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Storia della lingua _2-3_ - ZyXEL NSA210

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Appunti di storia <strong>della</strong> <strong>lingua</strong> italiana (2-3)<br />

2. Dal latino alle lingue romanze. Il volgare italiano<br />

2.1 Italici e romani 1<br />

Con il nome Italia, inizialmente veniva indicata solo la Calabria; nel III sec. a.C. l'Italia coincideva con la parte a sud<br />

dei fiumi Magra e Rubicone; nel 49 a.C., divenuta romana anche la Gallia Cisalpina, fu considerata Italia anche il Nord,<br />

mentre Sicilia e Sardegna di Diocleziano.<br />

La preistoria si protrasse in Italia più a lungo che nelle zone orientali. I primi documenti di civiltà in possesso degli<br />

storici risalgono al II millennio a. C.<br />

All'VIII sec. a.C. risale la colonizzazione greca in Italia meridionale e la fioritura <strong>della</strong> civiltà etrusca. Tra l'VIII e il IV<br />

sec. a.C. si stanziarono in Italia anche popolazioni indoeuropee, ricordate come Italici.<br />

Con il nome Italici i romani indicarono le popolazioni non latine assoggettate nella penisola con una serie di guerre che<br />

caratterizzarono la fase più antica <strong>della</strong> loro storia. Durante le guerre puniche gli Italici si federarono con Roma e, dopo<br />

la vittoria, parte di essi ebbe riconosciuta la cittadinanza.<br />

Nell'VIII sec. a.C. Le principali popolazioni in Italia erano così stanziate: Liguri e Veneti a nord; Umbro-Sabelli e<br />

Latini al centro; Iapigi, Lucani e Bruzi a sud; Siculi e Sicani in Sicilia; Sardani e Liguri in Sardegna. In questo periodo,<br />

mentre l'Italia meridionale veniva colonizzata dai Greci, si sviluppava al centro-nord la civiltà etrusca.<br />

2.2 Il latino<br />

Il latino è una <strong>lingua</strong> appartenente al sottogruppo italico delle gruppo indo-europeo, che comprende le lingue italiche<br />

quali l’osco, l’umbro e il venetico). Prime attestazioni VI/VII sec. a C. (fibbia di Palestrina), V sec. (Lapis niger nel<br />

Foro romano).<br />

La prima attestazione letteraria è dell’anno 240 a.C. (513 dalla fondazione di Roma), quando Livio Andronico (Livius<br />

Andronicus), uno schiavo liberato, proveniente dalla città greca di Taranto, fece rappresentare per la prima volta un<br />

testo scenico in <strong>lingua</strong> latina 2 .<br />

Il latino conosceva subito diverse varietà diastratiche: il sermo urbanus (latino classico) era quello dei filosofi, di<br />

letterati e poeti, degli oratori; il sermo cotidianus (la <strong>lingua</strong> di tutti i giorni), del popolino (sermo proletarius), dei<br />

mercanti e artigiani (sermo vulgaris o plebeius), dei lononi (sermo rusticus) 3 .<br />

2.3 La diffusione del latino<br />

La <strong>lingua</strong> latina si è radicata ovunque sia stata portata dai conquistatori romani, soppiantando le parlate locali nella<br />

quasi totalità dei casi (unica eccezione il basco, <strong>lingua</strong> pre-indoeuropea che sopravvive ancora oggi in Francia e in<br />

Spagna) 4 . Il territorio in cui si è diffusa la <strong>lingua</strong> di Roma è chiamato Romània e le lingue derivate dal latino sono dette<br />

lingue romanze, dall'espressione romanice loqui (parlare come i romani).<br />

"Mentre la colonizzazione greca era stata, come quella fenicia, di tipo prevalentemente commerciale, e perciò limitata<br />

alle città costiere, quella romana è in prima linea agricola, cioè porta allo stanziamento di soldati -coltivatori nell'interno<br />

dei paesi; e da queste il latino si espande sugli alloglotti. Il servizio militare è un fattore di latinizzazione in quanto<br />

anche i soldati che avevano una <strong>lingua</strong> materna diversa dal latino si trovavano immersi per lunghi anni in un ambiente<br />

di <strong>lingua</strong> latina plebea. [...] Questa spinta dal basso viene a convergere con quelle esercitate dalla scuola e dalla sempre<br />

crescente organizzazione burocratica." 5<br />

Nella vasta area che corrisponde alle regioni che circondano il bacino del Mediterraneo il latino si impose come <strong>lingua</strong><br />

ufficiale. L'unità linguistica dell'Impero romano durante i secoli del suo dominio, nel momento di massima espansione,<br />

giunse a comprendere tutta l'area dei Mediterraneo, dalla Spagna alla Dacia (attuale Romania), dalla costa africana alla<br />

Britannia e al confine del Reno e dei Danubio. Nei territori conquistati e governati dai Romani, il latino si diffuse come<br />

la <strong>lingua</strong> ufficiale e fu usata nei rapporti col potere centrale nelle situazioni pubbliche e formali, negli scambi<br />

internazionali. Fu dunque la <strong>lingua</strong> <strong>della</strong> politica e dell'amministrazione pubblica, <strong>della</strong> giustizia, <strong>della</strong> scuola e <strong>della</strong><br />

cultura, ma anche degli scambi commerciali e <strong>della</strong> vita militare 6 .<br />

1 Fonte: http://www.storiafilosofia.it/romani/roma1.htm. Per un approfondimento rimangono fondamentali i tre volumi dell'opera di<br />

Gerhard Rohlfs Grammatica storica <strong>della</strong> <strong>lingua</strong> italiana e dei suoi dialetti, Einaudi, Torino 1966 (1949).<br />

2 http://www.geocities.com/inter<strong>lingua</strong>e/latino.html<br />

3 M. Iadarola e F. Marchisio, La parola. Grammatica italiana con elementi di latino e di storia <strong>della</strong> <strong>lingua</strong>, Torino 1993, p. 61.<br />

4 http://www.geocities.com/inter<strong>lingua</strong>e/latino.html<br />

5 B. Migliorini e I. Baldelli, Breve storia <strong>della</strong> <strong>lingua</strong> italiana, Sansoni, Firenze 1984, p. 9.<br />

6 http://www.valsesiascuole.it/crosior/1medioevo/regni_romano_cart.htm<br />

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2.4 La creolizzazione del latino 7<br />

I numerosi popoli sottomessi al dominio di Roma, dagli Umbri ai Galli agli Etruschi agli Iberi etc, si sforzavano di<br />

parlare il latino, in modo piuttosto approssimativo, con i loro inevitabili barbarismi (basti qui ricordare che la parola<br />

“barbaro”, di orgine greca, significava letteralmente “balbuziente”).<br />

Ad esempio, gli iberi non sapevano pronunciare la lettera f, come oggi i baschi; per tale motivo quando si sforzavano di<br />

parlare in latino, dicevano *harina, *hilius, *hemina etc. al posto di farina, filius e foemina, e così oggi si dice in<br />

spagnolo (harina, hijo, hembra). Attraversando i Pirenei, notiamo che lo stato di estrema semplificazione in cui si è<br />

ridotto il latino in Francia (augustum > [ut], aquam > [o], solidum > [su], mensem > [mwa], filius > [fis], maturum ><br />

[myR], etc.) rivela il profondo influsso di una o più lingue di sostrato che mal sopportavano il sistema fonetico latino, e<br />

che, a causa <strong>della</strong> forte intensità con cui era pronunciato l’accento, ha portato alla caduta di gran parte delle vocali<br />

atone.<br />

In gran parte dell’impero tendevano poi ad affermarsi voci diverse da quelle classiche, tipo casa o mansio per domus,<br />

caballus per equus e focus per ignis, che ritroviamo in quasi tutte le lingue romanze: italiano casa, cavallo e fuoco,<br />

francese maison, cheval e feu, spagnolo casa, caballo e fuego, romeno casă, cal (ma apă < equa) e foc; in sardo invece<br />

abbiamo ancora oggi domu, poi caddu (ma ebba < equa), e fogu.<br />

Un impero così vasto era dunque popolato da genti così diverse che, una volta accolto il latino come <strong>lingua</strong> principale in<br />

sostituzione <strong>della</strong> propria, hanno cominciato a storpiarlo alla loro maniera, dando così origine nel giro di poco tempo<br />

alla nascita di idiomi che possono definirsi creoli del latino.<br />

2.5 Il bilinguismo 8<br />

Nel lungo periodo del dominio romano le lingue culturalmente più forti coesistettero con il latino dando vita al<br />

bilinguismo. Il latino si affermava nelle situazioni ufficiali e formali, mentre l’idioma locale sopravvisse nell’uso<br />

familiare e privato. Il risultato di tale situazione fu, da un lato, l’ingresso nel latino di termini, usi e costrutti provenienti<br />

da altre lingue; dall’altro la conservazione a livello parlato-popolare di parole o usi linguistici che riemergeranno nella<br />

<strong>lingua</strong> volgare (per latino volgare si intende la varietà di latino parlato nel tardo impero).<br />

Alcuni fattori incidono sulla differenziazione del latino volgare (parlato) dal latino classico (scritto):<br />

- l’azione degli uomini di cultura, dei grammatici, <strong>della</strong> scuola tende a contrastare l'uso sempre più improprio del latino<br />

volgare, conservando il latino classico in una forma rigida, immune dai cambiamenti fino a ridurlo a una <strong>lingua</strong> fissa<br />

e formale, quella che Dante e i medievali chiameranno "grammatica".<br />

- la formazione del cristianesimo, dall’ Editto do Costantino in poi (313 d.C), spinge gli scrittori cristiani, a dare un<br />

forte impulso al latino volgare, inteso dalle masse, a cui si rivolge il messaggio evangelico. Sotto la loro azione<br />

vengono inserite nuove parole prese dal greco e dall'ebraico, data l'origine <strong>della</strong> religione.<br />

2.6 Il latino medievale 9<br />

La nascita di creoli a base latina in Italia, Francia, Spagna e Portogallo (ci si accorgerà più tardi <strong>della</strong> sopravvivenza di<br />

parlate a base latina anche nel territorio dell’antica Dacia, l’odierna Romania), non ha impedito che il latino mantenesse<br />

una sua vitalità per tutto il medioevo quale <strong>lingua</strong> scritta in tutta l’Europa (la prima attestazione scritta di un volgare<br />

romanzo risale all’842, data di stesura dei Giuramenti di Strasburgo, che sancivano l'alleanza fra i nipoti di Carlo<br />

Magno, Carlo II il Calvo e Ludovico II il Germanico, contro il loro fratello Lotario diventato imperatore.<br />

Dopo un periodo di instabilità <strong>della</strong> <strong>lingua</strong> (VII - VIII secolo d.C.), Carlo Magno promosse un rinnovamento<br />

dell’istruzione e un ritorno allo studio <strong>della</strong> grammatica latina, convocando a corte l’inglese Alcuino. Fu ideato il<br />

carattere di scrittura carolingio, derivante dalla scrittura onciale 10 . Si parlerà per questo di Rinascenza carolingia.<br />

Vediamo quali furono le caratteristiche del latino in questo periodo. Le vocali persero definitivamente la distinzione in<br />

base alla quantità; fu ampliato l’uso delle preposizioni; l’ordine delle parole nella frase divenne meno libero; la sintassi<br />

si semplificò ulteriormente, con apporti dalle lingue romanze (ad esempio la proposizione relativa introdotta da quod) e<br />

il lessico fu continuamente ampliato. Nella grafia i dittonghi si semplificano (ae e oe passano a e), si usano le y a<br />

sproposito (sylva, phylosophia) e ch al posto di h (michi = mihi, nichil = nihil, da cui “annichilire”). La grafia classica<br />

sarà restaurata soltanto con l’umanesimo.<br />

2.7 Le invasioni barbariche e la decadenza dell'impero romano 11<br />

Il latino parlato non si è trasformato in una <strong>lingua</strong> comune a tutto il territorio dell'ex Impero romano poiché alcuni fatti<br />

misero in crisi l'unità politico-culturale dell'Impero romano, ponendo le premesse per la formazione di realtà storiche<br />

differenziate.<br />

Dapprima la divisione amministrativa dell'Impero romano in quattro parti attuata da Diocleziano (297 d.C.), scegliendo<br />

quattro città capitali (Milano e Treviri in Occidente, Nicomedia e Sirmio in Oriente), decretò di fatto la fine del<br />

7 http://www.geocities.com/inter<strong>lingua</strong>e/latino.html<br />

8 http://www.valsesiascuole.it/crosior/1medioevo/regni_romano_cart.htm<br />

9 http://www.geocities.com/inter<strong>lingua</strong>e/latino.html<br />

10 Tipo di scrittura maiuscola, greca e latina, diffusa tra il III e il IX secolo.<br />

11 http://www.valsesiascuole.it/crosior/1medioevo/regni_romano_cart.htm<br />

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prestigio culturale di Roma, e favorì la ripresa dei particolarismo etnico e l'influsso sempre più forte sul latino delle<br />

lingue di popoli vicini, come il greco e le lingue germaniche. E' in questo periodo che si profila anche una prima<br />

divisione tra i dialetti italiani (divisi in cinque fasce: latinità settentrionale, con Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia,<br />

Friuli; latinità euganea col Veneto; latinità toscana; latinità mediana tra l'Adriatico e la valle del Tevere; latinità<br />

meridionale).<br />

La vera e definitiva disgregazione dell'unità dell'Impero dipende, com'è noto, dal fenomeno delle invasioni barbariche,<br />

che ha nel 476 la sua data emblematica, con la deposizione dell'ultimo imperatore, Romolo Augustolo.<br />

Il definitivo colpo all'unità dei Mediterraneo fu legato alla diffusione dell'Islam, che sottrasse all'ex mondo romanizzato<br />

tutti i territori africani, dall'Egitto al Marocco, penetrando fin nel cuore dell'Europa, con la conquista <strong>della</strong> Spagna, <strong>della</strong><br />

Francia meridionale e delle isole dei Mediterraneo, e infine <strong>della</strong> Sicilia (812).<br />

Con le popolazioni di origine germanica, dopo un periodo più o meno lungo e difficile di assestamento, la fusione<br />

culturale era stata possibile; segno ricorrente di tale processo la conversione dei barbari al Cattolicesimo e l'adozione<br />

<strong>della</strong> <strong>lingua</strong> latina come <strong>lingua</strong> ufficiale.<br />

In Europa le nuove incursioni di Ungari e Slavi prima del Mille avevano diradato la popolazione, impoverito i territori,<br />

indotto gli abitanti ad abbandonare le città chiudendosi in località di campagna fortificate (incastellamento). Scomparsi<br />

quasi gli scambi commerciali e i rapporti con un centro amministrativo comune, ogni località fu costretta a pensare alla<br />

propria sopravvivenza. L'isolamento di fatto favorì il particolarismo in ogni aspetto <strong>della</strong> vita sociale, compreso quello<br />

linguistico.<br />

Il periodo che va dal 476 all'800 vede la definitiva scomparsa degli organismi di potere dell'impero romano, soppiantato<br />

dai regni romano-barbarici, con una sostanziale decadenza delle città, dei commerci, delle istituzioni legislative latine,<br />

<strong>della</strong> <strong>lingua</strong> e <strong>della</strong> cultura romana.<br />

Popolazioni di origine germanica affluiscono nei confini dell'impero e si instaurano in Europa e nell'Africa<br />

settentrionale. I Bizantini, con Giustiniano cercano di espandere il dominio dell'Impero d'Oriente sulle coste del<br />

Mediterraneo, dopo aver sconfitto in Italia gli Ostrogoti (553).<br />

In Italia si stanziano a partire dal 568 i Longobardi, che occupano i soli territori interni lasciando ai bizantini la zona<br />

insulare, il sud l'Esarcato e la Pentapoli. La loro dominazione sarà dura per le popolazioni italiane e durerà circa<br />

duecento anni, fino al 800 d. C circa.<br />

2.8 La nascita delle lingue romanze 12<br />

E' dalla frammentazione politica, economica e linguistica del territorio europeo che nascono le premesse per la nascita<br />

delle cosiddette lingue neolatine o romanze da cui derivano alcune lingue moderne (italiano, francese, spagnolo,<br />

portoghese, rumeno). Queste lingue appartengono ad un'unica famiglia, in quanto hanno comune derivazione dal latino,<br />

Si dicono romanze traendo spunto dall'espressione latina romanice loqui < parlare come i romani >. Il latino volgare,<br />

ormai trasformatosi sensibilmente ad opera dei parlanti, viene avvertito come un'entità linguistica nuova, ormai molto<br />

diversa dalla <strong>lingua</strong> scritta dell'età romana.<br />

Le principali lingue romanze sono: portoghese, spagnolo (castigliano), catalano, provenzale, franco-provenzale,<br />

francese, ladino, sardo, italiano, dalmatico (estinto), rumeno.<br />

La presa di coscienza di impiegare uno strumento comunicativo nuovo avviene in tempi diversi da zona a zona. In<br />

generale comunque è nel IX secolo (tra l'800 ed il 900 d.C.) che emerge la consapevolezza di utilizzare nuovi idiomi.<br />

La prima testimonianza del nuovo fenomeno si ha nell'813 con il Concilio di Tours, al tempo del Sacro Romano Impero<br />

di Carlo Magno, quando esplicitamente si prende atto dell'esistenza di due lingue con opposte finalità comunicative.<br />

Di fronte al peggioramento <strong>della</strong> preparazione culturale del clero il Concilio stabilisce che bisogna restaurare un latino<br />

corretto destinato alla comunicazione tra gli alti ranghi <strong>della</strong> gerarchia politica ed ecclesiastica.<br />

Del resto i chierici ( i religiosi ) dovranno farsi capire dalle masse analfabete e dovranno quindi tradurre le loro prediche<br />

nella <strong>lingua</strong> romana rustica o nelle parlate tedesche<br />

Un altro documento che testimonia la percezione <strong>della</strong> nascita di nuovi idiomi ormai tra loro differenziati, capaci di<br />

connotare ampi gruppi etnici, è il Giuramento di Strasburgo (842) pronunciato davanti ai loro eserciti da Carlo II il<br />

Calvo e Ludovico II il Germanico. Nell'atto che sancisce la loro alleanza contro il fratello Lotario, essi impiegano le<br />

lingue dei due popoli che governano ( l'antico francese e l'antico tedesco ) in modo da farsi capire dal proprio esercito.<br />

Quindi il giuramento venne ripetuto da ognuno nella <strong>lingua</strong> dell'altro in modo da impegnarsi presso la controparte.<br />

Infine i due eserciti giurarono ognuno nella propria <strong>lingua</strong> 13 .<br />

12 Fonte: http://xoomer.virgilio.it/r.crosio/lingue_romanze.htm<br />

13 Ludovico: Pro Deo amur et pro christian poblo et nostro commun salvament, d'ist di in avant, in quant Deus savir et podir me<br />

dunat, si salvarai eo cist meon fradre Karlo et in aiudha et in cadhuna cosa, si cum om per dreit son fradra salvar dift, in o quid il mi<br />

altresi fazet et ab Ludher nul plaid nunquam prindrai, qui, meon vol, cist meon fradre Karle in damno sit. Carlo: In Godes minna ind<br />

in thes christianes folches ind unser bedhero gehaltnissi, fon thesemo dage frammordes, so fram so mir Got gewizci indi mahd<br />

furgibit, so haldih thesan minan bruodher, soso man mit rehtu sinan bruher scal, in thiu thaz er mig so sama duo, indi mit Ludheren in<br />

nohheiniu thing ne gegango, the minan willon, imo ce scadhen werdhen. Esercito di Carlo: Si Lodhuvigs sagrament que san fradre<br />

Karlo jurat conservat et Karlus, meos sendra, de suo part non l'ostanit, si io returnar non l'int pois, ne io ne neuls cui eo returnar int<br />

pois, in nulla aiudha contra Lodhuwig nun li iu er. Esercito di Ludovico: Oba Karl then eid then er sinemo bruodher Ludhuwige<br />

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2.9 Il volgare italiano<br />

In Italia l’uso scritto del volgare appare più tardi che in altri paesi; circa attorno al 960 d.C. Anche l'uso letterario del<br />

volgare avverrà in ritardo nel secolo XIII, mentre già alla fine dell'XI secolo ed agli inizi del XII la Francia produrrà la<br />

Chanson de Roland e la lirica trobadorica.<br />

I motivi per cui la <strong>lingua</strong> volgare viene impiegata più tardi in Italia rispetto ad altri paesi europei sono i seguenti:<br />

- la più lunga penetrazione <strong>della</strong> <strong>lingua</strong> latina nelle nostre culture locali rispetto ad altri territori europei<br />

- la mancanza per lungo tempo di organismi politici accentrati in Italia che potessero favorire la diffusione di un idioma<br />

comune. Non a caso le prime manifestazioni artistiche in Italia si hanno a Palermo presso la corte di Federico II di<br />

Svevia (1215-1250) l'unico sovrano che saprà dare temporanea compattezza ad uno stato pluriregionale nel Sud<br />

dell'Italia 14 .<br />

I primi esempi di volgare giungono a noi di solito inseriti in più ampi testi in latino. Gli ambiti in cui compaiono sono di<br />

due tipi: giuridico-notarile e religioso. Al primo appartengono i Placiti Campani (placiti cassinesi) di cui è famoso il<br />

Placito di Capua (960). In ambito religioso ricordiamo l'Iscrizione di S.Clemente ( XI sec) e la Formula di confessione<br />

umbra con latinismi alternati a rime in volgare. I Sermoni subalpini sono prediche del XII secolo che scelgono il<br />

volgare per comunicare con i fedeli ormai incapaci di comprendere il latino 15 .<br />

2.10 Primi documenti del volgare italiano 16<br />

2.10.1 L'indovinello veronese (circa 800 d.C.)<br />

Il più antico testo a noi pervenuto in cui si manifestano tracce del nuovo volgare italiano è un indovinello vergato a<br />

penna, in minuscola corsiva, in un codice <strong>della</strong> Biblioteca capitolare di Verona. Risale all'800 d.C.:<br />

Se pareba boves, alba pratalia araba & albo versorio teneba & negro semen seminaba<br />

(Spingeva avanti i buoi, arava un bianco prato e teneva in mano un bianco versorio e seminava una semente nera).<br />

Si tratta probabilmente di un'allegoria <strong>della</strong> scrittura, secondo cui i buoi sono le dita, il prato bianco la pergamena, il<br />

versorio (< versorium "parte dell'aratro) la penna d'oca, il nero seme l'inchiostro o le parole scritte.<br />

Si notano in particolare: la caduta delle terminazioni dei verbi (parebat, arabat, ecc.), il passaggio <strong>della</strong> i di niger a e,<br />

l'evoluzione <strong>della</strong> forma dell'accusativo latino -um in -o (nigrum>negro; album>albo). Rimane sorda la dentale<br />

intervocalica t in pratalia, che nel volgare settentrionale del tempo tende a modificarsi nella dentale sonora d.<br />

2.10.2 I placiti cassinesi (960-963 d.C)<br />

I primi documenti scritti a noi pervenuti che testimoniano un uso del volgare italiano consapevolmente distinto dal<br />

latino, sono le quattro pergamene dei placiti (sentenze emesse da un giudice) che riguardano l'attribuzione del possesso<br />

di certe terre agli abati di Montecassino e di altre Abbazie benedettine dei dintorni. Nel testo latino <strong>della</strong> sentenza sono<br />

inserite le testimonianze, messe a verbale, di testi che si esprimevano in volgare.<br />

a) Placito di Capua (marzo 960)<br />

Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte sancti Benedicti.<br />

b) Placito di Teano (ottobre 963)<br />

Sao cco kelle terre, per kelle fini que tebe mostrai, trenta anni le possette parte sancte Marie.<br />

Sao: il latino classico scire ("sapere") lascia il posto a sàpere: sapio>sào (e poi it. so);<br />

ko (cco) < quod latino, congiunzione che introduce la subordinata dichiarativa esplicita, sostituito in seguito da quid > ched > che;<br />

fini che);<br />

kelle, ki, hanno il suono duro ch rappresentato da una lettera k, rara in latino, che proviene dal greco;<br />

tebe < tibi ("a te")<br />

trenta < trienta < lat. triginta;<br />

possette < posse(d)ette;<br />

parte sancti Benedicti: manca ancora l'articolo (la parte) e la preposizione di che sostituirà il genitivo latino;<br />

sancte Marie: la forma del genitivo femminile ae- > e.<br />

sancti/sancte: non è ancora intervenuta l'assimilazione ct>t.<br />

gesuor geleistit, indi Ludhuwig, min herro, then er imo gesuor forbrihchit, ob ih inan es irwenden ne mag, noh ih noh thero nohhein,<br />

then ih es irwenden mag, widhar Karle imo ce follusti ne wirdoohg. (Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/ Giuramento_di_Strasburgo).<br />

14 Fonte: http://xoomer.virgilio.it/r.crosio/lingue_romanze.htm.<br />

15 http://www.pianetascuola.it/leggere_scrivere/parole/cap1/1_<strong>lingua</strong>_chia.html.<br />

16 Si segue qui Iadarola-Marchisio, cit. pp. 184-5.<br />

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3. Dal latino al volgare italiano: fonologia, morfologia, sintassi, lessico e semantica 17<br />

3.1. Fonologia<br />

3.1.0 Gli accenti quantitativi in latino 18<br />

Nel latino classico le vocali si dividono in brevi (ă) e lunghe (ā), che avevano una durata doppia delle prime. La<br />

differenza di accento permetteva di distinguere le parole vĕnit "egli viene" da vēnit "egli venne", pŏpŭlus "popolo" da<br />

pōpŭlus "pioppo".<br />

Nel latino parlato la differenza tra vocali lunghe brevi fu sostituita dalla differenza di timbro, cioè di apertura delle<br />

vocali: le brevi furono pronunciate aperte e le chiuse lunghe. Di qui nasce il sistema vocalico qualitativo, cioè basato sul<br />

timbro, dell'italiano:<br />

vocali latine: ī ĭ ē ĕ ă ā ŏ ō ŭ ū<br />

¦ \ / ¦ \ / ¦ \ / ¦<br />

vocali italiane: i é è a ò ó u<br />

3.1.1 Vocali e dittonghi<br />

Tra gli aspetti fonologici, il più importante è la perdita <strong>della</strong> quantità, che comporta un mutamento nel sistema delle<br />

vocali (conservatosi nel toscano) in virtù del quale e lunga e i breve diventano é (tela >tela; fidem > fede; viridem<br />

>verde; ligare > legare; nivem > neve); mentre o lunga e u breve diventano ó (vocem e gula, multus > it. voce e gola,<br />

molto); la e e la o breve diventano è e ò aperte (ventus> vento; corpus>corpo) o possono mutarsi nei dittonghi ie e uo<br />

(plenus> pieno; cor>cuore, rota>ruota, sonus>suono; homo> uomo).<br />

I dittonghi ae e au mutano rispettivamente in ò e in è o in iè (aetas> età, caelum>cielo; aurum> oro; poenam> pena).<br />

Cadono vocali (e sillabe) all'inizio (epicope), in mezzo (sincope) e alla fine (apocope) delle parole, originando spesso<br />

ulteriori modificazioni che interessano i gruppi consonantici che così si vengono a formare. Le parole tronche in italiano<br />

sono il risultato di una apocope (civitatem> cittade > città), spesso preceduta da una sincope: bon(i)tatem> bontade ><br />

bontà).<br />

3.1.2 Consonanti<br />

Cadono le consonanti finali delle parole, che erano parte <strong>della</strong> marca del caso, comportando un conseguente mutamento<br />

<strong>della</strong> morfosintassi, cioè facendo perdere al latino il suo carattere di <strong>lingua</strong> flessiva (Nom.: amicus, Acc.: amicum > it.<br />

amico).<br />

Spariscono la h iniziale e la x (saxum>sasso). Le sorde intervocaliche diventano sonore o geminano, cioè raddoppiano.<br />

Mutano i gruppi consonantici florem > fiore, pluvia > pioggia, spesso per assimilazione (sanctus>santo, tectus> tetto,<br />

pectum>petto, mensem>mese, oculus>* oclus> occhio).<br />

Un altro fenomeno è la palatalizzazione dei suoni ce, ci, ge, gi che nel latino classico si pronunciavano ke, ki, ghe, ghi.<br />

La perdita dell'accento secondario <strong>della</strong> i nel dittongo la riduce a semiconsonante che porta alla palatalizzazione <strong>della</strong><br />

consonante precedente (familia > *familja > famiglia, diurnum tempus> giorno; sapientia > sapienzia > sapienza,;<br />

palatium > palazzo/palagio).<br />

3.2 Morfologia e sintassi<br />

Si ha la progressiva sparizione del neutro, che si assimila al maschile o al femminile. Di qui le parole italiane con il<br />

singolare maschile e il plurale femminile oppure con il doppio genere al plurale con significati diversi (lat. neutro<br />

singolare ossum, plurale ossa > it. sing. osso, pl. le ossa/gli ossi; brachium > it. sing. braccio, pl.le braccia/ i bracci ).<br />

Si afferma prevalentemente la forma delle parole all'accusativo (lex/legem> legge).<br />

Mutano le forme verbali (con la caduta <strong>della</strong> consonante che fungeva da marca <strong>della</strong> persona: laudat > egli loda).<br />

Il pronome dimostrativo ille si trasforma nell’articolo determinativo il (illa>la, illu>lo); il numerale unum/unam<br />

nell'articolo indeterminativo. Sparisce il passivo (ad esempio, amatur è sostituito da amatus est, it. è amato). Si diffonde<br />

un futuro perifrastico: da amabo si passa ad amare habeo, che dà origine all’italiano amerò attraverso la forma<br />

intermedia amare *ao. Analogamente cantare+hebui ( canterei.<br />

Il latino, come altre lingue indoeuroee (greco, tedesco, russo, ecc.) è una <strong>lingua</strong> flessiva, cioè segnala morfologicamente,<br />

tramite un momena dedicato (la desinenza) il caso, cioè la funzione sintattica <strong>della</strong> parola nella frase nominativo<br />

(soggetto), accusativo (oggetto), genitivo (compl. di specificazione: origine, provenienza, appartenenza, ecc.), dativo e<br />

ablativo (compl. di termine e altri tipi di complemento indiretto). Nel latino volgare si ha una progressiva scomparsa dei<br />

casi, il che porta a delle conseguenze importanti sul piano <strong>della</strong> sintassi.<br />

17 Il testo di partenza dei paragrafi 3.1-3.3 è tratto da http://www.pianetascuola.it/leggere_scrivere/parole/ cap1/ 1_<strong>lingua</strong>_chia.html,<br />

con importanti modificazioni e numerose aggiunte tratte da: Migliorini e Baldelli, Breve storia..., cit. pp. 33-38; Iadarola e<br />

Marchisio, La parola, cit. pp. 221-230 e pp. 86-91, 233.<br />

18 Cfr. M. Dardano e P. Trifone, Grammatica italiana, Zanichelli, Bologna 1983, p. 21.<br />

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La caduta delle consonanti finali dei nomi, cioè <strong>della</strong> marca del caso, porta a un radicale cambiamento nella sintassi:<br />

l'ordine delle parole, piuttosto libero in latino, diventa rigido in quanto è ora la posizione a segnalare i casi del soggetto<br />

(nominativo) e del complemento diretto (accusativo), nell'ordine normale SVO. Per i casi obliqui si diffonde l'uso delle<br />

preposizioni (color rosae> colore de la rosa; scribo filio > scribo ad illum filium > scrivo al figlio) 19 .<br />

Latino classico Latino volgare Italiano<br />

Declinazione dei nomi:<br />

rosa, rosae, rosam, rosa, rosa;<br />

rosae, rosarum, rosas, rosis, rosis<br />

Costruzione sintetica:<br />

rosa matris<br />

Ordine libero delle parole:<br />

Paulum Petrus amat<br />

Amat Paulum Petrus<br />

Petrus Paulum amat, ecc.<br />

Scomparsa dei casi:<br />

sing. rosa<br />

pl. rose<br />

Costruzione analitica:<br />

illa rosam de illa matre<br />

Ordine fisso:<br />

Petru ama Paulu<br />

Assenza dei casi<br />

sing. rosa<br />

pl. rose<br />

Costruzione analitica:<br />

la rosa <strong>della</strong> madre<br />

Ordine fisso:<br />

Pietro ama Paolo<br />

La distinzione del caso si mantiene in italiano solo nel sottosistema dei pronomi personali.<br />

Nel latino classico l'ordine normale dei componenti <strong>della</strong> frase è il seguente:<br />

MILES GLADIO HOSTEM NECAT<br />

il soldato con la spada il nemico uccide<br />

sogg compl. indiretto oggetto verbo<br />

Nel latino volgare viene preferito l'ordine:<br />

MILES NECAT HOSTEM (CUM) GLADIO<br />

Quest'ultimo si imporrà nell'italiano (e nelle lingue romanze come il francese, lo spagnolo, il portoghese).<br />

Inoltre, al posto <strong>della</strong> dichiarativa del tipo dico te bonum esse, si afferma la forma dico quia bonus es (> it. dico che sei<br />

buono).<br />

3.3 Lessico e sematica<br />

3.3.1 Sostituzioni lessicali e mutamenti semantici nel latino volgare 20<br />

Il lessico permette considerazioni anche più interessanti. Accanto ai termini del latino classico – comuni alla <strong>lingua</strong><br />

parlata e a quella letteraria – come pater, homo, manus, facere, nell’italiano sono passate anche molte parole, spesso<br />

fondamentali, che i Romani hanno mutuato dai popoli con i quali sono venuti a contatto, cioè dalle lingue che vengono<br />

a formare il sostrato (substrato, sottostrato) linguistico del latino.<br />

Dall’etrusco provengono per esempio populus (> it. popolo), persona (= maschera > it. persona), catena (> it. catena),<br />

come pure atrio, milite, taverna, ecc.; dal gallico carrus (> it. carro) e braca (> it. braca); dall’osco-umbro o, secondo<br />

altri, dal sabino, dacruma > lacruma > lacrima (> it. lacrima), dingua > <strong>lingua</strong> (> it. <strong>lingua</strong>), casa (= casa di campagna,<br />

capanna > it. casa), inoltre: bue, bufalo, lupo, orso, scrofa, consiglio.<br />

C’è poi l’apporto <strong>della</strong> <strong>lingua</strong> greca, apporto che va di pari passo con il processo di assimilazione, nella cultura romana,<br />

<strong>della</strong> cultura e <strong>della</strong> letteratura greca. Dal greco derivano termini del <strong>lingua</strong>ggio filosofico, scientifico, tecnico, come<br />

philosophia (> it. filosofia), mathematica (> it. matematica), rhetorica (> it. retorica). Altri grecismi entrati presto nel<br />

latino sono: schola, calamus "penna per scrivere", camera "soffitto a volta", basilica "edificio con funzione pubblica.<br />

Centinaia sono i vocaboli di origine popolare – rimasti poi nell’italiano – che provengono da contatti orali con<br />

popolazioni ellenizzate che risiedevano a Roma o nell’Italia meridionale. Sono nomi di piante e frutta (come melo,<br />

olivo, mandorlo, fagiolo, prezzemolo, pepe, garofano), di animali soprattutto marini (come balena, tonno, acciuga,<br />

chiocciola, ostrica), di oggetti domestici (come borsa, cofano, lampada, tappeto, inchiostro, matassa), di parti del corpo<br />

umano (come stomaco e gamba).<br />

Spesso questi fenomeni linguistici permettono anche una riflessione sulla società del tempo. Ad esempio, il fatto che<br />

casa abbia sostituito domus ci dà un’idea <strong>della</strong> decadenza sociale ed economica del basso impero. A una considerazione<br />

analoga si presta macina esito di machina, voce di origine greca che significava «macchina», ridotta, in una cultura<br />

contadina, a designare solo la mola per macinare il grano.<br />

Caballus (cavallo da tiro) sostituisce equus, che rimane o ricompare come radice nelle voci dotte (latinismi: equestre,<br />

equino, equitazione). Molte sostituzioni avvengono perché tra due parole latine con significato vicino viene preferita<br />

19 La tabella seguente è ripresa da Dardano-Trifone, cit. p. 23.<br />

20 Fonte: http://www.pianetascuola.it/leggere_scrivere/parole/cap1/1_rivol_semantica.html. Con integrazioni da altre fonti, in<br />

particolare Migliorini, Breve storia, cit. pp. 38-43 e Dardano-Trifone, cit. pp. 25-28.<br />

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quella più espressiva , dal significato più "forte": tra edere "mangiare" e manducare "rimpinzarsi", si impone il secondo:<br />

> it. mangiare; tra flere "piangere"/plangere "battersi il petto" > it. piangere; tra os "bocca"/bucca "guancia" > it.<br />

bocca; tra loqui "parlare"/parabolare "dire parabole" > it. parlare.<br />

In altri casi si impone la parola modificata: auris "orecchia" diminutivo: auricula > orecchia; frater "fratello",<br />

diminutivo: fratellus > it. fratello.<br />

3.3.2 La rivoluzione semantica del cristianesimo 21<br />

Un capitolo a parte è costituito dai molti grecismi introdotti dal Cristianesimo. Questa religione veniva infatti<br />

dall’Oriente dove la <strong>lingua</strong> <strong>della</strong> cultura era il greco. La sua forza dirompente ha minato alle fondamenta l’impero<br />

romano, negando i valori su cui si fondava. Data la necessità dell’evangelizzazione, inoltre, il Cristianesimo ha<br />

significato anche una forte apertura verso le masse popolari. Greca, pertanto, è la <strong>lingua</strong> <strong>della</strong> dogmatica e <strong>della</strong> liturgia;<br />

il latino, non va dimenticato, divenne <strong>lingua</strong> liturgica in Occidente solo alla fine del II secolo. Al greco quindi, e non al<br />

latino, dobbiamo i termini <strong>della</strong> teologia, come baptismus (> it. battesimo) o eucharistia (> it. eucarestia), liturgia;<br />

inoltre: ecclesia > chiesa, episcopus>vescovo, martyr> martire, il grecismo parabola (dal greco parabolé<br />

"comparazione, similitudine") era usato era usato dai traduttori latini dei vangeli per indicare le brevi storie allegoriche<br />

narrate da Gesù; di qui derivano, come abbiamo visto, parola e parabolare> it. parlare.<br />

Ma anche certe parole latine assumono un nuovo significato impregnato <strong>della</strong> nuova etica, come virtus, che non<br />

significa più “valore misto a coraggio”, ma “virtù”, cioè “valore morale”, accezione rimasta nelle lingue europee<br />

moderne 22 .<br />

L’Occidente latino non sempre accettò passivamente i termini greci, che talvolta entrarono nell’uso con una certa fatica.<br />

È il caso di battesimo a cui si cercò di opporre, ma senza successo, il latino lavacrum (> it. lavacro). Angelo (< gr.<br />

ángelos = messaggero) ha un’origine più complessa, perché è la traduzione dell’ebraico biblico mal’ak che voleva dire<br />

«inviato di Dio»: non esistendo in greco alcun termine corrispondente, fu attribuito ad ángelos, che aveva il valore di<br />

«messaggero», il significato particolare di «messaggero di Dio». Ebraiche invece, senza ulteriori trasformazioni, sono<br />

pasqua, la ricorrenza più importante dell’anno liturgico, e sabato, il nome di un giorno <strong>della</strong> settimana che interrompe<br />

la serie dedicata agli dèi pagani iniziata con lunedì (< lat. Lunae dies) e anticipa la dominica (dies) (= il giorno del<br />

Signore). Dominicus (–a –um), aggettivo che nel latino classico designava «ciò che è del padrone», assume ora un<br />

significato pregnante, perché il signore per antonomasia è Dio.<br />

Il Cristianesimo ha lasciato tracce anche in vocaboli che sono al di fuori dell’ambito religioso. Ad esempio parola viene<br />

da parabola, il genere di racconto a cui Gesù spesso affidava il suo insegnamento, e sostituisce verbum che resta in<br />

italiano (verbo) soltanto in ambito grammaticale, e in ambito religioso a designare il Cristo (Verbo traduce il greco<br />

Lógos del Vangelo di Giovanni). Simile è il caso di tribolo, nome di una pianta spinosa (che entra nel latino e poi<br />

nell’italiano attraverso la locuzione spinae et tribuli, attestata nel Vangelo di Matteo) passato poi a significare anche<br />

sofferenza fisica e morale. Massa, infine, parola così importante nel mondo moderno («società di massa»), ha origine da<br />

un passo di San Paolo, che la usa in riferimento alla pasta fermentata, metafora che sta a indicare un gruppo di persone.<br />

3.3.3 L'influenza dei Bizantini e delle popolazioni barbariche 23<br />

L’influenza linguistica dei popoli che hanno invaso l’Italia è misurabile non tanto sul piano morfologico e fonologico,<br />

quanto piuttosto su quello lessicale. Le nuove lingue si sovrappongono come superstrato linguistico al latino e lo<br />

modificano. Prendiamo ad esempio i Bizantini, che dominarono su tutta l’Italia dal 555 al 568 e sulle zone costiere<br />

anche dopo la conquista dei Longobardi, e gli Arabi, che occuparono la Sicilia nel IX secolo. Mentre è difficile stabilire<br />

se ci sono arabismi entrati nell’italiano a quest’epoca, siamo più sicuri per quanto riguarda le voci bizantine, anche se è<br />

sempre molto arduo capire esattamente quando si sono attestate nella nostra <strong>lingua</strong>. Si tratta di termini che indicano<br />

oggetti domestici, come mastello; piante, come basilico("erba regale"), anguria (voce regionale settentrionale per<br />

cocomero), indivia e basilico; e vocaboli relativi alla vita marinara come argano, ormeggiare, gondola, falò. Sono<br />

bizantine anche le parola bambagia, un prodotto di esportazione, duca, che diventa in Italia qualcosa di diverso da dux<br />

(> duce), capatano > capitano, e abbazia, che designa una realtà al tempo stesso religiosa, economica e culturale di<br />

fondamentale importanza nel Medioevo.<br />

Per quanto concerne gli apporti delle altre popolazioni, tutte di stirpe germanica, c’è da dire che alcuni termini, che<br />

possiamo definire «paleogermanici», sono entrati nell’italiano già in età imperiale. È il caso ad esempio di werra (> it.<br />

guerra), che sostituisce il debole bellum che poteva confondersi con l’aggettivo bellus (grazioso); di sapo –onis (> it.<br />

sapone), voce già attestata da Plinio che designava una miscela di sego e cenere per tingere i capelli; di rauba (> it.<br />

roba), che significava tanto armatura quanto veste. È gotica invece tutta una serie di parole – banda, guardia, schiatta e<br />

arredare – che si possono riportare alla vita tribale; inoltre: albergo (riparo dell'esercito), bando, banda, abbandonare<br />

(mettere al bando), briglia, elmo, guanto, guardare, rocca, staffa. Agli Ostrogoti, che regnarono in Italia dal 499 al<br />

555, dobbiamo alcuni termini come stia, fiasco, nastro che riguardano la vita quotidiana, altri che si riferiscono alla<br />

21<br />

Fonte: http://www.pianetascuola.it/leggere_scrivere/parole/cap1/1_rivol_semantica.html. Con integrazioni da altre fonti, in<br />

particolare Dardano-Trifone, cit. pp. 25-28.<br />

22<br />

Fonte: http://www.geocities.com/inter<strong>lingua</strong>e/latino.html<br />

23<br />

Fonte: http://www.pianetascuola.it/leggere_scrivere/parole/cap1/1_rivol_semantica.html.<br />

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natura (greto) e all’aspetto fisico (grinta). È un lessico che riflette una cultura basata sulla guerra e lo scontro, ma che<br />

dà conto anche <strong>della</strong> vita semplice di tutti i giorni.<br />

Stesso discorso vale per i Longobardi, anche se l’influenza di questo popolo sulla nostra <strong>lingua</strong> è stata più incisiva,<br />

visto che non si limitarono a un’occupazione militare, ma furono autori di una vera e propria conquista che si protrasse<br />

per circa due secoli (568-774). A loro, come afferma Devoto, si deve quell’azione unificatrice in virtù <strong>della</strong> quale<br />

fenomeni nuovi, propri dell’Italia settentrionale, si diffusero anche in Toscana: ad esempio il passaggio da sorda a<br />

sonora nelle gutturali (lacus > it. lago), nelle dentali (scutum > it. scudo) e nelle labiali; per quest’ultimo caso, esempio<br />

illuminante è la forma popolare befana, proveniente da «la (e)pifania» dove la p appunto, divenuta intervocalica, si<br />

muta in b. Sono longobardi termini <strong>della</strong> vita militare come strale; <strong>della</strong> vita quotidiana come stamberga, sguattero,<br />

greppia, graffiare, arraffare, spaccare, che alludono a un’esistenza di stenti basata sulla rapina; del corpo umano come<br />

ciuffo e zazzera che fanno pensare a capelli lunghi e in disordine. Tra gli aggettivi, l’italiano ha mutuato ricco (< rihhi =<br />

«potente»), che ha preso il posto del corrispondente latino dives. Il latino si è preso però una rivincita col suffisso –ezza<br />

di ricchezza che continua il molto produttivo –itia (ad esempio laetitia = «gioia», stultitia = «stoltezza» etc.). Molto<br />

probabilmente è longobardo bianco (che ha sostituito albus), applicato al pelame dei cavalli. E, a proposito di cavalli,<br />

non ci stupiamo che, in un mondo in cui questi animali sono così importanti, compaiano anche nuovi colori per<br />

designarne il manto: così abbiamo il franco bruno (scuro lucente) e il germanico sauro (biondo-rosso).<br />

Dai Franchi provengono termini militari come dardo, foraggio, galoppare, gonfalone, guàita (agguato), ostaggio,<br />

schiera, tregua, usbergo (corazza) e parole <strong>della</strong> vita feudale come artiglio, barone, cavaliere, cortese, feudo, giardino,<br />

gioello, giostra, guanto, guiderdone (ricompensa), marchese, omaggio, paladino, sparviero, torneo, vassallo, zimbello.<br />

3.3.4 Due esempi 24<br />

Guanto (1265) La voce viene dal franco *want e designa un indumento che i Romani chiamavano digitabulum (<<br />

digitus = «dito»). La sua diffusione fu favorita, come dice Migliorini, dall’uso giuridico <strong>della</strong> parola, perché guanto è<br />

uno dei simboli del passaggio di proprietà. Innumerevoli sono le locuzioni che la contengono. Una buona parte sono<br />

legate all’idea di nobiltà e raffinatezza. Rientrano in questa tipologia: mandare il guanto (1363), «sfidare a duello»;<br />

calzare come un guanto (1636), «adattarsi perfettamente»; trattare coi guanti (1871), cioè con molti riguardi; con mano<br />

di ferro e guanti di velluto (1956), cioè con fermezza ma con apparente dolcezza. Il ladro in guanti gialli (1887),<br />

espressione attribuita al Giusti, è il ladro che ha aspetto e modi di persona distinta. C’è poi un derivato interessante, la<br />

guantiera, parola che indica una scatola elegante per tenere i guanti, attestata nel 1618 da Michelangelo Buonarroti il<br />

Giovane, e il cui significato si estende nel 1764 a indicare un vassoio per dolci e sorbetti. Di tutt’altro tenore sono gli<br />

usi di tipo gergale. Guanti sono le manette (sec. XIX), e guanto oggi è anche il preservativo, un’accezione che fa<br />

pensare all’inglese Venus’ glove («guanto di Venere»), che significa «vagina».<br />

Testa (1300-1313) Testa nel senso di cranio risale al tardo latino (Ausonio, IV sec.). In origine significava guscio di<br />

testuggine, conchiglia e coccio, quindi vaso di terracotta (da qui Testaccio, una zona di Roma così chiamata perché è un<br />

colle fatto di detriti di terracotta). Il passaggio di significato è avvenuto forse attraverso una metafora scherzosa come<br />

calco del greco chytríon (= «pentola, vaso di terracotta»)-kraníon («cranio»). Per spiegare il rapporto vaso-cranio<br />

qualcuno ha pensato all’uso barbarico di bere nei crani, come prova anche il tedesco Kopf («testa») che viene dal latino<br />

cuppa («coppa»). Dopo essere entrata in italiano grazie a Dante, testa dà luogo nel corso del tempo a innumerevoli<br />

locuzioni. Cominciamo con quella forse più comune, mal di testa, coniata da Mazzini. Poiché è dalla testa che parte<br />

ogni decisione, il Magalotti, scienziato e letterato fiorentino del Seicento, trovandosi in uno stato di grave incertezza,<br />

dice con molta efficacia di non saper dove sbattere la testa. Nel 1905, De Amicis pensa che lavata di testa esprima<br />

molto bene un duro rimprovero: infatti la colpa è sempre <strong>della</strong> testa e lavarla, soprattutto in epoca di pidocchi, sta a<br />

indicare un intervento molto energico. Chi ha scarsa consapevolezza delle proprie azioni ed è svagato e distratto ha la<br />

testa fra le nuvole, come dice Pirandello; mentre non gli entra in testa sta a indicare una caparbia incapacità a<br />

comprendere qualcosa.<br />

C’è poi tutta una serie di espressioni che alludono a peculiarità di carattere. Il poeta siciliano Cielo d’Alcamo (sec. XIII)<br />

conia testa dura per indicare persona ottusa e cocciuta, Michelangelo Buonarroti il Giovane (sec. XVII) testa quadra per<br />

la persona equilibrata o ostinata; in età romantica si definisce testa calda una persona dal carattere impulsivo (il termine<br />

traduce l’inglese hot head, attestato in un romanzo di W. Scott). Ancora un calco dall’inglese è testa d’uovo (< ingl.<br />

egghead, 1958), detto in senso ironico dei consiglieri più influenti di un capo di Stato; testa di cuoio invece è la<br />

traduzione del tedesco Ledernacken che indica chi appartiene a un corpo speciale antiterrorismo, e si deve al giornalista<br />

Vittorio Brunelli.<br />

24 http://www.pianetascuola.it/leggere_scrivere/parole/cap1/<br />

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