5_Europa_IMI_15.02.2015
Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
3.2 Gli internati militari italiani in Germania 1943-1945
L’evento che porto alla tragedia dei soldati italiani ai lavori forzati nel Terzo Reich inizio il 8
settembre 1943 con la proclamazione dell’ armistizio da parte dei vertici politici e militari
italiani che fu in effetti una vera e propria resa senza condizioni alle forze Anglo-Americane 1 .
Questi stessi vertici disgraziatamente si dimenticarono di preparare e informare prima le forze
armate a quanto stava avvenendo. Non solo. Subito dopo che alla radio venne data lettura
dell’ avventura firma dell’ armistizio, Badoglio, lo stato maggiore delle forze armate e la
famiglia reale lasciarono Roma fuggendo verso Brindisi. In seguito il governo di Badoglio e
gli stati maggiori gestirono al peggio il cambio di campo abbandonando i soldati e gli ufficiali
al fronte al loro destino. La Wehrmacht ebbe gioco facile a disarmare nel giro di pochi giorni i
disorientati 800’000 militari italiani e a occupare l’ Italia centro-settentrionale e a prendere
possesso delle posizioni italiane nella Francia meridionale, nei Balcani e in Grecia.
Soldati italiani fatti prigionieri dai tedeschi a Corfù dopo l’ 8 settembre 1943 2 .
I soldati che malgrado l’isolamento e la mancanza di direttive opposero ugualmente resistenza
alla Wehrmacht erano destinati al fallimento dinanzi alla scacciante supremazia tedesca in
armamento, mezzi corazzati, appoggio aereo e organizzazione. Di conseguenza furono
numerosi i militari italiani che persero la vita nel corso delle brutali operazioni di disarmo da
parte dei tedeschi come lo dimostrano le migliaia di soldati trucidati a Cefalonia a fine
settembre 1943. Il maggior numero di caduti si registrò nei Balcani e in Grecia: 6'500
morirono in azioni di combattimento, 6’000-6'500 a causa dell’ esecuzione di ordini criminali
1
Wikipedia: Armistizio di Cassibile. http://it.wikipedia.org/wiki/Armistizio_di_Cassibile, 03.01.2014
2
Fonte "Deutsches Bundesarchiv",
http://www.bild.bundesarchiv.de/archives/barchpic/search/_1388740509/?search%5Bform%5D%5BSIGNATU
R%5D=Bild+101I-177-1459-32, 03.01.2014
e oltre 13'000 durante il trasporto verso i vari luoghi di prigionia; 5'186 furono i dispersi,
4'836 i feriti (Hammermann 2044, 32).
Dopo il disarmo i tedeschi chiesero in punta di fucile ai soldati italiani di decidere se
continuare o meno a combattere al fianco della Germania ma malgrado le minacce di
punizioni e ritorsioni, 650'000 di loro rifiutarono di collaborare con i nazifascisti e furono
perciò trasportati nei campi di prigionia tedeschi (Rochat 2009, XXII). Altre decine di
migliaia di soldati italiani furono senza alcuna possibilità di scelta inquadrati in “Bau-
Bataillonen”, unità di lavoro, e incorporati nei reparti tedeschi, in particolare nella Flak, la
contraerea, e nella Todt, l’organizzazione per i lavori nelle retrovie (Rochat 2009, XXIII).
Ancora altri 10-15 mila finirono al fronte in sostituzione dei tedeschi soggetti alla leva, allo
scopo di non privare l’ industria della manodopera tedesca più qualificata (Hammermann
2004, 99). Peggio capitò ancora ad altri 21'000 che opposero resistenza armata e furono
inquadrati come prigionieri di guerra in battaglioni di lavoratori militarizzati al fronte e di
peggio in peggio 12'000 di loro finirono catturati dall’ Armata Rossa subendo una seconda
prigionia nei Gulag sovietici 3
Il trasporto dei 650'000 prigionieri italiani fu svolto in vagoni affollati e piombati in
condizioni disastrose che richiesero diverse settimane. Ma il viaggio era solo un anticipo della
dura prigionia che li aspettava. Un destino che li accomuno ad altri 25 milioni di uomini,
donne e bambini di 28 nazioni che durante la 2° Guerra Mondiale sono stati deportati e
sfruttati al lavoro coatto sotto il regime di Hitler. Le vittime sono state 16 milioni, in
prevalenza ebrei e russi (Avagliano 2009, 161).
3
Claudio Sommaruga: „Una storia affossata“ Gli italiani „schiavi di Hitler“ traditi, disprezzati, dimenticati … e
beffati dalla Germania e dall’ Italia. 1943-2007. Quaderno Dossier n.3 (2a edizione). Archivio IMI, 2007. Pg.6.
http://www.anrp.it/edizioni/altre_pubblicazioni_consultabili/Quad.3-Storia%20affossata-2%20ed.pdf
2
Un prigioniero russo alla catena di montaggio nella fabbrica della Volkswagen di Wolfsburg, 1942. Nell’ estate
del 1944 nell’ economia tedesca il 25% erano operai stranieri forzati. La maggioranza deportati russi e polacchi 4
La sorte dei militari italiani era pero stata già decisa fin dal maggio 1943 dagli “alleati”
tedeschi in previsione di un possibile crollo del Fascismo e di una defezione italiana nell’
operazione denominata “Achse” che si concretizzò l’ indomani del 25 luglio 1943 con la
caduta di Mussolini 5 . La sempre minore affluenza di manodopera dai territori occupati, il
sempre più massiccio reclutamento di uomini validi da parte della Wehrmacht avevano
condotto a un notevole deficit di manodopera nell'industria tedesca. Cosi, oltre allo
sfruttamento economico delle regioni centro-settentrionali dell'Italia, la capitolazione offri ai
tedeschi la possibilità inaspettata di far fronte al crescente fabbisogno di manodopera, e di
reclutare un sempre maggior numero di lavoratori tedeschi da inviare al fronte.
All’ economia di guerra tedesca mancavano verso la metà del 1943 un milione e mezzo di
lavoratori. I settori in cui tale mancanza si faceva sentire maggiormente erano quelli dell’
industria mineraria e della produzione bellica dove poi furono impiegati maggiormente i
soldati italiani:
Percentuale Settore
35.6 % Industria bellica
28.5% Comparto minerario
14.3% Settore alimentare
4
Stefan Ulrich: Hitlers Sklaven, Süddeutsche.de, 11.05.2010. http://www.sueddeutsche.de/politik/urteil-zurentschaedigung-von-zwangsarbeitern-hitlers-sklaven-1.179316,
03.01.2014.
5
Wikipedia: Operazione Achse. http://it.wikipedia.org/wiki/Operazione_Achse, 03.01.2014.
3
7.1% Industria pesante
5.9% Settore delle costruzioni
3.6% Ferrovie
2.6% Squadre di carico e scarico
2.4% Servizio postale
Impiego degli internati italiani durante la loro prigionia nei campi nazisti 1943-1945 (Hammermann 2004, 77)
L’insediamento del nuovo governo fascista della Repubblica Sociale Italiana (RSI) il 23
settembre 1943, non permise più di trattenere come prigionieri in Germania i soldati italiani
senza trattare alla stregua di una potenza nemica la RSI e mettere quindi a repentaglio le
finalità stesse dell’ occupazione tedesca (Hammermann 2004, 42).
Questo dilemma fu all’ origine di diversi cambiamenti nello status dei militari italiani caduti
nelle mani dei tedeschi. In tal modo, sulle spalle dei militari italiani vennero scaricate tutte le
contraddizioni di una politica di occupazione basata su un’ alleanza di cartapesta
(Hammermann 2004, 50). A questo riguardo si possono distinguere tre fasi:
Periodo
Status
8 settembre 1943 (Armistizio) – 23 settembre Prigionieri di guerra
1943 (Nascita RSI)
23 settembre 1943 – 4 settembre 1944 Internati Militari Italiani (IMI)
4 settembre 1944 – 8 Maggio 1945 (fine Lavoratori civili
guerra)
I diversi stati dei soldati italiani prigionieri in Germania 1943-1945 (Hammermann 2004, 42)
Lo status “Internati Militari Italiani” (IMI) fu un crudele stratagemma per sottrarre gli italiani
alla tutela della Convenzione di Ginevra del 1929 compresa l’ assistenza della Croce Rossa,
per costringerli al lavoro nell’ industria tedesca. Poterono cosi essere utilizzati nella
produzione di guerra che altrimenti era interdetto dalla Convenzione di Ginevra che proibiva
per i prigionieri di guerra i lavori di carattere militare (Art. 31) 6 .
Il cambiamento di status voluto da Hitler serviva anche allo scopo di riconoscere il
costituendo governo fascista repubblicano come l’unico, legittimo rappresentante del popolo
italiano e di aggirare la contraddizione formale di considerare prigionieri i militari di uno stato
6
Lino Monchieri: Commento alla Convenzione di Ginevra 1929. La Convenzione di Ginevra sul trattamentodei
prigionieri di guerra (27 luglio 2929) e la realtà die lager di prigionia in Germania 1943/1945.
http://www.schiavidihitler.it/Pagine_documenti/archivio/Lino_monchieri.htm, 28.12.2013.
4
formalmente alleato, la RSI, mantenendo in vita l’ idea dell’ Asse tra la Germania e l’ Italia
(Avagliano 2009, XXXIX). Il nuovo status evito anche il riconoscimento del regno del Sud e
del governo guidato da Badoglio sottomesso agli Anglo-Americani.
Nella lotta per sopravvivere nei campi per i prigionieri di guerra, i cosiddetti “Stammlager”
(Stalag), gli IMI risultavano cosi abbandonati da tutti, poiché non ricevevano assistenza né
dalla Croce Rossa essendo esclusi dalla Convenzione di Ginevra, né dal Regno del Sud non
riconosciuto dalla Germania nazista, né dalla RSI e dal suo Servizio assistenza internati (SAI)
presso l’ambasciata a Berlino per via di aspri conflitti politico-burocratici (Avagliano 2009,
221).
La cessazione dell’ assistenza da parte della Croce rossa ebbe effetti molto pesanti sulle
condizioni di vita dei militari internati. La loro situazione alimentare divenne decisamente la
peggiore di tutti i prigionieri nei campi nazisti 7 . La fame era cronica poiché le razioni erano
insufficienti e spesso avariate (Hammermann 2004, 150-151).
Gli IMI erano cosi obbligati per un po’ di cibo a scambiare con gli altri prigionieri di guerra
che ricevevano i pacchi della Croce Rossa quello che di valore gli era ancora rimasto per lo
più i vestiti e le scarpe da lavoro (Hammermann 2004, 160). Già dopo due o tre mesi dalla
cattura lo stato di salute degli IMI risultava pessimo. Le conseguenze della denutrizione si
riflettevano nel quadro clinico degli IMI, che erano affetti soprattutto da edemi da fame,
gastroenterite, pleurite, tifo e tubercolosi. Nel 1944 i malati di tubercolosi erano 30-40% degli
internati (Hammermann 2004, 264).
Nel territorio del Reich esistevano oltre 60 grandi Stalag. Erano strutture precarie di
detenzione caratterizzati fin dall’inizio come delle baraccopoli recintate con filo spinato. Le
strutture erano precarie e il personale di guardia brutale e senza scrupoli (Hammermann 2004,
255-257). Numerosi furono i prigionieri che persero la vita per le percosse ed i maltrattamenti
(Hammermann 2004, 258).
7
Brunello Mantelli: Gli italiani in Germania 1938-1945: un universo ricco di sfumature. Quaderni Istrevi, n.1/
2006. Pg 21. http://www.centrostudiluccini.it/pubblicazioni/istrevi/1/mantelli.pdf, 22.12.2013
5
Lager per i deportati e i militari italiani (1943-1945) 8
Gli impianti sanitari erano praticamente inutilizzabili, oltre che insufficienti rispetto al
numero dei prigionieri, erano spesso sovraccarichi e non adeguatamente protetti dalle
intemperie. Ad aggravare la situazione si aggiungeva che all’ interno di alloggi umidi e poco
riscaldati, le uniformi stentavano ad asciugarsi e con la totale mancanza di materiale di pulizia
rendeva la proliferazione di parassiti di ogni genere (Hammermann 2004, 239. L’ infestazione
delle baracche, letti e camerate di pulci, pidocchi e cimici di notte non lasciava dormire i
detenuti (Hammermann 2004, 240).
8
Fonte: Istituto di Storia Contemporanea “Pier Amato Perretta” di Como
http://www.schiavidihitler.it/Pagine_schiavi/mostra_cartina.htm, 02.01.2014
6
Interno dello Stalag IX-B di Bad Orb, Germania, 1939-1945 9
La metà dei soldati per lo più di stanza in Grecia o nei Balcani al momento dell’ armistizio
portava ancora l’uniforme estiva non adatta alle temperature invernali (Hammermann 2004,
238). Non solo. All’ arrivo furono requisiti i capi vestiari di ottima fattura e in buone
condizioni e li sostituirono con vestiti usati. Ricevettero solo calzature di legno, e quindi,
mancando anche i calzini e le pezze da piede, essi non tardarono a procurarsi, a causa delle
lunghe marce, dolorose ferite (Hammermann 2004, 239). La mancanza di adeguati capi di
vestiario e di biancheria intima provocava un considerevole aumento delle malattie,
soprattutto durante i periodi freddo-umidi della stagione invernale (Hammermann 2004, 227).
Per ripararsi alla bell’ e meglio dal freddo alcuni IMI usarono del cartone o dei sacchi per il
cemento; altri invece usarono le coperte per farne dei capi di vestiario, una prassi molto
rischiosa, perché si trattava di oggetti in dotazione ai comandi di lavoro e chi se ne
appropriava poteva essere punito (Hammermann 2004, 239).
Le deplorevoli condizioni di vita negli Stalag peggiorarono ulteriormente a causa degli
incessanti attacchi aerei. Il complesso del lager, infatti, si trovava nelle vicinanze delle
fabbriche e quindi i prigionieri vivevano in zone altamente pericolose, praticamente senza
alcuna difesa antiaerea (Hammermann 2004, 225).
Durante gli attacchi aerei solo i dipendenti tedeschi potevano trovare riparo negli appositi
rifugi antiaeri ubicati presso le aziende (Hammermann 2004, 104). A Steyr per esempio il 24
9
Fonte: Dr. William L. Casey, Ufficiale della 23rd Station Hospital, http://www.lonesentry.com/badorb/,
03.01.2014
7
marzo 1944 trovarono la morte oltre 70 IMI rimasti chiusi nelle baracche durante un attacco
aereo e a Villingen furono 96 a morire negli scantinati dove erano stati precedentemente
rinchiusi (Hammermann 2004, 238).
Strada principale nello Stalag IV-B di Mühlberg/ Elbe nel Brandeburgo in Germania, 1939-1945 10
Tra i nazionalsocialisti e i rappresentanti della grande industria, tra altre Buderus AG, IG-
Farben di Leverkusen, Braunkohlen e Grosskraftwerk di Böhlen, presso Lipsia,
Messerschmitt e Volkswagen, ci fu una stretta collaborazione. Dopo l’ individuazione delle
quote di prigionieri da assegnare l’ ufficio del lavoro si metteva in contatto con il locale
Stalag, il cui comandante organizzava la ripartizione dei comandi di lavoro tra le diverse ditte
postulanti (Hammermann 2004, 71).
Al momento dell’ impiego dei prigionieri di guerra le imprese conclusero con i comandanti
dei campi i cosiddetti “contratti di cessione”, in virtù dei quali si stabilirono rapporti legali fra
i datori di lavoro e la Wehrmacht. Venne invece espressamente sottolineato – fatto, questo,
che ha rappresentato finora un’ ostacolo all’ accoglimento delle richieste di risarcimento
presentate dagli ex prigionieri di guerra impiegati come forza lavoro contro i dirigenti
aziendali responsabili di evidenti abusi – che tra i prigionieri e la direzione delle imprese non
esisteva alcun rapporto regolato dal diritto del lavoro, bensì “un rapporto giuridico pubblico di
natura particolare” (Hammermann 2004, 72). Le assegnazioni dipendevano dalle capacità
ricettive dei lager cosicché le aziende provvedevano a costruire propri campi secondari che
spesso erano in condizioni peggiori dei campi principali (Hammermann 2004, 85-87). La
10
Fonte: Lutz Bruno. http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Street_StaLag_IV_B.JPG, 03.01.2014
8
distanza tra il campo principale e il campo secondario poteva distare anche oltre 200 km
(Hammermann 2004, 233).
L’orario di lavoro si aggirava sulle 12 ore al giorno per sei giorni la settimana, ma in caso di
punizioni o di esigenze particolari si arrivava anche a 18 ore per sette giorni. Non di rado gli
IMI furono impiegati nello sgombero delle macerie e nella sepoltura dei cadaveri dopo i
bombardamenti e così, tolto il tempo dei trasferimenti da e per il lager, le ore che restavano
per il riposo e la cura personale erano davvero poche (Avagliani 2009, 164).
I prigionieri ricevevano come salario il cosiddetto “Lagergeld” spendibile solo nei campi e
negli spacci aziendali dove spesso si trovava solo birra, sapone e sigarette (Hammermann
2004, 169). Il 25% del Lagergeld veniva sottratto per tasse e altre spese, il 50% veniva
versato allo Stalag per il vitto e l’alloggio (Avagliano 2009, 166). I nazisti canalizzarono e
ridussero con questo sistema di retribuzione applicata alle rimesse salariali dei lavoratori
stranieri la circolazione monetaria e comprimevano la domanda di beni di consumo,
subordinando il salario dei prigionieri al principio secondo cui solo la popolazione tedesca
doveva poter accedere a beni di consumo (Hammermann 2004, 167). La politica salariale
seguita dal gruppo dirigente nazista nei confronti degli stranieri e dei prigionieri di guerra
risultava coma “la fissazione delle condizioni di vita al limite del minimo esistenziale
(Hammermann 2004, 168).
Prigioniero nello Stalag IX-B di Bad Orb, Germania. Ripreso durante la liberazione dagli Americani, 1945 11
11
Fonte: Dr. William L. Casey, Ufficiale della 23rd Station Hospital, http://www.lonesentry.com/badorb/,
03.01.2014
9
Erano le stesse aziende in stretta cooperazione con la Gestapo a esercitare il controllo sulla
punizione dei prigionieri (Hammermann 2004, 176). I lavoratori tedeschi erano avvisati di
controllare la manodopera straniera e segnalare direttamente alla Gestapo ogni fatto o persona
sospetta (Hammermann 2004, 186). Le brutalità e gli abusi vennero considerati appropriati
strumenti di pressione per ottenere un aumento del rendimento e vigeva l’ ordine di picchiare
i prigionieri quando il rendimento sul lavoro era ritenuto insoddisfacente. Il personale di
guardia aveva carta bianca in ambito disciplinare e poteva fare uso delle armi in dotazione
non solo in caso di tentata fuga, reati contro la proprietà e rifiuto di lavorare ma anche nel
caso delle cosiddette “offese d’onore” (Hammermann 2004, 177). Le punizioni erano spesso
esplosioni di violenza brutale con anche colpi di attrezzi, sbarre di ferro o pezzi di legno che
si trovavano sul posto di lavoro (Hammermann 2004, 188). Con le loro azioni incontrollate,
violente e arbitrarie gli organi di sicurezza interna terrorizzavano le maestranze e le facevano
sentire continuamente minacciate e sotto controllo. (Hammermann 2004, 178).
I maltrattamenti sugli internati era un mezzo legittimo per ottenere un aumento del
rendimento. Uno di questi mezzi utilizzati era l’arbitraria applicazione dell’ “alimentazione in
base al rendimento” (Hammermann 2004, 180). Siccome i prigionieri denutriti erano per forza
di cose anche poco produttivi le loro condizioni di vita e di lavoro peggiorarono ancor di più e
entrarono inevitabilmente in un circolo vizioso di sottoalimentazione, scarso rendimento e
razioni ridotte (Hammermann 2004, 181).
Gli IMI hanno subito più di tutti i soprusi e le violenze del personale di guardia e in tal senso
giocò un ruolo fondamentale l’ uscita dell’ Italia dalla guerra vista dai tedeschi come un
tradimento. Lo provano, per esempio, le angherie e le violenze nei confronti degli IMI alla
Volkswagen che aumentarono notevolmente dopo un appello rivolto dal direttore della
fabbrica che aveva presentato gli italiani come dei “traditori” (Hammermann 2004, 187).
La trasformazione dello status IMI in “lavoratori civili” fu deciso dai gerarchi nazifascisti il 3
agosto 1944 sia per sbandierare agli occhi dell’ opinione pubblica la loro “liberazione”, sia
nella speranza di rallentare le continue deportazioni di lavoratori civili dal Nord della
penisola, che causarono ulteriore malumore verso il fascismo e adesioni sempre più numerose
alla lotta partigiana (Avagliano 2009, 273).
Agli IMI venne assicurato che in alcun modo e per nessun motivo sarebbero stati costretti a
tornare sotto le armi, che avrebbero ricevuto gli stessi salari dei colleghi tedeschi, un vitto
migliore e sarebbero stati assicurati contro le malattie e gli infortuni.
10
La trasformazione sarebbe dovuta avvenire su base volontaria, ma, con sorpresa sia delle
autorità naziste che di quelle fasciste repubblicane, il 70% degli IMI rifiutò di sottoscrivere le
dichiarazioni (Hammermann 2004, 299). Talmente profonda era l’ avversione e la radicata
diffidenza nei confronti dei rappresentanti nazisti e fascisti alimentata dalle umiliazioni patite,
i maltrattamenti subiti, l’esperienza della fame e le condizioni igienico-sanitarie in cui erano
stati costretti a vivere.
Le autorità tedesche cercarono di convincere gli IMI con minacce e punizioni; ma la
repressione di un movimento così vasto si rivelò troppo impegnativa, per cui il 4 settembre
1944 per ovviare a ulteriori ritardi organizzativi lo stato di IMI in “Lavoratori civili” fu
trasformato d’autorità e senza ulteriori formalità (Hammermann 2004, 300). La situazione
degli IMI veniva cosi a confluire in quella dei lavoratori civili italiani 12 . Con il nuovo status
gli ex IMI non erano più sottoposto al commando della Wehrmacht ma direttamente della
Gestapo e a partire dal novembre del 1944 sotto il diretto controllo delle SS (Hammermann
2004, 70). Sotto il profilo del vitto e dell’ alloggio nulla cambiò (Hammermann 2004, 300).
Durante il periodo di prigionia diecimila militari italiani furono inviati nei famigerati campi di
concentramento o di sterminio che dipendevano direttamente dal Reichsführer delle SS e
comandante dell’ esercito di riserva Heinrich Himmler (Hammermann 2004, 23). I militari
italiani avevano tentato la fuga o furono accusati di resistenza, ribellione e sabotaggio
(Hammermann 2004, 252). In questi campi infami non soltanto il deperimento fisico e gli
stracci indossati dai detenuti, ma anche i continui maltrattamenti patiti, il loro completo
isolamento, la totale negazione della dignità umana fecero dolorosamente comprendere fino a
che punto potesse spingersi il processo di disumanizzazione (Hammermann 2004, 288).
Furono milioni tra membri di religione ebraica e oppositori politici o sociali affluiti da tutta l’
Europa che perirono in questi miserabili campi. Dall’ Italia furono circa quarantamila che vi
vennero deportati. Di loro appena il 10% riuscì a sopravvivere 13 .
Con la fine della guerra il 8 maggio 1945 il rimpatrio fu accompagnato da notevoli problemi e
a causa della pressoché totale mancanza di mezzi di trasporto. Gli ex militari internati
dovettero percorrere dai campi di prigionia situati anche in Polonia lunghi tratti di strada a
piedi per arrivare in Italia. Più della metà degli IMI rientrò in patria tra maggio e settembre
12
Brunello Mantelli: Gli italiani in Germania 1938-1945: un universo ricco di sfumature. Quaderni Istrevi, n.1/
2006. Pg 22. http://www.centrostudiluccini.it/pubblicazioni/istrevi/1/mantelli.pdf, 22.12.2013
13
Brunello Mantelli: Gli italiani in Germania 1938-1945: un universo ricco di sfumature. Quaderni Istrevi, n.1/
2006. Pg 8. http://www.centrostudiluccini.it/pubblicazioni/istrevi/1/mantelli.pdf, 22.12.2013
11
1945, mentre gli altri ritornano a casa tra la fine dell’anno, il 1946 o addirittura l’ inizio del
1947 (Avagliano 2009, 304).
Nei campi di accoglienza ne vennero registrati 635'132. Il principale era quello di Pescantina,
a nord di Verona, che nei momenti di maggiore affollamento arrivava a ospitare fino a 4'500
persone al giorno. Più o meno nello stesso arco di tempo, inoltre, 410'401 prigionieri di guerra
italiani vennero rilasciati dagli inglesi, 125'471 dagli americani, 37'591 dai francesi e 12'514
dai sovietici. Complessivamente, quindi, l’ Italia postbellica dovette fare i conti con quasi un
milione e quattrocentomila reduci.
L’ assistenza da parte delle istituzioni statali fu particolarmente sdegnante. Ben diversa fu
l’assistenza prestata dalle istituzioni ecclesiastiche coadiuvate dalla Croce rossa che
organizzarono una fitta rete di interventi a sostegno degli ex internati (Hammermann 2004,
343).
La prigionia che è durata quasi due anni è costata la vita a 50'000 internati 14 . Uccisi dalle
sevizie dei carcerieri, dalle malattie, dalla denutrizione, fucilati o impiccati senza che
mancassero casi di veri e propri eccidi collettivi, soprattutto nei primi mesi del 1945, alla
vigilia della liberazione come i 127 IMI trucidati il 23 aprile 1945 nel campo di
Treuenbrietzen dai nazisti che oramai stavano sgomberando il campo davanti all’ avanzata
russa 15 .
Ma il sacrificio e la sofferenza non fu onorato. In seno al governo Parri (21.06.1945-
10.12.1945) si dimostrò una totale ignoranza dei fatti e si giunse alla conclusione che
l’impiego degli IMI era avvenuta su base volontaria e si escluse i rimpatriati da ogni
risarcimento (Hammermann 2004, 350).
Anche il successivo governo guidato da De Gasperri (dicembre 1945-settembre 1946)
respinse ogni richiesta a causa della catastrofica situazione del bilancio. Prioritaria era la lotta
all’ inflazione e per l’economia del paese e alla fine con una serie di cavilli giuridici il
governo italiano mantenne ferma la sua posizione secondo la quale una modifica delle
disposizioni vigenti avrebbe comportato un eccessivo aggravio per il disastrato bilancio
statale (Hammermann 2004, 352).
Relativamente alla questione dei risarcimenti anche gli accordi interstatali non hanno dato
grandi risultati. Lo scenario internazionale era radicalmente mutato, rendendo indispensabile e
urgente la riabilitazione della Germania, alla quale gli ex internati e “schiavi di Hitler”
14
Fonte: Istituto di Storia Contemporanea “Pier Amato Perretta” di Como.
http://www.schiavidihitler.it/Pagine_schiavi/italiani_lager.htm, 02.01.2014
15
Claus-Dieter Steyer: Stadt ohne Männer. Der Tagesspiegel. Berlin, 21.06.2006.
http://www.tagesspiegel.de/berlin/stadt-ohne-maenner/723142.html, 02.01.2014.
12
chiederanno a lungo e invano risarcimenti morali e materiali, che nel frattempo era diventata
uno dei principali baluardi europei contro l’influenza sovietica (Avagliano 2009, 305). Gli
accordi di riparazione escludevano sistematicamente le rivendicazioni da parte di detenuti
stranieri dei campi di concentramento e di lavoratori coatti (Hammermann 2004, 353). Finché
oltre 40 anni dalla fine della guerra nel 1986 il Parlamento europeo adotta una risoluzione con
cui sollecitava le industrie tedesche a risarcire gli ex lavoratori coatti (Hammermann 2004,
354). Ma nel 2001 sono esclusi gli IMI dal risarcimento poiché la trasformazione degli IMI in
“lavoratori civili” si configura come una palese violazione del diritto internazionale da parte
del governo nazista e di conseguenza, gli ex internati devono essere considerati prigionieri di
guerra che, in quanto tali, non hanno diritto ad alcun risarcimento. Una tesi che, dati anche i
limitati fondi a disposizione, mira a escludere gli ex internati italiani da ogni risarcimento
(Hammermann 2004, 355).
La Corte internazionale di giustizia dell’ Aja il 3 febbraio 2012 prende atto, con sorpresa e
rammarico, che siano stati esclusi gli IMI dalle misure tedesche di risarcimento.
Riconoscendo che l’ immunità dalla giurisdizione impedisce alle vittime di ricorrere in
giudizio contro la Germania – ribadisce la Corte – cosicché la questione è da risolvere con un
negoziato diretto tra i due stati 16 . Ma oramai i rimanenti IMI sono tutti almeno ottuagenari e
il problema per lo Stato italiano si risolverà comodamente.
Oltre che ignorati, gli IMI sono stati scomodi, per un motivo o per un’ altro invisi a tutte le
componenti politiche, culturali e istituzionali del nuovo arco costituzionale: le forze della
Resistenza non vogliono condividere con il loro monopolio della memoria che stanno
instaurando intorno alla Liberazione, la cultura politica di sinistra vede in loro l’ esercito che
ha condotto la guerra d’aggressione fascista, l’area più conservatrice li considera invece la
prova vivente della disastrosa gestione dell’armistizio di cui i propri esponenti sono
responsabili, mentre per le forze di destra e le nuove gerarchie militari essi incarnano un
passato fallimentare da dimentica a tutti i costi (Avagliano 2009, 306).
Ma si dovrebbe comunque tenere presente che con il rifiuto di una così consistente parte delle
forze armate di imbracciare nuovamente le armi per Hitler e Mussolini scegliendo il sacrifico
dei campi di concentramento essi contribuirono al riscatto italiano dal fascismo e dalla guerra
d’aggressione, grazie al quale il paese, nel dopoguerra, poté presentarsi tra le nazione
democratiche, vincitrici sul nazifascismo (Avagliano 2009, LIII). Il loro rifiuto fu pronunciato
16
Enzo Orlanducci, Presidente esecutivo ANRP nella presentazione di “Riflessioni in margine alla sentenza
della Corte Internazionale di Giustizia del 3 febbraio 2012 sulle immunità giurisdizionali degli Stati.” A cura di
Gina Turatto, Edizioni ANRP, 2012.
http://www.anrp.it/edizioni/altre_pubblicazioni_consultabili/Turatto%20Feb%202012.pdf, 04.01.2014
13
prima che il governo Badoglio dichiarasse guerra alla Germania il 13 ottobre 1943 e prima
che la lotta partigiana avesse preso consistenza nel Centro-Nord della penisola. Anzi chi era
sfuggito alla cattura formò e addestrò in montagna le prime formazioni partigiane. Il loro
rifiuto rappresenta il primo atto concreto di ribellione dell’ Italia contro l’ oppressione
nazifascista (Avagliano 2009, 47) e fece fallire i piani del governo di Salò di costituire un
nuovo grande esercito fascista (Hammermann 2004, 15) che avrebbe certamente prolungato la
guerra dando magari fiato ai tedeschi per lo sviluppo dei loro missili e alla corsa all’ atomica.
Rimane infine la perplessità per come il governo italiano del dopoguerra tra tutti i governi
europei fosse l’ unico a risolvere la crisi economica e sociale inviando i propri cittadini in
emigrazione. E non solo. Ma stipulasse con la Germania nel 1955, appena dieci anni dopo la
fine della guerra, l’accordo per il reclutamento e il collocamento della manodopera italiana
nelle industrie della Germania nazista. A dirigere le aziende tedesche c’erano ancora gli
aguzzini degli Internati Militari Italiani.
14