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Il giornale studentesco della sede di via don Minzoni del Liceo Galilei
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Dante, medico dell’anima
È ormai passato poco più di un anno
dall’inizio della pandemia prima in Italia e
poi nel resto del mondo e il Dantedì capita a
fagiolo per fare un resoconto di ciò che è
accaduto negli ultimi mesi. Come ha reagito
l’umanità di fronte a questa catastrofe? Alla
fine non ha reagito in modo troppo diverso
da come aveva fatto in passato con tragedie
simili: la pandemia non ci ha affatto
cambiati, ha solo evidenziato la natura
umana. Basta leggere qualche pagina della
Guerra del Peloponneso di Tucidide,
dell’Historia Langobardorum di Paolo
Diacono o del Decameron di Boccaccio, per
capire che non siamo troppo cambiati
rispetto ai nostri antenati. Eppure in
qualcosa siamo diversi, ovvero nella cura
dell’anima. Infatti, mentre, anche
giustamente, ci preoccupavamo di
proteggere i nostri corpi, abbiamo
dimenticato di curare la nostra anima, che il
virus ha attaccato come i nostri polmoni.
Oltre ai morti, la pandemia ha portato
tristezza, angoscia, sfiducia, malinconia,
terrore e accidia e una società sempre più
materialista come quella odierna si è trovata
disarmata davanti a tutti questi problemi che
non sono curabili con le medicine.
Viene però in nostro aiuto Durante
Alighieri, iscritto all’Arte dei medici e degli
speziali, che con la sua Divina Commedia si
fa medico dell’anima, oltre che del corpo.
La pandemia ci ha allontanati dai nostri cari,
ha privato della libertà chi non è stato
privato della vita, ci ha ricordato che
polvere siamo e polvere ritorneremo.
Abbiamo vissuto l’ultimo anno come un
vero e proprio Inferno.
È giunto il momento di passare per la
Natural burella e iniziare a vivere questa
esperienza come un Purgatorio. Abbiamo
toccato il fondo e ora possiamo risalire e
trovare il bene prodotto da questo dolore,
per certi aspetti catartico, che ci affligge.
Ora abbiamo dei vaccini, ora inizia la
Primavera, ora abbiamo una speranza.
Come non pensare quindi al I Canto del
Purgatorio?
Dolce color d’orïental zaffiro,
che s’accoglieva nel sereno aspetto
del mezzo, puro infino al primo giro,
a li occhi miei ricominciò diletto,
tosto ch’io usci’ fuor de l’aura morta
che m’avea contristati li occhi e ‘l petto.
Lo bel pianeto che d’amar conforta
faceva tutto rider l’orïente,
velando i Pesci ch’erano in sua scorta.
I’ mi volsi a man destra, e puosi mente
a l’altro polo, e vidi quattro stelle
non viste mai fuor ch’a la prima gente.
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