla legge, senza distinzione di

sesso], di razza, di lingua di religione di opinioni

politiche di condizioni personali e sociali.

Rita Montagnana Togliatti, Teresa Noce Longo,

Elettra Pollastrini, Maria Maddalena Rossi (PCI),

Angelina Merlin e Bianca Bianchi (PSIUP ) e Ottavia

Penna Buscemi (Uomo Qualunque).

Vorrei ringraziarle e dedicare loro questa giornata

di festa.

La Costituzione più bella del mondo, la nostra

Costituzione, non fa altro che codificare le aspirazioni

ed i valori che hanno portato alla vittoria

del 2 giugno.

Ai nostalgici della monarchia illuminata, delle

élite al potere, dell’uomo forte contro la democrazia

che non decide, a coloro che vorrebbero

eliminare i corpi intermedi, le opinioni diverse da

loro perché così “si perde efficienza”, semplificare

la complessità del mondo reale cancellandola

con un tratto di penna (e magari qualche goccia

di olio di ricino), vorrei ricordare che quando

queste istanze si sono realizzate non è andata affatto

bene.

Sebbene imperfetta, la nostra amata Repubblica

è la cosa migliore sia mai capitata in Italia. Suggerisco

loro di leggere IL DICIANNOVISMO

di Pietro Nenni di fresca ristampa (HARPO ed.).

Scopriranno che prima non si stava meglio, ma

molto peggio. E sono grato al mio antenato e

al coraggio di tanti uomini e donne che hanno

lottato insieme per donarci un grande progetto

di libertà e democrazia

La straordinaria visione espressa dai Padri (e Madri)

costituenti nei Principi fondamentali ci abbraccia

con un impeto che ci emoziona ancora

oggi, per lungimiranza, modernità e ambizione.

I primi tre articoli sono la bussola che ci guida

in un lungo cammino, l’evoluzione degli italiani

da sudditi del Re a cittadini della Repubblica (vedi

qui a lato).

Andrebbero ricordati ogni giorno, quando la

sensazione della pochezza del dibattito politico

ci getta nello sconforto e nella tentazione di facili

soluzioni dagli esiti disastrosi. Lo spirito del 2

giugno ci offre gli strumenti per capire chi siamo,

prenderci le nostre responsabilità e riprendere in

mano i nostri destini per traghettarli verso una

società più giusta dove uguaglianza, benessere

materiale e spirituale sono legati imprescindibilmente.

Sono valori assoluti, non negoziabili, che tutti

noi, a prescindere dalle nostre identità o preferenze

politiche, siamo obbligati a difendere.

W la Repubblica, W l’Italia, W il 2 giugno.


16 in copertina

I valori del 2 giugno... oggi

di Pasquino il T...EMP...lare


17

più di ieri

A quello che c’ha ancora nostalgia

de quer rottame che chiama monarchia

je chiedo solamente un piccolo favore

semplicemente ma co’ tutto er core

“Vatte, te prego, a rileggéte la storia

vattelo a fa’ un ber bagno de memoria

che fu proprio quella perfida genìa

che ar fascismo vilmente apri la via

che sprofondò er Paese in coma

complice imbelle della marcia su Roma …

E delle leggi razziali nun te l’aricordi?

Nate dai miserabili abietti accordi

con quell’altra assassina dittatura

che ar monno regaló morte e paura

Finché quanno che je se complicó la vita

coraggiosamente a Brindisi andorno… In gita

Quarcuno dice che scapparono vilmente

anche si… molto molto nobilmente

Fa’ ‘n po’ come te pare ma la fuga fu “reale”

mentre la gente vera che c’aveva ‘na morale

inizió una lunga e dura resistenza

pe’ ritrova’ della dignità l’essenza

Pe’ fortuna poi arivo’ er Due Giugno

che secco come un forte pugno

riaprì er libro della democrazia

e alla ricostruzione dette er via

Oggi quello spirito dovemo ritrova’

riscoprenno insieme la solidarietà

e tutti quei valori veri e umani

che ce fanno orgogliosi d’essere Italiani


18 in copertina

La Fondazione Nenni

per il Primo Maggio

di Enrico Matteo Ponti

Disoccupati

Io sono un macellaio

io sono una segretaria

Io sono un perito industriale

io sono un’infermiera

Io sono una ricercatrice

io sono un falegname

Io sono una commessa

io sono un cuoco

Io sono un chimico

io sono una psicologa

Non facciamo

siamo

perché siamo…disoccupati

Ma se un filo di profitto

O un attimo di straordinario

si sottraessero

e trasformandosi si sommassero

in una volontà vera di cambiare

almeno un po’

l’egoismo in solidarietà

forse qualcuno

potrebbe smettere di essere

e potrebbe iniziare a fare

E l’urlo di chi lavora e protesta

perché convinto di pagare troppe tasse

o perché poco gli appare il suo salario

sembrerà un sospiro

al confronto dell’urlo di chi non lavora

quando la dignità e la rabbia

spazzeranno le dighe

dell’attesa e della pazienza


19

Primo maggio (aspettando che torni

presto ad essere un “Buon…”)

Cent’anni esatti fa

seguendone infinite

e tante precedendone

fu fatta scoppiare

una ignobile

meschina

violenta guerra

Un veramente “grande”

adesso sì ci vuole

l’aggettivo giusto

pensandosi

e pensando a quanti come lui

erano al fronte

così chiamato ché si ha la morte in fronte…

Scrisse

“si era

come d’autunno

sugli alberi le foglie”

S’oggi potesse

riprendere la penna

l’Ungaretti

e altri uomini

e altre donne

manderebbe il suo pensiero

Uomini

e donne

che combattono la guerra del lavoro

o del non lavoro

o dello sfruttamento del lavoro

Combattenti

con divise diverse

eppure troppo uguali

Disoccupati

precari

esodati

sfruttati

Lavoratori in nero

o con contratti congelati

e poco o niente rispettati

Foglie dell’albero dei diritti

che qualcuno

sta aspettando

segando

di veder cadere

Foglie che invece noi

con la linfa della solidarietà

degli ideali

e con la grinta della dignità

siamo certi che torneranno presso a rinverdire

per potere finalmente

ancora dire

“Buon Primo maggio, lavoratori

di questo e d’ogni mondo”

Da “L’Acqua dell’ultimo mare”

Bibliotheka Edizioni


20 in copertina

Ecco er gilet arancione...

Quanno se dice che

nun se famo mancà niente

Se so’ trovati coi gilet arancione

urlando che er virus è tutta ‘n’invenzione

e mó dietro a ‘n vecchio generale

già condannato da un vero tribunale

che decaduto da sottosegretario

da allora de tutti è acerrimo avversario

A capo der Movimento Liberazione Italia

pure ai forconi in rivolta fe’ da balia

mentre candidato in Umbria come presidente

ottenne un risultato assai avvilente:

zero virgola spicci de monnezza

587 voti in tutto… che amarezza!

Oggi abbaia scordannose le migliaia de morti

che stanno a dimostra’ tutti i suoi torti

Le lacrime e le bare l’avemo viste tutti

dire che so’ farsità è da farabutti

Figli mogli fratelli ancora a soffri’ stanno

mentre quarcuno rimesta nell’inganno

Senza pietà e nimmanco vergogna

continua a urla’ la solita menzogna

Pe’ me potete puro anna’ alla gogna

così finirà … er puzzo della fogna!

di Pasquino il T...E


21

Verso il ritorno

alla fase... vita

MP...lare

Puro si mó potemo torna’ ar mare

nun se dovemo mai dimenticare

quello ch’avemo appena passato

quello che sortanto ieri è stato

Vabbè birette ma senza fini’ sbronzi

Nun famo la finaccia di quei gonzi

Che de sapiens nun c’hanno più niente

quelli che so’ la specie la più deficiente

Nun cercamo scuse o farsi appigli

pe’ fa’ la movida ar centro o alli navigli

chè ‘sto virus maledetto e stracornuto

nun è ancora nè passato nè battuto

Chè se semo rotti de fa’ le condojanze

de senti’ le sirene dell’autambulanze

Pe’ riapri’ le porte alle speranze

pe’ potecce gode’ belle vacanze

pe’ torna’ a fa’ cresce’ le finanze

nun se famo prenne dalle circostanze

senza cazzeggia’ co’ bevute e danze

seguimo solo le sane e giuste usanze

nun dovemo pecca’ nell’arroganze

praticamo ancora le antiche usanze

de mantene’ le giuste distanze

Solo così torneremo a senti’ della vita… le fragranze


22 in copertina


23

Politici d’esempio. Note

a margine di un carteggio

inedito fra Nenni e Pertini

“Anima socialista” racconta due protagonisti del ‘900

di Pierluigi Pietricola

Araccontarla, parrebbe una

storia scritta da Tommaso

Landolfi o Dino Buzzati.

Eppure si tratta di un fatto realmente

accaduto.

In fondo a una valigia ricevuta in

eredità, aperta dopo anni, si scopre

un doppiofondo. Lo si solleva e

sotto vi sono contenute delle carte.

Sfogliandole, ci si rende conto che

non si tratta solo di appunti o note

presi a margine di svariate occasioni,

ma di un vero e proprio carteggio.

Inedito e preziosissimo, fra due

grandi protagonisti della storia del

Novecento: Pietro Nenni e Sandro

Pertini. A fare questa scoperta, la

nipote del grande leader socialista.

Un epistolario che oggi tutti possono

leggere, perché collazionato nel

volume a cura di Antonio Tedesco e

Alessandro Giacone, Anima socialista.

Nenni e Pertini in un carteggio

inedito (1927-1979).

Cosa si scopre da queste lettere?

Certamente nulla di nuovo rispetto

a quanto già non si sapesse sui due

grandi uomini politici e sui loro rapporti,

così improntati alla polemica

ma sempre sinceri e mai privi di

stima. La novità, semmai, consiste

nell’esempio che due figure come

quelle di cui si discorre possono fornire

a un panorama politico desolante

come è quello contemporaneo.

Tanto Pertini quanto Nenni furono

uomini che mai rinnegarono la loro

appartenenza ideologica, alla quale

però non pretesero di piegare la

realtà, soprattutto in situazioni complesse

e delicate come le tante che

l’Italia ha affrontato nella seconda

metà del Novecento.

“Caro Pietro, ancora una volta stamani

ho visto prevalere in te il tuo

lato negativo e cioè quello di minimizzare.

(Ne hai tanti positivi che

non deve adombrarti se io metto in

luce questo tuo lato negativo…)”.

“Caro Sandro, Ho letto stamani

nell’Avanti con sorpresa e rammarico

l’attacco a Missiroli che mi è sembrato

del tutto sproporzionato alla

causa apparente che lo ha determinato…

Non mi pare giusto né producente.

Cordialmente, Tuo Nenni”.

Due sintetici esempi – tanti altri potremmo

estrapolarne da questo carteggio

– ma emblematici di come, un

tempo, si intendeva la politica anche

nei rapporti personali, intrecciati fin

quasi a coincidere – ma senza mai

confondersi – con quelli istituzionali.

La sincerità di un’idea, di una convinzione

che non sempre dovevano

o potevano trovare conforto nell’interlocutore.

Era il polemos, padre di tutte le cose

come diceva Eraclito, che si andava

cercando per far sì che un nuovo ordine,

più dinamico e meno melmoso,

potesse nascere e dar vita a periodi e

stagioni sempre più produttivi. Nenni

e Pertini incarnavano tutto ciò.

E in questo consiste la loro grande

personalità, la forza dei rispettivi caratteri.

Animi, i loro, mai inclini a compromessi

e che li posero di fronte a situazioni

difficili sul piano personale:

la scomparsa della figlia, per Nenni,

in un campo di sterminio nazista;

la cattura e la condanna a morte da

parte delle SS per Pertini.

Personalità che oggi appaiono tragicamente

distanti. Soprattutto perché

sono gli interessi biechi e spiccioli

a prevalere. Caratteristica, questa,

estranea sia a Nenni che a Pertini,

per i quali era la questione nazionale

– sia in tempo di pace che di guerra

– a dover essere sempre tenuta presente.

Dall’epistolario pubblicato da Arcadia

Edizioni, tutto ciò lo si può richiamare

alla memoria per chi ebbe

la fortuna di vivere quella fortunata

stagione delle nostre istituzioni. Per

coloro che non poterono essere presenti,

esso costituisce un’ottima occasione

e un buon termine di paragone

per comprendere la differenza,

profonda e tutt’altro che sostanziale,

che intercorre fra il grande politico

(come lo furono, ciascuno diversamente

ma egualmente in grande stile,

Nenni e Pertini) e il banale politicante

dei tempi odierni.


24 in primo piano

30esimo anniversario della scomparsa di Pertini,

la presentazione di “Anima Socialista “in UIL


25


25 a

La gior

26 in copertina

di Maurizio Fantoni Minnella

Mentre scorrono le ore di un

25 aprile silenzioso, senza

piazze, né cortei, il primo

da quando venne istituito come giornata

di commemorazione, il giovane

e sempre più agguerrito filosofo torinese

Fusaro si beffa allegramente

di coloro che intonano Bella Ciao sui

balconi e dalle finestre di casa, riempiendo

la rete di versioni in lingue diverse

dell’ormai leggendaria canzone

partigiana. E lo fa, consapevole della

propria ipocrisia, cosciente di pronunciare

delle falsità, soprattutto quando

afferma, ad esempio, che il richiamarsi

ideologicamente ad un “fascismo immaginario”,

mediante l’inno antifascista

più conosciuto al mondo, significherebbe

nascondere il vero nemico,

l’élite delle multinazionali.

Si può forse discutere su taluni aspetti

consolatori della cultura dell’antifascismo

senza tuttavia metterne in dubbio

la sacrosanta legittimità e il diritto di

ciascuno a evocare, con i mezzi a disposizione

(canti, video-letture, bandiere

etc.) un sentimento collettivo

che ha sì a che vedere con la memoria

storica ma, nondimeno, con il nostro

presente. Ma non altrettanto si può

far passare sotto silenzio il maldestro

tentativo di uno studioso/docente

di filosofia incattivito, pur con il sorriso

stampato sul volto (sia chiaro,

la definizione di filosofo è una pura

convenzione), di negare, innanzitutto,

che vi siano in tutta Europa (Italia

compresa), seri rigurgiti neonazisti,

che in alcuni stati siano al governo o

che rappresentino quote non trascurabili

in parlamento, che con la caduta

dell’Urss, si siano spalancate le porte

ai nazionalismi più aggressivi e al formarsi

di nuovi imperialismi ancora

più aggressivi e minacciosi. Ancora

una volta Fusaro si rifiuta di vedere e

di riconoscere il vero volto del nuovo

nazionalismo in quanto egli ritiene sia

una semplice maschera dietro cui si nasconderebbero

i veri nemici della globalizzazione,

della finanza e delle multinazionali,

mostrando quindi, di non

voler separare la sacrosanta (e da noi

condivisa senza se e senza ma) opposizione

al neocapitalismo liberista dal

vero volto, quello reale, di coloro che

(in nome di un’equivoca idea di sovranità

popolare e di difesa dei confini nazionali),

hanno atteso settant’anni per

riproporre idee e valori che, non solo

hanno condotto alla catastrofe della

seconda guerra mondiale e alla Shoah,

ma che riflettono una visione gerarchica

e totalitaria della società umana.

Fingere che tutto questo non esista o

che sia, al massimo, confinato in una

“minoranza folkloristica” per usare le

stesse parole dello studioso, significa,

semplicemente, pervenire a una sorta

di disonestà intellettuale. Non stupisce,

inoltre, la folta moltitudine di commenti

positivi, spesso sgrammaticati e

confusi, alle sue esternazioni in rete, a

riprova del fatto che ormai ci troviamo

di fronte a un torrente in piena, a una

svolta del processo storico che, se per


27

prile

nata del filosofo…

un verso proclama l’eliminazione delle

frontiere e quindi, dell’egemonia delle

singole nazioni, per altro verso sembra

reclamare per sé la primitiva idea

del sangue e del suolo. Un paradosso,

certamente, che è facile rifiutarsi di

comprendere, basta infatti, eliminare

il secondo termine di questo bipolarismo

asimmetricamente perverso. E

trovarsi, dunque, alle prese con un solo

nemico, il capitale finanziario, coi suoi

padroni e i suoi servi, dimenticando

però che il fascismo, del capitale privato

fu di fatto il cane da guardia, che

in ogni latitudine i fascismi, rifiutando

l’idea di una società egualitaria, non

possono, di certo, dirsi, dialetticamente,

nemici del capitale, in qualunque

forma esso si ripresenti nella storia.

E ancora, con un altro nemico, certo,

più fragile e contraddittorio, incerto su

quali strade intraprendere in futuro,

quella sinistra neo-liberale che troppo

in fretta ha capitolato dall’idea di uguaglianza

e di lotta. Ma non è certamente

avversandola in nome del sovranismo

che si affronteranno la costante minaccia

del neoliberismo, fagocitatore

di diseguaglianze, guerre e dolore. Al

contrario, trasformandola o superandola

nel nome degli ideali per cui la

sinistra ha sempre combattuto, che si

potrà, forse, sperare di affrontare il leviatano

del capitalismo globale e il suo

modello di società che sinceramente

avversiamo.

Tuttavia, dopo avere ripetutamente

dichiarato che siamo tutti agli arresti

domiciliari e che, in fondo, siamo

pure addomesticati per convincerci ad

accettarli, eccolo, dunque, pontificare

con logos forbito e flemmatico (e

quasi sempre citazionistico) su quanti,

innalzando l’inno partigiano per non

dimenticare, intenderebbero in realtà

dimenticare gli orrori del mondo

globale di cui ci ritroviamo ad essere

osservatori passivi, ma mai complici,

il nostro filosofo di sicuro avvenire ha

davvero superato il segno. E di certo

in modo vile e sprezzante, noncurante

delle molteplici sensibilità che spingono,

in un certo senso, a esternare uno

stato d’animo, l’idea di una resistenza

permanente, in un momento in cui

ci è negata ogni socialità non per un

oscuro calcolo politico ma per la pericolosità

di un virus che proprio nella

socialità trae la sua vera linfa.

Così è, per noi, il paradosso globale!


Rinsa

squadrist

28 in copertina

di Edoardo Crisafulli

In questo periodo

certi leader politic

e sulla rabbia popola

Ora che la polvere dell’aspro

combattimento si sta depositando,

e gli animi sono un

po’ meno isterici, si può — spero – ragionare

a freddo sul punto chiave della

vicenda di Silvia Romano, la cooperante

liberata dai suoi carcerieri islamisti

grazie all’intervento benemerito dello

Stato.

No, cari lettori, non vi spiegherò le ragioni

per cui credo fermamente nella

trattativa umanitaria, né rintuzzerò le

assurde obiezioni all’idea che si possa

pagare un riscatto (mica vero che gli

Stati democratici autorevoli hanno sempre

il mitra e il bazooka in mano!). Mi

basta ricordare cosa disse Aldo Aniasi,

a nome del Partito socialista, nel lontano

1978, quando Aldo Moro era prigioniero

di aguzzini non meno feroci dei

jihadisti d’oggi – italiani veri, autoctoni,

che sparavano in testa all’innocente di

turno:

“L’autorità e il prestigio dello Stato si

affermano anzitutto dimostrando che il

primo dovere è quello di saper difendere

la vita e la libertà di ogni cittadino e

successivamente quella di punire i colpevoli.

I rifiuti pregiudiziali sono fondati

su discorsi astratti, retorici o peggio

crudeli”.

Ebbene sì: non m’interessano i lati

oscuri di questa vicenda – le eventuali

responsabilità della ONG/ONLUS

presso cui era impiegata Silvia, la congruità

del riscatto e l’uso che ne verrà

fatto (posto che sia stato effettivamente

pagato!), lo spettacolo delle nostre autorità

all’aeroporto ecc. In realtà, vorrei

parlare di queste cose. Ma l’atmosfera è

troppo incattivita. D’ora in poi discuterò,

anche accapigliandomi, solo con

persone civili. A monte di ogni ragionamento

critico, prima di abbozzare

qualsivoglia legittima perplessità, vorrei

che sottoscrivessimo tutti un principio

irrinunciabile: il rispetto sacrosanto per

Silvia Romano. Una nostra concittadina

è ritornata sana e salva! Trattenete un attimo

la vostra rabbia, la vostra faziosità,

il vostro livore antigovernativo, e pensateci

per un momento: e se, al posto

di Silvia, ci fosse stata mia sorella, mia

cugina, mia figlia, una mia cara amica?

L’avrei sacrificata sull’altare della ragion

di Stato, per puro sfregio ai terroristi?

Pensateci, e siate onesti nel rispondere!

Siatelo almeno con voi stessi, nell’interiorità

della vostra coscienza.

In questo periodo tumultuoso, di crisi

a getto continuo – sembra che assistiamo

all’eruzione di un vulcano! –, certi

leader politici soffiano a pieni polmoni

sull’odio e sulla rabbia popolare. Perché

lo fanno? Semplice: pensano di trarne

un utile. Intendiamoci: io credo nella

Realpolitik. Ma a che pro incitare al linciaggio

mediatico? Questo è cinismo e

spregiudicatezza fini a se stessi – cattiveria

un tanto al chilo e un tanto al pezzo,

come si dice in Emilia. Neppure nel

fare il male, cari leader xenofobi, dimostrate

spessore politico e intelligenza.

Consiglio di leggere l’intervista a Dacia

Maraini: “Sul corpo di Silvia stanno

combattendo lo scontro di civiltà”

(Huffpost). Suggerisco che tutti – anche

i dubbiosi e gli indignati a ragion veduta

– facciano un bel respiro profondo

e poi meditino sulle parole che, come

frecce, scoccano dall’arco di Dacia:

“non le perdonano che non odi i suoi


29

vite,

i digitali!

18 lunghissimi mesi nell’insopportabile

costrizione fisica e psichica della prigionia!

Il peggio di sé l’hanno dato i mass media

allineati con la destra becera e xenofoba.

Non facciamo di tutte le erbe un fascio:

c’è anche una destra sana e illuminata,

in Italia. È a questa parte politica che mi

rivolgo ora. Si può essere al contempo

conservatori e persone civili: ribellatevi

alla barbarie imperante! Sbarrate la strada

a coloro che vomitano bile contro

Papa Francesco, colpevole di predicare

la Caritas evangelica, contestate coloro

che disprezzano in blocco gli immigrati,

i rifugiati, i musulmani, le ONG e chi

ci lavora, i centri sociali, i froci e le lesbiche,

le zecche comuniste, i transessuali,

i partiti del socialismo europeo, i

francesi, i tedeschi, l’Unione Europea, e

chi più ne ha più ne metta. Non l’avete

ancora capito che questi manganellatori

virtuali strizzano l’occhio ai loro compagni

di cordata, i sovranisti europei, le

laboriose formiche che negano il piano

di aiuti economici all’Italia rinfocolando

luoghi comuni sprezzanti sulle cicale

italiane? Bell’esempio di patriottismo…

Bordate contro i deboli; carezze col

guanto di velluto con i forti. Aggrediscono

e insultano a ruota libera, mentre

sbraitano il loro amore per la patria.

Eppure toglierebbe la cittadinanza a

chi non rientra nel loro razzistico

canone del vero italiatumultuoso,

di crisi a getto continuo

i soffiano a pieni polmoni sull’odio

re, spesso supportati da media allineati

carcerieri. È un fatto che li scandalizza,

li manda su tutte le furie. Perché loro

odiano tutto, forse pure sé stessi. Così

si precipitano all’attacco, anche vile. La

insultano e la dileggiano”. Navigando

su Facebook, mi sono imbattuto in uno

stuolo agguerrito di leoni da tastiera,

costoro avrebbero gettato la stampella

in faccia ai terroristi islamici, come

l’eroico bersagliere Enrico Toti, che

preferì morire crivellato di colpi piuttosto

che arrendersi al nemico austriaco;

c’è anche chi non offrirebbe volentieri

il collo allo sgozzatore di turno, e lo

ammette; di certo però il nostro prode

internauta si sarebbe comportato con

orgoglio e dignità, diversamente dalla

psicolabile Silvia: appena sceso dall’aereo

a Fiumicino, avrebbe inscenato una

passerella in bikini, petto in fuori, sorrisi

a tutto campo, mostrando l’indice

medio ai rapitori. Complimenti, che coraggio

virtuale! E che profonda empatia

nei confronti di una ragazza vissuta per

»


30 in copertina

no, e fanno di tutto per negarla a chi

è nato qui, in Italia, da genitori stranieri,

musulmani. Quanto razzismo e

quanta intolleranza c’è negli insulti e

nelle accuse a Silvia! Eh, sì, perché questa

è la sua colpa più grave: preferiva i

negri agli italiani. Ora non si può più

neppure aiutarli a casa loro: dobbiamo

abbandonarli al loro destino di miseria.

Inorridisco: abbiamo avuto un regime

fascista, che ha partorito le odiose leggi

razziali antiebraiche, ma la cultura italiana

non ha mai generato un teorico

del razzismo al livello del francese De

Gobineau (Saggio sulla diseguaglianza

delle razze umane), del britannico

H. S. Chamberlain (I fondamenti del

diciannovesimo secolo), dell’austro-tedesco,

Hitler (La mia battaglia). E infatti

nelle nostre vene di italiani DOC

scorre un miscuglio di sangue etrusco,

latino, sannita, greco, celta, germanico/

normanno, arabo, ebraico, fenicio ed

anche africano! (L’imperatore romano

Settimio Severo, nato in Libia, aveva la

pelle nera; Sant’Agostino era di etnia

berbera). Indoeuropei imbastarditi con

i semiti e gli africani, ecco cosa siamo.

Altro che razza ariana! Il razzista italiano

è antipatriottico perché rinnega la

nostra tradizione bimillenaria di coesistenza

pacifica fra etnie diverse.

Silvia si è macchiata di un’altra colpa:

ha preferito l’Islam esotico (e violento)

al pacifico cattolicesimo italiano. Siete

ignoranti, ottusi e provinciali. Studiatevi

la storia italiana: il cattolicesimo è,

sì, la tradizione dominante in Italia. Ma

accanto a questa vi sono i protestanti,

sopravvissuti per secoli a ogni tentativo

di fagocitarli; c’è la più antica comunità

ebraica al mondo (precedente alla diaspora);

c’è anche una fiorente comunità

islamica, cresciuta a seguito dell’immigrazione.

La tradizione islamica italiana,

in realtà, sarebbe antichissima, ma venne

spazzata via dalle repressioni di papi e

sovrani cattolici. Federico II di Svevia,

fondatore del primo Stato europeo nel

Mezzogiorno d’Italia, non era né un

comunista né un sovversivo: ciononostante

proteggeva sia gli ebrei che i musulmani,

suoi sudditi fedeli. Alcune delle

sue truppe scelte erano di fede islamica.

I problemi più grossi li aveva col Papa

romano, che ostacolava i suoi disegni

di unità nazional-imperiale! L’identità

religiosa italiana era, e deve tornare ad

essere, eclettica e plurima: un coacervo

costituito da rimasugli del paganesimo

(evidenti nel culto per le statue e i santi

tramandato ai cattolici), cristianesimo,

giudaismo, islam.

Intendiamoci: la libertà di parola e di

stampa è sacra, e tale deve rimanere.

Altrettanto sacro è il mio diritto di indignarmi

quando leggo titoli di questo tenore:

“eroina del terrorismo”; “complice

dei jihadisti”; “islamica felice e ingrata”;

“gite buoniste”, “volontaria senz’arte né

parte”; “ventriloquio pericoloso della

Jihad”. Ripetiamole ossessivamente due

verità scomode, politicamente scorrette;

ripetiamole anche se fossimo una minoranza

a crederci: 1) ve la prendete con

Silvia perché è una ragazza, per giunta

‘buonista’; più il bersaglio è debole maggiore

è la violenza con cui lo colpite; 2)

il vostro martellamento merita un solo

appellativo: squadrismo massmediatico

e socialmediatico. Ieri il manganello e

l’olio di ricino, in venti contro un antifascista

riverso a terra; oggi gang mobbing,

violenza psicologica di gruppo virtuale:

alcuni giornalisti in cerca di facile notorietà

incitano al ruggito migliaia di leoni

da tastiera che godono nel massacrare

una ragazza indifesa. Nella civiltà della

comunicazione, puoi finire in pasto a

bestie umane che graffiano e fanno male

a distanza: basta postare una foto di Silvia

tutta bardata all’islamica con tanto di

commento mordace, e l’effetto valanga

delle condivisioni è garantito. Siete una

massa di vigliacchi, spesso vi nascondete

dietro un falso profilo su Facebook:

così, pensate, si spanderà per l’etere il

lezzo delle cloache dell’odio. Pensate di

essere coraggiosi, e che io stia esagerando?

Può darsi. Ebbene, dimostratemelo

con un’azione semplicissima: attaccate i

boss mafiosi e camorristi con la stessa

identica protervia con cui massacrate

una ragazza, anzi attaccateli con tutto

il furore di cui siete capaci – non sono

forse, costoro, assassini o mandanti di

omicidi efferati? E metteteci la faccia,

firmatevi – alla luce del sole. Non condividerei

comunque questo scempio allo

Stato di diritto – le condanne spettano

alla magistratura, non ai tribunali popolari

aizzati dai demagoghi di turno –, tuttavia

vi riconoscerei almeno il coraggio

delle vostre azioni.

Sia chiaro, leoni da tastiera: non vi odio,

né vi disprezzo. Non ne sarei capace.

Provo solo una pena infinita, non

dev’essere piacevole essere corrosi

dall’astio verso l’universo mondo. Sono

addirittura convinto che possiate rinsavire,

guarda un po’! Come ripeteva Don

Oreste Benzi, il fondatore della comunità

Papa Giovanni XXIII, “la persona

non è il suo errore”. Non state commettendo

crimini, avete solo bisogno di un

sacco delle botte. Allora mi appello alla

vostra coscienza: non fatevi strumentalizzare

da leader xenofobi e sovranisti

a cui non importa nulla di voi: il loro

obiettivo, squallido, è quello di scatenare

una guerra fra poveri. Potete ravvedervi,

potete cambiare in meglio. Ma fatelo al

più presto, per favore. Per voi, più che

per Silvia.


Grazie.

Il nostro lavoro è la forza e la ricchezza del Paese e nelle difficoltà siamo chiamati a dimostrare il nostro

coraggio e la nostra determinazione nel compierlo.

Ognuno come sa, ognuno come deve.

Oggi vogliamo dire grazie.

Un grazie a tutti coloro che, eroicamente, ci curano negli ospedali, negli ambulatori, garantiscono i

trasporti di emergenza, assicurano assistenza e sicurezza.

Grazie a chi ci garantisce l’acqua, le forniture elettriche, le comunicazioni e la distribuzione di

combustibile.

Grazie a coloro che assicurano i servizi bancari e a chi continua a pagare pensioni, stipendi, fatture.

Grazie a chi continua a lavorare nella filiera agro alimentare, dei beni di prima necessità e della

distribuzione.

Grazie a chi, civile o militare, con abnegazione, ha moltiplicato il suo impegno per aumentare la

produzione di strumenti medicali.

Grazie a chi tiene vive le nostre imprese, in presenza o in remoto.

Grazie agli insegnanti che continuano, da casa, a comunicare con i loro studenti.

Tutti noi altri per aiutarli e per non vanificare i loro sacrifici abbiamo il dovere di limitare al massimo i

nostri spostamenti rimanendo il più possibile A CASA.

DIPARTIMENTO DIFESA

E SICUREZZA


e la comune infl

32 in copertina

Ecco le diffe

e le similarità fr

di Pierluigi Pietricola

Intervista al professor vincenzo puro

Risk manager - INMI Lazzaro Spallanzani


33

renze

a il Sars CoV2

uenza

Spiega il professor Vincenzo Puro: entrambi i virus

condividono la modalità di trasmissione: contatto,

goccioline respiratorie, materiale contaminato

Continua la nostra attività di informazione sul Sars

CoV2, conosciuto comunemente come coronavirus.

Questa volta abbiamo conversato con il Prof. Vincenzo

Puro, Direttore UOC Infezioni emergenti e Centro di

riferimento AIDS dell’Ospedale Spallanzani di Roma.

Professor Puro, facciamo il punto della situazione. Il

Sars CoV2 che tipo di contagiosità ha rispetto all’influenza

stagionale?

«Il virus responsabile di COVID-19 e quello dell’influenza

si manifestano in maniera simile. Entrambi causano disturbi

respiratori, che possono presentarsi in modi molto diversi: i

pazienti possono essere asintomatici, avere sintomi di livello

contenuto, fino ad arrivare a una patologia grave e alla morte.

Virus dell’influenza e SARS-CoV 2 condividono la modalità

di trasmissione: contatto, goccioline respiratorie, materiale

contaminato dalla persona infetta. In epidemiologia la contagiosità

si misura in primo luogo con il cosiddetto “numero

o tasso di riproduzione di base”, “erre con zero” (R0), di cui

si è fatto e si fa un gran parlare, ovvero il numero medio di

persone che un individuo infetto può contagiare (casi secondari).

Ad esempio se l’R0 di una malattia X è 2, significa che

in media un singolo malato infetterà due persone. Naturalmente,

maggiore è il valore di R0 e più elevato è il rischio

di diffusione di una patologia infettiva; se invece il valore

di R0 fosse ricondotto ad un valore inferiore ad 1 significa

che l’epidemia può essere contenuta. Per l’influenza questo

numero è stimato pari a 1,3 circa, mentre per il SARS CoV2

tra 2 e 2,5 anche se nelle fasi iniziali è stato stimato un valore

più alto tra 3 e 5. Un altro importante punto di differenza da

considerare è la velocità di trasmissione. L’influenza ha un

periodo di incubazione, cioè il tempo dal contagio alla comparsa

dei sintomi, più breve rispetto a COVID-19: 1-4 giorni

per l’influenza e fra 2 e 11 giorni, fino ad un massimo di 14

giorni per COVID-19. Anche il tempo che intercorre tra i

casi successivi (che si chiama intervallo seriale) è più breve

per l’influenza (3 giorni) che per SARS CoV2 (5-6 giorni).

Ciò significa che l’influenza può diffondersi più velocemente

di SARS CoV2. R0 dipende in realtà da numerosi fattori

tra i quali, ad esempio, il numero dei contatti che una persona

infetta ha con altre persone. Per questo motivo, nella

fase attuale in cui non abbiamo a disposizione un vaccino e

la popolazione è praticamente tutta suscettibile, la

possibilità di ridurre i contatti di una persona infetta »


34 attualità

Le misure restr

per ridurre il picco di i

“con altre persone aiuterebbe a ridurre

R0 ed al contenimento della epidemia.

È quello che si cerca di raggiungere con

il precoce riconoscimento dei casi e dei

contatti ed il loro isolamento e con le

misure di distanziamento fisico: un valore

di R inferiore ad 1 sembrerebbe

al momento raggiunto nel nostro Paese

grazie agli interventi effettuati. Può

però risalire se si ritornasse alle condizioni

iniziali.»

Sempre relativamente al Sars CoV2,

il suo tasso di mortalità diretta –

come, cioè, causa del decesso e non

come causa concomitante – è alto o

basso rispetto a quanto i vari media

ci comunicano?

«Il virus agisce sia con meccanismi diretti

e, più spesso, indiretti, determinando

risposte anomale nell’organismo

ospite. Certo che i decessi osservati un

po’ in tutti i paesi, compreso il nostro,

sono in gran parte avvenuti in persone

che presentavano altre malattie preesistenti

o un’età avanzata; il virus ha in

questi casi certamente svolto un’azione

precipitante. Vorrei però precisare alcuni

concetti. Per tasso di mortalità si

intende la proporzione tra il numero di

morti per una malattia e la popolazione

suscettibile in un dato periodo, che per

un nuovo virus è evidentemente tutta la

popolazione. Iniziano ad essere disponibili

i dati dell’ISTAT che dimostrano

un eccesso di mortalità rispetto a quanto

atteso ed osservato negli anni precedenti

nello stesso periodo di tempo

proprio in questi mesi di pandemia da

SARS CoV 2. La letalità di una malattia

si misura invece come proporzione

(o tasso) tra numero di decessi per una

determinata malattia (numeratore) sul

totale delle persone che hanno la stessa

malattia (denominatore), in un determinato

periodo di tempo. Giornalmente

la Protezione civile comunica il

numero dei decessi osservati sul totale

selle persone che sono risultate positive

al tampone dall’inizio dell’epidemia.

La elevata letalità calcolata con questa

modalità, circa il 12%, è quindi motivo

di ampio dibattito anche scientifico.

Tra le cause identificate ha certamente

importanza la struttura demografica

del nostro Paese, caratterizzata da una

elevata numerosità della popolazione di

età avanzata. Altri fattori però possono

spiegare almeno in parte questo dato,

che ci diversifica da altri paesi anche

europei. In primo luogo la numerosità

delle persone sottoposte a tampone diagnostico

e la loro selezione in quanto

sintomatiche e spesso più gravi. Questo

ha comportato probabilmente che solo

parte delle persone realmente infette sia

stata identificata, aggravando il tasso di

letalità. Gli studi futuri di popolazione,

soprattutto con test sierologici validati,

analizzando estesamente la diffusione

dell’infezione potranno fornire dati più

attendibili sul quale calcolare la letalità.»

Per quel poco che ne so io, le misure

restrittive in caso di pandemie vengono

applicate sulle persone infettate

e sui soggetti a rischio – per età o

altre patologie. Come mai, in questo

caso, si è deciso di rendere valide le

restrizioni anche per i soggetti sani

– cioè non infettati? Lei le condivide

o avrebbe agito diversamente?

«Le condivido in gran parte. Le indicazioni

“restrittive” fanno parte delle

cosiddette misure non-farmacologiche,

cioè quelle che non prevedono l’utilizzo

di farmaci e/o vaccini, mirate a

rallentare e mitigare la diffusione di un

nuovo virus nella popolazione. Le misure

non-farmacologiche sono utilizzate

per ridurre il picco di intensità di una

epidemia con un elevato numero di casi

concentrati in un breve periodo di tempo,

per guadagnare tempo per lo sviluppo

di farmaci o vaccini e per preservare

l’efficienza del sistema sanitario:

ridurre il numero di persone che “nello

stesso periodo” necessitano di ospedalizzazione

o di terapia intensiva al fine

di non oltrepassare la soglia di capacità

del sistema. Esse rappresentano un

ben noto strumento negli interventi di

sanità pubblica, soprattutto nelle fasi di

contenimento di una epidemia o pandemia,

ed includono in parte sostanziale

il pronto riconoscimento dei casi ed

il loro isolamento, così come l’indagine

per l’identificazione dei contatti dei casi

e le misure di quarantena o perlomeno

di sorveglianza nei loro confronti. Ancora,

le limitazioni dei viaggi e le chiusure

delle frontiere così come le ormai

ben note misure di distanziamento

sociale e fisico. La scelta di istituirle in

Italia, nel loro insieme, così come nella

maggior parte dei paesi coinvolti dalla

pandemia da SARS CoV2, si è resa

quindi necessaria soprattutto nella prima

fase caratterizzata dalla mancanza

di conoscenze certe su questo nuovo

virus. D’altronde di fronte ad una pandemia

da un nuovo virus, tutta la popolazione

risulta suscettibile e se da un

lato, fortunatamente, la maggior parte

delle persone contrae un’infezione da

SARS Cov2 non grave, è altrettanto importante

limitare l’impatto sulle strutture

sanitarie delle forme che necessitano

di ricovero, come purtroppo è avvenu-


35

ittive sono necessarie

ntensità dell’epidemia

to nel nostro Paese prima che le misure

“restrittive” potessero avere effetto: i

dati hanno dimostrano una numerosità

non indifferente di casi di COVID-19

anche in persone “non a rischio” per

età avanzata o altra patologia. Certamente

le misure restrittive non rappresentano

le uniche da utilizzare ed arriva

il momento in cui è necessario trovare

un equilibrio tra le restrizioni e le graduale

ripresa delle attività produttive,

lavorative e di vita: la cosiddetta fase 2

di cui si sta discutendo in questi giorni.

Al momento non si può escludere però

che si rendano necessarie ri-attivazioni

“intermittenti” delle misure di distanziamento

sociale di durata da definire

sulla base dell’intensità di diffusione del

momento.»

Chi contrae il Sars CoV2 può correre

il rischio di una recidiva? Di

contrarlo nuovamente e con eguale

intensità?

«Non lo sappiamo con certezza. Ci

sono segnalazioni, non verificate, di

casi di persone che ritenute guarite da

COVID-19 si sarebbero ammalate di

nuovo, non si sa se per reinfezione o

recidiva. In definitiva sappiamo molto

poco circa la risposta immunitaria contro

il virus ed anche per questo dato si

dovrà attendere evidenze più certe.»

Gli asintomatici puri, come Lei ha

affermato in una recente intervista,

se ho ben compreso non sono

contagiosi per gli altri, perché non

emettono le goccioline causa di trasmissione

del virus in quanto non

hanno sintomi. Supponiamo che vi

sia un soggetto falso asintomatico,

che cioè risulti da apposito test abbia

già avuto il Sars CoV2 ma privo

di sintomi in quanto il suo sistema

immunitario lo ha debellato, questa

persona può essere contagiosa oppure

no avendo sviluppato le immunoglobuline?

«È ormai accertato che soggetti asintomatici,

o più spesso con sintomi molto

lievi e generici, albergano il virus; non

altrettanto dimostrato è il livello della

loro contagiosità rispetto alla fase

sintomatica. Ciononostante anche per

loro, quando individuati, valgono le indicazioni

di isolamento previste per ridurre

la trasmissione dell’infezione. Per

quanto riguarda il caso da lei descritto,

è probabile che una persona che ha

eliminato il virus (negativo al tampone)

ed ha sviluppato immunoglobuline

specifiche, cioè anticorpi, non sia contagioso.

Purtroppo però le metodiche

attualmente disponibili sia per la ricerca

del virus che per quella delle immunoglobuline

non sono perfette e, ancora

una volta, le conoscenze su questa infezione

non sono ancora tali da avere

certezze assolute a riguardo.»

Se, come da più parti si dice, è già

disponibile un vaccino per il Sars

CoV2 – benché in via di sperimentazione

-, può esso rappresentare la

soluzione definitiva alla diffusione

di questo virus? Glielo chiedo perché

i virus ad RNA – come è il Sars

CoV2 -, per quel poco che ne so,

sono estremamente soggetti a mutazione

genetica e quindi, proprio

per questo, un vaccino efficace potrebbe

non trovarsi.

«Certamente un vaccino rappresenterebbe,

se efficace, un’arma risolutiva.

Anche il virus dell’influenza, ugualmente

ad RNA, muta pressoché di continuo,

di anno in anno e anche nello stesso

anno nel suo passaggio da un emisfero

all’altro. Per questo motivo ogni anno la

composizione del vaccino è aggiornata

per adattare la sua produzione al virus

parzialmente mutato e ci si deve rivaccinare.

Per lo stesso motivo l’efficacia

del vaccino antinfluenzale non è assoluta

ma, anche se parziale, significativa.

Anche il morbillo è un virus a RNA ma

la vaccinazione antimorbillo ha un’efficacia

certamente più stabile e duratura.

Non sarei così pessimista. Le migliori

aziende e i migliori professionisti sono

impegnati sulla ricerca di un vaccino

e di una componente comunque stabile

del virus per superare eventuali

problemi di mutazioni, che peraltro al

momento non sono emerse in maniera

significativa.»

L’utilizzo del Tocilizumab, o della

clorochina, o del plasma dei soggetti

affetti da Sars CoV2 ma guariti,

rappresentano già dei protocolli di

cura efficaci oppure no?

«Al momento sono tutti farmaci in fase

di valutazione. Per raggiungere risultati

certi è necessario seguire il percorso

della ricerca clinica accelerandone

le componenti regolatorie quanto più

possibile. Questo è peraltro quanto

l’Agenzia Italiana Farmaco sta coordinando

nel nostro Paese.»

Quale prevede sia l’evoluzione futura

del Sars CoV2: potrebbe finire

come la prima SARS, o come

la MERS oppure come l’influenza

aviaria? E potrebbe nel prossimo

futuro – da ottobre di

quest’anno per intenderci – »


36 attualità

causare semplicemente un raffreddore

e nulla di più?

«È troppo presto per dirlo. I virus a cui

ha fatto riferimento sono “semplicemente”

virus diversi da SARS CoV 2.

Il coronavirus della SARS si è probabilmente

rintanato nel suo habitat originario,

mentre quello della MERS è

tutt’ora presente senza aver dimostrato,

per fortuna, capacità epidemiche o

pandemiche. I vari virus dell’influenza

aviaria anche essi sono tutt’altro che

scomparsi, ma fortunatamente non

hanno acquisito un’efficiente capacità

di trasmissione da uomo a uomo. In

assenza di interventi farmacologici,

i fattori in gioco sono diversi e per la

maggior parte non ancora noti. Non

sono un indovino e ritengo che di

fronte ad un nuovo virus bisogna avere

la pazienza e direi la tenacia di cercare

evidenze solide prima di avventurarsi

in previsioni.»

Le calde temperature estive costituiscono

un anti Sars CoV2 naturale?

«In generale l’incidenza di malattie

dovute a virus respiratori ha una certa

stagionalità e diminuisce nelle stagioni

calde. Questo ha molte ragioni e solo

in parte è dovuto a caratteristiche proprie

dello specifico virus. Ad esempio,

un’intensa diffusione nel periodo autunnale

e invernale riduce il numero

di persone più suscettibili che possono

infettarsi nella primavera/estate,

comportando un minor numero di

casi. Ancora, un’eventuale riduzione

nel periodo estivo è in parte ascrivibile

ai diversi comportamenti più o meno

favorevoli alla diffusione interumana,

per esempio passare meno tempo in

luoghi chiusi. Certo che i dati finora

disponibili non permettono però di

affermare che questa riduzione sarà

valida anche per SARS CoV 2, che si è

diffuso anche nei paesi che stanno attraversando

la stagione estiva quali Australia

o Iran. Il suo “cugino” MERS è

diffuso in paesi sostanzialmente a clima

temperato/caldo. Purtroppo anche

in questo caso dobbiamo accettare

che non conosciamo la stagionalità di

SARS CoV 2 semplicemente perché

questa è la sua prima stagione; ritengo

veramente poco probabile che “scompaia”

in estate. Inoltre, in considerazione

della ancora ampia suscettibilità

della popolazione, un’eventuale parziale

riduzione della efficienza di trasmissione

nel periodo estivo potrebbe

non portare a una riduzione significativa

della numerosità dei casi senza la

concomitante adozione dei principali

interventi di precauzione e prevenzione.

Infine, una temporanea riduzione

“naturale” nel periodo estivo non ci

garantisce affatto da una seconda ondata

nel periodo autunnale/invernale.»

(Nota di redazione - L’intervista

con il Prof. Puro si è svolta via email

e comprendeva ulteriori tre domande

a cui non è stata data risposta. Le

riporto qui di seguito:

1) Lei condivide le cifre che, ogni giorno,

vengono comunicate nel bollettino

della Protezione civile? Perché è uscito

un articolo di recente – https://www.

affaritaliani.it/cronache/coronavirus-numeri-inattendibili-si-e-vi-dimostriamo-perche-665108.html

– che ha mostrato l’inesattezza dei numeri

dati quotidianamente. In base alla

sua esperienza diretta, cosa ha da dirci

in proposito?

2) Si parla di fase 2 a partire dal prossimo

maggio. Al di là di quello che vien detto,

lei come la organizzerebbe questa fase e

quanto prevede sia la sua durata?

3) Al di là del terrorismo praticato da

giornali e media vari, si può star tranquilli

e tornare a vivere normalmente?).



sull’econom

38 attualità

Gli effetti del

Scenari, prospet


39

Coronavirus

ia italiana

tive, riflessioni


40 attualità

Nel contesto della più profonda

recessione globale dalla

seconda guerra mondiale, l’Italia

rischia, oggi, di essere tra i paesi

più colpiti a causa della natura della sua

struttura produttiva caratterizzata dai

settori dei servizi e del turismo che si

connotano, in particolare, da piccole e

medie imprese. Se a ciò si aggiunge uno

storico e mostruoso debito pubblico il

quadro si presenta in tutta la sua problematicità.

Nonostante ciò gli esperti sono, giustamente,

convinti, che nessun paese,

anche in condizioni migliori delle nostre,

sarà in grado di superare da solo

l’attuale crisi internazionale provocata

dal COVID 19.

In questo contesto, molto acutamente,

Prometeia prevede la necessità di

un piano forte e tempestivo a livello

europeo, per far fronte all’emergenza

e rilanciare l’attività economica, non

solo dal punto di vista finanziario, ma

di Enrico Matteo Ponti

anche in termini di crescita reale. Dopo

la crisi finanziaria del 2008, l’Italia ha

visto rallentarsi pesantemente il proprio

trend positivo senza più riuscire a

riprendersi completamente. Ne deriva,

fra l’altro, che l’attuale crisi porterà l’Italia

a perdere un’altra fetta significativa

di crescita con la conseguenza che,

in futuro, potrebbe essere in grado di

recuperare solo parzialmente ciò che

andrà perso nel 2020.

Supponendo un allentamento soft e

selettivo del blocco a partire dall’inizio

di maggio, Prometeia prevede, inoltre,

una contrazione del PIL italiano nel

2020 del 6,5% seguito da un parziale

rimbalzo verso l’autunno che potrebbe

sostanziarsi in un aumento del 3,3% nel

2021 e dell1,2% nel 2022.

Anche se le politiche monetarie della

BCE riusciranno ad allentare le tensioni

sui titoli italiani a breve termine,

l’intervento fiscale del governo potrà

fornire solo un supporto limitato

alla domanda; entro la fine del 2020 il

rapporto disavanzo / PIL avrà, molto

probabilmente, raggiunto il 6,6% ed il

rapporto debito / PIL sarà del 150%.

A medio termine, l’Italia dovrà, presumibilmente,

vivere con un livello di deficit

elevato con un ritorno al di sotto

della soglia del 3% solo nel 2022.

Il tutto, infatti, sconterà, anche, il fatto

che nel 2020 la crescita del PIL globale

sarà solo dell’1,6%, anche a causa

del -9,4% degli scambi internazionali

di merci mentre, auspicabilmente, nel

2021 e nel 2022, la crescita globale potrebbe

attestarsi ad aumenti rispettivamente

del 4,6% e del 3,3%.

È di tutta evidenza, però, che il mantenimento

della stabilità macroeconomica

nella zona euro (PIL 2020 -5,1%;

PIL 2021 + 3,4%), non solo in Italia,

richiederà risposte forti e coordinate a

livello dell’UE.

Risposte che dovrebbero includere il

finanziamento di maggiori spese con


41

emissioni obbligazionarie europee e la

creazione di un asset sicuro, che potrebbe

anche facilitare la diversificazione

del rischio a livello europeo.

Andrà, in ogni caso, tenuto sotto attenta

osservazione il colosso cinese il cui

PIL pur se dovesse scendere del 6,7%

nel primo trimestre 2020, ripartirà con

un aumento medio annuo del 3,2% basato

sulla prevista ripresa nella seconda

parte dell’anno.

Altro osservato speciale dovranno essere

gli Stati Uniti il cui PIL, anche se

fa intravedere, oggi, una diminuzione

del 2,5%, nel 2020, aumenterà, grazie al

grande piano di stimolo economico, del

3,6% nel 2021. Piano che ricomprende

un pacchetto di aiuti senza precedenti

del valore di $ 2.000 miliardi (il 9,3%

del reddito nazionale, più dell’intero

PIL italiano) per aiutare le imprese e le

famiglie.

L’Italia è tra i paesi più fragili:

perché è necessario un piano europeo

Nello scenario di base, ipotizzando

un lento e selezionato allentamento

del blocco dall’inizio di maggio, come

detto, il calo del PIL italiano nel 2020

sarà almeno del 6,5%, un’entità equivalente

alla recessione del 2008-2009,

ma aggregata in un solo anno. Prometeia

stima che, nei primi due trimestri

dell’anno, ci sarà una riduzione del PIL

di oltre il 10% rispetto alla situazione

pre-crisi, con differenze settoriali molto

grandi: dal -10% nella produzione al

-27% in servizi legati al turismo e fino

al -16% nei servizi di trasporto e nelle

attività di intrattenimento

Le sostanziali misure fiscali già annunciate

(che ammontano finora, e solo

per quest’anno, ad oltre il 2% del PIL),

scontano, purtroppo, l’elevato debito

pubblico, la profondità della recessione

e la lenta ripresa la cui somma indebolirà

ulteriormente sia la capacità

produttiva del Paese sia le finanze pubbliche.

Nello scenario di base di Prometeia,

come abbiamo già visto, il livello del

PIL italiano nel 2022 sarà ancora di oltre

il 2% inferiore al livello del 2019,

con il debito sovrano che salirà al 150%

del PIL.

In questo contesto, la stabilità macroeconomica

potrà essere garantita solo

in un quadro di maggiore condivisione

del rischio a livello europeo a causa

della crisi sanitaria e dei suoi molteplici

effetti che non hanno ancora integralmente

dispiegato e fatto emergere tutte

le loro negatività.

La natura simmetrica ed esogena dello

shock, richiederà, non ci stancheremo

mai di ripeterlo, una risposta comune

sia per far fronte all’aumento della spesa

legata ai bisogni immediati sia per

sostenere la ripresa dell’economia reale.

Nessun paese è, né sarà in futuro, in

grado di affrontare questa crisi da solo.

Soltanto il finanziamento di queste spese

con emissioni obbligazionarie europee

ridurrebbe l’onere per i bilanci nazionali

e costituirebbe un passo verso

la creazione di un benessere europeo

sicuro che in grado di aiutare i sistemi

finanziari a diversificare il rischio. Se

non prendiamo questa strada, l’intero

progetto europeo sarà a rischio.

Shock reale, recessione globale

Mentre la crisi di dieci anni fa scoppiò

nel settore finanziario, la natura dello

shock di oggi è reale in quanto diretta

conseguenza del blocco e della quarantena.

In questa prima fase vengono,

quindi, colpiti in particolare i servizi,

che rappresentano la maggiore quota

di valore aggiunto nei paesi sviluppati,

con una quota maggiore di occupazione

rispetto alla produzione e dove le

vendite perse sono più difficili da recuperare.

La natura reale e globale di una

crisi che colpisce i servizi porta innanzitutto

ad alti effetti moltiplicatori legati

al commercio internazionale, rendendo

particolarmente intense le riduzioni

delle attività.

Nonostante tutte le incertezze legate

alla durata e all’intensità del blocco e

alle successive reazioni dei paesi che

tentano di riprendersi, Prometeia stima

una recessione economica globale

nel 2020 (-1,6%), che influenzerà quelli

industrializzati e altri paesi, con la sola

eccezione della Cina che evita una flessione

grazie al rimbalzo positivo atteso

nella seconda metà dell’anno.

Per fare un confronto, nella

Grande recessione del 2009, il »


42 beni culturali

calo delle attività globali è stato dello

0,4%. La spinta dalla ripresa di Pechino

e un ritorno atteso alla “quasi normalità”

entro la fine dell’anno in tutti i

paesi industrializzati porta a prevedere

un calo del commercio mondiale del

“solo” 9,4% per il 2020.

Anche se ne 2021, l’economia globale

dovesse “rimbalzare” del 4,6%, le nostre

preoccupazioni derivano dal fatto

che tale percentuale non sarà, purtroppo,

spalmata in maniera omogenea, incrementando,

così, le differenze già in

essere.

Prime stime sull’impatto del coronavirus

sull’economia mondiale e

sull’export italiano

Il fatto che l’emergenza da coronavirus

si sia abbattuta sul sistema produttivo

mondiale in maniera improvvisa e diffusa,

ha determinato un doppio shock

negativo: dal lato della domanda, con il

rinvio delle decisioni di spesa da parte

dei consumatori, la chiusura di numerose

attività commerciali e l’azzeramento

dei flussi turistici; dal lato dell’offerta,

con il blocco di numerose attività produttive.

Questa combinazione di fattori

è, quindi, e purtroppo, destinata ad

incidere negativamente sull’economia

italiana e sull’export in particolare, per

una durata inevitabilmente correlata ai

tempi di uscita dall’emergenza.

Le stime al ribasso per l’anno in corso

da parte dei principali istituti internazionali

sono associate al progredire dei

diversi stadi di emergenza epidemiologica.

Da cui, secondo le stime di ieri del

FMI, l’economia mondiale si contrarrà

bruscamente del 3%: un andamento

peggiore di quello osservato durante

la crisi finanziaria del 2008–09. Prevedendo,

ancora non è chiaro quanto ottimisticamente,

che la pandemia allenterà

la sua morsa nella seconda metà di

quest’anno, il FMI ipotizza una crescita

intorno al 5.8 % nel 2021 anche a fronte

dell’intervento economico che stavolta

è stato molto più veloce di quanto

registrato a fronte della crisi finanziaria

del 2008/20029. In ogni caso il FMI

indica come necessari interventi politici

di natura fiscale, monetaria e finanziaria

mirati per settori dal momento che

lo shock è stato sentito in certi settori

come particolarmente acuto.

Sul piano dell’occupazione e degli investimenti

– come segnalato dalla nostra

Rappresentanza Permanente a Ginevra

– l’Organizzazione Internazionale del

Lavoro stima una perdita di 195 milioni

di posti di lavoro a tempo pieno nel

solo secondo trimestre del 2020, che

interesserà prevalentemente i paesi a

reddito medio-alto e il settore terziario.

L’UNCTAD, invece, ha stimato una

diminuzione degli investimenti diretti

esteri dal 30 al 40% nel biennio 2020-

2021 ed una notevole perdita per le

multinazionali del settore energetico,

del comparto automobilistico e del trasporto

aereo.

Per l’Italia, il rapporto primaverile di

Confindustria prevede un calo del PIL

di 6 punti percentuali, nell’ipotesi che

la fase acuta dell’emergenza sanitaria

termini nel mese di maggio. Ogni settimana

in più di blocco normativo delle

attività produttive, secondo i parametri

attuali, potrebbe costare circa lo 0,75%

di PIL. Il Centro Studi di Confindustria

prevede anche una diminuzione della

produzione industriale nel primo trimestre

2020 del 5,4% (flessione maggiore

dal 2009), con un picco negativo

a marzo (-16,6%), che, se confermato

dall’ISTAT, rappresenterebbe il più alto

calo mensile dal 1960.

Inoltre, tenuto conto della forte integrazione

dell’Italia nelle catene globali

del valore, il nostro export sarà colpito

da un calo generale dell’attività economica

(-5,1% nel 2020), particolarmente

forte nei principali mercati di destinazione

dei prodotti italiani, ed i nostri

esportatori saranno più penalizzati da

difficoltà produttive e logistiche. Di

conseguenza, l’export dovrebbe diminuire

più della media mondiale (circa

-2,5% nel 2020).

Altre Considerazioni da Centro Studi

Confindustria riguardano gli impatti

negativi sulla spesa privata, per la quale

si registra una contrazione del 6,8%,

con particolare impatto negativo sul

settore dell’abbigliamento, dei trasporti,

dei servizi ricreativi, della cultura e

della ristorazione.

Ma sono soprattutto le piccole e medie

imprese, che costituiscono il tessuto

connettivo della nostra economia, ad

essere le più esposte manifestando le

maggiori difficoltà a fronteggiare i disagi.

Nello specifico si evidenzia che il settore

del Turismo e quello del Trasporto

Passeggeri lamentano l’ammanco già

registrato che avrà ripercussioni sui risultati

economici dell’intero anno. Non

mancano, poi, gravi preoccupazioni

anche nel Settore Moda, i cui disagi derivano

principalmente dall’annullamento

degli eventi fieristici, oltre che dal

rapporto con i fornitori ed il mancato

ritiro delle merci. Stesse problematiche

valgono per gli operatori del settore

Servizi alla persona.

L’Agroalimentare, infine, lamenta il

parziale, se non addirittura il totale, arresto

delle attività di produzione.

Complessivamente, il 53,1% delle imprese

stima una contrazione dei ricavi

per il 2020. Tale contrazione potrebbe

interessare il 70% dei due settori del

trasposto passeggeri e del turismo. Altri

settori potrebbero avere perdite più

contenute.

Un altro effetto negativo che l’emergenza

da Coronavirus sta provocando

è quello che investe l’occupazione. Il

15,1% delle aziende ha dovuto registrare

un aumento dell’assenza dei dipendenti.

Molte di loro hanno adottato

delle contromisure adottando forme

di smart working, strada non praticabile

per tutti i settori (trasporti, servizi

alla persona, ecc). Dall’indagine emerge

inoltre che se lo stato di emergenza

dovesse perdurare, si renderebbe necessario

ricorrere ad ulteriori e massicci

ammortizzatori sociali con ricadute sul

bilancio dello Stato. A dichiararlo è il

67,9% degli intervistati, ed è un problema

sentito soprattutto dalle aziende

manifatturiere del settore moda con

una percentuale di circa il 74% delle

aziende. Il problema è stato messo in

luce anche dalle imprese del Trasporto

passeggeri, Manifattura meccanica ed

Agroalimentare.

Analizzando più in dettaglio le difficoltà,

settore per settore si può evidenziare

che:

il Turismo costituisce l’ambito più col-


pito dall’emergenza per via della disdetta

di viaggi e pernottamenti. Prima

ancora del lock down, le aziende lamentavano

una percentuale di cancellazione

di prenotazioni non inferiore

all’80%, in alcuni casi arrivando a raggiunger

il 100%.

il settore del Trasporto merci così come

quello del trasporto delle persone registra

disagi per carico e scarico, dovuta

anche all’istituzione di “zone rosse”,

lungaggini burocratiche per la presentazione

della documentazione atta mostrare

la salute dei prodotti, controlli

sui conducenti (temperatura corporea),

divieto di ingresso delle persone fisiche

in molti Paesi, riduzione delle corse del

trasporto urbano.

Inoltre, lo studio riporta i disagi manifestati

dagli addetti alla Manifattura

meccanica (arresto o riduzione della

produzione legata a problemi logistici,

congestione dei magazzini, problemi di

gestione del personale),

Moda (perdite stimate nella misura del

15%, dovute soprattutto alla cancellazione

di eventi fieristici, crollo degli

ordini),

Servizi alla persona (è un lavoro che

richiede un contatto ravvicinato), oltre

al mancato recapito dei prodotti, la

sospensione degli appuntamenti con i

rappresentanti, etc.

Agroalimentare (contrazione della domanda),

Costruzioni (impossibilità di

accedere ai cantieri siti nelle zone rosse

rinvio dell’inizio dei lavori a data da destinarsi,

cancellazione di eventi fieristici

ha provocato problemi alle aziende che

operano nel settore dell’allestimento),

Servizi alle imprese (impossibilità di

raggiungere il committente).

Un quadro, questo che abbiamo tracciato,

che non deve farci arrendere ma

che impone, come affermato anche dal

Presidente Mattarella, quell’unità di intenti

che portò l’Italia fuori dai disastri

della seconda guerra mondiale.

I responsabili a tutti i livelli, parlino

meno e si coordino di più.

Chi spera di governare domani operi in

questa direzione, altrimenti…

Fonti: Prometeia, Economic Outlook FMI,

Osservatorio Commercio Internazionale

MAECI, Centro Studi Confindustria

43


44 beni culturali

Il professor GI

«Il Sars CoV2 si comp

i Coronavirus influen

Col caldo sarebbe me

di Pierluigi Pietricola

intervista del 13 maggio 2020

Coronavirus: è cambiato ed è

meno aggressivo di prima. Ma

quali sono i presupposti scientifici

di questa affermazione? Le mascherine:

quando è giusto indossarle e in che

modo? Ed è legittimo che la scienza

invada la sfera individuale delle persone,

cercando di dettare norme di comportamento

che esulano da un contesto

propriamente scientifico?

A far luce su questi e molti altri argomenti

ci aiuta il Prof. Giulio Tarro, virologo

illustre, di fama mondiale, candidato

al Premio Nobel per la medicina.

Prof. Tarro, partiamo da alcune

considerazioni relative all’evoluzione

del Sars CoV2. Parte del mondo

scientifico sostiene che il virus

sta cambiando, nel senso che pian

piano sta perdendo la sua carica virale;

un’altra parte, invece, afferma

il contrario. Qual è, secondo lei, la

verità?

«Io dico che la verità sta nel mezzo,

come dicevano gli antichi. Mi spiego

meglio. Questo virus non è che una

particella da considerarsi come parte di

una più ampia popolazione scientificamente

classificata: coronavirus. Questa

popolazione è soggetta a variabilità. Dal

punto di vista di un’epidemia, vanno

considerati tanti aspetti, alcuni dei quali

non correlati al soggetto contagiato. Per

esempio: i fattori climatici. Io presumo

che, in questo momento, non vi è né

una riduzione né un aumento dell’aggressività.

Ci troviamo nella normalità

di un’epidemia da coronavirus, famiglia

a cui il Sars CoV2 appartiene, e che ha

un suo inizio, un suo momento di picco,

una decrescita ed una fine.»

Quindi questo virus ha una vita indipendentemente

da noi?

«Esattamente. Non a caso uno studio

israeliano, pubblicato non più tardi di

un mese fa, diceva che, come gran parte

L’illustre virologo,

«Ci troviamo nella

inizio, un momento


45

ULIO Tarro:

orterà come tutti

zali. Le mascherine?

glio gettarle via»

dei coronavirus respiratori, anche il Sars

CoV2 ha una durata più o meno di 70

giorni. Non dobbiamo mai dimenticare

che ci troviamo di fronte a un coronavirus.

Se avessimo avuto a che fare con

il virus dell’epatite, tanto per fare un

esempio, le cose sarebbero state certamente

diverse.

Perché allora tutti ci mettono sull’attenti,

avvisandoci che se non adottiamo

le misure di distanziamento

sociale e le relative precauzioni e

protezioni la curva dei contagi potrebbe

di nuovo salire?

«Noi siamo pieni di studiosi che tracciano

teorie. Ma queste teorie non tengono

conto del fatto che il Sars CoV2 fa

parte della popolazione virale dei coronavirus.

E come tale si comporta, con

un inizio ed una fine. Queste persone

che fanno previsioni anche sull’ipotesi

di una seconda ondata, sono le stesse

che dicevano che in Germania, dopo

appena due giorni dall’inizio della fase

2, il valore R0 era di nuovo salito a 1.

Cosa non vera, perché due giorni non

bastano per osservare una incremento

del valore di riproducibilità virale

di cui stiamo parlando.

candidato al Nobel per la medicina:

normalità di un’epidemia. Ha un suo

di picco, una decrescita e una fine» »


46 beni culturali

In questi giorni, però, il valore R0 in

Germania è salito a 1,1.

«Sì, ma significa che un infettato può

contagiare un’altra persona in caso vi

siano stati contatti fra i due. Oppure

se l’infettato ha avuto contatti con più

persone, può averle contagiate tutte.

Questo valore R0 ha una validità sensibile

nel momento in cui la fase epidemica

è al massimo della sua diffusione.

Quando ci si trova in un momento di

decrescita, come in Italia o in Germania,

le cose non vanno più considerate

in modo così grave e pessimistico. Anche

perché, allora, cosa dovrebbero dire

in Svezia o in Danimarca?»

Ci sarà, secondo lei, una seconda ondata

nel prossimo Autunno? E nel caso

dovesse accadere, come sarà?

«Trattandosi di un coronavirus, il suo

comportamento è soggetto a quelli della

sua popolazione virale. Quindi non

credo che una seconda ondata ci sarà.

O presumibilmente, se ci dovesse essere,

troverà molta parte della popolazione

già immunizzata e quindi un terreno

che non gli sarà favorevole. Come ho

più volte detto, il Sars CoV2 o scomparirà

come già avvenuto per la prima

SARS, oppure si regionalizzerà causando

un raffreddore o un’influenza stagionale.

Lo ripeto: il Sars CoV2 fa parte

della popolazione virale dei coronavirus,

e come tale si comporta.»

Qual è il giusto valore di IgG che

bisogna avere per il Sars CoV2 per

considerarsi guariti?

«Ancora non lo sappiamo. Per saperlo

bisognerebbe dare il via ad un’analisi

epidemiologica che ancora non c’è né

si sa quando inizierà. Bisogna fare i test

sierologici a gran parte della popolazione

per arrivare a capire i valori giusti di

IgG per il Sars CoV2.»

La mascherina: è giusto indossarla

sempre, o solo in luoghi chiusi o

particolarmente affollati?

La mascherina andrebbe usata solo

quando, nella fase in cui ci troviamo,

non c’è la possibilità di osservare la

distanza minima di un metro e se ci si

trova con persone non conosciute. Altrimenti

non va usata, specialmente in

luoghi all’aperto.»

Le mascherine possono diventare,

con il caldo, causa di infezioni varie?

«Le mascherine non sono il massimo

dell’igiene. Io starei attento nel loro uso,

nel loro riuso e nel loro abuso. Quando

arriverà il caldo, sarà bene gettarle via.

Non ultimo perché all’inizio di questa

pandemia, l’Iss ci diceva che le mascherine

avrebbero dovuto usarle solo gli

operatori sanitari e gli infettati. Adesso

la regola è cambiata perché noi siamo

diventati produttori diretti di mascherine.

A luglio o agosto non serviranno

più.»

Non vi è ancora in corso un’indagine

epidemiologica nazionale. Ciò

non esclude che chi è guarito e ha

sviluppato gli anticorpi IgG non

solo non è più contagiabile, ma non

è neppure infettivo per gli altri. È

giusto, secondo lei, che anche chi

ha sviluppato le IgG vada considerato,

ad oggi, alla stregua di un potenziale

contagiante perché lo Stato

non ha avviato un’indagine epidemiologica

su scala nazionale?

«Io penso che non sia giusto. È del tutto

sbagliato. Un poverino che ha fatto la

malattia, che ha avuto i tamponi prima

positivi e poi negativi e che poi ha fatto

gli esami del sangue per capire se ha le

IgG non vedo perché non possa essere

ritenuto guarito. Questo lo trovo illogico,

ma anche poco onesto sul piano

etico e scientifico.»

Noi sentiamo, ogni giorno sempre

più, alcuni esponenti del mondo

scientifico dettare regole di comportamento

sociale, così travalicando

i confini di loro competenza.

È giusto, a suo avviso, che uno

scienziato stabilisca quali debbano

essere le regole di comportamento

nella vita di tutti giorni?

«Io sostituirei la parola scienziato con

quella, a mio avviso più appropriata, di

studioso. Scienziato deriva dall’inglese

scientist, che denota una persona che

studia. Questi studiosi, si fa per dire,

che vediamo ogni giorno in televisione

non sono psicologi. Come fanno,

allora, a stabilire quali regole di vita

sociale noi dobbiamo adottare? Glielo

dico perché io oltre ad essere virologo,

sono uno specialista di malattie nervose

e mentali. Appena laureato, prima

di andare negli Stati Uniti, ho fatto

tantissimi turni di guardia notturna

nel reparto di neurologia. Le lascio,

quindi, immaginare quanto l’aspetto

psicologico contribuisca a un buon

funzionamento del nostro sistema immunitario.»


47

CORONAVIRUS

La parola al prof.

Giulio Tarro,

l’illustre virologo

intervista del 16 marzo 2020


48 l’inchiesta

Prof. Tarro da mesi sentiamo

parlare di questo nuovo Corona

virus. Si tratta di un’influenza

normale, magari più contagiosa,

o ci troviamo di fronte a

qualcosa di più grave e pericoloso?

«Diciamo che si hanno una decina di

famiglie virali che possono dare delle

virosi respiratorie. E stiamo, appunto,

parlando dei corona virus. I quali,

fino al secolo scorso da quando vennero

scoperti, essendo causa di semplici

raffreddori vennero etichettati come

benigni.»

Nel 2002/2003 ci fu quell’episodio

di Sindrome Respiratoria Acuta

Severa, o SARS così come descritta

etimologicamente, che si risolse

nel giro di sei mesi – da Novembre

2002 ad Aprile 2003. Ci furono oltre

ottomila casi di contagio con 774

episodi di mortalità. Stiamo, quindi,

parlando di quasi del 10% sul

totale. A partire da quel momento,

il Corona virus venne etichettato

come qualcosa di serio e perciò non

più benigno.

«Nel 2012 ci fu, nel Medio Oriente, un

altro episodio sempre legato al Corona

virus. Si osservò essere una situazione

a macchia di leopardo e che diede altri

casi nel 2015. Sto parlando della MERS,

la cui percentuale di mortalità fu di un

paziente su tre contagiati. La situazione

venne risolta sia con gli anticorpi delle

persone guarite che con l’utilizzo degli

anticorpi monoclonali umani (un protocollo

di cura simile sul SARS-CoV2

lo stanno mettendo a punto in Olanda

proprio in questi giorni).»

di Pierluigi Pietricola

Il terzo episodio di Corona virus,

non più semplici agenti di raffreddori,

è quello che stiamo vivendo.

Ne sappiamo vita, morte e miracoli

per quanto accaduto in Cina.

Si presume che i primi casi possano

essere cominciati nell’Autunno

2019, successivamente ufficializzati

come polmonite atipica il 31 Dicembre

scorso. Dopo tre settimane

è stato dichiarato il contagio

interumano. E da allora è iniziata

una serie di comunicazioni, sia

dalla Cina che da chi ha cominciato

a studiare l’argomento – gli

Stati Uniti d’America ma anche il

Canada, l’Australia e la Germania

con un test diagnostico approvato

dall’OMS. In sostanza ci troviamo

di fronte a ottantamila casi in Cina

con un finale come quello della

SARS del 2002/2003. Da epidemia

si è deciso di chiamarla pandemia

perché il virus è attualmente presente

in tutti i continenti. Ma si

tratta di una distinzione puramente

semantica che non cambia la sostanza

dei fatti.

«Noi stessi, in Italia, abbiamo visto

che i casi della coppia cinese ricoverata

allo Spallanzani di Roma e quell’unico

paziente che veniva da Wuhan si sono

tutti risolti. Poi tra il 20 e il 22 Febbraio

scorso ci sono stati centinaia di episodi,

in particolare in Lombardia con

un focolaio in Veneto, con percentuali

di morte superiori alla Cina – che si è

fermata al 2%. È però da tenere presente

che qualche giorno fa l’Istituto

Superiore di Sanità ha dichiarato che la

maggior parte dei decessi, esclusi due,

sono avvenuti “con” Corona virus, e

non “da” Corona virus. Ciò che significa

che ci si trova in presenza di altre

patologie che la concomitanza del Corona

virus contribuisce ad aggravare.»

Questo vuol dire che il Corona virus

attuale non è causa diretta di morte?

«Esattamente. Tenga presente che nel

2019 l’influenza ha colpito sei milioni

di italiani e ha causato diecimila decessi.

Sono dati ufficiali.»

«Nel 2012 ci fu u

legato al Coronaviru

a macchia di leopard

nel 2015: la MERS

di mortalità era di

contagiati. La situ

con gli anticorpi dei

monoclona


49

n altro episodio

s. Fu una situazione

o che diede altri casi

, la cui percentuale

un paziente su tre

azione fu risolta

guariti e con quelli

li umani»

Più del Corona virus?

«Certamente! Il problema della situazione

che stiamo vivendo è che è venuta

fuori d’amblée. A ciò si aggiungano

i tagli fatti alla sanità negli anni

precedenti. Lei pensi che dal 1997 al

2015, relativamente ai reparti di terapia

intensiva, si è venuta a creare una situazione

di questo tipo: da 575 posti ogni

centomila abitanti, si è passati ai 275

attuali. C’è stato un taglio scandaloso

del 51%. E questi che le cito sono dati

dell’OMS.»

Trecento in meno!

«Esattamente. È scandalosa questa situazione.

Consideri che quando c’è

stata la notizia dell’epidemia in Cina, le

autorità francesi da un giorno all’altro

hanno raddoppiato i posti di terapia intensiva

nelle strutture ospedaliere. Noi

lo abbiamo fatto? No. Quindi queste

lamentele continue sul fatto che non ci

sono più posti, ora sono fuori luogo. Si

sarebbero potuti creare gli ospedali da

campo, ricorrere alle cliniche private e

via discorrendo. Non è possibile, oggi,

sentire che se ci sono due pazienti affetti

da Corona virus: uno di settant’anni

e l’altro di trenta, il primo può morire

mentre il secondo ha più possibilità di

guarire. Queste sono cose inenarrabili

in un paese civile.»

Bisogna avere paura del Corona virus?

«In che senso? Chiariamoci bene. Noi

non dobbiamo mai dimenticare che

abbiamo sotto gli occhi l’esperienza cinese,

la quale testimonia che su ottantamila

casi il 99% delle persone contagiate

hanno risolto la malattia e adesso

stanno bene. Questo vuol dire che se

noi prendiamo il totale dei contagiati

rimane l’1% di coloro che, purtroppo,

non ce l’hanno fatta. Ovviamente

se rapportiamo questi dati a una tipologia

di popolazione anziana, come è

quella italiana, piena di altre patologie

pregresse e acciacchi vari dovuti all’età,

la percentuale di chi non ce la fa può

aumentare. Ma si tratta di valutazioni

che verranno successivamente. Adesso

è impossibile farle.»

Lei è d’accordo con le misure governative

che sono state adottate?

«In sostanza si tratta di mettere le porte

di ferro alla stalla una volta che gli animali

sono scappati. Sono, sicuramente,

misure giuste ma tardive. Le si sarebbero,

però, dovute attuare prima. Non era

sufficiente solo proibire i rientri dalla

Cina senza pensare che dalle altri parti

del mondo – Dubai, Mosca, Francoforte

per esempio – non sarebbero arrivate

persone contagiate. Queste dinamiche,

aggiunte alla situazione sanitaria

in affanno, ci danno l’immagine precisa

di quanto sta accadendo in Italia. Ora

ci troviamo di fronte a un paese blindato,

tutta zona rossa, senza motivazione.

Sarebbe stato necessario, a mio avviso,

un altro approccio. Pensi che negli

Stati Uniti, già a partire dal 2 Febbraio

scorso, è stata ripristinata la quarantena

federale (i quindici giorni di isolamento

cautelativo) per coloro che venivano

dalla Cina o che avevano avuto rapporti

con i cinesi. Questo, naturalmente, non

esclude che il Corona virus sarà anche

lì, ma credo che la situazione non verrà

affrontata nel modo con cui la stiamo

affrontando noi.»

Che ne pensa dell’utilizzo del farmaco

usato per l’artrite reumatoide

– protocollo di cura messo a punto

proprio a Napoli – e che pare stia

dando buoni risultati nel combattere

l’attuale Corona virus?

«Io penso che questo protocollo di cura

possa valere per alcuni casi particolari.

Si tratta di un farmaco da utilizzare con

le pinze perché può causare una serie

di effetti collaterali. Quindi bisogna

procedere con cautela. Gli stessi cinesi

venuti in delegazione in Italia hanno

detto che anche loro lo hanno utilizzato.

Può, a mio avviso, essere usato ma

senza pensare di poter risolvere tutti i

casi in modo univoco.»


after Corona

50 l’inchiesta

An interview with

* American linguist, philosopher,

cognitive scientist, historian,

social critic and political activist

The father of modern linguistics

The future

of the world


51

Noam Chomsky*

virus


52 beni culturali

di Amedeo Ceresa Genet e Pierluigi Pietricola

After Coronavirus, the world

could change. We interviewed

Prof. Noam Chomsky, the

most important and prestigious intellectual,

to have a clear idea of our

future.

Professor Chomsky, in your opinion,

what will the political and

social consequences of this pandemic

be?

«Currently, two forces are contending

for predominance. One is the business

class, which has dominated to

an unusual extent for the last 40 years

and is represented by the neoliberal

ideology both politically and economically.

Their goal is to ensure that, in

the aftermath of the pandemic, there

will be harsher autocratic measures

that favor the wealthy and the corporate

sector.

At the other end, the counterforce

is embodied by the Progressive International

initiated by Bernie Sanders

in the US and Yanis Varoufakis’s

DiEM25 in Europe. They aim to tackle

the effects of global warming and

other severe problems, and, in Europe’s

case, to salvage what is valuable in

the EU and replace their harmful and

destructive forces, dismantling the

oppressive regime and concentration

of wealth.»

What are the causes of this pandemic?

«That is not difficult to figure out. We

are talking about the same factors that

caused the previous pandemic and

will cause the next one, unless overcome.

In 2003 we had the first epidemic

of SARS, which is a Coronavirus.

The drug companies – backed by the

political parties and with massive resources,

labs, and funds – understood

that there would be another one.

However, on that occasion, the real

barrier was capitalism – profit. You

don’t make money by working to produce

a vaccine for some catastrophe

that might happen in ten years and is

used irregularly, unlike something that

happens every day.

The second factor is the savage capitalism

initiated by Reagan and the

Chicago Boys 40 years ago. Their

motto at the time was ‘The government

is the problem, not the solution.’

So we were stuck. The drug companies

couldn’t prepare for a coming

pandemic and the government couldn’t

do it either.

Of course, not all governments support

this doctrine fully. The US cooperated

with China and did some

excellent work identifying the sources

of future prospective pandemics

Also, the source of Coronaviruses is

not so obscure. Most of these viruses

are passed on from bats to other

mammals, which eventually come in

contact with humans. This research

was mainly carried out in the Wuhan

Center of Virology. It is dangerous

work – some get killed.

Trump is a slave of the corporate sector,

waving a false flag of populism.

He canceled these programs and is

now in a campaign to find a scapegoat

for his crimes against America.

The way the president has acted killed

tens of thousands of people, and he

has to cover for it by blaming China.

Every year he has been in office, he

has defunded the Center for Disease

Control (CDC) and other health-related

aspects of government.

On February 10th, with the pandemic

raging, he came up with his Federal

Budget: he called for defunding the

CDC even further while increasing

subsidies for the fossil fuel industries.

This is the mentality typical of savage


53

capitalism.

About a week after symptoms of an

unknown disease appeared in China,

Chinese scientists identified the virus,

sequenced the genome and distributed

it to the world through the World

Health Organization. By mid-January,

every scientist interested knew what

was going on. Some reacted – Australia,

New Zealand, East Asia, Taiwan,

South Korea, and China. They all

have it under substantial control now.

Europe waited, then they acted. Some

more effectively, some less. Way at the

bottom of the barrel is the US.

First of all, the government happens

to be that of a narcissistic sociopath,

interested in nothing but himself. On

top of that, the US is an unusually

business-run society. Even before

Trump, the health system was a catastrophe.

We have twice the cost of

any comparable country with some

of the worst outcomes – highly inefficient,

highly bureaucratized. It was

privatized to provide profits for the

rich. The business model requires

that there be no waste – everything is

cut to the minimum.

The next pandemic could be even

worse because of global warming. We

know how to get ready for it, but somebody

has got to do it.»

Will democracy be in danger, after

this pandemic?

«That depends on the outcome of the

ongoing class war. The gurus of neoliberalism

– such as Ludwig von Mises

and Friedrich Hayek – used to say

that democracy is a bad thing because

it interferes with sound economics.

In their view, Pinochet’s autocratic

state was the perfect experiment for

neoliberalism. There was no opposition.

The torture chambers took care

of that. America had strangled Allende’s

government but now and poured

money onto Chile for the sake of the

neoliberal dream, as did the international

financial institutios. The Chilean

economy depended on the highly

efficient nationalized Copper company

CODELCO. Conditions were

ideal. They crashed the economy in

five years.

Because democracy is considered a

danger, the neoliberal state needs to

crush resistance by all means possible,

including violence. That is what happened

with the repression of the Austrian

labor unions back in the 1920s,

enthusiastically supported by the leading

lights of neoliberalism. Very

much like Pinochet.

When we hear that the US is the beacon

of democracy, we should bear in

mind that the gold standard of scholarship

on the forming of the Constitution

is called ‘The Framer’s Coup.’

That is to say, the coup against the

general public and its demand for democracy.

The American constitution is designed

to undermine the possibility

of democracy itself. James Madison

explained this perfectly. A prime goal

of government is to “protect the opulent

minority against the majority’.

Democracy interferes with this.

The subsequent political history of

the US is largely a battle between these

two forces. The same applies elsewhere,

as and will after the pandemic.»

Do you think the media gave adequate

coverage of this virus?

«The better media did an honest job

reporting the data. In this respect,

The New York Times and the South

China Morning Post come to mind.

However, they never investigated the

causes of the pandemic: a capitalist

catastrophe intensified by neoliberalism

and far right betrayal.

On the other hand, if we consider the

Republican Party, most of its members

won’t even acknowledge the that

these questions exist. Thats that’s what

they hear from FOX News, which is

the echo chamber of the far-right administration

– ‘science is just deceit,’

‘global warming is a hoax,’ ‘stop the

lockdown,’ and so on. This has severe

effects on the entire world.

Trump uses the World He- »


54 beni culturali

alth Organization as a scapegoat to

defund and destroy it eventually. There

is an element of sadism in all this,

and Europeans are too cowardly to

do anything besides sitting in a corner

and saying: ‘We don’t like what you’re

doing.’»

What is your perception of the

pandemic in Italy and Europe?

The pandemic has been very serious,

especially in northern Italy, but just a

few kilometers north of it, there are

rich countries that managed the crisis

successfully. Are there any German

doctors in Italy? They’re Cuban! Cuba

sends doctors. Germany doesn’t help

Italy.

For the last two months, the public’s

attention has been focused

entirely on the Coronavirus. Which

other issues – global warming,

the risk of nuclear war, etc. – have

been developing?

«Global warming is already a problem.

If we do nothing, the polar ice sheets

will melt along with other processes

that will make much of the world

uninhabitable, maybe within the

next 50 years. The narrow climatic

spectrum that is crucial to the survival

of the human species will deteriorate

irreparably. Some countries are

trying to move to sustainable energy.

In contrast, the US is trying to make

it as bad as possible, investing in fossil

fuels, new areas for exploitation, and

cutting back on regulations that might

mitigate the effects of a phenomenon

that is much more dangerous than the

pandemic.

We are racing into the abyss as quickly

as we can.»

Do you think that the relations

between the East and the West will

change?

«The scholarly literature, I think, has

exaggerated the prospects for the

main Eastern countries. The US is, by

far, the most powerful country in the

world. It’s the only one able to impose

sanctions that others must obey. Its

corporations own half the world’s wealth.

No other country will can match

its supply of internal resources – agricultural,

mineral – nor the homogeneity

of its society.

China has had enormous growth but

is still a very poor country. You just

need to take a look at the UN Human

Development Index – you’ll find

it’s ranked about 90th. The country

has huge internal problems – demographic

and ecological issues that are

entirely unknown to the West. Chinese

exports are designed and controlled

by companies like Foxconn in Taiwan

and Apple, but the profit does not stay

in China. Apple then sets up an office

in Ireland and avoids paying taxes.

This is neoliberalism today.

The US can harm itself – and under

Trump, it is doing so, but they still

have a long way to go. It remains the

most powerful of all.»

What mistakes do you believe have

been made in the US, Italy, and

Europe, when dealing with the

pandemic?

«The first mistake was back in 2003

when nobody prepared for the current

pandemic. Now we need to prepare

for the next one.

Secondly, when the information came

out of China – which happened very

quickly – some countries didn’t react.


55

In Italy, there was a huge soccer game.

That, I’m sorry to say, was apparently

one of the sources. The Italian health

system is pretty good, but it was not

prepared for anything like this, because

of the neoliberal cutbacks and austerity.

This is continuing, incidentally.

You may have noticed that, not long

ago, the German constitutional court

ruled that the German banks cannot

adhere to EU regulations. Well, that

might eventually destroy the European

Union. Germany has the big banks

behind it. It has been blocking the efforts

to create Eurobonds to distribute

the costs through Europe.

So, overall, some countries in Europe

have done well, but they’re not helping

others.

When it comes to the US, it’s not even

mistakes – it is criminality. US intelligence

agencies were warning the White

House daily. Trump only looks at

his TV ratings and the stock market,

which, he thinks, will help his election.

Then when all of a sudden, the stock

market plunged, he realized something

had happened.

Now his electoral strategy is to blame

the States and their governments.

When things go wrong, Trump will

say that the wealthy States – especially

those run by the Democrats – are

misusing funds. This gets him some

electoral points. He can claim success

if something happens to go well. Of

course, it’s the Federal government

that has the funds and means.

So you can’t talk about mistakes. You

can talk about sociopathic megalomania.

Trump simply cares nothing

about the public and the international

situation.

From my childhood – the 1930s – I

remember the fascist slogan of Franco’s

generals – ‘Down with intelligence.

Forward with death.’»

How could a different future be

created, without pandemics, global

warming, and threats of nuclear

war?

«It’s all in our hands; it’s not even terribly

difficult. First of all, we must

prepare for the next pandemics, and

we know how to do it. And we must

repair the sick system in the background.

Governments need to stop tax havens

and stock buy-backs, which rob the

public of tens of trillions of dollars.

None of this existed on anything like

the present scale prior to the Reagan

administration. It’s not utopian to say

we should go back to the system before

the neoliberal doctrines were imposed.

Austerity programs in Europe have

been devastating, and there is no serious

economic justification for that.

They’ve lost the Union trillions of

dollars. However, not all things are

bad with the EU. It’s good for people

to be able to travel from one country

to another, have trade interactions,

and migrate as they please. But the

destruction of democracy by centralizing

decision-making in Brussels is

extremely harmful. The decisions of

the unelected bureaucratic elite are generating

anger, resentment, and dislike

for institutions, creating fertile terrain

for demagogues. That can be overcome.

Global warming can be dealt with too.

We have the means, but not much

time. I don’t think there’s a single threat

that cannot be resolved. But the

more we wait, the worse it gets.»


56 beni culturali

Coronavirus

«Meglio curare col p

o con gli anticorpi m

L’una cosa non escl

intervista del 9 maggio 2020


57

L’intervista alla professoressa

Maria Rita Gismondo

lasma iperimmune

onoclonali?

ude l’altra»

di Pierluigi Pietricola

Coronavirus: come sta andando

la fase 2 appena iniziata? Le

cure: meglio la sieroterapia o

l’uso degli anticorpi monoclonali? È

vero che il Sars CoV2 sta cambiando

ed ora è meno aggressivo di prima? Di

questo e molto altro abbiamo parlato

con la Professoressa Maria Rita Gismondo.

Parliamo di questa fase 2, Professoressa.

Le piace il modo con cui gli

italiani la stanno affrontando?

«È stato appena pubblicato un intervento

del sindaco di Milano, che dice

di essere molto irritato dal comportamento

di tanti milanesi (non di tutti,

per fortuna). Ci sono i Navigli pieni

di giovani, persone che creano agglomerati

e che circolano senza mascherina.

Quello che succederà lo sapremo

fra dieci o quindici giorni. Va detto

che tutta l’Italia sta avendo un trend

migliorativo. Mentre la Lombardia e

Milano stanno andando, purtroppo,

in senso contrario. E ciò mi fa molto

preoccupare, perché le persone non

hanno capito che fase 2 non vuol dire

“liberi tutti”, ma adozione di comportamenti

individuali di responsabilità e

rispetto per gli altri, per evitare che vi

sia di nuovo un incremento di diffusione

del virus con tutto quel che ne

consegue e che abbiamo visto accadere

nei mesi precedenti.»

Parte del mondo scientifico sostiene

che si sta osservando un cambiamento

da parte del Sars CoV2,

nel senso che è meno violento di

prima. Lei è d’accordo?

«Sì, hanno anche detto che il virus è

mutato. Prima di affermare questo, occorre

verificare se vi siano o meno state

delle mutazioni. Noi stiamo genotipizzando

molti dei virus che abbiamo

isolato. Fino ad ora, il Sars CoV2 si è

mostrato molto costante. Da Wuhan

ad oggi non si sono riscontrate mutazioni

importanti. Probabilmente è

cambiato lo scenario, perché adesso

sappiamo come affrontarlo sul piano

diagnostico in modo tempestivo e

sull’uso di molecole che possono arrestare

il decorso fino ad arrivare all’iper

infiammazione a carico dei polmoni. A

mio avviso il miglioramento dello scenario

dipende soprattutto da questo.

Ciò non toglie che mi auguro che dipenda

anche dal cambiamento del Sars

CoV2, nonostante ancora non vi siano

certezze sotto il profilo scientifico.»

Questo virus potrà spegnersi nel

tempo?

«Potrebbe essere. Non è da escludere.

Ma ad oggi non abbiamo dati scientifici

che ce lo confermano. Molto positivo

è il fatto che noi siamo, allo stato

attuale, maggiormente consapevoli di

come questo virus si manifesta e di

come è necessario intervenire in modo

tempestivo.»

Che opinione ha del protocollo

di cura che prevede l’utilizzo della

sieroterapia messo a punto dal

Prof. De Donno a Mantova e anche

in altre realtà ospedaliere nazionali

e internazionali?

«Intanto cerchiamo di fare

chiarezza sui termini. Si chia- »


58 beni culturali

ma protocollo ciò che ancora non è stato approvato

dall’AIFA. Dal punto di vista scientifico,

la sieroterapia è l’applicazione di qualcosa che

è stato fatto sia nel tempo che per il Sars Cov2.

Già da Wuhan vi erano degli studi pubblicati nei

quali si raccontava e dimostrava il fatto che dei

pazienti erano stati guariti utilizzando il plasma

iperimmune ricavato dai soggetti guariti. Si tratta

di far diventare questo protocollo una proposta

terapeutica a tutti gli effetti attraverso, come

dicevo, l’approvazione dell’AIFA. Personalmente

ritengo (ed è una mia opinione) che il plasma

iperimmune non potrà sostituire la terapia,

perché non vi sono ancora scorte sufficienti per

curare tutti coloro che ne hanno bisogno. Però

in questa fase può essere molto utile. Sull’esito

positivo dell’impiego, anche relativamente al fatto

che moltissimi pazienti sono guariti, io prevedo

ampi margini di successo. Si tratta di una

evidenza scientifica lapalissiana, indiscutibile e

di successo.»

Perché, allora, parte del mondo scientifico

ha avuto opinione contrare alla sieroterapia?

«Sinceramente non me lo spiego. Dal punto di

vista virologico questo protocollo non ha nulla

da eccepire. Io non capisco come si possa, prima

ancora del risultato complessivo del protocollo

e alla luce dei risultati che nel tempo si sono avuti,

escludere l’efficacia della sieroterapia. Non

riesco ad individuare alcun motivo scientifico

valido per queste opinioni sfavorevoli.»

Alcuni scienziati sostengono che più efficace

del plasma iperimmune è la cura che

passa attraverso la creazione di anticorpi

monoclonali.

«Ma l’una cosa non esclude l’altra. In Olanda

hanno già attivato le ricerche necessarie per la

creazione degli anticorpi monoclonali per la cura

del Sars CoV2. Dato che, al momento, gli anticorpi

monoclonali specifici non ci sono, usiamo

il plasma iperimmune. Non vedo perché non lo

si dovrebbe fare. Che senso ha aspettare?»

Forse perché gli anticorpi monoclonali hanno

un costo maggiore rispetto al plasma

iperimmune? Questa è una mia malignità

da giornalista, naturalmente.

«Non è un fatto che mi interessa. Voglio immaginare

medici, clinici e scienziati che agiscono

per il bene delle persone in armonia con i progressi

che le scoperte fanno compiere al mondo

scientifico. Escludo che uno scienziato possa

definirsi tale se il lucro è il suo primo obiettivo.»


59

A suo avviso la comunicazione del mondo

scientifico sul Sars CoV2 è stata buona, insufficiente

o in malafede?

«Non si può generalizzare. Io condivido ciò

che l’Oms ha detto: c’è stata una infodemia,

cioè un eccesso di informazione al punto da

ingenerare fra le persone un sentimento di confusione

e di panico. Diciamo che fra il prezzo

da pagare tra un eccesso di informazione

e l’inquisizione che parte del mondo scientifico

ha esercitato su coloro che hanno espresso

punti di vista diversi in merito al Sars CoV2, io

preferisco l’infodemia nonostante tutti i suoi

difetti.»

Come facciamo noi non addetti ai lavori a

distinguere una comunicazione scientifica

seria e attendibile da una che, invece, è in

malafede e non competente?

«Questo è un rischio che tutti corriamo quando

leggiamo e ci informiamo su argomenti che

non padroneggiamo. Le persone debbono imparare,

nel tempo, a confrontarsi con ciò che

le istituzioni pubblicano, che non è perfetto

(tutto è soggetto a miglioramenti nel tempo)

però ha criteri di affidabilità. Quindi consultare

e mettere a confronto quello che veniamo

a sapere con ciò che l’Oms e il Ministero della

salute dicono nel merito del Sars CoV2. Evitare,

perciò, quei siti e quei social dove il pericolo

della strumentalizzazione è sempre latente.»

Che ne pensa della diatriba che giorni addietro

vi è stata fra Giulio Tarro e Roberto

Burioni? Nel tempo le tesi che il Prof. Tarro

ha avanzato e sostenuto sul Sars CoV2

mi pare si siano tutte verificate.

«Quello che ho sempre detto, visto che anche io

sono stata attaccata nel momento in cui andavo

affermando le stesse cose delle persone che

hanno puntato l’indice contro di me, è che se

c’è buona fede e cultura ognuno può esprimere

la propria opinione scientifica. Lo scienziato

deve essere sempre aperto al confronto ed

alla discussione, in modo onesto e trasparente.

Non ci sono giudici ed accusati, ma scienziati

con esperienza e cultura che analizzano il fenomeno

dal loro punto di vista. Quando si parla

di un virus nuovo, si fanno delle ipotesi in base

ad esperienze, modelli matematici ed epidemiologici

precedenti. Io più che perdere tempo

in polemiche fra virologi, preferisco proseguire

a studiare il virus per far progredire la scienza e

migliorare lo stato di salute di chi ne ha.»


60 beni culturali

su

La professoressa Maria Rita Gismondo: «

di Pierluigi Pietricola

Stiamo per entrare nella fase 2

detta di convivenza con il Sars

CoV2. Aumenta il numero dei

guariti di giorno in giorno. Vi sono

delle cure? E di che tipo? Abbiamo

parlato di questo, ed altro, con la Professoressa

Maria Rita Gismondo.

Professoressa, sentiamo sempre

più parlare del numero dei guariti

che aumentano. Come avviene la

guarigione? Se le persone che guariscono

sono sempre di più, vuol

dire che già ci sono delle terapie in

corso efficaci?

«Il 90% delle persone che si ammalano

di Sars CoV2 hanno dei sintomi blandi

e si curano in casa. Chi con periodi

più brevi, chi con periodi più lunghi:

tutti mostrano tosse secca, febbre e in

qualche caso un coinvolgimento polmonare

serio che prevede il ricovero.

Non è stata ancora individuata, al momento,

una terapia né preventiva né

curativa. I protocolli che si eseguono

rientrano tutti nella fase sperimentale,

benché molte molecole mostrino

di comportarsi bene. Gran parte delle

persone infettate e che rimangono

in casa ricorrono alla Tachipirina che,

però, difficilmente fa abbassare la

febbre. Ciò detto, un soggetto infettato,

se alla fine dei sintomi avrà due

tamponi negativi allora viene dichiarato

guarito. Lo stesso vale per chi è

dimesso dall’ospedale, che viene affidato

ad una quarantena di 15 giorni

– che forse potrebbe essere allungata

a 21 alla luce delle ultime acquisizioni

scientifiche.»

Se si riescono ad individuare per

tempo i sintomi del Sars CoV2,

grazie anche alle cure (benché

sperimentali) che ci sono in circolazione,

si riesce ad arginare l’iper


61

Puntiamo

lle terapie

I risultati passano per la sperimentazione»

infiammazione a carico dei polmoni?

«Un sintomo che ci fa pensare ad una

infezione da questo coronavirus è la

febbre che difficilmente si abbassa

grazie al paracetamolo (la nostra Tachipirina).

Al momento le persone che

mostrano sintomi lievi non vengono

trattate con nessuna delle molecole

utilizzate in ospedale in caso di ricovero.

intervista del 23 aprile 2020

Parliamo della fase 2. A quanto si è

capito si procederà tenendo conto

delle particolarità dei singoli territori.

È un bene o un male?

«Da un punto di vista logico la scelta

è giustificabile. Se in una regione il virus

non circola o circola pochissimo,

è giusto che vi sia più libertà di movimento.

Tutto sta a capire se si potrà

circolare fra regioni o se le regioni

con più contagi – tipo Lombardia o

Piemonte – dovranno rimanere ancora

chiuse per un ulteriore periodo.

Per esempio: i cittadini di Milano potranno

recarsi nella loro seconda casa

in Liguria? Bisognerà comprendere

come questa seconda fase sarà declinata.»

Uno studio israeliano sostiene che

il periodo di vita del Sars CoV2 è di

circa 70 giorni. Poi tende a morire

naturalmente. Lei condivide ciò

che afferma questo studio?

«Non sono in grado di escluderlo. Per

altro gli israeliani sono molto seri nelle

loro ricerche scientifiche. Quindi mi

sentirei di accettare questa tesi. Non

posso trarne una conclusione mia

personale, perché non ho una diretta

esperienza per farne un mio pensiero

scientifico. Però potrebbe certamente

essere vero ciò che questo studio afferma,

non ultimo perché è un comportamento

che si osserva

anche negli altri virus.»

»


62 beni culturali

Il modello israeliano per combattere

l’epidemia da Sars CoV2 (proteggere

gli anziani e chi ha gravi

patologie e lasciare che il virus circoli

fra i più giovani) secondo lei è

giusto?

«Io lo sposo in pieno. L’ho sempre

pensato. Ovviamente dobbiamo tenere

conto anche delle differenze relazionali

che ci sono Israele rispetto all’Italia.

Noi, come la Spagna, siamo una nazione

con rapporti inter familiari molto

stretti. Dire ai nonni che dovranno stare

separati dai nipoti per noi, come per

la Spagna, è quasi un’eresia. I modelli

valgono e sono efficaci anche in base

ai backgrounds culturali dei paesi cui ci

si riferisce. Un lockdown militarizzato

come a Wuhan, dove veramente non si

poteva uscire di casa, non lo ha fatto

nessun paese dell’Occidente. Come faremmo

ad annullare il nostro senso democratico

di fondo? Detto ciò, questa è

stata la prima pandemia dove si è scelto

di isolare tutti piuttosto che solo i malati

e le persone a rischio. Io non critico

questa scelta, ma la reputo sui generis.

L’infettivologia ci ha abituato all’isolamento

dei malati e non dei sani. In più

mi preoccupa molto ciò che è stato affermato,

e cioè che dovremo pensare ad

un periodo di stop and go, di chiusura

e apertura alternate. Dal punto di vista

psicologico ed economico sarebbe disastroso.

La trovo un’ipotesi veramente

dura da attuare e seguire.»

Se davvero dovesse verificarsi ciò

che dice lei, significherebbe non

aver preso, da parte dello Stato, le

giuste precauzioni in termini di

medicina del territorio, centri specializzati

per il Sars CoV2 e così

via, per evitare che si ripetano simili

situazioni come quella che

stiamo vivendo.

«Che si voglia accettare o meno il sistema

lockdown, dobbiamo renderlo

il più utile possibile. E non possiamo

permetterci di vanificare i sacrifici fatti

fino ad oggi. Io penso che aprire e

chiudere non sia utile. Sarebbe, forse,

utile fare un sacrificio più lungo adesso

per arrivare al livello di R0 piuttosto

che dire alle persone, nel caso la situazione

dovesse precipitare di nuovo

– auguriamoci di no! – di rientrare in

una condizione di lockdown. Sarebbe

una situazione ingestibile.»

Con l’Estate però, cambiando i

comportamenti sociali e grazie

anche alle temperature più calde,

il Sars CoV2, come gli altri virus,

può scomparire.

«Abbiamo una sola speranza: siccome

siamo certi che il virus nell’acqua marina

non sopravvive e muore, andiamo

al mare e stiamo tutti in acqua.

Attraverso l’acqua di mare non c’è la

possibilità di infettare le altre persone.»

L’idea di installare barriere in

plexiglas fra gli ombrelloni le pare

una proposta credibile e attuabile?

«È una sciocchezza! Io farei provare,

a chi ha proposto questa idiozia, di

stare fra due pareti di plexiglas a temperature

che si aggirano fra i 36 e i 37

gradi. Ma scherziamo? Non è fattibile.

Si creerebbero delle serre. Le persone

rischierebbero il collasso per il caldo.»

Cosa si aspetta per il futuro?

«Punto molto sul fatto che di qui a un

anno si scoprano anche efficaci terapie

preventive. Ai lanci di vaccini che

arriveranno fra qualche mese io dico

di mostrare calma e cautela. Non ultimo

perché esistono dei virus, come

l’HIV, che non sono stati debellati

da un vaccino. Io credo che le misure

di contenimento adottate possano

abbassare il contagio al punto da

costringere il virus a spegnersi pian

piano. E insieme a questo punterei,

molto più concretamente, sulle terapie

che stiamo sperimentando con ottimi

risultati. Non poniamo tutte le nostre

speranze sul vaccino.»

Dire che non si tornerà alla normalità

finché non ci sarà un vaccino è

un’affermazione giusta?

«È pericoloso dirlo. Cosa vuol dire:

che finché non ci sarà un vaccino noi

non torneremo alla normalità? Questa

è una responsabilità che uno scienziato

serio non può prendersi. Pensi se

lo avessimo detto durante l’epidemia

di HIV. Non si possono fare affermazioni

di questo tipo.»


63

COVID Più di tre milioni

esclusi dalla tutela INAIL

Questa moltitudine non può

essere assicurata perché

non previsto dal Testo Unico

D.P.R.1124 del 1965

di Long Johnn

Gli effetti dolorosi della pandemia,

nel dramma collettivo

che stiamo vivendo, hanno

posto in evidenza alcune iniquità

palesi, tra le quali quella dell’esclusione

dalla tutela INAIL di più di tre milioni

di lavoratori.

In questi giorni vi è una reiterata richiesta

per l’emanazione di norme di

dettaglio per il riconoscimento dell’infortunio

per chi ha contratto l’infezione

in occasione di lavoro.

L’INAIL non mancherà di farlo, ma

non potrà certamente assicurare indennizzi

o rendite, per esempio, ai

medici di famiglia, ai vigili del fuoco,

ad alcune tipologie d’insegnanti, come

alle altre numerose tipologie di lavoratori,

tra le quali la sterminata massa

di persone che lavorano a partita Iva e

non sono artigiani.

Questa moltitudine non può essere

assicurata INAIL perché non previsto

dal Testo Unico - D.P.R.1124 del 1965.

Sono disposizioni sull’assicurazione

obbligatoria contro gli infortuni e le

malattie professionali scritte cinquantacinque

anni fa per il mercato del lavoro

e per la società di allora. Il CIV INAIL

da anni ne chiede, invano, un adeguamento

(recentemente lo ha fatto anche

il presidente INAIL Franco Bettoni)

La grande questione dell’ampliamento

della platea degli assicurati INAIL non

può certo esaurirsi solo con quanto

fatto di recente, giustamente, per i riders.

Serve un’azione più ampia tramite

modifiche normative delle quali si deve

far carico il Governo, perché questa è

una misura di giustizia sociale che sta

rimanendo inevasa, anche nel corso di

questo drammatico periodo e questo

non è giusto, oltre che essere incostituzionale.


Nella “Peste”, film

vi è una sequenza te

di ogni totalitarismo

di pandemie la tenta

è come un virus che

tra le pieghe della s

64 beni culturali

Virus e globalizzazione:

una riflessione

tra cinema e politica

di Maurizio

Fantoni Minnella

Nei giorni inquieti e difficili

della psicosi collettiva da

virus, che stiamo vivendo,

non è difficile imbattersi, nell’attuale

pubblicistica, nei soliti riferimenti alle

pestilenze medievali, alla peste manzoniana

del ‘600 milanese o più spesso a

quella immaginaria del capolavoro di

Albert Camus, La peste, appunto. E

proprio da quest’ultimo prendeva le

mosse il regista argentino Luis Puenzo,

(conosciuto in Italia grazie a La storia

ufficiale), per una singolarissima, e non

capita dall’allora critica italiana, trasposizione

del romanzo La peste, appunto,

che pur mantenendo fede nominalmente

al testo originale, ne rovescia


65

di Puenzo del ‘92,

rribile e profetica

: in tempi

zione autoritaria

si annida

toria...

l’assunto metaforico in allegoria politica,

spostando la Orano camusiana in

una Buenos Aires grigia e incupita dal

morbo, ma soprattutto messa a ferro e

a fuoco dai militari che, sfruttando l’emergenza

sanitaria, ne approfittano per

restringere le libertà individuali e applicare

il coprifuoco in tutta la città, da cui

non si entra e non si esce.

Con buona pace dei cosiddetti “apocalittici”,

possiamo tranquillamente non

dirci in pericolo, nonostante le ovvie

analogie con la situazione attuale. E

per una ragione semplice: rispetto agli

anni settanta del secolo scorso, quella

certa Italia che aveva mire golpiste, non

esiste più, non perché sia improvvisamente

mutato il rapporto con la propria

eredità fascista, (anzi, vi è più di

un motivo per credere il contrario), ma

perché non vi sono, almeno in Europa,

modelli totalitari di riferimento (come

lo fu, ad esempio, la Grecia dei colonnelli),

esattamente come il fascismo italiano

fornì un modello per il nazionalsocialismo

e per il franchismo. Inoltre

si parla ormai di virus globale a fronte

di un’assenza di un vaccino che assicuri

l’immunità per ogni cittadino.

Ma qual è, invece, il vaccino necessario

per renderci se non immuni, almeno,

soggetti non passivi, dalla globalizzazione,

virus economico finanziario

e finanche politico e sociale, che non

solo non abbiamo ancora imparato a

controllare, ma che tendiamo o a minimizzare

come una malattia necessaria

a produrre sufficienti anticorpi, o ad

esaltare come sbocco naturale del neoliberismo

nel XXI° secolo?

Innanzitutto, quello dello spirito critico

che ci consente di cogliere a sinistra un

vuoto assai eloquente, ossia del tutto

privo di strategie politiche o modalità

d’opposizione, che a sua volta consegna

alle destre populiste e sovraniste la prerogativa

politica dell’antiglobalizzazione.

Se dietro il preteso antiglobalismo

di destra si cela, in realtà, un disegno

di restaurazione di vecchi nazionalismi

reazionari che la nuova definizione di

sovranismo vorrebbe stemperare nel

richiamo a un orgoglio nazionale che,

entro confini materiali ben saldi, pretenderebbe

di migliorare la condizione

materiale delle masse lasciando però

inalterati i rapporti di forza economici

come a suo tempo fece il fascismo,

dietro il laissez faire di una sinistra dal

colore alquanto sbiadito, che seguita

a definirsi progressista senza peraltro

saper più a che cosa corrisponda realmente

tale aggettivo ormai solo altisonante,

perdura l’errata convinzione

secondo cui, solo dal mercato, inteso

quale arbitro assoluto degli equilibri sociali

ed economici, sia possibile giungere,

grazie all’idea di crescita economica

ininterrotta, a un accettabile livello di

benessere sociale, mentre il divario tra

le classi sociali, negli ultimi decenni,

sappiamo essersi ulteriormente allargato,

trascinando perfino quella che un

tempo chiamavamo media borghesia,

in quello che ancora, con sofisticato cinismo,

viene apostrofato come il “migliore

dei mondi possibili”!…

Nella Peste (1992) di Puenzo vi è una

sequenza terribile e profetica di ogni

totalitarismo: quando, finalmente, viene

assicurata alla protagonista, una giovane

giornalista francese, la partenza

da Buenos Aires, proprio in quel momento

essa viene confinata insieme a

una moltitudine di cittadini all’interno

di uno stadio che tristemente ci rammenta

quello di Santiago all’indomani

del golpe del generale Pinochet. In

tempi di pestilenze o di pandemie, la

tentazione autoritaria è come un virus

che si annida tra le pieghe della storia,

nell’aria che respiriamo e nelle coscienze

assopite della gente. Sta a noi tutti,

invece, il compito di rilevarne il pericolo

e contrapporvi un vaccino che siamo

soliti identificare nell’ordinamento democratico,

talora ignorando la sua e la

nostra fragilità.


66 beni culturali

Il finanziamento

equilibrato

della ripresa

Come liberarci dalla palla al piede

del nostro debito pubblico

di Franco Cavallari

La vicenda del Covid-19 ha drammaticamente confermato

che la globalizzazione, un fenomeno storico

iniziato sostanzialmente con l’aumento degli

scambi commerciali di tre secoli orsono, costituisce un

fenomeno connaturato con l’evoluzione del Mondo moderno,

anche per aspetti che esulano dal versante economico.

Restando nel campo dell’economia, già a partire dal

secolo XVII il fenomeno ha dato luogo ad un vasto complesso

di teorie sugli sviluppi degli scambi commerciali

tra le nazioni, come quelle di Smith, Ricardo, Haberler,

Ohlin, Samuelson ecc.

Negli ultimi trenta anni, dopo il crollo del muro di Berlino,

la globalizzazione ha prodotto un forte aumento degli

scambi mondiali, dispiegando enormi effetti positivi, di

natura economica e non. Tra gli altri, importantissima, la

fuoriuscita dalla povertà assoluta di un paio di miliardi di

persone; senza dimenticare, tuttavia, le notevoli criticità

distributive dello sviluppo che ne sono conseguite e che

hanno contribuito non poco a lasciare nell’indigenza quasi

altrettanti abitanti dell’Asia, dell’Africa e dell’America

latina.

Da questo punto di vista, gran parte della dottrina economica

ritiene che alcuni modi di applicazione dei canoni

della globalizzazione necessitino di una profonda revisione,

i cui fondamenti sono stati autorevolmente indicati

da numerosi eminenti economisti. È comunque assodato

che si tratta di un fenomeno storico irreversibile di cui,

il solo immaginarne l’assenza evoca un assetto economico

costellato da barriere e da dazi doganali che vedrebbe

ciascuna nazione in spietata competizione contro tutte le

altre, nel vano tentativo di governare la complessità dei

problemi globali sollevati dall’attualità storica.

Il contagio del Covid-19 con la sua terribile carica distruttiva

si è inserito, imprevedibile ed inatteso, nel già perturbato

quadro globale dell’evoluzione economica mondiale

dell’ultimo decennio. Oltre al versante sanitario, destinato

a prevalere ancora per molti mesi, il carattere globale

riguarda anche i non meno gravi effetti economici, sia

quelli di primo impatto, già in emersione, sia quelli che,

passata la pandemia, sorgeranno nella lunga fase di ricostruzione

dell’economia planetaria.

Per gli effetti immediati, la copertura finanziaria dovrà

evidentemente fare ricorso al disavanzo del bilancio

pubblico, che consente di avere la disponibilità immediata

delle ingenti risorse necessarie ad evitare un collasso

mortale delle economie di molti Paesi. In proposito, la

Commissione europea ha dichiarato la sua disponibilità


67

ad accordare una vasta flessibilità di bilancio ai vari Paesi,

sospendendo con effetto immediato il Patto di Stabilità e

Crescita del 2012.

Il problema del finanziamento si pone fin d’ora con drammatica

problematicità per la seconda fase, quella che scatterà

tra qualche tempo per affrontare la riedificazione delle

economie dei vari Paesi e la ricostituzione di un sistema

mondiale di relazioni economiche internazionali. Da questo

punto di vista, anche considerando il denominatore comune

rappresentato dalla recessione generalizzata in atto e

dall’interesse generale per una ricostruzione il più possibile

armonizzata a livello mondiale, si dovrà tener conto degli

indirizzi di sviluppo di ciascun Paese; e la relativa copertura

finanziaria, com’è evidente, dovrà basarsi per ciascuno di

essi sulle sue specifiche caratteristiche economico-finanziarie.

Tuttavia, malgrado la diversità, la non trascurabile

zona di interesse comune richiederà inevitabilmente una

collaborazione spinta per i problemi che accomunano tutti

i Paesi: in primo luogo il volume di risorse da impiegare,

che sarà ingente per tutti i grandi Paesi dell’Unione. Al riguardo,

non sembrino esagerati gli importi dell’effetto leva

annunciati da Francia e Germania, con disavanzi di bilancio

rispettivamente di 70 e di 150 Mld, che probabilmente

dovranno essere aumentati in corso d’opera. Per l’Italia,

non andiamo lontani dal vero se supponiamo che l’onere

complessivo del rilancio produttivo dovrà produrre per

l’anno in corso un effetto leva intorno ai 200 Mld., con un

disavanzo di bilancio che supererà probabilmente il 6% del

PIL.

Il volume di risorse in gioco implica per tutti i Paesi una

ripartizione della copertura tra diverse fonti di finanziamento,

secondo i canoni dell’Ingegneria finanziaria, che,

in ordine all’esigenza di preservare l’equilibrio di ciascun

sistema economico, impone di realizzare, specie in caso di

grandi squilibri, una configurazione equilibrata dell’assetto

finanziario. Il che implica la distribuzione su basi plurime

dell’onere del finanziamento, secondo la “sopportabilità”

delle diverse fonti. Per quanto riguarda l’Italia, uno dei Paesi

più indebitati del mondo, il corollario del “finanziamento

equilibrato” assume un’importanza basilare proprio in ragione

dei delicati equilibri finanziari del Paese.

La prima e più immediata fonte di finanziamento della

ricostruzione economica italiana sarà, come nella prima

fase, la creazione di risorse finanziarie pubbliche attraverso

il canale del disavanzo del bilancio. A questo riguardo,

la sospensione del “Fiscal compact” da parte dell’Unione

europea rappresenta un passo importante, anche se non

esaurisce il problema; infatti, nella nostra realtà dagli equilibri

instabili, questa fonte di finanziamento è sottoposta ad

un altro vincolo, ancora più stringente: quello del mercato

finanziario. Su questo versante, la nostra situazione complessiva,

gravata, tra l’altro, da ritardi più che ventennali in

materia di produttività, implica di calibrare con molta prudenza

il volume di risorse ricavate dal disavanzo di bilancio,

perché la reazione dei “mercati”, indispensabili al rinnovo

periodico del Debito pregresso, è sempre in agguato.

In realtà, tenendo conto del disavanzo necessario al finanziamento

della prima fase di cui si è detto, che sarà verosimilmente

ampliata fino a circa 50 Mld, siamo già ad un

Debito pubblico nazionale di fine anno superiore al 135%

del PIL. Dato il carattere planetario della recessione e dei

conseguenti squilibri finanziari, per coprire una parte della

seconda fase potremo spingerci più avanti di qualche punto

percentuale senza temere conseguenze squilibranti sui tassi

di interesse sul debito, diciamo fino ad un limite non molto

superiore al 140%; il che consentirebbe di disporre di circa

80 Mld. per il finanziamento in ulteriore disavanzo di una

parte consistente della ricostruzione economica.

Una seconda fonte di finanziamento dovrebbe essere rappresentata

da una sorta di ”Eurobonds” di cui parlarono

ai loro tempi Delors e Prodi, una specie di “Fondo

Europeo per la Ricostruzione Economica” »


68 cultura

lanciato dall’Unione in tutta Europa, per la costituzione

di un fondo “dedicato” alla ricostituzione economica degli

Stati aderenti. Si tratta di una proposta ancora in discussione,

che, in questa fase preliminare del negoziato,

incontra consistenti resistenze di alcune forze politiche

della Germania e dei Paesi Bassi, sempre propense a considerare

che gli Stati in difficoltà vogliano approfittare

della generosità dei Paesi economicamente più forti. In

questo negoziato è necessario superare l’incapacità finora

dimostrata dai governi europei a cooperare soprassedendo

al cieco egoismo nazionale, in questioni fondamentali

che vadano oltre rispetto agli scambi commerciali. Tra le

molte difficoltà che solleva questa proposta v’è il nodo

cruciale della “condizionalità dei prestiti”, che, applicata

nelle forme sperimentate per il caso Grecia, finirebbe per

penalizzare enormemente gli Stati in difficoltà; fermo restando,

comunque, che la solidarietà si applicherebbe solo

ad una garanzia parziale nei confronti dei sottoscrittori di

questo prestito, senza intaccare il principio che ogni Stato

continuerebbe ad essere responsabile dei propri debiti

pregressi.

Il varo di uno strumento del genere comporta il raggiungimento

di un difficile equilibrio tra le posizioni in gioco:

le proposte di Italia, Francia e Spagna, condivise anche da

Grecia, Portogallo, Irlanda e Slovenia da un lato, e, dall’altro

lato lo scetticismo della Germania, dei Paesi Bassi e di

qualche altro Stato del nord Europa. In ogni caso, appare

storicamente chiaro che, dinanzi ad un disastro economico

planetario, difficilmente l’idea della costruzione europea

sopravviverebbe al diniego da parte dell’Unione di porre

in essere uno strumento comune per finanziare progetti

gestiti dall’Unione che si riferiscono alla ricostruzione economica

in tutti i Paesi; uno strumento da costruire con la

Germania e i Paesi Bassi e non contro di loro, incaricato di

tradurre in concreto un minimo di solidarietà finanziaria

con i Paesi in difficoltà.

La maggior parte degli osservatori politici concordano nel

ritenere che, ove la cecità di una parte delle forze politiche

tedesche ostili ad ogni tipo di solidarietà dovesse prevalere,

l’Italia non avrebbe altra via d’uscita che quella di procedere

da sola, finanziandosi con ulteriore disavanzo di bilancio,

(almeno finché ci sarà la BCE a gestire l’equilibrio

dell’euro assorbendo il maggior debito degli Stati) ed anche

emettendo un BTP nazionale trentennale con esenzione fiscale,

finalizzato alla ricostruzione economica, come suggerito

dai meno integralisti della linea rigida tedesca. Ma

le conseguenze di un irrigidimento sulle sue posizioni da

parte della Germania sarebbero devastanti per l’Unione,

lasciando ampi spazi politici al sovranismo delle destre europee

che non vedono l’ora di dissolvere la costruzione

dell’unità europea.


69

Un terzo puntello finanziario per il superamento della crisi

italiana dovrà necessariamente basarsi su risorse finanziarie

fresche, vale a dire sull’imposizione che potrebbe assumere

le forme di una “mini-patrimoniale finanziaria”, le cui risorse

potrebbero essere specificamente impiegate a finanziare

gli investimenti pubblici necessari alla ricostituzione

del tessuto produttivo del nostro Paese. Per molto tempo,

anche nei momenti più bui della crisi del 2011, un’imposta

di tipo patrimoniale è stata considerata alla stregua di una

bestemmia economica, evitata anche dai partiti di sinistra;

mentre anche i ceti meno abbienti, ipnotizzati dagli slogan

della destra sulla diminuzione delle imposte alle classi più

agiate, si allontanavano dal principio di progressività della

tassazione.

Come ben sintetizzato quasi 40 anni fa dall’allora Ministro

Formica, siamo in una situazione in cui il convento è povero,

ma una parte dei frati è ricca. Se è vero che il bilancio

pubblico è zavorrato da un Debito pubblico molto superiore

al PIL (133%), è pur vero che la ricchezza mobiliare

privata degli italiani supera, secondo rilevazioni della Banca

d’Italia, i 4500 Mld. Supponendo, ad esempio, un prelievo

del 2-3% delle ricchezze mobiliari superiori a 250 mila euro

(che ammontano a più di 1600 Mld) potremmo disporre,

senza rovinare nessuno, di circa 40 Mld da indirizzare specificamente,

ad esempio, alla ricostruzione di un sistema

sanitario adeguato ai tempi.

Se vi sono circostanze in cui la ricchezza privata deve esser

chiamata a contribuire alla ricostruzione economica

del Paese; se v’è un tempo in cui chi ha più avuto dallo

sviluppo del dopoguerra deve sentire il dovere di rinunciare

a una parte minima della propria ricchezza per

contribuire alla rinascita della nostra Terra, queste sono

appunto le circostanze e questo è il tempo.

Due considerazioni conclusive chiudono questo articolo:

la prima, rivolta all’Italia, invita a considerare che è difficile

richiedere la solidarietà, sia pure parziale, agli altri Paesi,

quando non si è disposti a praticarla al proprio interno,

avanzando ridicole obiezioni di “desertificazione produttiva”

verso un modestissimo prelievo sulla ricchezza finanziaria

(la parte delle risorse del Paese meno attiva nel

processo produttivo). La seconda, rivolta alla protervia

teutonica contraria ad ogni progetto di solidarietà europea,

che proietta il cono d’ombra di una profonda frattura

in seno all’Unione. Il Paese che ha dato al mondo il

genio di Goethe ed i “lumi” di Kant, pur di non aprirsi

ad un minimo di solidarietà comunitaria, non può ergersi

praticamente isolato a bloccare le ragionevoli proposte di

tre grandi Paesi dell’Europa mediterranea e di diversi altri

Paesi dell’Unione, non ignara della minaccia mortale per

l’Unione che ciò rappresenta in questo frangente delle vicende

storiche mondiali.


del Coro

70 cultura

Il lavoro

al tempo

rio, come arma più efficace per la lotta

al virus, con particolare attenzione alle

case di cura;

Intensificare la presenza di Covid-hospital

per la gestione dei pazienti infetti

e ridurre i rischi di contagio nelle strutture

sanitarie;

Uso corretto dei test, sia tamponi che

test sierologici;

Rafforzamento della strategia di mappatura

dei contatti sospetti con l’utilizzo

delle nuove tecnologie.

Non v’è chi non veda, che la Fase 2

non è un “quando” quanto, piuttosto,

un “quomodo”.

Si prospetta, perciò, la continuazione

di una fase complessa per la generadi

Grazia Maria Delicio

Il Presidente del Consiglio, Giuseppe

Conte, il 21 aprile, ha presentato

in Senato il piano del Governo

per la Fase 2, da mettere a punto

nella stessa settimana.

Il piano consiste in una sorta di “staffetta”

di riapertura, definita “scientifica”

e “strutturata”, che dovrà sempre

essere monitorata, tenendo in considerazione

la “capacità” degli ospedali e

che dovrà tenere conto del rischio di

una nuova impennata dei contagi; di

una recidiva, insomma, che potrebbe

essere più impegnativa della prima ondata.

“La pandemia ha costretto ad adottare

misure di estrema urgenza”, ha asserito

il Presidente del Consiglio, ricordando

che – al momento – il lockdown

è in vigore fino al prossimo 3 maggio

e presentando il piano del governo per

la Fase 2, sotto forma di un programma

basato su 5 punti.

Precisamente:

Mantenere e fare rispettare il distanziamento

sociale, promuovere l’utilizzo di

mascherine e Dpi fino al vaccino;

Rafforzare le reti sanitarie sul territo-


71

navirus

La ripresa economica dovrà fare riferimento a condizioni

di sicurezza già contenute nel Protocollo del 14 marzo

lità dei cittadini, nella consapevolezza

– però – che si debba giungere ad

un allentamento delle restrizioni, onde

fare il possibile per preservare (ma,

dovremmo dire, per “recuperare”) il

tessuto produttivo rimasto fermo a

lungo. Il Paese, cioè, deve riavviarsi e

rimettere in moto la produzione e l’economia,

ma deve farlo – senza ombra

di dubbio – non facendo pagare alle lavoratrici

e i lavoratori il prezzo più alto

in termini di rischi per la salute.

La ripresa economica, perciò, dovrà

fare riferimento ad alcune condizioni

di sicurezza, che potremmo definire

un “minimo sindacale”, recuperabili

nel protocollo già siglato dalle Parti

Sociali – in accordo con il Governo –

il 14 marzo, poi integrato con il documento

del 24 aprile (tenuto conto dei

vari provvedimenti del Governo e, da

ultimo, del DPCM 10 aprile 2020, nonché

di quanto emanato dal Ministero

della Salute), ovverosia il Protocollo

di regolamentazione per il contrasto

e il contenimento della diffusione del

virus COVID 19 negli ambienti di lavoro.),

ma anche ad altre ed ulteriori

condizioni minime, indicate dal comitato

di esperti e da un documento predisposto

da parte dell’Inail, pubblicato

il 23 aprile (Documento tecnico

sulla possibile rimodula-

»


72 cultura

zione delle misure di contenimento del

contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di

lavoro e strategie di prevenzione).

Le “raccomandazioni” contenute nei

protocolli tutti, è appena il caso di precisarlo,

lungi dall’essere semplici indicazioni

comportamentali per i datori

di lavoro, saranno veri e propri presupposti

e prerequisiti per poter tenere in

attività una azienda e le stesse, – questo

sono in pochi ad averlo sottolineato –

non potranno che affiancarsi (a volte

comprendendole, altre inserendosi in

esse) alle regole generali già valevoli

in tema di salute e sicurezza del lavoro;

tra tutte: l’art. 2087 del c.c., le varie

disposizioni del c.d. “Testo Unico Sicurezza”

di cui al D. Lgs. 81/2008 e

s.m.i., nonché tutte le disposizioni – legislative

e non – delle fonti nazionali e

internazionali ivi richiamate.

Sicché, nell’attendere di approfondire

i vari documenti, con particolare

riguardo al documento dell’Inail, in

questa sede dobbiamo ricordare, che

la cd Fase 2 riguarderà sia le attività

già aperte sia le attività che dovranno

riaprire; in più, si dovranno applicare

anche a tutte quelle imprese, che nel

frattempo, in deroga ai codici Ateco

autorizzati, hanno comunque riaperto

con il “via libera” delle Prefetture, a

volte solo anche grazie al silenzio-assenso,

spesso causato proprio dalle numerose

richieste in deroga.

Volendosi cimentare, in un minimo di

previsione sui contenuti base, per parlare

della futura riapertura delle attività

nei luoghi di lavoro, va fatto un cenno

alle tre variabili per la determinazione

del rischio da contagio da SARS-

CoV-2 in occasione di lavoro:

l’esposizione, cioè la probabilità di venire

in contatto con fonti di contagio

nello svolgimento delle specifiche attività

lavorative (es. settore sanitario,

gestione dei rifiuti speciali, laboratori

di ricerca, ecc.);

la prossimità, vale a dire le caratteristiche

intrinseche di svolgimento del

lavoro che non permettono un sufficiente

distanziamento sociale (es. specifici

compiti in catene di montaggio)

per una parte del tempo di lavoro o per

la quasi totalità dello stesso;

l’aggregazione, da intendersi la tipologia

di lavoro che per propria specificità

prevede il contatto con altri soggetti

oltre ai lavoratori dell’azienda (es. ristorazione,

commercio al dettaglio,ecc)

Da questi pochi elementi, emerge la

fondamentale esigenza di ripensare

alla stessa organizzazione del lavoro,

perché è incidendo e intervenendo anche

sul modo (e non solo sul luogo)

in cui si svolge una data prestazione,

che possono essere garantite le condizioni

minime di sicurezza (basti vedere

il Protocollo tra imprese e parti

sociali siglato a marzo), basandosi su

un approccio sistemico e sistematico,

che coinvolga vari aspetti: gli orari, le

modalità di spostamento e trasporti, ricorrendo

– per quanto possibile – allo

smart working (che, di fatto, date le

limitazioni alla circolazione, in questa

fase è un vero e proprio telelavoro dal

domicilio) per quelle attività dove non

è necessaria la presenza.

Con particolare riferimento a quest’ultimo

aspetto, che tanto torna utile in

termini protettivi della salute dal rischio

contagio, va posta particolare attenzione

a tutte le questioni collegate,

che attengono alla segregazione, allo

stress lavoro correlato e alle note questioni

delle differenze di genere che,

innegabilmente, ancora pervadono la

nostra “cultura” sociale e familiare e

che vedono – in questi contesti – la

donna sempre più gravata dal doppio

carico (familiare e di lavoro).

Partendo da questi presupposti, dovremmo

ritenere, perciò, che l’approccio

non possa che essere triplice:

nuove regole e comportamenti da

adottare (interni/esterni/e dei terzi)

un patto di responsabilità per la sicurezza,

che coinvolga anche eventuali

imprese terze che entrano in contatto

con una data realtà produttiva (es. fornitori,

imprese pulizie, spedizionieri,

manutentori, ecc) e che consenta di

derogare anche ad una serie di norme

“protettive” del lavoratore (che allo

stato attuale risultano anacronistiche o

comunque distorsive);

la ripresa gestita attraverso un percorso

condiviso tra datori di lavoro e parti

sociali, anche a livello aziendale (per

garantire la specificità) e tra tutte le figure

del sistema di sicurezza aziendale.

I principali punti da tenere in considerazione,

per fare un ragionamento

serio, senza con ciò essendo esaustivi,

ritengo che siano:

i trasporti: un esempio, potrebbe essere

l’obbligo di guanti monouso e


73

mascherine sui mezzi pubblici e pulizia

delle mani prima e dopo l’utilizzo;

consigliare – dove possibile – l’uso di

bicicletta; o raccomandare la mascherina

nell’auto propria, quando vi siano

almeno due persone a bordo; ecc;

la distanza sociale in azienda; che sia

fabbrica, laboratorio artigianale o ufficio:

non un metro ma almeno un

metro e ottanta centimetri (come,

peraltro, prescrive l’Organizzazione

mondiale per la sanità); se nella riorganizzazione

dei processi produttivi questa

distanza non potrà essere garantita,

si dovranno ipotizzare altre forme di

“confinamento” delle persone tra loro,

come ad esempio elementi di separazione

tra le persone, uso di mascherine

FFP2 senza valvola (o due mascherine

chirurgiche contemporaneamente)

per chi lavora all’interno di uno stesso

ambiente. Ove ancora neanche queste

forme di confinamento non fossero

sufficienti, dovrebbe ipotizzarsi una

diversa articolazione dell’orario di lavoro

e di produzione;

regole ancora più stringenti per i negozi:

obbligo di accessi regolamentati

e scaglionati con percorsi diversi, se

possibile, di entrata e uscita, pannelli di

separazione tra lavoratori e clienti alle

casse e sui banchi, ingressi per non più

di una persona a famiglia (salvo casi di

bambini e persone non autosufficienti),

obbligo per tutti di mascherine,

guanti monouso o comunque pulizia

delle mani; la distanza di un metro e

ottanta centimetri tra le persone dovrà

essere garantita anche nei mercati all’aperto;

l’obbligo di utilizzo delle mascherine

chirurgiche sempre (negli spazi chiusi

in presenza di più persone, ma anche

negli spazi aperti quando non è garantito

il mantenimento della distanza

personale), ovviamente fornite dal datore

di lavoro;

la frequente e minuziosa pulizia delle

mani, che dovrà essere raccomandata

in più momenti dell’attività lavorativa

e non solo a inizio turno; gli ambienti

dovranno essere sanificati almeno una

volta al giorno, pulendo con candeggina

o altri prodotti simili porte, maniglie,

tavoli e servizi igienici e annotando

il tutto su appositi registri;

dovrà essere garantito, per quanto possibile,

anche il ricambio di aria e la sanificazione

periodica degli impianti di

aerazione, che altrimenti dovranno rimanere

spenti; particolare attenzione,

poi, dovrà essere garantita alla riorganizzazione

del servizio mensa, dove si

dovrà prevedere la distanza tra le persone

e le sanificazione dei tavoli dopo

ogni pasto;

l’attenzione particolare alla sfera dello

stato di salute dei lavoratori, in particolar

modo in presenza di sintomi

influenzali: non solo l’obbligo per gli

stessi di non recarsi a lavoro, ma anche

ulteriori “poteri di controllo” da parte

del datore di lavoro, che potrà misurare

la temperatura ai dipendenti all’ingresso

oppure raccogliere una loro

dichiarazione anche riguardo eventuali

familiari conviventi.

In particolare quest’ultimo punto mostra

tutta la sua “novità”: per tutelare la

salute e la sicurezza dei lavoratori, si

dovrà (e non potrà!) derogare a una serie

di norme protettive finora considerate

dei totem del diritto del lavoro: le

limitazioni poste al potere di controllo

e di “indagine” nella sfera personale e

di salute del lavoratore, impattando anche

questioni attinenti alla privacy.

E’ evidente che si tratta di individuare

l’interesse maggiormente meritevole di

tutela, che non può che essere la salute

del singolo lavoratore e dell’intera comunità

di lavoratrici e lavoratori di una

data azienda.

E’ chiaro, allo stesso modo, che questa

maggiore meritevolezza del diritto-dovere

alla salute non potrà mai

consentire una illimitata espansione

del potere datoriale, necessitando di

essere esercitata secondo parametri di

ragionevolezza e adeguatezza.

Resta inteso che il lavoratore dovrà

essere informato e formato, dovrà essere

consapevolizzato, che quel minus

in termini di privacy è strumentale alla

gestione dei rischi, alla riduzione al minimo

delle possibilità che all’interno

della unità produttiva (intesa in senso

lato) possa entrare un soggetto (in ipotesi,

egli stesso) potenzialmente contagioso,

con ciò mettendo a repentaglio

la salute di tutti.

E già: perché il luogo di lavoro deve

essere sicuro all’interno ma deve garantire

sicurezza anche verso l’esterno.

Non può divenire focolaio di contagi.

E quindi, per concludere, sento di sostenere

che la Fase 2 sarà quella in cui

dovrà essere maggiormente rinforzata

la responsabilizzazione individuale (dei

cittadini/lavoratori); maggiormente

valutata la professionalità e responsabilità

datoriale; fortemente incentivata

la collaborazione tra le diverse figure

(“attori” li definiscono gli addetti ai

lavori) che si occupano della sicurezza

sul lavoro.

Sarà la fase in cui ci sarà bisogno di

investimenti e di risorse, anche economiche,

da destinare alla prevenzione.

Sarà la fase in cui dovrà emergere la

struttura del nostro sistema Paese e la

responsabilità politica e di governo.

Si tratterà di attingere alle competenze,

alle conoscenze, all’esperienza.

Si tratterà di recuperare l’etica del lavoro,

mettendo la persona al centro.

Perché – non dobbiamo avere pudore

di apparire nostalgici – “L’Italia è una

Repubblica democratica, fondata sul

lavoro.”


centralistico e con un’in

74 cultura

intervista dell’8 maggio 2020

Cacciari: «L’emergenza

è stata gestita in modo


75

di Pierluigi Pietricola

Coronavirus: quale futuro si

prospetterà per l’Italia una

volta passata l’emergenza sanitaria?

A quali cambiamenti andremo

incontro? Lo abbiamo chiesto a Massimo

Cacciari con il quale, oltre a ipotizzare

futuri scenari, abbiamo riflettuto

sul modo con cui è stata gestita l’emergenza

creata dalla massiccia diffusione

del Sars CoV2.

Caro Massimo, come stai?

«Bene ma scocciato di questa vita domestica.»

Ti piace il modo con cui il Governo

sta gestendo questa situazione?

«Ci sono stati degli evidenti limiti. In

parte sono responsabilità del Governo.

In parte sono il prodotto di un sistema

sanitario malfunzionante e di rapporti

fra poteri centrali, regioni e comuni

funzionanti ancor meno. E questa

certamente non è una responsabilità

dell’attuale Governo, perché le origini

vengono da lontano. Conte ha affrontato

questa situazione all’inseguimento

dell’emergenza sanitaria. E senza

presentare al paese, ancora tutt’oggi,

come intende procedere alla fase 2

ma, soprattutto, alla fase 3, quando si

tratterà di fare i conti e capire come il

paese dovrà far fronte al peggioramento

radicale della situazione finanziaria,

occupazionale, sociale. Il giudizio,

quindi, al momento è rinviato. Dopo

di che si può spigolare sui limiti, i difetti

dei decreti, molti dei quali contenenti

palesi assurdità. E, molto più

concretamente, riflettere sulla distribuzione

degli aiuti necessari, con un metodo

totalmente burocratico, mediato

dal sistema bancario, costoso per gli

interessati e poco sicuro. La vera questione

politica, quando non ci sarà più

modo di nascondersi dietro l’emergenza

sanitaria, sarà a Ottobre-Novembre

prossimi.»

Secondo te l’emergenza sanitaria è

usata come pretesto per nascondere

le mancanze politiche?

«No, assolutamente. Non facciamo

dietrologie. L’emergenza sanitaria c’è

e in alcune regioni è ancora molto

grave. È giusto procedere con grande

prudenza, ma non si capisce perché si

debba ricorrere a questi decreti dentro

i quali ci sono delle norme illogiche ed

altre non verificabili né controllabili,

e che creano disuguaglianze fra i vari

settori. Perché debbono essere privilegiati

alcuni negozi invece di altri?

Che differenza c’è fra una

»

da coronavirus

assurdamente

formazione pessima»


76 cultura

tabaccheria e un negozio di vestiti se si

rispettano le stesse norme di sicurezza?

Si creano inutili disagi in una situazione

tutt’altro che facile. Ovviamente

stiamo parlando del dito che indica la

luna. Il colossale problema di questo

paese sarà proprio come affrontare la

crisi occupazionale, economica e sociale.

Ecco la vera questione che ci troveremo

davanti.»

Tu pensi che se l’Italia avesse attuato

un vero federalismo – come

quello che proponevi tu – oggi la

situazione sarebbe stata meno catastrofica?

«Certo! Ci sarebbero stati meno casini

fra poteri centrali e regioni. E la regione

sarebbe stata un ente con maggiori

responsabilità.»

Quale regione si è comportata meglio

nel gestire l’emergenza sanitaria?

«Tra quelle colpite più duramente non

c’è dubbio che il Veneto ha messo in

campo una gestione migliore.»

Il Veneto ha una lunga tradizione di

amministratori locali ben preparati.

«Sono persone ben radicate nei loro

territori al di là delle questioni ideologiche.

Hanno sempre amministrato

faccende delicate senza tenere minimamente

conto delle ideologie leghiste.

Per esempio l’integrazione in alcuni

territori, come Vicenza e Treviso, funziona

relativamente bene da circa una

ventina di anni. E poi il Veneto è una

regione dove si è tenuto un equilibrio

fra l’eccellenza complessiva della rete

ospedaliera e la medicina sul territorio.

Questa è sempre stata un’esigenza che

le amministrazioni locali hanno messo

all’ordine del giorno. In Lombardia,

probabilmente, hanno privilegiato in

modo assoluto l’eccellenza indiscutibile

della rete ospedaliera a discapito

di un controllo decentrato, territorializzato

attraverso il coinvolgimento dei

medici di base.»

Per il futuro sarà necessario porre

mano ad una riforma sanitaria di

respiro nazionale. Tu in che modo

la attueresti?

«Io penso che le regioni, in generale,

vadano maggiormente responsabilizzate.

A livello sanitario bisognerà capire

quali risorse andranno alle regioni

e distinguerle da quelle che potranno

essere reperite da loro direttamente.

Visto che le regioni hanno un’assoluta

preminenza del settore sanitario,

allora dovranno rendersi responsabili.

E questa è la prima questione. Poi bisogna

spoliticizzare le strutture sanitarie

e garantire loro una continuità. Se,

come è avvenuto, riduci di 30 miliardi i

finanziamenti alla sanità cosa ci si può

aspettare che accada? È evidente che

molti settori vengano depotenziati, soprattutto

quelli con meno occupazione.»

Ritieni che da un punto di vista

comunicativo giornali e televisioni

abbiano svolto un buon lavoro

nell’informare la popolazione su

questo coronavirus?

«Non hanno fatto bene per niente.

Hanno lanciato un messaggio completamente

sbagliato, che ci ritiene incapaci

di intendere e di volere. La gestione

di questa emergenza è stata centralistica,

completamente statalistica attraverso

i provvedimenti presi dal Presidente

del Consiglio. La comunicazione da

parte pubblica è stata tutta indirizzata

in questo senso. Ma come si fa a pensare

che un cittadino non sia in grado

di intendere e di volere per conto suo

se non glielo dice lo Stato? Ma stiamo


77

scherzando? La comunicazione è stata

orrenda e tutt’altro che scientifica.

Ogni giorno veniva fatta – adesso avviene

un po’ meno frequentemente – la

conta dei morti e dei contagiati senza

alcun criterio analitico. Ma che roba è?

Queste informazioni o si danno bene

oppure è meglio non darle per niente.

È giusto fornire dati di questo tipo, ma

facendo sì che le persone comprendano

sia la situazione in cui ci troviamo

tutti, sia i rischi a cui si va incontro. Si

è data, invece, un’informazione all’ingrosso,

dal sovrano al suddito.»

E dell’informazione alternativa,

quella subito bollata come complottista

e che sostiene che si è esagerato

nel valutare questo virus in

modo così terroristico che ne pensi?

«Non c’è nessun complotto. Queste

sono epidemie le cui possibilità, a livello

internazionale, erano già state paventate

da tempo. Le cause sono chiare,

evidenti, ampiamente documentate.

Il punto è che viviamo in un mondo

dove i canali di comunicazione sono

pieni di merda. Non c’è niente da fare.

O in futuro si creerà un pubblico in

grado di discernere, di capire quali notizie

sono attendibili e quali no, oppure

sarà sempre più difficile farsi un’idea

chiara di quello che succede attorno a

noi e gestire emergenze come questa

in modo razionale. Io ritengo che sarebbe

dovuto essere lo Stato a comunicare

in modo analitico e dettagliato

i dati relativi a questo coronavirus. E

lo avrebbe dovuto fare in termini così

precisi al punto da rendere inutile la

circolazione di informazioni assurde.»

Si sta verificando una psicosi di socialità.

Le persone hanno paura di

incontrarsi. Come si può superare

questo terrore dell’altro ingenerato

dal panico che si è venuto a creare

per questo coronavirus?

«Cambieranno molto le abitudini delle

persone e ci vorrà tempo prima che si

ritorni a forme tradizionali di socializzazione

che potrebbero non essere

mai più come le abbiamo vissute

e conosciute. Bisogna vedere come

riprenderanno certe consuetudini, in

particolare fra i giovani. Ma a parte

ciò, io penso che questa crisi potrebbe

accelerare tendenze già in atto relativamente

all’organizzazione del lavoro,

al rapporto tra i settori produttivi

impostando degli equilibri a favore di

alcuni e massacrando gli altri. Anche

la rete commerciale si modificherà. Sta

già avvenendo ora, con il monopolio

dell’e-commerce.»

Condividi quello che Giorgio

Agamben ha detto, e cioè che in

nome di un rischio non precisato

abbiamo accettato imposizioni per

via delle quali sono venute meno

persino questioni etiche (cremazione

di defunti senza celebrare il loro

funerale, messe interrotte dall’intervento

delle forze dell’ordine,

ecc.)?

«La pandemia non è una balla. Gli errori,

i difetti e i limiti culturali con i

quali questa situazione è stata gestita li

ho elencati prima. C’è da dire che siccome

le emergenze stanno diventando

perenni, la tendenza al superamento di

certe forme di tutela democratica col

relativo venire meno di alcuni diritti

sono all’ordine del giorno. Purtroppo

nelle emergenze succede questo, e non

c’è dubbio che si tratti di processi che

inducono ulteriormente ad accelerare

la tendenza alla crisi delle democrazie

liberali di cui si parla da decenni.»


Gli incon

78 cultura

di marmo che sembra fatta di burro. Una morte di

burro che sembra scolpita sul marmo.

Qualche metro più in là (nel cortile nuovo), cinquant’anni

dopo, viene innalzato ‘Resistenza e liberazione’

di Jannis Kounellis. È un movimento corale

di assi di legno, simbolo di tanti uomini e di tante

donne che composero e scrissero la Resistenza. L’artista

andò a cercare le tavole nei dintorni di Padova,

materiale povero di cui è fatta la storia, che non è

tessuta di eroi; è un composto plurale ordinato e al

tempo stesso disordinato; si trova qua e là, fra i cortili;

ogni pezzo di legno è inutile da solo, ma trae motivazione

nella pluralità delle voci. Alcune di queste

assi forse cadrebbero, sarebbero addirittura dannose

per il monumento, ma la coralità perdona gli errori

umani, e innalza verso il cielo il monumento. Errori:

tanti, come l’assassinio della maestra Perna, nella

campagna veneta. Sembra che parli lei, ora che, come

Palinuro, ‘me fluctus habet versantque venti’, ‘mi tendi

Francesca Vian

Sembrano più ingiuste le uccisioni del 25 aprile

1945 e dei giorni che seguirono. Finalmente finiva

la lunga oppressione della guerra; eppure,

dopo avere resistito tanto, molti giovani morirono;

tante città e borghi italiani subirono massacri; a troppe

persone venne preclusa la costruzione dello stato

democratico italiano, e la ricostruzione delle città in

macerie. C’è qualcosa che rende inconsolabile questo

dolore.

Così inconsolabile che lo scultore veneto Arturo

Martini volle immortalare nel marmo per sempre il

loro ultimo sospiro al cielo, lo struggente sguardo

verso il domani, che essi poterono intravedere soltanto

da lontano, con la certezza nel cuore che l’umanità

avrebbe sovrastato le ragioni della barbarie. Il

suo Palinuro (1947, nella foto) si trova nell’atrio degli

Eroi, nel cortile dell’Università di Padova. Ritrae il

giovane leggendario, timoniere della nave di Enea,

quando, fra le onde del mar Tirreno, già in vista della

terra campana, con gli occhi fissi a scrutare le stelle

(Eneide, V), ‘in mar fu tratto’. E già si dovevano

intravedere il cielo e le stelle della futura Italia, il 29

aprile 1945, già si doveva scorgere la terra promessa,

quando venne ucciso il giovane partigiano Primo Visentin,

laureato a Padova in Storia dell’Arte. A lui è

dedicato Palinuro e ai tanti giovani che caddero come

lui, alla vigilia della libertà.

Lo scultore era figlio di un pasticciere e aveva ammirato

tante volte le creazioni di burro di suo padre;

anche la madre, che cucinava creme, aveva spesso il

burro tra le mani. Sembra di burro anche questo Palinuro,

senza spigoli, giacché il burro li livellerebbe,

tondeggiante e bianchissimo. Sembra di burro la vita

stessa in quei momenti drammatici, quando i morti

non si contano, con i Tedeschi in fuga, prigionieri

della paura. Fra loro c’è Olivo Bravin, caduto il 25

aprile, fermando un mezzo tedesco nel borgo veneto

di Lison (VE). Suonavano già le campane a festa

per la Liberazione, e subito dopo hanno tristemente

battuto il lutto. Sembra che parli lui ora che, come

Palinuro, ‘me fluctus habet versantque venti’, ‘mi

tengono le onde e i venti mi trascinano” (Eneide,

VI). Sciolto prima del sole della Repubblica, il Palinuro

giunge al cuore, come la beffa di morire l’ultimo

giorno di guerra, e il primo di pace. Una statua

del prim

L’opera dello scultore A

è dedicata a tutti i giova

che caddero alla vigilia


79

solabili Palinuro

o giorno di pace

Nelle immagini,

i due monumenti

nel palazzo del Bo

a Padova.

Foto di

Maria Giovanna

Occhipinti

rturo Martini

ni partigiani

della libertà

gono le onde e i venti mi trascinano”.

Secondo Piero Calamandrei, il monumento alla Resistenza

va fatto con ‘la roccia di questo patto/ giurato

fra uomini liberi/che volontari si adunarono/per dignità

e non per odio/decisi a riscattare/la vergogna e

il terrore del mondo’ (Lapide ad ignominia). La ‘roccia

di questo patto giurato fra uomini liberi’, in questo

caso, è roccia di legno, un materiale più fragile,

che può salvarci diventando fuoco, può proteggerci

facendosi casa, può sostenerci nella vita accanto ad

altro legno che ha accompagnato altri, può divenire

lo strumento di Paganini o il fischietto di un ragazzo.

Si possono sortire rivoluzioni, con la stessa fatica di

queste assi di legno. Non sono allineate a cercare il

cielo, ma seguono la direzione della Terra, parallele

alle strade percorse dai tanti, stremati dalla fame e

dalla fatica, che dovettero, anche loro malgrado, inseguire

la Liberazione dell’Italia.

Nel cortile del palazzo del Bo, puoi accarezzare Palinuro,

morto dopo avere scorto l’Italia, guardando le stelle;

puoi avvicinare anche le assi di legno impilate, coro

di fatica, di sudore, di dolore, di speranza, di amore.

Ma non sarebbero mon-umenti, se non am-mon-issero

a pensare che la Resistenza è proseguire il cammino

di coloro che scelsero la nuova Italia, quella in cui

si sta decisamente molto meglio di prima, come ha

superbamente scritto Luciano Pellicani in Novecento,

secolo del progresso; se non invitassero a pensare

che la ‘Non Resistenza’ è ‘indifferentismo’, come

lo chiamava Piero Calamandrei, l’alibi perfetto di chi

non pronuncia sfide, di chi non sta sveglio all’alba, per

scrutare le stelle di nuove battaglie sociali o etiche.

Resistenza, dunque, anche oggi, tessuta in mon-umenti

composti verso le ragioni dei più deboli, rocce

di patti giurati fra uomini liberi, riunitisi volontariamente,

fatti anche di legno o di burro, dal momento

che valgono entrambi più dell’oro.

francescavian@gmail.com


Presidente

Romano Bellissima

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Questo numero è stato chiuso il 31 maggio 2020

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