Guy Colwell - INNER CITY ROMANCE
https://www.redstarpress.it/prodotto/inner-city-romance/ La prigione, la vita vissuta nei ghetti americani, il mercimonio del sesso, la black culture e l’attivismo politico radicale. Sono solo alcuni dei temi che Inner City Romance di Guy Colwell annette al territorio del fumetto underground: un luogo talmente reale da spingere chi conosce sulla sua pelle ciò che scrive e che disegna a raccontare l’american dream più come un tentativo di non morire di fame e/o di essere assassinati dalla polizia che come un desiderabile stile di vita offerto a tutti dal grande paese delle opportunità. E a chi dovesse chiedersi quali possano mai essere state le fonti in grado di ispirare l’autore di questa formidabile graphic novel, si può rispondere citando la prigione federale di McNeil Island, il giornale alternativo «San Francisco Good Times» o, nel contesto delle mobilitazioni contro la guerra, gruppi politici dell’estrema sinistra. Con questo si direbbe molto sull’opera di Guy Colwell ma non si direbbe ancora tutto su un autore capace di trasfondere la lacrime e il sangue, le allucinazioni narcotiche e i sogni di rivolta, la dura repressione poliziesca e le stigmate dei pregiudizi legati alle appartenenze di classe oltre che al colore della pelle, su ogni tavola del suo capolavoro.
https://www.redstarpress.it/prodotto/inner-city-romance/
La prigione, la vita vissuta nei ghetti americani, il mercimonio del sesso, la black culture e l’attivismo politico radicale. Sono solo alcuni dei temi che Inner City Romance di Guy Colwell annette al territorio del fumetto underground: un luogo talmente reale da spingere chi conosce sulla sua pelle ciò che scrive e che disegna a raccontare l’american dream più come un tentativo di non morire di fame e/o di essere assassinati dalla polizia che come un desiderabile stile di vita offerto a tutti dal grande paese delle opportunità. E a chi dovesse chiedersi quali possano mai essere state le fonti in grado di ispirare l’autore di questa formidabile graphic novel, si può rispondere citando la prigione federale di McNeil Island, il giornale alternativo «San Francisco Good Times» o, nel contesto delle mobilitazioni contro la guerra, gruppi politici dell’estrema sinistra. Con questo si direbbe molto sull’opera di Guy Colwell ma non si direbbe ancora tutto su un autore capace di trasfondere la lacrime e il sangue, le allucinazioni narcotiche e i sogni di rivolta, la dura repressione poliziesca e le stigmate dei pregiudizi legati alle appartenenze di classe oltre che al colore della pelle, su ogni tavola del suo capolavoro.
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Inner City Romance
di Guy Colwell
Copyright per l’edizione italiana © Bizzarro / Red Star Press
Prima edizione: febbraio 2021
Traduzione dall’inglese di Marco Bisanti
Stampato presso Print On Web (Isola del Liri)
Inner City Romance is copyright © 2015 Fantagraphics Books, Inc. All contents copyright © 2015 Fantagraphics
Books, Inc., unless otherwise noted. All comics stories, illustrations, and paintings herein copyright ©
2015 Guy Colwell. Frontispiece photograph copyright © 2015 Lydia Gans. “Good Times and Bad: The Evolution
of Revolution,” introduction to Inner City Romance #2, introduction to Inner City Romance #3, introduction
to Inner City Romance #4, introduction to Inner City Romance #5, epilogue, and “The Artist”
copyright © 2015 Patrick Rosenkranz. All rights reserved. Permission to quote or reproduce material for reviews
must be obtained from the publisher.
I fumetti contenuti in questo libro furono originariamente pubblicati come segue:
“Choices” in Inner City Romance #1, 1972
“Radical Rock” in Inner City Romance #2, 1972
“Inner City Romance 3” in Inner City Romance #3, 1977
“Ramps” in Inner City Romance #4, 1977
“Good for You” in Inner City Romance #5, 1978
“Down Up” in Inner City Romance #5, 1978
“Interkids” in Inner City Romance #5, 1978
“Sex Crime” in Inner City Romance #5, 1978
“All Over the Clover” (trad. it. “Trifoglio ti voglio”) in Inner City Romance #5, 1978
IN COPERTINA: Dettaglio dal quadro di Colwell “Litter Beach”, 1995–2001.
QUARTA DI COPERTINA: “Bread Line”, acrilico su tela, 2008.
PRIMA E ULTIMA PAGINA: “Blockade: Ritual of Non-Violence”, olio su tela, 1989.
PAGINA 2: Guy Colwell con due suoi dipinti. Dietro di lui c’è “Death on the Yard”, mentre in mano Colwell tiene “Cow”, una miniatura
realizzata in acrilico. La foto è di Lydia Gans, 1995.
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INDICE
Tutti i fumetti sono scritti e disegnati da Guy Colwell
Pag 6 Inner City Romance, simulazione di copertina
7 Good Times e tempi difficili: come cambia la rivoluzione, di Patrick Rosenkranz
17 Choices
57 Introduzione a Inner City Romance #2, di Patrick Rosenkranz
58 Radical Rock: personaggi
59 Radical Rock, parte I
71 Radical Rock, parte II
80 Radical Rock, parte III
92 Introduzione a Inner City Romance #3, di Patrick Rosenkranz
93 Inner City Romance 3
126 Introduzione a Inner City Romance #4, di Patrick Rosenkranz
127 Ramps
159 Horny Mandala
160 Introduzione a Inner City Romance #5, di Patrick Rosenkranz
161 Good for you
168 Down Up
172 Interkids
180 Sex Crime
188 Trifoglio ti voglio
193 Epilogo, di Patrick Rosenkranz
194 L’artista, di Patrick Rosenkranz
198 Galleria
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Inner City Romance Faux Cover, acrilico su carta, 2010. Copertina virtuale per un’edizione antologica di Inner City Romance del
1980 che non sarebbe mai uscita.
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GOOD TIMES E TEMPI DIFFICILI:
COME CAMBIA LA RIVOLUZIONE
di Patrick Rosenkranz
Quando il primo volume dell’Inner City Romance
di Guy Colwell si tuffò nella grande ondata di fumetti
underground che gonfiava le acque del
1972, si fece notare subito tra gli altri strani libri
dell’animatissimo mondo della controcultura. I
più famosi disegnatori a cui si doveva la rinascita
fumettistica di San Francisco raccontavano avventure
hippy, storie molto personali di traumi infantili
e fantasie sessuali, sogni rivoluzionari o parodie
della società. Inner City Romance aprì una strada
nuova. Parlava di carcere, cultura nera, vita nel
ghetto, mercato sessuale e attivismo radicale. Ritraeva
gli aspetti sgradevoli della realtà dei bassifondi,
dove le opportunità erano poche e il sogno
americano era ancora la sopravvivenza più che
uno stile di vita.
L’arrivo stesso di Guy Colwell nel mondo del
fumetto fu una novità. Pur facendo il pittore già
da vent’anni, si era occupato di vignette solo ai
tempi del liceo, quando voleva fare animazione.
Inner City Romance era un’opera dichiaratamente
politica, priva di storie divertenti o personaggi riconoscibili
fatti apposta per catturare i lettori con
le loro strane avventure. Colwell fece un ritratto
talmente sincero della cultura delle minoranze da
far venire dubbi sulla sua stessa identità razziale.
La gente si chiedeva chi fosse l’autore, se nero o
bianco, e come faceva a saperne tanto di carcere.
«Era normale pensare che fossi nero, immagino,
gli artisti bianchi che trattavano quei temi erano
pochissimi», commentò lui. «Gli interessi, le battaglie
e le storie dei neri erano lasciate agli autori
neri. Sembrava scontato. Forse alcuni lettori pensavano
che solo un artista nero avesse le “competenze”
per fare quello che facevo io. Invece la
credibilità accordata alle mie storie sul carcere e la
vita nel ghetto credo si dovesse al fatto che nascevano
dalla mia esperienza diretta unita a una personale
attenzione alle dinamiche sociali.
Incontrandoci a un raduno, il disegnatore afroamericano
Grass Green mi disse di aver perso una
scommessa, dopo essersi giocato non so quanti
soldi che Colwell fosse nero».
Il fumetto di Colwell ottenne buone recensioni
e l’apprezzamento degli altri disegnatori della comunità
underground.
«La reazione degli artisti che ammiravo mi lasciò
sorpreso», disse. «Greg Irons mi venne a cercare a
un raduno per dirmi che Inner City Romance #1
era un gran libro, un’opera innovativa. Robert
Crumb mi disse che era un capolavoro. All’editore
inglese Felix Dennis piacque così tanto che lo fece
uscire di nuovo nelle pagine della rivista Oz, senza
nemmeno chiedermi il permesso. Le mie tavole
colpirono talmente la redazione del San Francisco
Good Times da commissionarmi all’inizio una
striscia e poi un’intera pagina di vignette. Fu divertente
far parte all’improvviso della comunità
dei fumettisti underground di San Francisco. Venire
associato a loro mi valse un buon riconoscimento
professionale e una certa dose di autostima».
La grande conoscenza di quelle tematiche era
frutto della dura scuola dell’esperienza, frequentata
dall’autore per gentile concessione dell’industria
militare. Appena compiuti i diciotto anni,
Colwell si iscrisse al Selective Service System decidendo
poco dopo di non voler più collaborare con
l’agenzia di coscrizione né unirsi all’esercito.
Divisadero, olio su tela, 1970. Colwell completò questo grande
dipinto ad olio a San Francisco, appena prima di mettere mano
a Inner City Romance. Questo è l’ambiente in cui Colwell
concepì ed eseguì il suo primo fumetto.
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«Pensai se fare o meno domanda come obiettore
di coscienza. A diciott’anni compiuti nel 1963
avevo già letto alcuni testi sulla non-violenza, in
particolare le opere di Gandhi, e sapevo degli
sforzi di Martin Luther King Jr. per sconfiggere la
segregazione al Sud in modo non violento. Iniziò
a sembrarmi ovvio che con quella tattica si potesse
ottenere giustizia sociale opponendosi addirittura
alla tirannia senza fare la guerra. Cominciai a
leggere il Manuale per obiettori di coscienza di Arlo
Tatum. Purtroppo, quando decisi di inoltrare la
domanda iniziò la guerra del Vietnam, e diventare
obiettore di coscienza non bastava più. Volevo
fare netta opposizione alla guerra. Rifiutai la chiamata
e diventai un non-collaboratore. Era il 1964.
Da allora seppi che prima o poi sarei finito in
carcere, anche se ci vollero altri quattro anni per
andarci davvero. Quando fui incriminato, il processo
si fece a San Francisco, all’inizio del 1968. La corte
mi diede due anni».
Colwell finì nel carcere federale di McNeil Island
(in seguito diventato il Washington State McNeil
Island Corrections Center, ormai chiuso).
«Era un penitenziario federale con un casermone
per i detenuti in regime di massima sicurezza e
un’area per chi scontava le pene minime, costruito
su un’isola dello stato di Washington, nello stretto
di Puget vicino a Tacoma. L’area in cui mi mandarono,
dopo un paio di giorni atroci nell’unità di
massima sicurezza, comprendeva un orto di sedici
ettari e strutture dove i detenuti allevavano gli
animali, intagliavano il legno e stipavano le mele
raccolte da un grande frutteto. La fattoria forniva
il cibo per il carcere di massima sicurezza. I
dormitori erano strapieni di gente che nel complesso
aveva infranto qualsiasi legge federale.
Woman on the Line, gouache, 1969. Dipinta nel penitenziario
di McNeil Island, dove Colwell era stato recluso per renitenza
alla leva, l’opera mostra il primo sentore di quel surrealismo
sociale che avrebbe dominato il lavoro di Colwell dopo anni
di astrattismo.
«Anche un carcere adibito al minimo della pena
è un luogo assurdo e spaventoso», racconta Colwell.
«C’era sempre un’atmosfera minacciosa e un clima
di aggressività repressa che ogni tanto esplodevano.
A volte, scoppiavano liti violente tra i detenuti, nel
mio reparto fu ucciso un uomo che dormiva a
meno di un metro e mezzo da me. Per molte cose
comunque era una vita più rilassata di quella che
avrei fatto nell’unità di massima sicurezza. Non
c’erano né muri né recinti. Tutti potevano allontanarsi
in qualsiasi momento dalla fattoria, tranne quando
ci chiudevano per la notte. Eravamo pur sempre su
un’isola: senza accollarsi una nuotata, non si poteva
andare da nessuna parte. Tra i lavori che mi assegnarono
ci furono la coltivazione dell’orto, la guida
Four Cells, pennello e inchiostro, 1972. In Colwell i ricordi della prigione erano ancora molto forti quando realizzò questa illustrazione
per il giornale alternativo San Francisco Good Times.
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Immagine della Terra senza titolo, copertina per il San Francisco
Good Times, vol. 5 #13, 16-29 giugno 1972.
Comics Trips, San Francisco Good Times, vol. 5 #14, 30 giugno –
14 luglio 1972. Il 1972 fu un anno molto intenso per la militanza
pacifista e controculturale di Colwell, che visse e lavorò con
la comune del San Francisco Good Times. Sul numero 5 del
giornale fece la sua prima apparizione Comics Trips, una pagina
di strisce – pubblicata fino alla chiusura del San Francisco
Good Times, nel 1972 – che incluse anche “Radical Rock,” il
futuro Inner City Romance #2. Tra gli artisti ospitati dalla rubrica,
Larry Todd, Bobby London, Greg Irons e Michelle
Brand. Il logo venne disegnato da Gary Hallgren.
del carro dei rifiuti, la cura dei maiali, la raccolta
delle mele e l’intaglio del legno. Quando stavo
all’orto, ogni tanto uscivo dal perimetro e mi infilavo
negli stupendi boschetti che circondavano la mia
unità rischiando una punizione o l’allungamento
della pena. Piccole fughe per non impazzire mentre
cercavo di abituarmi alla vita in quel posto».
Colwell racconta che, quando ci stava lui, al
McNeil la segregazione razziale e conflitti tra
bande di detenuti erano a livelli minimi.
«C’erano gruppi di bianchi che non volevano
immischiarsi ai neri e neri che cercavano di non
interagire affatto coi bianchi. Stessa cosa per i sudamericani.
Nel clima molto meno teso dell’unità
per le pene minime, la socializzazione tra gruppi
diversi non dava nessun problema. Personalmente,
ricordo che ero così ben disposto e aperto con
tutti che un paio di volte mi sentii chiamare alle
spalle “amante dei negri”. Pur essendoci sotto
sotto un minimo di tensione razziale, nessuno
venne mai a dirmi “ti conviene stare con la Fratellanza
Ariana”. Naturalmente anche i renitenti alla
leva avevano una loro ‘gang’, per così dire. Alcuni
erano ribelli incalliti, più rivoluzionari che pacifisti,
perfettamente in grado di offendere gli ‘sbirri’
come ogni altro detenuto. In fondo, eravamo tutti
prigionieri del Sistema. Al mio arrivo in carcere
c’erano solo altri due renitenti, ma quando me ne
andai ormai erano più di una cinquantina».
Approfittando dell’abbonamento di un compagno
all’East Village Other, anche a Colwell capitava di
leggerlo. La striscia Trashman: Agent of the Sixth
International disegnata da Spain Rodriguez spopolava
tra i detenuti.
«Dopo oltre un anno di carcere con alcuni obiettori
piuttosto incazzati, l’idea di rivoluzione armata proposta
da quella striscia mi parlava in un modo completamente
nuovo. Non avrei mai abbandonato
l’ideale della non-violenza, ma ogni giorno avevo
sempre più l’impressione di essere diventato un attivista
‘militante’ non-violento contro la guerra. Fu
Trashman a farmi avvicinare a quella posizione».
Al McNeil l’arte di Colwell cambiò orizzonte di
interessi. Crescendo a Berkeley aveva aderito con
passione alle proteste della controcultura, quando il
movimento aveva iniziato a darsi una forma precisa
e lui andava alle superiori. Gli elementi edonistici
che avevano alimentato le sue visioni artistiche
furono invece lentamente sostituiti dalla dura e pe-
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ricolosa realtà del carcere, dove per sopravvivere si
dovevano tenere sempre gli occhi bene aperti.
«Quando iniziai a farmi di marijuana e LSD,
sembrava che lo facesse chiunque. Un turbine di
creatività pompata dalle droghe si abbatteva su
ogni ambito: musica, cinema, grafica e belle arti.
Imperversavano libri come Straniero in terra straniera,
L’esperienza psichedelica, Le porte della percezione,
Il signore degli anelli, Il pasto nudo – roba
piuttosto famosa tra gli hippy strafatti. Per me,
prima del carcere almeno, tutto questo si tradusse
in vari esperimenti pittorici sulla resa visiva dell’esperienza
psichedelica, come già facevano alcuni
artisti con le locandine dei balletti. Dal 1964 al
1968, sotto effetto di droghe feci molti quadri
astratti di cui ormai sono rimasti pochissimi esemplari.
Dopo il carcere, invece, l’interesse per i movimenti
sociali e politici prese il posto del fascino
per gli aspetti visionari e di evasione dalla realtà.
L’approccio hippy si unì all’attivismo politico che
mi avvicinò alle manifestazioni contro la guerra e
all’arte urbana realista».
Colwell passava il tempo sulla brandina a fare
piccoli acquerelli astratti. Spesso i detenuti che lo
vedevano all’opera gli chiedevano un ritratto, così
iniziò a esercitarsi anche nel disegno realistico. Le
esplorazioni psichedeliche erano acqua passata.
«La situazione nel mondo si faceva seria: guerra,
lotte di liberazione, movimenti per i diritti civili,
divisione tra capitalismo e comunismo, ingiustizia,
povertà, disuguaglianze nella distribuzione della
ricchezza e dei diritti. Dopo la scuola del carcere,
la vita felice e fancazzista del pittore astratto hippy
non faceva più per me. Dovevo usare la mia arte
per una riflessione seria, come racconto della
società e intervento politico. Dopo aver rifiutato
la follia della leva militare, non potevo più fare
una vita frivola, ero destinato a qualcosa che
avrebbe unito la mia voce a quelle di chi invocava
giustizia, pace e uguaglianza. Opporsi alla guerra
e promuovere la non-violenza come strumento
migliore per il progresso sociale furono le leve
principali di una politicizzazione sempre maggiore
del mio pensiero e della mia arte».
Spiro Agnew – sovraccopertina, San Francisco Good Times, vol. 5 #8, 7-20 aprile 1972. Una visita del vicepresidente a San
Francisco nel 1972 rappresentò una grande occasione di visibilità per protestare contro la guerra in Vietnam. L’illustrazione
unica che comprendeva copertina e quarta fu pensata come poster estraibile per annunciare ora e luogo della manifestazione.
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Colwell fu rilasciato dopo diciassette mesi e tre
giorni, pensò di comprare una bicicletta e tornare
alla baia di San Francisco, ma i dirigenti del carcere
bocciarono quell’idea di trasporto non convenzionale
e gli dissero di prendere il pullman. Lui
aveva già trovato un buon lavoro presso l’istituto
d’arte che aveva frequentato.
«Quando fui rilasciato, nel settembre del 1969,
andai subito a Oakland, dove avevo ottenuto un lavoro
come custode e manutentore al California
College of Arts and Crafts. La libertà sulla parola
mi obbligava a lavorare lì almeno per un anno.
Dopo quel periodo, mi licenziai ma rimasi a Oakland
più o meno per un altro anno, realizzando
una marea di opere che sancirono il mio passaggio
al surrealismo figurativo sociale. In quel periodo dipinsi
l’Autoritratto con creatura che mi fece davvero
svoltare e abbandonare l’astrattismo. Quello stile,
più vicino al realismo della pittura classica, mi dava
molte più soddisfazioni. A quell’epoca risale anche
Race Street, una orgia di violenza dipinta a olio
tanto feroce che in seguito [nel 1993] la distrussi
con una trovata pubblicitaria».
Nel 1971 Colwell si trasferì nella baia di San
Francisco sperando di iniziare una carriera da
pittore e grafico dove c’erano più opportunità. Su
tutto preferiva i quadri a olio, ma gli piaceva anche
la sempre più ricca scena del fumetto underground
alla quale iniziò a pensare di unirsi.
«Mi colpivano molto i fumetti underground di
signori come Moscoso, Shelton, Crumb, Spain,
Griffith, Irons, Becks e altra gente piena di talento.
Le loro opere mi piacevano sotto ogni aspetto, risvegliavano
il godimento che avevo provato da
piccolo nel leggere i fumetti e si meritavano al
contempo la mia stima di artista per la creatività
con cui esploravano territori straordinari mai frequentati
prima dal fumetto. Fu del tutto naturale
pensare di fare qualcosa del genere anch’io».
Come tanti altri figli d’America della sua generazione,
Colwell imparò a leggere con i fumetti.
«Paperino, Zio Paperone, Little Lulu, Casper, Sad
Sack, Supertopo, Bugs Bunny: prima di addormentarmi
preferivo leggere fumetti. All’inizio me li leggeva
mia madre, poi imparai lentamente a seguire
le piccole battute di dialogo che recitava. Alla fine
leggevo da solo. Gli infiniti numeri di Classics Illustrated
che lessi mi insegnarono che i fumetti potevano
raccontare anche storie più serie, non solo roba di-
La breve carriera di Colwell come artista di tribunale lo fece
partecipare direttamente a molti degli intensi drammi politici
degli anni Settanta. Usando le matite Prismacolor, ritrasse Patty
Hearst (in alto), alla sbarra nel 1975 per rapina in banca, White
Panthers Tom Stevens e Terry Phillips (al centro) a giudizio
nel 1974 per sparatoria con la polizia, e i Sei di San Quentin (in
basso) a processo nel 1972 per aver partecipato a una rivolta in
carcere in cui morirono sei persone.
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Empty Lot (Terreno libero), olio su tela, 1977. La rappresentazione
di un orto urbano è la quintessenza dell’opera di Colwell, nel
periodo in cui il suo interesse principale era la realtà metropolitana.
Il quadro rappresenta i processi di abbandono e riappropriazione
in atto nei contesti cittadini. Fu la copertina di
un’edizione francese di Inner City Romance pubblicata nel 1980
da Artefact.
Portobello, olio su tela, 1979. Lo sguardo di Colwell torna sulla
realtà urbana e la vita delle strade, stavolta a Londra, dove
visse per qualche mese dopo il soggiorno a Parigi di un anno.
Il periodo è successivo all’ultima uscita dell’ultimo volume di
Inner City Romance. Nel 1980 tornò a San Francisco e al suo impegno
con la pittura.
vertente. Poi, naturalmente, arrivò Mad Magazine,
prova che i fumetti potevano fare una satira feroce
e raccontare la società con grande umorismo».
Forse, allora, poteva recuperare alcune emozioni
provate ai tempi della lettura dei suoi fumetti
preferiti.
Il carcere ormai l’aveva fatto diventare un altro,
non c’erano dubbi: più sballato e meno innocente.
«Vivevo per conto mio in una specie di tugurio
a San Francisco, in Divisadero Street, e dovevo
trovare un modo per fare qualche soldo, così decisi
che era venuto il momento di fare un fumetto
tutto mio», raccontò Colwell. «Fu una pazzia cominciare
un intero libro senza pensare alle difficoltà
che avrei avuto nel farlo pubblicare, ma all’epoca
ero un po’ pazzo e avevo troppo bisogno di dire
qualcosa sulla mia vita».
Leggere Legion of Charlies di Greg Irons e Tom
Veitch, che mettono in parallelo le vite di una figura
carismatica come Charlie Manson (condannato per
27 omicidi nel gennaio 1971) e del tenente della
Compagnia Charlie, William “Rusty” Calley (condannato
nel marzo 1971 per l’omicidio di 22 civili
vietnamiti nel massacro di My Lai, e poi liberato
con l’indulto) lo convinse che ormai i fumetti erano
pronti a ospitare contenuti forti e provocatori.
«Un giorno, con mia grande sorpresa, scoprii
che vicino casa mia viveva un afro-americano che
aveva dormito in una branda del mio stesso carcere,
al McNeil. Con quel passato in comune fu naturale
frequentarci un po’, parlare dei tempi del carcere
e dei compagni conosciuti, alcuni dei quali si
rifecero vivi dalle nostre parti. Purtroppo era un
eroinomane e frequentarlo mi fece entrare in un
giro di sottoproletari che includeva drogati, prostitute,
spacciatori, ma anche musicisti, artisti e
politicanti. Fu un anno memorabile, pieno di
episodi su cui potevo basare molte storie. Mi destreggiavo
fra droghe pesanti, musica nera, mercato
del sesso e attivismo radicale raccogliendo un
sacco di informazioni che da allora in poi avrebbero
riempito la mia vita e la mia arte. Ero più osservatore
che partecipante. Mi capitava di guardare tossici
che si bucavano e andavano in down o aiutarli se
andavano in overdose, ma personalmente non mi
facevo mai, se non di erba e LSD. Evitavo di stare
fisicamente con donne che forse si prostituivano,
se non per fare qualche ritratto. Per tutto quel periodo
intenso e pericoloso cercai di restare con-
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Clean Up (Pulizie), acquerello, 1979. Questo fu il commento di
Colwell su un piccolo triangolo di natura verde che attrasse
immondizia come una calamita. La gente veniva da lontanissimo
a gettare la spazzatura nell’unico posto che non era ancora
ricoperto di cemento. Colwell mise insieme immagini idealistiche
di una possibile azione comunitaria per la riqualifica di
questo posto che stava accanto al suo appartamento di San
Francisco, ma in realtà, spesso andava a pulirlo da solo.
centrato sulle cose importanti – fare una vita semplice,
rimanere in salute e sviluppare la mia arte.
Considerato ciò, un solo quadro non bastava a
contenere l’intera gamma delle situazioni assurde
vissute in quell’anno-diverso-dagli-altri: dovevo
trovare qualcos’altro. Mi serviva una storia, non
solo un’immagine, anche se all’inizio provai a
mettere tutto in un quadro che intitolai Divisadero.
D’altra parte, quando finalmente decisi di fare un
fumetto, misi in scena una storia di uomini che riscoprivano
il mondo dopo il carcere, mettendoci
dentro quegli altri elementi ormai familiari, e uscì
fuori un piccolo libro sui bassifondi che, sono
lieto di poter dire, negli anni continuò a riscuotere
un gran successo tra i lettori, i disegnatori e i recensori,
e forse ha avuto anche una certa influenza
sul movimento del fumetto underground».
Last Gasp stampò quattro edizioni di Inner City
Romance #1 vendendo in totale 50 mila copie.
Colwell iniziò a disegnare Inner City Romance #2
mentre lavorava per il San Francisco Good Times,
un quotidiano che nella pagina dedicata alle strisce
(“Comic Trips”) fece uscire i primi tredici episodi
di Radical Rock. Quando il giornale chiuse, nell’agosto
del 1972, Colwell continuò con la serie
riunendo i vari episodi in un unico libro che Last
Gasp pubblicò alla fine di quello stesso anno. Le
cose cambiavano in fretta negli anni esaltanti in
cui gli editori di fumetto faticavano a soddisfare la
domanda dei lettori.
Il fumetto underground iniziò a mostrare scene
di sesso esplicito e Colwell non ebbe alcuna riserva
nel disegnare maschi e femmine nude che facevano
le loro cose in totale naturalezza. I lettori apprezzavano
quelle scene e il fondatore di Last Gasp, Ron
Turner, fu felice di dargli quello che volevano.
«Ovvio: il sesso vende», ammise Colwell. «A
costo di sembrare cinico, mi chiedo se Last Gasp
avrebbe mai pubblicato un libro come Inner City
Romance #1, se non avesse avuto scene di sesso.
Forse vendevo critica sociale usando il sesso e il
nudo come un venditore di auto. Benché le produzioni
artistiche legate al sesso o all’erotismo
abbiano sempre un carattere frivolo o lascivo, in
quegli anni a cavallo tra il controllo effettivo delle
nascite e l’emergenza dell’AIDS, era più forte la
sensazione che fosse arrivato il momento di liberarsi
dalla vecchia morale che circondava il sesso. Eravamo
convinti che i temi sessuali sviluppati in
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Playground (Parco giochi), acquerello, 1984. Questo squallido scorcio di metropoli rappresenta la testimonianza di Colwell sulla
classe più povera della città. L’opera è il risultato di vari schizzi fatti dal vivo per le strade di San Francisco nel 1970. Mostra un
vero parco giochi ormai inaccessibile ai bambini per l’occupazione di alcuni senzatetto.
modo esplicito nell’industria culturale fatta di film,
libri e fumetti, avessero in realtà una più profonda
natura politica. All’epoca, l’invito a un nuovo
modo di pensare l’amore, l’incalzante rivoluzione
dell’amore libero, sembrava un gesto importante,
intimamente collegato alla creazione di un mondo
nuovo e più felice.
«Be’, era la nostra spiegazione idealistica. Nei
miei fumetti però il sesso non diventava mai roba
dolce, innocente e spiritual-hippy. Non era nemmeno
una dichiarazione matura sul sesso libero. L’intento
delle storie era esplorare un lato più oscuro, forse
perché ero io a ospitare in me un lato oscuro,
dopo tutto il tempo passato in carcere ad ascoltare
in continuazione infiniti discorsi su cazzi fiche
troie e voglie sadomaso: il sesso non poteva essere
più dolce. Misi nei fumetti la sensazione che non
si trattava solo di roba felice e sana ma di impulsi
primitivi e forze potenti, ossessive e pericolose
che, più di quanto non ci piaccia ammetterlo, ci
controllano, ci distraggono e molto spesso confondono
i pensieri. Tra l’altro, io amo dipingere la
figura umana e ho studiato il nudo nell’arte del
passato partecipando a vari laboratori e corsi di
disegno figurativo. Così, ogni scusa era buona per
disegnare corpi nudi. Nei miei fumetti convogliavo
tutti questi elementi».
Quando iniziò, Colwell non ne sapeva quasi
niente di come si fa un fumetto. Nessuna delle
materie seguite alla Berkeley High School o alla
California College of Arts and Crafts raccontavano
l’arte delle vignette, perciò si imbarcò nel progetto
basandosi su quello che conosceva.
«Credo di aver inventato un modo tutto mio di
fare fumetti», spiegò. «Non avevo insegnanti né
guide. Anzi, proprio perché mi reputavo principalmente
un pittore, quando iniziai il primo fumetto
provai a metterci dentro molti elementi pittorici.
Il realismo figurativo dei disegni era una diretta
espansione del realismo che cercavo nei quadri.
Non provai affatto a rendere “fumettose” le figure,
se non per ciò che riguardava la semplicità delle
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forme e la velocità d’esecuzione. Pensavo sempre
di finire il fumetto in poco tempo e tornare alle
mie tele. Inner City Romance #1, #2 e #3 li feci tutti
con un pennellino nero, per avere la sensazione
che li stessi ‘dipingendo’. Per le pagine di Inner City
Romance #2, dopo la stesura col pennello usai il retino
Zip-A-Tone. Tecnica di applicazione di trama
e sfumature che imparai subito a odiare e non usai
più. Inner City Romance #4 e gran parte del #5 li
feci con i pennini Radiograph per poi approdare,
Race Street era un grande quadro a olio iniziato nel 1969 e finito
nel 1971, composto quando Colwell aveva la fissa per Hieronymus
Bosch, lottava coi postumi della galera e aveva bisogno di
un progetto stimolante per far ripartire la sua carriera interrotta.
Purtroppo, fu sempre a disagio davanti all’impressionante violenza
di questa immagine, così, nel 1993 la distrusse come trovata
pubblicitaria.
alla fine, al calamaio e alla penna di corvo. Col
tempo, credo che il mio stile sia andato molto più
verso il realistico che il fumettistico. In quei lavori
ci sono anche influenze artistiche più profonde e
antiche che, pur essendo più evidenti nei miei quadri,
forse pervadono anche la mia opera fumettistica.
Gran parte dell’ispirazione viene dalla pittura
rinascimentale, specie dal Rinascimento nordeuropeo.
Van Eyck, Bruegel e Bosch ebbero un impatto
enorme sulla mia immaginazione e sulla
strada che poi ho scelto. La mia formazione di pittore
e autore di fumetti comprende anche diversi
pittori americani – Grant Wood, Thomas Hart
Benton, Andrew Wyeth, Edward Hopper e, certo,
anche Norman Rockwell – per il loro realismo
laico e la consapevolezza storica. Pur avendo studiato
e praticato seriamente e con passione l’arte
astratta del ventesimo secolo, dai tempi della
scuola e fino al periodo del carcere, niente mi influenzò
o gratificò mai tanto quanto il realismo sociale,
una costante che ha dominato gran parte
della mia vita».
Free Lunch (Pranzo libero), gouache, 1977. Qui Colwell torna
alla realtà del carcere, giocando sulla frase “There’s no such
thing as a free lunch” (idioma inglese per “ogni cosa ha un
prezzo”, n.d.t).
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Inner City Romance 1, rifacimento della copertina, acrilico su tela, 2011. Questa versione in grande della copertina del primo fumetto
di Colwell venne commissionata all’autore da un fan.
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